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La nonviolenza e' in cammino. 1156
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1156
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 26 Dec 2005 00:41:17 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1156 del 26 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Milli, Giovanni e Giacomo Alessandroni: Ci abboniamo ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. Alessandro Pizzi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 3. Sulla via della nonviolenza 4. Antonio Mazzei: Torture, forze armate e polizia 5. Anna Maria Civico: Per un teatro di presenza. Tra me e te in un equilibrio in continuo mutamento... 6. Mario Tronti presenta "Vita di Tocqueville" di Umberto Coldagelli 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO: MILLI, GIOVANNI E GIACOMO ALESSANDRONI: CI ABBONIAMO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Milli e Giacomo Alessandroni - e con loro Giovanni, che e' forse un po' troppo giovane per aver posto mano alla scrittura di questa lettera (per contatti: g.alessandroni at peacelink.it) per questo intervento. Giacomo Alessandroni, amico della nonviolenza, ingegnere, docente, da sempre impegnato in iniziative di pace e di solidarieta', collaboratore di Peacelink, del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo e di altre esperienze nonviolente, e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario] Ci riabboniamo ad "Azione nonviolenta" perche': 1. E' un bel periodico, parla con coscienza e spirito critico di temi che spesso restano nell'ombra, dunque merita d'esser letto. 2. (Pubblicita' palese) l'abbonamento puo' essere sottoscritto assieme ad altre riviste tra le quali segnaliamo "Adista" ed "Altreconomia". "Adista" e' un'agenzia di stampa di temi sociali e religiosi, "Altreconomia" racconta un'economia diversa, sostenibile come ci piace sognare e sperare vedere camminare con le sue gambe (presto, possibilmente). Entrambi trattano temi spesso dimenticati dalla "grande informazione", seguendo piu' il cuore che il fatturato. 3. Essendo natale dovremmo essere tutti piu' buoni, questo evento rappresenta una congiuntura astrale favorevole per farsi del bene. 4. Concludiamo qua - non ci piacciono i decaloghi, sanno di minestra riscaldata - ringraziando chi ci ha chiesto questo intervento lo scorso anno, "obbligandoci" cosi' a fare questa bella conoscenza. 2. STRUMENTI DI LAVORO. ALESSANDRO PIZZI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi at virgilio.it) per questo intervento. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna)] Mi abbono ad "Azione nonviolenta" (abbonamento cumulativo con "Gaia") per il piacere di ricevere la rivista fondata da Aldo Capitini. Mi abbono per avere spunti di riflessione che mi orientano nella professione docente e nell'azione sociale e politica di tutti i giorni. Riflessione che considero importante proprio nel momento in cui vedo fiorire molte iniziative per la pace, compresa l'istituzione di assessorati alla pace in vari enti locali, lodevoli, certo, ma che, spesso, mi sembra non incidano sugli stili di vita dei cittadini e dei protagonisti delle iniziative stesse e su un radicale cambiamento delle coscienze indispensabili per la crescita di una cultura nonviolenta di pace. 3. STRUMENTI DI LAVORO. SULLA VIA DELLA NONVIOLENZA "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 4. RIFLESSIONE. ANTONIO MAZZEI: TORTURE, FORZE ARMATE E POLIZIA [Ringraziamo Antonio Mazzei (per contatti: a.mazzei at libero.it) per questo intervento. Antonio Mazzei, rigorosissimo studioso ed autorevole esperto delle istituzioni militari e di polizia, e' nato a Taranto il 27 marzo 1961; laureatosi nel 1985 in Storia all'Universita' di Bologna, e nel 1992 in Scienze Politiche sempre all'Universita' di Bologna, nello stesso anno entra nell'Amministrazione civile dell'Interno, attualmente servizio presso la prefettura di Verona nell'area V (Diritti civili, Cittadinanza, Condizione giuridica dello straniero, Immigrazione e Diritto d'asilo); giornalista pubblicista dal 1991, collabora al settimanale "Verona fedele" e a diverse testate e riviste specialistiche quali "Nuova Rassegna", "Rivista giuridica di Polizia", "Il vigile urbano"; e' tra i fondatori, nel 1987, del "Centro nazionale di studi e ricerche sulla Polizia" di Brescia; ricopre attualmente l'incarico di coordinatore Cisl-Fps-Ministero dell'Interno per la provincia di Verona. Attualmente sta lavorando ad un progetto riguardante la redazione di una Carta dei servizi per le forze dell'ordine italiane. Tra le opere di Antonio Mazzei: (con Maurizio Marinelli), Polizia nuova domani, Edizioni del Moretto, Brescia 1986; (con Maurizio Marinelli), Temi e problemi della Polizia. Orientamenti bibliografici 1970-1986, Comitato promotore del Centro studi sulla Polizia, Brescia 1987; (con Maurizio Marinelli, Antonio Sannino, Roberto Sgalla), Siulp: oltre il sindacato. L'impegno del lavoratore della Polizia di Stato, Comitato promotore del Centro studi sulla Polizia, Brescia 1987; AA. VV., Bibliografia italiana di storia e studi militari. 1960-1984, Angeli, Milano 1987; (con Maurizio Marinelli), Temi e problemi della Polizia. Orientamenti bibliografici 1967-1987, Centro nazionale di studi e ricerche sulla Polizia, Brescia 1988; La polizia ambientale, Centro Editoriale Giuridico, Verona 1989; (con Pasquale Marchetto), Cittadini e polizia. Rapporti tra "consumatori" e "fornitori" di sicurezza (supplemento al n. 11/2002 del periodico "PM"); (con Pasquale Marchetto), Pagine di storia della Polizia italiana, Neos Edizioni, Torino 2004] Annemette Hommel e' il nome di una donna, capitano della riserva dell'Esercito danese, che ha confessato di aver commesso abusi, insieme a quattro sergenti, su alcuni prigionieri iracheni in un accampamento militare vicino a Bassora. I maltrattamenti, fisici e verbali, sono avvenuti a marzo, ad aprile e a giugno del 2004, a dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, di un "vizio" antico, che non conosce tempi e latitudini, sesso e divise. Poliziotte o militari, quello delle torture e' un problema attuale, che ci offre l'occasione per parlare di come il nostro Paese, di fronte all'alternativa "umano/disumano", imponga al personale delle Forze armate e di polizia di scegliere sempre il primo termine di questa dicotomia inconciliabile. * La protezione dei diritti dell'uomo La tutela della personalita' del singolo ed il suo diritto alla libera autodeterminazione nell'ambito della collettivita' hanno trovato un chiaro riconoscimento con il progresso civile e politico delle Nazioni. Le principali tappe di questa progressiva affermazione delle fondamentali liberta' dell'individuo si identificano con: a) la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, scaturita nel 1789 dalla Rivoluzione francese; b) l'affermazione solenne, da parte del presidente americano Franklin D. Roosevelt nel l941, delle quattro liberta' fondamentali, individuate nelle liberta' dal bisogno e dalla paura e nelle liberta' di religione e di stampa; c) la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata con la risoluzione n. 217 del 10 ottobre 1948 dall'Assemblea generale dell'Onu e primo esempio di indicazione specifica ed organica dei diritti individuali meritevoli di tutela; d) la Convenzione europea di Roma del 4 novembre 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, entrata in vigore il 3 settembre 1953. L'Italia, con la legge 881/1979 ha ratificato i patti di New York del 16 e 19 dicembre 1966 (patti con i quali e' stata data concreta attuazione alla Dichiarazione del 1948), mentre con la legge 848 del 4 agosto 1955 aveva ratificato la Convenzione europea la quale, diversamente dalla Dichiarazione, presenta delle disposizioni a tal punto vincolanti che nel 1993 prima la Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 12 gennaio (depositata il 19 dello stesso mese) e, in seguito, la Cassazione con la sentenza n. 2194 del 10 luglio 1993 (meglio conosciuta come sentenza Medrano, dal nome dell'imputato) avevano riconosciuto l'immediata applicazione delle norme in essa contenuta e la loro "particolare forza di resistenza rispetto alla normativa ordinaria successiva". A distanza di alcuni anni il nostro Paese, con la legge 7/1989, ha provveduto a ratificare la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987, e la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata a New York il 10 dicembre 1984 (legge 498 del 3 novembre 1988). L'art. 1 di questa Convenzione recita testualmente: "Ai fini della presente Convenzione, il termine tortura indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o e' sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate. Tale articolo non reca pregiudizio a qualsiasi strumento internazionale od a qualsiasi legge nazionale che contenga o possa contenere disposizioni di piu' vasta portata". Il successivo art. 2, nel lasciare ai singoli Stati l'adozione delle misure atte ad impedire che vengano inflitte sofferenze fisiche, afferma che nessuna circostanza, sia che si tratti "di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilita' politica interna o di qualsiasi altro stato di eccezione" puo' essere invocata per giustificare la tortura e neppure puo' essere invocato "l'ordine di un superiore o di un'altra autorita' pubblica". * La normativa italiana Le disposizioni previste in questi due articoli trovano ampio risalto nella normativa italiana, peraltro antecedente a buona parte dei provvedimenti internazionali, dalla citata Dichiarazione del 10 dicembre 1948 alla legge 257/1993 che ha ratificato il protocollo n. 9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sottoscritto a Roma il 6 novembre 1990. In effetti, la nostra Costituzione, approvata dall'Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il primo gennaio 1948, "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo" (art. 2). Il terzo comma dell'art. 13, poi, punisce "ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta'", mentre il successivo art. 27, al secondo comma, afferma che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'". Il codice penale approvato con regio decreto del 19 ottobre 1930, inoltre, puniva - e punisce ancora oggi - le lesioni personali (art. 582), prevedendo pure che "se un fatto costituente reato e' commesso per ordine dell'autorita'", del reato rispondono sia il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine, sia l'esecutore dell'ordine stesso "salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo" (art. 51, commi 2 e 3). In questo caso, pertanto, l'esecutore di eventuali lesioni non va esente da pena, trattandosi di un ordine manifestamente criminoso. La sindacabilita' di un ordine del genere era prevista pure dall'art. 40 del codice penale militare di pace, abrogato dall'art. 22 della legge 382/1978. Nel settore delle Forze armate, poi, il limite della manifesta criminosita' trova un preciso appiglio nel regolamento dei disciplina militare, approvato con il d.p.r. 45 del 18 luglio 1986. Il secondo comma dell'art. 25 del regolamento, riprendendo quanto disposto dall'art. 4, ultimo comma, della legge 382, ribadisce che "il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l'ordine e di informare al piu' presto i superiori". Analoghe norme vigono per la Polizia di Stato e per il Corpo di Polizia penitenziaria. L'art. 66, quarto comma, della legge 121/1981, dispone che "l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della Pubblica sicurezza, al quale viene impartito un ordine la cui esecuzione costituisce manifestamente reato, non lo esegue ed informa immediatamente i superiori". L'art. 10 della legge 395 del 15 dicembre 1990, al n. 4, ribadisce, con gli stessi termini, il divieto per il personale della Polizia penitenziaria di dare attuazione ad un ordine che "costituisce manifestamente reato". Non deve infine dimenticarsi che sin dal 16 febbraio 1947 il Viminale, con diverse circolari, ha richiamato l'attenzione "sulla necessita' che il comportamento degli organi di polizia sia ispirato, nel quadro degli ordinamenti democratici dello Stato, al massimo rispetto della dignita' e della persona dei cittadini" (ministeriale 10.37478/13000.A.1/2 del 28 agosto 1954). * La tutela della dignita' umana: dalla teoria alla prassi Da quanto precede e soprattutto dalla lettura dei trattati internazionali, emergono alcuni principi fondamentali in materia di tutela dei diritti umani. Il primo concerne il divieto della tortura in ogni sua forma. Si tratta di una norma di diritto consuetudinario, cosi' come sostenuto dalla Corte d'appello di New York nel caso Filartiga. Joelito Filartiga, figlio diciassettenne di Joel, medico nel Paraguay del generale Alfredo Stroessner, venne torturato sino alla morte dall'ispettore di polizia Americo Pena-Irala. Questi, recatosi negli Stati Uniti nel 1978, due anni dopo l'assassinio di Filartiga, venne arrestato dall'I&NS (Immigration and Naturalization Service, la polizia federale creata il 27 marzo 1891 con il compito di vigilare sugli stranieri presenti sul suolo americano e far rispettare tutte le norme in materia di immigrazione e cittadinanza) con l'accusa di essere rimasto negli Usa oltre i tre mesi consentiti dal visto. Il processo, iniziato nel 1978, si concluse nel 1983 con la vittoria della sorella e del padre di Joelito, stabilitisi dal 1979 a Washington dove avevano chiesto asilo politico. Nel frattempo, il provvedimento di espulsione era stato annullato dai tribunali statunitensi e cio' aveva consentito l'espatrio di Pena-Irala, condannato comunque, il 13 maggio 1983, a pagare al padre ed alla sorella di Joelito 375.000 dollari. A 54,6 milioni di dollari, invece, un tribunale civile della Florida ha condannato, il 23 luglio 2002, il sessantottenne Jose' Guillermo Garcia ed il sessantaquattrenne Carlos Eugenio Vides Casanova, cittadini statunitensi e, rispettivamente, ex ministro della Difesa ed ex direttore generale della Guardia nacional del Salvador, per le torture subite dal professore universitario Carlos Mauricio, dalla catechista Neris Gonzalez e dal chirurgo Juan Romagoza Arce subito dopo la strage compiuta il 10 dicembre 1981 nel villaggio di El Mozote (dove furono massacrati oltre 800 contadini). In questi due casi, non rileva tanto il "conto" che i giudici hanno presentato all'ispettore paraguaiano ed ai due generali salvadoregni, quanto il fatto che le pronunce emesse abbiano stabilito, sulla base del Torture Victims Protection Act del 1991, che l'intero coacervo dei trattamenti disumani o degradanti forma oggetto di una norma internazionale che la vieta a tutti coloro che rappresentano la sovranita' statale, militari e poliziotti in primo luogo. Inoltre, il tribunale di West Palm Beach, nel riconoscere Garcia e Casanova responsabili per carenza di "effective control in the command responsability" (cioe' per non aver esercitato la responsabilita' di comando sui loro sottoposti, permettendo loro di violare i diritti umani), ha ribadito il cambio di rotta del principio latino "respondeat superior". Questo principio, sino alla Seconda guerra mondiale, era stato interpretato nel senso di ritenere i comandanti di truppe responsabili solo se avevano ordinato la perpetrazione di crimini di guerra (distruzione di beni artistici, maltrattamenti di prigionieri, massacri di civili, etc.). Il processo contro un generale giapponese segno' una svolta in tal senso. Tomoyuki Yamashita era il comandante in capo delle Forze armate nipponiche che occuparono le Filippine tra l'ottobre del 1944 ed il settembre del 1945. Dopo aver appreso dalla radio che il Giappone aveva capitolato, Yamashita continuo' a combattere sino al 2 settembre 1945, giorno in cui si arrese al generale statunitense Jonathan Wainwright. Accusato di aver violato le leggi belliche per non aver controllato "le operazioni dei membri del suo comando, permettendo loro di commettere brutali atrocita' e altri gravi crimini contro il popolo degli Stati Uniti e dei suoi alleati e, in particolare, delle Filippine", Tomoyuki Yamashita venne impiccato il 23 febbraio 1946 per ordine del generale Douglas MacArthur, capo delle Forze alleate in Giappone. Nei vari gradi del processo davanti alla magistratura militare statunitense, risulto' che Yamashita non solo non aveva ordinato i crimini commessi dalla sue truppe, ma ne era stato completamente all'oscuro. Malgrado l'inesistenza di norme e precedenti specifici che prevedessero quel tipo di responsabilita' per i comandanti e benche' il giudice Murphy della Corte suprema degli Stati Uniti avesse espresso il suo netto dissenso, Yamashita venne condannato a morte per un fatto che, al momento della sua commissione, non era vietato. Dall'impiccagione di Yamashita sorse dunque la nuova norma internazionale, ripresa, fra l'altro, nei codici penali militari della Gran Bretagna del 1958, di Israele del 1963 e degli Stati Uniti del 1976, in base alla quale la responsabilita' non e' solo di chi commette un crimine di guerra e di chi lo ordina, ma pure di chi omette di impedirne, prevenirne o punirne la commissione. In pratica, venne sancita la "culpa in vigilando" del superiore che, proprio perche' superiore, non puo' ne' deve ignorare quanto attuato dai sottoposti. E con i sottoposti arriviamo all'ultimo principio, anch'esso nato alla fine del Secondo conflitto mondiale. Sino ad allora aveva dominato il principio dell'obbedienza gerarchica, quella che nel 1961, davanti alla Corte distrettuale di Gerusalemme, Adolf Eichmann aveva definito "Kadavergehorsam", l'obbedienza da cadavere (la quale, si badi bene, non si alimentava solo di automatici fanatismi. Eichmann, infatti, aveva rivendicato pure una piu' impegnativa obbedienza alla legge improntata a quel poco che dei principi dell'etica kantiana aveva afferrato). La ragione di cio' e' chiara: per secoli si era ritenuto che la disciplina e l'ubbidienza fossero necessita' fondamentali di ogni apparato militare o ad ordinamento militare, dall'esercito alla polizia. Le cose cambiarono con i crimini nazisti, che misero in crisi il tautologico "Befehl ist Befehl", un ordine e' un ordine, tanto che gli inglesi prima e gli americani poi modificarono i propri codici militari specificando che la regola "respondeat superior" doveva essere intesa nel senso che, in caso di ordine illegittimo, oltre al superiore, e' responsabile anche l'esecutore dell'ordine. Questo principio venne applicato dagli statunitensi nel caso del tenente William L. Calley il quale, alla testa della Charley Company, una divisione dei Marines, il 16 maggio 1968 penetro' a My Lai, un villaggio del Vietnam del Sud, ed uccise 134 civili. Risaputosi del massacro grazie ad un soldato, Ronald Ridenhour, e ad un giornalista, Seymour M. Hersh, le Forze armate americane decisero di portare davanti alla Corte marziale sia Calley ed alcuni suoi uomini (questi ultimi subito prosciolti), sia il capitano Medina, diretto superiore di Calley. Nel corso del processo, Calley affermo' di aver agito sulla base delle direttive di Medina, che gli avrebbe ordinato di considerare nemici tutti coloro che si trovavano nel villaggio. Medina, invece, affermo' di aver solo detto che colpire donne e bambini era ammissibile se questi avessero attentato, in qualsiasi modo, alle truppe americane. Quale che fosse la verita', sta di fatto che la Corte marziale escluse l'esimente dell'ordine superiore e condanno' Calley all'ergastolo, sentenza poi ridotta in appello a 20 anni di reclusione. * Il "Codice etico per una Polizia democratica" Sulla base dei principi visti sino ad ora, il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa (un organismo - composto da 41 Stati membri - istituito nel 1949, da non confondere con il Consiglio europeo previsto dall'art. 4 del Trattato sull'Unione europea) ha adottato, il 19 settembre 2001, la Raccomandazione REC (2001) intitolata European Code of Police Ethics. Predisposto dal Comitato degli esperti d'etica della Polizia e dei Problemi dell'ordine pubblico (PC-PO), il codice contiene nella prima parte il testo della Raccomandazione e, nella seconda, un commento ai 66 articoli che enunciano le norme fondamentali da applicarsi ai servizi di polizia nelle societa' democratiche governate dai principi dello stato di diritto. Il testo offre un quadro generale - organizzativo e funzionale - per la polizia, divenendo cosi' una guida per i governi nella redazione dei singoli codici deontologici, fonti di responsabilita' disciplinare ed indirizzati a quella parte del pubblico impiego destinata a svolgere compiti di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Nell'European Code of Police Ethics sono presenti diversi riferimenti alla tutela dei diritti umani da parte delle forze dell'ordine, a cominciare dall'art. 1 dove si afferma che "gli scopi principali della polizia in una societa' democratica governata dallo stato di diritto sono... proteggere e rispettare i diritti fondamentali dell'individuo e le liberta', contenuti in particolare nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo". La Convenzione viene poi esplicitamente richiamata negli artt. 29 e 31, mentre l'art. 36 vieta alla polizia di "infliggere, istigare e tollerare atti di tortura e di pena o trattamento inumano o degradante in qualunque circostanza". Nel commento a questo articolo si ricorda che l'art. 3 della Convenzione "sancisce un valore fondamentale delle societa' democratiche" e che "in nessun caso puo' essere ammesso che la polizia infligga, istighi o tolleri forme di tortura". Nel divieto di tortura sono ricomprese sia la sofferenza fisica che quella mentale, mentre per i concetti di pena o trattamento inumani si fa riferimento alla giurisprudenza elaborata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ed ai principi sviluppati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. I successivi articoli 37 e 38 impongono alla polizia di "fare uso della forza solo se strettamente necessario e solo nella misura necessaria per ottenere un obiettivo legittimo" e di verificare sempre "la legalita' delle azioni che intende adottare", mentre l'art. 39 ribadisce il concetto, gia' visto in precedenza, che obbliga il personale delle forze dell'ordine a "non eseguire quegli ordini che siano chiaramente illegali e di farne rapporto, senza timore di qualunque atto di sanzione". * Costituzione europea e codice penale italiano Oltre che nel Codice etico, anche il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa (firmato a Roma il 29 ottobre 2004; il successivo 25 gennaio 2005 la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Trattato) richiama, nell'articolo I-9, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, le cui norme "fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali". Analogo richiamo si ritrova nella presentazione alla proposta di legge (Atto Camera 1483), presentata il 2 agosto 2001, di introduzione del reato di tortura nel codice penale. La proposta, partendo dall'insufficienza delle diverse previsioni dei reati di percosse (art. 581), lesioni personali (art. 582) e minaccia (art. 612) contenute nel codice Rocco, introduce l'art. 593 bis a chiusura del capo I del titolo XII del libro II (concernente i delitti contro la vita e l'incolumita' individuale) disponendo che "il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona, con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o e' sospettata di aver commesso, di intimorirla o di fare pressione su di lei o su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione, e' punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La pena e' aumentata se ne deriva una lesione personale. E' raddoppiata se ne deriva la morte. Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all'impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente". L'art. 2 della proposta di legge vieta al Governo italiano di assicurare l'immunita' diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro Stato o da un tribunale internazionale, mentre l'art. 3 istituisce presso la Presidenza del Consiglio un fondo ed una Commissione per le vittime torturate. Come si vede, la proposta individua nel "pubblico ufficiale" e nell'"incaricato di pubblico servizio" i soggetti in grado di commettere il reato di tortura, venendo in tal modo a comprendere quanti operano nel sistema penale e, per certi aspetti, nelle Forze armate. In effetti, nel commento alla "definizione del raggio d'azione" del citato codice etico, viene specificata la non applicabilita' del codice stesso "ai corpi di polizia militare nell'esercizio delle loro funzioni militari", ai servizi segreti, alla polizia penitenziaria (anzi, l'art. 11 afferma che "la polizia non deve assumere il ruolo di personale penitenziario, ad eccezione dei casi di emergenza") ed alle "aziende private di sicurezza". Ora, tralasciando il problema della qualificazione giuridica delle polizie private (in particolare delle guardie particolari giurate) che, nel nostro Paese, costituisce una delle diatribe "storiche" con numerose pronunce della giurisprudenza amministrativa, civile e penale spesso discordanti tra loro, e' indubbio che la particolare configurazione del nostro modello poliziesco, composto da strutture civili (Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Corpo forestale, Polizie locali) e da strutture militari (Arma dei carabinieri, Guardia di finanza, Capitanerie di porto), e la sempre maggiore partecipazione delle Forze armate italiane (carabinieri e Fiamme gialle incluse) a missioni all'estero, imporrebbero che alla proposta di legge prima vista sull'introduzione, nell'ordinamento italiano, del reato di tortura, si affiancasse una "carta dei servizi" contenente non solo il richiamo ai principi base che devono guidare le Forze armate e di polizia nell'espletamento dei loro compiti, ma pure l'obbligo di formare tutto il personale all'uso della nonviolenza (corsi di questo genere, fra l'altro, sono stati realizzati da Andrea Cozzo, docente all'Universita' di Palermo). Cio' che infatti i francesi (non tutti) chiamano "bavures", sbavature (sono stati 140, nel corso del biennio 2003/2004, gli episodi accertati di maltrattamenti nei confronti dei cittadini fermati dalla Police e dalla Gendarmerie secondo i dati contenuti nel rapporto della Commissione nazionale di deontologia della sicurezza presieduta di Pierre Truche) e gli americani (non tutti) "abuses", abusi (proprio partendo da questo termine Louise Arbour, ex giudice della Corte suprema canadese ed ora alto commissario per i diritti umani dell'Onu, nel corso della sessione annuale tenutasi a Ginevra il 18 marzo 2005 ha denunciato che "fatti molto pubblicizzati hanno dato l'impressione che l'esistenza della proibizione assoluta della tortura sia messa in discussione") non sono un puro affare interno di una singola Nazione o di una singola struttura, ma hanno rilevanza universale. In tale contesto, la condanna della tortura deve essere ribadita in ogni circostanza ed in qualunque modo, giacche' le donne e gli uomini che hanno il preciso compito di tutelare la sovranita' interna ed esterna del proprio Paese si devono muovere, pur nella fermezza, sulla base della difesa dei diritti universali. Il capitano Annemette Hommel lo ha, forse, dimenticato. 5. ESPERIENZE E RIFLESSIONI. ANNA MARIA CIVICO: PER UN TEATRO DI PRESENZA. TRA ME E TE IN UN EQUILIBRIO IN CONTINUO MUTAMENTO... [Ringraziamo Anna Maria Civico (per contatti: amcivico at hotmail.com) per averci messo a disposizione questo suo testo "... tra me e te in un equilibrio in continuo mutamento... pubbliche riflessioni sul proprio mestiere" diffuso anche in occasione del corso di accostamento alla nonviolenza svoltosi a Narni e Amelia in questi mesi. Anna Maria Civico, calabrese, ha vissuto a Catanzaro, Roma, Malo (Vicenza), Venezia, attualmente vive a Terni; e' attrice, cantante, trainer di canto e di teatro; conduce laboratori di teatro nella natura, drammaturgia per un teatro ecocompatibile, laboratori di canto, laboratori di teatro; molte utili informazioni su di lei sono nel suo sito: www.mediarama.it/annamaria/ - ma queste minime informazioni non bastano certo a rendere l'incanto del suo recitare, del canto suo, della sua viva presenza: colta ricercatrice delle tradizioni popolari e sperimentatrice inesausta di forme espressive, dolce e mite la sua voce e il suo sguardo guarisce ferite, lenisce dolori, suscita riconoscimento di umanita', costruisce cosi' - respiro per respiro, parola per parola - la pace possibile e necessaria, nell'incontro infinito con l'altra e con l'altro] La mutazione e la crisi in atto del sistema economico e lavorativo nella societa' italiana ed europea ci chiede di formulare, definire ed operare a piu' livelli di cooperazione orizzontale e trasversale e ci orienta verso l'integrazione e trasparenza fra gli ambiti del piu' ampio orizzonte della societa' globale cui apparteniamo. Orizzonte che si definisce man mano che il percorso si alimenta di obiettivi affini, identificando allo stesso tempo i soggetti attuanti. Primo obiettivo comune in questo caso e' la valorizzazione del territorio in chiave culturale e ambientale attingendo a forze e contenuti operanti sia localmente che nel panorama nazionale e internazionale. Convinti che la valorizzazione di un territorio passa attraverso il rapporto dialettico di un senso identitario continuamente arricchito da contaminazioni culturali e strategie d'ampio respiro, e in questo momento storico non puo' che confrontarsi e costruirsi insieme al grande patrimonio storico, creativo e civile che costituisce la forza originale dell'Europa delle diversita'. Come artisti ed operatori culturali nostro obiettivo e' anche quello di ri-orientare, ri-definire e far ri-scoprire la funzione dell'arte per la crescita sociale, economica e culturale ed in particolare per lo sviluppo della persona e dell'umanita'. Crescita e sviluppo che possono contribuire ad orientare e ripensare la crescita economica a vocazione ambientale, turistica e culturale nel rispetto delle forze (associazioni, cooperative, aziende, enti, singole persone) che gia' operano nell'ambito della ricerca e sperimentazione tra codici e ibridazione delle arti e che vanno ri-configurando il proprio sistema produttivo e gestionale, oltretutto investendo in ricerca, tradizione e cultura, nel rispetto e integrazione, oltretutto, degli stimoli creativi generati dalla civilta' contemporanea plurietnica... * Tecniche del teatro di ricerca contemporaneo come contenitore del complesso di elementi necessari a creare il contesto attorno al quale sviluppare tematica e pratiche della ri-conoscenza del corpo. Tecniche che affondano le radici ed ancora si rivolgono a forme tradizionali popolari. L'arte teatrale capace di attuare e disporre di antiche e nuove strategie che qualificano l'espressivita' umana, luogo che accoglie i corpi cercando, proponendola, l'integrazione con l'oikos (da cui ecologia) la casa originaria in cui tutti ci siamo trovati a vivere. In questa prospettiva di integrazione, tra la persona e il proprio corpo e tra individui e ambiente, si pensa che la conoscenza e la ri-appropriazione dell'arte umana per eccellenza, ospite e creatrice di elementi quali la danza, la musica, il canto, la narrazione che si propongono di partire dai corpi, possa aprire il dialogo fra generi e nel genere stesso. Nell'ottica che proprio dal tessuto comunitario stesso possano venire risposte ed elaborazioni nella direzione di una sapiente innovazione di se' affrontate attraverso tecniche le cui funzioni originarie, come un filo turchino che attraversa la storia, non sono sempre e solo state rivolte all'intrattenimento bensi', in primo luogo, ad una strategia precisa di indagine e conoscenza, capace di soffermarsi (attraverso il corpo) sulla funzione del ritmo, della reiterazione, del canto, dell'immaginario, del valore simbolico dell'icona e che fa l'arte e l'artista come strumento e soggetto capace di rapportarsi e di contribuire alla crescita sociale poiche' si rivolge e parte dalla base, dagli individui e dai corpi. In sintesi: l'arte della conoscenza del corpo come linguaggio che sa esprimere la condizione umana... * Il processo artistico e' trasmissione dei saperi, quelli elementari, quelli che ci riconducono al corpo, imparando a leggerlo, a guardarci dentro, e che ci restituisce come valore l'esperienza del quotidiano. Ci restituisce come valore l'esperienza della propria esistenza. La ricerca di una relazione viva con il proprio corpo puo' contribuire ad entrare in contatto con un se' intuitivo capace di interagire con le regole del vivere sociale e condurre a quella qualita' recettiva necessaria alla nascita dell'atto creativo, alla nascita di una capacita' di osservazione di se' e dunque anche di poter guardarsi a distanza, a non identificarsi totalmente, e a esclusivo vantaggio del potere della ragione, nelle condizioni quotidiane. A prendersi il proprio tempo. A riscoprire la vocazione a guardare e ad ascoltare, assieme al gusto di esercitare la funzione di testimone della realta'. Poter guardare alla memoria e alla cultura individuale, al proprio contesto, la propria famiglia, il proprio lavoro come luoghi in cui essere presenti senza esserne fagocitati... Queste sono alcune premesse e obiettivi di progetti culturali. Quello che hanno in comune e' l'urgenza di mettere l'attenzione sui corpi, sul valore di tutte le arti per la crescita dell'individuo e della societa'; mettere l'attenzione sull'idea omologante, trasmessa dai media e dalla cultura, di donna e di uomo che isola e ghettizza le fasce d'eta' condizionandone e stereotipandone l'estetica e la funzione, dando indicazioni per l'uso dei corpi, condizionandolo fortemente sin dalla piu' tenera eta'. Questo condizionamento e' il rischio maggiore, in questo condizionamento si crea l'immagine che ognuno ha di se', che e' pero' indotta e non confrontata alla luce o alla penombra della propria intimita' e sentire che si crea dalla relazione con l'altro... * Ci sono molti modi di fare teatro e dunque di stare davanti agli altri. Cio' di cui in un certo teatro contemporaneo ci si vuole riappropriare con nuova consapevolezza e atteggiamento critico attraverso una prassi teatrale, non sta tanto nel rappresentare qualcosa o qualcuno, quanto piuttosto nel tentare di dare forma, movimento, voce al mondo immaginario che si affaccia e preme sempre nella personalita' di ognuno e che ha come direzione da dentro a fuori. Penso che la nostra "civilta'" si sia occupata abbastanza del parlare e dell'agire per conto degli altri pretendendo di sapere la verita' dell'altro e ahime' di imporla, magari anche al vicino di casa o ad una intera nazione. Penso che in questa epoca cio' di cui piu' soffriamo sia della distanza dal presente e dalla presenza, dunque e' sempre il momento giusto per cui ci si debba accorgere che essere e agire insieme agli altri (partendo dal basso e ancora dai corpi) possa fare, costituire la base della realta' e che la risorsa forse sta tra me e te in un equilibrio in continuo mutamento. 6. LIBRI. MARIO TRONTI PRESENTA "VITA DI TOCQUEVILLE" DI UMBERTO COLDAGELLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 dicembre 2005 riprendiamo questa recensione di Mario Tronti al libro di Umberto Coldagelli, Vita di Tocqueville (1805-1859). La democrazia tra storia e politica, Donzelli, Roma 2005, pp. VIII + 340, euro 24,50. Mario Tronti (Roma, 1931), teorico e militante della sinistra italiana, docente universitario di filosofia, partecipe di rilevanti esperienze di riflessione e di impegno. Tra le opere di Mario Tronti: Operai e capitale, Einaudi, Torino 1971; Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977; Il tempo della politica, Editori Riuniti, Roma 1980; Con le spalle al futuro, Editori Riuniti, Roma 1992; La politica al tramonto, Einaudi, Torino 1998. Umberto Coldagelli e' stato vicesegretario generale della Camera dei deputati; ha concentrato per decenni la sua attivita' di studioso su Tocqueville, di cui ha curato Il viaggio in America (Feltrinelli, Milano 1990), l'edizione degli Scritti, note e discorsi politici 1839-1852 (Bollati Boringhieri, Torino 1994), e l'edizione completa dei Viaggi (Bollati Boringhieri, Torino 1997). Alexis de Tocqueville (Verneuil, 1805 - Cannes, 1859) e' un classico del pensiero politico e uno dei principali teorici della democrazia; tra le sue opere fondamentali sono La democrazia in America (1835-1840), e L'Ancien Regime e la Rivoluzione (1856)] Il pluridecennale lavoro di Umberto Coldagelli sul "suo" autore arriva a un punto conclusivo con questa Vita di Tocqueville (1805-1859), Donzelli, pp. VIII-340, euro 24,50. Un bicentenario della nascita ha avuto questa volta il merito di far rompere gli intelligenti indugi del pigro interprete, letteralmente costringendolo a una resa dei conti finale. La fortuna tardo-novecentesca di Tocqueville sta del resto arrivando anch'essa al suo culmine, con ormai diffusi richiami e rimandi a una vita e a un'opera, che profeticamente anticipava i segni e i mali dell'eta' presente. La verita' e' che il grande aristocratico, coltivando il suo raffinato disprezzo antiborghese, era riuscito a cogliere il destino gia' segnato che inarrestabilmente portava dalla rivoluzione democratica alla societa' di massa. Aveva visto prima quello che i democratici di oggi, gattini ciechi, non riescono a vedere nemmeno dopo. Bisogna fare attenzione al sottotitolo di questo libro, che poi e' il vero titolo: La democrazia tra storia e politica. E' il leit-motiv, il filo conduttore del racconto di una provvidenziale esistenza che nasce in piena eta' napoleonica, si forma nel clima della Restaurazione, incappa nella Rivoluzione di luglio del 1830, attraversa da spettatore i moti del '48, si trova ad essere protagonista politico quando accade il 18 brumaio di Napoleone il piccolo. Nel frattempo, per un fortunoso esempio di serendipity, ha l'opportunita' di compiere una seconda scoperta dell'America, una scoperta intellettuale dei caratteri del nuovo mondo cosi' opposto e nello stesso tempo cosi' destinale rispetto al suo caro vecchio mondo. Lo sguardo sempre sull'Inghilterra, come altro da se' rispetto alla Francia. Il mondo e' al di la' di questi due modelli di sistema politico-istituzionale-sociale. Intorno a tutto questo, Coldagelli dipana una esemplare forma di storia concettualmente narrata. Se il buon filosofo ha a che fare con la fatica del concetto, il buono storico ha a che fare con la fatica del fatto. Ma quando ci si trova di fronte a un autore che pensa gli eventi - e questo e' Tocqueville - allora il compito e' quello di districare l'intreccio tra le idee e le azioni, tra il modo di guardare una realta' che inesorabilmente per suo conto avanza e il modo di intervenire in essa per cercare volta a volta o di correggerne o di rallentarne il corso. Al di la' dell'opera, e' dunque la vita di Tocqueville che ci parla di qualcosa che abbiamo bisogno ancora oggi di ascoltare. Il nostro - si sa - e' un tempo senza interpreti. Gli attori non mancano, ma recitano tutti la stessa parte. La buca del suggeritore ognuno se la porta dietro, nelle cattedre, sui giornali, nei libri, sugli schermi. Solo i classici del passato sono rimasti a interpretare il tempo presente. * Tocqueville, appunto. Coldagelli sceglie un asse centrale di lettura della sua personalita': la compresenza contraddittoria, di due motivi, o motivazioni, che muovono al tempo stesso le ragioni di una vita e di una ricerca. Si chiamano: scienza politica e arte di governo. Ecco: bisogna sapere che non si da' filiazione diretta dall'una all'altra. L'una, non solo puo' vivere, ma vive meglio, senza l'altra, pur essendo, esse, reciprocamente indispensabili. Questo e' quanto aveva ricavato dalla sua diretta esperienza. E in eta' per lui tarda, vista la sua non lunga esistenza, nel 1852, poteva dire ai signori dell'Accademia delle scienze morali e politiche che "fare dei bei libri, perfino sulla politica o su cio' che vi si riferisce, prepara piuttosto male al governo degli uomini e alla conduzione degli affari". E, se a Montesquieu fosse capitato di impegnarsi nella politica attiva, "forse la finezza alquanto sottile della sua mente gli avrebbe fatto mancare spesso quel punto preciso nel quale si decide il successo degli affari" e "invece di diventare il piu' prezioso dei pubblicisti egli sarebbe stato soltanto un ministro piuttosto mediocre". Commenta Coldagelli che, certo, restava l'impegno morale di porre la propria scienza al servizio della societa', ma la sua scienza in quel momento andava ripiegando nello studio delle linee profonde della storia. "I 'grossolani luoghi comuni' che muovevano il mondo d'ora in poi lo riguarderanno come storico; il politico ne era stato sconfitto, avendo avuto la pretesa di combatterli tutti, di schierarsi, come dice Fernand Braudel, comunque contro: contro la chiusura della borghesia e la speranza socialista; contro la repubblica sociale e le pulsioni reazionarie del partito dell'ordine; contro gli operai in rivolta e la dittatura bonapartista. Contro un complesso di fatti e di idee che preparava l'oscuro futuro del mondo che gli altri non riuscivano a scorgere" (pp. 265-66). * Un aristocratico vinto che accetta la propria sconfitta: e' la definizione data da Guizot, che Sainte Beuve si premuro' di mettere in circolazione - dira' Schmitt - come una freccia avvelenata per colpire a morte il celebre storico. Magistrale il breve ritratto che troviamo in Ex captivitate salus. "E' meraviglioso come il suo sguardo penetri la superficie delle rivoluzioni e delle restaurazioni per scorgere il nucleo fatale dell'evoluzione" che spinge innanzi le cose "verso una sempre piu' estesa centralizzazione e democratizzazione". "Non parla di cose nelle quali esistenzialmente non e' coinvolto... Non si asside come il grande Hegel o il saggio Ranke nei panni del buon Dio nel palco reale del teatro del mondo... Il suo sguardo e' mite e chiaro e sempre un poco triste... e non esibisce alcuna rumorosa disperazione". Opportunamente Umberto Coldagelli, ad apertura di libro, ci introduce nel cuore segreto del personaggio, riportando due intensi squarci autobiografici, che solo da giovani, profeti su se stessi, si possono dare. Lettera a Reeve, 22 marzo 1837: "Sono venuto al mondo alla fine di una lunga Rivoluzione che, dopo aver distrutto l'antico stato, non aveva creato nulla di durevole. L'aristocrazia era gia' morta quando cominciai a vivere e la democrazia non esisteva ancora; il mio istinto dunque non poteva spingermi ciecamente ne' verso l'una ne' verso l'altra. Abitavo un paese che nell'arco di quarant'anni aveva tentato di tutto senza arrestarsi definitivamente a niente, dunque non ero affatto facile in fatto di illusioni politiche...". E poi un appunto strettamente privato, databile forse tra il 1839 e il 1840, dove fa il punto sui suoi "istinti fondamentali" e sui suoi "principi seri": "Ho per le istituzioni democratiche un gusto della mente, ma sono aristocratico per istinto, cioe' disprezzo e temo la folla. Amo con passione la liberta', la legalita', il rispetto dei diritti, ma non la democrazia. Questo il fondo dell'anima... La liberta' e' la prima delle mie passioni. Questa e' la verita'". * Il nome di Tocqueville evoca la grande critica liberale della democrazia. Un passaggio ineludibile per il pensiero politico contemporaneo. La Democratie en Amerique, 1835 e 1840, e' stata una geniale anticipazione del Novecento, come secolo democratico e come secolo americano. Secolo americano e russo, secondo la profezia tocquevilliana. In fondo, capitalismo reale e socialismo reale hanno sperimentato due differenti forma di potere del popolo. L'alternativa, l'antagonismo, non e' tra democrazia e autorita', ma tra democrazia e liberta'. La "societa' democratica" coltiva in se' un germe totalitario antipolitico, che puo' salire dal basso come puo' scendere dall'alto. Tocqueville la chiamava aristocraticamente egalite' des conditions. Noi oggi abbiamo altri nomi, per differenti aspetti del problema: massificazione, omogeneizzazione, pensiero unico, populismo, plebiscitarismo. La fonte e' la', La democrazia in America, e in quel libro la', da tornare a rileggere sempre daccapo. E invito a leggere chi non lo ha ancora fatto. Proprio in questi giorni ne e' uscita una nuova edizione italiana, per le sempre piu' interessanti Citta' Aperta Edizioni: due volumi, a cura di Mario Tesini e nuova traduzione di Sara Furlati, al prezzo di 22 euro. * Proseguiva Tocqueville in quella lettera, citata, del '37: "Ero cosi' ben in equilibrio tra il passato e l'avvenire da non sentirmi naturalmente e istintivamente attratto ne' verso l'uno ne' verso l'altro, e non ho affatto avuto bisogno di grandi sforzi per gettare uno sguardo tranquillo dalle due parti". Se la democrazia era il cupo avvenire che avanzava, la rivoluzione era il cupo passato che incombeva. La grande opera della maturita' sara' infatti L'Ancien Regime et la Revolution, che uscira' nel 1856. Coldagelli ha cura di sottolineare l'assoluta originalita' dell'impostazione tocquevilliana, rispetto alla storiografia corrente, sia liberale che democratico-repubblicana. C'era stata una sostanziale continuita' del processo storico, data da quell'accentramento statuale e amministrativo, tipico della vicenda istituzionale francese, che era passato indenne dal prima al dopo della Rivoluzione. E se e' vero che l'altra grande lettura antirivoluzionaria era stata quella di Burke, e' vero anche che qui "la logica burkiana veniva letteralmente rovesciata: non solo la tabula rasa in quanto discontinuita' assoluta non c'era stata, ma cio' che era sopravvissuto dell'Antico regime era proprio l'elemento 'perverso' su cui si erano innestate la violenza e la tirannia rivoluzionarie". * Insomma. Che cos'e' un classico? E' colui che, parlando del suo tempo, ci fa capire il nostro tempo. Per chi sa leggere obliquamente, cioe' con gli occhi del pensiero, questa personalita' dell'Ottocento sembra a volte parlare metaforicamente del nostro Novecento. E allora voglio dire una cosa. Non sono sicuro che questo sia il libro giusto da scrivere al momento giusto a' propos de Tocqueville. Forse il genere biografico non era il piu' adatto, per un uomo di tanto pensare e di cosi' scarso agire. Umberto Coldagelli appartiene a quella costellazione che giornalisti di scarsa fantasia non sanno definire altro che come ex-operaista. Storico formatosi alla scuola di Chabod, e' intellettuale politico di mente acuta, di sensibilita' inquietamente curiosa, di cultura raffinata. Il tema era quello del sottotitolo: la democrazia tra storia e politica, traduzione del motivo tocquevilliano tra scienza della politica e arte del governo. Un testo piu' scarno e incisivo e un affondo piu' polemologico sarebbero state due scelte piu' opportune. Si trattava di decostruire, con una strategia intellettuale di attacco, il significato e la portata di quell'attuale identificazione di democrazia e America, che e' il dato egemonico incontrastato con cui abbiamo a che fare. Tocqueville, a duecento anni dalla nascita, meritava, una nietzcheana "considerazione inattuale", in grado di gettare il sasso, anzi il macigno, nella palude delle idee quotidiane. O e' forse l'editore ad essersi mostrato allergico alla critica politica, quella di spigolo, e di tendenza, di conflitto? Critica politica, non critica della politica. Ce n'e' gia' troppa di questa in giro. E non fa che gonfiare il cerchio dei "grossolani luoghi comuni". Vorrei capire e non riesco ancora a farlo, come si fa a spezzare l'egemonia del pensiero di tutti che si esercita su ognuno. Abbiamo costruito il paradiso delle idee dominanti. Ogni occasione, anche la recensione di un libro, tanto piu' la scrittura di un libro, va colta per tentare disperatamente di riaccendere una battaglia delle idee dalla parte "contro": senza giocare sempre di rimessa rispetto all'offensiva che viene dai pulpiti dei vescovi, dalle cattedre dei neoconservatori, dalla piazza degli animali televisivi, dall'opinione corrente che detta legge, costumi, comportamenti, perfino sentimenti, perfino pensieri. Eppure - diceva Tocqueville - "l'epoca attuale e' triste ma non e' oscura". E aggiungeva: "riesco ad essere tranquillo, ma non certo gaio". 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1156 del 26 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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