Nonviolenza. Femminile plurale. 44



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 44 del 29 dicembre 2005

In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Nonviolenza a Belfast
2. Un'intervista di Cristina Valenti a Luce Fabbri del 1993 (parte prima)

1. INIZIATIVE. MARIA G. DI RIENZO: NONVIOLENZA A BELFAST
[Da "Azione nonviolenta" di ottobre 2005 (disponibile anche nel sito:
www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente articolo. Maria G. Di Rienzo
(per contatti: sheela59 at libero.it) e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

"Esprimiamo preoccupazione per la crescente proliferazione del commercio
d'armi nell'Irlanda del Nord. Vi e' una chiara evidenza di come tale
commercio alimenti guerra e violenza nel mondo, specialmente quando le armi
arrivano nelle mani di regimi repressivi e corrotti. Il disarmo e la
smilitarizzazione delle forze paramilitari e delle forze di sicurezza e' una
parte integrante del processo di pace. Almeno 900.000 sterline del Fondo
Europeo per la Pace e la Riconciliazione sono stati diretti, attraverso il
servizio Invest Northern Ireland (Ini), alla compagnia produttrice di
missili Thales Air Defence. Molte persone pensano che dovrebbe esservi
un'inchiesta pubblica per stabilire come mai i soldi 'per la Pace e la
Riconciliazione' vengano usati in questo modo. E' per questo che abbiamo
lottato? La pace in Irlanda del Nord si ottiene con l'esportare la violenza
e nel guadagnarci sopra del denaro?".
Il passo proviene dalla lettera consegnata a mano il 20 maggio 2005 al
direttore dell'Ini, Damien McAuley, dagli attivisti irlandesi nonviolenti di
Peace People e Innate Nonviolence. Belfast ha vissuto grazie a loro due
giornate intense e significative in cui si sono alternate azioni
dimostrative e dibattiti. Al centro di una citta' che ha conosciuto decenni
di incredibili durezze, violenze e repressioni, durante la manifestazione
pubblica del 21 maggio, Kevin Cassidy e gli altri attivisti ed attiviste
hanno pubblicamente "spezzato" fucili e "disarmato" missili, tutti manufatti
costruiti in scala reale da loro stessi. Il simbolismo, come hanno spiegato,
collegava la necessita' del disarmo mondiale alla necessita' del disarmo nel
contesto irlandese. "Promuoviamo una visione antica, la nonviolenza,
proiettandola nel futuro, perche' solo attraverso la nonviolenza avremo un
futuro".
Durante la conferenza tenutasi nello stesso giorno alla Friends Meeting
House, sono intervenuti fra gli altri Patrick Corrigan di Amnesty
International (che ha parlato della connessione tra armi e violazione dei
diritti umani), Kevin Mullen della "Campagna contro il commercio d'armi",
Anthony Nicotera (uno dei sette arrestati a Chicago per aver tenuto un
sit-in nel quartier generale della fabbrica produttrice di armi della
Boeing), Tim Hourigan dell'Alleanza contro l'aggressione militare (che ha
spiegato come l'Irlanda funga da punto di transito per le truppe
statunitensi: un "jet adibito alla tortura" della Cia, coinvolto con
certezza nel rapimento e nella tortura di "sospettati" di vario tipo, si e'
fermato nella citta' di Shannon almeno 14 volte) e, con grande sorpresa
degli astanti, e' intervenuto anche un tale "Henry Winkler" della fabbrica
d'armi Raytheon.
Il "signor Winkler", usando una presentazione in powerpoint, ha sostenuto
che le armi sono un male necessario, parte della lotta per la liberta' e la
democrazia, e che gli Usa non hanno l'intenzione di difendere in armi il
proprio stile di vita per scopi egoistici, ma solo al fine di condividerlo
con il mondo intero... L'uditorio ha incalzato naturalmente "Henry Winkler"
con una valanga di osservazioni e domande di tipo piuttosto "reattivo", ma
costui ha detto di non poter rispondere a tutti, perche' c'erano altri
relatori in attesa di parlare, ed ha lasciato la sala. E' tornato pochi
minuti dopo presentandosi con le sue vere qualifiche: era infatti il
rappresentante della "Campagna per gli investimenti etici", un gruppo che
invita da molto tempo i rappresentanti della Raytheon ad un confronto
pubblico, ma non ha ancora avuto il piacere di ottenere una risposta. A
questo punto la conferenza si e' trasformata in un seminario, in cui
relatori e pubblico si sono impegnati a cercare tecniche efficaci di dialogo
e confronto con gli oppositori: cosa dire ad un rappresentante di una
fabbrica d'armi, e in quali modi? Che tipi di approcci pro-attivi,
convincenti, potrebbero spostare il punto di vista di tale persona?
La struttura di questa due giorni irlandese si e' rivelata particolarmente
efficace: la lettera chiede una risposta pubblica, nonche' trasparenza e
controllo sui fondi europei da parte della popolazione; l'azione
dimostrativa simbolica ha attirato l'attenzione dei media; il convegno ha
stabilito alleanze importanti con altri gruppi attivi; e' stata colta
l'occasione per lavorare insieme ai semplici partecipanti, trasformandoli da
uditori e uditrici in compagni e compagne nel percorso sulla via della
nonviolenza.

2. MEMORIA. UN'INTERVISTA DI CRISTINA VALENTI A LUCE FABBRI DEL 1993 (PARTE
PRIMA)
[Dal sito www.socialismolibertario.it riprendiamo la seguente intervista a
Luce Fabbri realizzata da Cristina Valenti a Castel Bolognese, il 31 ottobre
1993 e pubblicata su "A. Rivista anarchica", anno 28, n. 247, estate 1998,
col titolo "Vivendo la mia vita" (intervista disponibile anche nel sito
della rivista: www.arivista.org).
Cristina Valenti e' docente presso il Dams dell'Universita' di Bologna;
proveniente da studi di carattere storico e filologico (il suo volume Comici
artigiani ha vinto il Premio Pirandello per la saggistica teatrale nel
1994), negli ultimi anni ha rivolto la sua attivita al teatro contemporaneo
d'innovazione, al quale si e' dedicata sia sul piano della produzione
scientifica sia sul piano dell'organizzazione. Ha diretto l'organizzazione
del Centro Teatrale La Soffitta del Dams di Bologna (1991-2001), al quale
collabora tuttora sul piano progettuale, e ha realizzato numerosi progetti e
iniziative culturali negli ambiti del teatro di ricerca e di ispirazione
sociale. I suoi interessi attuali riguardano i teatri del disagio (handicap,
carcere), il teatro di impegno sociale e civile, la ricerca delle giovani
generazioni (in particolare come direttrice artistica dell'Associazione
Scenario); collabora a varie riviste teatrali e culturali. Svolge
collaborazioni drammaturgiche e organizzative per diversi artisti, compagnie
e strutture teatrali.; ha in preparazione un volume sui Teatri delle
dis/abilita'. Fra gli ultimi volumi pubblicati: Conversazioni con Judith
Malina (1995); Living with The Living 1998); Oiseau Mouche. Personnages (con
Antonio Calbi, 2000); Il teatro nelle case (2001); Katzenmacher (2004).
Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e
generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e
della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande
militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929
in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America
Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente
molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla
fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre
limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio
segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti in
questo foglio riproposta. Tra le sue opere in volume ed in opuscolo
segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos
Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la
revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de
Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore,
Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali,
Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union
Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo
e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni
Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL,
Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la
historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962;
El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos
Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una
strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la
historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona
1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo
1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica
letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense
(1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della
letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena &
Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad
de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati
nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli
interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli
traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra
cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e
l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce
Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce
Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41
(disponibile anche nel sito: www.arivista.org)]

Il 25 luglio [1998 - ndr -] compie 90 anni Luce Fabbri, da oltre
sessant'anni residente in Uruguay. Anarchica, insegnante, militante nelle
alterne vicende del movimento non solo sudamericano, donna di cultura e
saggista, rappresenta un punto di riferimento sicuro per un pensiero ed
un'azione che affondino si' le radici nella parte migliore della tradizione
anarchica, ma non rinuncino a confrontarsi con le grandi questioni che
all'umanita' si pongono alle soglie del nuovo millennio con spirito critico,
senza rigidita' dogmatiche, con orgoglio ma anche con la necessaria umilta'.
*
- Cristina Valenti: Come e quando hai fatto tue le idee anarchiche? C'e'
stato un momento in cui ti sei definita anarchica oppure ti sei sempre
ritenuta tale? E se c'e' stato un momento in cui hai compreso di essere
anarchica come e' avvenuto, per quale motivo?
- Luce Fabbri: Sono figlia di un anarchico. Sono figlia di un anarchico e
sono stata educata con criteri libertari. Respiravo la liberta' in famiglia,
la liberta' in senso nostro. Sapevo fin da bambina che mio padre era
anarchico. Ho passato due anni dai nonni, dai quattro ai sei anni, non
conoscevo quel termine, ma sapevo che mio padre era un ribelle. Abitavamo a
Porta Pia dove passavano le sfilate militari. Mi piaceva molto la musica
militare e ogni volta andavo alla finestra entusiasta; ma poi provavo dei
rimorsi perche' sapevo che a mio padre quella musica non poteva piacere:
questo vuol dire che avevo gia' qualche cosa nella testa. Quando sono
tornata in famiglia a sei anni, ben presto ho cominciato a dire "Io sono
anarchica", ma mio padre mi diceva "Ti sbagli, lo dici perche' sai che io
sono anarchico e che quelle sono le mie idee, ma questo non vuol dir nulla
per te. Quello che penso io non prova niente, perche' la maggioranza della
gente la pensa in modo diverso; quando sarai piu' matura, ci ripenserai e
deciderai. Ma devi giudicare con la tua testa, non con la mia". Ed evitava
di portarmi ai comizi, sostenendo che i bambini devono esserne tenuti fuori
e liberi da influenze tanto determinate. Naturalmente questo ha influito in
senso libertario e sono rimasta zitta per parecchio tempo cercando di
pensare con la mia testa a quanto diceva mio padre, pero', arrivavo sempre
alle stesse conclusioni. Quello che ha influito moltissimo e che penso sia
stato il vero punto di partenza del mio anarchismo fu la prima guerra
mondiale. Mi ha veramente impressionato, in modo profondo, perche' avevamo
molti amici al fronte e tanti di loro passavano da noi quando partivano, e'
passato Berneri quando e' stato richiamato, sono passati alcuni fuggiaschi
dopo Caporetto, venivano a trovarci i disertori. L'atmosfera della guerra
l'ho sentita molto, a parte che si e' avvertito anche il bombardamento di
Ferrara, soprattutto quando il fronte si era avvicinato dopo la sconfitta. I
racconti che ascoltavo m'impressionavano molto ma soprattutto mi indignava
il fatto che ci fosse un potere capace di obbligare una persona non solo a
farsi ammazzare, ma ad ammazzare. Mi sembrava inconcepibile che ci fosse
qualcuno che potesse dire ad un altro "ammazza uno che non ti ha mai fatto
niente altrimenti ti fucilo". Quella e' stata una cosa che mi ha veramente
colpita, ho pianto e ricordo che di notte mordevo il cuscino dalla rabbia.
E' stata una scossa molto forte dal punto di vista morale e credo che il mio
anarchismo parta da li', mi pare che sia quello il punto di partenza.
Comunque e' molto, molto difficile dare delle precedenze, perche' tutto
riportava a quello: l'atmosfera famigliare, l'educazione, il fatto che non
mi si dicesse mai "Ubbidisci!", ma che mi si dessero consigli a pensarci
bene: "Decidi tu, ma prima considera questo, quest'altro e quell'altro".
Quindi finivo regolarmente con il lasciarmi convincere.
*
- Cristina Valenti: Tutti noi conosciamo tuo padre ma non tua madre.
Condivideva anch'essa le idee anarchiche?
- Luce Fabbri: Non del tutto. Non e' mai stata completamente convinta, forse
era un po' piu' scettica, tendeva a pensare che la perfezione non e' di
questo mondo e che le illusioni erano molte. Non interveniva spesso pero'
aiutava mio padre. L'ha sempre aiutato nella spedizione dei giornali, gli
era molto vicina ma sempre con un certo scetticismo. Ricordo anche quel che
mi raccontava mio padre, del periodo in cui non sono stata in famiglia,
quando ci fu la Settimana Rossa; mio padre mi raccontava che se gli capitava
di addormentarsi, la mamma lo svegliava raccomandandogli: "Guarda, scendi in
piazza perche' la' e' il tuo dovere". Quindi l'ha sempre appoggiato, non
l'ha mai trattenuto, anche se cio' poteva danneggiare la quiete e gli
interessi famigliari. Pero' non sempre, non in certi casi. Ricordo ad
esempio quando Malatesta gli propose di lasciare l'insegnamento per andare a
lavorare ad "Umanita' Nova" e mia madre gli disse di non farlo. Malatesta ci
penso' su un po' e poi disse "Tua moglie ha ragione".
*
- Cristina Valenti: Comunque non ha mai creato problemi il fatto che tua
mamma non fosse militante?
- Luce Fabbri: Mai, mai. Non solo, ma l'ha sempre aiutato. Le spedizioni di
tutte le pubblicazioni di mio padre le ha sempre fatte lei. Poi gli teneva i
registri della scuola e scriveva i titoli delle pagelle, perche' anche lei
aveva studiato e aveva una bella calligrafia gotica. Tutte le pratiche
burocratiche inerenti alla sua professione di maestro le svolgeva la mamma,
permettendogli in tal modo di fare le altre cose. Babbo si alzava alle
quattro del mattino e cominciava a scrivere degli articoli, poi alle otto
usciva per andare a scuola. La mamma e' stata davvero una grande
collaboratrice e si e' avvicinata sempre piu' alle nostre idee. Dopo la
morte del babbo ci e' stata ancora piu' vicino e negli ultimi tempi era
assolutamente con me, anche se non ha mai detto di essere anarchica.
*
- Cristina Valenti: Lei non lavorava?
- Luce Fabbri: No. Ha lavorato fino a prima di sposarsi, dava lezioni di
ricamo in seta ed oro, di fiori artificiali. Aveva una certa tendenza
artistica. Mi ricordo che aveva fatto un Giordano Bruno in pirografia, su un
panno che stava sul letto matrimoniale: invece del santo c'era Giordano
Bruno.
*
- Cristina Valenti: Quindi il tuo modello famigliare e' stato piu' tuo padre
che non tua madre?
- Luce Fabbri: No, tutti e due! Perche' libertari lo erano entrambi:
l'educazione era la stessa. Quello che a mia madre non piaceva era la
violenza, non era molto convinta che l'insurrezione fosse il mezzo piu'
normale per arrivare ad una societa' libera. Ma per il resto credo che
probabilmente sarebbe stata insieme a noi.
*
- Cristina Valenti: Della tua permanenza in Italia fino al '28, prima di
andare in Uruguay, che cosa ricordi? Com'era la situazione, del movimento in
generale e la tua in particolare? Che problemi avevi, che prospettive vedevi
per il futuro?
- Luce Fabbri: Fino al '26 c'e' stato mio padre. Fintanto che ha potuto, e'
uscito "Pensiero e Volonta'" dove ho scritto il mio primo articolo, con lo
pseudonimo di Epicari. Ricordo che lo scrissi in polemica con Malatesta che
aveva affermato che l'anarchia non ha niente a che vedere con la filosofia.
Io, che in quel momento frequentavo l'Universita', mi sono ribellata e ho
voluto dimostrare che l'anarchia era una filosofia. Dopo il 1926 sono
rimasta sola, mio fratello e' andato a lavorare a Roma e io sono rimasta a
Bologna in ambienti socialisti. Ero a casa di un amico socialista turatiano,
Enrico Bassi che rimase sempre a Bologna e che poi mi pare che abbia avuto
un qualche incarico nel comune dopo la liberazione. Gli ho voluto molto
bene, a lui e a tutta la sua famiglia. Per il resto non avevo altri contatti
con il movimento e allora li cercavo nell'ambito studentesco, anche insieme
a Venturini, ma eravamo tutti molto isolati. Ricordo Da Vinchie, un
socialista che m'ha presentato una studentessa antifascista; insieme a lei
avevamo pensato che si dovesse fare qualche cosa, pero' poi non abbiamo
fatto niente. Penso che fosse una situazione generale che riguardava tutti o
quasi tutti in quegli anni. Si era dopo il '26, dopo l'attentato di Zamboni,
c'era veramente un'atmosfera di terrore, a Bologna mi vigilavano anche la
corrispondenza.
*
- Cristina Valenti: E non c'era nessuna forma di coordinamento?
- Luce Fabbri: Nessuna. Assolutamente nessuna. Ricordo che se
all'Universita' qualcuno cominciava a fare un discorso antifascista, fra gli
studenti si faceva il piu' assoluto silenzio, perche' lo consideravano un
provocatore. Pensavano che fosse una spia in cerca di informazioni, quindi
se qualcuno iniziava a parlare contro il fascismo, tutti gli altri zitti. Mi
ricordo anche che una mattina abbiamo trovato il ritratto del Duce con sopra
delle scritte offensive, cose del genere. Pero' quando ho discusso la tesi
di laurea, ho scoperto che c'erano anche degli antifascisti; non erano
compagni anarchici, probabilmente erano comunisti o giellisti, ci siamo
conosciuti quella sera. Allora era preside della facolta' di lettere Ducati,
che fu poi fucilato dopo la Liberazione. Mi ha addirittura dato la mano
davanti al pubblico, perche' lui era fatto cosi'. Non so se anche oggi la
seduta di laurea si svolga in quel modo, ma allora era terrificante perche'
ci si sedeva in un tavolino un po' piu' piccolo, poi c'erano undici
professori disposti a ferro di cavallo e dietro il pubblico. Mi tremavano le
gambe, mi tremava perfino la mandibola. Ma poi, quando Ducati ha fatto quel
gesto e io gli ho risposto, si e' stabilita una tensione come di lotta
politica, e questo mi ha fatto talmente bene che mi sono tranquillizzata.
Avevo fatto la tesi su Reclus e Ducati m'ha attaccato accusandomi di aver
fatto una tesi comunista perche' parlavo della Comune di Parigi, cosicche'
quando ho cominciato a parlare, mi sono messa a spiegare che quella
comunita' non aveva niente a che fare con il comunismo bolscevico. "Basta,
basta, di questo non si parla piu'". Beh, insomma! Allora ho discusso la
tesi e mi ha dato 110. Fra i professori presenti c'era Mondolfo, che e'
stato quasi un secondo padre per me in quei due anni che ero rimasta sola, e
c'era Supino, di storia dell'arte, che m'ha dimostrato, non prima ma dopo,
molta simpatia. Mi hanno raccontato che loro volevano darmi 110 e lode ma
che Ducati si era opposto dicendo: "No, la lode no, questa e' una
comunista". Questa e' la storia. E quando sono tornata a casa era gia' sera
inoltrata, cosi' che m'hanno accompagnata a casa una ventina di studenti. E'
stato allora che ho scoperto che c'erano molti antifascisti fra loro, anche
se non si sapeva. Non lo sapevamo, ma eravamo almeno tre o quattro
antifascisti. Infatti poi ho saputo che il tale era stato in prigione, il
talaltro pure e cosi' via. Comunque quella e' stata una sera di grande
allegria, e il giorno dopo sono partita.
*
Oltre il confine
- Cristina Valenti: Sei partita subito per l'Uruguay?
- Luce Fabbri: No, sono andata a Roma mentre mio padre mi preparava il
passaggio della frontiera. Vi sono rimasta una ventina di giorni, dalla fine
di ottobre fino a meta' novembre circa.
*
- Cristina Valenti: Tuo padre dov'era?
- Luce Fabbri: Era gia' a Parigi. Aveva passato il confine nel 1926 mentre
mia madre era fuoriuscita nel 1927, a piedi e tutti e due clandestinamente.
Tutta la mia famiglia, anche mio fratello, era sulla lista di frontiera,
ossia da arrestare se ci avessero trovato a varcare il confine. Quella lista
poi cadde in mano a "Libera Stampa" che la pubblico'. Mio padre e' passato a
piedi e Maria Rossi Molaschi mi racconto' che l'accompagnarono lei e Cesare
Molaschi fino a un certo punto dove avrebbe dovuto trovarsi un altro
compagno che invece non si presento'. Pertanto dovettero pagare un
contrabbandiere che gli fece strada fino ad un certo tratto, ma poi lo
lascio' proseguire da solo, limitandosi ad indicargli il tragitto. Babbo e'
arrivato con la febbre perche' non aveva mai fatto della montagna.
*
- Cristina Valenti: C'era una buona organizzazione clandestina preposta a
queste cose o era tutto improvvisato?
- Luce Fabbri: No, non era improvvisato. Quando passai da Milano andai a
trovare un cugino di mio padre, un socialista che si chiamava Luigi Fabbri
anche lui, il quale mi disse "Ma ve' che buona organizzazione avete
voialtri, se l'avessimo noi!". Io invece sono passata assieme a Peretti, un
compagno di Bellinzona, che e' riuscito a far espatriare molte compagne
registrandole tutte sul suo passaporto come se fossero sua moglie. Ogni
volta cambiava la fotografia mettendocene un'altra e ci scriveva: Maria
Letteri in Peretti. Si e' presentato in casa di questo mio cugino dicendomi:
"Signorina, sono suo marito". Si e' un po' incoscienti a quell'eta', ma mi
sono divertita moltissimo: avevo vent'anni ed e' stato uno dei giorni piu'
divertenti della mia vita quello del passaggio della frontiera.
*
- Cristina Valenti: Avresti mai detto, varcando la frontiera, che saresti
rimasta tanti anni all'estero? Che prospettive avevi?
- Luce Fabbri: Pensavo di espatriare per andare da mio padre e che poi
saremmo tornati tutti insieme quando fosse caduto il fascismo. Eravamo tutti
convinti che il fascismo sarebbe caduto, insomma non pensavo che sarebbe
durato tanto tempo. Anche a Parigi ho visto che tutti avevano le valigie
pronte per rientrare, compreso l'ex ministro Nitti. Forse era piu' la
speranza che non la riflessione a farci comportare cosi'. Si voleva
ritornare. Era tutto in funzione di quello.
*
- Cristina Valenti: Quando arrivaste in Uruguay vi appoggiaste agli altri
anarchici italiani per risolvere le prime difficolta'?
- Luce Fabbri: Certamente, anche se gli italiani non erano molti come in
Argentina, pero' ce ne erano ed entrammo subito in contatto con loro. Nei
primi tempi siamo stati in casa di Moscallegra. Era un compagno fiorentino
che in realta' si chiamava Aratari ed era molto compromesso nei fatti di
Firenze. Siamo stati un mese a casa sua mentre cercavo casa. Ero io che me
ne occupavo perche' all'Universita' avevo seguito un corso di spagnolo
antico. Era comico perche' tutto lo spagnolo che sapevo era quello del
Cantare del Cid del secolo XII.
*
- Cristina Valenti: Una volta arrivata a Montevideo qual e' stata la tua
attivita'?
- Luce Fabbri: Ho cominciato a fare lezioni private di italiano, di latino e
di greco, quindi mi sono presentata a un concorso per l'insegnamento di
storia (perche' per la letteratura ci voleva una conoscenza dello spagnolo
che non avevo ancora), e sono entrata alle secondarie come professoressa di
questa materia. Quando successivamente e' stata istituita la facolta' di
lettere, mi hanno chiamata come lettrice di italiano. Cosi' ho sempre
insegnato. Ho sessant'anni di insegnamento.
*
- Cristina Valenti: Avete trovato problemi di integrazione in questa nuova
societa'?
- Luce Fabbri: No. Era una societa' cordialissima, molto accogliente, di
sentimenti antifascisti. L'atmosfera era quella tipica d'una democrazia
molto avanzata. Ci siamo trovati molto bene. La mamma diceva che a Parigi
non si era trovata molto bene, ma che a Montevideo le sembro' di essere
tornata a Roma. Fu il babbo quello che ha sofferto di piu' perche' gli
mancava la biblioteca e ha patito molto l'esilio, a lui l'Italia e' davvero
mancata molto. Anch'io avevo nostalgia, pero' non quanto lui. Appena
arrivato ha dato qualche lezione privata e poi scriveva ne "La Protesta",
dove curava la pagina in lingua italiana, ha lavorato come giornalista,
faceva delle pubblicazioni. C'era "La Pluma", una rivista importante diretta
da Orsini Bertani, un anarcobagista che gli ha pubblicato vari articoli...
beh, quella e' un'altra storia. Fino al settembre del '30 ha vissuto cosi',
piu' che altro come giornalista. Poi c'e' stato il colpo di Stato di Uriburu
in Argentina e la fonte argentina si e' chiusa per cui ci siamo trovati
piuttosto male. Nel frattempo io facevo qualche traduzione e lezioni
private, lavoravo cosi'. Invece babbo, pur non essendolo, ha esercitato
anche le funzioni di direttore nella scuola italiana di Montevideo, durante
il periodo in cui questa era ancora controllata dalle societa' italiane,
alcune delle quali prettamente antifasciste. Era una scuola indipendente
finche' il fascismo non si impadroni' anche della scuola promettendo quelle
sovvenzioni di cui c'era urgente bisogno. Fu allora che il babbo comincio' a
pensare di andarsene. E quando e' arrivato Parini, che era il capo degli
Italiani all'Estero, lui non si reco' a riceverlo e cosi' ha fatto l'ultima
ed e' rimasto senza una cattedra per la seconda volta. Dopo si e' messo a
vendere libri, a fare il piccolo libraio, andava in giro con la cartella con
i libri, ha fatto ancora un po' di giornalismo mentre io sono entrata nelle
secondarie e mi sono preparata per un concorso. In ogni modo, fino alla sua
morte, la vita e' stata abbastanza penosa. Si stava molto bene invece dal
punto di vista politico, anche se l'Uruguay era un paese molto povero, e'
ancora un paese molto povero. Tutti ci dicevano di andare in Argentina in
quel primo anno, ma poi li' venne la dittatura ed allora c'erano molti
rifugiati argentini nell'Uruguay, Diego Abad de Santillan, per esempio, e'
stato per un certo periodo in Uruguay, e quasi tutti i compagni piu' in
vista dell'Argentina o erano in prigione o stavano in Uruguay.
*
- Cristina Valenti: Che tipo di attivita' politica hai fatto a Montevideo,
dopo il vostro arrivo?
- Luce Fabbri: In un primo periodo frequentavo i sindacati, perche' in
Uruguay era piu' che mai aperta la questione dell'anarcosindacalismo,
l'anarchismo era molto caratterizzato in senso anarcosindacalista, ed era
ben radicato nella organizzazione sindacale. In seguito pero' i sindacati
hanno perso forza e i comunisti si sono impadroniti del movimento, per cui
successivamente i gruppi di affinita' ideologica hanno preso il sopravvento.
Comunque, tanto per fare un esempio, le prime lezioni di spagnolo le abbiamo
prese nel sindacato dei panaderos dove c'era un rifugiato cileno che dava
lezione di spagnolo agli operai. Io accompagnavo il babbo e l'aiutavo nel
lavoro della rivista, ma in effetti mi sono occupata principalmente
dell'aspetto sussistenza famigliare, e cercavo lezioni private. Facevo parte
di un gruppo femminile, poi di un gruppo della gioventu' libertaria formato
soprattutto da studenti, ci riunivamo in un sottoscala. Quando fu indetto
dai comunisti un congresso contro la guerra del Chaco, nacque un po' di
parapiglia ed abbiamo discusso in un modo davvero un po' strano. Anche mio
padre partecipo' a quel congresso, cosi' come dei compagni argentini. Ci
eravamo preparati per parlare sul tema dell'antimilitarismo e invece i
comunisti volevano farne uno strumento contro l'aprismo nel Peru' e il
bagismo nell'Uruguay, cioe' contro i partiti democratico-borghesi. E un po'
anche contro i socialisti, e un po' anche contro gli anarchici. Non hanno
potuto impedirci di partecipare, pero' erano quasi tutti comunisti, due
trotzkisti e una trentina d'anarchici. C'era Simon Radowitzky, non so se lo
conoscete, aveva compiuto un attentato contro Falcon e aveva fatto venti
anni di Guaire, un tremendo bagno penale dell'Argentina, poi era stato
liberato, graziato e s'era rifugiato in Uruguay. Un amico, un amico caro e'
stato. C'era anche lui a questo congresso, l'hanno molto adulato, l'hanno
messo su un palco, lo volevano nominare non so che cosa del congresso ma lui
si e' rifiutato. Infine ce ne siamo andati via perche' non ci lasciavano
parlare, ci siamo ritirati in massa e si e' ritirato anche lui, ma la cosa
piu' bella e' che si sono allontanati anche moltissimi studenti, che erano
comunisti ma che hanno preferito andarsene insieme a noi. Fu per noi un
importante momento di propaganda quel congresso antimilitarista. Bene, per
tornare alla tua domanda, che come vedi non ha avuto una risposta filata,
cercavo di guadagnarmi la vita e quando potevo partecipavo all'attivita' di
questo gruppo giovanile e nel comitato contro la dittatura in America, che
era stato formato dagli argentini arrivati nell'Uruguay dopo l'avvento della
dittatura di Uriburu. Sempre insieme a babbo, finche' c'e' stato babbo...
*
- Cristina Valenti: Il gruppo femminile di cui dicevi era un gruppo
anarchico? Ricordi in particolare delle personalita' di rilievo?
- Luce Fabbri: Era un gruppo anarchico ed era formato da persone modeste,
una mi e' ancora molto amica, vive tuttora in Argentina col figlio. A un
certo punto fu arrestata ed ha passato dei brutti momenti, il padre era
militante. Comunque non c'erano personalita' di gran rilievo, si faceva la
solita attivita' e si e' dato vita ad alcune iniziative per raccogliere del
denaro a favore del comitato per le vittime politiche. A proposito, questo
comitato in Uruguay non si sarebbe mai chiamato "per le vittime politiche",
perche' la parola politica era un termine proscritto nel Sud America: noi
non appartenevamo al campo politico, il nostro era il campo sociale.
*
- Cristina Valenti: Affrontavate delle tematiche specifiche da un punto di
vista femminile, all'interno del pensiero anarchico?
- Luce Fabbri: Allora no. Non so perche' ci fosse proprio questo gruppo
femminile, comunque in massima parte si occupava dei detenuti politici, dei
carcerati. Io mi ci avvicinai perche' ne facevano parte le figlie di un
compagno che conoscemmo il giorno stesso in cui siamo sbarcati. In un certo
senso fu un po' un fatto di circostanza. Sicuramente comunque non aveva
alcuna connotazione femminista e a dire il vero io non ho avuto contatti con
il femminismo se non in questi ultimi tempi.
*
Fora, Foru ecc.
- Cristina Valenti: Quindi all'interno del movimento anarchico
dell'emigrazione avevate rapporti con svariate situazioni. Era variegato
questo movimento?
- Luce Fabbri: Si', e mio padre ha rappresentato una funzione
particolarissima di pacificatore, quando e' arrivato, perche' esistevano
parecchie divisioni. Da una parte stavano gli anarco-sindacalisti che
sostenevano che al di fuori del sindacato non c'era nessuna possibilita' di
lotta, che i gruppi anarchici non avevano ragione d'esistere e che bisognava
organizzarsi solo all'interno dei sindacati perche' se non si era dei
lavoratori era inutile impicciarsi. Dall'altra parte c'erano i sostenitori
della necessita' del gruppo ideologico, specifico, che non fosse orientato
solo verso la lotta sindacale. Questo era uno dei motivi di dissenso.
L'altro motivo, molto piu' radicale, anche se quando siamo arrivati noi si
era gia' un po' attenuato, era l'atteggiamento da tenere nei confronti della
rivoluzione russa. Come dappertutto, inizialmente aveva provocato parecchie
divisioni all'interno del movimento e siccome in Uruguay l'anarchismo aveva
quasi il monopolio del movimento sindacale, aveva diviso il movimento
sindacale. C'era la Foru, la Federacion Obrera Regional Uruguasa, simile
alla Fora argentina, e in contrapposizione ad essa e al suo antibolscevismo,
era stata fondata la Usu, Union Sindical Uruguasa. Questa era entrata a far
parte, mi pare agli inizi del '18, della Terza Internazionale, trascinando
con se' eccellenti militanti. Costoro poi ebbero a ricredersi ed erano
riconfluiti nel movimento anarchico proprio quando arrivammo noi. Credo che
mio padre abbia influito molto su questo riavvicinamento.
*
- Cristina Valenti: Queste divisioni riguardavano tutto il movimento
anarchico o solo quello di lingua spagnola?
- Luce Fabbri: No. Io parlo solo del movimento locale. Il movimento di
lingua italiana allora era composto di poche persone e tutta la sua
attivita' si concentrava nella lotta antifascista. Facevamo riunioni anche a
Buenos Aires perche' li' c'era un gruppo nutrito di anarchici italiani,
mentre a Montevideo eravamo in pochi.
*
- Cristina Valenti: Con gli argentini avevate rapporti costanti?
- Luce Fabbri: Molto frequenti, perche' la sera si prendeva la nave per
andare a Buenos Aires e si arrivava alla mattina. Era quasi come prendere
l'omnibus. Si diceva, "Beh, andiamo a Buenos Aires e torniamo dopodomani".
Dopo il colpo di stato di Uriburu pero' era diventato tutto piu' difficile.
Comunque i compagni dell'Argentina vennero subito a ricevere mio padre.
Ricordo che Santillan e Fontana vennero pochi giorni dopo il nostro arrivo.
Io mi sono avvicinata al locale movimento giovanile fin dal primo momento,
mentre mio padre teneva soprattutto i contatti con gli italiani. Ha preso
subito la casella postale e ha cominciato a pensare sia a "Studi Sociali",
la rivista a cui poi avrebbe dato vita, sia alla pagina italiana de "La
Protesta". Contemporaneamente ha cominciato a prendere contatti con i
compagni del posto che lo venivano a trovare, anche se c'e' voluto del tempo
prima che cominciasse a parlare lo spagnolo. Si facevano delle riunioni, ma
lui si occupava piu' che altro del movimento internazionale, scriveva
continuamente delle lettere mantenendo contatti con il Nord America e con la
Francia. Anche con Malatesta rimase in contatto fino alla fine. Arrivavano
lettere con enormi ritardi, perche' gliele aprivano. Comunque Malatesta
aveva una buona precauzione, infatti il piu' delle volte scriveva: "... la
prossima volta ti parlero' di..." e poi ci metteva qualche cosa di
interessante per la prossima volta cosi' la lettera riusciva ad arrivare.
"... rispondimi su questo che poi io ti diro'...". Era il modo di far
arrivare la lettera, no?
*
- Cristina Valenti: Parliamo ora del colpo di stato di Uriburu nel 1930.
Come si comportarono in quella occasione la Fora e il movimento anarchico
argentino e cosa pensavi che avrebbero dovuto fare gli anarchici?
- Luce Fabbri: E' una cosa che ho gia' detto tante volte. La Fora si e'
sbagliata, secondo me, in modo radicale. Ha ritenuto e ha proclamato che si
trattasse solo di una questione interna alla borghesia, e quindi si
arrangiassero tra di loro. Di conseguenza non ha voluto proclamare lo
sciopero generale contro il colpo di stato, sostenendo che non era diretto
contro di loro ma contro altri settori della borghesia. E cosi' li hanno
potuti arrestare tutti spedendoli al Guaire. E' stato terribile, furono
torturati, la repressione e' stata tremenda. Santillan, che e' sfuggito alla
fucilazione perche' era riuscito a passare in Uruguay per il rotto della
cuffia, aveva fatto di tutto perche' la Fora dichiarasse lo sciopero
generale e, se fosse andata come sosteneva, si sarebbe potuto paralizzare il
porto e forse salvare la situazione. E' stato un errore tremendo, che ha
significato anche la perdita del movimento sindacale da parte
dell'anarchismo. Nonostante la divisione che si era prodotta anche in
Argentina sul problema della rivoluzione russa, gli anarchici controllavano
ancora la maggioranza del movimento sindacale e potevano paralizzare tutta
Buenos Aires. Ci si puo' scorgere una certa somiglianza con quello che e'
successo in Spagna nel '36. Il movimento e' caduto nelle mani della
dittatura cosi'.
*
- Cristina Valenti: Ma c'erano delle discordie interne? C'era forse qualcuno
che avrebbe voluto fare diversamente?
- Luce Fabbri: Si'. Santillan era disperato perche' "La Protesta" appoggiava
la Fora e lui ne era il direttore. "La Protesta" allora era quotidiana, da
molto tempo era quotidiana, loro erano proprio una potenza ma ne' lui ne'
gli altri compagni de "La Protesta" sono riusciti a smuovere la Fora:
"quelli sono solo dei borghesi, a noi che cosa ci puo' importare, il governo
e' sempre quello, e' un governo militare, tanto vale...", e invece, e invece
c'era differenza. Un enorme errore di valutazione, davvero, da cui la Fora
non si e' mai piu' ripresa.
*
- Cristina Valenti: Quanto e' durata la dittatura di Uriburu?
- Luce Fabbri: Beh, non si puo' dire con esattezza, perche' dopo la morte di
Uriburu, quelli che gli sono succeduti ne hanno raccolto l'eredita'. Dopo e'
venuto Justo ed anche lui era un dittatore, anche se meno feroce, in un
certo senso un po' attenuato. Succedeva cosi' allora in Sud America, che le
dittature un po' alla volta si annacquassero. Oggi invece le piu' recenti
dittature militari sono state di tipo fascista, dirette in parte dal Nord
America e sincronizzate fra loro, a differenza di quelle, diciamo cosi',
consuetudinarie. Tra l'altro poi in Uruguay ne abbiamo avuta una sola,
relativamente breve e non di tipo militare. L'Uruguay e' rimasto un paese
democratico, per quasi tutto il secolo ad eccezione di quei dodici terribili
anni di dittatura militare. Invece in Argentina e' stato tutto un
susseguirsi di dittature perche' anche Peron era un dittatore, che formava
una classe di dirigenti peronisti e militari.
*
- Cristina Valenti: Quali furono le ripercussioni in Uruguay?
- Luce Fabbri: C'era una tradizione di reciprocita' fra Uruguay e Argentina
perche' le dittature non erano mai sincronizzate e se c'era un regime
dittatoriale in Argentina, contemporaneamente in Uruguay si stava bene e del
resto bastava attraversare il fiume... Ci furono giornali che iniziarono le
pubblicazioni in Argentina per finire in Uruguay o viceversa, a seconda
delle vicissitudini politiche. In un primo momento quindi, allorche' sono
arrivati gli esuli argentini, il movimento ha ricevuto un grande impulso ma
poi, nel 1933, ci trovammo con una specie di dittatura anche in Uruguay,
perche' il presidente della repubblica non voleva lasciare il potere, e per
continuare a governare ha fatto un colpo di stato. Fu allora che deportarono
in Italia tanti compagni, tra i quali Ugo Fedeli. Anche il padre di quella
mia amica che militava nel gruppo femminile venne deportato. Era nato a
Padova, ma non sapeva quasi una parola d'italiano, essendo venuto quand'era
piccolo, eppure l'hanno rispedito in Italia. Tutto questo e' durato quattro
o cinque anni, poi tutto si e' attenuato. E dopo l'Uruguay e' stato sempre
un paese abbastanza ospitale e libero.
*
- Cristina Valenti: Avete avuto dei problemi con "Studi Sociali" in quel
periodo?
- Luce Fabbri: In quei momenti avevamo pensato di recarci in Messico oppure
in Spagna, perche' queste deportazioni minacciavano anche noi, ma poi e'
passato il periodo piu' acuto e allora siamo rimasti. Problemi seri non ne
abbiamo avuti. In principio si respirava una grande liberta'. Ad esempio,
dopo un anno che eravamo arrivati fummo chiamati dalle autorita' che ci
comunicarono che la legazione italiana (non c'era ancora allora
l'ambasciata) chiedeva continuamente notizie su di noi, cosa facevamo, di
che cosa vivevamo, che cosa scrivessimo, quali fossero le nostre fonti di
sussistenza. E loro chiedevano a noi cosa volevamo che rispondessero alla
legazione, e fosse o non fosse la verita', a loro non interessava
assolutamente. E infatti, quando sono stata all'Eur a vedere l'incartamento
di mio padre, vi trovai delle informazioni esatte, si diceva che eravamo una
famiglia con una condotta di vita regolare e che su di noi non si poteva
dire niente. Ci siamo sentiti un po' minacciati per quello che succedeva
agli altri, pero' a noi non e' successo niente. Gli spagnoli invece furono
riportati in Spagna ma ne furono felici perche' era appena stata dichiarata
la repubblica.
*
La lezione della Spagna
- Cristina Valenti: Parlando della Spagna, cosa pensavi che si sarebbe
dovuto fare con la seconda repubblica? Eri piu' in sintonia con la posizione
possibilista (di Max Nettlau), oppure con quella radicale (di Gigi Damiani),
cioe' che si dovesse lottare anche contro di essa? Cosa dovevano fare gli
anarchici?
- Luce Fabbri: Bisogna inquadrare il momento perche' ho avuto opinioni
differenti in differenti momenti. C'era stato il precedente della
rivoluzione nelle Asturie e in quell'occasione, c'era ancora mio padre, si
aveva l'impressione che i compagni avessero partecipato troppo poco. Perche'
anche se erano stati presenti forse non avevano fatto tutto il possibile,
considerando anche che il movimento era in mano ai socialisti e alla Ugt.
Ricordo che quella era l'impressione di mio padre. Evidentemente, nei primi
tempi, finche' la Repubblica mantenne un carattere popolare, c'era qualcosa
da sostenere, ma quando e' venuta assumendo una connotazione sempre piu'
borghese, allora non si poteva piu' appoggiarla. Ci furono i fatti di Casas
Viejas, in cui il governo di Azana sparo' contro i ribelli sterminandoli, ma
quei ribelli erano dei compagni, di quella stessa razza che, quando ci fu il
golpe di Franco, salvo' la situazione salvando anche la repubblica. Per me
era un atteggiamento inevitabile.
*
- Cristina Valenti: Cosa pensavi allora e cosa pensi oggi della guerra
civile spagnola e della rivoluzione?
- Luce Fabbri: Non credo di aver modificato il criterio. Penso che siano
stati commessi molti errori, alcuni dei quali quasi inevitabili date le
circostanze, ma oggi sono arrivata alla conclusione, e in questo, si', forse
sono cambiata un pochino, che valeva comunque la pena provare. Avendo la
piena consapevolezza che e' una prova, si possono fare cose che possono
portare a dei miglioramenti in senso anarchico anche se non corrispondono
fino al millimetro al modello. Con la coscienza che e' una prova e
conservando bene l'intelaiatura di quello che si vuol fare. Quindi anche nel
giudicare i fatti di quell'epoca sono portata ad una certa flessibilita'.
*
- Cristina Valenti: In che senso questa flessibilita' di oggi e' diversa
dall'atteggiamento di allora?
- Luce Fabbri: Allora tutto, naturalmente, appariva piu' grave. Ci sono
stati momenti tremendi durante la guerra civile, problemi di coscienza
vissuti in prima persona da quelli che erano sul posto, ma che comunque
tutti sentivamo. Quando gli anarchici sono andati al governo, fu senz'altro
un atto di assoluta incoerenza, pero' era in pericolo la vita di migliaia,
migliaia e migliaia di militanti, e quindi bisognava trovare una soluzione.
Forse fu necessario lasciare una strada aperta perche' potessero salvarsi,
comunque erano cose che appartenevano a quei momenti, cose difficili da
dire. Al proposito scrissi anche un breve testo che fu poi pubblicato in
opuscolo da Giovanna Berneri e da Cesare Zaccaria insieme ad un articolo di
Santillan. Magari si dice "e' stato un errore!", pero' sono errori che a
volte, nel pieno della lotta, si commettono: a un tratto ti trovi a dover
decidere e il tutto mentre sei pressato da innumerevoli pericoli. In quei
giorni arrivai a convincermi che quello fosse un errore pressoche'
obbligato, o per lo meno che i compagni che lo commisero non scorgessero
nessun'altra strada per uscire da quella situazione.
*
- Cristina Valenti: E cosa puoi dire a proposito della militarizzazione
delle milizie volontarie, cioe' del fatto che gli anarchici accettarono che
queste si trasformassero in esercito regolare?
- Luce Fabbri: Quello forse e' stato un errore maggiore, perche' ha prodotto
conseguenze molto, molto gravi. Ha compromesso non solo la rivoluzione ma
addirittura anche la guerra. Del resto compresi che si convinsero ad operare
quella scelta temendo, in caso contrario, di perdere la guerra e in ogni
modo ci si sarebbe dovuti trovare sul posto per avere tutti gli elementi in
mano. Resta il fatto che quello della militarizzazione fu forse l'errore
piu' grosso compiuto dai nostri compagni, maggiore ancora dell'andata al
governo. Sono convinta che andare al governo sia stato uno sbaglio
completamente negativo, pero' molto difficile da evitare. E che implicava la
responsabilita' della morte di tanti compagni, una responsabilita' ben
difficile da prendersi. E' piu' lieve la responsabilita' della incoerenza,
capisci. A me dissero, allora, che quella decisione fu presa soprattutto
perche' c'erano molti compagni, nel Levante, che sarebbero rimasti in mano
ai comunisti, oppure, in caso di sconfitta, che sarebbero caduti nelle mani
di Franco.
*
- Cristina Valenti: Pur stando in Sud America, nonostante le distanze, vi
rendevate conto dell'importanza della guerra e della rivoluzione spagnola,
comprendevate che si trattava della rivoluzione anarchica?
- Luce Fabbri: Si', certo. Quello fu il momento in cui l'anarchismo si e'
realizzato, almeno in parte, e in cui si dimostro' che era possibile, che
era realizzabile. E lo ha dimostrato per davvero. Noi comunque eravamo molto
vicini perche' ricevevamo tutta la stampa spagnola, dal bollettino della Cnt
che era quotidiano, a praticamente tutta la stampa di Valencia. Inoltre,
dato che allora pubblicavo "Studi Sociali", ricevevo in cambio la stampa
italiana dell'emigrazione, come "Giustizia e Liberta'", "Il Bisogno del
Popolo" dei comunisti, "l'Avanti", "La Battaglia" del Poum. Tutto questo mi
permetteva di capire in che modo le varie tendenze giudicassero gli
avvenimenti, fornendomi inoltre una quantita' di notizie che non si
sarebbero potute trovare sulla grande stampa. Preziosissime erano le
corrispondenze dell'"Avanti" dalla Spagna e, soprattutto la lettura di
"Giustizia e Liberta'". Ricordo Magrini, ad esempio, che si era recato in
Spagna, e pur non essendo anarchico, mi mandava dei resoconti con una
enormita' di notizie. Eravamo davvero molto informati, si viveva per la
guerra di Spagna, non si pensava ad altro e non si faceva altro che cercare
aiuti per i compagni spagnoli, si andava in giro a raccogliere dei
medicinali, e poi si scriveva, si scriveva molto sulla Spagna. Stampammo
anche un giornaletto e io compilai un'antologia sulla rivoluzione spagnola,
ormai introvabile, comprendente il bollettino della Cnt-Fai con tutti gli
episodi di prima del '36. Cercavamo di intervenire sull'opinione pubblica
per evitare che fosse troppo influenzata dai cronisti borghesi.
*
- Cristina Valenti: Quando comincia ad allentarsi la tensione
rivoluzionaria? Dopo i fatti di maggio?
- Luce Fabbri: Dopo i fatti di maggio. Dopo i fatti di maggio fu tutta
un'altra cosa, si ebbe quasi la consapevolezza che era finita. Ci fu un
tremendo scoraggiamento, che prese tutti i compagni, indistintamente.
Naturalmente si continuava a dire "Bisogna vincere la guerra, bisogna che la
rivoluzione trionfi, bisogna salvare la rivoluzione", pero' si capiva che
era tutto molto piu' difficile.
*
- Cristina Valenti: Come fu vissuta la morte di Berneri?
- Luce Fabbri: Beh, io in un modo molto speciale perche' ero amica di
Berneri e ho sofferto come non avrebbero potuto i compagni uruguayani, anche
se, naturalmente, colpi' molto anche loro. Tra l'altro nello stesso giorno
in cui uccisero Berneri, fu assassinato Ducro', un uruguayano partito
volontario per la Spagna: le modalita' furono quasi identiche, fu fermato
per la strada e fu interrogato, e quando disse di appartenere alla Cnt
l'hanno freddato. Era un bravo compagno e in Uruguay lo sentirono molto
vicino, con ragione. Quasi contemporaneamente, poi, mori' anche Battistelli.
Cadde al fronte, ma fu quasi un suicidio. La morte di Berneri l'aveva
davvero scosso e allora ando' in prima linea solamente con un frustino,
disarmato, voleva morire. Sono convinta che la disperazione abbia preso
anche lui perche' la morte di Berneri significava una frattura talmente
grande nel campo antifascista da rendere tutto molto difficile. Battistelli
non era un nostro compagno, pero' ci era molto, molto vicino e ho dei cari
ricordi di lui. Quando usci' il mio libro di poesie Canti dell'attesa, si
commosse perche' c'era una poesia su Molinella, e allora lui mi mando' una
poesia su Bologna, in cui la vede "con fermo ardore", mi ricordo questo
verso.
*
- Cristina Valenti: Ci furono ripercussioni in Uruguay e in Argentina, dopo
i fatti del maggio 1937?
- Luce Fabbri: Non tanto per la morte di Berneri in particolare, quanto
piuttosto per i fatti di maggio in generale. Come ti ho detto, sentivamo la
morte di Berneri come qualche cosa di particolarmente doloroso, ma va tutto
inquadrato in un quadro piu' generale, mori' Ducro' e anche se adesso non li
ricordo tutti, morirono anche parecchi altri, come Barbieri ad esempio.
*
- Cristina Valenti: Come vivesti quelle giornate? Ti lasciasti vincere dal
pessimismo oppure mantenesti delle aspettative?
- Luce Fabbri: Beh, fino al '38 ho continuato a sperare, ma solo fino al
'38. Dopo ormai si capiva che sarebbe finita cosi'. E si intravedeva anche
che la sconfitta della rivoluzione spagnola avrebbe significato la seconda
guerra mondiale. E quando Franco trionfo' e fu la sconfitta della
rivoluzione spagnola, fu davvero la disperazione. C'era una compagna
argentina di origine galiziana che stava con me; andavamo a piangere nella
vigna, era estate a Montevideo, e abbiamo pianto tanto. Per me quello e'
stato il momento piu' intenso della mia vita di militante, sono stati
proprio gli anni della rivoluzione spagnola.
(Parte prima - Segue)

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 44 del 29 dicembre 2005

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