[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La domenica della nonviolenza. 53
- Subject: La domenica della nonviolenza. 53
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 25 Dec 2005 11:49:35 +0100
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 53 del 25 dicembre 2005 In questo numero: 1. Francesco Pistolato: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. Le parole della nonviolenza 3. Severino Vardacampi: Paolo Sylos Labini 4. Giobbe Santabarbara: Paolo Sylos Labini 5. Paolo Sylos Labini: Bisogna fare i conti con Marx 6. Franco Fortini: Marxismo 1. STRUMENTI DI LAVORO. FRANCESCO PISTOLATO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Francesco Pistolato (per contatti: fpistolato at yahoo.it) per questo intervento. Francesco Pistolato, studioso, docente, lavora all'Universita' di Udine; e' tra i promotori di un programma di cultura di pace all'interno delle universita' e delle scuole della macroregione Alpe Adria, comprendente il Friuli-Venezia Giulia, la Carinzia e la Slovenia; e' altresi' impegnato nell'Associazione Biblioteca Austriaca di Udine, che ha tra l'altro realizzato una mostra fotografica itinerante sulla Resistenza, gia' esposta in vari luoghi, tra cui la Risiera di S. Sabba di Trieste, e che e a fine 2005 andra' nella Gedenkstaette des Deutschen Widerstands di Berlino, ed e' visitabile in rete nel sito: www.abaudine.org/virtunascosta/virtu.htm] Mi abbono ad "Azione nonviolenta" (e, insieme, a "Satyagraha"), perche' la nonviolenza e' una strada difficile, che si percorre meglio in compagnia di buone letture e sostenuti dallo spirito dei compagni di viaggio. 2. STRUMENTI DI LAVORO. LE PAROLE DELLA NONVIOLENZA "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. MEMORIA. SEVERINO VARDACAMPI: PAOLO SYLOS LABINI Della cultura italiana, della vita civile italiana, Paolo Sylos Labini e' stato uno dei pochi autentici campioni, nel senso che le cavalleresche civilta' e vicende a questo termine hanno attribuito. Una persona che sempre si e' battuta per l'umana dignita', quella dignita' che solo scaturisce dal civile convivere e condursi, dall'impegno assiduo a cercare e dire il vero, dalla cura per il pubblico bene prima ancora che per i privati interessi quantunque legittimi, dalla sollecita solidarieta' (poiche' una solidarieta' non sollecita' non e' solidarieta') con gli umiliati e gli offesi, dal generoso e paziente darsi come esempio nel perseverare nel buono e nel giusto. Una persona amica della nonviolenza. * Il suo lascito scientifico e' grande, grande l'eredita' feconda di opere di dottrina e di morale, immensa l'eredita' di persone cui seppe illuminare la via nella selva del mondo col suo insegnare, il suo dire, il suo scrivere, il suo testimoniare. Un cittadino dell'umana citta'. Nella sobrieta' e nell'appassionamento, nella lotta incessante contro la prevaricazione e la menzogna, nella generosita' e nella pazienza di un magistero civile che inciviliva. Nell'ironia e nella serieta' con cui seppe affrontare le prove ardue e le scelte necessarie. Nella vivacita' e nel buon gusto, nell'intransigenza e nel garbo, che sono anch'esse civili virtu', e fomento e fomite di democrazia. * Si poteva non esser d'accordo con varie delle sue opinioni, e a noi talvolta e' accaduto. Ma in cio' che scriveva leggevi costante la volonta' buona e acuta l'intelligenza, il desiderio di capire e di farsi capire, l'impegno e la coscienza di contribuire a un'impresa comune, l'umanizzazione dell'umanita', del bene di tutti mettendosi al servizio. Anche noi qui lo ringraziamo ancora. 4. MEMORIA. GIOBBE SANTABARBARA: PAOLO SYLOS LABINI Sono trent'anni che non cesso d'interrogarmi sul problema di fondo del Saggio sulle classi sociali di Paolo Sylos Labini: ovvero di come la piccola borghesia abbia invaso e colonizzato le rappresentanze del movimento degli oppressi e vampirizzato le loro risorse e le loro lotte. * E' un problema che non posso non pormi, poiche' tra altre sorprese che la vita mi ha riservato sono stato un funzionario di partito e un pubblico amministratore, uno dei pochissimi che io conosca che non solo non abbiano voluto arricchirsi depredando cio' che e' di tutti, ma che abbiano anche saputo rifiutare la possibilita' di sistemarsi in una comoda burocrazia di toga o di spada, dell'abito nero o del rosso giusta Sorel (Julien, non Georges). De te fabula narratur. Ed anche oggi vedo chiaramente che tanta parte delle rappresentanze non solo delle istituzioni statali e parastatali ma anche - ahinoi - del cosiddetto movimento altermondialista (che ci appare sovente replica in farsa dell'utopia rivoluzionaria di cui evidentemente solo in pochi serbiamo memoria ad un tempo grata e dolorosa, ed ancor meno una severa fedelta' - e fedelta' nel segno della nonviolenza, poiche' senza la scelta della nonviolenza quel cammino di profonde necessarie riforme ovvero rotture ed aperture e' peggio che nulla, e' gorgo ed abisso) sono una vorace e rampante piccola borghesia sempre all'assalto dei pubblici erari, sempre in cordata a scalare gli scranni, sempre complice nell'opprimere gli oppressi, e sempre ignara della miseria sua e del male che fa, che consente, che favoreggia. Il popolo delle scimmie, scrisse Gramsci nel '21. * Dei testi di Sylos Labini quel saggio del '74 e' il libro che primo mi viene alla mente quando penso al suo magistero, e quello da cui mi sento ancora piu' toccato. Ora che Sylos Labini e' scomparso, anch'io - che sovente non ho condiviso certe sue analisi e proposte, o certi stilemi suoi propri che pure oggi vieppiu' mi commuovono - mi avvedo che sempre verso la sua figura e l'operare suo ho provato una stima e una gratitudine che nulla puo' estinguere. 5. RIFLESSIONE. PAOLO SYLOS LABINI: BISOGNA FARE I CONTI CON MARX [Dal sito che contiene molti materiali di e su Paolo Sylos Labini (http://151.100.71.71/sylosPersonal/) riprendiamo il secondo capitolo del suo libro La crisi italiana, Laterza, Roma-Bari 1995 (seconda edizione). Il libro e' integralmente disponibile in versione elettronica nel web, per gentile concessione della casa editrice Laterza, con il consenso dell'autore, alle condizioni di seguito specificate: "1) L'autorizzazione alla libera distribuzione riguarda solo e esclusivamente l'edizione elettronica del testo. I diritti d'autore su ogni altra forma di pubblicazione dello stesso, e in particolare quelli relativi alla versione a stampa, restano di proprieta' della Gius. Laterza e figli S.p.A. nei termini e alle condizioni previste nel contratto con l'Autore. 2) Resta dunque vietata, senza esplicita autorizzazione della Gius. Laterza e figli S.p.A., ogni forma di riproduzione a stampa del testo. 3) Il testo in formato elettronico potra' essere liberamente distribuito, anche per via telematica e attraverso la rete Internet, purche' completo in ogni sua parte e sempre accompagnato dall'indicazione dei dati bibliografici dell'edizione a stampa, e dalle condizioni alle quali ne e' consentita la distribuzione. 4) Nessun provento potra' essere ricavato, a nessun titolo, ne' da Liber Liber ne' da altri, dalla distribuzione del testo in formato elettronico. 5) Non e' autorizzata nessuna modifica al testo, con l'eccezione di quelle eventualmente concordate per iscritto fra Liber Liber, l'Autore e la casa editrice Gius. Laterza e figli S.p.A. (Dalla lettera di autorizzazione alla libera distribuzione del testo elettronico, inviata a Liber Liber dalla Gius. Laterza e figli S.p.A. in data 8 marzo 1995). Questo testo fa parte della biblioteca del progetto Manuzio. Il 'Progetto Manuzio' e' una iniziativa dell'associazione culturale 'Liber Liber'. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la costituzione di una biblioteca di testi elettronici liberamente e gratuitamente distribuibili". Paolo Sylos Labini, prestigioso economista, e' nato a Roma nel 1920, professore emerito all'Universita' di Roma, ha insegnato nelle universita' di Catania, Bologna, Roma, ed e' stato visiting professor nelle universita' di Cambridge, Oxford, Harvard, MIT, Citta' del Messico, Jamaguchi, Rio de Janeiro, Sidney, Roskilde, Nizza; membro di molte istituzioni accademiche e comitati scientifici, insignito di numerose onorificenze. All'attivita' di studioso ha sempre affiancato un intenso e persuaso impegno civile. E' deceduto alcuni giorni fa. Opere in volume di Paolo Sylos Labini: collaborazione al volume di Alberto Breglia, L'economia dal punto di vista monetario, Edizioni Dell'Ateneo, seconda edizione 1953; Oligopolio e progresso tecnico, Giuffre', 1956, seconda edizione 1957, successive edizioni Einaudi 1964, 1967, 1972, 1975, tradotto in inglese, in polacco, in giapponese, in spagnolo, in cecoslovacco, in portoghese; Economie capitalistiche ed economie pianificate, Laterza, 1960; collaborazione al volume di Alberto Breglia, Reddito sociale, Edizioni dell'Ateneo, 1965; Problemi dell'economia siciliana, Feltrinelli, 1966; Problemi dello sviluppo economico, Laterza 1970, tradotto in giapponese; Sindacati, inflazione e produttivita', Laterza, 1972, tradotto in inglese; Saggio sulle classi sociali, Laterza, 1974, dieci edizioni, tradotto in giapponese, catalano, spagnolo, portoghese; Lezioni di Economia. Volume I: Questioni preliminari, La macroeconomia e la teoria keynesiana, Edizioni dell'Ateneo, 1979; Lezioni di Economia. Volume II: Microeconomia, Edizioni dell'Ateneo, 1982; Le forze dello sviluppo e del declino, Laterza, 1984, tradotto in inglese; Il sottosviluppo e l'economia contemporanea, Laterza, 1983, tradotto in spagnolo; Ensaios sobre desenvolvimento e precos, Forense Universidade, Rio de Janeiro 1984; Le classi sociali negli anni '80, Laterza 1986, sei edizioni, tradotto in tedesco ed in spagnolo; Nuove tecnologie e disoccupazione, Laterza, 1989; Elementi di dinamica economica, Laterza 1992; con A. Roncaglia, Il pensiero economico. Temi e protagonisti, Laterza, 1995; Progresso tecnico e sviluppo ciclico, Laterza, 1995, tradotto in inglese; Carlo Marx: e' tempo di un bilancio (a cura di), Laterza 1994; La crisi italiana, Laterza 1995; Sottosviluppo: una strategia di riforme, Laterza, 2001, tradotto in inglese; Un paese a civilta' limitata, Laterza, 2002; Berlusconi e gli anticorpi. Diario di un cittadino indignato, Laterza, 2003. Va da se' che i giudizi formulati in questo testo possono non esser condivisi, e ad esempio alcuni di essi non sono affatto condivisi proprio dalla persona che lo ha scelto per pubblicarlo ora in questo numero del nostro notiziario a rendere omaggio a Sylos Labini inteso; eppure, ed anzi a maggior ragione, per questo ci e' parso opportuno proporre queste pagine a chi ci legge: come apertura ed ascolto e confronto tra voci diverse e solidali nell'impegno per un'umanita' di liberi ed eguali, e reciprocamente responsabili; e insieme accompagnarle a mo' di controcanto con il testo di Fortini che poi segue. La nonviolenza e' anche questo: dirsi la verita', cercarla insieme, ad ogni violenza e menzogna opporsi sempre, prendersi cura dell'umanita' (p. s.)] Le responsabilita' di Marx La crisi ideologico-politica cui ho fatto cenno e' sboccata nella crisi delle istituzioni. La crisi ha colpito in primo luogo il marxismo e i partiti che si richiamavano a quella dottrina. Paradossalmente, tuttavia, in modo indiretto ha colpito anche i partiti antimarxisti e anticomunisti, che hanno visto ridurre in modo non esiguo il consenso popolare e intellettuale e venir meno il cemento che li univa e il sostegno internazionale; lo stesso appoggio della Chiesa e' divenuto molto piu' critico e molto piu' differenziato. Con Marx bisogna fare i conti non solo e non tanto per motivi culturali, che possono interessare solo una minoranza di intellettuali. I conti con Marx vanno fatti anche per comprendere l'assai infelice situazione in cui oggi viviamo. Non possiamo non chiederci: come mai nella campagna elettorale Silvio Berlusconi ha potuto usare il tema dell'anticomunismo con un non trascurabile successo, come pare? Eppure dopo la caduta del muro di Berlino il comunismo non dovrebbe far piu' paura ne' sul piano internazionale ne' su quello interno; per di piu', dopo un lungo e drammatico dibattito ed una dolorosa scissione, il Partito comunista italiano ha cambiato nome, obiettivi e simbolo (al 90%). Evidentemente, esistono ancora, soprattutto in certi strati della piccola borghesia, alcuni riflessi condizionati. Il grande trauma nazionale, mai pienamente superato, fu quello del 1921-'22, quando il pericolo del comunismo, reso incombente dalla vittoria dei bolscevichi in Russia, semino' panico e orrore in una cospicua fetta della societa' italiana e non soltanto per via degli interessi economici minacciati. Se non si tiene conto di quel panico e di quell'orrore non si puo' comprendere l'ascesa del fascismo al potere. In Europa dopo la prima guerra mondiale e nell'America latina dopo la seconda guerra, la paura del comunismo ha contribuito alla nascita e all'affermazione dei fascismi, alle condiscendenze dei conservatori inglesi verso Hitler e a quelle dei nordamericani verso le dittature militari latinoamericane (attenzione: ha contribuito non vuol dire che ha determinato). In Europa, dopo la prima guerra mondiale e poi durante la seconda, per combattere quel fascismo che avevano contribuito a far sorgere, molti comunisti hanno affrontato pericoli, prigione, torture, sacrifici di ogni genere. Le atrocita' commesse dai comunisti per impadronirsi del potere e poi quelle perpetrate nei paesi in cui erano riusciti ad instaurare la dittatura possono rendere comprensibili le reazioni anticomuniste, ma non possono in alcun modo giustificare i mezzi adoperati quando si tratti di mezzi barbari o tali da imbarbarire la vita sociale. Se si pone mente al fine si puo' sostenere che il senatore americano Joseph McCarthy aveva ragione; si deve pero' subito aggiungere che erano radicalmente sbagliati i mezzi, cosicche' la condanna morale e politica del maccartismo fu pienamente giustificata. Quando, in Italia, dopo la prima guerra mondiale ebbe luogo quella reazione antibolscevica che fu ampiamente utilizzata dal Partito fascista furono pochi, ma non pochissimi, fra coloro che avevano una profonda avversione per il bolscevismo, gli uomini, come Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi, che non si fecero travolgere dalla paura neppure nei momenti piu' difficili e tennero duro. Oggi, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale scatenata dal principale allievo e imitatore di Mussolini, appare evidente che ebbero ragione coloro che tennero duro, anche se in quel momento vennero battuti. In breve, non si puo' combattere una barbarie con un'altra barbarie: i Gulag e Auschwitz si equivalgono. Dobbiamo chiederci: qual e' la responsabilita' di Marx in queste tragedie? Sono molti gli intellettuali che tendono a minimizzare le responsabilita' di quegli altri intellettuali che non si limitano a sforzarsi di conoscere il mondo, ma si propongono di cambiarlo. Ora, non c'e' dubbio che nel gran crogiolo dell'evoluzione storica, gli intellettuali di un qualche rilievo sono in qualche misura responsabili: poco o molto, secondo i casi. Con le sue sdegnate denunce, che avevano affascinato molti, con le sue tesi sulla socializzazione dei mezzi di produzione, sulla necessita' di un "piano generale" una volta socializzati i mezzi di produzione, sulla dittatura del proletariato (tesi che e' servita per giustificare tremende dittature, non solo nell'Unione Sovietica), coi suoi incitamenti a usare il terrorismo, con la sua morale rivoluzionaria, con le sue grandiose analisi storiche ed economiche, poi sviluppate da diversi seguaci, segnatamente da Lenin, Marx ha una responsabilita' innegabilmente rilevante nell'evoluzione intellettuale e politica dell'Unione Sovietica e, via via, negli altri paesi in cui il marxismo ha svolto un ruolo di rilievo. Le grandiose analisi storiche ed economiche rappresentano uno straordinario merito intellettuale di Marx - tornero' su questo punto -; al tempo stesso costituiscono (non e' un paradosso) una circostanza che aggrava le sue responsabilita' sotto l'aspetto etico-politico. Dobbiamo dunque distinguere il Marx rivoluzionario dal Marx economista: il primo si e' assunto responsabilita' tremende nei suoi sforzi volti a "cambiare il mondo"; il secondo puo' aiutare a comprenderlo. In due parole: il primo Marx va esecrato, il secondo va studiato; dal momento che non ci troviamo di fronte al fondatore di una religione, ma a un pensatore, la distinzione e la separazione sono del tutto legittime. Cominciamo col Marx rivoluzionario. Di violenza, di frode, di inganni al mondo ce ne sono sempre stati e, io temo, ce ne saranno sempre. Gli intellettuali che teorizzano l'opportunita' ed anzi la necessita' di ricorrere a violenza, a frode e a inganno si assumono la responsabilita' di giustificare e quindi di aggravare ed estendere queste atroci tendenze insite nell'uomo. Marx, e' stato detto, si e' assunto senza esitazione quella responsabilita' per un fine nobile: per il riscatto degli oppressi del nostro tempo - i lavoratori salariati -. Ma il raggiungimento del fine e' estremamente incerto e problematico - la realta' dei paesi dove la dottrina di Marx si e' affermata mostra che il progetto e' miseramente e tragicamente fallito -. Applicando quei terribili insegnamenti nel perseguire quel fine la somma delle violenze, delle frodi e degli inganni cresce: questo e' matematico, questo e' accaduto. Il fine non e' stato raggiunto: al contrario. Mi e' stato obiettato: considera la Rivoluzione francese: anche in quella serie di eventi tragici vi furono, in abbondanza, violenze, frodi e inganni; ma non per questo la Rivoluzione francese e' da condannare. E vero. Ma sfido chiunque a individuare un solo intellettuale in qualche modo paragonabile a Marx che nel periodo preparatorio abbia teorizzato l'opportunita' di usare anche i mezzi piu' barbari per perseguire quel fine. Dobbiamo tenere ben presente che il marxismo fondava le sue basi teoriche sulla lotta di classe e, connessamente, sull'odio di classe; non solo la violenza, compresa la violenza terroristica, ma anche la frode e l'inganno erano del tutto leciti ed anzi raccomandabili per far trionfare la causa del proletariato e cambiare il corso della storia. Nelle opere indirizzate agli intellettuali Marx ha parlato ripetutamente di lotta di classe, ha parlato di miseria crescente e di crescente abiezione dei proletari in regime capitalistico. Non ha esplicitamente parlato di odio di classe e dei mezzi da usare per il trionfo del proletariato. Tuttavia, coloro che hanno studiato a tavolino le principali opere di Marx e, a maggior ragione, coloro che non le hanno studiate, ma sono stati attratti dalle sue violente denunce dei vizi della societa' capitalistica, di rado si sono resi conto delle tremende implicazioni delle sue idee. Coloro che sono passati dalla teoria alla prassi sono stati indotti o costretti dalle circostanze a rendersi ben conto di quelle implicazioni. Del resto, Marx le aveva rese esplicite in lettere e in indirizzi rivolti al primo nucleo del Partito comunista tedesco. Per togliere di mezzo ogni dubbio e' utile qualche citazione. "Vae victis! Noi non abbiamo riguardi; noi non ne attendiamo da voi. Quando sara' il nostro turno non abbelliremo il terrore". Lo sdegno di Marx contro le nefandezze del capitalismo, che in passato aveva esercitato un notevole fascino su tanti e tanti giovani, era strumentale, giacche' egli non esitava a raccomandare ogni sorta di nefandezze per combatterlo: "Agite gesuiticamente, buttate alle ortiche la germanica probita', onesta', integrita'. In un partito si deve appoggiare tutto cio' che aiuta ad avanzare, senza farsi noiosi scrupoli morali". Marx scrive a Engels, riferendosi a una tesi esposta in un articolo sull'India destinato all'"Herald Tribune", del quale per un breve periodo fu collaboratore, una tesi di cui non era sicuro ma che, cio' nonostante, voleva esporre, dato che (il commento e' mio) un profeta non poteva ignorare una questione cosi' grave come l'"insurrezione indiana" - questo era il titolo dell'articolo -. Scrive dunque a Engels: "E possibile che io ci faccia una figuraccia. Tuttavia possiamo sempre cavarcela con un po' di dialettica. Naturalmente ho tenute le mie considerazioni su un tono tale che avro' ragione anche in caso contrario". * Marx: le tesi erronee e le tesi analiticamente feconde Stando cosi' le cose, possiamo fidarci di Marx come analista della societa' e, in particolare, come economista? Ritengo che, per sceverare le tesi erronee da quelle valide e analiticamente feconde, si puo' adottare il seguente criterio: quanto piu' direttamente le tesi di Marx riguardano il suo programma rivoluzionario, tanto piu' bisogna diffidarne, mentre le tesi piu' lontane da quel programma, ossia le tesi strettamente analitiche, vanno considerate, pur sempre con occhio critico, ma con minore sospetto. Le principali tesi erronee sul piano interpretativo sono due: la tesi della tendenza alla proletarizzazione delle societa' capitalistiche e la tesi dell'immiserimento della classe operaia. Queste tesi si articolano in cinque proposizioni: 1) "Tutta la societa' si scinde sempre piu' in due vasti campi nemici, in due classi ostili l'una all'altra"; 2) "L'operaio moderno, invece di elevarsi col progresso dell'industria, cade sempre piu' in basso, al di sotto delle stesse condizioni della propria classe. L'operaio si trasforma in un povero e il pauperismo tende ad aumentare assai piu' rapidamente dell'aumento della popolazione e della ricchezza"; 3) "L'antico ceto medio rovina e cade nel proletariato"; 4) "Il moto proletario e' il moto autonomo dell'immensa maggioranza della popolazione in favore dell'immensa maggioranza"; 5) "Nei paesi dove la civilta' moderna si e' sviluppata si e' formata una piccola borghesia nuova. Essa oscilla tra il proletariato e la borghesia. Senonche' i suoi componenti vengono continuamente ricacciati nel proletariato per effetto della concorrenza". (Sono tutte citazioni tratte dal Manifesto del Partito comunista, che e' appunto concepito, non come un'analisi, ma come una presentazione sintetica di tesi fondamentali). Tutte le tesi ora richiamate appaiono come errori madornali, solo molto limitatamente giustificabili facendo riferimento al tempo in cui furono scritte. Una tesi che si presenta come analitica e per certi aspetti lo e', ma che deve esser vista come strumentale rispetto al programma rivoluzionario, e' la tesi del valore-lavoro, che mirava a fornire una interpretazione "scientifica" dello sfruttamento - in realta', un concetto etico -. Dopo dibattiti durati oltre un secolo, e' stato dimostrato - paradossalmente da un economista per nulla ostile a Marx - che la teoria del valore-lavoro non e' sostenibile. Sulla tomba di questa teoria possono essere scritti, come epitaffio, due righi che si trovano nell'indice analitico di Produzione di merci a mezzo di merci di Piero Sraffa: "Il valore e' proporzionale al costo in lavoro quando i profitti sono zero". Altre tesi di Marx, che possono essere considerate indipendentemente dal suo programma rivoluzionario, appaiono analiticamente feconde. Ricordo quattro tesi di questo tipo. Se la tesi della inevitabile proletarizzazione inerente alle moderne societa' capitalistiche e' radicalmente sbagliata, non e' invece sbagliata, ma anzi e' utile, l'analisi riguardante i movimenti delle molteplici classi sociali che Marx svolge nelle sue opere storiche (la dicotomia - proletari e capitalisti - va considerata in prospettiva, non come realta' gia' in atto). E' feconda la tesi secondo la quale il movimento del sistema economico va studiato considerando due settori (una dicotomia che anticipa quella keynesiana fra consumi e investimenti) e distinguendo fra riproduzione semplice e riproduzione su scala allargata - il movimento in cui si suppone che il sovrappiu' sia almeno in parte investito. E' particolarmente feconda la tesi secondo cui il processo di accumulazione capitalistica e' spinto dalle innovazioni e ha carattere ciclico. Qui non vanno lesinati i riconoscimenti all'intuizione fondamentale di Marx. Si deve tuttavia osservare che egli si limita a enunciare la tesi, ma non si addentra nell'analisi. E' importante la tesi secondo cui la creazione di moneta bancaria ha un ruolo essenziale nell'accumulazione ciclica. Oltre le tesi di questo genere, che vanno approfondite e utilizzate, c'e' un'idea fondamentale, che a rigore non e' originale, ma che Marx per primo presenta in termini precisi e metodologicamente rilevanti: e' - come afferma Joseph Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia (cap. III) - "l'idea di una teoria del processo economico cosi' com'esso si svolge, per impulso interno, nel tempo storico, un processo che in ogni momento produce una situazione che da sola determina la successiva. In tal modo, l'autore di tante concezioni errate e' stato anche il primo a visualizzare quella che perfino oggi e' ancora la teoria economica del futuro, per la quale andiamo lentamente e faticosamente accumulando mattoni e calce, dati statistici ed equazioni funzionali". E' agevole rendersi conto che questa e' la stessa idea che sottende il recente approccio dinamico definito "path dependence" (dipendenza dal percorso precedente). In ultima analisi, l'approccio della "path dependence" tende verso una sorta di "histoire raisonnee", che costituisce il ponte fra la teoria economica e la storia. Questo duplice giudizio - favorevole per il Marx economista, drasticamente negativo per il Marx rivoluzionario - puo' apparire contraddittorio. Ho cercato di chiarire perche' non lo e'. Sul progetto rivoluzionario di Marx, tuttavia, permane un quesito fondamentale, che ho gia' proposto altrove e che qui ripropongo. * Marx e i comunisti Molti di coloro che durante e subito dopo la seconda guerra mondiale hanno sentito la forte attrazione esercitata dal comunismo e dal Partito comunista e spesso hanno operato in quel partito con gravi sacrifici, chiedono oggi che vengano comprese le ragioni delle loro scelte considerando il momento storico in cui venivano fatte. E' una richiesta giusta: anche chi scrive senti' fortemente quell'attrazione e, se non ne fu travolto, lo dovette all'influenza di diverse persone di grande statura morale, non comuniste ma neppure violentemente anticomuniste - il violento anticomunismo avrebbe potuto avere l'effetto opposto per quella tendenza anticonformistica frequente fra i giovani. Dobbiamo dunque liquidare tutto quanto e' stato compiuto nel nome di Marx - ecco il quesito -; dobbiamo negare o rinnegare la passione, l'impegno e i gravi sacrifici? Tutto da buttar via sul terreno dell'azione? Io dico di no. In certi paesi, fra cui e' l'Italia, i comunisti hanno di fatto accantonato da lungo tempo il progetto rivoluzionario e hanno dato rilevanti contributi all'evoluzione democratica della societa' in cui hanno operato. E anche vero, pero', che se molti di quei comunisti avessero conosciuto il contenuto di quelle "confidenze" di Marx, di cui ho citato solo alcuni esempi, avrebbero abbandonato il partito o avrebbero preteso un cambiamento radicale del nome e della linea politica, come solo di recente e' accaduto. Si puo' obiettare: non c'era alcun bisogno di conoscere quelle "confidenze"; la condotta assolutamente cinica e priva di scrupoli dei massimi dirigenti era apparsa in modo piu' che evidente durante gran parte della tragica esperienza sovietica e durante la guerra civile spagnola - e' ancora illuminante il libro scritto nel 1937 in uno stile terribilmente sobrio da George Orwell (Omaggio alla Catalogna, Milano 1993) -. All'obiezione si puo' rispondere ricordando che i comunisti - a parte i capi - non credevano a quelle che venivano definite come calunnie borghesi. D'altra parte, le stesse azioni riformistiche portate avanti dai comunisti erano doppiamente viziate: sul piano della politica internazionale, dall'ostilita' degli Stati Uniti - un'ostilita' durissima e in nessun modo vantaggiosa per il paese considerato - e sul piano della politica economica da residui della dottrina marxista di cui parlero' fra poco. Criticare il marxismo in quanto dottrina rivoluzionaria e rimuovere quei residui significa liberare energie che fino a un tempo recente risultavano gravemente frenate e limitate. Un caro amico poco meno che mio coetaneo, che in gioventu' e' stato comunista e che da molti anni non lo e' piu' mi dice, appassionatamente, che egli non puo' condividere le conclusioni che emergono dalla mia durissima critica, politica ed etica, al Marx rivoluzionario e che conducono, indipendentemente dalle intenzioni, a criminalizzare milioni di persone in perfetta buona fede, che spesso hanno rischiato la vita o l'hanno persa per perseguire quegli ideali che hanno origine antichissima e che erano stati fatti propri in tempi vicini a noi da Marx e dai rivoluzionari da lui ispirati. Non solo nelle mie intenzioni ma neppure nelle conclusioni, io credo, si possono trovare elementi per una criminalizzazione. Ho gia' dichiarato che per poco non divenni comunista; se lo fossi diventato, non per questo sarei entrato nella schiera dei criminali. Credo che i due volumi, editi da Einaudi, che raccolgono le Lettere dei condannati a morte della Resistenza - uno dei curatori dei quali era Giovanni Pirelli, fratello del "capitalista" - costituiscano una fra le piu' nobili testimonianze a favore dell'uomo; e molti fra quei condannati erano comunisti. Tutto cio' non toglie assolutamente nulla a quegli uomini ed a quelle donne e alla loro esperienza, ma non fa che aggravare le responsabilita' di Marx, mosso piu' da un luciferino orgoglio intellettuale che da amore per i proletari; i quali, a differenza del suo amico Engels, non conosceva neppure. Il punto e' che, se ci convinciamo che la dottrina di Marx, in quanto dottrina rivoluzionaria, e' radicalmente erronea ed ha provocato immani disastri, dobbiamo proclamarlo a gran voce, anche se siamo stati comunisti, anche se dobbiamo far valere la nostra buona fede, richiamando alla nostra stessa memoria, per non veder scemare neppure di poco la stima di noi stessi, le azioni positive e socialmente utili che possiamo aver compiute. In una tale denuncia non ci deve far velo nessuna considerazione emotiva o affettiva. Non c'e' dubbio: una critica che puo' colpire persone che stimiamo profondamente e che in qualche caso sono anche nostri cari amici, come anche un'autocritica, ci costa. Ma solo cosi', io credo, possiamo restare fedeli al nostro mestiere di intellettuali. * La posizione della sinistra verso le piccole imprese La scarsa considerazione per le piccole imprese da parte di molti esponenti della sinistra politica e sindacale puo' essere in una certa misura riconducibile alla tesi marxista della progressiva concentrazione delle imprese. Questa tesi non e' erronea in se'. Per un lungo periodo, a partire dalla fine del secolo scorso, si e' osservata una tale tendenza in diversi rami dell'industria e della finanza, anche se negli ultimi due decenni essa, a quanto pare, si e' arrestata o si e' addirittura capovolta. L'errore sta nell'interpretazione di tale tendenza, che cioe' le grandi e grandissime imprese sarebbero destinate a dominare un numero crescente di mercati e a condizionare in misura crescente il potere politico, al livello interno e nei rapporti internazionali; questa e' l'interpretazione che puo' essere ricondotta a Marx e a Lenin. C'e' poi l'interpretazione di Schumpeter, secondo il quale la capacita' d'innovare tende a essere sempre piu' una prerogativa delle grandi imprese. Entrambe le interpretazioni vanno respinte, non perche' - mi riferisco a Marx e a Lenin - le grandi imprese non contino, ma perche' non e' vero che abbiano un peso crescente e non e' vero che in paesi democratici gruppi sociali diversi, come quelli rappresentati dai militari, dagli intellettuali e da organizzazioni politiche, siano puramente subordinati ai gruppi economici - certe volte e' vero il contrario -. Quanto all'interpretazione di Schumpeter, appare ormai evidentemente infondata la tesi secondo cui le piccole imprese avrebbero avuto un ruolo sempre piu' marginale nel campo essenziale delle innovazioni; non di rado, il loro ruolo e' invece di primaria importanza. (Conviene notare che la teoria della concentrazione costituisce una delle basi della teoria leninista dell'imperialismo). La tesi del processo di concentrazione poteva indurre, come ha indotto, i marxisti a considerare con freddezza, ma non necessariamente con avversione, le piccole imprese. Una certa avversione e' riconducibile al marxismo per via dell'"antagonismo di classe", che nelle piccole imprese e' affievolito o annullato. E' riscontrabile, specialmente nel passato, una notevole freddezza non solo da parte dei marxisti ma anche della sinistra non marxista; presumibilmente una delle ragioni sta nel fatto che la forza dei sindacati di norma e' maggiore nelle grandi che nelle piccole imprese e, sia pure in misure e con caratteristiche diverse secondo i paesi, i sindacati hanno influenza sui partiti e sulla vita politica. Abbiamo tuttavia in Italia una situazione che appare in contrasto con le osservazioni appena espresse: in Emilia e in altre zone del Centro-Nord hanno prevalso a lungo i partiti di sinistra di tipo marxista e, in particolare, i comunisti, eppure le piccole imprese hanno avuto uno sviluppo molto notevole e, non di rado, sono state create da ex operai specializzati che erano e sono poi rimasti comunisti. Il paradosso si spiega tenendo conto che la "pace sociale", che nelle piccole imprese quasi sempre s'instaura, per motivi strutturali, ha decisamente favorito lo sviluppo di quelle imprese, con vantaggi sia dei lavoratori che dei "capitalisti". D'altra parte, anche in questo caso e' rimasta una notevole ambiguita': nei fatti - e soprattutto nei fatti riguardanti le zone cui alludevo dianzi - l'atteggiamento del Partito comunista verso le piccole imprese era sostanzialmente favorevole, ma in via di principio, al livello della politica economica nazionale, restava la freddezza, se non proprio l'ostilita'. Con la costituzione del Partito democratico della sinistra le cose sono alquanto cambiate; ma il cambiamento resta ancora in superficie. * Le formule partecipative Fra i residui perniciosi del marxismo sul piano della politica economica vanno annoverati i residui che si manifestano nell'avversione a tutte le formule che, in senso lato, possiamo definire partecipative. Fra queste possiamo considerare: le integrazioni retributive e i premi collegati con gli aumenti di produttivita' o di profittabilita' delle imprese, la partecipazione agli utili, varie forme di partecipazione alla gestione, l'azionariato dei lavoratori e, piu' ampiamente, il cosiddetto azionariato popolare. Il motivo dell'avversione sta nel fatto che tutte queste forme partecipative comportano collaborazione fra lavoratori dipendenti e capitalisti; ma non si puo' collaborare col "nemico di classe": e' un peccato, se non un tradimento. Ora, che le forme appena ricordate possano prestarsi ad abusi, non c'e' alcun dubbio; ma se dovessimo rifiutare ogni forma o formula che comporta il pericolo di abusi, non potremmo fare assolutamente nulla al mondo - e non solo nel mondo delle imprese -. D'altra parte, il pericolo di abusi era relativamente elevato alcuni decenni or sono, quando il livello d'istruzione dei lavoratori dipendenti era relativamente basso e quando i sindacati non disponevano di uffici studi bene attrezzati. Oggi le cose sono cambiate, ma quell'avversione persiste, sia pure solo come residuo di una dottrina politicamente perniciosa. * Lotta di classe e odio di classe Sia nel caso delle piccole imprese sia in quello delle forme partecipative affiora quello che considero l'elemento peggiore del marxismo: la predicazione dell'odio di classe che nell'originaria dottrina marxista doveva servire ad accelerare lo scontro finale e ad alleviare i dolori del parto, nella fideistica certezza che la rivoluzione era inevitabile e quindi quanto piu' fosse violenta e rapida tanto meglio sarebbe stato. Ora, e' piu' che evidente che fra capitalisti e lavoratori dipendenti non vi e' necessariamente armonia d'interessi: gli scioperi non infrequenti neppure nei paesi in cui la dottrina marxista ha avuto assai pochi seguaci e dove nessuno parla di rivoluzione, bastano a dimostrare che i conflitti d'interesse ci sono e a volte sono aspri. Ma gli interessi non sono sempre e necessariamente in conflitto, come appare chiaro quando e' in gioco la sopravvivenza stessa dell'impresa o quando si adotta l'una o l'altra delle forme partecipative di cui si e' detto, con un successo che in molti casi e' netto. Nel progetto rivoluzionario di Marx "non pomi v'eran ma stecchi con tosco" - per usare le parole del grande poeta -. Lo stecco piu' velenoso e' senza dubbio quello dell'odio di classe considerato come la leva indispensabile per attuare la nuova societa'. Se si riconosce che le linee di politica economica richiamate sopra sono nell'interesse dei lavoratori, dipendenti o indipendenti, allora si deve attribuire al marxismo la responsabilita' di averle ostacolate, col risultato che alcune di quelle linee sono state adottate, almeno parzialmente, dalla destra, mentre era ed e' nell'interesse della sinistra adottarle e svilupparle, ammesso che questa parte politica sia particolarmente sollecita verso gli interessi dei lavoratori. Mi auguro che coloro che hanno a cuore il rinnovamento della cultura di sinistra - compresi coloro che accoglievano il messaggio marxista nel suo complesso - approfondiscano la critica non solo al fine di utilizzare gli aspetti analitici validi, ma anche per individuare altri residui passivi, che spesso non sono evidenti e sono rintracciabili non solo a sinistra, ma anche a destra. * Marx e Machiavelli La raccomandazione che Marx rivolge al primo nucleo del Partito comunista tedesco - "agite gesuiticamente" eccetera - merita qualche commento. Si tratta di una raccomandazione tipicamente machiavellica, che nel nostro paese, abituato da tempo immemorabile a rispettare ed ammirare i punti di vista del grande segretario fiorentino, non fa scandalo. Dico che cio' e' male. Dico che il machiavellismo rappresenta una tabe gravissima della cultura politica del nostro paese, che - andando ben oltre, e' vero, le idee originarie - e' servita a giustificare ogni sorta di delitti e di imbrogli e quindi ha decisamente contribuito a renderli molto piu' diffusi di quanto altrimenti sarebbero stati; una tabe che ha contagiato non pochi politici e intellettuali sia fra i laici che fra i cattolici - in questo secondo caso lo sconcerto e' anche maggiore, data la pretesa dei cattolici di essere portatori di una moralita' piu' ampia e piu' elevata di quella dei laici. Per evitare di dar esca a complicate e inconcludenti discussioni filosofiche, mi limito ad affermare che il mio punto di vista coincide con quello espresso, in termini quanto mai pacati e concreti, dal mio economista e filosofo preferito, Adamo Smith, il quale, riferendosi al ben noto massacro dei rivali perpetrato, a tradimento, da Cesare Borgia, nella Teoria dei sentimenti morali (parte VI, sez. II) cosi' scrive: "Machiavelli, uomo in effetti di moralita' non troppo scrupolosa anche per i suoi tempi, faceva parte della corte di Cesare Borgia, quale rappresentante della Repubblica di Firenze, quando il delitto fu perpetrato. Egli ne da' una descrizione molto dettagliata in quella lingua pura, elegante e semplice che contraddistingue tutti i suoi scritti. Ne parla con molta freddezza, si compiace dell'abilita' con cui Cesare Borgia lo orchestro', mostra molto disprezzo per l'ingenuita' e la debolezza delle vittime, ma nessuna compassione per la loro triste e prematura morte, nessun genere di indignazione per la crudelta' e la falsita' del loro assassino". Se l'umanita' deve consistere di esseri civili e non di selvaggi e di assassini, certi valori morali debbono essere rispettati: e' un'affermazione che Salvemini esprime in un articolo pubblicato nella rivista "Il Ponte" del 1952; la condivido in pieno. Posto che si voglia avanzare sulla via dell'incivilimento, allora nessun fine, neppure l'unita' politica di un grande paese, neppure il riscatto del proletariato, puo' giustificare l'abbandono di quei valori. Altrimenti l'unita' nazionale, pur se la si ottiene, diviene unita' di una palude melmosa e il riscatto del proletariato si trasforma nel suo opposto: i mezzi deturpano il fine in modo molto difficilmente rimediabile. 6. RIFLESSIONE. FRANCO FORTINI: MARXISMO [Riproponiamo ancora una volta (per le ragioni dette in chiusa della nota introduttiva al testo precedente) il seguente testo, da Franco Fortini, Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991 (una bella raccolta di testi brevi e dispersi curata da Paolo Jachia, qui fine editore ma anche autore di egregi studi - vedi ad esempio le sue belle monografie laterziane su Bachtin e De Sanctis). Li' il testo che riportiamo e' alle pp. 145-149. Era primieramente apparso sul "Corriere della sera" del 29 marzo 1983. Franco Lattes (Fortini e' il cognome della madre) e' nato a Firenze nel 1917, antifascista, partecipa all'esperienza della repubblica partigiana in Val d'Ossola. Nel dopoguerra e' redattore del "Politecnico" di Vittorini; in seguito ha collaborato a varie riviste, da "Comunita'" a "Ragionamenti", da "Officina" ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre ancora. Ha lavorato nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come insegnante. E' stato una delle persone piu' limpide e piu' lucide (e per questo piu' isolate) della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed intellettuale pressoche' leggendario. E' scomparso nel 1994. Opere di Franco Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno le raccolte complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso Pasolini, Einaudi. Si veda anche l'antologia fortiniana curata da Paolo Jachia, Non solo oggi, Editori Riuniti; la recente bella raccolta di interviste, Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri; e la raccolta di Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003. Tra le opere su Franco Fortini in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in ragione, Manifestolibri, Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini, La Nuova Italia, Firenze 1974; Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti, Roma 1986; Remo Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988. Su Fortini hanno scritto molti protagonisti della cultura e dell'impegno civile; fondamentali sono i saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo; la bibliogafia generale degli scritti di Franco Fortini e' in corso di stampa presso le edizioni Quodlibet a cura del Centro studi Franco Fortini; una bibliografia essenziale della critica e' nel succitato "Meridiano" mondadoriano pubblicato nel 2003] Quelli che hanno la mia eta' Marx l'hanno letto alla luce delle nostre guerre. Hanno sempre sentito chiamare marxista chi le potenze delle armi, del profitto o del potere avevano voluto ridurre al silenzio. "E tu come li chiami i popoli oppressi o uccisi in nome di Marx?", mi si chiedera' ora; forse supponendo che non abbia trovato il tempo, finora, di chiedermelo. Rispondo che sono dalla mia parte. Li conto insieme a quelli che dal Diciassette, quando sono nato, sono nemici dei miei nemici, a Madrid come a Shanghai, a Leningrado come a Roma, a Hanoi, a Santiago, a Beirut... I cacciatori di "bestie marxiste" (cosi' si esprimono) devono sempre aver avuto difficolta' ad apprezzare le differenze teoriche fra marxiano, marxista, socialista, comunista, bolscevico e cosi' via. Mi spieghero' meglio, per loro beneficio. C'e' una foto russa, del tempo della guerra civile: un plotone di morti di fame, in panni ridicoli, cappellucci alla Charlot in testa, scarpe slabbrate; e a spall'arm i fucili dello zar. Questo e' marxismo. C'e' un'altra foto, Varsavia 1956, un giovane magro, impermeabile addosso, sta dicendo nel microfono, a una sterminata folla operaia che il giorno dopo l'Armata rossa, come a Budapest, puo' volerli morti o deportati. Anche questo e' marxismo. Con chi queste cose dice di non capirle, di marxismo e' meglio non parlare neanche. Un certo numero di italiani miei coetanei sparve anzitempo dalla faccia della terra, combattendo borghesi e fascisti. Grazie a loro se le forze dell'ordine volessero perquisirmi, potrei mostrare che sul miei scaffali invecchiano le opere di Marx, di Lenin e di Mao, senza temere, ancora, di venire trascinato alla tortura e alla fossa com'e' accaduto e ogni giorno accade a poche ore di aereo da casa nostra. Dieci o quindici anni fa poco e' mancato che la civica arena o il catino di San Siro non accogliessero, come lo stadio di Santiago del Cile, le "bestie marxiste". So chi mi avrebbe aiutato, in quel caso: non sarebbero stati davvero quelli che mi conoscono perche' hanno letto i miei libri. E ora approfitto di queste righe per salutare Alaide Foppa, mia collega di letteratura italiana a Citta' di Messico. La conobbi anni fa. In questi giorni ho saputo chi l'ha ammazzata, in Guatemala. Anche questo e' marxismo. Cominciai nel 1940 col Manifesto, per consiglio di Giacomo Noventa e Giampiero Carocci; senza alcun entusiasmo. Capii poi qualcosa da Trockij e Sorel. Durante la guerra vissi in fanteria un buon corso di marxismo pratico. A Zurigo, nell'inverno 1943-44, non so quanti libri lessi, riassunsi e annotai, che parlavano di socialismo e di materialismo storico. Si faceva fuoco di ogni frasca, allora. Un opuscolo in francese, ricordo, mi fu molto utile; l'aveva scritto un tale che firmava con lo pseudonimo, seppi poi, di Saragat. L'apprendistato comprendeva testi anche troppo disparati: Malraux e Rosselli, Victor Serge e Silone, Mondolfo e Eluard... A guerra finita vennero letture meno selvagge: le opere storiche (Le lotte di classe in Francia, Il diciotto brumaio, La guerra civile in Francia), parte della Sacra famiglia, i primi capitoli, splendidi di genio e forza sintetica, della Ideologia tedesca, i due volumi del primo libro del Capitale, e a partire dal 1949 quei Manoscitti economico-filosofici del 1844 oggi tanto derisi e che mai hanno cessato di stupirmi per la loro capacita' di guidarci da Hegel fino ai giorni che ancora ci aspettano; e di dirci parole di incredibile attualita'. E altro ancora. Dopo vent'anni di diatribe storico-filologiche sul primo e il secondo Marx; dopo Lukacs e Sartre, Bloch e Sohn-Rethel, Adorno e Althusser, Mao e gli amici torinesi di "Quaderni rossi", a quelle pagine non ho piu' sentito il bisogno di tornare se non nei termini di cui parla Brecht in una poesia intitolata, appunto, "Il pensiero nelle opere dei classici": Non si cura che tu gia' lo conosca; gli basta che tu l'abbia dimenticato... senza l'insegnamento di chi ieri ancora non sapeva perderebbe presto la sua forza rapido decadendo. Non stiamo commemorando la nostra giovinezza. Anche se fondamentale, quel pensiero non e' se non un passaggio dell'ininterrotto processo che porta da luce a oscurita' poi ad altra luce, e dal credere di sapere al sapere di credere. Se ne compone (come quella di chiunque) la nostra esistenza. O per la gioia dei piu' sciocchi dovremmo ripetere qual che ci sembra di aver detto sempre e cioe' di non aver creduto mai che il pensiero di Marx potesse fungere da chiave interpretativa del mondo piu' o meglio di quanto lo faccia, ad esempio, la poesia dell'Alighieri? Una educazione alla storia ci faceva almeno intravvedere quel che era stato detto e fatto ben prima e sarebbe stato detto e patito molto dopo di noi. Quando, per l'Italia, almeno dal 1900, data del libro di Croce, ci viene ogni qualche anno ripetuto che quella di Marx e' filosofia superata, non ho difficolta' ad ammetterlo; sebbene subito dopo domandi che cosa significa superare la filosofia di Platone o di Kant. Quando ci viene spiegato che la teoria marxiana del valore o quella sulla caduta tendenziale del saggio di profitto sono manifestamente errate, non ho difficolta' ad ammetterlo; anche perche' mai l'ho impiegata per capire come vadano le cose di questo mondo. Quando mi si dimostra che l'idea, certo marxiana, di un passaggio dalla preistoria umana alla storia mediante la fine della proprieta' privata, dello Stato e del lavoro alienato, si fonda su di una antropologia fallace e senz'altro smentita dai "socialismi reali", apertamente lo riconosco; anche perche' ho sempre attribuita la figura d'un progresso illimitato all'errore che afferma la indefinita perfettibilita' dell'uomo, un errore illuministico-borghese che Marx ebbe a ereditare. Ma quando mi si dice che la teoria delle ideologie e' falsa, che la lotta delle classi e' una favola e che il socialismo e' una utopia senza neanche l'utilita' pragmatica delle utopie, chiedo allora un supplemento di istruttoria. Primo, perche' il pensiero epistemologico contemporaneo, dalla critica psicanalitica del soggetto fino alla semiologia, conferma la fine d'ogni immediata coerenza fra parola, coscienza e realta', come fra mondo e concezioni del mondo; secondo, perche' a tutt'oggi e' difficile negare - e lo si sapeva ben prima di Marx - l'esistenza di ininterrotti conflitti di interessi fra gruppi umani per il possesso dei mezzi di produzione e la ripartizione del prodotto sociale; conflitti determinati dai modi del produrre e determinanti l'assetto, o lo sconvolgimento, dell'intera societa'. Per quanto e' del terzo ed ultimo punto, convengo volentieri che esso rinvia ad una persuasione indimostrabile. La volonta' di eguaglianza e giustizia pertiene alla politica solo grazie alla mediazione dell'etica e della religione. Marx non ne ha data nessuna ragione migliore. Indipendentemente da ogni mito perfezionista, credo si debba continuare a volere (un volere che implica lotta) una sempre piu' sapiente gestione delle conoscenze e delle esistenze. Il "sogno di una cosa" e' la realizzata capacita' dei singoli e delle collettivita' di operare sul rapporto fra necessita' e liberta', fra destino e scelta, fra tempo e attimo. Il movimento socialista e comunista si e' fondato per cent'anni su quel che si chiamava l'insegnamento di Marx. Ne era parte maggiore l'idea che il passaggio al comunismo dovesse essere conseguenza dello sviluppo delle forze produttive, della industrializzazione e della crescita della classe operaia; e compiersi con una pianificazione centralizzata. In questi nodi di verita' e di errore si e' legato il "socialismo reale". Oggi gli esiti del passato ci impediscono di guardare al futuro. Sono esiti tragici non solo per cadute politiche, economiche o culturali ne' solo per costi umani; ma perche', anche al di fuori dei paesi comunisti, il "marxismo reale" ha accettato il quadro mentale del suo antagonista: primato della tecnologia, etica della efficienza, sfruttamento dei piu' deboli. Sembrano falliti tutti i tentativi per uscire da questa logica: massimo quello cinese. Eppure, Bloch dice, non e' stata data nessuna prova che quella uscita sia impossibile. L'eredita' marxiana e' divisa: una meta' e' ancora nostra, l'altra e' dei nemici del socialismo e comunismo, sotto ogni bandiera, anche rossa. Quanto alla mente geniale morta cent'anni fa, e' anche grazie ad essa che e' stato ridimensionato il ruolo delle grandi personalita' e dei loro sepolcri. Pero' ho visitato con commozione a Parigi il Muro dei Federati, a Nanchino la Terrazza della Pioggia di Fiori o dei Centomila Fucilati; mi fosse possibile, andrei a onorare i morti dei Gulag: sono tutti di una medesima parte, tuttavia parte; non ipocrita bacio tra vittime e carnefici. Marx ci ha infatti insegnato a capire una volta per sempre quale opera implacabile gli ignoti, gli infiniti vinti vincitori, compiano entro le societa' che preferirebbero ignorarli ed entro di noi; quali cunicoli scavino, quali fornelli di mina preparino anche in coloro che li odiano per aver voluto qualcosa che interi popoli oppressi continuano, morti e vivi, a volere. Tutta la storia umana, ci dice, deve essere ancora adempiuta, interpretata, "salvata". E o lo sara' o non ci sara' piu' - sappiamo che e' possibile - nessuna storia. O ti interpreti, ti oltrepassi, ti "salvi" o non sarai esistito mai. L'amico di Federico Engels non e' stato davvero il primo a dircelo. L'ultimo si'. E meglio ancora ogni giorno lo dice, oscuro a se stesso, "il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" (Ideologia tedesca, 1845-46, I, a). Anche questo e' marxismo. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 53 del 25 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1155
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1156
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1155
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1156
- Indice: