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La nonviolenza e' in cammino. 1157
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1157
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 27 Dec 2005 00:07:09 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1157 del 27 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Giuliano Pontara: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. Per la ricerca, il dialogo, l'azione 3. Augusto Cavadi: Auguri 4. Giuliana Sgrena: Un primo passo 5. Una intervista di Gianpiero Landi a Luce Fabbri del 1981 (parte prima) 6. Slavoj Zizek: Tortura. Occhio non vede, cuore non duole 7. Riletture: Albert Camus, Taccuini 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. GIULIANO PONTARA: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Giuliano Pontara (per contatti: giuliano.pontara at philosophy.su.se) per questo intervento. Giuliano Pontara e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia' apparsa in passato sul nostro notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni all' Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita' Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal 1994 al 2004 e' stato coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E' membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di Barcellona 1996). Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. E' stato uno dei primi ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag, Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49. E' autore delle voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa cento titoli) puo' essere letta nel n. 380 di questo foglio] Leggo regolarmente "Azione nonviolenta" da quarant'anni, fin dal primo numero, uscito nel gennaio del 1964, e ho spesso trovato in essa notizie utili e validi spunti di riflessione. Gia' qualche anno prima, Aldo Capitini mi aveva parlato del suo progetto di dare inizio ad una rivista sulla nonviolenza, e in seguito mi racconto' piu' volte di tutto il lavoro che la pubblicazione della rivista richiedeva. Due persone gli diedero un grande aiuto: Pietro Pinna e Luisa Schippa. Senza l'aiuto di queste due persone e, dopo la morte di Aldo Capitini, l'infaticabile lavoro quotidiano di Pietro Pinna, "Azione nonviolenta" oggi non esisterebbe. Poi, grazie all'impegno intelligente di Mao Valpiana e altri la rivista e' ulteriormente cresciuta. A mio vedere essa costituisce oggi in Italia un valido portavoce di una matura cultura della pace; un importante punto di riferimento per chiunque sia interessato a seguire con attenzione le lotte nonviolente in Italia e nel mondo e a riflettere criticamente e costruttivamente, nello spirito capitiniano, sulle difficili vie della pace in un mondo sempre piu' minacciato dalla guerra del terrorismo e dal terrorismo della guerra. 2. STRUMENTI DI LAVORO. PER LA RICERCA, IL DIALOGO, L'AZIONE "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: AUGURI [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti:acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" il 24 dicembre 2005. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Ammettiamolo: con l'arietta che tira, scambiarsi gli auguri sta diventando un problema. Pronunziamo "buon natale"? E rischiamo di fare la figura dei bigotti che danno per scontata, senza la minima esitazione, la condivisione unanime della fede cristiana in una societa' fortunatamente affollata di etero-credenti e di nulla-credenti. Evitiamo ogni accenno al "natale"? E rischiamo di autoemarginarci, artificiosamente ed un po' snobisticamente, da un contesto sociale pullulante di presepi, nenie, alberi addobbati, barbuti e panciuti vecchiotti vestiti di rosso... Forse - in tali ambasce - puo' soccorrerci la rassicurazione di Freud alla signora in cerca di consigli su come comportarsi con i figli: "Stia tranquilla, si rilassi. Tanto sbagliera' in ogni caso". Eppure, nel lungo periodo, si potrebbe tentare - ognuno per la sua parte - di divincolarsi da dilemmi cosi' antipatici. Come insegna la storia, l'accentuazione trionfalistica di una religione (o di una dottrina politica di regime) provoca - per reazione uguale e contraria - una sana voglia di dissacrazione o, per lo meno, di secolarizzazione. Quando invece lo spazio pubblico e' davvero pubblico, le tensioni si allentano: la piazza torna ad essere il luogo in cui ciascuno puo' essere se stesso, senza dover imporre ad altri i propri simboli identitari. E senza temere di venirne privato. Un'utopia immaginare un modello di convivenza civile talmente laica che a dicembre ci si possa scambiare gli auguri di "buon natale" come ad ottobre di "felice conclusione di ramadan"? A ben riflettere e' quanto avviene gia' in altre ricorrenze: non mi pare che, quando ci si augura a vicenda "buon carnevale", si intenda fare professione di neo-paganesimo militante... Tutto questo, pero', implica - come dire? - un ridimensionamento complessivo della tematica dell'appartenenza confessionale. Che a questo raffreddamento dei fervori religiosi possa contribuire il mondo dei laici dovrebbe essere scontato (e dico "dovrebbe" perche' le cronache recenti registrano la diffusione del vezzo di alcuni intellettuali e politici di difendere le ragioni del cattolicesimo da posizioni atee o, per lo meno, agnostiche. Forse per calcoli di bottega, forse per raccattare un surrogato ideologico dell'etica conservatrice in esaurimento). Meno ovvio, ma non meno vero, e' che allo stesso obiettivo possano contribuire anche i cristiani piu' autentici e avvertiti. Essi, infatti, sanno ormai da decenni che la "religione" e' un fatto storico, mondano, culturalmente connotato: dunque qualcosa di ambiguo e, comunque, di diverso dalla "fede". Che e', invece, un atteggiamento personale, interiore, incatalogabile. Un'apertura di credito al mistero della vita, con le sue sorprese entusiasmanti e le sue prove angoscianti; una capacita' di donazione senza l'attesa spasmodica della gratificazione sociale; una serieta', nel costruire mattone dopo mattone la casa comune della giustizia, tale da non sentirsi in obbligo di censurare o camuffare le rare occasioni di allegria, di godimento e di festa. Esegesi biblica e cristologia sistematica vanno sempre piu' scoprendo, con smarrimento per alcuni e con giubilo per altri, che Gesu' il nazareno non ha inteso fondare nessuna "religione", quanto piuttosto testimoniare la sua fede sobria e profonda in un Padre comune che, maternamente, vorrebbe per tutti i suoi figli "il pane e le rose". E che dunque non e' detto che essere "religioso" equivalga ad avere "fede": anzi, come ha ricordato in questi ultimi mesi - a Palermo prima, a Cefalu' dopo - il biblista cattolico p. Alberto Maggi, pare proprio che piu' si e' "religiosi" piu' si e' lontani dal vangelo. Chi ha a cuore la faticosa coltivazione della fede correttamente intesa, non puo' che desiderare un abbassamento dei toni delle prediche e delle luci natalizie. E un piu' preciso e quotidiano e collettivo impegno perche' si riduca la sofferenza, fisica e morale, di miliardi di innocenti. Solo in questo ipotetico clima di pudore, di raccoglimento, di rispetto per le prospettive altrui e di preoccupazione per gli impoveriti della storia, un cristiano potrebbe persino augurare - e sentirsi augurare - "buon natale". 4. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: UN PRIMO PASSO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 dicembre 2005. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005. Nicola Calipari, nato a Reggio Calabria, laureato in giurisprudenza, con una straordinaria e prestigiosa esperienza nelle forze dell'ordine con ruoli di grande responsabilita' nella lotta contro il crimine, da due anni funzionario del Sismi, e' l'eroe che ha salvato la vita a Giuliana Sgrena, come gia' prima alle due Simone; e' stato ucciso il 4 marzo a Baghdad. Opere su Nicola Calipari: AA. VV., Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005] Il corpo di Nicola Calipari si appesantisce sulla mia spalla, non puo' essere, non voglio crederci. Eppure Nicola e' morto. Stavo cominciando a realizzare di essere libera quando il fuoco americano ha ucciso chi mi aveva appena liberata ed e' morto proteggendomi. "Shit!", dicono i soldati americani che si avvicinano e lo sollevano. Rivedo quei soldati, come se fosse adesso. Sono passati dieci mesi, pensavo, speravo, di averli dimenticati. Ma non sara' mai possibile. Tra quei soldati che mi venivano incontro mentre ero distesa, ferita, sul selciato c'era anche Mario Lozano? Forse. La notizia dell'iscrizione di Mario Lozano nel registro degli indagati era attesa - l'avevamo scritto sul "Manifesto" - dopo il rapporto dei periti della magistratura che affermava che i soldati avevano sparato per ucciderci, ma l'accusa di omicidio volontario nei nostri confronti mi provoca comunque un brivido. Le immagini, le sensazioni di quei momenti mi assalgono, mi angosciano, mi terrorizzano. Proprio come la notizia di un nuovo ostaggio mi fa rivivere i momenti del sequestro. Il provvedimento nei confronti di Mario Lozano e' solo un primo passo, ma importante perche' potrebbe aprire la strada a chiarimenti su molti, troppi, punti ancora oscuri della vicenda. Innanzitutto su quante armi avevano sparato. E' stata solo la mitragliatrice di Lozano a crivellare la Toyota su cui viaggiavamo, come ha sostenuto il rapporto della commissione d'inchiesta militare americana, oppure ci sono state altre armi come porta a credere una scheggia (dalla striatura incompatibile con le altre) ritrovata sulla macchina dal nostro perito? Procedere non sara' facile. Il rapporto della commissione militare americana che ha indagato sull'"incidente" ha gia' assolto il comportamento della pattuglia mobile che quella notte era appostata sulla Irish road e ha ribadito, con arroganza, l'impunita' dei militari americani. Ma e' proprio questa impunita' per i crimini commessi dai marine in giro per il mondo, e soprattutto in Iraq, che dobbiamo sconfiggere. La strada che ci troviamo di fronte e' tutta in salita, lo sappiamo: si aprira' un problema di giurisdizione, una serie di rogatorie che rimarranno inevase da parte delle autorita' degli Stati Uniti senza che i nostri governanti alzino un dito, come del resto ha fatto finora il ministro della giustizia Castelli. E ieri l'ambasciatore Usa a Roma ha incontrato Berlusconi, ma non si e' parlato di Calipari, almeno ufficialmente. Ma non possiamo arrenderci. Vogliamo la verita'. Tutta. A volere la verita' sulla morte di Calipari sono i cittadini italiani, le decine di enti locali e associazioni che hanno inviato la loro richiesta al presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Sapere la verita' e' un diritto di tutti e non vuol dire accontentarsi di un capro espiatorio, vittima a sua volta dei meccanismi perversi e criminosi della guerra, che permetta di archiviare il caso Calipari con la buona pace di tutte le ragion di stato. 5. MEMORIA. UNA INTERVISTA DI GIANPIERO LANDI A LUCE FABBRI DEL 1981 (PARTE PRIMA) [Dal sito www.socialismolibertario.it riprendiamo la seguente intervista a Luce Fabbri a cura di Giampiero Landi apparsa su "A rivista anarchica" nel n. 95 dell'ottobre 1981 (sito: www.arivista.org). Abbiamo sintetizzato la parte conclusiva della presentazione redazionale, dopo un quarto di secolo palesemente datata (per il testo integrale rinviamo al sito). Gianpiero Landi (per contatti: gplandi at racine.ra.it) e' un prestigioso studioso e valoroso militante libertario. Tra le opere di Giampiero Landi: (a cura di), Andrea Caffi, un socialista libertario, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1996. Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929 in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti: Luce Fabbri, vivendo la mia vita, apparsa su "A. rivista anarchica" dell'estate 1998 (disponibile anche nella rete telematica alla pagina web: http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/247/22.htm; ora anche nel sito: www.arivista.org). Tra le sue opere in volume ed in opuscolo segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore, Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962; El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona 1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo 1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena & Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41] Sono passati 53 anni [nel 1981 - ndr -] da quando Luce Fabbri, ventenne, appena laureata con una tesi (inedita) sull'opera geografica di Eliseo Reclus, abbandono' definitivamente l'Italia per raggiungere i suoi genitori in Francia. Suo padre, Luigi, era stato infatti costretto ad espatriare qualche anno prima, per sfuggire alle aggressioni e alle persecuzioni fasciste. In Francia, pero', i Fabbri rimasero ancora per poco, perche' nel '29 l'espulsione di Luigi dalla Francia li costrinse, dopo una breve sosta in Belgio, ad emigrare oltreoceano a Montevideo, in Uruguay. Qui Luce fisso' la sua dimora e qui ancora risiede. Dopo la morte del padre (1935), Luce continuo' la sua attivita' proseguendo fino al '46 la pubblicazione della rivista "Studi Sociali", da lei in massima parte compilata, sostituita poi da una collana di opuscoli. Ha pubblicato inoltre: Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, C. Frigerio, Ginevra 1938 (insieme con Diego Abad De Santillan); La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Studi Sociali, Montevideo 1947; L'anticomunismo, l'antiimperialismo e la pace, Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, RL, Napoli 1958. Ha pubblicato inoltre in lingua spagnola: Camisas Negras, Nervio, Buenos Aires 1934; El totalitarismo entre las dos guerras, Buenos Aires; La libertad entre la historia y la utopia, Rosario De Santa Fe. Luce Fabbri ha collaborato per anni intensamente alla pubblicistica anarchica, in particolare a quelle uruguayana e argentina durante la guerra civile spagnola e a quella italiana (in particolare alla rivista "Volonta'"). Durante la seconda guerra mondiale compilo' in italiano "Rivoluzione libertaria" (cinque numeri di un giornale da mandare clandestinamente in Italia) e, subito dopo, la pagina italiana di "Socialismo y libertad", un periodico trilingue edito a Montevideo su posizioni socialiste antiautoritarie. Per molti anni ha insegnato storia alle secondarie uruguayane e letteratura all'Universita'. D'argomento letterario ha pubblicato La poesia di Leopardi, Montevideo 1972, nonche' vari studi piu' brevi su Dante, Machiavelli e Foscolo, e numerosi articoli di critica letteraria e sui problemi dell'insegnamento. Da quel lontano 1928, Luce Fabbri e' rientrata in Italia solo due volte, per brevi periodi. La prima fu nel '54, la seconda la scorsa estate: nel corso di questa sua recente visita (si e' trattenuta in Italia un mese e mezzo) abbiamo avuto modo di incontrarla. Con questa anziana (73 anni) e lucidissima compagna abbiamo a lungo parlato della sua vita, delle sue esperienze e soprattutto del suo pensiero, formatosi alla scuola attenta e rigorosa di suo padre. Cio' che piu' ci ha colpito in lei e' la feconda convivenza di un'eccezionale cultura storica e letteraria e di una massima apertura mentale verso i problemi del presente e del futuro. Certo la situazione politica uruguayana, soprattutto nell'ultimo decennio, ne ha accentuato l'isolamento, non solo rispetto alla situazione italiana e alle vicende del nostro movimento. Ma Luce Fabbri ha continuato la sua opera di studio, di rimeditazione delle vicende storiche e di analisi della realta' contemporanea, attingendo alle piu' diverse e stimolanti correnti del pensiero "critico". L'intervista che pubblichiamo in queste pagine... conferma, a nostro avviso, l'importanza del contributo che Luce Fabbri ha dato e ancor oggi continua a dare all'anarchismo. Basti ricordare che e' stata lei una dei primi a sviluppare in campo anarchico una teoria organica della tecnoburocrazia, a partire dall'analisi comparata del fascismo e del leninismo/stalinismo: ne fa fede anche la citazione datata 1937 che abbiamo tratto da un suo scritto su "Studi Sociali" (le altre sono tratte invece dal volumetto Sotto la minaccia totalitaria del '55). Il dato che maggiormente ci preme di sottolineare, in questa intervista, e' la profonda tensione morale che l'attraversa e che sottende l'intera concezione anarchica di Luce Fabbri. Le considerazioni di suo padre e sue sulla violenza rivoluzionaria, per esempio, si collocano nel solco profondo e preciso dell'etica anarchica, che nulla deve concedere al violentismo di maniera, al ribellismo esasperato, alla mitizzazione della violenza. Il suo esplicito "desiderio" di arrivare ad una concezione nonviolenta e le obiezioni che continuamente si fa sono i due termini di una concezione equilibrata della violenza, tutta dentro alla problematica affrontata da Malatesta (ed in particolare dal Malatesta degli ultimi anni). La tensione che deriva da questo contrasto, lungi dal paralizzare l'efficacia dell'anarchismo, ne determina quella tensione etica che ne costituisce la prima ragion d'essere. Da queste pagine Luce Fabbri lancia dunque un messaggio di grande valore umano, sociale, anarchico. Questo nostro apprezzamento di fondo per la concezione e l'opera anarchica di Luce Fabbri non puo' significare ovviamente incondizionata adesione al suo pensiero. Vi sono passi dell'intervista che non ci trovano d'accordo... Quel che e' certo e' che nelle sue risposte Luce Fabbri ha modo di affrontare alcuni dei nodi centrali del pensiero anarchico, sempre fornendo elementi utilissimi per un lucido ripensamento autocritico. La volonta' di fondo che traspare dalle sue parole e' quella di innestare sul "vecchio" tronco dell'anarchismo, ripulito dei rami secchi, i germogli piu' fecondi per assicurarne la massima vitalita'. Saldamente ancorati al filone "centrale" dell'anarchismo storico (quello malatestiano, tanto per intenderci), ma al contempo spinti a svilupparlo ed arricchirlo alla luce delle mutate condizioni storiche e delle nuove acquisizioni del pensiero (psicologico, sociologico, ecc.), anche noi ci muoviamo da tempo su questa strada... * - Gianpiero Landi: Quando mori' Luigi Fabbri, "Studi Sociali" usci' con un numero quasi interamente dedicato alla sua figura. Di tuo apparve solo un articolo sul comportamento di tuo padre nella vita privata, in famiglia e in particolare coi figli. Anche successivamente hai scritto poco sulla vita di tuo padre. Perche'? - Luce Fabbri: Ho sempre avuto una ritrosia a scrivere di mio padre, per il timore di non riuscire ad essere completamente obiettiva nei giudizi. Solo rarissimamente le biografie di personaggi scritte dai figli riescono a raggiungere il distacco necessario per una valutazione storica. L'unico argomento su cui mi sento di parlare tranquillamente e' appunto il comportamento privato di mio padre. L'articolo apparso in "Studi sociali" si intitolava "L'educatore". Credo che questa fosse una delle caratteristiche piu' notevoli di mio padre: la coerenza straordinaria tra le sue idee e il suo comportamento in famiglia. Ha sempre ritenuto che uno dei primi doveri di un anarchico sia quello di essere anarchico in famiglia, cioe' il realizzare i propri principi nell'ambito ristretto della famiglia che e' gia' una prima creazione. Noi non abbiamo mai sentito da lui una parola autoritaria. Quando ci diceva di non fare qualcosa, lo diceva sempre in forma di consiglio, e sempre aggiungeva: "pensaci, devi convincerti; non ti chiedo ubbidienza, ti chiedo di riflettere". In genere noi finivamo con l'accettare il suo consiglio. Mi diceva: "non leggere ancora questo libro, e' prematuro", e io solitamente non lo leggevo, mentre molto spesso i miei compagni di scuola davanti a una proibizione leggevano di nascosto. Qualche volta mi sono anche ribellata e ho letto lo stesso: mi ha lasciato fare. Nella sua attivita' di maestro mostrava la stessa sensibilita' libertaria per il rispetto della personalita' dei ragazzi. So che nell'aula i primi giorni incuteva un certo timore, perche' aveva la voce potente, e che poco dopo invece gli volevano tutti bene e questo timore spariva completamente. Un episodio che puo' essere sintomatico risale ai primi anni del fascismo. Faceva lezione a Corticella e tra i suoi alunni c'erano parecchi figli di benpensanti che erano fascisti; i primi giorni questi ragazzi arrivavano con il distintivo fascista all'occhiello o con altri distintivi allusivi; dopo pochi giorni i distintivi sparirono tutti, senza che lui avesse mai - di questo sono ben sicura - accennato a questioni politiche in classe. Si trattava di una manifestazione di rispetto nei suoi confronti, indipendentemente da una sua richiesta. Era appunto l'effetto del suo prescindere da ogni ragionamento politico, da ogni accenno alla situazione che si stava vivendo in quel momento, che era angosciosa e che trascinava tutti. Cominciava la lezione, e gia' si viveva in un'atmosfera di serenita'. * - Gianpiero Landi: Tuo padre, pur non essendo un educazionista nel senso proprio del termine, ha dato sempre un notevole rilievo ai problemi educativi, occupandosi della pedagogia libertaria sia nei suoi aspetti storico-teorici, sia nelle realizzazioni sperimentali che venivano da piu' parti effettuate. Si puo' ricordare in proposito la collaborazione che egli stabili' nei primi anni del secolo con Ferrer. A tuo avviso si puo' parlare di una perfetta concordanza con Ferrer, oppure vi erano diversita' sul piano teorico e pratico? - Luce Fabbri: Direi senz'altro che vi era una certa diversita' di vedute. Vi era una concordanza sui problemi fondamentali, pero' con sfumature differenti. Anzitutto mio padre preferiva la scuola pubblica: pensava che quando si puo', e' meglio lavorare nella scuola di tutti. Naturalmente le condizioni della Spagna erano molto diverse da quelle dell'Italia. In Italia non c'era la scuola confessionale, quindi i problemi erano diversi. Probabilmente su quel piano non c'era una vera differenza, ma solo una diversita' di ambiente, di possibilita'. Poi direi che mio padre era meno positivista, meno sicuro dell'infallibilita' della scienza, piu' eclettico; su certi problemi era piu' agnostico che negatore. * - Gianpiero Landi: Luigi Fabbri ha svolto un'attivita' straordinaria, oltreche' con libri e opuscoli, con una produzione giornalistica che si e' susseguita per tutta la vita, e sempre a un notevole livello. Prima di inserirsi nella scuola, tento' anche di fare del giornalismo la sua professione. Per quale motivo rinuncio' a questo progetto? - Luce Fabbri: Aveva una capacita' di lavoro fantastica. Scrisse per un certo periodo anche per "Il Messaggero". Abbandono' la professione perche' ad un certo momento si accorse che il vivere della penna implica non essere indipendente in quello che con la penna si dice, e che bisogna avere un'altra fonte di guadagno per potere scrivere esattamente nel senso delle proprie idee. Arriva un momento in cui chi paga si attribuisce diritti anche sul contenuto. D'altra parte, sul terreno dell'attivita' specificamente anarchica, avvertiva il rischio di diventare un militante di professione. Ha sempre consigliato ai giovani compagni che volevano lasciare tutto per dedicarsi alla propaganda e all'azione militante, di continuare a studiare, di cercare di imparare bene il mestiere, per avere un lavoro e per non dovere dipendere dal movimento per la continuita' della propria esistenza. Lui ha dovuto in alcuni momenti dipendere dal movimento. Quando siamo arrivati in Sud America, evidentemente, nei primi tempi ha vissuto grazie alla sua collaborazione alla "Protesta"; pero' ha cercato immediatamente altre fonti di guadagno col proprio lavoro di insegnante, e quando non pote', si mise a vendere libri. Voglio aggiungere che non era affatto un buon oratore. Aveva una straordinaria scioltezza con la penna, ma non altrettanto con la parola. In fondo era timido. Pero' ricordo che qualche volta ha parlato in pubblico. Nel primo dopoguerra, all'epoca dei comizi, anche lui prendeva la parola, e inoltre parlava nelle assemblee e nei congressi, per esempio quando si fondo' l'Unione Anarchica Italiana. * - Gianpiero Landi: Leggendo gli scritti di Luigi Fabbri e' possibile notare una profonda conoscenza del Risorgimento italiano, nei suoi personaggi e avvenimenti, e una notevole simpatia, non esente ovviamente da critiche, per i rappresentanti delle correnti democratiche e repubblicane risorgimentali: non solo i federalisti Cattaneo e Ferrari, ma lo stesso Mazzini. Che peso ha avuto questo nella formazione filosofica e culturale di tuo padre? - Luce Fabbri: Egli riteneva che perlomeno in Italia le tendenze socialiste, soprattutto quelle di ispirazione libertaria, fossero una continuazione delle tendenze piu' libere del Risorgimento. Lui aveva origini mazzinane, come d'altra parte Malatesta. Di Mazzini mio padre aveva ripreso l'idea del dovere: l'idea che per conquistare e per mantenere la liberta', il dovere e' piu' importante del diritto. Osservare i doveri e' piu' importante che rivendicare i diritti: e' un concetto mazziniano. Concepiva la vita come missione. Qui trova una spiegazione la sua tenacia, la spinta ad andare avanti anche nei momenti piu' cupi, quando sembrava che la Storia andasse in senso contrario ai suoi desideri. Il dovere e' questo: data quella che si crede che sia la verita', il dovere e' attenervisi malgrado tutto. (Parte prima - Segue) 6. RIFLESSIONE. SLAVOJ ZIZEK: TORTURA. OCCHIO NON VEDE, CUORE NON DUOLE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 dicembre 2005. Slavoj Zizek e' nato a Lubjana nel 1949, ma da molti anni vive tra Berlino, Londra, Parigi e la Slovenia; filosofo e saggista, solo da pochi anni le sue opere sono state tradotte in italiano: presso Feltrinelli Il grande altro; Tredici volte Lenin; presso Raffaello Cortina Il godimento come fattore politico; Il soggetto scabroso; presso Citta' aperta Difesa dell'intolleranza; presso Meltemi Benvenuto nel deserto del reale. Forse sara' non disutile segnalare che in questo articolo alcune espressioni sono a dir poco frettolose e per cosi' dire palesemente pubblicistiche, ergo inadeguate e discutibili] Abbiamo finalmente scoperto cio' che tutti sospettavamo: le numerose denunce e testimonianze sulle prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib erano una trappola per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dal vero segreto: negli ultimi mesi, i grandi media hanno rivelato che la Cia gestisce delle strutture di detenzione segrete oltre la legge e al di fuori di qualsiasi vigilanza ufficiale in due paesi dell'Europa orientale e in alcuni paesi asiatici. La Cia non ha nemmeno ammesso l'esistenza di questi "luoghi oscuri" con "prigionieri fantasma": se lo facesse potrebbe esporre il governo Usa a cause legali, dato che i prigionieri la' reclusi sono sottoposti a "tecniche di interrogatorio rafforzate" (nella neolingua degli Stati Uniti, torture). L'idea originale era nascondere e interrogare le due dozzine circa di leader di al Qaeda ritenuti responsabili degli attacchi dell'11 settembre, o che rappresentassero una minaccia imminente, ma quando la Cia ha iniziato ad arrestare un maggior numero di persone, il cui valore in termini di intelligence e i cui collegamenti con il terrorismo erano meno certi, lo standard originale per la consegna dei sospetti a quell'universo invisibile e' stato ridotto o ignorato. Che cosa sta effettivamente accadendo qui? In un dibattito sul destino dei prigionieri di Guantanamo trasmesso dalla Nbc all'incirca un anno fa, una delle bizzarre argomentazioni a favore dell'accettabilita' etico-giuridica del loro status era: "loro sono quelli che sono stati mancati dalle bombe". Dato che erano il bersaglio dei bombardamenti Usa e sono sopravvissuti accidentalmente, e dato che questi bombardamenti rientravano in una operazione militare legittima, non possiamo condannare il destino che e' toccato loro una volta catturati, dopo il combattimento: qualunque sia la loro situazione, e' migliore, meno grave, della morte... Questo ragionamento dice di piu' di quanto non intenda fare: mette il prigioniero quasi letteralmente nella posizione dei morti viventi, di coloro che in un certo senso sono gia' morti (il loro diritto a vivere e' confiscato dal loro essere obiettivi legittimi dei bombardamenti assassini), si' che essi sono ora degli esempi di quello che Giorgio Agamben chiama homo sacer, colui che puo' essere ucciso impunemente dato che, agli occhi della legge, la sua vita non conta piu'. Se i prigionieri di Guantanamo sono collocati nello spazio "tra le due morti", rivestendo la posizione di homo sacer, legalmente morti (privi di uno status giuridico determinato) pur essendo ancora vivi biologicamente, le autorita' Usa che li trattano in questo modo si trovano anch'esse ad avere una sorta di status legale intermedio omologo a quello dell'homo sacer: agendo esse in quanto potere giuridico, i loro atti non sono piu' coperti e costretti dalla legge. Esse operano in uno spazio vuoto che resta pero' nel dominio della legge. * La strategia economica esemplare del capitalismo odierno e' l'outsourcing - affidare il processo "sporco" di lavorazione materiale (ma anche la pubblicita', il design, la contabilita'...) a un'altra societa' per mezzo di un subappalto. In questo modo, si puo' agevolmente aggirare regole ecologiche e sanitarie: la produzione e' fatta, diciamo, in Indonesia dove le regole ecologiche e sanitarie sono molto piu' permissive che in occidente, e la compagnia globale occidentale che possiede il logo puo' respingere ogni responsabilita' per le violazioni di un'altra compagnia. Non stiamo arrivando a qualcosa di simile, per quanto riguarda la tortura? Non viene subappaltata anche la tortura, affidata agli alleati degli Usa nel terzo mondo, che possono praticarla senza doversi preoccupare dei problemi giuridici o delle proteste pubbliche? Questo outsourcing non e' stato esplicitamente auspicato da Jonathan Alter su "Newsweek", immediatamente dopo l'11 settembre? Dopo avere affermato che "non possiamo legalizzare la tortura; e' contraria ai valori americani", egli conclude nondimeno che "dovremo pensare a trasferire alcuni sospetti ai nostri alleati meno schizzinosi, anche se e' ipocrita. Nessuno ha detto che sarebbe stato bello" (Jonathan Alter, Time to Think about Torture, "Newsweek", 5 novembre 2001). * E' cosi' che oggi funziona sempre di piu' la democrazia del primo mondo: "subappaltando" il lavoro sporco ad altri paesi... Possiamo vedere come questo dibattito sulla necessita' di usare la tortura non fosse assolutamente accademico: oggi gli americani non credono neanche che i loro alleati facciano bene il lavoro; il partner "meno schizzinoso" e' la parte disconosciuta dello stesso governo Usa - un risultato piuttosto logico, se pensiamo a come la Cia ha insegnato per decenni la pratica della tortura agli alleati dell'esercito americano in America latina e nel terzo mondo. E, nella misura in cui l'approccio liberal scettico predominante puo' anche essere definito come caratterizzato da "convinzioni subappaltate" (facciamo praticare agli altri - i primitivi, i "fondamentalisti" - le loro convinzioni per noi), la nascita di nuovi fondamentalismi religiosi nelle nostre societa' non segnala la stessa sfiducia nei confronti dei paesi del terzo mondo? Non solo non sanno praticare per noi le nostre torture, ma non sanno piu' nemmeno praticare per noi le nostre convinzioni... * Comunque, le due procedure possono anche coesistere: le agenzie del governo americano che gestiscono la "guerra al terrore" seguono un programma chiamato "extraordinary rendition" ("consegna straordinaria"): la politica che consiste nel catturare gli individui sospetti senza nemmeno una sembianza di processo per poi spedirli agli interrogatori di regimi alleati il cui ricorso alla tortura e' noto (si veda Bob Herbert, Outsourcing torture, "International Herald Tribune", 12-13 febbraio 2005). Un'altra forma di coesistenza e' costituita dai "luoghi oscuri" della Cia, localizzati in paesi stranieri ma gestiti dalla Cia. * Che ne e' allora della contro-argomentazione "realistica"? La guerra al terrore e' sporca, ci troviamo in situazioni in cui la vita di migliaia di persone dipende da informazioni che possiamo ottenere dai nostri prigionieri. Di conseguenza, come ha detto Alan Dershowitz, "non sono favorevole alla tortura, ma se proprio dobbiamo usarla, dovrebbe almeno avere l'approvazione della corte". La logica sottostante - "dato che in ogni caso la useremo, meglio legalizzarla e cosi' prevenire gli eccessi!" - e' estremamente pericolosa: da' legittimita' alla tortura ed apre cosi' la via a piu' torture illecite. Contro l'"onesta'" liberal di Dershowitz, paradossalmente dobbiamo attenerci a quella che si presenta come una "ipocrisia": okay, possiamo ben immaginare che, in una certa situazione, di fronte al proverbiale "prigioniero che sa" e le cui parole possono salvare migliaia di vite, si debba fare ricorso alla tortura. Ma anche (o proprio) in questo caso e' assolutamente cruciale che questa scelta disperata non sia elevata a principio universale. Seguendo l'urgenza inevitabilmente brutale del momento, dobbiamo semplicemente farlo. Solo in questo modo, nella stessa impossibilita' o proibizione di elevare cio' che abbiamo dovuto fare a principio universale, riteniamo il senso di colpa, la consapevolezza della inammissibilita' di cio' che abbiamo fatto. * Nel marzo 2005 gli Usa erano in pieno caso Terri Schiavo. La donna aveva riportato un danno cerebrale nel 1990, quando il suo cuore si era fermato brevemente per uno scompenso chimico attribuito a un disturbo dell'alimentazione; i periti incaricati dal tribunale avevano stabilito che era in uno stato vegetativo permanente, senza speranza di ripresa. Mentre suo marito voleva che fosse scollegata dalle macchine per morire in pace, i suoi genitori sostenevano che poteva migliorare e che non avrebbe mai voluto essere privata dell'alimentazione o dell'acqua. Il caso e' giunto ai massimi livelli del governo americano e degli organismi giudiziari. Sono intervenuti la Corte Suprema e il Presidente, il Congresso ha approvato risoluzioni con procedure d'urgenza, ecc. L'assurdita' della situazione, se inquadrata in un contesto piu' ampio, e' mozzafiato: con decine di milioni di persone che muoiono di Aids e di fame in tutto il mondo, l'opinione pubblica degli Stati Uniti era concentrata su un singolo caso attinente al prolungamento del corso della nuda vita, di uno stato vegetativo permanente privo di tutte le caratteristiche specificamente umane. Questa e' la verita' di cio' che intende la chiesa cattolica, di cio' di cui parlano i suoi rappresentanti, a proposito della "cultura della vita" in contrapposizione con la "cultura della morte" dell'edonismo nichilistico contemporaneo. Cio' che qui incontriamo, e' in effetti una sorta di giudizio infinito hegeliano che asserisce l'identita' speculativa del piu' alto e del piu' basso: la Vita dello Spirito, la dimensione spirituale divina, e la vita ridotta ad una inerte condizione vegetativa... Questi sono i due estremi che oggi troviamo in relazione ai diritti umani: da una parte gli uomini "mancati dalle bombe" (esseri umani a tutti gli effetti, mentalmente e fisicamente, ma privi di diritti), dall'altra un essere umano ridotto alla mera vita vegetativa, una vita protetta pero' dall'intero apparato statuale. 7. RILETTURE. ALBERT CAMUS: TACCUINI Albert Camus, Taccuini, Bompiani, Milano 1992, 3 voll. per complessive pp. XXVI + 820, lire 32.000. Camus, non ti stanchi mai di rileggerlo. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1157 del 27 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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