[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1153
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1153
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 23 Dec 2005 00:08:46 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1153 del 23 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Andrea Trentini: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. La cassetta degli attrezzi 3. I pacifisti pordenonesi citano in giudizio gli Usa per le atomiche ad Aviano 4. Anna Maffei: Per Norman, Tom, James e Harmeet 5. Marina Forti: I conti dello tsunami 6. Stefano Ciccone: La violenza. Degli uomini 7. Ida Dominijanni: La spiaggia e il colore 8. Lorenzo Milani: Lettera ai cappellani militari 9. Riletture: Ludwig Feuerbach, Scritti filosofici 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. ANDREA TRENTINI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Andrea Trentini (per contatti: andrea.trentini at unimondo.org) per questo intervento. Andrea Trentini, amico della nonviolenza, e' impegnato nelle esperienze della Rete di Lilliput, dei "Gruppi di azione nonviolenta", della redazione del portale internet "Unimondo" (www.unimondo.org) e del Centro per la pace di Rovereto, ed in altre esperienze di pace e di solidarieta'] Per chi si riconosce nella nonviolenza come pratica politica e di vita, abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' un gesto naturale da fare a fine anno, come un cambio di calendario o di agenda. Uno strumento utile sia per raccogliere le riflessioni sugli argomenti di attualita', sia per far crescere il pensiero sull'arte del fare politica con il metodo nonviolento, necessario in questo momento cosi' buio che attraversa l'Italia. Abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' coltivare la speranza di un nuovo modo di far politica, che veda nella partecipazione e nella giustizia le vie d'uscita dal modello neoliberista, un modello violento. Facciamoci un'"Azione nonviolenta" per un nuova societa'. 2. STRUMENTI DI LAVORO. LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. INIZIATIVE. I PACIFISTI PORDENONESI CITANO IN GIUDIZIO GLI USA PER LE ATOMICHE AD AVIANO [Ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) per averci inviato questo comunicato, ed ancor piu' per essere tra i promotori di questa rilevante iniziativa. Tiziano Tissino e' impegnato nei Beati i costruttori di pace, nella Rete di Lilliput, ed in numerose altre esperienze ed iniziative nonviolente] Il governo degli Stati Uniti e' stato oggi citato in giudizio da alcuni pacifisti pordenonesi. L'atto di citazione, presentato in mattinata al tribunale di Pordenone, chiede al giudice di dichiarare che la presenza delle armi nucleari nella base di Aviano e' illecita e dannosa, e conseguentemente ordinare agli Usa di rimuovere tutte le bombe nucleari dalla base di Aviano e dal territorio nazionale. Il documento, elaborato da uno staff di avvocati appartenenti alla Ialana (Associazione internazionale giuristi contro le armi nucleari, sito: www.ialana.net) si richiama al Trattato di non proliferazione nucleare, sottoscritto e ratificato dall'Italia, che sancisce senza ombra di dubbio l'obbligo per il nostro paese di non ospitare ordigni nucleari e per gli stati nucleari, come gli Usa, di non dispiegare tali armamenti al di fuori del proprio territorio. La prima udienza e' stata fissata, su richiesta dei promotori, per il prossimo 7 luglio, alla vigilia del decennale della sentenza con cui la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che l'uso (o anche la semplice minaccia dell'uso) di armi nucleari e' in contrasto con il diritto internazionale e che gli stati hanno l'obbligo giuridico di condurre negoziati in buona fede che conducano al completo smantellamento di tutte le armi nucleari. I promotori della causa sono a disposizione per fornire ulteriori informazioni sulle motivazioni dell'azione legale e sulle prossime iniziative in programma per garantire la piu' ampia partecipazione popolare all'azione stessa. Si augurano in questo di trovare il sostegno e l'adesione di un ampio schieramento di forze politiche, sociali e sindacali. * Per informazioni e contatti: Tiziano Tissino, 3492200890 Giuseppe Rizzardo, 3339027079 Michele Negro, 3384475550 Carlo Mayer, 3494138338 Monia Giacomini, 3478498106 4. RIFLESSIONE. ANNA MAFFEI: PER NORMAN, TOM, JAMES E HARMEET [Ringraziamo Anna Maffei (per contatti: anna.maffei at ucebi.it) per averci messo a disposizione come anticipazione questo suo articolo che sara' pubblicato sul prossimo numero di "Riforma", il bel settimanale delle Chiese battiste metodiste e valdesi. Anna Maffei, presidente dell'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (in sigla: Ucebi), prestigiosa teologa e saggista, appartiene alla tradizione nonviolenta espressa dal pastore battista e martire per la pace e la dignita' umana Martin Luther King. Norman Kember, Tom Fox, James Leney e Harmeet Singh Sooden sono i quattro attivisti nonviolenti della ong umanitaria "Christian peacemaker team" rapiti recentemente in Iraq] Norman Kember, membro della chiesa battista di Harrow (Regno Unito), pacifista, amico dei battisti italiani, preso in ostaggio in Iraq e' ancora in mano ai rapitori. Mentre nelle chiese di tutto il mondo si celebra la stagione natalizia e si attende l'ingresso del nuovo anno, il suo nome e quello degli altri tre attivisti cristiani per la pace rapiti con lui, Tom Fox, James Leney e Harmeet Singh Sooden, risuonano nelle preghiere di intercessione di migliaia di credenti. Anche noi qui in Italia, ci uniamo alle tante voci che pregano e chiedono il loro rilascio. Fra queste, anche le voci di credenti di fede islamica, che insieme a noi hanno ritenuto a suo tempo la guerra in Iraq una mostruosita' giuridica e un crimine politico e che nello stesso tempo riconoscono in questo rapimento un sintomo grave di un mondo impazzito. Anas Altikriti, membro dell'Associazione musulmana della Gran Bretagna, e' partito per Bagdad per cercare vie di negoziato per il rilascio dei prigionieri. * Natale e' il ricordo del momento in cui il figlio di Dio entrava nel mondo, si immergeva, fragile e indifeso come ogni nuovo nato, nelle contraddizioni di una storia violenta. Natale e' la celebrazione della fede nel Dio che ha fatto questa scelta estrema di rinuncia del potere, di condivisione della storia del mondo, di discesa negli inferi della condanna ingiusta, della tortura e della pena capitale. Non so per quale assurda alchimia della storia, il Natale si sia cosi' snaturato e da segno di contraddizione, appello al ravvedimento e invito a prendere posto accanto al figlio di Dio fra le vittime dei poteri forti sia divenuto messaggio rassicurante, incurante delle ingiustizie che si moltiplicano intorno a noi. La fede cristiana e' tutt'altro che uno zuccherino che addolcisce l'amaro della vita, e' occhi aperti e sguardo attento a cogliere i minuscoli segni del Regno di Dio in questo mondo che disconosce Dio e ne profana continuamente il nome. * In un'intervista il procuratore di Palermo Roberto Scarpinato, constatando che molti mafiosi si comportano da cattolici praticanti si chiede: "Come e' compatibile il fatto che questi uomini uccidono, sono mafiosi, eppure sono in pace con se stessi e con Dio?". Egli stesso risponde all'interrogativo dicendo che mafiosi e combattenti contro la mafia in realta' non pregano lo stesso Dio, e lo fanno perche' nella cultura cattolica il rapporto tra il singolo e Dio e' gestito da un mediatore culturale. "Ciascuna articolazione sociale - dice - esprime dal suo interno un mediatore. E cosi' abbiamo i sacerdoti della mafia e i sacerdoti dell'antimafia". Quello che accade per la mafia, accade in maniera diversa anche in altri ambiti. La questione della guerra e' uno di questi ambiti e il protestantesimo che teologicamente afferma che non c'e' altro mediatore fra Dio e umanita' tranne Cristo, conosce invece anch'esso i propri mediatori attraverso la scelta, l'interpretazione e l'attualizzazione dei testi biblici. Questa mediazione rende possibile che ci siano cristiani a favore della guerra (quella contro l'Iraq e' solo l'ultima della serie) e altri fermamente contrari. Come uscire da questa contraddizione che rattrista e imbarazza? * Norman Kember e i suoi tre amici hanno deciso di non accontentarsi di dichiarazioni teoriche ma di porre la loro vita a testimonianza di fede con al centro il Cristo mediatore di riconciliazione. Egli fu colui che prese su di se', come l'antico servo del Signore in Isaia 53, il peso delle colpe del suo popolo e di tutti i popoli. Norman ha scelto la via del discepolato di quel Cristo, offrendo le sue mani e le sue energie per aiutare le vittime, guarire le ferite, costruire ponti fra gli umani al di la' delle barriere erette dagli amanti dello scontro di civilta'. Credo che qui ci sia una via d'uscita dalle contraddizioni dei mediatori: seguire Cristo concretamente, vivere un discepolato attivo in mezzo alla gente coniugando fede e vita vissuta. Anche a costi alti. Preghiamo e speriamo ancora che per Norman, Tom, James e Harmeet i costi non diventino davvero troppo alti. 5. MONDO. MARINA FORTI: I CONTI DELLO TSUNAMI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 dicembre 2005. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Guardata (quasi) un anno dopo, l'onda di tsunami che ha devastato gran parte delle coste affacciate sull'oceano Indiano resta un evento eccezionale. Non solo in se', come catastrofe naturale: un'onda di maremoto - ombak besar, "onda grande", come l'hanno chiamata a Aceh in Indonesia - che in poche ore colpisce dalla punta settentrionale di Sumatra alle coste della Thailandia e in parte della Malaysia, alla Birmania, tre quarti delle coste di Sri Lanka, l'India meridionale, le Maldive, e arriva fino all'Africa orientale. Anche il bilancio e' eccezionale: 162.000 morti accertati e 142.000 dispersi, dunque oltre 304.000 vite perse - senza contare che restano ancora oltre 900.000 sfollati. Lo tsunami di fine anno scorso e' stato eccezionale pero' anche per altri aspetti, piu' "umani": basti pensare che gli aiuti stanziati per le vittime dello tsunami hanno superato ogni record. Un anno dopo dunque vale la pena di guardare cosa e' successo dopo la "grande onda" - e in particolare, come si e' mossa la solidarieta' internazionale. Ed e' quello che ha fatto l'associazione di giornalisti "Lettera 22", che in marzo aveva pubblicato un saggio critico (Geopolitica dello tsunami, edizioni ObarraO) e ieri a Roma ha riunito alcuni dei protagonisti italiani: la Cooperazione italiana (il suo direttore generale Giuseppe Deodato), la Protezione civile (il direttore delle operazioni internazionali Agostino Miozzo), le organizzazioni non governative (Sergio Marelli e Daniele Scaglione, rispettivamente delle Ong italiane e del Coordinamento italiano network internazionali). Riassumiamo (dal dossier preparato da "Lettera 22"). Gli aiuti internazionali per le popolazioni colpite dallo tsunami hanno superato ogni record: tra fondi privati e pubblici sono circa 11 miliardi e 434 milioni di dollari. Nell'arco del 2005 sono in effetti stati stanziati poco meno di 6 miliardi di dollari, che resta comunque un record assoluto. Gianni Rufini, docente di peacekeeping all'Universita' di York, faceva notare che per il terremoto in Pakistan sono stati promessi 5 miliardi ma ne e' arrivato meno di uno (per circa 80.000 vittime). Nel caso dello tsunami, inoltre, ha avuto grande peso la raccolta di fondi privati, che in alcuni paesi hanno superato i fondi pubblici - in Italia con i messaggi sms e altre donazioni sono arrivati alla Protezione civile 46 milioni di euro. Questo e' probabilmente effetto della copertura dei mass media: per settimane lo tsunami e' stato sulle prime pagine e in testa ai notiziari tv, e le storie drammatiche sollecitano la generosita'. Sfortunato, il terremoto pakistano e' scomparso dai media dopo solo tre giorni... Tutto questo solleva questioni importanti. Riassume il senatore Francesco Martone: il coordinamento tra interventi pubblici e privati, tra organizzazioni non governative (Ong) e attori come la Protezione civile. E poi la trasparenza, tanto piu' se la raccolta di fondi diventa sempre piu' affare privato. Un'altra domanda di fondo e' posta da Sergio Marelli: le Ong italiane, dice, hanno mobilitato 400 milioni di euro (in parte fondi pubblici, ma alcune decine di milioni raccolti direttamente), a fronte di 380 milioni di euro per la Cooperazione stanziati dalla prossima finanziaria. Dunque le Ong sono un attore di rilievo della cooperazione. E pero', attacca Marelli: ci danno i soldi, ci affidano molti progetti, ma non siamo consultati quando si tratta di decidere. In effetti la commissione dei cinque "saggi" formata in marzo dalla Protezione civile per decidere sull'uso dei fondi dello tsunami (presentera' il suo rapporto tra qualche giorno) non ha mai convocato le Ong, come promesso. Gia': proprio in occasione dello tsunami la Protezione civile (in Italia ma anche altri paesi europei) e' emersa come protagonista: si e' "proiettata nell'umanitario", per usare le parole di Agostino Miozzo, che preconizza una divisione dei compiti: la Cooperazione si occupa di ricostruzione e sviluppo, le Protezioni civili degli interventi di emergenza (Miozzo parla anche di un corpo europeo). Resta poi la vecchia questione di coinvolgere le comunita' locali, che in questo caso sembrano piu' oggetto di attenzione che protagonisti. 6. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: LA VIOLENZA. DEGLI UOMINI [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo intervento apparso sul quotidiano "Liberazione" del 9 dicembre 2005. Stefano Ciccone, intellettuale e militante della sinistra critica, e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una profonda e acuta riflessione individuale e collettiva sull'identita' sessuata e nell'analisi critica e trasformazione nonviolenta dei modelli e delle culture del maschile all'ascolto del pensiero e delle prassi dei movimenti delle donne] Le violenze maschili contro le donne dicono molte cose sulla nostra societa' e le relazioni che viviamo. Per questo e' importante la scelta di "Liberazione" di continuare a proporre un dibattito che chiama in causa donne e uomini. E chiama in causa una politica che voglia ascoltare e trasformare le relazioni tra le persone, interpretare i conflitti e le domande di liberta' che intrecciano le vite di ognuno e ognuna di noi. La violenza e' questione che riguarda innanzitutto gli uomini. Gia', perche' sono uomini quelli che stuprano, picchiano, umiliano, fino a volte ad uccidere. Uomini come noi, simili a me. Ed e' necessario che nel maschile si apra una riflessione, ma anche un conflitto. La violenza contro le donne non e' infatti riducibile alla devianza di maniaci o marginali contro i quali alimentare risposte emergenziali che, paradossalmente, alimentino politiche securitarie. Non c'e' un nemico oscuro nascosto nelle nostre strade da espellere: il male e' nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nell'immaginario sessuale che abbiamo costruito. La violenza contro le donne, inoltre, e' solo marginalmente rinviabile ad arretratezza culturale ne' e' retaggio di un passato premoderno: riguarda tutte le latitudini del nostro paese, la provincia come le grandi citta', tutte le classi sociali e i livelli di istruzione. Interroga direttamente la nostra "normalita'" e il nostro presente. E' anche fuorviante interpretare questa violenza come frutto di un "disordine". Al contrario il suo permanere, in forme socialmente e culturalmente ogni volta determinate, mostra come sia vitale un ordine simbolico, un sistema di poteri che plasma i corpi, le identita', le relazioni. Un ordine invisibile che ancora segna le nostre prospettive esistenziali, le nostre opportunita' di decidere di noi stessi/e. Lo chiamo patriarcato per ricordare che il conflitto con esso non e' riducibile a categorie sociologiche e, soprattutto, a riconoscere che e' stato nominato politicamente e dunque reso visibile da un soggetto: il movimento delle donne nella sua pluralita' di pratiche e prospettive. Non dobbiamo misurarci tanto con una debolezza femminile a cui fornire (paternalisticamente) tutele (tutele delle donne dalla violenza, tutela della loro presenza nello spazio pubblico tramite quote di garanzia), quanto con un universo maschile generatore di questa violenza. Cio' su cui dobbiamo riflettere, e produrre pratiche capaci di cambiare comportamenti, modi di pensare se stessi e il mondo, e' la costruzione della nostra identita' di uomini. Guardare dentro questo universo e dentro di noi ci porta a indagare quali siano i fili sotterranei che legano le storie, i desideri, le fantasie, i bisogni di ognuno di noi, nella nostra "normalita'" con questa tensione alla violenza. La violenza estrema dell'uccisione rischia di farci dimenticare le tante facce di quell'universo che ha a che fare con lo stupro, con il consumo del corpo femminile, con la sessualita' ridotta a sfogo separato dalle relazioni, con l'imposizione del corpo maschile e con le categorie misere della potenza, della prestazione e della virilita' incapaci di riconoscere la soggettivita' femminile. Quante violenze, quanti abusi nascono dalla rimozione del desiderio e del piacere femminili schiacciati in una presunta complementarieta' con le forme che il maschile ha assunto? Cosa dice tutto questo? Non parla soltanto di una violenza insensata ma racconta di un universo piu' complesso, un deserto nelle relazioni, una rappresentazione del corpo e del desiderio maschile schiacciati nella categoria dei bassi istinti da imporre con la violenza o con il denaro, di una sessualita' maschile ridotta alla sua rappresentazione rattrappita della virilita' e scissa dalle relazioni. Svelare questa miseria non vuole proporre un vittimismo ne' pensarla esaustiva, ma individuare una chiave di lettura della violenza e una prospettiva che faccia della reinvenzione della sessualita' maschile la leva per sradicarla e al tempo stesso per aprire nuove opportunita' di vita per noi uomini. * Ha avuto ragione Angela Azzaro a chiedere agli uomini una parola di verita' che non fugga nell'astrazione politica o sociologica ma che parta da ognuno di noi. Questo tentativo di riflessione, pur se minoritaria, ha avuto un suo percorso e mi permette oggi di trovare parole per nominarla oltre la versione riduttiva della "confessione personale". La violenza contro le donne e la continua verifica di forme di complicita' maschile e femminile con schemi del patriarcato rivelano la vitalita' di un sistema di dominio. Ma e' vero che questo e' ormai disvelato ai nostri occhi. E che e' sempre piu' difficile guardare come naturale l'ordine della gerarchia tra i sessi, la presunzione di corrispondere al metro neutro dell'umanita' da parte del maschile. Almeno per me e' sempre piu' difficile sopportare le forme di socialita' tra uomini, e' sempre piu' difficile stare a mio agio nelle aspettative a cui mi si chiede di corrispondere. E' come se un modo di guardare il mondo, e di cogliere cio' che segna i linguaggi, la politica, le relazioni, una volta aperto non fosse piu' rimovibile. E' impossibile non guardare una sala in cui i relatori sono solo uomini e pensare ancora che cio' sia casuale, guardare un corteo con gli uomini alla testa col megafono (quando non schierati militarmente a simulare mimeticamente il "nemico") e non sentire l'estraneita' con quella virilita' subalterna e ostentata. Al tempo stesso ogni giorno scopro dentro di me complicita', comportamenti di cui percepisco l'internita' a quell'ordine, a quel sistema di gerarchie e poteri. Ogni giorno, nel riconoscimento di autorevolezza tra uomini nella politica o nel lavoro, nel percorrere di notte con agio le strade delle nostre citta', nel progettare la mia vita politica e professionale, misuro il peso dei "dividendi" del patriarcato di cui beneficio. Ma ogni giorno, dentro di me, guardando alla perdita di senso e autorevolezza di modelli maschili consolidati e dal suono stonato delle ostentazioni di autorita' di molti miei simili, misuro quanto questi dividendi siano pagati con moneta falsa, che non ha piu' corso nella mia contemporaneita' per dare senso alla mia vita e ai miei desideri. Questo continuo movimento tra estraneita' e continuita' con la storia del genere a cui appartengo e' parte della riflessione che come uomo, insieme ad altri ho tentato di sviluppare. Questa scelta e' condizione perche' la rottura con la violenza avvenga senza quelle ambiguita' che hanno spesso segnato la presa di posizione maschile. Innanzitutto quella del volontarismo: essere contro lo stupro per necessita' etica condannando qualcosa che nulla avrebbe a che fare con noi. La reazione di sconcerto per la violenza e' una risorsa da non mettere da parte ma nasconde dentro di se' un doppio rischio di ambiguita': quello di considerarla una questione che non ci riguarda e verso la quale ci chiniamo per solidarieta' e il ricorso, di nuovo, alla qualita' virile dell'autocontrollo capace di disciplinare un maschile portatore di una componente naturalmente violatrice e ferina. Un'operazione che dunque non rompe con una rappresentazione storica del maschile come soggetto portatore di istinti irrefrenabili e al tempo stesso detentore della ragione e della capacita' di dominio sul corpo proprio e della donna. * I gruppi di uomini che hanno avviato una critica politica ed esistenziale della maschilita' scelgono questa rottura con il patriarcato non solo o non tanto per un obbligo etico, quanto come opportunita' di liberazione. Se infatti la tensione del maschile ad affermare il proprio controllo fisico, tecnologico, normativo, sul corpo della donna deriva anche da un conflitto ingaggiato per contrastare il primato femminile nella procreazione, e dalla necessita' di costruire un nesso visibile del maschile con la genealogia (fino a fondarla sul nome del padre) il riconoscimento di questo limite puo' essere l'occasione per fare un'esperienza dell'essere uomini nuova, che fondi nella relazione la costruzione del proprio posto nel mondo. Il rapporto apparentemente necessario col potere nell'essere uomini non e' solo all'origine della violenza contro le donne ma anche della desertificazione delle relazioni tra uomini, della loro fondazione sul silenzio, sulla tacita condivisione di un obiettivo esterno (o di un nemico esterno) che supplisca a quell'impossibile intimita' tra corpi potenzialmente invasivi e anestetizzati nella loro capacita' di sentire e tra soggetti costretti a misurare nella competizione per il potere la propria identita'. La ricerca delle radici della violenza ci ha portati a indagare la costruzione della maschilita', le domande che hanno attraversato la nostra storia, le costrizioni che hanno limitato le nostre vite. E abbiamo scoperto la liberta' femminile e questa ha trasformato il mondo e noi stessi. Le relazioni tra i sessi e il conflitto che segna questa irriducibile differenza sono oggi un terreno su cui si misura la capacita' della politica di essere luogo di trasformazione e liberazione e non complice di nuove forme di dominio e gerarchia. Al contrario linguaggi e priorita' programmatiche della politica rischiano di segnare le nostre complicita' e rivelare l'inadeguatezza di una politica neutra contro la necessita' di costruire soggettivita' che dalla propria parzialita' leggano e reinventino conflitti inediti e non riducibili. La troppo frettolosamente archiviata sconfitta nel referendum ci ricorda come sulle norme e le tecnologie di controllo dei corpi, esista un conflitto che riguarda la liberta' femminile: un terreno su cui la destra costruisce consenso e su cui cresce un'offensiva che non si puo' contrastare in nome di categorie astratte come la laicita' e la liberta' di ricerca senza guardare alla materialita' dei soggetti. Cosi' la crescita di politiche di appartenenza identitaria che propongono il sangue, la genealogia maschile come luogo di ricostruzione di identita' frammentate dalla globalizzazione e dall'incrinatura di grandi prospettive progressive, esercitano una grande seduzione sugli uomini ad ogni latitudine e aiutano a capire la torsione integralista di movimenti, il continuo rischio di complicita' che segna pratiche politiche che si vogliono antagoniste. E' possibile dunque costruire una politica di trasformazione che non si misuri con una critica dei modelli di mascolinita'? La necessita' di aprire una riflessione critica sul maschile e di agire un conflitto esplicito nel maschile sono insomma questione centrale per la politica e la cultura. Pena l'avvizzimento di ogni tensione di trasformazione in forme subalterne e emendative. Chiedere che questo conflitto che cerchiamo di agire con il maschile diventi politica non e' fuga dalla fatica individuale di scavare nelle nostre contraddizioni individuali ma rifiuto di relegarla a questione privata. E' anche desiderio che, divenendo pubblica e socialmente visibile, possa rompere la solitudine con cui molti uomini vivono la propria difficolta' a condividere con altri il proprio singolare differire rispetto a un modello di mascolinita' oppressivo. 7. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LA SPIAGGIA E IL COLORE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 dicembre 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] Bondi e' la spiaggia di Sydney dove vanno tutti i miei amici il sabato e la domenica, e dove io stessa sono andata assieme a loro quando sono stata la' due anni fa e l'anno scorso. E' la pausa, il sole, le onde dell'oceano che arrivano lente, la passeggiata a piedi nudi sulla sabbia o sulle rocce fino a Bronte, il mercatino delle pulci sul lungomare dove trovi l'usato a niente come in Europa non capita piu'. Leggo sulle agenzie che domenica e' stata pattugliata da agenti a cavallo (che a me ricordano Genova 2001, ma lasciamo perdere) e resto esterrefatta. Bondi come Cronulla e come tutte le altre spiagge di Sydney, e ora anche su per la Gold Coast a nord di Sydney e dappertutto. La globalizzazione gioca questi brutti scherzi, ti porta in giro per il mondo, ti moltiplica i luoghi del cuore e dell'immaginario e poi te li fa a pezzi. Che c'entrano gli agenti a cavallo con le mie passeggiate con Vittoria, Brett e Lisa, che c'entrano gli scontri razziali di queste settimane con le nostre chiacchierate sul modello multiculturale australiano e sul nomadismo postmoderno delle ultime generazioni meticciate che vivono in Australia per scelta o per caso? Che cosa e' accaduto perche' il pluralismo etnico di Sydney, felice malgrado le mai sopite pretese di supremazia della comunita' anglosassone, mostrasse improvvisamente la faccia del Condominio di Ballard con i suoi scontri per il possesso del territorio, e sotto il nomadismo postmoderno crescessero fissazioni identitarie coperte, sul versante bianco, da un nazionalismo che non e' nel dna australiano e che improvvisamente viene impresso nel corpo con i tatuaggi della bandiera? C'erano tutti i segnali, e' vero, nella politica di Howard, dal trattamento degli immigrati alla partecipazione alla guerra in Iraq alla legislazione d'emergenza antiterrorismo, razzista come tutte le legislazioni d'emergenza antiterrorismo, dalle norme antisciopero all'abbattimento del welfare. Bastano a spiegare gli scontri, la spedizione punitiva dei surfisti bianchi contro i leb e i wog, l'organizzazione dei raduni via sms, e adesso lo "stato d'assedio", cosi' lo chiama l'Ansa, che si preannuncia per tutta l'estate sulle spiagge della piu' bella baia urbanizzata del mondo? 59 arresti nel week-end, 200 in tutta la settimana, 2000 agenti sguinzagliati in citta' a piedi, in moto e a cavallo e dotati dei nuovi poteri che il governo si e' affrettato a fornirgli, bombe incendiarie, sbarre di ferro, coltelli e cellulari sequestrati. Macchine incendiate dagli arabi dei sobborghi come nelle banlieues di Parigi. Su "Fibreculture", una mailing list no-global che discute con prontezza di tutto quello che accade, alcuni mettono in rapporto le due situazioni, scrivono che a Sydney come a Parigi l'emarginazione delle periferie produce questo e altro. Altri si preoccupano per la stretta di sorveglianza su sms e e-mail che certamente non manchera'. Altri, Geert Lovink per esempio, dice che sotto le motivazioni razziali si nascondono poste in gioco che riguardano il territorio e il sesso. La mia amica Ilaria Vanni mi scrive che anche secondo lei ci sono di mezzo i rapporti fra i sessi: "la mancata accettazione della fine del patriarcato, o se vuoi il suo canto del cigno, visto che le dichiarazioni dei bianchi contro gli arabi sono del tipo 'vengono qua e trattano male le nostre donne, dobbiamo difendere le nostre donne'". Lo sappiamo dalla Francia della legge sul velo e dagli Stati Uniti della guerra di liberazione dal patriarcato islamico: quando le donne diventano una bandiera da sventolare a copertura d'altro, si mette male. Ilaria aggiunge che questa difesa delle donne maschera l'ansia del contagio della razza dei maschi bianchi, un punto ricorrente nella storia australiana che continuera' a spuntare selvaggiamente dall'inconscio sociale fino a quando non ci sara' pubblica elaborazione del genocidio aborigeno, della violenza degli inglesi sulle donne aborigene, della nascita dei bambini meticci soprannominati "mezzo sangue o mezza casta". Per il passato. Per il futuro, la nuova macchina di selezione del seme maschile inventata a Melbourne e annunciata con clamore sabato scorso in un congresso sull'infertilita' potra' forse placare quest'incubo del contagio del sangue bianco. 8. DOCUMENTI. LORENZO MILANI: LETTERA AI CAPPELLANI MILITARI [Riproponiamo ancora una volta la milaniana "Lettera ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965", uno dei documenti raccolti ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga malattia nel 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio bibliografico sintetico e' in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla pace, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1998. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta', supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002] Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo. Avremmo pero' voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola. Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente. Primo, perche' avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore. Secondo, perche' avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono piu' grandi di voi. Nel rispondermi badate che l'opinione pubblica e' oggi piu' matura che in altri tempi e non si contentera' ne' d'un vostro silenzio, ne' d'una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti saro' ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste. Non discutero' qui l'idea di Patria in se'. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi pero' avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi diro' che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto. Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona. Certo ammetterete che la parola Patria e' stata usata male molte volte. Spesso essa non e' che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben piu' alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. E' troppo facile dimostrare che Gesu' era contrario alla violenza e che per se' non accetto' nemmeno la legittima difesa. Mi riferiro' piuttosto alla Costituzione. Articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli...". Articolo 52 "La difesa della Patria e' sacro dovere del cittadino". Misuriamo con questo metro le guerre cui e' stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia. Se vedremo che la storia del nostro esercito e' tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese piu' la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari? Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verita' in faccia ai vostri "superiori" sfidando la prigione o la morte? se siete ancora vivi e graduati e' segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la piu' elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza. Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioe' noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1.000 miliardi l'anno) l'esercito, e' solo perche' difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranita' popolare, la liberta', la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva piu' che educaste i nostri soldati all'obiezione che all'obbedienza. L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo. Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare. 1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tento' di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria. A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa e' alle porte. La Costituzione e' pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni di sovranita' necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, cosi' come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei. La guerra seguente 1866 fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo con il popolo piu' attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l'Austria insieme. Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant'e' vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant'e' vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, e' stata rinviata a causa della pioggia". Nel 1898 il Re "Buono" onoro' della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che e' bene ricordare. L'avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perche' i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu ne' un ferito ne' un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perche' era rincarata. Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo. Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perche' quel giornale considera la vita d'un bianco piu' che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa? Idem per la guerra di Libia. Poi siamo al '14. L'Italia aggredi' l'Austria con cui questa volta era alleata. Battisti era un Patriota o un disertore? E' un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una "inutile strage"? (l'espressione non e' d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato). Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza "cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Cosi' la Patria ando' in mano a un pugno di criminali che violo' ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa). Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" a aggredire l'infelice popolo spagnolo. Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al prezzo d'un milione e mezzo di morti riusci' a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d'ogni liberta' civile e religiosa. Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani tutto questo non sarebbe successo. Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato. Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire? Poi dal '39 in la' fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia). Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici piu' nobili che l'umanita' si sia data. L'uno rappresenta il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su questa terra, liberta' e dignita' umana ai poveri. L'altro il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri. Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni liberta' se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente). Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono piu' avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra e' stata un confronto di ideologie e non di patrie? Ma in questi cento anni di storia italiana c'e' stata anche una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i "regolari"? E' una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i "ribelli"? Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro. In molti paesi civili (in questo piu' civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria piu' degli altri, non meno. Non e' colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione. Del resto anche in Italia c'e' una legge che riconosce un'obiezione di coscienza. E' proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti. In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si e' ancora pronunziata ne' contro di loro ne' contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s'e' mai sentito dire che la vilta' sia patrimonio di pochi, l'eroismo patrimonio dei piu'? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti e' la prigione, ma non e' bello star dalla parte di chi ce li tiene. Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha fatto. Piu' maturo condanno' duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita? Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio e il comandamento del Signore e' "estraneo al comandamento cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete! Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Liberta', Verita'. Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verita' e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima. Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano. Lorenzo Milani sac. 9. RILETTURE. LUDWIG FEUERBACH: SCRITTI FILOSOFICI Ludwig Feuerbach, Scritti filosofici, Laterza, Roma-Bari 1976, pp. XXXVI + 324. A cura di Claudio Cesa, una bella raccolta di scritti di uno dei nostri piu' grandi maestri. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1153 del 23 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 43
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1154
- Previous by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 43
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1154
- Indice: