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La nonviolenza e' in cammino. 1142
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1142
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 12 Dec 2005 00:40:19 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1142 del 12 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Alcuni appunti da una lezione di Luisa Muraro 2. Giulio Vittorangeli: Avere fra le mani un buon libro 3. Lidia Menapace: Quelli che... 4. Antonio Vigilante: Un profilo di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto 5. Antonio Vigilante: Un profilo di Lev Tolstoj 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. ALCUNI APPUNTI DA UNA LEZIONE DI LUISA MURARO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo i seguenti appunti dalla lezione di Luisa Muraro su "L'ordine simbolico della madre. Ripensamenti" svolta il 28 ottobre 2005 nell'ambito del seminario di Diotima su "L'ombra della madre"; gli appunti della lezione sono a cura di Laura Colombo e Sara Gandini. Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Sono i lettori che danno a un libro il suo compimento - o piu' compimenti. Non e' lo scrittore. Un autore puo' fare solo la retractatio (nel senso di S. Agostino), che non e' la ritrattazione, ma e' ripensare il libro da lontano. Ripensamento = riguardare il libro a distanza di tempo. Non e' ne' autocritica ne' una cosa celebrativa. L'ordine simbolico della madre e' un libro controverso perche' e' una scommessa non vinta, ma neppure persa. E' una scommessa ancora aperta. E' un libro che tenta qualcosa e chiama altre a lavorare su quel tentativo. Pero' alcuni non l'hanno fatto, non hanno raccolto la scommessa. Per esempio una lettrice che ha dato compimento al libro e' Francesca Solari (regista di Addio Lugano). Un altro esempio e' un amico psicoanalista francese, che si e' chiesto dove sia il padre in questo libro. E ha detto che bisognava che una donna dimenticasse il padre per svincolarsi dal potere. La sua critica e' che il libro mette la figura della madre al posto del padre. Questa critica secondo Muraro da' troppo per scontato che il padre ci sia. Lacan, gia' nel 1969, diceva che il padre si e' volatilizzato. Ma allora il libro e' inserito nel nuovo mondo senza padri? Non e' questo. Piuttosto si trova all'inizio della parabola del patriarcato, e il padre non c'e' ancora. Nel libro il padre non compare per Luisa Muraro, se non come figura che aiuta la madre. Muraro e' una donna che non ha investito sufficientemente la figura paterna. Un padre bisogna farlo vivere, bisogna investire nei padri, crederci. Facendo il lavoro sul negativo con Diotima, ha incontrato lo psicoanalista francese Andre' Green, che si e' occupato delle madri che hanno subito una perdita grossissima, un lutto che non si lascia consolare. Green incontra principalmente chi viene da questa esperienza, ossia i figli di una madre morta. Secondo Green ci sono delle ferite che trovano un teatro delle operazioni dove questa sofferenza si esplica in modo autentico, e quindi si puo' operare uno spostamento. Qual e' il teatro delle operazioni di chi ha scritto L'ordine simbolico? L'autrice si e' spostata, ha abbracciato la politica delle donne, che e' diventata il luogo della sofferenza materna e dell'impotenza creaturale. Francoise Collin parla di riconciliazione con la madre, che e' una scommessa feconda per molte donne. E' un darsi e dare senso. Anche Green parla di ricerca di senso (in francese lui dice "quete du sens") come filo conduttore della sofferenza dei suoi pazienti. * Idea centrale della retractatio: nel libro ci sono due strati che si sovrappongono, come in un palinsesto (testo antico scritto in diversi strati, ogni volta ricoprendo il precedente). Il primo strato e' l'attaccamento a una madre ferita dentro. Lo strato sovrapposto e' la politica delle donne. La scommessa del libro e' la libera comunicazione tra i due strati. Ossia la possibilita' di riaprire questa comunicazione, e quindi che il movimento delle donne possa ricevere l'antica sofferenza materna e l'impotenza femminile senza mediazioni specialistiche (psicologia ecc). La scommessa sarebbe quella di sovrapporre due scene difformi e far si' che ne venga fuori senso, non delirio. E' una cosa che ha visto nei gruppi di pratica dell'inconscio: sofferenza messa in parole perche' acquisti senso. In altri termini la scommessa sarebbe di immettere qualcosa della potenza materna nella scena pubblica, senza quelle mediazioni che normalmente rendono il discorso sensato. Nel libro (L'ordine simbolico della madre), a volte ha avuto paura che la scena "raschiata", arcaica, muta, straripasse e prendesse il sopravvento. Anche nel momento in cui scriveva le e' successo, per esempio nel secondo capitolo, quando parla dell'amore femminile per la madre. Li' sentiva che il pensiero fluiva. Amore femminile per la madre = e' un trascendentale ma nel senso medievale, non kantiano (ossia e' "il baluginare dell'essere nella scena empirica", non - come per Kant - la condizione della conoscibilita' degli oggetti, ossia l'a priori, quello che il soggetto immette nelle cose nell'atto stesso del conoscere). Nello stesso tempo, insieme al libero fluire del pensiero, si perdeva. Era la sofferenza che avanzava e in quei momenti usava la filosofia come una maschera. Rispetto ad allora ha imparato, leggendo le poetesse. E' partita da Amelia Rosselli che, per dire quello che le preme, arriva quasi a non dire niente. Quindi e' molto audace, ha un'enorme tensione interna. * Sempre per stare nel tema della scommessa, riprende il mito di Demetra e Core. Demetra e' la madre morta per eccellenza. Riprende un episodio della consolazione di Demetra dei misteri orfici: sulla strada tra Atene ed Eleusi Demetra incontra due poveri che la accolgono con molta ospitalita'. La padrona, Baubo, le prepara una bevanda di orzo, che Demetra rifiuta. Allora Baubo si siede e alza la gonna mostrandole il suo sesso nudo. Il feto che porta in grembo ride e allora anche la dea ride. In quel momento Baubo le mette in mano la tazza e la dea beve. Green = il soggetto in cura da lui cosa fa con lui nei confronti della madre morta, per riparare la madre morta? Cerca di farla ridere e sorridere. E' questo che Muraro fa nell'ordine simbolico, dove c'e' proprio il motivo di far ridere la madre. Ma qual e' la perdita irreparabile della madre? L'umanita' femminile ha perduto la propria originalita' a causa del rapporto con l'uomo. Quindi le donne interiorizzano le esigenze maschili fino a perdere il proprio dell'originalita' femminile. C'e' quindi l'esigenza di mettere insieme il ragionamento e il sentire, una libera comunicazione tra strati profondi, stati inconsci e razionali. Questione: nella societa' femminile e' possibile risolvere il lutto materno e l'impotenza creaturale? - lutto materno = perdita del bello che il rapporto con la madre avrebbe potuto creare - impotenza creaturale = nel sociale vediamo l'esempio delle quote rosa... la paziente di Green non ha successo con la madre, mentre Baubo ce l'ha, c'e' quindi la questione dell'efficacia. Il rito orfico, eleusino, aveva efficacia terapeutica? E ancora: la scena psicoanalitica ha efficacia? La lettura/scrittura ha efficacia? Le pratiche politiche del libro hanno efficacia? Ci sono diverse possibilita': 1. la politica delle donne consente la libera comunicazione tra le due scene, ossia rende disponibile - alle donne e alla societa' - qualcosa della potenza materna. 2. la politica degli uomini non ha questa capacita' perche' hanno bisogno delle separazioni (ex.: pubblico/privato). 3. Zizek e Butler (non prosegue poi su questo punto, lo nomina solo). 4. dubita che una donna aspiri all'indipendenza simbolica attraverso l'introduzione di un'istanza terza, perche' per una donna e' una deportazione nel maschile che equivale a un depotenziamento della competenza simbolica. Un esempio e' quando ci si consegna mani e piedi agli specialisti. Quindi tentare di aprire la comunicazione diretta col mondo primario della relazione materna e' necessario, anche se e' rischioso. La deportazione nel maschile, quando e' ben riuscita, fa uscire le Thatcher, per tutte le altre si traduce in un difetto di autorita' e originalita'. Una donna non puo' immettersi alla pari nel mondo della politica maschile. E non per le discriminazioni, ma perche' ha perduto il privilegio del suo sesso, ossia l'essere nata dello stesso sesso della madre (che a me pare piu' una fregatura che un privilegio...). La pratica politica delle donne e' bevanda nutriente e teatro comico e per Muraro questo e' il riassunto dell'opera della societa' femminile nella storia. * Dibattito - Domanda: La scommessa del libro non e' ne' persa ne' vinta. Ma cosa doveva esserci per considerarla vinta? - Risposta: Per esempio: che gli istituti della democrazia rappresentativa siano riconosciuti come esigenze degli uomini, e le donne non si conformino. E ancora: la legge 40 (sia il fatto di farla che il referendum per tentare di abolirla). Non c'e' stata chiarezza sul pensiero delle donne, non e' stato chiesto nulla alle donne. Quindi il sentire e pensare delle donne non e' stato interrogato. * - Domanda: Il lutto per la perdita primordiale inconsolabile (che e' perdita del vero se') e' risolvibile, oltre che nelle modalita' della cultura maschile, anche uscendo dallo scenario, quindi nella cultura femminile. Ma e' possibile solo mettendo in antitesi le due culture? - Risposta: La perdita del se' autentico e' un tema molto trattato in psicoanalisi (Winnicott...) alla ricerca di opere di riparazione. Figlia = deve operare una riparazione verso la sua figura umana femminile. E' d'accordo sul mettere insieme le cose, e non separare. Che ci sia una pratica politica delle donne giocata nel pensiero maschile, con efficacia di pensiero e invenzione di parole. * - Domanda: Nell'ordine simbolico c'era un elemento di pienezza d'essere. Nel lavoro sul negativo fatto con Diotima, Muraro ha detto di aver capito che il limite del libro era proprio questa pienezza d'essere. Quali sono gli elementi di apertura rispetto a questa pienezza? - Risposta: Il riso e' un elemento di apertura. Il riso immette un'apertura rispetto alla pienezza, alla necessita' dura che copre l'orizzonte. Questo elemento del primato dell'essere, primato della presenza sull'assenza, nell'Ordine simbolico ha anche il senso di una ricerca di un pensiero filosofico in controtendenza col postmodernismo. Ma poi questo punto della pienezza d'essere viene enfatizzato in una forma che si avvicina all'idealizzazione, che e' inganno. Quindi c'e' una pienezza d'essere che copre una ferita e una sofferenza. Elementi che vanno a incrinare la pienezza: sofferenza patita dalla madre nei confronti della figlia e della donna, sofferenza che la donna ha patito nel patriarcato. Il riso e' un'apertura che fa ripartire i giochi quando la sofferenza ristagna. * - Domanda: Ma questa sofferenza e' strutturale? O riguarda solo il mondo patriarcale? Ma allora cosa significa quello che dicevi che il libro sta all'inizio della parabola del patriarcato? - Risposta: La storia del libro non e' solo cronologica. Per meta' della faccenda non e' una questione di tempo. Ossia: ogni coppia madre/figlia riassume in se' la storia del patriarcato. Il senso dell'inizio e' che il padre puo' non esserci per mancato investimento libidico, amoroso. Ma allora la sofferenza e' tutta e solo a carico del patriarcato? No, c'e' altro, non c'e' solo il dominio sessista e patriarcale nella sofferenza che si tramanda di madre in figlia. Ma cosa ci sia Muraro non sa. E' un'esperienza muta e sorda, che lei patisce ma non ha ancora messo in parola. 2. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: AVERE FRA LE MANI UN BUON LIBRO [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Viviamo in un'epoca di grande banalita' e superficialita', caratterizzata da un dilagare di telefonini che squillano in continuazione per messaggi di una inutilita' disarmante. Tenersi eretti e vigili non e' cosa da poco: "Avere fra le mani un buon libro, scoprire la gioia di cercare di rispondere a domande che noi stessi ci poniamo per non cadere nelle trappole del conformismo; ascoltare i bambini; inventare feste; parlare sottovoce con chi ci sta accanto per sapere se, per caso, non siamo meno soli di quanto crediamo; avere il coraggio di innamorarci; guardare dai finestrini e domandarci se non c'e' proprio niente che possiamo fare per frenare gli assalti al Creatore; e nelle grigie stazioni di questo inverno ascoltare i poveri: quelli che gridano e quelli che mormorano, essendo gli uni e gli altri i piu' esatti definitori della civilta' in cui noi e loro viviamo. Forse puo' anche essere un programma per il Natale" (Ettore Masina, "Lettera" del novembre 2005). Avere fra le mani un buon libro, non e' cosi' scontato come sembra, perche' ci dicono che presto il libro cessera' di esistere, rimpiazzato dai mezzi di comunicazione piu' moderni. Cosi' il libro elettronico si convertira' nella fonte di ogni conoscenza. Ma in realta' noi tutti sappiamo che quel libro che il lettore puo' tenere nelle sue mani o lasciare sul comodino vicino al letto, non potra' essere sostituito da una sessione di alcune ore di fronte a uno schermo. Perche' al libro, cosi' fragile, si affida la cosa piu' duratura, e piu' preziosa, che l'essere umano abbia inventato: la parola. * Allora vogliamo segnalare un libro uscito in questi giorni: "Que linda Nicaragua!", pubblicato dall'Associazione Italia-Nicaragua in occasione dei suoi venticinque anni di attivita' in Nicaragua, Fratelli Frilli editori, Genova novembre 2005, pp. 385 (per informazioni e richieste si veda nel sito dell'Associazione: www.itanica.org). Un librone che raccoglie documenti, fotografie, testimonianze e riflessioni autorevoli di personalita' - italiane e nicaraguensi - del mondo politico, sindacale, sociale, culturale ed intellettuale, che hanno dato il proprio contributo in forme diverse alla solidarieta' con il popolo del Nicaragua in questi 25 anni di attivita'. Senza retorica e senza rinunciare a spunti critici e autocritici, il libro racconta gli ultimi anni di storia nicaraguese attraverso l'ottica di un'associazione che ha trovato la sua ragion d'essere con la rivoluzione popolare sandinista, giungendo ai giorni odierni e provando a dare risposte ad interrogativi per niente facili, con la convinzione che una pagina come quella scritta dal sandinismo non va conservata solo nel cassetto delle nostalgie. Cosa resta di quella forma di impegno, la scommessa incondizionata e gratuita con il Nicaragua sandinista in rivoluzione, nel mondo globalizzato di oggi? Cosa insegna all'attuale movimento altermondialista quella solidarieta' di massa con il Nicaragua? Fatti storici come la confluenza tra sandinismo, marxismo e cristianesimo, e l'aggressione terroristica statunitense della "guerra a bassa intensita'" negli anni '80, fanno da sfondo ad un resoconto variegato, ma dettagliato, di quanto la solidarieta' di base italiana si sia impegnata nel piccolo paese centroamericano. Fatti storici che sono anche la carne offesa, il sangue versato, la dignita' difesa e negata, la sofferenza e l'ingiustizia che non generano futuro ma lo rendono impossibile. Naturalmente c'e' la traumatica sconfitta elettorale, febbraio del 1990, del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (Fsln); la decisione dell'Associazione di continuare in Nicaragua riorientandosi intorno alle organizzazioni popolari, sindacali, studentesche che lottano per un'autentica giustizia sociale e che hanno potuto nascere e continuano ad esistere grazie alla coscienza popolare formatasi negli anni della rivoluzione sandinista, che molto ha significato anche per noi del "primo mondo". Grazie a questa coscienza politica in Nicaragua e' possibile trovare ancora oggi punte di lotta avanzata contro gli effetti devastanti del neoliberismo come ad esempio la costituzione di un sindacato forte che lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte delle imprese multinazionali nelle "zone franche" e l'organizzazione di una fondazione da parte di ex lavoratori delle piantagioni di banane che hanno promosso una causa legale contro le multinazionali nordamericane, responsabili di avere causato immensi danni all'ambiente e alle persone attraverso l'uso di pesticidi gia' proibiti negli Stati Uniti degli anni '70. L'Associazione Italia-Nicaragua ha cosi' consolidato con entusiasmo e risultati lusinghieri la sua presenza nel dimenticato Nicaragua, fedele alla propria ispirazione politica e senza abdicare ai propri ideali dei tempi della rivoluzione sandinista, ampliamente documentata nel libro. Non l'hanno scoraggiata i governi corrotti dell'ultradestra, ne' soprattutto il residuo clan della dirigenza sandinista, che per interessi privati e di potere tiene vergognosamente in ostaggio il presente e il futuro di questo popolo. Per tutto questo pensiamo che il libro "Que linda Nicaragua!" sia una lettura preziosa nel mondo globalizzato di oggi. Leggete, rileggetelo, regalatelo. 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: QUELLI CHE... [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per averci messo a disposizione come anticipazione questo suo intervento scritto per il quotidiano "Liberazione". Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Ci sono di quelli che gridano - a ogni giro di vento - di essere scandalizzati da chi approva il papa quando dice che bisogna fare la pace e lo disapprova quando condanna qualsiasi riconoscimento di unioni non matrimoniali classiche: non riesco a capire il merito dello scandalo. A me succede che se una persona dice una cosa che mi va a genio, mi dichiaro d'accordo, e quando dice una cosa che disapprovo, dico che non sono d'accordo. E' pura e semplice ragionevolezza - mi sembra - o, se volete, laicita' nel pensare. Adesso ad esempio si profilano decisioni duramente censorie di Benedetto XVI verso atteggiamenti, dichiarazioni e attivita' di organizzazioni confessionali: e dovrei stare a guardare? a me laica la liberta' di tutti e tutte sta a cuore. Non sono come la Chiesa cattolica che protesta solo per la propria liberta' e tace sulle violazioni della liberta' altrui: l'ultimo esempio e' stato quando al presidente iracheno in visita papa Ratzinger ha chiesto conto della scarsa liberta' prevista per la chiesa cattolica nel progetto di costituzione irachena, non dell'oppressione delle donne private di liberta' di cui avevano prima goduto. A parte che non ha nemmeno nominato Falluja, ma questo anche le autorita' politiche italiane. Come e' noto, nel Sillabo si sostiene che la liberta' di stampa e' da appoggiare fino a che sono in minoranza i cattolici o i loro giornali, ma in se' per tutte le opinioni e' sbagliata e i cattolici raggiunto il potere debbono stabilire quale e' la "sana" liberta'. Era la nota distinzione tra ipotesi e tesi: in caso di necessita' l'ipotesi era che si dovessero appoggiare le richieste anche dei liberali; ma la tesi di fondo resta che se si raggiunge il potere, i limiti alla liberta' di stampa vengono posti secondo un "sano" rispetto della religione, ad esempio. E a Ciampi - quando al papa in visita al Quirinale ricordo' che l'Italia e' uno stato laico per Costituzione - Ratzinger replico' che la laicita' deve essere "sana". Quando Mussolini fece il Concordato con la Chiesa, la Chiesa domando' e ottenne liberta' di associazione per le sue sole organizzazioni, non per sindacati e partiti e stampa. Il regime era in un momento di difficolta' e se la Chiesa non lo avesse sostenuto col Concordato forse sarebbe caduto: ma il Concordato illiberale era meglio della liberta' degli odiati liberali. Poiche' la Chiesa cattolica non abroga mai nulla formalmente, il Sillabo e' ancora in vigore. Da quando c'e' papa Ratzinger, i frati di Assisi sono stati di fatto messi sotto commissariamento; Pax Christi censurata e addirittura colpita da ingerenza nelle proprie attivita', messe le mani sulla Marcia della pace di fine anno: e finalmente le Comunita' di base elevano una protesta: "per una Chiesa cattolica libera da papolatria" e per "politici cattolici che abbiano il coraggio di non diventare burattini della gerarchia". Non si puo' stare zitti: bisogna esprimere fattivamente solidarieta' a queste persone, non si puo' ammettere che la Chiesa censuri al suo interno, censuri le leggi civili italiane, e insomma faccia quel che le pare approfittando dell'ignoranza religiosa dei piu' e della sottomissione opportunistica di molti. Non si puo' continuare a dire che la marcia per la pace va bene comunque anche se viene stravolta, che la manifestazione contro la guerra del 19 marzo forse non e' opportuna: se della marcia vengono snaturate le caratteristiche storiche bisogna dirlo; se i frati di Assisi vengono messi sotto commissariamento, va detto che non siamo d'accordo e se essi scelgono comunque l'obbedienza, senza interferire nelle loro decisioni noi, che non sottostiamo alla loro regola, affermiamo che le loro parole giuste amabili solenni profetiche fino a che erano libere, sono diventate per noi sospette da quando non lo sono piu'. Pax Christi viene sottoposta a censura: addirittura, avendo comunicato (ma debbono avere l'imprimatur? usa ancora dopo Balducci?) i nomi dei partecipanti alla tavola rotonda in occasione della marcia della pace di fine anno, si sono visti tornare il testo con i nomi dei relatori cambiati d'autorita': una ingerenza intollerabile, anche se per caso loro la tollerassero: dobbiamo sapere se chi eventualmente parlera' a nome di Pax Christi, e' stato scelto e invitato da Pax Christi o imposto da Ruini o da Ratzinger, piu' che mai prefetto della Santa Inquisizione. 4. PROFILI. ANTONIO VIGILANTE: UN PROFILO DI GIUSEPPE GIOVANNI LANZA DEL VASTO [Dal sito "Palabre" (http://palabre.altervista.org) riprendiamo il seguente profilo. Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos at tiscali.it) e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana "L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui' Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti: digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese) www.canva.org] Il Novecento italiano ha figure pressoche' dimenticate, o note solo in cerchie ristrette, a spiriti particolarmente affini: e sono figure a volte fortemente in anticipo sulla storia, segnate da una loro inquietudine, che le spinge ad un vagabondaggio intellettuale che e' gia' testimonianza della condizione dell'uomo contemporaneo; o, in altri casi, da una solitudine che si fissa su un'idea, su un'urgenza etica, su un progetto di vita portato avanti con determinazione ed entusiasmo. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto e' una di queste figure. Nella sua lunga vita ha vissuto la stagione del vagabondaggio e poi quella dell'impegno, della strutturazione. Tra le due stagioni c'e' l'esperienza del pellegrinaggio. Un pellegrinaggio - che in uno dei suoi libri piu' riusciti chiamera' Pellegrinaggio alle sorgenti (1943) - che lo porta non nei luoghi della sua fede cristiana, ma nella lontana India del Mahatma Gandhi. Lanza del Vasto nasce nel 1901 a San Vito dei Normanni, da padre siciliano e madre belga. Compie i primi studi a Parigi, e quindi si laurea in filosofia a Pisa. Segue un periodo di assoluta liberta', di lavori umili, viaggi, poverta' volontaria. "Ero fiero della mia totale indigenza - ricordera' anni dopo - e geloso della mia liberta' di rondine. Rendevo grazie al Signore per la sua presenza nelle cose belle e nella buona gente che la terra porta, per i suoi cieli, le sue nuvole, gli alberi, gli uccelli, i fiori. Mai come allora ho assaporato la pura gioia di vivere, pura da altre gioie. Ma questa vita troppo bella, queste perpetue vacanze non potevano durare sempre perche', ecco, la guerra stava per venire sul mondo" (1). La guerra, che getta alcuni nello sconforto e altri fa scivolare lungo la china del cinismo che dichiara impermeabile il mondo agli ideali, lo spinge alla ricerca di una terza via; un modo per rinunciare alla violenza senza abdicare alle ragioni che con la violenza si tenta di far prevalere. E' il viaggio in India, nel '37, ad indicargli, al di sopra di ogni dubbio, il tracciato esatto di questa via. E' l'incontro con Gandhi. Il cristiano Lanza del Vasto apprende dall'indu' Gandhi che i principi evangelici non sono validi solo per i rapporti privati, ma possono e devono valere anche nella sfera politica. "E' una verita' che noi cristiani possediamo da sempre. Ma essa era cosi' lontana dalla nostra vita, cosi' avversa a tutto quanto la vita e gli uomini ci hanno insegnato, che noi non sapevamo piu' che farcene. La tenevamo racchiusa tra le mura di una chiesa e nell'ombra del cuore. C'e' voluto l'avvento di quell'indu' per farci conoscere quel che sapevamo da sempre" (2). Da Gandhi riceve il nome di Shantidas, "servitore di pace". Al ritorno in Europa, vi diffonde il messaggio gandhiano, curando anche di sistemare le intuizioni del Mahatma - che non e' stato un filosofo - in un pensiero articolato e coerente, di ispirazione cristiana, ma aperto all'influsso della spiritualita' orientale. Nel 1948 sposa una musicista, cui da' il nome di Chanterelle, e con lei ed un gruppo di seguaci fonda in Francia la Comunita' dell'Arca. Si tratta di una comunita' rurale, ispirata ai principi della sobrieta', della condivisione, dell'unione tra lavoro e spiritualita': un tentativo di fondare la nonviolenza cominciando dalla ristrutturazione dei rapporti umani, estirpando cio' che di violento e' nelle modalita' sociali correnti. I membri dell'Arca si impegnano con sette voti a lavorare per se stessi e per gli altri, ad obbedire alla disciplina dell'ordine, ad assumersi le proprie responsabilita' davanti all'ordine, a purificarsi da ogni tendenza al possesso, a vivere sobriamente e ad evitare ogni violenza verso gli uomini e gli animali. Separata dalla societa', la Comunita' dell'Arca - anzi: le Comunita', poiche' l'iniziativa di Lanza del Vasto ha trovato diffusione notevole in Europa ed altrove - opera tuttavia in essa con azioni civiche, come i digiuni portati avanti dal fondatore sul finire degli anni Cinquanta per protestare contro le violenze in Algeria, o il digiuno di quaranta giorni a Roma, nel '63, durante il Concilio Vaticano II, per chiedere un impegno esplicito della Chiesa in favore della pace. Lanza del Vasto e' riconosciuto come uno dei maestri della nonviolenza, anche se la sua collocazione in qualche modo anomala - il suo cattolicesimo venato di misticismo orientale - e certe pose da profeta suscitano un certo sospetto che non ha giovato e non giova alla diffusione del suo pensiero. La visione filosofico-religiosa di Lanza del Vasto e' fondata sul'íidea del peccato originale. La storia non e' il succedersi di eventi casuali, ne' si svolge secondo una legge immanente e dialettica, ma va letta in prospettiva escatologica, come storia della caduta dell'uomo dal suo stato originario e della sua salvezza. La caduta e' interpretata da Lanza del Vasto come una perversione della conoscenza: l'uomo ha mangiato dall'albero della conoscenza del bene e del male. I due termini essenziali sono mangiare e conoscenza. Mangiare e' distruggere, degradare, ridurre qualcosa di vivo a cibo inerte. L'uomo ha peccato perche' ha posto la conoscenza, cosa in se' buona, al proprio servizio, degradandola, impiegandola come uno strumento utile per fini mondani. Il filosofo legge la pagina biblica avendo come riferimento il grande cambiamento che si e' avuto nella cultura occidentale con il passaggio dal Medioevo all'Eta' moderna. La cultura contemplativa, concepita come via per l'elevazione umana e' stata superata da una concezione utilitaristica, tecnica della conoscenza e della ragione, come mezzo che rende piu' comoda l'esistenza. E' la concezione che si afferma prima con l'Illuminismo e poi con il Positivismo, con la sua fede nel progresso e nelle possibilita' di una ragione umana slegata dalla fede e dal divino. Lanza del Vasto proietta questo passaggio storico su un piano meta-storico, compiendo un'operazione non nuova e pur sempre discutibile, poiche' mette il testo sacro al servizio delle proprie polemiche contingenti (in questo caso la polemica, peraltro condivisibile e condivisa, infatti, da non pochi pensatori del Novecento, contro la ragione strumentale). Se il Genesi consente di comprendere l'origine della degradazione umana, l'Apocalisse ci consente di conoscerne l'esito. Anche in questo caso, il filosofo legge il testo biblico attualizzandolo. Le due bestie di cui si parla in Apocalisse 13, 1-18, la bestia che sale dal mare e la bestia che sale dalla terra, rappresentano la scienza della materia e la macchina: le due forze fondamentali del mondo contemporaneo. La profezia apocalittica dunque contiene una condanna della scienza e della tecnica, come strumenti principali di cui si serve Satana. Al di la' della attualizzazione del testo biblico, suscita qualche perplessita' proprio questa condanna senza appello della ragione scientifica e tecnica. Donatella Abignente si e' chiesta: "Non e' riduttivo negare il valore obiettivo di quel processo culturale di conoscenza, di esperienza, di autonomia della realta' mondana che il procedimento scientifico moderno realizza?" (3). Ad essere criticati e condannati non sono lo scientismo e l'idolatria della tecnica, i cui effetti deleteri per la sopravvivenza stessa della specie sono sotto gli occhi di tutti, ma la scienza e la tecnica in se', al di la' delle loro possibili degenerazioni. D'altra parte, bisogna ricordare che Lanza del Vasto e' il discepolo di Gandhi, ed il Mahatma non e' mai stato tenero con la scienza e la tecnica, contrapponendo la medicina naturale a quella scientifica, strumenti rudimentali come il filatoio alle macchine occidentali, il camminare a piedi alle ferrovie. Come Gandhi, Lanza del Vasto e' il nostalgico di un mondo pre-industriale. Ma se Gandhi vive in India, in una realta' nella quale l'industrializzazione e' ancora incipiente, Lanza del Vasto vive in Europa, proprio negli anni che vedono il passaggio dal mondo contadino a quello industriale. Se Gandhi trova nei villaggi indiani una realta' da valorizzare contro la tendenza all'urbanizzazione, Lanza del Vasto avverte la necessita' di creare delle strutture assolutamente nuove. Nessuna realta' sociale esistente puo' servire per il compito di condurre l'umanita' fuori dalla degradazione dovuta alla scienza ed alla tecnica. Occorre una realta' creata proprio per questo scopo, in un certo senso artificiale, anche se ispirata alla realta' sociale piu' antica, l'unica, a parere di Lanza del Vasto, che Dio abbia approvato. Questa realta' e' la tribu'. Nell'Europa del Novecento Lanza del Vasto ha perseguito il progetto di formare delle tribu' simili a quelle della Bibbia. Le Comunita' dell'Arca vogliono essere delle tribu' patriarcali, delle cittadelle dello spirito nella barbarie contemporanea, cui spetta il compito di preservare i valori in pericolo e di diffondere la verita' della nonviolenza attraverso l'ascesi e l'impegno, la ricerca spirituale e la lotta contro le situazioni di violenza e di ingiustizia. La visione di Lanza del Vasto discende, dunque, da una lettura della Bibbia; ma e' anche un grande ammiratore della cultura e della civilta' indiana. Nella Introduzione alla vita interiore afferma: "Esiste un fondo comune di tutte le tradizioni in cui ognuno puo' ritrovare le evidenze in se stesso, a condizione di sottomettersi a una preparazione appropriata" (4). Una tesi importante, in linea con la piu' avanzata tendenza del cattolicesimo, che anticipa quella apertura e disponibilita' verso le altre fedi che ha portato Giovanni Paolo II a pregare ad Assisi con i rappresentanti delle grandi religioni mondiali. La posizione di Lanza del Vasto verso la Chiesa cattolica e' complessa. Da una parte, sostiene l'importanza storica dell'istituzione per tramandare e custodire il Vangelo. Ma questo, sostiene, e' solo il corpo della religione, che bisogna difendere quando e' in pericolo, ma di cui non bisogna curarsi troppo. Oltre il corpo c'e' l'anima della religione, che non soffre limiti confessionali e consente il dialogo e l'intesa tra tutti coloro che credono in Dio, quale che sia la loro religione. E' inevitabile che tra le diverse religioni vi siano differenze anche sostanziali, ma cio' non deve spaventare, perche' le religioni hanno a che fare con l'Assoluto, e l'Assoluto puo' essere colto in molti modi. Per i cristiani, ad esempio, Dio e' Persona, mentre gli induisti credono nel Brahman impersonale. Cosa impedisce di pensare che Dio sia al tempo stesso personale ed impersonale? Attingendo liberamente alla tradizione religiosa indiana e sintetizzandola con i modelli della spiritualita' e della mistica cristiana, Lanza del Vasto elabora un modello di spiritualita' che, anche se elaborato nell'Occidente del XX secolo, non ha nulla della superficialita' di certe proposte spirituali contemporanee, che sembrano rispondere piu' alla richiesta di vivere esperienze eccitanti ed esotiche, che di raggiungere autenticita' e liberazione. Spiritualita' che si riconoscono per il disimpegno, mentre quella di Lanza del Vasto, mentre sfiora l'ascetismo vero e proprio, pure esige una sua traduzione in termini di azione politica - che sara' nella mobilitazione contro le guerre ed il militarismo. Abbiamo cosi' in Lanza del Vasto il prezioso modello di una spiritualita' - vale a dire di una cura di se', o, per essere piu' precisi, di una cura del Se' - che non solo e' anche etica - cura dell'Altro - ma e' anche politica: ricerca di un mondo comune, di una polis che, pur con i limiti inevitabili nelle realta' istituzionali, si modelli sulla reciprocita' del rapporto tra Se' ed Altro. Ma il mondo, segnato dal peccato, non puo' adeguarsi a questo modello. Lanza del Vasto cerca dunque una realta' artificiale, una comunita' di uomini che ricercano la verita' e preservano il patrimonio spirituale dell'umanita' in un'epoca di barbarie. Tale vuole essere l'Arca: e gia' il nome indica il suo compito storico. Nelle comunita' dell'Arca i conflitti del mondo sono semplificati, la guerra di tutti contro tutti hobbesiana, attestata tanto dalla politica internazionale quanto dalla vita quotidiana, e' sospesa, se non definitivamente sconfitta. Come un ordine religioso, l'Arca ha una sua regola, che stabilisce i principi, i ruoli, i riti comuni, e tuttavia non si tratta di un ordine religioso; piuttosto, di una via di mezzo tra un ordine religioso ed un ordine cavalleresco, tra una comunita' tesa alla trascendenza ed una organizzazione politica che opera nella storia. E' un ordine che ha qualcosa di anacronistico. Si e' detto che si ispira alle tribu' bibliche. Nulla sa - nulla vuole sapere - dei cambiamenti avvenuti nell'organizzazione sociale dai tempi delle tribu' bibliche: e dunque e' una comunita' rigorosamente patriarcale, nella quale e' confermato il legame tra maschilita' e potere, che il pensiero femminista ha analizzato e di cui ha denunciato gli effetti deleteri sullo sviluppo della civilta'. * Note 1. Lanza del Vasto, L'Arca aveva una vigna per vela, tr. it., Jaca Book, Milano (seconda edizione), p. 12. 2. Id., Pellegrinaggio alle sorgenti (1943), tr. it., Jaca Book, Milano 1986, p. 84. 3. D. Abignente, Il male e la storia: Lanza del Vasto legge Ap 13, in Aa. Vv., Tra Cristo e Gandhi. L'insegnamento di Lanza del Vasto alle radici della nonviolenza, a cura di D. Abignente e S. Tanzarella, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 94. 4. Lanza del Vasto, Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano 1989, p. 10-11. 5. PROFILI. ANTONIO VIGILANTE: UN PROFILO DI LEV TOLSTOJ [Dal sito "Palabre" (http://palabre.altervista.org) riprendiamo il seguente profilo. Lev Tolstoj, nato nel 1828 e scomparso nel 1910, non solo grandissimo scrittore, ma anche educatore e riformatore religioso e sociale, propugnatore della nonviolenza. Opere di Lev Tolstoj: tralasciando qui le opere letterarie (ma cfr. almeno Tutti i romanzi, Sansoni, Firenze 1967; e alcuni dei piu' grandi racconti, come La morte di Ivan Il'ic, e Padre Sergio), della gigantesca pubblicistica tolstojana segnaliamo particolarmente almeno Quale scuola, Emme, Milano 1975, Mondadori, Milano 1978; La confessione, SE, Milano 1995; Perche' la gente si droga? e altri saggio su societa', politica, religione, Mondadori, Milano 1988; Il regno di Dio e' in voi, Bocca, Roma 1894, poi Publiprint-Manca, Trento-Genova 1988; La legge della violenza e la legge dell'amore, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1998; La vera vita, Manca, Genova 1991; l'antologia Tolstoj verde, Manca, Genova 1990. Opere su Lev Tolstoj: dal nostro punto di vista segnaliamo particolarmente Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1985; Pier Cesare Bori, Tolstoj, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1991; Pier Cesare Bori, L'altro Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1995; Amici di Tolstoi (a cura di), Tolstoi il profeta, Il segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (Vr) 2000] Tolstoj ha vissuto due vite. La prima e' quella dello scrittore di Anna Karenina e di Guerra e pace, considerato unanimemente uno dei piu' grandi scrittori mai esistiti. La seconda vita comincia a cinquant'anni, dopo una crisi spirituale che lo porta a meditare il suicidio. Ne esce conquistando una nuova prospettiva religiosa, etica e politica. La prospettiva della nonviolenza radicale. Nato nella tenuta di Jasnaja Poliana (non molto distante da Mosca) nel 1828, da famiglia nobile, il conte Tolstoj frequento' in gioventu' la buona societa' di Mosca e San Pietroburgo, dandosi ad un'esistenza libera, in qualche caso disordinata, perseguitato da un costante senso di colpa e dall'aspirazione alla perfezione morale. Nel 1862 sposa Sofia Bers e si ritira nella tenuta di Jasnaja Poliana, dove scrive i suoi capolavori letterari, e dove lo coglie la crisi spirituale. Dopo un ulteriore soggiorno a Mosca, si ritira definitivamente nella tenuta di Jasnaja Poliana, condividendo la vita dei contadini, scrivendo le sue opere saggistiche - alle quali attribuisce piu' importanza che ai suoi grandi romanzi - e ricevendo visitatori da tutto il mondo. Gli ultimi anni sono rattristati dai contrasti con la moglie, che rendono la vita familiare invivibile. Lo scrittore ne sfugge la notte del 27 ottobre del 1910, ma senza fare molta strada: dieci giorni dopo e' preso da forti febbri mentre tenta di allontanarsi in treno. Muore il 7 novembre nella casa del capostazione di Astapovo. Un documento molto dettagliato sulla crisi spirituale dalla quale scaturisce la seconda vita di Tolstoj e' La confessione. A coglierlo fu il senso della inutilita', dell'assurdo, della sofferenza della vita umana. "Non c'e' possibilita' d'illudersi. Tutto e' vanita'. Felice chi non e' mai nato. La morte e' preferibile alla vita, dunque bisogna liberarsi da quest'ultima". La via d'uscita intravista era quella della fede, ma c'era un ostacolo: la fede era presentata come umiliazione della ragione, ed era una condizione che Tolstoj non poteva accettare. La risposta alle inquietudini venne da una lettura assolutamente libera del Vangelo, che lo convinse che la fede irrazionale e' una degenerazione dell'autentico cristianesimo, e che il messaggio evangelico e' in realta' chiaro, semplice, razionale, e non richiede alcun atto di fede. Tolstoj si convince dell'esistenza di una verita' universale contenuta nell'insegnamento di tutti i grandi maestri dell'umanita', dal Cristo al Buddha, da Lao-tze a Socrate. L'essenza di questo insegnamento e' il rifiuto della violenza e la non resistenza al male: non fare all'altro cio' che non vorresti che fosse fatto a te e, in positivo, fare all'altro cio' che vorresti che fosse fatto a te. Non e' una verita' rivelata, ma qualcosa cui ognuno puo' giungere riflettendo sulla propria situazione esistenziale. Gli uomini in societa' sono in uno stato di conflitto generale: ognuno vorrebbe per se' il massimo dei beni di questo mondo, quei beni che deve contendere agli altri, anche con la violenza. Da una parte, quindi, questa ricerca del bene porta alla violenza generalizzata, con l'infelicita' che essa comporta, dall'altra i beni materiali si dimostrano comunque incapaci di soddisfare la sete dell'individuo, che passa ansiosamente da un possesso all'altro, senza mai trovare pace. In Della vita Tolstoj contrappone a questo labirinto esistenziale, proprio di quella che chiama individualita' animale, la via della coscienza razionale, nella quale il dramma esistenziale dell'uomo trova la sua soluzione. La coscienza razionale inverte l'aspirazione dell'individualita' animale. Se questa desidera i beni per se', la coscienza razionale desidera il bene per l'altro. L'uomo raggiunge la pace e la felicita' quando ricerca il bene dell'altro, quando spezza il proprio egoismo ponendo l'altro prima di se'. Cosi' trova soluzione anche il conflitto sociale, e nasce una societa' armonica, giusta e libera, nella quale i beni sono a disposizione di ognuno, e non piu' contesi violentemente. La coscienza razionale, che indica all'uomo la via dell'amore, e' tutt'uno con la legge di Dio, la quale in Tolstoj e' una sorta di sapienza cosmica, un fondamento metafisico che sostiene l'uomo nelle sue scelte morali. Ma la legge di Dio non e' la legge che ispira le istituzioni umane; anzi, queste ultime rappresentano il suo piu' deciso disconoscimento. Per questo l'uomo etico e religioso, l'uomo che obbedisce a Dio, deve disobbedire ad ogni potere mondano. L'obbedienza a Dio e' in Tolstoj la giustificazione della disobbedienza e della noncollaborazione con il potere civile, politico e religioso. Se Dio non ci fosse, l'uomo non avrebbe una autorita' da contrapporre a quella dei poteri terreni. Dio e' quell'istanza superiore che consente di relativizzare i poteri terreni e di sottrarsi ad essi. Tolstoj rovescia la fondazione carismatica del potere politico, giungendo ad una fondazione carismatica della dissidenza e dell'obiezione di coscienza. Lo Stato e le Chiese sono le istituzioni responsabili di una realta' sociale che e' la piu' lontana possibile dall'ideale evangelico. Le seconde, in particolare, sono responsabili di aver tradito il Vangelo, facendo passare in secondo piano la radicalita' del comandamento dell'amore e del Sermone della montagna, e facendo del Cristo un Dio da venerare attraverso i suoi rappresentanti terreni, per ottenere la vita eterna dopo la morte. Tolstoj rigetta, anche se con qualche oscillazione, l'idea di Gesu' come Salvatore, in favore di quella del maestro morale, messaggero di quella sapienza universale che sola puo' condurre alla pace. Le Chiese hanno sostituito al messaggio chiaro del Cristo una serie di dogmi, di riti, di superstizioni, con le quali hanno ingannato il popolo e sulla quali hanno basato il proprio potere temporale, condiviso con i politici. La piu' importante opera filosofico-religiosa di Tolstoj, Il Regno di Dio e' dentro di voi, e' tutta una denuncia della falsita' e dell'alienazione della religione delle Chiese, cui si accompagna il ruolo violento delle istituzioni civili e politiche, interamente al servizio dell'oppressione dell'uomo sull'uomo, dei ricchi sui poveri, dei possidenti sui diseredati. Oppressione che si serve del servizio militare, dei giudici, degli avvocati, della burocrazia, oltre che del clero, ma che in ultima analisi si sostiene sul tacito accordo dei sottomessi (la servitu' volontaria di cui aveva parlato La Boetie). Il risveglio religioso portera' questi ultimi a ribellarsi senza far ricorso alla violenza, semplicemente smettendo di collaborare con gli oppressori, opponendo alla violenza del dominio la fermezza della loro protesta morale. L'ideale nonviolento di Tolstoj - che ha influito in modo non lieve su Gandhi, lettore entusiasta de Il Regno di Dio e' dentro di voi - si completa con la scelta del vegetarianesimo, l'opposizione alla caccia ed alla proprieta', l'esaltazione di una vita essenziale, sobria, in contatto con la gente umile e con la natura, nella quale alla riflessione intellettuale si affianca il lavoro manuale. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1142 del 12 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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