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La domenica della nonviolenza. 51
- Subject: La domenica della nonviolenza. 51
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 11 Dec 2005 11:22:34 +0100
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 51 dell'11 dicembre 2005 In questo numero: 1. Paolo Naso: Una proposta 2. "Palabre", un gruppo e un sito per la nonviolenza 3. Antonio Vigilante presenta "La teologia degli oppressi" di Tonino Bello 4. Antonio Vigilante presenta "Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini" di Federica Curzi 5. Antonio Vigilante presenta "Cambiare il mondo senza prendere il potere" di John Holloway 6. Antonio Vigilante presenta "Come Gandhi. Un metodo per risolvere i conflitti" di Mark Juergensmeyer 7. Antonio Vigilante presenta "Pace e disarmo culturale" di Raimon Panikkar 8. Emily Dickinson: Come silenti stanno le campane 1. INIZIATIVE. PAOLO NASO: UNA PROPOSTA [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. Paolo Naso e' autorevole figura della cultura evangelica, costruttore di pace, promotore del dialogo interculturale e interreligioso, direttore di "Confronti" e di "Protestantesimo", autore di molte pubblicazioni] Cari e gentili amici e amiche, vi scrivo per proporvi di aderire all'edizione 2006 di "Semi di pace" che si svolgera' in Italia tra il 6 e l'11 febbraio 2006 Come saprete, si tratta di un programma di incontro tra testimoni di pace israeliani e palestinesi che vengono in Italia sia per conoscersi meglio tra di loro - l'attuale situazione politica e militare scoraggia o impedisce questo tipo di incontri - sia per condividere con il pubblico italiano le loro esperienze e le loro analisi. La caratteristica di questa iniziativa e' che, dopo un breve periodo di orientamento rispetto alla realta' italiana assicurato da "Confronti", i "testimoni" si dividono in coppie - un israeliano e un palestinese - e si mettono a servizio dei gruppi, delle associazioni e delle istituzioni che li hanno "prenotati". Quest'anno i partecipanti proverranno dall'associazione Hand in Hand che ha tre scuole bilingue in Israele, dall'associazione Parent's circle (genitori di vittime del conflitto, di una parte e dell'altra), parteciperanno inoltre Mohammad Bakri, regista palestinese e Asher Salah, dell'Universita di Gerusalemme e curatore del libro "La storia dell'altro". All'inizio di gennaio 2006 saremo in grado di indicare i nomi esatti di tutti i partecipanti all'iniziativa. La proposta che rivolgiamo a tutti voi e' di invitare almeno una coppia di persone del gruppo - ovviamente un israeliano e un palestinese - e organizzare per loro gli incontri che riterrete piu' opportuni. Negli anni passati hanno avuto natura molto diversa: alcuni si sono svolti nelle scuole, altri in sedi istituzionali, altri in parrocchie o nelle sedi di associazioni per la pace, altri ancora in seminari o monasteri. L'accoglienza di queste persone e' in se' un servizio alla pace: vengono da una situazione di conflitto e trascorrere qualche giorno in un paese tranquillo, bello e vivace come il nostro, e' per molti di loro una preziosa occasione di ricarica. Anche per questo contiamo sul vostro sostegno e sulla vostra adesione. Trattandosi di un'iniziativa sostanzialmente autofinanziata, ci permettiamo di chiedere un contributo a coppia di 800 euro iva esclusa, cui vanno aggiunte le spese di viaggio e di ospitalita'. Solo uno o due partecipanti parlano italiano e bisogna pertanto provvedere un servizio di traduzione dall'inglese (o dall'ebraico e dall'arabo). Se interessati, vi preghiamo di mettervi in contatto con Alessia De Rossi, ufficio programmi, tel. 064820503, fax 064827901, e-mail: programmi at confronti.net, entro e non oltre il 15 dicembre 2005. Sicuro che vorrete considerare con attenzione la nostra proposta, vi invio un caro saluto di pace, shalom, salaam. 2. ESPERIENZE. "PALABRE", UN GRUPPO E UN SITO PER LA NONVIOLENZA [Dal sito "Palabre (http://palabre.altervista.org) proponiamo questa presentazione del sito stesso e del gruppo di ricerca che lo ha realizzato] Palabre e' un gruppo di ricerca, educazione e azione nonviolenta. E' nato a Foggia nel gennaio del 2004. Non ha scopi di lucro e si basa sul lavoro volontario degli aderenti; e' politico, ma non ideologico; si occupa anche di religione, ma al di fuori di ogni confessione chiusa; e' aperto a credenti ed atei. Crede nel valore del confronto fra persone ed e' dunque aperto all'incontro con associazioni e realta' sociali diverse; crede infatti nell'importanza e nell'urgenza, in questo determinato contesto culturale locale e nazionale sfibrato e paralizzato, di costruire ponti di comunicazione. Collabora con chiunque ne condivida le finalita', ma non e' disposto a farsi strumentalizzare da nessuno. Gli scopi di Palabre sono i seguenti: approfondire la conoscenza dei temi della pace e della nonviolenza attraverso la ripresa dei grandi testimoni, e lavorare per diffondere una cultura di pace; informarsi ed informare sulle situazioni di violenza diretta e strutturale, tanto internazionali quanto locali; criticare le chiusure ideologiche e le forme di violenza culturale; fare attenzione alle violazioni dei diritti umani e alle violenze nei confronti di soggetti deboli a livello locale; promuovere o partecipare ad azioni di protesta nonviolenta; contribuire alla campagna per l'obiezione di coscienza alle spese militari; elaborare progetti di educazione alla pace, collaborando con le scuole di ogni ordine e grado; promuovere incontri pubblici, giornate di studio, seminari sulla pace e la nonviolenza; promuovere forme di critica del potere politico e di esercizio di potere dal basso. Il nome e il simbolo di Palabre rimandano alla cultura africana. Nell'Africa subsahariana la palabre e' l'assemblea con la quale i membri di un villaggio risolvono conflitti e problemi comuni. Alle moderne democrazie occidentali essa puo' insegnare l'importanza dell'assemblea popolare per sperimentare un potere reale, al di la' di quello assicurato dal rito periodico delle votazioni, che si svuotano di significato se non sono sostenute dalla pratica costante della discussione sui problemi comuni. Il simbolo e' l'uccello sankofa, appartenente ai simboli adinkra degli ashanti del Ghana. L'uccello, volto all'indietro, raccoglie un uovo che gli e' caduto. Indica l'importanza di tornare al passato per costruire il futuro. Per noi e' il simbolo piu' adatto per una nonviolenza concepita non come una ingenua fuga nell'utopia, ma come il risultato di una considerazione seria del cammino doloroso della storia. * "La nonviolenza non e' una giustificazione per il codardo, ma e' la suprema virtu' del coraggioso, richiede molto piu' coraggio delle pratiche delle armi e presuppone la capacita' di colpire. Essa e' un cosciente e volontario freno imposto alla propria volonta' di vendetta. Ma la vendetta e' sempre superiore alla passiva, imbelle e impotente sottomissione. Il perdono pero' e' ancora superiore. Nella mia concezione, la nonviolenza e' una lotta contro l'ingiustizia piu' attiva e piu' concreta della ritorsione, il cui effetto e' solo quello di aumentare l'ingiustizia. Io sostengo un'opposizione mentale, e dunque morale, all'ingiustizia. La resistenza morale che io opporro' servira' a disorientare l'avversario tiranno. Dapprima lo frastornera', e alla fine lo costringera' al riconoscimento dell'ingiustizia, riconoscimento che non lo umiliera', anzi lo nobilitera'" (Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, 1973, 1996). * Questo sito intende offrire strumenti (saggi, testi, recensioni) per la conoscenza e l'approfondimento della nonviolenza ed altri per la diffusione di una prassi nonviolenta. E' creato dal gruppo Palabre ed e' aperto alla collaborazione di chiunque ne condivida la finalita' e l'impostazione metodologica. I testi pubblicati in questo sito possono essere ripresi liberamente, purche' si indichi la fonte e l'autore. 3. LIBRI. ANTONIO VIGILANTE PRESENTA "LA TEOLOGIA DEGLI OPPRESSI" DI TONINO BELLO [Dal sito "Palabre" (http://palabre.altervista.org) riprendiamo la seguente recensione di Antonio Vigilante al libro di Tonino Bello, La teologia degli oppressi, Manni, San Cesario di Lecce 2003. Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos at tiscali.it) e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana "L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004. Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935, vescovo di Molfetta, presidente nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993; costantemente impegnato dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di solidarieta' con gli immigrati, per il disarmo, per i diritti dei popoli e la dignita' umana, ideatore ed animatore di grandi iniziative nonviolente, e' stato un grande costruttore di pace e profeta di nonviolenza. Opere di Tonino Bello: segnaliamo particolarmente, tra le molte sue pubblicazioni, I sentieri di Isaia, La Meridiana, Molfetta 1989; Il vangelo del coraggio, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996; e' in corso la pubblicazione di tutte le opere in Scritti di mons. Antonio Bello, Mezzina, Molfetta 1993 sgg., volumi vari. Opere su Tonino Bello: cfr. per un avvio Luigi Bettazzi, Don Tonino Bello. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001; la biografia di Claudio Ragaini, Don Tonino, fratello vescovo, Edizioni Paoline, Milano 1994; Alessandro D'Elia, E liberaci dalla rassegnazione. La teologia della pace in don Tonino Bello, La Meridiana, Molfetta (Ba) 2000. Nella rete telematica materiali utili di e su Tonino Bello sono nel sito di Pax Christi: www.peacelink.it/users/paxchristi, in quello de La Meridiana: www.lameridiana.it e in molti altri ancora] Quale e' il compito di chi guida i cristiani? Quello di dichiarare "non fuggiremo davanti ai terroristi", come ha fatto monsignor Ruini ai funerali dei carabinieri uccisi a Nassiriya (suscitando il plauso delle forze di governo), o quello di invitare a non strumentalizzare la morte di quei giovani "per legittimare guerre ingiuste", come ha fatto il vescovo di Caserta Raffaele Nogaro (suscitando lo sdegno del Ministro dell'Interno, che si e' anche riservato di "compiere i passi opportuni nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche")? Quello di dichiararsi a parole a favore dei poveri e degli ultimi, frequentando pero' i ricchi, facendosi trovare sempre in prima fila nelle manifestazioni dei potenti; oppure quello di cedere ai poveri anche la propria dimora, senza il timore che cio' possa sminuire la propria dignita' sacerdotale? Quello di colpire efficacemente la mentalita' mafiosa, ad esempio dando la parola ad un pentito (come fece a Napoli don Antonio Maione, con una liturgia che al cardinale Giordano parve selvaggia ed inopportuna), o di tenere generici discorsi moralistici? Non sono, queste, domande retoriche. Queste posizioni antitetiche possono ugualmente trovare giustificazione nella lettura del Nuovo Testamento. L'interpretazione del Vangelo, il vedere nel Cristo il liberatore degli ultimi piuttosto che l'annunciatore di una pace fatta di ordini costituiti, e' legata in fondo alla fibra morale, alla sostanza umana dell'interprete. Don Tonino Bello non aveva dubbi. Il suo Cristo era il cristo del Sermone della Montagna. E la fede era prassi, poiche' solo la prassi vince la retorica: quella retorica che, se dal punto di vista etico e' immorale, nella fede e' empieta' e bestemmia. Ai paramenti sacri, sosteneva, la Chiesa deve aggiungere qualche indumento di uso quotidiano, qualche segno tangibile di umilta' e di servizio; e nulla gli sembrava piu' adatto del grembiule. La sua Chiesa del grembiule nulla perde del suo ruolo e della sua sacralita' (il grembiule non sostituisce gli altri paramenti sacri, ma si aggiunge ad essi) e molto guadagna. Senza il grembiule, i paramenti sacri diventano segni di un potere che in nulla si distingue da quello politico, e che, come quello politico, ha perso credibilita', non sa piu' alimentare speranze di cambiamento. La Chiesa recuperera' il prestigio e la credibilita' perdute, riconquistera' la valenza profetica del cristianesimo non attraverso la porta principale delle manifestazioni grandiose e delle spettacolari esibizioni di prestigio, ma attraverso la porta di servizio. Porta che e', appunto, la porta del servizio. "Solo se avremo servito, potremo parlare e saremo creduti. Solo allora potremo riprendere le vesti sontuose del nostro prestigio sacerdotale e nessuno avra' nulla da dire". E' una concezione della Chiesa che sembra contrastare non poco con quella di papa Giovanni Paolo II. Don Tonino Bello vedeva invece nella Chiesa del grembiule, nella Chiesa del servizio e della condivisione, ma anche della denuncia e della lotta, l'ispirazione di fondo di "tutto il magistero audace e non ancora dissepolto di questo pontefice", che ha il merito di parlare finalmente di peccato in termini economici e sociali, di strutture di peccato che costringono una parte consistente di questo pianeta alla fame, alla malattia, alla poverta'. Si tratta di una innovazione di grande importanza, poiche' consente di passare da una concezione tutta privata del peccato (incentrata per lo piu' sulla sessualita') ad una pubblica e politica. E cosi' il contrario del peccato - la rettitudine, la pieta' e, al limite, la santita' - consiste nell'esercizio di virtu' pubbliche, nella lotta politica (non, naturalmente, ideologica) per la creazione di una polis di uomini liberi ed in possesso del potere necessario per far sbocciare la propria umanita'. Il titolo dell'antologia parla di una teologia di don Tonino Bello: la teologia degli oppressi, appunto (definizione che rimanda a quella pedagogia degli oppressi con la quale Paulo Freire si propose di liberare dalla miseria e dall'analfabetismo i poveri del Brasile). Solo in questo senso e' possibile parlare di una teologia di Bello. Non come speculazione, ma come prassi. Significativo e', ad esempio, il suo modo di considerare la concezione centrale del cristianesimo: quella della Trinita'. Oggetto di infinite sottigliezze teoriche per cogliere il mistero di una Unita' che e' al contempo pluralita' di Persone, la Trinita' e' per il vescovo di Molfetta una verita' da vivere nella prassi. Quella trinitaria, avverte, "non e' solo una dottrina da contemplare, ma un'etica da vivere". Come in cielo Tre sono Uno, cosi' sulla terra bisogna lavorare affinche' i molti - diversi, eppure uguali - siano uno nell'amore. Questa unita' non puo' lasciare fuori nessuno: Gennaro l'ubriaco, Massimo il ladro, Giuseppe l'avanzo di galera ed il fratello marocchino sono destinatari di alcune missive di don Tonino che, benche' non immuni da quella certa arroganza di chi cerca nella storia degli altri una qualche lezione morale, sono una dura requisitoria contro un polis che si barrica in un nucleo suo borghese, dorato e felice, intorno al quale si ammassa una grigia periferia di disperati. 4. LIBRI. ANTONIO VIGILANTE PRESENTA "VIVERE LA NONVIOLENZA. LA FILOSOFIA DI ALDO CAPITINI" DI FEDERICA CURZI [Dal sito "Palabre" (http://palabre.altervista.org) riprendiamo la seguente recensione di Antonio Vigilante al libro di Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004. Federica Curzi (per contatti: federica_curzi at libero.it), nata a Jesi (Ancona), si e' laureata in filosofia nel 2002 presso l'universita' di Macerata ove attualmente svolge un dottorato di ricerca; alla sua tesi e' stato attribuito il premio dell'Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini; collabora alla rivista on line www.peacereporter.net Opere di Federica Curzi: Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004. Scritti su Federica Curzi: cfr. l'ampio saggio dedicato al suo libro da Enrico Peyretti ne "La domenica della nonviolenza" n. 23. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta at sis.it] Lamentava Norberto Bobbio nel '75 che il pensiero di Aldo Capitini non era stato ancora decifrato. Recentemente Antonino Drago ha osservato che gli studiosi "non sono stati sfidati da questo giudizio a fare di meglio, ma piuttosto lo hanno accolto come la prova definitiva della impossibilita' di comprendere Capitini" (in Aa. Vv., Convertirsi alla nonviolenza?, a cura di M. Soccio, Il Segno dei Gabrielli, Verona 2003, p. 126). Le cose non stanno proprio cosi'. Per quanto un adeguato approfondimento del significato filosofico dell'opera capitiniana resti ancora da conseguire, non sono mancati e non mancano gli studi che hanno tracciato linee interpretative tutt'altro che ingenue. Ultimo esempio e' questo volume, che legge il pensiero capitiniano come una metafisica dell'amore, analizzando a fondo la complessa problematica della compresenza, che l'autrice riconduce sostanzialmente al Dio evangelico, pur consapevole della lontananza del filosofo umbro dal cattolicesimo. Nella critica del Dio cattolico, scrive, Capitini "si avvicina sempre piu' al totale recupero del Dio evangelico descritto, rappresentato e vissuto attraverso la figura di Gesu'" (p. 32). La conoscenza di Dio avviene attraverso l'amore. Amando, l'uomo ripete l'atto originario con il quale Cristo ha amato il mondo. Il tentativo capitiniano di una religione aperta e', da questo punto di vista, null'altro che un recupero dell'originario messaggio evangelico, che appare ormai incompatibile con l'istituzione ecclesiastica. Una lettura che fa passare in secondo piano l'aspetto laico della religiosita' capitiniana; il suo essere non solo anti-istituzionale, ma al di la' delle distinzioni correnti tra Trascendenza ed immanenza, Provvidenza e storia, alla ricerca di una terza dimensione. La problematica capitiniana e' ricondotta al di qua del confine tra fede ed ateismo, la compresenza e' senz'altro Dio (e c'e' da chiedersi il perche', allora, della scelta di un termine che avrebbe potuto ingenerare equivoci), e precisamente il Dio cristiano, l'atto di amore con il quale io mi apro all'altro e' riportato indietro all'origine dell'essere. E' l'atto con cui "Dio si da' nella realta' nella forma dell'amore verso tutti" (p. 72). L'amore diviene cosi' il fondamento dell'essere. Cio' che questa interpretazione non sembra tenere in debito conto e' la drammaticita, in Capitini, della tensione tra compresenza e natura-vitalita', tra la dimensione spirituale e cio' che ad essa resiste e che pure sembra avere un carattere originario. L'amore non appare, in questa tensione, come principio dell'essere, ma forza che dissolve e ricostruisce cio' che dall'origine e' compromesso. Al di la' di alcuni limiti - tra i quali la mancanza di qualsiasi cenno a Ferdinando Tartaglia, il cui pensiero e' fondamentale per la comprensione del percorso teoretico e religioso di Capitini - questo studio di Federica Curzi e' apprezzabilissimo per la qualita' dell'approfondimento filosofico, e certo costituira' un punto di riferimento imprescindibile per gli ulteriori studi capitiniani. 5. LIBRI. ANTONIO VIGILANTE PRESENTA "CAMBIARE IL MONDO SENZA PRENDERE IL POTERE" DI JOHN HOLLOWAY [Dal sito "Palabre" (http://palabre.altervista.org) riprendiamo la seguente recensione di Antonio Vigilante al libro di John Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il potere. Il significato della rivoluzione oggi, Intra Moenia, Napoli 2004. John Holloway e' nato a Dublino, in Irlanda; dal 1972 ha insegnato all'Universita' di Edimburgo, attualmente e' docente all'Universita' autonoma di Puebla, in Messico. Tra le opere di John Holloway: oltre a Cambiare il mondo senza prendere il potere. Il significato della rivoluzione oggi, Intra Moenia, Napoli 2004, segnaliamo in lingua inglese le seguenti: The State and Capital: a Marxist Debate; In and Against the State; Postfordism and social form; Global Capital, National State and The Politics of Money; (con Eloina Pelaez), Zapatista! Reinventing Revolution in Mexico] Dopo il crollo del comunismo sovietico non sembra piu' sostenibile l'idea della rivoluzione come attacco al centro del potere, conquista dell'egemonia da parte degli oppressi attraverso la sollevazione diretta. Ma questo significa tout court rinuncia ad ogni idea di rivoluzione? E' possibile pensare una prassi rivoluzionaria che non sia condannata dalla storia? E' la domanda - la sfida - cui cerca di rispondere con questo libro John Holloway, filosofo irlandese che insegna all'Universita' autonoma di Puebla, in Messico. La sua risposta e' un tentativo di rileggere la tradizione marxista alla luce dell'azione del movimento zapatista. L'errore del passato, per Holloway, e' stato quello di voler cambiare il mondo prendendo il controllo dello Stato: concependo quindi lo stato come uno strumento che puo' fare indifferentemente gli interessi della borghesia o del proletariato. In realta', sostiene Holloway, lo Stato fa parte del sistema economico capitalistico, non e' uno strumento nelle mani del capitalismo, ma e' intrecciato indissolubilmente con esso. La rivoluzione dovra' quindi prescindere dallo Stato; deve, per questo, essere una rivoluzione che rinuncia al potere. La fenomenologia del potere di Holloway e' tra gli aspetti piu' interessanti del libro. Distingue un potere inteso come poter-fare, possibilita' di azione e di creazione, come un fare che ha un carattere collettivo, sociale, dal potere-su che spezza questo fare collettivo e trasforma la moltitudine di quelli che fanno in oggetti del fare, attraverso la minaccia e la forza fisica. Si tratta, in sostanza, della differenza tra dominio e potere di cui ha parlato Danilo Dolci. Il capitale acquista i prodotti del fare, e per questa via giunge ad acquistare il poter-fare delle persone. Il fare collettivo e libero diventa lavoro alienato. E' chiaro dunque in cosa consistera' la rivoluzione. Nel liberare il poter-fare dal potere-su, nell'emancipare il potere di tutti dal dominio di pochi, nel costruire e consolidare un anti-potere. La rottura del fare comune porta alla rottura di ogni relazione umana. Il feticismo della merce rende le stesse relazioni umane cosificate, reificate. Il pensiero borghese, riflettendo questa reificazione, classifica, fissa identita' ed essenze. La lotta per il poter-fare e' dunque anche una lotta contro l'identita' e contro la classificazione, ed al tempo stesso una lotta per la comunita' e la socialita', poiche' il capitale, spezzando la continuita' del fare, separa anche l'individuo dalla collettivita'. Le lotte per l'identita' sono rivoluzionarie nella misura in cui portano con se' anche una carica negativa e critica, anche se esse restano segnate da una particolare fragilita', dalla possibilita' che l'esaltazione identitaria prevalga sul potenziale critico. E' necessario, dunque, un ripensamento del soggetto. Al soggetto borghese, libero, innocente, separato, si contrapporra' una soggettivita' collettiva, ferita dal potere-su, frammentata, che esiste nella forma della negazione e che si afferma nella lotta per la propria dignita'. Lotta che non e' soltanto la lotta della classe operaia contro quella borghese, ma una "resistenza onnipresente" (p. 105) al potere-su, che e' diventato anch'esso onnipresente. Una certa tendenza ad una comprensione chiusa, statica dei fenomeni sociali ha caratterizzato la stessa tradizione marxista. Il concetto stesso di feticismo e' stato feticizzato, interpretando la reificazione delle relazioni sociali come un fatto compiuto. A questa interpretazione Holloway contrappone quella del feticismo come feticizzazione, vale a dire come un processo di separazione del fare da cio'-che-viene-fatto che non e' mai pacifico, ma si scontra di continuo con un processo contrario di anti-feticizzazione, di resistenza umana, con un movimento negativo ed incerto, che si esprime nella forma di una critica che investe ogni identita', ogni esseita', recuperando il fare come agire collettivo. La lotta di classe va intesa in senso ampio, come lotta contro la classificazione operata dal capitalismo. Non v'e' lotta quindi - venga da studenti, da ecologisti, da donne - che non sia anche lotta di classe. La lotta e', paradossalmente, contro l'essere classe lavoratrice, per l'emancipazione dalla classificazione operata dal capitale, e' chiaro dunque che e' possibile compiere tale emancipazione solo se al tempo stesso si e' e non si e' classe lavoratrice. C'e' una scissione ineliminabile nel soggetto rivoluzionario, che e' al tempo stesso elemento del sistema e soggetto critico, che al tempo stesso acconsente e grida contro il sistema. E' in quest'ultimo, nel grido, che consiste quella che Holloway, riprendendo il termine dallo zapatismo, chiama dignita'. In quale modo concreto si realizza l'anti-potere? Esso e' ubiquo, puo' attuarsi ovunque, in tutte le scelte con le quali quotidianamente cerchiamo di resistere all'alienazione. A resistere non e', sostiene l'autore in polemica con Toni Negri, la figura del militante, sostituito dalla grande moltitudine degli oppressi. Condizione del capitalismo e' la liberta' del lavoratore, che non e' giuridicamente uno schiavo, puo' scegliere di lavorare o non lavorare. Cio' e' elemento di forza dei lavoratori, perche', nella relazione fra capitale e lavoro, il lavoro puo' fuggire, il capitale no. Il capitale dipende dal lavoro piu' di quando il lavoro non dipenda dal capitale, sostiene Holloway: un capitalista puo' cercare altrove lavoratori piu' subordinati, ma non puo' affrancarsi, in generale, dal bisogno di avere lavoratori, mentre questi ultimi, senza il capitale (licenziati, cioe'), possono sperimentare "creativita' pratica, pratica creativa, umanita'" (p. 245). La liberta' del lavoratore crea un mondo caotico, disarticolato, nel quale non v'e' piu' corrispondenza tra capitale e lavoro, e la classe dominante cerca di contenere il caos, senza poter realizzare alcun ordine stabile. E' qui che si inserisce la rivoluzione: essa dovra' intensificare la crisi consistente nella disarticolazione delle relazioni sociali introdotta dal capitalismo. Non si tratta di prendere il possesso dei mezzi di produzione, perche' questo significa ancora ragionare in termini feticizzati. Bisogna invece eliminare la realta' stessa della proprieta', assecondare la tendenza a liberarsi dal capitale, recuperare il fare sociale, collettivo, creativo. "L'obiettivo della rivoluzione - scrive l'autore - e' la trasformazione della vita comune, quotidiana, ed e' certamente da questa vita comune ed ordinaria che deve sorgere la rivoluzione" (p. 284). E' a questo punto che l'autore pone il problema della violenza. Essa, scrive, "accetta fin dall'inizio che sia necessario adottare i metodi del nemico per vincerlo; ma anche nel caso di una vittoria militare, quelle che avranno trionfato saranno le relazioni sociali capitalistiche' (p. 287). Una osservazione che collima perfettamente con la posizione nonviolenta, che scorge dietro la rivolta armata il rischio concretissimo di nuovi rapporti di dominio. Ma Holloway indica la dimensione e la direzione della lotta - la quotidianita', la socialita', il fare collettivo - piu' degli strumenti concreti, delle azioni possibili, delle iniziative, delle strutture nuove, non chiuse e identificanti come quelle del potere-su. Il libro di Holloway, insomma, appare come una premessa - rigorosa ed intellettualmente stimolante - ad un discorso necessario ed urgente sulle forme, le sperimentazioni, le strutture del potere nuovo e liberante. 6. LIBRI. ANTONIO VIGILANTE PRESENTA "COME GANDHI. UN METODO PER RISOLVERE I CONFLITTI" DI MARK JUERGENSMEYER [Dal sito "Palabre" (http://palabre.altervista.org) riprendiamo la seguente recensione di Antonio Vigilante al libro di Mark Juergensmeyer, Come Gandhi. Un metodo per risolvere i conflitti, Laterza, Roma-Bari 2004. Mark Juergensmeyer e' docente di sociologia e direttore del Dipartimento di studi globali e internazionali dell'Universita' della California. Opere di Mark Juergensmeyer: Terroristi in nome di Dio. La violenza religiosa nel mondo, Laterza, Roma-Bari 2003; Come Gandhi. Un metodo per risolvere i conflitti, Laterza, Roma-Bari 2004. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem] Studioso del terrorismo religioso, Juergensmeyer analizza il metodo gandhiano di lotta politica, da una parte mostrandone caratteristiche, possibilita' e limiti grazie al ricorso ad un conflitto esemplare (quello tra due vicini che si contendono un pezzo di giardino), dall'altro presentando dei casi di studio, alcuni ipotetici, altri verificatisi realmente (la battaglia contro l'installazione di un missile nucleare e la tragica resistenza nel ghetto di Varsavia). In conclusione presenta poi una serie di dialoghi immaginari di Gandhi con Marx, Freud, Niebuhr ed un curioso dialogo di "Mohandas contro Mahatma", che mette in evidenza le oscillazioni e le vere e proprie contraddizioni di Gandhi stesso. L'autore non e' uno studioso di Gandhi, e lo si avverte da alcune affermazioni. Questa, ad esempio: "Aveva studiato da avvocato a Londra e aveva grande considerazione per le regole di proprieta' e moralita' che le strutture legali rappresentano". E' il caso di ricordare quello che Gandhi scriveva in Hind Swaraj: "E' sbagliato pensare che i tribunali siano costituiti per il bene del popolo. Coloro che vogliono perpetuare il loro potere, lo fanno attraverso i tribunali". Il libro, del resto, non ha l'intento di fornire un profilo generale di Gandhi, ma di approfondire il satyagraha come strumento per la soluzione dei conflitti. Juergensmeyer mostra efficacemente come nella prospettiva nonviolenta non si tratti di far prevalere una parte sull'altra, ma di ridefinire la situazione, in modo tale da giungere ad una posizione che soddisfi le esigenze di entrambe le parti: quello che Galtung chiama trascendimento. Il quale non sempre, evidentemente, e' possibile; ne' si puo' dire che la volonta' di accogliere realmente le esigenze della controparte ispiri sempre l'operato di Gandhi. Juergensmeyer e' molto preoccupato dell'aspetto coercitivo che puo' essere presente anche nella lotta nonviolenta. Sostanzialmente accetta l'obiezione di Niebuhr, per il quale la lotta nonviolenta e' costrittiva, e percio' violenta anch'essa. Una obiezione che dilata il concetto di violenza fino a farlo coincidere con quello di costrizione, e che finisce per accomunare il massacro di civili con un digiuno di protesta. Vero e', pero', che nel satyagraha di Gandhi sono presenti due momenti - la forza e l'amore - spesso in contrasto tra di loro, e che in qualche caso la lotta nonviolenta puo' essere non una ricerca della verita' insieme all'avversario, ma un metodo per imporgli la propria verita'. Come rimedio, l'autore propone l'idea del doppio patrocinio, l'essere cioe' al contempo avvocati difensori di se stessi e dell'avversario, in modo tale da avere onestamente presenti le ragioni di entrambe le parti. Una idea che e' gia' presente nel satyagraha gandhiano, benche' la sua applicazione sia tutt'altro che semplice, essendo fortissima la tendenza ad una interpretazione del conflitto fondata sui propri interessi. Se poi occorrera' far ricorso alla coercizione, bisognera' fare in modo che tale coercizione sia detentiva, e non distruttiva. C'e' coercizione detentiva quando si interviene sull'avversario impedendogli, attraverso la coercizione, di compiere violenza. Una coercizione ammissibile come mezzo abilitante, perche' riduce il livello di violenza di un conflitto e rende possibile affrontarlo in modo realmente nonviolento. Una questione ulteriore e' quella della lotta contro le grandi organizzazioni. Quando la lotta e' contro poteri personali, e' possibile far leva sull'umanita' dell'altro e lavorare per la sua conversione, ma che fare quando ci si trova di fronte ad un potere impersonale? La risposta e' duplice. Da una parte, Gandhi cerco' di individuare le persone che facevano parte di queste organizzazioni impersonali, le incontro' e discusse con loro. Dall'altra, creo' contro queste strutture delle controstrutture, delle strutture economiche e politiche alternative a quelle dei dominanti. "E' un punto di vista denso di implicazioni per quel che riguarda il modo in cui i gandhiani dovrebbero condurre una lotta contro qualsiasi organizzazione: dovrebbero considerarla una lotta tra struttura e controstruttura, tra visioni concorrenti di come dovrebbe essere e quale cammino dovrebbe seguire un'organizzazione" (p. 176). Questo concetto di controstruttura e' il piu' prezioso contributo di questo libro, e c'e' da auspicare la sua adozione nel linguaggio politico nonviolento. 7. LIBRI. ANTONIO VIGILANTE PRESENTA "PACE E DISARMO CULTURALE" DI RAIMON PANIKKAR [Dal sito "Palabre" (http://palabre.altervista.org) riprendiamo la seguente recensione di Antonio Vigilante al libro di Raimon Panikkar, Pace e disarmo culturale, Rizzoli, Milano 2003. Raimon (Raimundo) Panikkar e' nato a Barcellona nel 1918 da madre spagnola e padre indiano; laureato in chimica, filosofia e teologia, ha insegnato in molte universita' europee, asiatiche ed americane; e' uno dei principali esperti di studi interculturali. Opere di Raimon Panikkar: tra i suoi numerosi libri cfr. Il dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi 1988; Trinita' ed esperienza religiosa dell'uomo, Cittadella, Assisi 1989; La torre di Babele, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990; La sfida di scoprirsi monaco, Cittadella, Assisi 1991; Ecosofia: la nuova saggezza, Cittadella, Assisi 1993; Saggezza stile di vita, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1993; La pienezza dell'uomo. Una cristofania, Jaca Book, Milano 1999; Pace e interculturalita', Jaca Book, Milano 2002; Pace e disarmo culturale, Rizzoli, Milano 2003; La nuova innocenza, tre volumi, Servitium, Palazzago (Bg); L'esperienza della vita, Jaca Book, Milano 2005. Si vedano anche gli atti del seminario animato da Panikkar su Pace e disarmo culturale, L'altrapagina, Citta' di Castello (Pg) 1987 (con interventi tra gli altri di Ernesto Balducci, Fabrizio Battistelli, Luigi Cortesi, Antonino Drago, Achille Rossi). Opere su Raimon Panikkar: Achille Rossi, Pluralismo e armonia: introduzione al pensiero di Raimon Panikkar, L'altrapagina, Citta' di Castello (Pg) s. d. ma 1990] La guerra e' un fenomeno culturale, ed a livello culturale va contrastata. E' inutile la ricerca della pace senza un disarmo culturale, il superamento cioe' della cultura bellica in cui viviamo, che non e' mai realmente andata oltre il modello della pax romana. Panikkar distingue tre ipotesi sulle origini della violenza, cui corrispondono tre concezioni della pace. La prima e' quella monistica, per la quale l'uomo e' originariamente buono, anche se e' decaduto; potra' tuttavia sollevarsi da questa caduta. In modo piuttosto singolare, l'autore fa rientrare in questa prima posizione tanto i monoteismi, quanto il buddhismo ed il marxismo. La seconda ipotesi e' quella dualista, per la quale il bene e il male sono entrambi principi metafisici. Infine l'ipotesi a-dualista o advaita, per la quale la realta' e' ambivalente, ed ogni cosa e' al tempo stesso bene e male; o meglio: il male e' il bene che perde trasparenza, e puo' essere convertito in bene attraverso la saggezza. Una cultura tecnocratica tende a considerare anche la pace come un'opera umana. Essa invece e' un dono: non si costruisce, ma si riceve assumendo un atteggiamento "femminile" di ricettivita' e di disponibilita' ad accogliere il dono. La filosofia della pace e' il tentativo di comprendere il mistero della realta', superando la violenza epistemica della tradizione occidentale. Il suo presupposto e' che la struttura della realta' sia armonica. Cio' che e' e' come deve essere; non disponiamo, del resto, di alcun criterio di valutazione estraneo alla realta' stessa. La pace e' l'ordine della realta'. La filosofia che coglie quest'ordine non e' solo esercizio intellettuale, ma richiede in primo luogo il raggiungimento dell'armonia interiore e l'attitudine alla contemplazione. La guerra, come fenomeno limite (al pari della morte), e' un fenomeno religioso. La secolarizzazione consente di valorizzare la dimensione religiosa della pace senza cadere nella teocrazia. Disarmo culturale significa, riguardo alla religione, purificarla dal suo ruolo istituzionale. Ma a dover essere ridimensionata e' soprattutto la tradizione tecnico-scientifica europea, con la sua prospettiva evoluzionistica ed ottimistica. I valori occidentali non vanno negati, ma nemmeno possono piu' essere usati come armi d'assalto nei confronti della parte restante del mondo. La stessa verita' non va intesa come uno strumento per vincere, ne' per convincere: altrimenti diventa ideologia. Il riferimento di Panikkar e' ai missionari cristiani, ma l'osservazione sembra colpire anche il concetto gandhiano di satyagraha, fondata sulla idea dell'efficacia della verita' nella lotta politica. La modernita' ha tre fattori distintivi: tecnocrazia (che e' una forma di dominio, ben diversa dalla techne antica), secolarita' e primato della storia (l'uomo moderno non vive piu' nel cosmo, ma nel mondo storico). La liberazione umana si e' andata scindendo in salvezza religiosa, salute medica e liberta' politica. Bisogna riunificate queste tre dimensioni. La pace e' il risultato della interazione di tre elementi: armonia, liberta' e giustizia. Armonia vuol dire conciliazione degli opposti (e quindi rinuncia al dualismo). Cio' non vuol dire che la realta' che accoglie e armonizza i contrari sia idilliaca. In essa c'e' posto anche per il male. La pace deve fondarsi su questa armonia cosmica, e rispettarla. "Se e' vero, per esempio, che l'universo materiale sussiste grazie al fatto che il pesce grande si nutre del piccolo, l'armonia della pace non potra' consistere nel far si' che gli uomini rinuncino alla caccia, ma esigera' che questa venga praticata secondo i ritmi naturali delle cose" (p. 105). E' una posizione diametralmente opposta a quella di Aldo Capitini, per il quale la filosofia della pace cerca un mondo nel quale il pesce grande non mangi piu' quello piccolo. Il secondo elemento, la liberta', e' il rispetto dell'ontonomia di ogni persona, ed a sua volta e' fondata su una Realta' che e' libera, e dalla quale non ci si puo' isolare senza diventare nemici della liberta'. La giustizia, terzo elemento, non va confusa con la legalita', e permette di uscire da una concezione intimistica della pace, esigendo il riconoscimento di cio' che spetta a ciascuno. Perche' vi sia pace occorre che i tre elementi - armonia, liberta' e giustizia - siano in equilibrio, e che nessuno predomini sugli altri. Il centro comune cui fanno riferimento i tre elementi e' l'amore, inteso non come sentimento, ma come eros cosmico. I principali ostacoli alla pace sono tre. Il primo e' l'ideale militare. Anticamente il militare faceva parte anch'egli dell'ordine cosmico, aveva la funzione di difendere l'ordine sociale, e rispondeva ad un codice severissimo. Ora questo ideale cavalleresco e' degenerato a causa del potere e della deriva tecnocratica, che ha portato dalle armi bianche a quelle atomiche, con le quali la guerra diventa pura distruttivita'. Il secondo e' appunto la tecnocrazia, che rompe l'equilibrio cosmico e crea un quarto mondo oltre quelli dell'Uomo, della Natura e degli Dei. Il terzo ostacolo e' la cosmologia evoluzionista. La legge dell'evoluzione dice che il passaggio a forme evolutive piu' alte avviene a costo del sacrificio di milioni di esseri. Come non giustificare cio' anche nel mondo della storia? Per parlare di pace occorre la trascendenza, intesa non come un Dio escatologico che premia i buoni, i vincitori della vicenda cosmica, ma come un Dio al tempo stesso immanente e trascendente, che e' oltre l'uomo ma anche dentro l'uomo. E se in ogni uomo c'e' una scintilla di Divino, nessuno puo' essere lasciato indietro nel cammino dell'umanita'. Di qui l'opzione preferenziale per i poveri e gli ultimi. "L'opzione per i poveri equivale alla ribellione dell'uomo di fronte a tutte le forze cieche della natura e della storia" (p. 141), scrive Panikkar. Ma dire che le forze della natura sono cieche non vuol dire disapprovare anche il fatto che il pesce grande mangi il piccolo? non significa introdurre un dover essere, in base al quale giudicare eticamente non solo il mondo storico, ma anche quello naturale? 8. POESIA E VERITA'. EMILY DICKINSON: COME SILENTI STANNO LE CAMPANE [Da Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, p. 1071. Emily Dickinson (Amherst, Massachusetts, 1830-1886) e' una delle piu' grandi voci poetiche che l'umanita' abbia avuto; molte le edizioni delle sue poesie disponibili in italiano con testo a fronte (tra cui quella integrale, diretta da Marisa Bulgheroni, da cui citiamo); per un accostamento alla sua figura e alla sua opera: Barbara Lanati, Vita di Emily Dickinson. L'alfabeto dell'estasi, Feltrinelli, Milano 1998, 2000; Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson, Mondadori, Milano 2002] Come silenti stanno le campane nelle torri, finche', gonfie di cielo balzan con piedi argentei in melodia frenetica! ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 51 dell'11 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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