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Nonviolenza. Femminile plurale. 41
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 41
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 8 Dec 2005 13:17:08 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 41 dell'8 dicembre 2005 In questo numero: 1. Una lettera dalla redazione di "Via Dogana" 2. Lisa Clark: La pace in ostaggio 3. Luisa Muraro: Del vero e del giusto 4. Giovanna Boursier intervista Amelia Robinson 5. Paola Mancinelli: Franz Rosenzweig e la questione dell'essere (parte seconda) 6. Giovanna Providenti: L'intransigenza di Cordelia 1. INCONTRI. UNA LETTERA DALLA REDAZIONE DI "VIA DOGANA" [Dalla Libreria delle donne di Milano (per contatti: e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it) riceviamo e volentieri diffondiamo] Cara amica, caro amico e, perche' no, cari nemici e nemiche, e anche voi, care persone ancora indifferenti alla nostra esistenza, vi chiediamo di fare l'abbonamento a "Via Dogana" 2006. La rivista e' arrivata al numero 75, escono quattro numeri all'anno, in marzo, giugno, settembre, dicembre, l'abbonamento e' annuale, per anno solare, e costa 25 euro (35 per l'estero), si puo' fare in un ufficio postale (conto corrente postale n. 26601203 intestato a Circolo coop. "Sibilla Aleramo" Mantova) o venire alla Libreria delle donne, in via Pietro Calvi 29, a Milano (annunciatevi, metteremo il tappeto rosso, tel. 0270006265). Le ragioni per abbonarsi sono tante: che la rivista e' buona, che la rivista e' bella, che noi siamo donne, che tra poco saremo, forse, una redazione anche di uomini... Potrebbero essere le stesse ragioni di noi che facciamo "Via Dogana": per noi si tratta di esserci e salvare il nostro irrinunciabile in un mondo dov'e' difficile ritrovarsi, donne portate al potere quasi unicamente dalla destra (dopo Angela Merkel, fra non molto, chissa', Condoleeza Rice), un mare di parole finte in difesa della vita mentre tanti anonimi la perdono nel mare d'acqua a due passi da casa nostra, uomini che non sanno dire ti amo e uccidono, i beni naturali quotati in borsa... Salvare l'irrinunciabile, che cosa significa? Non perdere l'intuizione di una originalita' umana che puo' nascere nei rapporti fra esseri umani, quando c'e' un filo di liberta' femminile. E che puo' rivoluzionare la politica, ne abbiamo fatto la prova. Noi che firmiamo siamo la redazione ristretta che si dedica al lavoro sodo, e che si riunisce a Mantova. Oltre a noi c'e' una redazione allargata - aperta anche a te che ci leggi, se lo vorrai - di cui facciamo pure parte, la quale si riunisce alla Libreria delle donne: e' questa che trova i temi e imposta i numeri. Un'ultima ragione per abbonarsi e' che una volta vendevamo in una rete di librerie, adesso vendiamo soprattutto per abbonamento. Grazie da Clara, Annarosa, Vanna, Luisa, Vita, Lorena, Marina, Traudel, Laura, Alessandra... * Per comunicare con la redazione: info at libreriadelledonne.it Per informazioni sugli abbonamenti telefonare al n. 3356780668 o scrivere ad abbonamenti at libreriadelledonne.it 2. RIFLESSIONE. LISA CLARK: LA PACE IN OSTAGGIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 dicembre 2005. Lisa Clark (per contatti: lisa.clark at libero.it), amica della nonviolenza, e' impegnata nell'esperienza dei "Beati i costruttori di pace" e della "Rete di Lilliput", ed ha preso parte a molte iniziative di formazione e di intervento nonviolento] Domani sera [il 7 dicembre 2005 - ndr], nel maggior numero possibile di piazze, strade, ponti in Italia accendiamo una fiaccola per chiedere la liberazione dei quattro ostaggi sequestrati in Iraq. E la liberazione del popolo iracheno da una occupazione illegale che non costruira' mai pace e democrazia. Tom, Norman, Jim, Harmeet sono attivisti dei Christian Peacemaker Teams, organizzazione nata negli anni '80 ed inizialmente attiva nel "cortile di casa" degli Usa. Costruttori di pace di ispirazione cristiana, il movimento fu lanciato dalla Societa' degli Amici (i Quaccheri) e dalla Chiesa dei Mennoniti, ma agi' fin dall'inizio insieme ad altri movimenti di ispirazione religiosa. Insieme a Witness for Peace rappresentarono in Salvador, Nicaragua, Guatemala, Haiti la volonta' di cittadini statunitensi di esprimere la distanza che li separava dalle politiche governative. E' grazie anche al loro impegno che oggi sappiamo quale ruolo svolsero Negroponte e i servizi Usa nel favorire gli squadroni della morte. Da sempre la loro missione e' la riduzione della violenza con l'obiettivo di costruire un mondo diverso rivelando ai loro concittadini le ingiustizie e le violenze compiute "a loro nome". Tom Fox, quacchero, ha scritto molto dall'Iraq sul suo blog. Il giorno prima del rapimento scrisse: "Qui, in Iraq, la violenza si esercita tramite la disumanizzazione dell'altro. I soldati Usa rubano l'umanita' delle persone: gli iracheni non sono piu' esseri umani. Solo cosi' i soldati possono uccidere, imprigionare, torturare e sentirsi a posto con la propria coscienza. A noi tocca il compito di sradicare tutto cio' che di disumanizzante c'e' in noi, per primi, e riscoprire con chi ci sta vicino la comune umanita'". Harmeet Sooden, cittadino canadese, doveva rimanere poco in Iraq. Poi avrebbe dovuto proseguire per la Palestina per una permanenza di tre mesi, tra le fila dell'International Solidarity Movement. Ci era gia' stato, Harmeet, in Palestina. Era stato a Nablus e a Jenin, dove si era unito agli altri attivisti che stavano ripiantando gli ulivi sradicati dalle forze armate israeliane. Anche Tom era stato in Palestina: gira una bella foto di Tom nell'occasione di una manifestazione contro il Muro dell'apartheid a Jayyous. Del resto lo slogan dei Christian Peacemaker Teams oggi e' "Getting in the way", letteralmente "mettersi in mezzo" nel senso dell'interposizione, ma anche del mettere il bastone fra le ruote delle forze dell'oppressione, dell'occupazione, sia in Palestina che in Iraq. Furono i Christian Peacemaker Teams di Baghdad i primi a raccogliere le testimonianze sulle torture inflitte ai prigionieri ad Abu Ghraib. Furono vicini, offrendo sostegno di ogni tipo, alle famiglie dei torturati, diffondendo rapporti e notizie negli Stati Uniti e nel mondo. Viviamo nel mondo dell'immagine e nessuno credette ai rapporti che scrivevano, insieme alle associazioni irachene per i diritti umani e all'Osservatorio di Occupation Watch, finche' non arrivarono le foto. Norman Kember, britannico, e' un battista. Questo nonno settantaquattrenne, da decenni socio attivo della Campagna per il disarmo nucleare (Cnd), negli ultimi tre anni era stato in prima fila tra gli oppositori della guerra in Iraq. Un religioso musulmano britannico, Anas Altikriti, a nome della Coalizione Stop the War e dell'Associazione dei musulmani in Gran Bretagna, e' gia' partito per l'Iraq per chiedere di persona che venga liberato l'attivista nonviolento. James Loney - Jim - era attivo in Canada anche a favore della liberazione di prigionieri rinchiusi nelle carceri canadesi, senza processo ne' condanna. Tre di questi, in galera da oltre quattro anni, hanno anche loro diffuso un accorato appello per la liberazione di Jim e degli altri tre. "Che una persona come Jim sia prigioniero ci causa piu' dolore della nostra stessa prigionia". Domani, mercoledi' 7, nelle citta' italiane chiederemo con forza la liberazione dei nostri amici. Chi li ha rapiti ha emesso un ultimatum: o la coalizione rilascera' tutti i prigionieri iracheni, o i quattro sequestrati verranno uccisi l'8 dicembre. Siamo ripiombati in un vicolo buio, da cui fatichiamo a vedere la via d'uscita. Ma prendiamo spunto da Tom, il rapito statunitense, che ha intitolato il suo blog dall'Iraq, "Waiting in the light", e facciamo che la luce dell'impegno, della resistenza nonviolenta e della speranza non si spenga. Li vogliamo liberi e chiediamo liberta' per tutto il popolo iracheno. 3. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: DEL VERO E DEL GIUSTO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo intervento di Luisa Muraro, li' presentato col titolo "Aborto: la nostra competenza e quella dei vescovi". Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Una settimana fa, da Roma dove si teneva l'assemblea (il Sinodo) dei vescovi cattolici, e' venuta una notizia che riguarda l'aborto. Leggo dai giornali: "E' peccato votare i candidati politici che ammettono leggi a favore dell'aborto", ha detto il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (monsignor Levada, il successore di Ratzinger, che e' diventato papa). Sostenere leggi favorevoli all'aborto e votare i politici che le sostengono, e' un peccato grave che comporta l'esclusione dalla comunione. In molti paesi (fra cui gli Usa e l'Italia), alla presa di posizione dei vescovi sull'aborto si risponde da parte delle forze laiche con accuse d'ingerenza clericale nella vita politica. Questo tipo di risposta ha dei limiti che vorrei segnalare, per tentare di seguire un'altra strada che e' di far intendere all'autorita' religiosa il buono che c'e' nel nuovo venuto con la fine del patriarcato. La separazione tra la politica e la religione, oltre a non essere universale, ha il limite ulteriore di non essere vera, nel senso che non e' primaria, e' una separazione importante e va mantenuta, ma e' secondaria, introdotta per fare ordine nei rapporti tra Stato e Chiesa, tra certi poteri e altri poteri, ecc. Nel concreto della vita i sentimenti religiosi o antireligiosi si mescolano con quelli politici, inutile negarlo, lo dice la storia e lo dice la testimonianza interiore. (La storia dice anche che il risultato di queste mescolanze non e' univoco, ma, al contrario, molto e molto vario). Passo cosi' alla cosa che piu' m'interessa, e cioe' che i commenti sia favorevoli sia contrari alla presa di posizione dei vescovi, hanno dato per scontata che questa colpiva (anche) la legge 194 della nostra legislazione, che regolamenta la pratica dell'aborto. Ma e' sbagliato, perche' la legge 194 non e' abortista e non e' opera di legislatori abortisti, basta leggerla per rendersene conto. I politici che la hanno votata e quelli che oggi la difendono, per questo semplice fatto non sono degli abortisti. (Potrebbero esserlo per altri aspetti, ma e' tutto da vedere). La lettura della legge mostra infatti che essa fu scritta e approvata dal Parlamento per tutelare la salute delle donne. La legge, infatti, non autorizza l'aborto, al contrario condiziona la sua pratica a certi limiti, fra cui l'obbligo di rivolgersi ad una struttura sanitaria pubblica. Oltre a questo, essa mira a diffondere la cultura preventiva delle gravidanze indesiderate, che portano spesso le donne alla decisione di abortire. Tant'e' vero che l'introduzione della legge 194 non avrebbe portato ad un aumento degli aborti ma, al contrario, oltre a renderli meno pericolosi per la salute delle donne, essa avrebbe contribuito a limitarne il numero. Sto dicendo cose gia' dette e provate. Le richiamo per impedire che la presa di posizione dei vescovi prenda un significato abusivo, entrando nel discorso politico contingente. C'e' una competenza di valutazione della realta' di questo mondo che non e' dei vescovi, ma dei laici, come ha insegnato Montini, da prete, da vescovo e da papa (Paolo VI). Una donna come me, simile a tante altre che hanno riflettuto a lungo sull'aborto, e' in posizione per conoscere il senso di quella legge meglio di qualsiasi vescovo. Non ero una sostenitrice della 194, devo dire, ero infatti per la semplice depenalizzazione dell'aborto, ma anche da questa posizione critica vedo il valore di quella legge e dico, con la necessaria autorita', che non e' una legge abortista, al contrario. Non deve ripetersi l'errore del cardinal Ruini nei confronti di Prodi impegnato a disegnare, con i Pacs, una risposta sensata e praticabile alla domanda di riconoscimento che viene dalle coppie che non possono accedere al matrimonio. L'errore di Ruini viene da una certa prevaricazione, non rara in quell'uomo. Se pero' vogliamo che la competenza e l'autorita' di coloro - noi - che si misurano anima e corpo con le cose di questo mondo, valgano nella mente dei vescovi o di altri capi religiosi, facciamole valere anche nella nostra. Non difendiamoci dal clericalismo con la separazione Stato-Chiesa, questo voglio dire, ma con la dimostrazione del vero e del giusto. 4. TESTIMONI. GIOVANNA BOURSIER INTERVISTA AMELIA ROBINSON [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 dicembre 2005. Giovanna Boursier e' una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom, ed allo sterminio nazista. Amelia Boynton Robinson e' nata in Georgia, Usa, nel 1911; impegnata nelle lotte per i diritti civili fin dalla prima giovinezza, durante gli anni Sessanta la sua casa divenne una sorta di quartier generale del movimento per i diritti civili; collaboratrice di Martin Luther King, divenne nota per aver guidato la dimostrazione per i diritti civili del 7 marzo 1965 a Montgomery, in Alabama, la "domenica di sangue" quando fu picchiata e lasciata per morta sulla strada; nel 1964 fu la prima donna di colore dell'Alabama a candidarsi al parlamento per il partito democratico; il 21 luglio 1990 e' stata insignita dell'onorificenza "Martin Luther King Freedom Medail" per aver dedicato l'intera vita alla lotta per i diritti civili; a 94 anni la sua attivita' per la apce e i diritti umani continua tuttora. Opere di Amelia Boynton Robinson: Un ponte sul Giordano. La mia lunga marcia con Martin Luther King, Palomar, 2004] Aveva dieci anni, Amelia Boynton Robinson, nel 1921 quando, seduta su un carro trainato da cavalli, seguiva sua madre per le strade di Savannah in Georgia chiamando le donne di casa in casa per portarle a votare. Poco piu' di quarant'anni dopo, nel 1965, era con Martin Luther King e Rosa Parks alla testa della marcia contro il segregazionismo che alla fine costrinse il presidente Johnson a firmare il Voting Rights Act sancendo il diritto di voto per gli afro-americani. E Amelia Robinson nella sua vita non ha mai smesso di lottare. Qui in Italia l'hanno soprannominata la nonna dei no global e lei ne va fiera perche' dice di essere sempre stata disubbidiente. Pelliccia di visone, stivaletti e abito di pelle nera, ha gli occhi intensi e un sorriso divertito. * "Sono nata negli Stati Uniti in piena epoca di segregazione, ma nella mia citta', Savannah in Georgia, non eravamo esposti alla discriminazione. Poi quando mi sono trasferita a Selma per insegnare e ho ricevuto il mio primo assegno sono andata in banca tutta contenta a versarlo. Aspettavo il mio turno, tra tanti uomini bianchi, sovrappensiero. Non mi ero neanche accorta di quel ragazzo che vedendomi li' in piedi urlava 'Non mi vedi? togliti dai piedi negra'. Solo allora mi sono svegliata dai miei sogni e gli ho risposto: 'Con chi credi di parlare? non sono mica una di loro'. Chissa' perche' ho risposto cosi', forse volevo dire che non ero una studentessa, che venivo dalla Georgia ed ero un'insegnante. Lui ha alzato la mano per colpirmi e io l'ho guardato negli occhi. Allora l'ha abbassata. Quando sono uscita dalla banca ho incontrato il preside che mi ha detto: 'mia cara, ma non sai dove sei capitata, qua devi stare attenta che non ti lincino! E' impossibile fare qualcosa'. Ricordo che ho sentito che non potevo accettare. Era il 1929, avevo 19 anni e poche settimane dopo sono partita per l'Alabama". Dove conosce Rosa Parks: "Rosa Parks era una donna giovane, paziente e nonviolenta che credeva nella nostra gente. Nel 1955 lavorava in uno dei laboratori di sartoria, e proprio nei giorni prima di Natale, quando il lavoro era davvero tanto, lei e' salita su un autobus e si e' seduta. Perche' era molto stanca e aveva un lungo tragitto da fare. Si e' seduta dietro, non nelle prime file. Ma l'autista e' venuto a dirle di lasciare il posto a un signore bianco. Lei non si e' mossa. Allora e' arrivata la polizia e lei sapeva che la avrebbero portata in prigione. Ma sapeva anche che quello che stava facendo era la cosa giusta e cosi' si lascio' arrestare". Da li' parti' un movimento di massa contro la segregazione. Martin Luther King ne divenne il leader: "Il 2 gennaio 1964 King venne a Selma ma nessuno voleva ospitarlo. Avevano paura perche' lo consideravano un ribelle e un comunista. Io gli offrii meta' di casa mia e meta' del mio ufficio. Cosi' diventammo amici. Nel 1965 eravamo in macchina insieme e a un semaforo si e' fermata un'auto con un uomo che ci guardava. Ha abbassato il finestrino e si e' chinato a prendere qualcosa. Tutti abbiamo pensato a una pistola e siamo scappati. Poi King ha detto: 'Non credo volesse spararmi perche' non avrebbero mai mandato un uomo da solo per uccidermi'. Ma comincio' a parlare della morte: 'Ci ho pensato spesso e non voglio morire, la vita mi piace. Ma se devo morire preferisco morire per qualcosa piuttosto che per niente'. Dopo quella conversazione ha fatto il meraviglioso discorso: 'Sono stato sulla cima della montagna, ho visto la gloria di Dio, non saro' con voi sempre ma continuate la battaglia'. La mattina dopo e' stato ucciso". Amelia e' un po' stanca e ha molti appuntamenti. Vorrebbe andare alla manifestazione contro il razzismo "se solo smette di piovere". Poi conclude: "Oggi la battaglia per il voto agli immigrati e' simile ma anche diversa da quella che facevamo allora. In Italia si cerca di rendere i migranti cittadini, perche' se queste persone lavorano, contribuiscono al bene del paese, pagano le tasse, devono anche poter votare. Ma allora i neri americani erano gia' cittadini. Non gli davano diritti per continuare a sfruttare il loro lavoro senza pagarli. Il razzismo permetteva di mettergli un piede sul collo e tenerli a terra. Era razzismo prendere le persone dall'Africa, caricarle su una nave e portarle a lavorare nelle piantagioni come e' razzismo oggi tenere le persone nel nord Europa per farle lavorare nelle fabbriche. E allora quando io e Martin chiedevamo diritti per gli afroamericani davamo fastidio. Perche' disturbavamo il sistema, il loro sistema di vita. Ma io penso quello che pensavo all'universita': non puoi tenere un uomo nel fango senza starci anche tu". 5. RIFLESSIONE. PAOLA MANCINELLI: FRANZ ROSENZWEIG E LA QUESTIONE DELL'ESSERE (PARTE SECONDA) [Ringraziamo Paola Mancinelli (mancinellipaola at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente saggio su "Rosenzweig e la questione dell'essere: pensare l'inizio in una terra altra" che anticipa alcuni temi del suo volume di prossima pubblicazione su Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere con Franz Rosenzweig. Paola Mancinelli, nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, dottore di ricerca in filosofia teoretica e docente di scuola superiore, saggista e poetessa, si e' occupata tra l'altro del rapporto fra mistica e filosofia e la violenza del sacro in Rene' Girard, del pensiero di Rosenzweig e dell'influenza dell'ebraismo nel rinnovamento dell'ontologia; collabora alle riviste "Filosofia e teologia" e "Quaderni di scienze religiose" ed alla rivista telematica di filosofia "Dialeghestai". Fra le opere di Paola Mancinelli: Vibrazioni, Pentarco, Torino 1985; Come memoria di latente nascita, Edizioni del Leone, Venezia, 1989; Oltre Babele, Edizioni del Leone, Venezia, 1991; Cristianesimo senza sacrificio. Filosofia e teologia in Rene' Girard, Cittadella, Assisi 2001; Homo revelatus, homo absconditus, di alcune tracce kierkegaardiane in Rene' Girard, in AA. VV., "Nota Bene, Quaderni di studi kierkegaardiani", Citta' Nuova, Roma 2002; La metafisica del silenzio, Stamperia dell'Arancio, Grottammare, 2003; Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere con Franz Rosenzweig (di prossima pubblicazione). Franz Rosenzweig, filosofo illustre, nato a Kassel nel 1886, muore nel 1929 a Francoforte; con Martin Buber ha realizzato la traduzione tedesca della Bibbia ebraica. Opere di Franz Rosenzweig: Hegel e lo stato (1920), Il Mulino, Bologna 1976; La stella della redenzione (1921), Marietti, Casale Monferrato 1981 (il suo capolavoro, come e' noto); Il nuovo pensiero (1925), Arsenale, Venezia 1983. Opere su Franz Rosenzweig: segnaliamo almeno i saggi di Scholem, Levinas, Cacciari; un'agile sintesi introduttiva (con una perspicua bibliografia) e' quella di Giovanni Fornero nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, IV volume, secondo tomo, Utet, Torino 1994, poi vol. IX, Tea, Milano 1996 (ivi alle pp. 3-19)] L'Essere si dice in molti modi: l'essere altrimenti detto Parlare di "essere" in Rosenzweig significa inevitabilmente prendere in esame le diverse implicazioni emergenti da un rapporto che connette lo stesso essere al linguaggio e al pensiero. Rosenzweig intende, attraverso la pietra angolare della rivelazione, procedere all'elaborazione di un pensiero al di la' del concetto statico dell'essenza. Suggestivo ci pare, da questo punto di vista un passaggio della Stella che qui riportiamo: "La durevole essenza del mondo configurato era l'universale, piu' esattamente la specie, la quale contiene in se', sia pure in modo universale, l'individuo, anzi di continuo lo genera nel proprio seno. Nel mondo che si rivela come creatura quest'essenza durevole viene capovolta in un'essenza istantanea, 'sempre rinnovata' e tuttavia universale. Un'essenza quindi in-essenziale. Che cosa s'intende con questo? Un'essenza del mondo ormai entrato nella corrente della realta', un'essenza che non e' 'sempre dovunque', un'essenza la quale nasce nuova ogni istante, con l'intero contenuto del particolare che essa include in se'" (14). Proprio il termine di "essenza in-essenziale" implica da un lato la messa in discussione del fondamento totalizzante, dall'altro getta le basi per l'evento della rivelazione istantanea e sempre nuova, che accade all'esser-ci del mondo. Dunque e' solo la rivelazione che permette di definire l'essenza del mondo, che e' - tuttavia - in-essenziale, perche' rinnovata ogni istante nell'accadere della parola in questo esser-ci individuo che ogni volta sono, segnato dal bisogno di essere. Per questo Rosenzweig prosegue: "Contrapposto ad essere l'esser-ci significa l'universale che e' ripieno di particolare e non e' sempre e dovunque, bensi' (contagiato in questo dal particolare) deve incessantemente divenire nuovo per conservare la propria esistenza (...). Il suo proprio essere, che esso ha alle spalle ovvero possedeva prima di quel suo divenir-creatura, non puo' procurargli tutto cio' perche' quell'essere e' rimasto la' alle sue spalle, nell'apparenza priva di essenza del pre-mondo" (15). Come acutamente osserva Anne Elizabeth Bauer, nella sua preziosa opera su Rosenzweig: "Ci sono diversi modi dell'essere: l'essere intemporale (come nel caso dei tre orizzonti intrascendibili, Dio, il mondo e l'uomo) e l'essere che accade nel momento in cui si gettano ponti fra creazione, rivelazione, redenzione. In questo senso l'essere non deve essere compreso come il concetto onniavvolgente i tre orizzonti di Dio, il mondo, l'uomo, ma semplicemente come esser-ci (Da-sein), esser cosi' (So-sein), datita', (Gegebenheit), sia nella temporalita' dell'intemporale, che fonda senza dubbio il divenire della realta' (...), sia nella temporalita' dell'evento che nel presente, passato, futuro si distende in una triplice forma di relazione" (16). Procedendo via negationis escludiamo subito un'interpretazione dell'essere in quanto semplice presenza e ci attestiamo su una categoria che e' quella dell'esser-ci. Ma va subito osservato, poiche' lo stesso Rosenzweig invoca un'istanza in-essenziale, che l'esser-ci non puo' subire la reductio a mero ente. L'esserci si riconosce, in effetti, in quanto bisognoso di essere come apertura relazionale, che sempre si rinnova nella rivelazione. Potremo quindi concludere che l'esser-ci in quanto fenomeno irriducibile viene rinnovato costantemente come venire all'essere nella Parola. Per questo motivo l'interpretazione midrashica puo' esserci utile; essa infatti permette di comprendere meglio questa sorta di s-fondamento che rende all'essere il suo significato abissale. Vedremo come questo possa permettere di intercambiare l'essere con il nulla, secondo la tradizione cabalistica, di cui certamente, sia pur in uno strato profondo della sua opera, Rosenzweig e' debitore. I primi versetti del Genesi usano il termine ebraico tohu-bohu, che potremmo rendere in italiano con abisso; proprio questo termine permette agli esegeti di penetrare nel giardino chiuso del Nulla (17). In questo senso risultano pregnanti le parole di Zarader, che asserisce: "Il nulla non e' semplicemente pre-liminare, il suo tumulto non si estingue con la creazione, ma l'accompagna continuamente, si tratta di una riserva di forze pronta a risorgere, pronta allo stesso tempo a rispondere all'appello dell'essere, quando questo si ricorda della sua originaria parentela con il nulla" (18). Si puo' comprendere, cosi', l'istanza rosenzweighiana secondo la quale il venire all'essere della creazione deve essere sempre rinnovato nella sua perennita'. Cio' depone a nostro avviso a favore di un carattere linguistico ed eventuale dell'essere, e che, anche questa volta, crediamo ravvisare nell'esegesi ebraica delle Scritture. Se e' vero che gli interpreti ebrei non si limitano soltanto a riconoscere un'originaria parentela tra essere e nulla, e' pur vero che essi si attestano su un orizzonte ermeneutico che vede nella lingua ebraica un calco della realta', una mimesi ed una scrittura delle cose, nonche' su un'idea di lingua, la cui essenza e' concepita da Dio ed affidata all'uomo nell'infinita possibilita' combinatoria delle lettere (19). In questo senso, essi ravvisano tale parentela anche a livello linguistico; come sottolinea Zarader, essi decifrano e decodificano il termine ebraico Ain (non-esistenza o nulla); secondo l'anagramma delle lettere che lo compongono; dunque esso verrebbe a corrispondere ad 'Ani, che in ebraico traduce il si', o l'essere, ovvero l'affermazione dell'esistenza. Risuonano in una feconda sintonia con il pensiero rosenzweighiano queste interpretazioni cabalistiche: "L''Ain e' il tutto e pertanto e' inabbordabile, e' presente e pertanto introvabile. E' prossimo e pertanto lontano. Ben lungi dall'essere negazione dell'esistenza, il nulla e' l'essenza dell'essere (20)". Difficile non cogliere qui un'assonanza con quella sorta di dialettica rosenzweighiana che coglie nell'istanza del rinnovamento perenne della rivelazione il farsi lontano e vicino di Dio e l'originaria fenomenologia della relazione. Sempre secondo la lettura cabalistica da noi qui adottata per andare al cuore della questione, Ain e' intercambiale con il termine 'Ani; in quanto pero', particella esistenziale positiva, 'Ani presenta anche un'altra irradiazione semantica, e puo' esser inteso come l'Io divino (21). L'abisso (Ain) lascia risuonare il primo dire di Dio, che creando si riferisce a se' come ad un io dinanzi alla creazione. 'Ani e' dunque il compimento sonoro del silente inizio, esso segna il dono del linguaggio nonche' il carattere rivelativo della Parola che risuona nell'anima e nel mondo. Dunque il fondamento in-fondato della creazione, in quanto venire all'essere e' il perenne rinnovarsi di questo si' in una pura liberta' divina.In questo stesso passaggio da Ain ad 'Ani si potrebbe cogliere una sorta di pre-originaria dialogia in cui Dio stesso negherebbe il suo abisso per affermare l'esistenza della creazione, per farle spazio e lasciarla essere nella propria alterita'. Questa proposta ermeneutica permette a Rosenzweig di dare conto di quella che abbiamo definita l'esperienza piu' originaria dell'essere; egli traspone altresi' in termini ontologici il No con cui Dio nega la sua essenza ed il Si' con cui afferma la creazione. Si tratta, infatti, di parole archetipiche che denotano gli stati iniziali di Dio (22). Egli ravvisa anche nel nulla autonegantesi di Dio, il cominciamento stesso della creazione. Possiamo allora comprendere in che senso Rosenzweig ravvisa nel nulla l'inizio del nostro sapere di qualcosa. Il filosofo di Kassel indica qui non solo la possibilita' di un'ermeneutica biblica sempre nuova, ma anche la legittimita' di una riflessione filosofica derivante dalla tradizione ebraico-biblica. Le istanze citate, in effetti, verrebbero a costituire il nucleo della critica rosenzweighiana al pensiero essenzialista ed entificante che si attesta sulla domanda "cos'e'". Sara' utile, da questo punto di vista, metterci ancora una volta in ascolto della densa pagina rosenzweighiana. "Soltanto di Dio e' concesso dire che Egli e' il nulla; questa sarebbe una prima, anzi la prima conoscenza della sua essenza. Qui infatti nulla puo' essere un predicato, proprio perche' Dio non e' affatto conosciuto nella sua essenza; la domanda 'che cos'e' Dio?' e' impossibile" (23). Questo passaggio ci sembra fondamentale anche sotto un altro punto di vista: non solo la questione dell'essere non puo' piu' porsi secondo una prospettiva entificante, ma - soprattutto - essa non puo' piu' implicare una reductio del concetto di Dio. La filosofia esperiente di Rosenzweig che ha come presupposto la rivelazione si pone dal punto di vista di un'ermeneutica della fatticita' e della storicita', nella quale l'apertura relazionale alla Parola interpellante permette di comprendere l'accadere della creazione come evento di un'alterita' che si fa presente a partire da un invio. Dunque l'essere viene a perdere quella sorta di rigidita' conferitagli da un pensiero di tipo sostanzialista per diventare parola dell'incontro e dell'avvenire.In tale prospettiva lo stesso Rosenzweig afferma nella lettera a Martin Goldner: "L'ebraico 'essere' non e' certo come l'indogermanico 'essere', secondo la sua essenza, copula, e dunque statico, quanto invece una parola del divenire, dell'avvenire, dell'accadere..." (24). Quest'affermazione puo' facilmente essere vista in prospettiva sinottica con quanto Rosenzweig asserisce nella Stella: "Noi sperimentiamo che Dio ama, non che Dio e' l'amore. Nell'amore Egli ci viene troppo vicino perche' noi possiamo ancora dire: questo o questa cosa e' Lui. Nel suo amore noi sperimentiamo soltanto che Egli e' Dio, ma non che cosa Egli sia. Il 'che cosa', l'essenza rimane celata. Essa si cela proprio nell'atto stesso di rivelarsi. L'essenza di un Dio che non si rivela potrebbe restare alla lunga preclusa; infatti, cosa mai si cela per l'uomo all'esperienza che e' sempre in viaggio, al concetto che afferra, alla ragione che registra? Ma proprio perche' Dio nella rivelazione si effonde su di noi e da statico diviene per noi qualcosa di attivo, Egli getta la nostra libera ragione, cui nulla di statico puo' resistere, nelle catene dell'amore e, imprigionati da questo legame, chiamati da questo appello individuale, ci muoviamo nel cerchio in cui ci siamo trovati e sul percorso su cui siamo stati collocati, senza poterli oltrepassare se non facendo presa con concetti vuoti e senza vigore" (25). Possiamo qui scorgere i tratti fondamentali dell'essere ebraicamente inteso. Il primo aspetto discriminante rispetto all'ontologia greca e' l'estraneita' del concetto di copula. Essa, infatti, risponde alla domanda circa "cos'e'?" e collega un soggetto ad un predicato nel giudizio, rispecchiando un cosmo ordinato dall'intelletto. L'essere si da' quindi a comprendere nella capacita' giudicante, e' logos. Nel mondo biblico essere e' invece contrassegnato dall'accadere, e' evento accaduto. In quanto tale e' indisponibile al giudizio e rinvia ad una comprensione piu' originaria della realta', accessibile all'uomo. L'essere e' dunque dono di questo evento; accade tra gli uomini, dunque e' evento storico aperto, che, in quanto tale, supera la comprensione della semplice presenza. Per lo stesso motivo esso si da' nell'esperienza di una relazione che e' via via dinamismo dell'azione. Ecco dunque perche' l'ebraismo non conosce ne' l'astrazione, ne' il concetto, i cui esiti sono rispettivamente la codificazione e la rigida ontologia sostanzialistica. La lingua che la tradizione ebraica fonda in prevalenza sul verbo e sull'azione, puo' inoltre offrire notevoli spunti ermeneutici, specie per quanto concerne il progressivo abbandono del concetto e del giudizio, a favore di un'attenzione particolare al nome, ed al nome proprio. Questo sara' il nostro percorso ed il nostro approdo, anche se, prima, riteniamo necessarie alcune osservazioni preliminari a partire da due capisaldi che possiamo riassumere come segue: - la connessione fra linguaggio ed essere; - la connessione fra rivelazione ed essere. Prende forma, in base a tali capisaldi, una sorta di configurazione della realta' che rispecchia il sistema di filosofia dello stesso Rosenzweig. L'atto linguistico e' di per se' rivelativo; in esso la rivelazione acquisisce centralita' in quanto chiarificazione e dischiudimento della verita' (potremo parlare con Casper altrettanto di Seinserhellung, rischiaramento dell'essere), che esprime la connessione vivente (Lebensbezug) della realta' entro cui (e non viceversa) il pensiero si sviluppa. Il linguaggio rappresenta dunque l'orizzonte trascendentale, la condizione di possibilita' della rivelazione. Questa, a sua volta, si pone come possibilita' di apertura relazionale che, configurando la nascita dell'io e del tu in senso dialogico, e' altresi' alla base di quella connessione vitale che accade fra gli elementi e in tal senso anticipa la redenzione del mondo, configurandolo come realta' capace di ricevere il nome. Viene, in tal modo, a darsi una relazione fra Sprache come evento pre-originario - la creazione e', infatti, un primo rivelarsi intradivino nella parola - in-fondato ed autofondantesi - e gesprochensein, in quanto ineludibile contrassegno dell'esser-ci. In altri termini si stabilisce una connessione fra venire al linguaggio e venire all'essere; il venire al linguaggio non puo' essere, tuttavia, considerato soltanto mera struttura formale, esso manifesta bensi' un contenuto, che e' proprio la realta' vivente nel paradigma della relazione primaria Dio-uomo. Dunque zur Sprache kommen implica una chiarificazione di senso ed una chiarificazione di se' in quanto esser-ci ed esser-ci in relazione. Inequivocabile contrassegno dell'essere e' dunque l'accadere della relazione. Il contrassegno linguistico, designa altresi' la capacita' di ricevere la parola ex parte hominis e quella di donare il nome ex parte Dei. Ed e' proprio il nome che permette di connettere il mondo filosofico al mondo biblico della rivelazione, essendo il punto di intersezione dove si incontrano, da un lato il perenne rinnovarsi della rivelazione e dall'altro il fondamento perenne della creazione. Sullo sfondo di questa apertura donante non si puo', dunque, che rimettere in discussione ogni necessita' immutabile, ed e' proprio nella sfida posta dal mondo biblico alla filosofia che questo puo' essere ulteriormente chiarito. * Note 14. Cfr. Rosenzweig, Der Stern der Erloesung, Nijhoff, Den Haag 1976, trad. it. a cura di G. Bonola, La Stella della Redenzione, Marietti, Casale Monferrato 1985, pp. 133-134, 128. D'ora in poi: SR (Nelle citazioni della Stella della Redenzione il primo numero dopo la sigla si riferisce alla pagina dell'edizione tedesca qui citata, mentre il secondo dopo la virgola alle pagine della trad. it. indicata. Verranno di volta in volta specificate le eventuali modifiche alla trad. it. che riterremo opportuno apportare). 15. SR, 134,128-129. 16. Rimandiamo a A. E. Bauer, Rosenzweigs Sprachdenken in Der Stern der Erloesung und in seiner Korrespondenz mit M. Buber zur Verdeutschung der Schrift, Peter Lang, Frankfurt a. M., Berlin, New York, Paris, Wien, 1992, p. 34. Questa opera, che e' una tesi dottorale discussa all'Universita' di Freiburg i. B., ci sembra preziosa non solo ai fini della comprensione del pensiero linguistico rosenzweighiano, ma anche per poter attuare un confronto con la tradizione ermeneutica contemporanea. Qui di seguito il testo tedesco: "Es gibt verschiedenen Arten von Sein: das zeitlose Sein (wie in den 3 letzten unhintergehbaren Horizonten, Gott und Welt, und Mensch vorliegt), und das geschehende Sein in den sich ereignenden Bruecken schlaegen von Schoepfung, Offenbarung, und Erloesung. Sein darf dabei nicht als der die drei Horizonten, Gott, Welt, Mensch umfassende Begriff verstanden werden, sondern schlicht als das Da-sein, So-sein, Gegebenheit, entweder in die Zeitlichkeit der Zeitlosigkeit, was die geschehende Wirklichkeit zwar fundiert, (...) oder in der Zeitlichkeit des Geschehens, die sich in Gegenwart, Vergangenheit und Zukunft als drei Formen der Beziehung auseinanderlegt". 17. Per questo rimandiamo sia all'opera gia' citata di Zarader. 18. M. Zarader, op. cit., p. 145. 19. Rimandiamo su questo al bello studio di D. Banon, La lecture infinie. Les voies de l'interpretation midrachique, Seuil, Paris 1987. 20. A. Safran, La Cabale, Payot, Paris 1972, in M. Zarader, op. cit., pp. 145-146. Il testo francese recita come segue: "L'Ain est le tout, et pourtant il est inabordable. Il est present et pourtant introuvable. Il est proche et pourtant lointain. Loin d'etre negation de l'existence, le neant est l'essence de l'etre". 21. A. Neher, op. cit., p. 51. 22. M. Idel, Franz Rosenzweig e la Kabbalah, in "Filosofia e Teologia", cit., p. 263. 23. SR, 434, 417. 24. Rosenzweig, GS, I/2, p. 1161. Il testo tedesco recita come segue: "Das hebraeische 'haya' ist ja nicht wie das indogermanische 'sein' seinem Wesen nach Kopula, also statisch, sondern ein Wort des Werdens, Eintretens, Geschehens...". 25. SR, 424, 408. (Parte seconda - segue) 6. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: L'INTRANSIGENZA DI CORDELIA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento di Giovanna Providenti. Giovanna Providenti (per contatti: providen at uniroma3.it) e' ricercatrice presso l'Universita' Roma Tre, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori. Ekkehart Krippendorff, gia' docente di scienze politiche e relazioni internazionali alla Libera Universita' di Berlino, alla City University e alla Columbia University di New York, e in diverse universita' italiane (Bologna, Siena, Urbino), e' uno dei maggiori politologi tedeschi. Fra le opere di Ekkehart Krippendorff: Staat und Krieg (Stato e guerra), 1985; Militaerkritik (Critica militare), 1993; L'arte di non essere governati, Fazi, Roma 2003; Critica della politica estera, Fazi, Roma 2004; Shakespeare politico, Fazi, Roma 2005. Jane Addams (Cedarville, 1860 - Chicago, 1935), sociologa, educatrice, riformatrice sociale e scrittrice pacifista e femminista statunitense, nata a Cedarville, Illinois, nel 1860, fonda nel 1889, in un quartiere di Chicago abitato da immigrati, la Hull House, un istituto di educazione sociale, con l'intento di offrire protezione alle persone bisognose, soprattutto bambini, che vivono in disperate condizioni nelle periferie delle grandi citta': in breve tempo i centri istituiti dalla Addams si moltiplicano in tutti gli Stati Uniti, tanto che nel 1893 conta quaranta gruppi locali con asili nido, consultori e dispensari; nel 1905 e' presidente della National Conference of Charities and Corrections; impegnata per il voto alle donne, nel 1912 diviene vicepresidente della National American Women Suffrage Alliance; e' tra le principali organizzatrici di varie associazioni pacifiste, presidente del Women's American Peace Party, rappresento' le donne al Congresso della pace dell'Aja, dal 1915 fu presidente della Lega internazionale delle donne per la pace e la liberta; nel 1931 viene insignita del premio Nobel per la pace; muore a Chicago nel 1935. Opere di Jane Addams: in edizione italiana cfr. Donne, immigrati, governo della citta'. Scritti sull'etica sociale, Spartaco, Santa Maria Capua a Vetere 2004. Su Jane Addams ha scritto rilevanti saggi Giovanna Providenti, cfr. anche i testi apparsi nei nn. 397 e 898 di questo foglio] La recente vicenda parlamentare italiana, della bocciatura dell'emendamento "quote rosa", se da una parte conferma la presenza di importanti "strascichi" di una cultura patriarcale e maschilista, dall'altra pone a noi donne l'opportunita', come insegna Virginia Woolf, di continuare a pensare e a porci ancora domande. * Cordelia, nella scena iniziale di "Re Lear", la prima volta che parla, lo fa per porsi - "a parte", "tra se'" - una domanda: "Che potra' fare Cordelia?". Mentre il padre sta suddividendo il regno tra le figlie, fermo nella sua logica di "realpolitik" secondo cui, come scrive il politologo Ekkehart Krippendorff nel suo Shakespeare politico,"il mondo e' una carta astratta di carte geografiche su cui sono tracciati i potenziali economici e gli equilibri militari" (p. 275), Cordelia si pone da subito come figura appartenente ad un'altra logica, un'altra dimensione etica, rivelata dalle sue battute "tra se'": "Amare e starsene zitta". La sua persuasione etica, che non conosce "la lingua convenzionale degli interessi e dei calcoli del potere" (Krippendorff, p. 276), la spinge all'intransigenza e al rigore della parola: "il mio amore ha piu' peso della mia lingua". E, pur sapendo di rischiare la perdita di un regno, ovvero la possibilita' di stare nei processi decisionali, si rifiuta di adulare il potere: come invece fanno le sorelle, ottenendo il regno. * Pur meno studiata, Cordelia, va recuperata tra le figure femminili (come Antigone) portatrici di etiche e politiche alternative alla cultura patriarcale dominante. Gia' Jane Addams l'aveva individuata come "cittadina del mondo" portatrice di "una nozione di giustizia cosi' ampia" da farle accettare la "piccola conseguenza" della perdita di un regno. In un saggio del 1912 dal titolo "A modern Lear", l'intellettuale americana fa una acuta analisi sulla necessita' di relazioni umane maggiormente responsabili e reciproche, paragonando la figura di Lear a quella del capitalista filantropo, indignato per l'irriconoscenza degli operai, che si riuniscono in sindacati e reclamano i propri diritti a piu' salutari ed eque condizioni di lavoro. Per Addams, il fallimento dell'incontro tra interessi diversi non e' dovuto solo al Re-Capitalista, incapace di vedere la reale condizione di vita e le effettive esigenze delle persone a cui crede di fare del bene; ma anche alla "ristretta concezione di emancipazione degli operai", che nella tragedia di Lear vede rappresentati sia dalle due sorelle che avide di potere, pur di ottenerlo, si piegano all'adulazione per poi proseguire in una gestione arrogante dello Stato, sia da Cordelia, che sceglie un altro strumento politico, "avendo una visione della vita piu' ampia". Il motivo del fallimento di Cordelia, a parere di Addams, sta nel peccare di auto-centrismo, nel dimenticare di includere, nella propria idea di salvezza, ogni singolo lavoratore, "dal primo all'ultimo", ed anche Lear stesso. La pensatrice nonviolenta constatando il fallimento politico e morale sia di Lear, che delle due sorelle che di Cordelia, auspica una visione del mondo piu' ampia, e relazioni piu' attente/responsabili degli interessi di entrambe le parti: perche' in una concezione nonviolenta, di trasformazione della politica e di cambiamento sociale, non c'e' solo un passaggio di potere da una classe all'altra, ma e' il sistema che muta radicalmente, divenendo democratico ed etico. Questa riflessione di Addams, esposta qui molto in sintesi, volendo provare a riportarla in domande, a proposito delle donne nei posti decisionali, potrebbe diventare cosi': "quote rosa, si', ma per tutte le donne, dalla prima all'ultima?". E poi: "che vanno a fare queste donne nei processi decisionali? "Si ricorderanno, una volta la', di far qualcosa per cambiare le regole del gioco? O faranno solo gli interessi della propria classe (sia pure quella delle donne!) e propri?". * Per provare ad andare ancora piu' a fondo alla questione continuerei a interrogare Shakespeare, anche con l'aiuto dell'interpretazione di Krippendorff, al quale, pure, piace porsi domande: "La domanda che deve essere posta a Cordelia e' la seguente: perche' alla decisione della spartizione non ha risposto come Lear si aspettava? Perche' rifiutandosi di partecipare al rituale di Stato, alle convenzioni d'amore da parte di una figlia, aveva consegnato suo padre all'arbitrio delle sue sorelle?" (p. 288). La prima risposta che io, immedesimandomi in Cordelia, darei e' qualcosa che Krippendorff sembra dimenticare, e cioe' che Cordelia, cosi' facendo, perde il regno, ma ottiene liberta'. E il primo vantaggio arriva immediato: dandole la possibilita' di sposarsi non per convenienza, ma per amore. Dopo di che Cordelia, affidandosi al "tempo", che "prima copre i difetti, ma alla fine svergogna", esce gia' dal primo atto, per ricomparire solo al quarto. Ma la sua scelta di intransigenza etica avra' un peso non indifferente su quello che e' stato individuato come il tema centrale del "Re Lear": la scoperta di se'. Il processo di conoscenza, che Lear compie attraverso umiliazioni e follia, comprendendo "qualcosa su se stesso, sugli esseri umani, sul carattere (auto)distruttivo e patologico del potere e della sovranita'" (Krippendorff, p. 273), risulta necessario a porre le basi per un cambiamento sostanziale di una societa' malata e accecata dalla brama di potere. Lear e' costretto a comprendere, pur se tardi e sotto forma di metafora, cio' che prima non riusciva a vedere: in misura proporzionalmente inversa al graduale smantellamento del suo esercito, e infine della sua regalita', "ridotto alla sua pura esistenza di essere umano..., poeta padrone della lingua" vede il mondo della realpolitik e della politica razionale in tutta la sua logica distruttiva. Il suo stesso modo di governare era stato letale: perche' basato sulla violenza (le forze armate), e perche' noncurante del dialogo tra parti, degli effettivi bisogni dei cittadini, e perche' piu' attento ai rapporti di potere, che a quelli umani. La trasformazione di Lear avviene prima di rincontrare Cordelia, che rappresenta, per lui, la possibilita' concreta di potere ricominciare a vivere da essere umano integro e demaschilizzato, essendo stata "scossa la mia maschilita'" (I, iv, 298). Cordelia rappresenta la possibilita' di una politica trasformata in "attivita' umana" intesa ad "attuare ordinamenti duraturi e la realizzazione di principi morali" e "orientata alla schietta amicizia tra gli esseri umani, concepita come servizio, impegnata nell'amore" (Krippendorff, p. 25). Tornata in patria, a difendere la giustizia, ecco come si esprime Cordelia: "Non e' tronfia ambizione ad incitare le nostre armi, ma amore, amore e affetto, e il diritto del nostro vecchio padre" (IV, iv, 25). E poi ancora, incontrando Lear, maltrattato dalle sorelle: "il cane del mio nemico, pur avendomi morso, in una notte simile l'avrei tenuto accanto al mio focolare" (IV, vii, 36). In queste parole si rileva l'affermazione di un'etica fondata sull'amore, sul diritto e sul riconoscimento dell'altro, fosse pure il "nemico", portatore di interessi diversi dai propri. E tale riconoscimento-amore, come gia' annunciato nel primo atto ("io non ho l'arte disinvolta e untuosa di dire senza intenzione di fare, perche' quel che intendo lo faccio prima di dirlo", I, i, 227), e' molto lontano dalla consuetudine formale, vuota e retorica di una politica piu' attenta al consenso che alla legittimita': e' concreta pratica civile, che si attua in un atteggiamento di estrema coerenza dei propri presupposti politici, e che ne accetta le conseguenze. Se la conseguenza immediata dell'intransigenza politica e morale e' la perdita del regno, quella successiva e' l'ottenimento di riconoscimento e potere morale, rappresentati dalla mirabile scena della richiesta di perdono di Lear, in ginocchio di fronte a Cordelia. Ma questa non e' la scena finale della tragedia, in cui invece Cordelia muore, uccisa da un freddo esecutore, che ubbidisce ad ordini folli, pur di non "tirare la carretta e nutrirmi di baccelli secchi"(V, iii, 39). * Allora la domanda che l'accostamento, scusatemi se azzardato, tra questa tragedia e la discussione sulle "quote rosa" mi fa suscitare e': "come fare a far sopravvivere un'etica di amore e riconoscimento dell'altro/a in un mondo in cui la poverta', ignoranza e disperazione dei molti viene sfruttata per sostenere e difendere (armando chi non e' abituato a pensare) gli interessi dei pochi?". E ancora: "Ma, noi donne, vogliamo assomigliare piu' all'intransigente Cordelia, o alle sorelle lusingatrici?". * Bibliografia - William Shakespeare, Re Lear. - Jane Addams, "A modern Re Lear", in J. B. Elshtain (ed.), The Jane Addams reader, Basic Book, New York 2001, pp. 163-176. - Ekkehart Krippendorff, Shakespeare Politico, Fazi, 2005. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 41 dell'8 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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