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La nonviolenza e' in cammino. 1160
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1160
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 30 Dec 2005 00:04:20 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1160 del 30 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Amnistia 2. Riccardo Troisi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 3. Giulio Vittorangeli: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 4. Dal 1964 in colloquio corale 5. Augusto Cavadi: Radici 6. Maria G. Di Rienzo: Brevi notizie di fine d'anno 7. Marina Forti: I fiumi, le dighe 8. Mohandas Gandhi: L'abnegazione 9. Stefano Petrucciani presenta "Politica come movimento. Il pensiero di Herbert Marcuse" di Raffaele Laudani 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. AMNISTIA Ci sono mille buone ragioni per un provvedimento legislativo di clemenza nei confronti della popolazione detenuta, ma la ragione che piu' ci persuade e' quella che ci insegno' il nostro maestro e fratello Sancho, quando governatore di un'isola che non era un'isola si trovo' a giudicare di un caso di vita o di morte e seppe decidere di fare la cosa giusta, e argomento' dicendo: "pues siempre es alabado mas el hacer bien que mal... y yo en este caso no he hablado de mio, sino que se me vino a la memoria un precepto, entre otros muchos que me dio mi amo don Quijote la noche antes que viniese a ser gobernador desta insula: que fue que quando la justicia estuviese en duda, me decantase y acogiese a la misericordia" (nel Chisciotte, II, LI). Caro, buon vecchio Sancho: la misericordia, che e' la giustizia quando ci ricordiamo di essere esseri umani. Come insegnava quel buon galileo in Giovanni, VIII, 3-11. 2. STRUMENTI DI LAVORO. RICCARDO TROISI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Riccardo Troisi (per contatti: riccardotroisi at tin.it) per questo intervento. Riccardo Troisi e' impegnato nella rete italiana per il disarmo, nella campagna "Control Arms", nella rete Lilliput e in molte altre iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza] Credo che l'abbonamento ad "Azione nonviolenta" in parte rappresenti per me un rituale direi "relazionale" con quella parte di pensiero per la pace a me cara che si confronta su questa rivista. Infatti mi piace considerare questo spazio informativo come "luogo" dove e' possibile uno scambio reale ed una riflessione che serva ad animare ed in alcuni casi a dar voce, al dibattito politico e culturale sui temi della nonviolenza oggi in Italia. Mi sembra evidente infatti che sebbene qualche passo in avanti sia stato fatto in questi ultimi anni, ancora non troviamo risposte piu' puntuali alle tante domande che ci pone questo sistema di violenza "solare". Occorre oggi ricercare ed agire la nonviolenza trovando nuovi percorsi probabilmente ancora inesplorati forse anche attraverso il confronto con altre culture sociali e con nuovi "meticciati di pace". Il problema e' capire come trasformare oggi questa pratica in azione collettiva all'interno delle dinamiche sociali del cosiddetto modello occidentale. Credo sia importante lavorare per una "nonviolenza a maglie larghe", che diventi strumento vivo e spendibile al fine di attivare processi di liberazione del "potere di tutti" (Capitini), realizzabili tutti i giorni. Ma su questo occorre rimettersi in cammino, ripartendo dai territori e dalle "comunita' critiche" in movimento, che mettano in gioco la propria storia, la propria immagine ed il proprio corpo in un'azione di cambiamento. E' di questo che mi piace dibattere con gli amici della nonviolenza che stanno riflettendo in cammino, assieme alle mie incertezze ed inquietudini, sulla strada della pace. 3. STRUMENTI DI LAVORO. GIULIO VITTORANGELI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' pur essendo la sua lettura sempre estremamente interessante, puntualmente, ad ogni numero, mi fa sanamente arrabbiare. Sara' che il mio incontro con la nonviolenza non e' avvenuto tramite i classici: Gandhi, Martin Luther King, Capitini; piuttosto all'interno dell'esperienza di solidarieta' con la rivoluzione popolare sandinista del Nicaragua degli anni '80. Sulla concretezza dell'esperienza di cristiani e cristiane nicaraguensi, molti dei quali membri delle comunita' ecclesiali di base, che si recarono in montagna o restarono nelle citta' o nelle campagne, nel quadro di una opzione per il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, percepito come l'alternativa etica e politica ad un sistema ingiusto ed immorale. Su questo, Giulio Girardi (filosofo e teologo della teologia della liberazione) ha scritto pagine di grandissimo interesse; sottolineando come per un gran numero di cristiani nicaraguensi, per tutti forse, quella scelta non e' stata facile. Ha incontrato profonde resistenze, proprio nella loro sensibilita' nonviolenta. Vengono immediatamente in mente le figure di Miguel D'Escoto, Ernesto Cardenal, Fernando Cardenal, che erano decisamente orientati nel senso della nonviolenza, e lo rimangono. Analizzando la situazione proprio alla luce della loro fede e della loro fondamentale scelta nonviolenta, sono pervenuti alla conclusione che nel contesto in cui operavano, soffocati com'erano dalla violenza del sistema e della dittatura sanguinaria, la strada meno violenta che rimaneva per bloccare l'imperversare della violenza del regime dittatoriale della famiglia Somoza era quella dell'impegno nell'esperienza rivoluzionaria sandinista. * Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' dovrebbe spingerci ad esplorare senza certezze, con le risorse fragili delle nostre convinzioni e delle nostre esperienze soggettive. Per questo non dovrebbe avere certezze, ne' trasformare la nonviolenza in una "ortodossia", in una "dogmatica" che sarebbe una contraddizione in termini. Ed invece, delle volte... beati coloro che hanno certezze! Non tanto perche' la certezza sia effettivamente certa, quanto perche' si creano corazze che, presumo, possono regalare sicurezza e far sentire forti. * Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' vorrei una prospettiva della nonviolenza elaborata dal punto di vista dei popoli oppressi come soggetti storici; di chi sta prendendo coscienza del proprio diritto non solo alla vita, ma alla liberta' ed all'iniziativa storica. Perche' vorrei che fosse maggiormente presente la voce degli emarginati e degli oppressi, in carne ed ossa, per discernere nel concreto le forme meno violente di lotta alla violenza. Prendendo in considerazione l'ipotesi paradossale che, in determinate condizioni, la forma meno violenta di resistenza attiva alla violenza possa essere la cooperazione con la lotta popolare di legittima difesa, di resistenza e di trasformazione rivoluzionaria per la liberazione degli oppressi - i popoli come le persone - anche laddove tale lotta non ha caratteristiche integralmente ed esclusivamente nonviolente: con la consapevolezza della contraddizione che tale scelta strategica rappresenta, e quindi i rischi - anche gravi - che essa puo' portare con se'. * Mi abbono ad "Azione nonviolenta" nonostante delle volte si abbia la sgradevole sensazione di trovarsi davanti ad articoli scritti da benpensanti, religiosi o laici, che nel conforto dei loro salotti europei giudicano e condannano la violenza di chi si ribella all'ingiustizia subita, quasi fosse segno di scarsa sensibilita'. Cosi' come la pretesa di certi nostri pacifisti, che ritengono di poter giudicare con maggiore oggettivita' degli oppressi le strade da percorrere, rischia di essere, pur con le migliori intenzioni, un nuovo esempio di arroganza eurocentrica. * Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' da amico della nonviolenza avrei potuto scrivere dei tanti pregi della rivista, ed invece ho preferito evidenziare quelli che personalmente mi sembra siano i limiti. Perche' i veri amici non sono quelli che ti dicono sempre quanto sei bello, bravo e intelligente; ma quelli che ti dicono la verita', per quanto scomoda. * Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche', anche con i suoi limiti, e' un dono. Definiamola, se non abbiamo paura delle parole (anche quando sono un po' solenni), un diamante grezzo. Senza prezzo, in un mercato che abbonda di perle false. 4. STRUMENTI DI LAVORO. DAL 1964 IN COLLOQUIO CORALE "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 5. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: RADICI [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti:acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sulla rivista "Centonove" del 23 dicembre 2005. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Nel chiacchiericcio sulle modalita' piu' corrette per relazionarsi alle identita' culturali degli immigrati che - inesorabilmente e non senza vantaggi per l'economia europea - si vanno inserendo nel nostro tessuto sociale, molto raramente ci si pone la domanda sul grado di consapevolezza che abbiamo della nostra stessa identita'. Non solo la pensiamo monoliticamente (laddove, noi europei, siamo figli di Atene e di Gerusalemme, di Roma e della Mecca, di Parigi e di Berlino...); non solo la pensiamo fissisticamente (laddove, noi europei, siamo un impasto dinamicamente aperto alle religioni orientali, alle musiche africane, alle tecnologie americane...); ma - come se non fossero abbastanza gravi tutte queste deformazioni mentali - ignoriamo persino i tratti costitutivi essenziali di quei filoni (come il cristianesimo) che tendiamo, abusivamente, ad assolutizzare (dimenticando - o sottovalutando - gli altri). * Esiste - ad esempio - una "magna charta" del cristianesimo? Gli esegeti piu' accreditati (in campo cattolico, ortodosso e protestante) non hanno dubbi: essa sarebbe formulata nel "discorso della montagna", al cui centro vigoreggiano le "beatitudini". Se e' cosi', dobbiamo attentamente chiederci: questa "carta costituzionale" ce l'hanno presentata correttamente e correttamente l'abbiamo recepita o ce l'hanno presentata in maniera deformata e - non potevamo altrimenti - l'abbiamo equivocata disastrosamente? La questione non e' irrilevante. Nella prima ipotesi saremmo in continuita' col vangelo, in linea con la proposta di Gesu', profeta saggio e vagabondo; nella seconda (e proprio in un punto decisivo) prigionieri di una truffa e, se ci professiamo cristiani, truffatori - sia pure in buona fede - noi stessi. Se realizzassimo un breve sondaggio in via Liberta' a Palermo o in via Etnea a Catania, la stragrande maggioranza della gente (senza differenza fra chi si dice credente, ateo o indifferente) non avrebbe dubbi: Gesu', soprattutto con il discorso sulle beatitudini, ha fondato una religione spiritualistica (centrata sul primato dello spirito rispetto al corpo) e ultramondana (centrata sul futuro eterno rispetto al presente temporale). Prendiamo una beatitudine a caso: "Beati voi che ora sentite i morsi della fame, perche' sarete saziati" (Luca 6, 20). Tutto appare evidente: Gesu' sta dicendo ai poveri del suo giro di sopportare in questa vita la loro fame (e - aggiunge l'evangelista Matteo nel passo parallelo: 5, 4 - la loro sete di giustizia) perche' nell'altra, finalmente liberati dai vincoli del corpo, saranno definitivamente soddisfatti. Lo specifico del cristianesimo sarebbe dunque ovvio: accetta con pazienza le sofferenze terrene e sarai premiato in paradiso. Ma e' davvero tutto cosi' ovvio? O quando si prova ad aprire qualche commento biblico un po' critico, di genere specialistico, abbastanza aggiornato, i conti non tornano piu' e si resta disorientati? Leggendo, ad esempio, gli studi del padre J. Dupont (cfr. Le beatitudini, Paoline, Cinisello Balsamo 1992) , si scopre che Gesu' non era per nulla un funzionario statale o ecclesiastico incaricato di calmare gli animi, di raffreddare le tensioni e le tentazioni di rivolta: non era ne' reazionario ne' conservatore. Anzi neppure moderato. Parlava alla gente concreta della sua terra e del suo tempo: un popolo dove c'erano certo anche ricchi e potenti, o per lo meno borghesucci ben sistemati, ma la cui maggioranza schiacciante era costituita da persone che provavano la fame e la sete in maniera molto fisica, letterale, concreta. Volevano giustizia perche' i Romani li trattavano come coloni e alcuni ebrei - alleandosi con le forze di occupazione - approfittavano del regime per sfruttare i propri fratelli di sangue e di fede. Avevano fame, volevano giustizia: e Gesu' li chiama "felici" perche' con lui, in quel momento storico e in quel luogo geografico, sarebbero stati sfamati e avrebbero ricevuto il risarcimento per i torti subiti. Nessun dualismo antropologico, dunque, fra una presunta beatitudine dello spirito e l'effettiva miseria corporale. Gesu' non sposta neppure la questione dal piano dell'attualita' esistenziale verso un aldila' dai contorni indefiniti: promette, anzi annunzia come imminente, un Regno di Dio in cui tutti possano avere "pane e carezze" (come usa esprimersi il teologo Armido Rizzi) o, per dirla col titolo di un bel film di Ken Loach, "pane e rose". Un Regno in cui - come amava ripetere il sindaco di Firenze Giorgio La Pira - "ognuno abbia una casa e anche Dio possa abitare in pace la sua". * Se e' cosi', quanti si ritengono credenti in Cristo, nel Messia inviato da Dio, rischiano di fallire due volte. Una volta, come comunita': in quanto chiesa. Se il manifesto programmatico del cristianesimo e' l'avvento di questo "regno" di giustizia, nella liberta' e nella fratellanza, non c'e' dubbio: stiamo assistendo al fallimento del predicatore di Galilea. Come argomentava Sergio Quinzio in uno splendido testo edito da Adelphi, cosi' intitolato, siamo spettatori della "sconfitta di Dio". Viviamo il tempo della delusione senza muovere un dito per cambiarla di segno: senza attivarci affinche' diventi vero, attuale, palpabile che l'affamato venga saziato, l'assetato abbia la sua acqua, il senza casa ottenga un tetto. E, soprattutto, che - a quanti possono lavorare per procurarsi pane, acqua e tetto - venga data la possibilita' di lavorare. Ancora il 16 dicembre del 2005 il Direttore generale della Fao, Diouf, rende noto che le persone al di sotto dei livelli minimi di nutrizione sono, nel pianeta, 852 milioni: ma le gerarchie ecclesiastiche sembrano concentrate sulla vita sessuale dei fedeli (e persino degli altri cittadini) o sulle possibili agevolazioni fiscali per gli istituti cattolici. Su temi, dunque, che Gesu' Cristo non ha neppure sfiorato di passaggio nei suoi anni di vita pubblica. Una seconda volta, quanti si dicono credenti nel vangelo, rischiano di fallire come singole personalita'. Perche' cercano la felicita' - la beatitudine - e non possono non cercarla: ma nella direzione sbagliata. La cercano adeguandosi alla mentalita' dominante in Occidente (e dunque competendo con gli altri, abbassando gli altri, strumentalizzandoli e manovrandoli) senza neppure sospettare che la felicita' si nasconde, come frutto prezioso, nelle relazioni cooperative. Ed emerge, lentamente, la' dove si tesse la promozione di chi e' bistrattato, la valorizzazione di chi e' sottovalutato. Essa ci sorprende mentre siamo concentrati altrove: a scrutare ogni spiraglio di bellezza, a decifrare ogni frammento di verita', soprattutto a curare ogni piaga altrui dimenticata. La sperimentiamo come effetto collaterale di un'esistenza orientata a ristrutturare quelle condizioni sistematicamente e durevolmente violente che provocano sofferenza, frustrazione, violenza occasionale ed emotiva. * Una incursione alla ricerca seria delle nostre radici - di alcune delle nostre tante radici - potrebbe dunque aprire orizzonti di senso oscurati da secoli di conformismo (forse non del tutto innocente) sino a farci addirittura scoprire, come scrive Elio Rindone a conclusione del suo breve ma intenso volumetto Ma e' possibile essere felici? Interrogare il passato senza restarne prigionieri (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004, alle pp. 89-90), che "il modo migliore per avvicinarci alla felicita' e' quello di non pensarci troppo! Occuparci un po' della felicita' altrui potrebbe infatti giovare molto anche alla nostra felicita': persino se cio' dovesse sul momento costarci". 6. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: BREVI NOTIZIE DI FINE D'ANNO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Ali Mohaqeq Nasab, l'editore afgano di una rivista sui diritti delle donne in carcere da settembre con l'accusa di "blasfemia" e' stato rilasciato. Per evitare la condanna a morte ha dovuto chiedere perdono ai suoi giudici religiosi in tribunale. Il precedente per la censura sulla stampa afgana e' stato stabilito. (Fonte: "Washington Post" del 24 dicembre 2005). * Nel frattempo, il 19 dicembre si e' riunito il nuovo parlamento afgano. Le donne in esso sono circa un quarto del totale. Fra loro alcune nostre conoscenze, come Malalai Joya, ben determinate a lottare per quei diritti delle donne che ad Ali Mohaqeq Nasab e' bastato sostenere per rischiare la vita. Ad una delle parlamentari, Howa Alam Nooristani, avevano sparato addosso quattro volte affinche' si ritirasse dalla competizione elettorale: "Ma io sono una progressista e voglio aiutare la mia gente". (Fonte: "London Telegraph" del 21 dicembre 2005). 7. MONDO. MARINA FORTI: I FIUMI, LE DIGHE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 dicembre 2005. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Migliaia di persone hanno manifestato ieri nella citta' di Karachi, capitale della provincia del Sindh, Pakistan meridionale. Protestavano contro la progettata costruzione di una nuova diga sul fiume Indo. La diga di Kalabagh dovrebbe sorgere parecchie centinaia di chilometri piu' a monte, dove l'Indo separa il Punjab dalla Provincia della Frontiera di Nordovest (Nwfp), ed e' un vecchio progetto: se ne parla fin dagli anni '50. Altre due dighe tagliano l'Indo o i suoi immediati affluenti tra Punjab e Nwfp, quelle di Tarbela e di Mangla. Lo scopo principale del nuovo sbarramento dovrebbe essere raccogliere acqua da convogliare nei sistemi di irrigazione, oltre a produrre energia idroelettrica e - dicono - a "controllare le inondazioni". E' quanto ha ripetuto ieri il presidente pakistano Parvez Musharraf rivolgendosi alla folla in una cittadina del Sindh, nell'ambito della sua campagna per promuovere l'impresa. La folla raccolte a Karachi, la metropoli affacciata sul mare Arabico, vede la diga come un disastro. "I pakistani si oppongono al progetto della nuova diga", ha detto ai manifestanti Raza Rabbani, presidente del gruppo parlamentare dell'opposizione al Senato nazionale, "e questa manifestazione si rivelera' l'ultimo chiudo nella bara del generale Musharraf". Quest'ultimo proposito suona forse prematuro, poiche' una svolta politica che metta da parte il generale-presidente non appare imminente in Pakistan: ma e' vero che la protesta contro la diga ha riunito i due grandi partiti dell'opposizione - il Partito popolare di Benazir Bhutto e la Lega musulmana di Nawaz Sharif, i due ex primi ministri in autoimposto esilio (alla fine del 2002, quando Musharraf ha convocato elezioni parlamentari per ridare una parvenza democratica al suo regime, i due ex premier non hanno avuto il permesso di candidarsi). In piazza ieri c'erano dunque noti dirigenti dei due partiti oltre alle forze politiche nazionaliste del Sindh. * La suddivisione dell'acqua dell'Indo e dei suoi affluenti e' una questione delicata, aggravata dalla siccita' sofferta dal paese negli ultimi anni. Cosi', gli oppositori dicono che la nuova diga darebbe forse qualche vantaggio all'agricoltura nel Punjab, la provincia piu' grande e importante del paese, a spese delle campagne del Sindh che si trova a valle. Il Punjab e' il tradizionale "paniere di grano" (e di cotone) del Pakistan, terra fertile solcata dagli affluenti dell'Indo che scendono dalle montagne himalayane (in territorio indiano), ed e' la provincia che ha piu' beneficiato di investimenti per modernizzare l'agricoltura, prima nell'ambito della "rivoluzione verde" e poi con le rimesse degli emigranti a ndati in Europa o nei paesi arabi del Golfo. Il Punjab e' anche la provincia piu' popolosa e tradizionalmente egemone nella politica pakistana. Insomma: i sindhi vedono nella nuova diga un gesto di "imperialismo" interno, perche' l'acqua deviata verso le campagne del Punjab verrebbe tolta proprio al Sindh, che gia' soffre di siccita'. * Le proteste contro il progetto di Kalabagh si sono intensificate negli ultimi mesi, quando la Banca Mondiale ha ripreso a considerare un finanziamento. Un comitato chiamato "Amici del fiume Indo" fa notare che i sindhi sono 40 milioni di persone (un quarto della popolazione pakistana) e per il 90% dipendono dal fiume. Le dighe e canalizzazioni gia' esistenti "hanno creato una siccita' prodotta dall'uomo" nel Pakistan centrale e meridionale, dicono. Insieme all'acqua, i due sbarramenti trattengono i sedimenti tanto importanti per fertilizzare le terre: calcolano che la portata di limo sia scesa da un milione a meno di 400.000 tonnellate al giorno. Si aggiungono gli effetti della deforestazione (meno del 20% degli originali 600.000 acri di bosco sono stati rigenerati). E poi il 90% dei boschi di mangrovie nella regione del delta sono ormai persi e si vanno asciugando acquitrini e zone umide costiere, con grave perdita di fauna selvatica e uccelli migratori; le coste restano cosi' esposte all'erosione, minacciando campi e villaggi costieri. La nuova diga non farebbe che aggravare tutto questo. 8. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: L'ABNEGAZIONE [Da "Azione nonviolenta" di novembre 2005 (disponibile anche nel sito: www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente estratto (inserito nella serie delle "dieci caratteristiche della personalita' nonviolenta" che ha fatto da leit-motiv della rivista lungo tutto il 2005) dall'antologia di scritti di Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, a cura e con un saggio introduttivo di Giuliano Pontara, Einaudi, Torino 1973, 1996, pp. 162-164, pubblicato originariamente in "Young India" del 27 febbraio 1930. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem] ... Tale forza universale [il satyagraha, la nonviolenza - ndr -] naturalmente non opera distinzioni tra connazionali e stranieri, giovani e vecchi, uomini e donne, amici e nemici. La forza applicabile in questo modo non puo' mai essere fisica. In essa non vi e' posto per la violenza. L'unica forza applicabile universalmente puo' dunque essere quella dell'ahimsa, o dell'amore. In altre parole, la forza dell'anima. L'amore non brucia gli altri, brucia se stessi. Dunque un satyagrahi, ossia un individuo che pratica la resistenza civile, sopporta con gioia le sofferenze, anche fino alla morte. Ne consegue che chi pratica la resistenza civile, pur impegnandosi con tutte le sue forze per porre fine all'attuale sistema di governo, non rechera' offesa intenzionalmente ne' con il pensiero, ne' con la parola, ne' con le azioni alla persona di nessun inglese. Questa forzatamente breve esposizione delle caratteristiche del satyagraha riuscira' forse a far comprendere e valutare le seguenti regole. * Come individuo: 1. Un satyagrahi, ossia un individuo che pratica la resistenza civile, non coltivera' sentimenti di ira. 2. Egli sopportera' l'ira del suo avversario. 3. Egli sopportera' gli attacchi del suo avversario non cedendo mai alla tentazione della ritorsione: ma non si sottomettera', per timore di punizioni o di altre sofferenze, a nessun ordine dettato dall'ira. 4. Se l'autorita' tenta di arrestarlo, il seguace della resistenza civile si sottomettera' volontariamente all'arresto e non resistera' al sequestro o all'asportazione delle sue proprieta' qualora le autorita' decidessero di confiscargliele. 5. Se un seguace della resistenza civile ha qualche proprieta' altrui affidatagli in custodia, si rifiutera' di consegnarla, e la difendera' anche al costo della vita. Egli tuttavia si asterra' sempre dalla ritorsione. 6. La non ritorsione esclude anche l'ingiuria e l'imprecazione. 7. Il seguace della resistenza civile dunque non insultera' mai il suo avversario e non scandira' neppure gli slogan di nuova coniazione che sono contrari allo spirito dell'ahimsa. 8. Il seguace della resistenza civile non salutera' l'Unione Jack, ma non la insultera', come non insultera' alcun funzionario governativo, inglese o indiano. 9. Se nel corso della lotta qualcuno insultera' un funzionario o cerchera' di aggredirlo, il seguace della resistenza civile proteggera' tale funzionario contro gli insulti e l'aggressione anche al rischio della vita. * Come detenuto: 10. Come detenuto il seguace della resistenza civile si comportera' cortesemente con il personale della prigione e si sottomettera' a tutte le norme disciplinari della prigione che non siano contrarie al rispetto di se stesso; ad esempio, mentre salutera' con il consueto salaam il personale carcerario, non fara' nessun umiliante inchino e si rifiutera' di gridare "Vittoria a Sarkar" o cose del genere. Egli prendera' il cibo cucinato e servito in modo igienico e che non e' contrario alla sua religione, e rifiutera' di prendere il cibo servito in modo insultante o in piatti sporchi. 11. Il seguace della resistenza civile non fara' alcuna distinzione tra i prigionieri comuni e se stesso, e non si considerera' in alcun modo superiore agli altri, ne' domandera' alcunche' che non sia strettamente necessario a mantenersi in buona salute e in buone condizioni. Egli puo' chiedere soltanto cio' di cui ha veramente bisogno per la propria conservazione fisica e la propria pace spirituale. 12. Il seguace della resistenza civile non digiunera' per rivendicare delle comodita' la cui privazione non comporta un'offesa al rispetto di se stesso. * Come membro di una brigata nonviolenta: 13. Il seguace della resistenza civile obbedira' con gioia a tutti gli ordini impartiti dal capo della brigata, che sia d'accordo con essi o non. 14. Egli prima eseguira' gli ordini, anche se gli sembreranno offensivi, dannosi e assurdi, e poi si appellera' all'autorita' superiore. Egli e' libero, prima di entrare nella brigata, di giudicare se questa e' in grado di soddisfare le sue esigenze, ma una volta che e' entrato a far parte della brigata, diviene suo dovere sottomettersi alla sua disciplina, per quanto molesta possa sembrargli. Se un membro di una brigata giudica che l'azione di questa sia errata o immorale, ha il diritto di abbandonare la brigata, ma finche' rimane al suo interno, non ha il diritto di infrangerne la disciplina. 15. Nessun seguace della resistenza passiva deve aspettarsi che venga garantito il mantenimento dei suoi familiari. Se cio' avvenisse, sarebbe soltanto un caso straordinario. Il seguace della resistenza civile affida i suoi familiari alle cure di Dio. Anche in guerra, le centinaia di migliaia di uomini che vi partecipano non hanno la possibilita' di provvedere in anticipo al mantenimento dei loro familiari. Lo stesso non deve avvenire dunque a maggior ragione nel satyagraha? E' esperienza universale che in questi tempi e' difficile che qualcuno venga lasciato morire di fame. * Nei conflitti all'interno delle comunita': 16. Nessun seguace della resistenza civile diverra' intenzionalmente causa di conflitti all'interno delle comunita'. 17. Nel caso scoppino conflitti di tal genere, egli non si schierera' da nessuna parte, ma si limitera' ad aiutare la parte che palesemente si trova nel giusto. Se e' un indu', si comportera' in modo generoso nei confronti dei musulmani e dei seguaci di altre religioni, e sara' pronto a sacrificare la sua vita nel tentativo di difendere un non indu' contro l'attacco di un indu'. E se l'attacco proviene dai non indu', egli non partecipera' ad alcuna azione di ritorsione, ma dara' la sua vita per difendere gli indu'. 18. Egli tentera' con tutte le sue forze di eliminare tutti i motivi che possono condurre allo scoppio di conflitti all'interno delle comunita'. 19. Se i satyagrahi organizzano un corteo essi non dovranno far nulla che possa offendere le convinzioni religiose di una comunita', e non dovranno prendere parte ad alcun corteo che offenda tali convinzioni. 9. LIBRI. STEFANO PETRUCCIANI PRESENTA "POLITICA COME MOVIMENTO. IL PENSIERO DI HERBERT MARCUSE" DI RAFFAELE LAUDANI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 dicembre 2005. Stefano Petrucciani (Roma, 1953) acuto studioso di filosofia, docente universitario e saggista di forte impegno civile. Opere di Stefano Petrucciani: Ragione e dominio. L'autocritica della razionalita' occidentale in Adorno e Horkheimer, Salerno, Roma 1984; Etica dell'argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl-Otto Apel, Marietti, Genova 1988; (con F. S. Trincia), Marx in America, Editori Riuniti, Roma 1992; Marx al tramonto del secolo, Manifestolibri, Roma 1995; Introduzione a Habermas, Laterza, Roma-Bari 2000. Raffaele Laudani, impegnato nell'esperienza di Attac-Italia, ricercatore presso il Department of Political Science della Columbia University, e' il curatore dell'edizione italiana degli scritti inediti di Herbert Marcuse, di cui e' gia' stato pubblicato il primo volume: Oltre l'uomo a una dimensione. Movimenti e controrivoluzione preventiva, Manifestolibri, Roma 2005. Opere di Raffaele Laudani: Politica come movimento. Il pensiero di Herbert Marcuse, Il Muiino, Bologna 2005. Herbert Marcuse, filosofo, nato a Berlino nel 1898, fa parte della scuola di Francoforte; costretto all'esilio dal nazismo, si trasferisce in America; sara' uno dei punti di riferimento della contestazione studentesca e dei movimenti di liberazione degli anni '60 e '70. Muore nel 1979. Opere di Herbert Marcuse: segnaliamo almeno Ragione e rivoluzione, Il Mulino; Eros e civilta', Einaudi; Il marxismo sovietico; L'uomo a una dimensione, Einaudi; Saggio sulla liberazione, Einaudi. Opere su Herbert Marcuse: oltre le note monografie di Perlini e di Habermas, cfr. Hauke Brunkhorst, Gertrud Koch, Herbert Marcuse, Erre Emme, Roma 1989; cfr. inoltre gli studi complessivi e le monografie introduttive sulla scuola di Francoforte di Assoun (Lucarini), Bedeschi (Laterza), Jay (Einaudi), Rusconi (Il Mulino), Therborn (Laterza), Zima (Rizzoli)] Dopo aver scontato con una lunga quarantena la colpa di aver scritto alcuni dei libri piu' letti dai movimenti degli anni Sessanta, Herbert Marcuse viene finalmente riscoperto, da un po' di tempo a questa parte, non solo come un importante filosofo del Novecento, ma anche come un pensatore politico dal quale si puo' ancora imparare qualcosa. Sul piano editoriale, questa riscoperta e' favorita dalla pubblicazione dei suoi ricchissimi materiali inediti, che si e' avviata sia negli Stati Uniti, che in Germania e in Italia (con il volume Oltre l'uomo a una dimensione, Manifestolibri 2005). Ora Raffaele Laudani, curatore dell'edizione italiana degli scritti inediti, pubblica presso il Mulino un'ampia monografia (Politica come movimento. Il pensiero di Herbert Marcuse, pp. 326, euro 23) che vuol essere una reinterpretazione complessiva del pensiero marcusiano, e che si giova anche di tutte le nuove acquisizioni che l'apertura dell'archivio e la pubblicazione degli scritti inediti hanno reso possibili. Sebbene filologicamente ferratissimo (Laudani tra l'altro proviene dalla scuola dello studioso di dottrine politiche Carlo Galli), il volume non si accosta a Marcuse con un interesse solo accademico; al contrario, Laudani interroga il suo autore partendo dalle domande che, alla politica e alla societa', pongono i nuovi movimenti globali di questi anni. E, sulla scorta delle riflessioni che questi hanno prodotto, punta infine a misurare l'attualita' del pensiero marcusiano, la sua spendibilita' oggi. L'ambizione di Laudani, come dicevamo, e' quella di una reinterpretazione, di una lettura innovativa rispetto a quelle che si erano consolidate nel passato. La rottura e' visibile innanzitutto in un approccio che prende le distanze rispetto alle consuete periodizzazioni con le quali si era soliti inquadrare il pensiero marcusiano: una prima fase di marxismo heideggeriano, che arriva fino agli inizi degli anni Trenta; poi il periodo della collaborazione stretta con Horkheimer e con l'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte (fino alla fine della seconda guerra mondiale); quindi la scelta di restare negli Stati Uniti (a differenza di Horkheimer e Adorno) e la critica della societa' americana consegnata al piu' famoso tra i libri marcusiani, L'uomo a una dimensione; infine gli scritti che vanno dai tardi anni Sessanta fino alla morte nel 1979 (come il Saggio sulla liberazione o La dimensione estetica), dove il teorico ragiona a stretto contatto con i movimenti giovanili e sociali dell'epoca valorizzandone le dimensioni utopiche ed estetiche, la volonta' di cambiare la vita piu' ancora che quella di rompere con gli assetti economici e politici vigenti. Rispetto a questa scansione abbastanza canonica, l'interpretazione di Laudani propone una vera e propria svolta. Al suo centro (come indica il titolo stesso del volume: "Politica come movimento") vi e' la convinzione che il vero nucleo generativo del pensiero di Marcuse, che unisce le prime riflessioni del filosofo reduce dalla rivoluzione dei Consigli in Germania (e che si interroga sulla sua sconfitta) con le ultime analisi dedicate ai movimenti, sia da vedersi proprio in un modo molto personale e peculiare di ripensare la politica, o, piu' precisamente, la struttura ontologica ed esistenziale di una politica di liberazione nel Novecento. Come scrive Laudani nell'introduzione, questa riconcettualizzazione della politica, il cui sfondo filosofico e' leggibile gia' nel grande libro del 1932 che Marcuse dedica all'Ontologia di Hegel, muove da una convinzione di fondo: quella per cui "le istanze di liberazione individuale e collettiva veicolate dai movimenti soggettivi non sono il frutto di una 'mancanza' da colmare, bensi' di un'ontologica 'eccedenza' del desiderio che trascende ogni sua positiva realizzazione". La politica della liberazione e' appunto questo "movimento" del desiderio eccedente, che si sottrae sempre di nuovo agli assetti di potere istituzionalizzati e interiorizzati (come il "principio di prestazione" che regola la condotta degli individui nella societa' del mercato e del capitale); e che proprio per questo entra in rotta di collisione anche con le strategie politiche di tutte le "vecchie sinistre", assumendo una curvatura "disobbediente" che segna anche il distanziarsi di Marcuse dagli altri due maestri della Scuola di Francoforte, Horkheimer e Adorno, che si trovano "spiazzati" dai movimenti degli anni Sessanta e non riescono in alcun modo a dialogare con essi, come invece Marcuse fa mantenendo comunque una forte autonomia di valutazione e di giudizio. Se si assume questa prospettiva di interpretazione, tra il primo e l'ultimo Marcuse, tra lo studioso dell'ontologia di Hegel e il filosofo della liberazione erotica ed estetica, non vi e' discontinuita', ma anzi si instaura quasi una sorta di corto circuito. Il primo costruisce una teoria dialettica e dinamica della realta', dove un posto centrale tocca alla categoria di possibilita' e soprattutto a quella di "vita", intesa come "attivita' negativo-desiderante, estrinsecazione storica e sociale di una insaziabile insoddisfazione ontologica". Nell'ultimo Marcuse tornano le caratteristiche di questo impianto originario, ma con la novita' rilevante che il piano ontologico ora incontra direttamente quello politico. Mentre infatti, ancora nell'Uomo a una dimensione del 1964, Marcuse aveva sviluppato la tesi classicamente francofortese di una societa' bloccata, avvolta nelle spire totalitarie del capitalismo consumista tecnologicamente ipersviluppato e della tolleranza repressiva che spegne ogni germe di possibile rivolta, l'incontro coi movimenti gli consente di rompere questo quadro. E di scoprire, come invece non riusciranno a fare i suoi amici vecchio-francofortesi, le potenzialita' sovversive della nuova sensibilita' e dei nuovi bisogni erotici ed estetici, che annunciano una rivoluzione dei valori che non solo precede, ma anzi sembra quasi assorbire in se' quella che veniva tradizionalmente pensata come la rivoluzione politica. Naturalmente non sarebbe difficile insistere sugli aspetti datati, o gia' allora troppo enfatici, di questa valorizzazione marcusiana dei contenuti radicalmente utopici dei movimenti degli anni Sessanta e Settanta. E certo Laudani ne e' consapevole. Ma quel che gli interessa e' recuperare, di Marcuse, il tentativo parzialmente riuscito di aprire un diverso discorso sulla politica, capace in qualche modo di interagire con i temi che qualificano oggi i nuovi movimenti globali: "pluralita' e indisponibilita' alla riduzione ad Uno, interdipendenza biopolitica del momento etico e della materialita' della protesta, ripensamento radicale della logica della rappresentanza e della democrazia, carattere costitutivamente nonviolento delle forme di lotta - sono solo alcuni aspetti, scrive Laudani, di un modo di fare politica che segna una rottura insanabile con le prassi tipiche della modernita'"; e di cui il pensiero di Marcuse, anche se con incertezze e difficolta', contiene gia' molte corpose anticipazioni. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1160 del 30 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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