La nonviolenza e' in cammino. 1161



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1161 del 31 dicembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Cindy Sheehan: L'anno in cui andranno a casa
2. Giorgio Gatta: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. La voce del Movimento Nonviolento
4. Tiziano Tissino: Nella Giornata per la pace
5. Enrico Peyretti: Cauto elogio della pazienza
6. Maria G. Di Rienzo: "Risvegliati e cammina". Un progetto in Sudafrica
7. Augusto Cavadi: Etica nel Mediterraneo
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: L'ANNO IN CUI ANDRANNO A CASA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il
mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George
Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per
chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla
sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento
contro la guerra]

Dal caldissimo agosto di Camp Casey, alcune straordinarie azioni popolari si
sono tenute in tutto il paese. Le persone cominciano a parlare ed il
Congresso ha cominciato a mettere sotto accusa il regime neofascista e
criminale che ha tentato di imporsi negli Usa. Da Camp Casey a Katrina,
dall'uso delle armi chimiche allo spionaggio illegale dei cittadini, Bush e
compagnia si sono dimostrati fallimentari per il nostro paese e per il mondo
intero. Noi americani stiamo dicendo: "quel che e' troppo e' troppo".
Ci siamo impegnati duramente quando ci siamo mostrati a Washington e in
centinaia di altri luoghi per mostrare che un governo di assassini non ha il
nostro consenso. Abbiamo pacificamente ma con forza rigettato la nozione che
questa amministrazione abbia diritto di governarci, giacche' ha tradito
orribilmente il suo compito ed il suo sacro dovere di difendere la nostra
Costituzione.
Questo e' stato anche l'anno in cui abbiamo chiesto ai democratici in abiti
repubblicani  (Hillary Clinton, Joe Lieberman, Joe Biden, Diane Feinstein, e
la lista potrebbe andare avanti) di rispondere del loro sostengo a cio' che
Bush sta facendo in Iraq. Quando come democratici eleggiamo i nostri
rappresentanti, ci aspettiamo che essi respingano e ripudino a voce alta le
politiche corrotte ed omicide di questa amministrazione, non che le
difendano. Ora ci sono dei Campi Casey davanti agli uffici di Hillary
Clinton e di Chuck Schumer a Long Island ogni venerdi'. C'e' un Camp Casey
di fronte all'ufficio di Kay Bailey a Dallas sin dall'agosto scorso: qui
molti dimostranti sono stati arrestati per aver esercitato il loro diritto
di parola. Dobbiamo far capire a questi guerrafondai, cosi' come ai
guerrafondai repubblicani, che quando diciamo "portateli a casa subito"
intendiamo vederli mettersi al lavoro.
Allestite un Camp Casey di fronte all'ufficio del vostro senatore o
deputato, se essi sostengono Bush in questa guerra di aggressione.
*
"Gold Star Families for Peace" sta pianificando numerose azioni gia' per la
prima parte del 2006. Io vi daro' tutte le informazioni, di modo che
possiate accordare i vostri piani ai nostri ed unirvi a noi se vi e'
possibile. Il 31 gennaio prossimo saremo di nuovo a Washington, in occasione
del discorso sullo stato del paese che George Bush fara' di fronte al
congresso e all'opinione pubblica mondiale, ovvero quando mentira' dicendoci
come stanno andando bene le cose in Iraq e qui a casa nostra. Le sue
politiche sciagurate hanno rovinato l'Iraq e New Orleans e fatto del pianeta
intero un luogo piu' pericoloso: pensate solo che gli attacchi terroristici
si sono triplicati in tutto il mondo da quando lui ha deciso di "combatterli
laggiu'". Inoltre, durante il discorso potrebbe gettare le basi per
ulteriori inutili aggressioni contro la Siria e l'Iran.
"Gold Star Families for Peace", i rappresentanti delle organizzazioni
pacifiste e i rifugiati da New Orleans si raduneranno a Washington per farvi
sapere il vero stato del paese.
*
Per l'amor di dio, non credete di dover fermare Bush? Recentemente, la
stampa ha rivelato che George interagisce con solo quattro persone: sua
moglie Laura, la Rice,  Karen Hughes e la sua mamma. La sua mamma, la Regina
delle Nevi che non vuole i propri graziosi occhietti disturbati dalla vista
delle immagini dei feretri avvolti nelle bandiere, vive a Houston. Durante
il "giorno del presidente" (la festivita' del 20 febbraio) noi protesteremo
di fronte a casa sua, implorandola di rinunciare agli osceni profitti che la
sua famiglia ed i suoi amici stanno traendo dall'occupazione, e pregandola
di fare finalmente la cosa giusta e dire a suo figlio di smettere questa
guerra al terrorismo dichiarata al mondo intero. George Bush e Dick Cheney
hanno sconciato gli alti uffici di cui erano responsabili, e devono
dimettersi. Il 20 febbraio, se non potete venire a Houston, organizzate la
vostra propria protesta dove siete.
*
La fondazione per la pace "Camp Casey" terra' il suo primo festival il 4
aprile 2006. Il 4 aprile e' il giorno in cui mio figlio Casey e  Martin
Luther King Jr. furono uccisi. Vogliamo che questo giorno divenga una
ricorrenza per celebrare la pace. La fondazione conferira' anche un premio
ad un giovane attivista per la pace ogni anno. Vogliamo in questo modo
incoraggiare la risoluzione nonviolenta dei conflitti, ed i giovani sono
coloro che muoiono nelle guerre dichiarate da chi ha i capelli grigi. Anche
di questo vi daro' in seguito maggiori dettagli.
*
Poi c'e' Pasqua. L'11 aprile torneremo infatti a Crawford, e vi resteremo
sino al 16. Pasqua e' un periodo di rinnovamento e di speranza. Casey fu
ucciso la domenica delle palme ed il suo corpo ci fu restituito il sabato
santo. L'ultima Pasqua e' stata terribile, per noi, e durante la prossima
manifesteremo di fronte alla casa dell'uomo che e' responsabile di tanto
dolore. Ma saremo la' con la rinnovata speranza che i polli-falchi del
nostro governo saranno mandati al pascolo. Come Michael Moore, voglio essere
una mosca sul muro il giorno in cui Bush e compagnia verranno portati fuori
dalla Casa Bianca in manette. L'impeachment non e' necessario, tra l'altro,
per chi non e' stato eletto: l'arresto e' quel che ci vuole. Anche a Pasqua,
se non potete venire a Crawford, allestite il vostro campo di protesta nelle
vostre citta'.
*
Nel 2005, abbiamo imparato di avere il potere. Abbiamo imparato che non
possiamo fidarci della propaganda mediatica o delle vuote promesse dei
nostri leader. Abbiamo imparato che dobbiamo essere il cambiamento che
vogliamo vedere. Abbiamo imparato che una sola persona e' e fa la
differenza.
Non possiamo mollare nel 2006. Non possiamo tornare al male dell'apatia e
della connivenza in cui i neocons sguazzano. Dobbiamo continuare a far
pressione, a lavorare, a lottare.
Dobbiamo sostenere le organizzazioni come Gold Star Families for Peace,
Veterans for Peace, Code Pink e Iraq Veterans Against the War, o i gruppi
per la pace che preferite, per poter continuare la nostra lotta verso una
pace con giustizia. Dobbiamo sostenere i veri patrioti, come il parlamentare
John Conyers che ha chiesto indagini sulle bugie che ci sono costate cosi'
tanto a livello umano.
Il  2006 sara' un grande anno per la gente del nostro paese. Lo so. Non
sara' facile, ma ce la faremo e la nostra lotta sara' davvero valsa la pena.

2. STRUMENTI DI LAVORO. GIORGIO GATTA: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Giorgio Gatta (per contatti: ggatta at racine.ra.it) per questo
intervento. Giorgio Gatta e' da anni impegnato in attivita' di pace e di
promozione della nonviolenza, e particolarmente nel movimento di Pax
Christi]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' lo considero un utile strumento di
lavoro e per l'impegno per la pace.
Fra le tante riviste specifiche di controinformazione, "Azione nonviolenta"
affonda le sue radici nella memoria storica della nonviolenza in Italia.
Da' uno sguardo di lettura della realta' che ci circonda, approfondendo
quegli aspetti che possono indirizzarci alla risoluzione dei conflitti in
senso nonviolento.
"Azione nonviolenta" aiuta anche a introdurci a quelle pratiche di pace che
gia' sono una realta', facendoci capire come la nonviolenza non sia solo un
impegno intellettuale ma entra e ci interpella nella nostra vita di tutti i
giorni.

3. STRUMENTI DI LAVORO. LA VOCE DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza.
La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n.
10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente
bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza
Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad
"Azione nonviolenta".

4. INIZIATIVE. TIZIANO TISSINO: NELLA GIORNATA PER LA PACE
[Ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) per
questo intervento. Tiziano Tissino e' impegnato nei Beati i costruttori di
pace, nella Rete di Lilliput, ed in numerose altre esperienze ed iniziative
nonviolente]

Care amiche e cari amici,
come forse gia' saprete, nei giorni scorsi e' stata presentata al tribunale
di Pordenone una citazione in giudizio verso il governo Usa, chiedendo lo
smantellamento delle armi nucleari ad Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia),
poiche' la loro presenza e' in palese contrasto con quanto stabilito dal
Trattato di non proliferazione nucleare (chi si fosse perso la notizia, puo'
ritrovarla a questo link:
http://liste.beati.org/wws/arc/beati/2005-12/msg00050.html ; ulteriori
informazioni saranno presto disponibili sul sito web www.beati.org).
Domenica prossima, primo gennaio, si celebrera' la Giornata mondiale per la
pace. In molte realta', ci saranno iniziative pacifiste anche in occasione
dell'ultimo dell'anno (penso in particolare all'ormai tradizionale marcia di
Pax Christi, ma sono certo che non e' l'unica...). Ci sembra questa
un'ottima occasione per cominciare la nostra opera di coinvolgimento
popolare intorno alla causa legale che abbiamo aperto.
Per questo, vi chiediamo di aiutarci a diffondere, nelle varie iniziative su
tutto il territorio nazionale (e, perche' no, anche all'estero se ne avete
modo), il volantino che segue. Il volantino stesso puo' essere, se lo
ritenete oppurtuno, liberamente modificato (al limite, anche completamente
stravolto) per adattarlo ai diversi contesti in cui sara' utilizzato.
L'importante e' diffondere la notizia, coinvolgere singoli ed associazioni,
far emergere dalla rassegnazione e dal senso di impotenza quel popolo che
solo pochi anni fa ha colorato tutt'Italia con le bandiere della pace.
Come allora, l'iniziativa e' partita da un piccolo gruppo di persone, nel
silenzio ed indifferenza dei media piu' influenti; come allora, abbiamo la
possibilita' di dimostrare che la pace cresce dal basso e che anche un sogno
puo' diventare realta' se e' condiviso da molti.
Per contatti: vialebombe at sconfini.net
*
"Nella verita', la pace"

"...Che dire poi dei governi che contano sulle armi nucleari per garantire
la sicurezza dei loro Paesi? Insieme ad innumerevoli persone di buona
volonta', si puo' affermare che tale prospettiva, oltre che essere funesta,
e' del tutto fallace. In una guerra nucleare non vi sarebbero, infatti, dei
vincitori, ma solo delle vittime. La verita' della pace richiede che tutti -
sia i governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi nucleari, sia
quelli che intendono procurarsele -, invertano congiuntamente la rotta con
scelte chiare e ferme, orientandosi verso un progressivo e concordato
disarmo nucleare" (Benedetto XVI, messaggio per la Giornata della pace,
primo gennaio 2006)

"Delle bombe atomiche custodite sotto la Base di Aviano, forse sin dal 1955,
se ne parla ormai da anni, tra un valzer di conferme e di smentite.
'Sicuramente negli anni Settanta - secondo il giudice istruttore veneziano
Carlo Mastelloni, che indagava sulla caduta dell'aereo Argo 16 - bombe
atomiche tattiche erano immagazzinate sotto la costante vigilanza dei
carabinieri in un deposito dell'aeroporto di Aviano'.
Sempre nel 1996, quando furono resi i noti i risultati cui era giunto il
giudice, si verifico' una singolare coincidenza: da Washington William
Arkin, sul bollettino degli scienziati atomici rivelo' che nell'area D della
Base Usaf di Aviano erano custodite le piccole bombe atomiche di tipo B61,
potenzialmente destinate all'impianto chimico di Gheddafi a Tarhunah in
Libia. 'Non e' detto pero' che queste bombe siano presenti o siano gia'
arrivate. Comunque - sottolineo' allora il tenente colonnello Flavio Mucia,
addetto stampa della Prima Regione Aerea - nei paesi dotati di armamento
nucleare c'e' un controllo scrupoloso'.
Nel febbraio del 1999, poi, il vicepresidente del Consiglio dei ministri,
Mattarella, rispose in diretta tv all'interrogazione del leghista Ballaman,
che aveva chiesto ragione della presenza ad Aviano di ordigni nucleari.
Mattarella disse che le 'bombe' fanno parte dei piani, e degli accordi, di
difesa assicurati dalla Nato. Aggiunse che dopo la caduta del Muro di
Berlino la loro presenza e' diminuita e che, comunque, l'Italia intende
lavorare per il disarmo nucleare completo.
Imbarazzi dei ministri, smentite del governo hanno dovuto poi piegare la
testa di fronte a un altro significativo episodio: Il Centro sicurezza
dell'Usaf nel 2001 ha premiato il XXXI Fighter Wing con una speciale targa
che attesta la 'Garanzia nucleare' dell'installazione pedemontana (Nuclear
Surety). Tradotto, significa che ad Aviano le bombe atomiche sono presenti e
sono 'amorevolmente' sorvegliate. Non solo: i 'guardiani' si sono segnalati
per qualificate performance nel maneggiare sapientemente gli ordigni.
Infine, il rapporto 'Armi nucleari americane in Europa' del centro studi
newyorkese 'Natural Resources Defense Council' ha sostenuto quest'anno che
nella base Usaf di Aviano si troverebbero 50 bombe atomiche".
(Dal "Gazzettino di Pordenone", 23 dicembre 2005)

L'appello del papa non fa che riprendere quanto gia' sancito dal Trattato di
non proliferazione nucleare del 1968: con quel trattato gli stati "nucleari"
si sono impegnati sia a non trasferire le loro atomiche ad altri che a
condurre trattative "in buona fede" per fermare la corsa agli armamenti e
giungere alla completa eliminazione di tutte le armi nucleari dal pianeta.
Gli Usa, in questo momento, sembrano essere l'unica potenza nucleare ad
avere proprie armi atomiche dispiegate sul territorio di altri stati, e sono
quelli che hanno stanziato piu' fondi per la costruzione di nuove armi
nucleari. L'Italia e' anch'essa in violazione del Trattato avendo
acconsentito che 90 di quelle atomiche siano dislocate sul suo territorio.
L'amore per la verita', l'amore per la pace, l'amore per l'umanita'
richiedono da parte di tutti, e quindi di ciascuno, "scelte chiare e ferme",
come quelle di Raymond Hunthousen, allora arcivescovo di Seattle, che gia'
nel 1981 invitava i suoi fedeli ad impegnarsi a favore del disarmo
unilaterale: "La nostra sicurezza non risiede nelle armi demoniache che
minacciano tutta la vita sulla terra. La nostra sicurezza e' nel Dio tenero
che ama. Dobbiamo smantellare i nostri arsenali di terrore e porre la nostra
fiducia in Dio. Alcuni mi dicono che il disarmo unilaterale di fronte al
comunismo ateo e' insensato. Io credo che e' l'armamento nucleare, da
qualsiasi parte si trovi, a essere ateo, e tutto quello che si vuole tranne
che sensato".
Per questo, l'associazione "Beati i costruttori di pace" e' stata tra i
promotori, assieme ad altri esponenti del pacifismo pordenonese, di
un'azione legale nei confronti del governo statunitense: il 22 dicembre e'
stata presentata al tribunale di Pordenone una citazione in cui si chiede
che le armi nucleari dislocate ad Aviano e a Ghedi vengano smantellate, in
quanto la loro presenza e' illegale e foriera di pericoli.
Vorremmo che a questa azione legale si associassero persone, associazioni ed
istituzioni, per far emergere la volonta' di pace e di verita' in nome del
popolo italiano e dell'intera umanita'.
Se sei interessato all'iniziativa, ti preghiamo di contattarci ai seguenti
recapiti: e-mail: vialebombe at sconfini.net, tel. 3492200890, tel. 3483323254.
Ti chiediamo inoltre di diffondere ulteriormente questo appello fra tutte le
persone di buona volonta'.
Fuori le atomiche dall'Italia, fuori le atomiche dalla storia.

5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: CAUTO ELOGIO DELLA PAZIENZA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione questo suo testo nato come relazione a un incontro di
riflessione: "Il gruppo di Ferrara del Movimento Nonviolento, il 15 dicembre
2005, mi ha invitato a parlare della pazienza, come una delle
caratteristiche della personalita' nonviolenta. Ho detto a quegli amici che
ne avrei fatto un 'cauto elogio' perche' la pazienza e' ambigua: puo' essere
una virtu', ma anche un difetto". Enrico Peyretti (1935) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei
licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al
2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e'
ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino,
sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005;
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa
Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a
stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio
nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la
traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo
foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche
nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

1. Pazienza viene da patire. Patire non e' soltanto soffrire. Conosciamo dei
verbi la forma attiva e quella passiva, cioe' l'azione che puo' essere anche
buona (per esempio: vengo guarito, vengo istruito) di qualcuno o qualcosa
verso di noi, su di noi, non necessariamente contro di noi.
Comunque, patire, anche quando e' un soffrire, non e' uguale a subire.
Subire e' sottomettersi, rinunciare al diritto e alla dignita', che vanno
difesi non solo per noi, ma per tutti. Patire senza subire puo' essere una
forza. C'e' di peggio che patire la tortura. Come diceva un torturato al suo
torturatore: "Il peggio e' essere come te".
Si patisce un'offesa, una violenza fatta a noi, oppure un dolore, un male
della vita, della natura, della malattia: il male umano, o il male naturale.
*
2. Il male e' soltanto maledetto? E' solo da rifiutare e ribellarsi
immediatamente? Non puo' essere anche fecondo, utile? "Non tutto il male
vien per nuocere", diceva la saggezza popolare. Il dolore non e' solo
distruttivo: se colpisce una vita viva, vi scava nuovi spazi interiori, che
non conoscevamo, come il primo pianto apre i nostri polmoni chiusi di
neonati. Di un romanzo cinese ricordo solo questa frase: "Hai il cuore
spezzato? Vuol dire che hai un cuore". Il male si puo' anche portare con
pazienza. Portare, invece di subito scaricare, e' un atto di forza. Nadia
Neri sintetizza cosi' la personalita' di Etty Hillesum: ha saputo
trasformare il dolore in forza. La condizione per questa crescita dolorosa
e' assumere il dolore, affrontarlo e non fuggirlo, portarlo, elaborarlo. Il
che richiede coraggio, cioe' cuore. Il solo fuggire dal dolore e' debolezza
e incrementa la debolezza.
*
3. Dunque, mi pare che pazienza significhi almeno: sopportare, subire,
attendere.
Sop-portare e' sinonimo di sos-tenere: sor-reggere da sotto, dal basso,
qualcosa di pesante; sol-levare, farsi carico; e' la tolleranza attiva, non
sdegnosa, ma rispettosa e creativa, perche' tollere vuol dire anzitutto
sollevare. E' una forza benefica, che conserva e salva.
Sub-ire significa mettersi sotto: e' azione simile ma inversa del
sopportare; e' sotto-mettersi, abbassarsi senza sollevare nessuno, ma
accettando la superiorita' di chi infligge offesa, rispettandone la
violenza. E' azione passiva, vile e ingiusta verso se stessi e verso
chiunque potra' trovarsi in questa situazione. Ma puo' essere anche saggia
accettazione della necessita': per esempio rassegnarsi alla vecchiaia, non
essere un ridicolo e stupido vieux garcon: con questa sottomissione si torna
nel positivo sopportare.
Attendere, cioe' ad-tendere. Questo significato della pazienza riguarda un
modo di stare nel tempo senza forzarlo, senza strappare la pianta per farla
crescere in fretta, senza precipitare l'azione prima della sua maturazione.
Non e' l'attendismo tattico e cinico, ma e' rispetto delle cose e dei ritmi
di processi e persone, e' disciplina del nostro agire. Questo e' il
significato di pazienza proposto da Giuliano Pontara nella pagina che vi
dedica ne La personalita' nonviolenta (Ega, 1996, p. 67). Non siamo noi che
facciamo tutto, che imponiamo tempi e regole, ma siamo attivi dentro azioni
piu' grandi, dentro movimenti di altri, dentro una realta' che ci
ricomprende. Questa pazienza e' una virtu' religiosa verso la vita: saper
lavorare per altri che verranno, piantare alberi che non vedremo per figli e
posteri. Quando verra' la pace? Tra secoli? Non me lo chiedo. Faccio ora il
lavoro che tocca a me. Come scriveva Aldo Capitini: "Io non dico: fra poco o
molto tempo avremo una societa' perfettamente nonviolenta. A me importa
fondamentalmente l'impiego di questa mia modestissima vita, di queste ore o
di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della storia il peso
della mia persuasione" (Elementi di un'esperienza religiosa, Laterza, 1937,
p. 111; pp. 115-116 della riedizione Cappelli 1990).
*
4. Per Gandhi la sofferenza liberamente accettata come prezzo della lotta
giusta e' "l'arma umana", e' un mezzo propriamente degno dell'uomo:
"Nell'applicazione del satyagraha ho scoperto fin dai primi momenti che la
ricerca della verita' non ammette l'uso della violenza contro l'avversario,
ma che questo deve essere distolto dall'errore con la pazienza e la
comprensione. Infatti, cio' che sembra la verita' ad uno puo' sembrare un
errore ad un altro. E pazienza significa disposizione a soffrire. Dunque il
senso della dottrina e' la difesa della verita' attuata non infliggendo
sofferenze all'avversario ma a se stessi" (Gandhi, Teoria e pratica della
nonviolenza, Einaudi 1996, p. 15).
"La dottrina della violenza riguarda solo l'offesa arrecata da una persona
ai danni di un'altra. Soffrire l'offesa nella propria persona, al contrario,
fa parte dell'essenza della nonviolenza e costituisce l'alternativa alla
violenza contro il prossimo" (ivi, p. 6). Il satyagraha e' dunque
alternativo alla lotta armata, ma anche alla resistenza passiva: questa
cerca di "molestare la parte avversa sopportando le sofferenze che ne
conseguono". Invece, nella lotta satyagraha "non vi e' la piu' lontana idea
di arrecare danno all'avversario. Il satyagraha postula la conquista
dell'avversario attraverso la sofferenza nella propria persona" (ivi, p.
18).
"Sono andato sempre piu' convincendomi che la ragione non e' sufficiente ad
assicurare cose di fondamentale importanza per gli uomini, che devono essere
conquistate attraverso la sofferenza. La sofferenza e' la legge
dell'umanita', cosi' come la guerra e' la legge della giungla. Ma la
sofferenza e' infinitamente piu' potente della legge della giungla, ed e' in
grado di convertire l'avversario e di aprire le sue orecchie, altrimenti
chiuse, alla voce della ragione. (...) L'appello della ragione e' rivolto al
cervello, ma il cuore si raggiunge solo attraverso la sofferenza. Essa
dischiude la comprensione interiore dell'uomo. La sofferenza, e non la
spada, e' il simbolo della razza umana" (ivi, p. 6).
Potrebbero sorgere perplessita' e critiche, e ne sono sorte, riguardo a
questi pensieri di Gandhi, come rappresentativi di un'etica sacrificale,
sempre pericolosa perche' puo' condurre a pensare che anche l'altro, e non
solo io, puo' e deve, in certi casi, essere sacrificato. Provando ad
affrontare queste critiche, ho creduto di poter concludere che l'idea di
sacrificio in Gandhi e' l'amore altruistico piu' che non l'automacerazione
(vedi su questo punto il mio Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica
di Gandhi, Pazzini editore, 2005, pp. 62-63). La sofferenza usata da Gandhi
non e' un ricatto, che egli condanna come violenza, ma e' re-sistenza,
fermezza, tutto il contrario della sottomissione all'ingiustizia o della
fuga per debolezza. Per Tommaso d'Aquino il resistere fermi nei pericoli, il
sostenere, e' il piu' grande atto di forza, piu' dell'aggredire:
"Principalior actus est fortitudinis sustinere, idest immobiliter sistere in
periculis, quam aggredi" e lo dimostra nel seguito del testo (Summa
Theologica, II, II, q. 123, art. 6).
*
5. Allora, l'impazienza e' un vizio? Si' e no. E' negativa se, come abbiamo
visto, forza i tempi; se e' accanimento nella cura, nella correzione,
nell'educazione, esigendo frutti fuori tempo o impossibili; se diventa
l'ossessione della fretta, dell'alta velocita', ben giustificata per
un'ambulanza, ma non per sistematicamente comprimere la vita e le
esperienze, non per creare una nuova discriminazione sociale tra chi puo'
correre senza aspettare gli altri e chi deve andare lento; non e'
giustificata se non lascia mai assimilare incontri, percorsi, luoghi, se
sfrutta sempre il tempo come rapire denaro, invece di viverlo. Ricordiamo
l'ammonimento anti-velocistico di Alex Langer: "Lentius, profundius,
suavius", piu' lentamente, piu' profondamente, piu' dolcemente.
Ma l'impazienza puo' essere positiva, nel senso detto da Aldo Capitini:
"Accanto ad una societa' che usa la guerra come via alla pace, la violenza
come via all'amore, la dittatura come via alla liberta', la religione mi
porta ad anticipare di colpo il fine nel mezzo; e ad attuare comunque, qui e
subito, pace, amore, liberta'. La religione e' impazienza dell'attendere il
fine; e oggi che l'universo, il tempo, lo spazio non sono sentiti in
dualismo stabile con l'infinito e l'eterno, porremo noi questo dualismo
nella societa' tra il mezzo e il fine?" (Aldo Capitini, da Il problema
religioso attuale, Guanda, Parma 1948, citato in Teoria della nonviolenza, a
cura del Movimento Nonviolento, Perugia, 1980, pp. 4-15. Questo brano e' a
p. 14). E' l'impazienza religiosa, della speranza attiva, della
non-rassegnazione.
Per questo motivo, Norberto Bobbio presenta Capitini non come il maestro
tradizionale, il cui compito e' quello di "colmare il dislivello tra le
generazioni adulte e le adolescenti", ma come il "maestro profeta, il quale,
anziche' comunicare il sapere raggiunto, si pone in aperta polemica con la
realta' circostante e annuncia una realta' nuova". "Ma il profeta non e'
l'utopista. La differenza sta in cio': mentre l'utopista disegna una
stupenda struttura di societa' ideale, ma ne rinvia l'attuazione a tempi
migliori, il profeta comincia subito, qui ed ora" (Norberto Bobbio,
Introduzione a Aldo Capitini, Il potere di tutti, cit., nota 54, p. 17 e p.
31). E' l'impazienza della fedelta' puntuale al proprio dovere, che annuncia
e porta qui il tempo nuovo atteso.
*
6. Questa urgenza (im-pazienza virtuosa) e la virtuosa pazienza possono
andare insieme? L'urgenza e' nella parola d'ordine di una campagna di
solidarieta': "I poveri non possono aspettare". Ed e' scritta sulla facciata
dell'opera del Cottolengo, nella mia citta', nata per accogliere i piu'
infelici e scartati: "Charitas Christi urget nos", la carita' di Cristo ci
sospinge, ci fa fretta. Urgenza e pazienza sono nel messaggio della
Bhagavadgita: agire con distacco dal risultato. Il dovere di agire e'
l'urgenza, il distacco dal successo e' la pazienza. Cosi' il precetto
evangelico: "Date senza sperare restituzione" (Luca 6, 35), dove dare e'
l'urgenza, non aspettarsi un ritorno e' pazienza. In questo binomio vitale,
bisognera' premere ora sull'urgenza, ora sulla pazienza. La legge
dell'azione - dice Merleau-Ponty - non e' il successo rapido (il risultato
urgente), ma la fecondita' (l'effetto paziente, futuro).
*
7. Per tutto questo faccio un "elogio cauto" della virtu' della pazienza:
cauto e vigilante, perche' sotto le vesti della virtu' non si insinui il
vizio, come don Milani diceva dell'obbedienza. La pazienza e' da elogiare
quando e' una forza, quando e' la calma, virtu' dei forti. Ma e' da
smascherare quando e' usata per fermare, per rinviare, per sottomettere, per
fare accettare l'inaccettabile. E' da smascherare quando viene proposta da
una religione che aliena dalla responsabilita' del mondo, al contrario
dell'impazienza religiosa che abbiamo sentito in Capitini. E' proverbiale la
pazienza di Giobbe. Ma se leggiamo quel libro biblico vediamo che Giobbe
accetta la sventura, ma anche contesta Dio: il male non e' tutto effetto dei
suoi peccati, come dice la semplicistica religione tradizionale,
rappresentata dai suoi saccenti amici. Giobbe accetta i suoi limiti, ma
mette in crisi quella religione, che non rispetta tutta la dignita' umana e
tutto il mistero della sofferenza: c'e' soprattutto una impazienza di
Giobbe.
La pazienza e' una virtu' se e' quel patire attivo capace di assorbire e
spegnere in se' la violenza; se abbraccia gli opposti dell'urgenza senza
forzatura e del patire senza subire; se e' passione e amore.
Il linguaggio manda piccole luci: passione dice patire e dice anche amare.
Infatti, non c'e amore senza dolore: non solo il dolore della mancata
corrispondenza o del tradimento, rischio insito nell'amare, ma il dolore del
condividere le inevitabili pene. Sim-patia dice in greco la stessa cosa che
dice in latino com-passione: sentire insieme, e dunque anche patire insieme
le fatiche altrui in aggiunta alle proprie. Chi non ama nessuno soffre
soltanto le proprie pene, le soffre da solo, le soffre male. E' necessario
dire ai giovani che amare e' condividere gioie e piaceri, ed anche i dolori
della vita. Inganna i giovani e li tradisce ogni immagine dell'amore facile
e leggero, senza prezzo.
Non c'e' amore senza pazienza. Il frequente fallimento dell'amore di coppia
(senza fare paragoni con epoche passate, quando la durata dell'unione non
era sempre amore) non significhera' forse carenza di pazienza, illusione
stolta che nell'amore tutto sia facile e garantito, ignoranza della legge
vitale per cui l'amore va sempre curato e costruito, attraverso le
circostanze difficili e i limiti personali di tutti? La pazienza nell'amare
deve essere reciproca, non unilaterale (che sarebbe disuguaglianza,
inammissibile nell'amore), ma l'offerta deve essere reciprocamente
unilaterale, va da ciascuno suscitata nell'altro donando per primo, non va
aspettata dall'altro come condizione per muoversi. La pazienza e'
intelligenza costruttiva della relazione personale profonda.
*
8. Altri rami di questo tentativo di riflessione potrebbero essere
sviluppati. Alcuni si trovano nell'articolo di Mao Valpiana in "Azione
nonviolenta", dicembre 2005, pp. 18-19 (www.nonviolenti.org).
C'e' il difficile tema della sofferenza altrui: si puo' avere pazienza della
sofferenza altrui? Abbiamo gia' sentito che essa impone un'urgenza. Susan
Sontag scrive Davanti al dolore degli altri (Mondadori, 2003): il vedere fa
sentire il dolore degli altri? Oggi si televede in abbondanza il dolore
umano, e si oscilla tra com-passione, com-pazienza buona e attiva, e - piu'
facilmente - assuefazione, rassegnazione, de-pazienza cattiva. Ma il
Samaritano sente "nelle viscere" (esplanknisthe, Luca 10, 33) - a differenza
del sacerdote e del levita, che ne hanno pazienza, lui no -  il dolore
dell'uomo lasciato mezzo morto sulla via dai briganti, e non puo'
sopportarlo. Infatti Mencio, filosofo cinese del IV-III secolo a. C.,
definisce "il sentimento dell'umanita'" come il "non poter sopportare le
sofferenze altrui" senza agire in soccorso (citazioni in Esperimenti con la
verita', citato sopra, pp. 68-69).
Mi limito a riportare, per finire, una definizione della nonviolenza data da
Antonio Vigilante: "Nonviolenza e' guardare il mondo dal punto di vista del
debole, dello svantaggiato, dell'escluso, dello sconfitto. E' assumere
quello stesso sguardo, quella stessa sofferenza come propria. E' rifiutare
strenuamente qualsiasi giustificazione che possa essere addotta per la
realta' della sofferenza umana. Dell'etica nonviolenta fa parte un'euristica
della sofferenza" (Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del
Rosone, Foggia 2004, p. 89).
Chi la ignora, crede che la nonviolenza sia una eccessiva colpevole
pazienza. Essa e' soprattutto una forte, delicata, esigente impazienza.

6. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: "RISVEGLIATI E CAMMINA". UN PROGETTO IN
SUDAFRICA
[Da "Azione nonviolenta" di novembre 2005 (disponibile anche nel sito:
www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente articolo. Maria G. Di Rienzo
(per contatti: sheela59 at libero.it) e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

Nel 1999, il "Centro per lo studio della violenza e per la riconciliazione"
(Csvr) di Johannesburg sviluppo' un progetto chiamato "Le voci dei giovani
criminali", che coinvolse 24 detenuti nella prigione di Leeuwkop. L'intento
era quello di capire la natura e le cause dei comportamenti violenti nella
gioventu' e di indirizzare chi li aveva attuati verso la risoluzione
nonviolenta dei conflitti e la reintegrazione nella comunita. L'intervento
ebbe tale successo che dal 2000 al 2004 il Csvr amplio' il programma, grazie
anche ad un finanziamento provenuto da una Ong irlandese di cooperazione
allo sviluppo, e lavoro' con i giovani prigionieri e prigioniere in vari
centri di detenzione sudafricani.
Il nuovo progetto fu chiamato "Vuka S'hambe" che significa "Risvegliati e
cammina" e prevedeva: la promozione della consapevolezza personale rispetto
alle ragioni per cui si era stati coinvolti in attivita' criminali; lo
sviluppo di abilita' efficaci nel portare alla luce le risorse e la forza di
ciascuno utili alla risoluzione nonviolenta dei conflitti; la promozione
della fiducia in se stessi e negli altri; la costruzione di relazioni
emotive positive e stabili; le sessioni sulle istanze di genere. Una delle
facilitatrici, Lindiwe Mkhondo, chiarisce: "Le ragazze ed i ragazzi con cui
ho lavorato per piu' di due anni, alla prigione di Johannesburg, hanno
aperto i loro cuori e condiviso la loro verita' con me. Accettando che li
guidassimo nel loro personale viaggio verso la consapevolezza, hanno fatto
crescere e cambiare anche noi facilitatori. Le domande che la gente mi
poneva piu' spesso erano: Ma non hai paura a lavorare con i detenuti? Ti
senti al sicuro, la' dentro? Sorprendentemente, ma forse poi non tanto, i
detenuti avevano la stessa percezione di se stessi che gli altri avevano di
loro. Avevano una conoscenza di se stessi come di persone pericolose e
temibili. Uno di essi mi fece la stessa domanda: 'Lindi, sorella, sei cosi'
rilassata ed amichevole con noi, non hai mai paura?'. La verita' e' che non
mi sono mai sentita in pericolo in loro compagnia. Si', ci sono state molte
lacrime, lacrime di gioia e di sollievo, e lacrime di frustrazione e di
infelicita'. La sfida piu' grande, per me, era quella di rendere capaci
questi giovani di realizzare la propria umanita', di apprendere assieme a
loro i metodi grazie ai quali non avrebbero piu' usato la violenza come una
difesa contro le loro paure e contro il loro terribile dolore".
*
Il Sudafrica ha un alto livello di criminalita' giovanile, che e' persino
aumentato negli ultimi anni. Secondo le statistiche del 2004, circa il 43%
della popolazione carceraria sudafricana ha meno di 25 anni, e circa 25.000
detenuti hanno meno di 21 anni. Le ragazze sono l'1,65% del totale. Vuka
S'hambe ha analizzato le origini del fenomeno partendo dalle prospettive dei
partecipanti al progetto (motivazioni individuali, contesto in cui la
violenza si diede, retroscena culturali ed economici) ed ha utilizzato tale
conoscenza per sviluppare programmi che spezzano il ciclo della violenza. I
facilitatori hanno attestato che la principale precondizione, emersa durante
i seminari, per il manifestarsi della violenza e' la mancanza o la
percezione della mancanza di metodi nonviolenti per trasformare i sentimenti
di rabbia e vergogna, dolore e autostima ferita. La seconda e la terza sono
la mancanza di riconoscimento o status sociale/economico, e l'incapacita'
emozionale dell'individuo di provare empatia per gli altri. Lo sviluppo di
tale capacita' si e' rivelato di grande importanza, durante il programma,
per trasformare le reazioni aggressive. Uno dei ragazzi di Vuka S'hambe, che
sta scontando una sentenza a vent'anni di prigione per rapina a mano armata
ed omicidio, ha detto: "Io sono come un fiore morto. Come un fiore avrei
avuto bisogno di acqua, ma nessuno ha mai avuto cura di me, non sono stato
amato. Sento che la rabbia mi ha fatto marcire da dentro. Adesso io non
riesco ad amare me stesso, e nessun altro. Come posso farlo, se l'amore non
so cos'e'?". Una delle ragazze, allo stesso proposito, ha citato un
proverbio Xhosa: "Umntu Ngumntu Ngabantu" che significa "una persona e'
umana grazie a coloro che ha intorno".
Vi fara' piacere sapere che entrambi, come il resto di coloro che hanno
partecipato al progetto (ed e' davvero un dato da festeggiare), sono stati
capaci di mutare la percezione che avevano di se stessi, attestando di
sentirsi degni di amore e rispetto, e di sentire quindi che degne di amore e
rispetto erano anche le persone verso cui avevano usato violenza. Ora
parecchi di questi giovani detenuti beneficiano di semiliberta', e molti di
essi hanno incontrato le proprie vittime o i parenti delle stesse, per
ottenere il perdono e la rinascita. Questo accade, ad insegnare la
nonviolenza.

7. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: ETICA NEL MEDITERRANEO
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti:acavadi at lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo apparso nell'edizione palermitana
del quotidiano "La Repubblica" il 2 dicembre 2005. Augusto Cavadi,
prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a
varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata
Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e
mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di
studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La
dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997;
trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco,
Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare
l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA.
VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998,
ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e
indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del
Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi?
Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il
pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG
Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori
riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)]

Il vertice euromediterraneo di Barcellona (per altro cominciato male: senza
i leader arabi ne' il presidente israeliano) si e' appena chiuso con un
mezzo fallimento. Esso avrebbe dovuto segnare una tappa importante di quel
processo, avviato nella stessa citta' spagnola nel 1995, di progressiva
cooperazione internazionale fra l'Europa e i "vicini" delle altre sponde del
Mediterraneo che dovrebbe culminare nel 2010 con la proclamazione dell'ampio
bacino come "area di libero scambio". Alcune formazioni politiche
particolarmente retrive e provinciali gioiscono del semifallimento; altre,
piu' progressiste, se ne dispiacciono. Ma e' possibile andare oltre
l'alternativa fra compiacimento e rammarico: attuare qualche iniziativa
concreta di correzione di rotta e di accelerazione del cammino.
Se saranno i governi  nazionali - soprattutto i rispettivi ministeri degli
esteri - a inventarsi altri appuntamenti, non ci sara' che da rallegrasi:
ma, nell'attesa (e, comunque, ad integrazione di eventuali  mosse della
diplomazia ufficiale), qualche passo in avanti puo' senza dubbio essere
tentato dalla societa' civile organizzata. Anzi, forse proprio questo
coinvolgimento della "base" sociale -  non necessariamente in polemica con i
vertici istituzionali, ma neppure in acritica sintonia - potrebbe costituire
la prima novita' di rilievo: per spezzare l'illusione (talora appositamente
coltivata da chi, sotto sotto, spera che il progetto fallisca) che l'Unione
Europea possa rafforzarsi (ed estendere a Paesi confinanti un'influenza
benefica) riservando ai politici di professione (e alla potenti lobbies
economiche che ne condizionano l'operato) il monopolio dell'iniziativa.
*
Forte di questa convinzione, l'"Universita' etica per la condivisione della
conoscenza" (un network di associazioni e di singoli cittadini radicata in
vari punti del Paese) sta organizzando proprio a Palermo (con la preziosa
collaborazione della Facolta' di Economia e Commercio) la prima edizione
delle "Giornate di studio sul Mediterraneo".  Qual e', in poche parole,
l'obiettivo principale di questa full immersion (esattamente dall'8 all'11
dicembre: consultare il sito www.universitaetica.net) cui hanno gia' aderito
studiosi, amministratori e operatori sociali da vari Paesi europei e
nord-africani? Proprio quello di evitare che le decisioni riguardanti il
Mediterraneo vengano ipotizzate, formulate e attuate dall'alto e da lontano,
sulla testa (ignara) di chi nel Mediterraneo vive, lavora, produce,
commercia e prova a tessere relazioni umane significative.
Una prima sessione sara' dedicata ad alcune identita' culturali presenti
nell'area: tra ebrei, cristiani, musulmani e' possibile un confronto che non
si rassegni alla incomprensione senza, d'altronde, mirare all'omologazione?
Una seconda sessione sara' invece riservata all'aspetto economico: possono i
popoli mediterranei uscire dalla situazione di svantaggio senza scimmiottare
modelli di sviluppo continentali (peraltro sottoposti all'usura del tempo e
alle controindicazioni dell'esperienza storica)? La caduta delle frontiere
doganali e la liberalizzazione dei mercati costituiranno solo un'occasione
di crescita per il Sud o non potrebbero riservare l'amara sorpresa di
contraccolpi negativi? La sostenibilita' dello sviluppo e' da intendersi in
senso solo ecologico o anche sociale ed etico? I fattori geo-politici che
agitano le acque del "mare nostrum" (diventato, negli ultimi anni, un
immenso cimitero di vite spezzate alla ricerca di terre meno ostiche delle
patrie d'appartenenza) saranno il tema della terza sessione. Ovviamente,
trattandosi di un laboratorio di analisi transdisciplinare con lo scopo di
attivare metodologie d'intervento (in una felice circolarita' fra teoria e
pratica), la quarta ed ultima sessione e' stata prevista come momento
conclusivo di incontro fra i partecipanti e di progettazione operativa. Una
progettazione basata su dati (per quanto possibile) "oggettivi" e
orientata - piu' che da pregiudiziali ideologiche o confessionali - dalla
sincera adesione ai principi dell'equita', della solidarieta' e della
nonviolenza.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1161 del 31 dicembre 2005

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it