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La nonviolenza e' in cammino. 1133
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1133
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 3 Dec 2005 00:57:15 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1133 del 3 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Anna Maffei: Solidarieta' con Norman Kember 2. Mao Valpiana colloquia con Alberto Perino sulla lotta nonviolenta in Val di Susa 3. Un appello in difesa della legge 194, i consultori, l'autodeterminazione delle donne e la laicita' dello stato 4. Lidia Menapace: Laicita' 5. Michele Do: Credo di St. Jacques 6. Maria Teresa Carbone presenta "Suite francese" di Irene Nemirovsky 7. Maria Teresa Carbone intervista Denise Epstein 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. APPELLI. ANNA MAFFEI: SOLIDARIETA' CON NORMAN KEMBER [Ringraziamo Lidia Maggi (per contatti: lidia.maggi at ucebi.it) per averci trasmesso la seguente dichiarazione di Anna Maffei. Lidia Maggi e' pastora battista, teologa, saggista, responsabile per le attivita' per i diritti umani per la Federazione delle chiese evangeliche, fortemente impegnata nel dialogo interreligioso. Anna Maffei (per contatti: anna maffei at ucebi.it), presidente dell'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (in sigla: Ucebi), prestigiosa teologa e saggista, appartiene alla tradizione nonviolenta espressa dal pastore battista e martire per la pace e la dignita' umana Martin Luther King. Norman Kember e' uno degli attivisti nonviolenti della ong umanitaria "Christian peacemak team" rapiti recentemente in Iraq] Ha appena raggiunto gli uffici dell'Unione battista italiana la notizia che uno dei quattro pacifisti rapiti ieri in Iraq e' il professore Norman Kember. Ho personalmente conosciuto il professore Kember a Cardiff qualche anno fa in occasione dell'Assemblea dell'Unione battista britannica. Lui e sua moglie animavano lo stand della "Baptist Peace Fellowship" allestito per far conoscere e promuovere le attivita' promosse dalle chiese battiste inglesi contro il coinvolgimento della Gran Bretagna nella guerra in Iraq. La delegazione dei battisti italiani a Birmingham ricordera' uno stand simile allestito anche in occasione del Congresso dell'Alleanza mondiale battista. Norman era li' a testimoniare insieme all'organizzazione gemella del Nord America l'impegno delle chiese battiste per la pace in molte parti del mondo. I battisti italiani hanno fraternizzato quasi naturalmente con il professor Kember e con sua moglie anche perche' il nostro stand, che aveva esposto con molta evidenza la bandiera della pace, si trovava nella stessa sala. * Appena saputo dell'identita' di uno degli ostaggi rapiti ieri, ho immediatamente inviato, a nome delle chiese dell'Unione battista italiana, un messaggio di solidarieta' alla famiglia e alla chiesa di appartenenza del professor Kember, la College Road Baptist Church in Harrow, dando assicurazione della nostra vicinanza e solidarieta' cosi' come delle nostre preghiere per un rilascio immediato e senza conseguenze di Kember e di tutti gli altri rapiti con lui. Ho ricordato quanto anche le nostre chiese, nel medesimo spirito di Kember e della sua organizzazione, hanno fatto per cercare di fermare la guerra in Iraq condannando la logica violenta che ad essa e' sottostante, e ho assicurato la disponibilita' mia personale e delle nostre chiese ad appoggiare petizioni o qualsiasi altra iniziativa pubblica per favorire una conclusione positiva di questa triste vicenda. * Ecco il testo della lettera che ho inviato a Hilary Trevis, rappresentante dell'Unione battista britannica, la stessa che ha dato notizia del fatto che uno degli attivisti per la pace rapiti ieri in Iraq era appunto Norman Kember: Dear Hilary, last night I did not recognize from the video they passed in the television Professor Norman Kember. Massimo and I met him and his wife in Cardiff at the Baptist Union Assembly two years ago and then we saw him again in Birmingham. We are really shocked by what happened in Iraq and I want to ask you to bring to Norman's family and church the solidarity and spiritual nearness of all the Italian Baptist Churches. We are praying for him and for all the others who are with him in these hours. Together with Norman many of us have been fighting against this war, we all were aware from the beginning that a war in Iraq far from defeating terrorism would have strengthened it. These are the tragic effects of a wrong and dangerous political choice. The enemies of peace throw everywhere their seeds of violence. Christians have the responsibility to resist the logics of enmity, Norman believes that we can change this world through nonviolent means and - I am sure - he was in Iraq to witness of this deep conviction bringing his testimony in the midst of dreadful conflict. We hope and pray that professor Norman Kember and all the other people taken hostage in these days will be soon set free and whatever the Italian Baptist Churches can do to help in this direction through petitions or through other means, we will do. May God bless you all Anna 2. ESPERIENZE. MAO VALPIANA COLLOQUIA CON ALBERTO PERINO SULLA LOTTA NONVIOLENTA IN VAL DI SUSA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a disposizione l'editoriale che apre il fascicolo di "Azione nonviolenta" di dicembre 2005. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nello scorso mese di giugno ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario. Alberto Perino, gia' animatore del Gruppo valsusino di azione nonviolenta, e' uno degli animatori del movimento che si oppone al devastante progetto Tav in Val di Susa] In Val di Susa c'e' un esemplare movimento di resistenza nonviolenta. L'intera popolazione valligiana si oppone al progetto di una nuova linea ferroviaria ad alta velocita' che dovrebbe collegare Torino a Lione. Nelle ultime settimane, per bloccare l'inizio dei lavori di carotaggio del territorio, c'e' stato un crescendo di mobilitazione, fino allo sciopero generale e totale di tutta la Valle il 16 novembre, con una marcia di otto chilometri alla quale hanno partecipato dalle 50 alle 70.000 persone. Praticamente tutti gli abitanti si riconoscono nel movimento No Tav e hanno adottato la nonviolenza come metodo per difendere il loro futuro in Valle. Per tutta risposta il governo, che vuole fortemente realizzare l'opera a partire dalla costruzione della galleria di 53 chilometri sotto le montagne valsusine, ha militarizzato il territorio, per permettere alle ditte di iniziare i lavori di trivellazione per preparare lo scavo. La reazione popolare e' stata unanime. Si sono attuati ovunque nella Valle dei presidi che sono diventati luoghi di aggregazione in cui si leggono i giornali, ci si scambiano informazioni, si discute di politica, si preparano castagnate. Luoghi di democrazia partecipata che - essendo prati e campi - sono stati attrezzati per resistere al freddo invernale. Questa sollevazione e' di tutte le forze politiche della Valle (tutti i Consigli comunali hanno deliberato all'unanimita' contro l'opera): anche i parroci sono nei presidi; e' stata costruita un'edicola spostabile con la statua della Madonna del Rocciamelone che accompagna i manifestanti su tutti i luoghi di lotta. Giovani e anziani, donne e uomini hanno sempre rispettato la scelta di nonviolenza. Abbiamo sentito Alberto Perino, che fu animatore del Gruppo valsusino di azione nonviolenta (in sigla: Gvan), ed ora, che e' pensionato bancario, e' uno degli esponenti di punta del movimento. * - Mao Valpiana: Dunque la nonviolenza e' l'elemento costitutivo del movimento No Tav. Possiamo dire che c'e' una continuita' storica con la presenza a Condove, all'inizio degli anni '70, del Gruppo valsusino di azione nonviolenta? - Alberto Perino: I semi germogliano. Non rivendichiamo l'esclusiva primogenitura, ma certamente il Gruppo valsusino di azione nonviolenta di Condove e' stato uno degli attori che ha fatto crescere e maturare la coscienza della Valle. Molti altri elementi hanno contribuito; in Valle durante la guerra ci fu un importante movimento di resistenza antifascista; in quegli anni il direttore didattico nella nostra scuola era un certo Carlo Carretto; poi c'e' stato un forte movimento sindacale; e poi figure importanti come Achille Croce (il primo operaio obiettore) e don Giuseppe Viglongo, fondatore del giornale "Dialogo in Valle". E poi voglio segnalare, seppur in negativo, che in Valle abbiamo avuto una significativa presenza di lotta armata negli anni '70. Alcuni di coloro che fecero la scelta terrorista, hanno poi riconosciuto gli errori, hanno pagato i debiti con la giustizia, sono cambiati ma non se ne sono andati, e oggi partecipano attivamente alla nostra lotta nonviolenta. Insomma, nella terra di questa Valle non e' mancato il sale. * - Mao Valpiana: Come pensate di rispondere alla militarizzazione in atto del vostro territorio? - Alberto Perino: La presenza massiccia di polizia e carabinieri nei nostri paesi, che limitano la liberta' di movimento, e' un fatto gravissimo. Dopo l'ottima prova dello sciopero generale in Valle, penso che dovremo considerare la possibilita' di utilizzare altre tecniche della nonviolenza anche piu' radicali, fino allo sciopero della fame. * - Mao Valpiana: Come spieghi il successo della vostra azione? - Alberto Perino: Noi abbiamo un vantaggio. Siamo partiti molto presto e non abbiamo aspettato di trovarci davanti al fatto compiuto. La nonviolenza ci insegna che e' meglio prevenire prima, piuttosto che protestare dopo. La nostra lotta inizia nel 1989, quando Tav era solo uno slogan. Abbiamo un gruppo di docenti del Politecnico che ci offre da allora tutto il supporto scientifico. Siamo sempre preparati, in anticipo rispetto alle mosse di chi propone l'alta velocita' devastante. Muoversi solo all'arrivo delle ruspe sarebbe perdente. Per questo abbiamo iniziato prima dell'avvio dei lavori. Vogliamo stare sempre un passo avanti. * - Mao Valpiana: Come pensate di proseguire? - Alberto Perino: Alcuni sindaci hanno proposto una "tregua olimpica", in vista dei giochi invernali del 2006. Ma naturalmente questa moratoria deve valere per tutti. Devono ritirarsi le trivelle, e noi ritiriamo i presidi. Tutti un passo indietro. * - Mao Valpiana: Cosa chiedete all'opinione pubblica? - Alberto Perino: Chiediamo solidarieta' a tutti. La nostra non e' una lotta localistica. In gioco non e' solo il futuro della nostra Valle. Stiamo parlando di sperpero di denaro pubblico, di distruzione di risorse naturali, di distruzione del territorio italiano. Dalla Val di Susa contro il Tav, allo stretto di Messina contro il Ponte, e' la stessa lotta. Dobbiamo salvare il futuro di tutti, con la nonviolenza. 3. APPELLI. UN APPELLO IN DIFESA DELLA LEGGE 194, I CONSULTORI, L'AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE E LA LAICITA' DELLO STATO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci inviato il seguente appello promosso da molte autorevoli persone amiche. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Non trascorre giorno che il Vaticano, per bocca del cardinale Ruini, non dichiari la sua preoccupazione per quello che ritiene l'allontanamento dalle leggi di natura in materia di matrimonio, famiglia, concepimento, relazioni filiali eccetera. Non c'e' giorno che qualcuno, deputato, giornalista, scrittore, psicoanalista, filosofo eccetera, non dichiari che occorre ritornare alla saldezza dei principi e dei valori, quando i padri facevano i padri e le madri si accontentavano di fare le madri, in casa. E poi si levano anche le parole di donne in carriera politica, le quali pure dichiarano che e' giusto elargire aiuti alla famiglia tradizionale, piuttosto che costruire nidi, scuole materne e altre strutture facilitanti il lavoro delle donne. La difesa dei ruoli, asimmetrici, dell'antica tradizione gerarchica patriarcale, uniscono i religiosi delle tre fedi monoteiste ai "laici" di destra e, talvolta, anche di sinistra. L'attacco contro la legge 194 che regola l'interruzione volontaria di gravidanza non ha piu' di tanto suscitato a sinistra (intendendo sia il centro-sinistra che il vasto arcipelago dei gruppi) una reazione precisa e motivata. Percio' non bisogna sorprendersi piu' di tanto se il ministro della Sanita' chiede, con aria innocente, un'inchiesta per capire (hanno subito interpretato da parte cattolica) se c'e' stato un uso "facile" della certificazione per abortire nelle strutture pubbliche. Di seguito si e' aggiunta la proposta di mettere accanto ai sanitari i volontari del Movimento per la Vita. Loro poi generosamente si sono detti favorevoli a fare posto anche ai volontari islamici. A ciascuno i suoi, presunti, fedeli. * Il cardinale Ruini, hanno scritto i quotidiani domenica 27 novembre, in occasione del congresso "Scienza ed etica per una procreazione responsabile", svoltosi all'Universita' Cattolica di Roma, e' di nuovo intervenuto "in difesa della vita e della famiglia" contro le unioni di fatto che minerebbero la percezione del matrimonio "come espressione e garanzia della natura stessa dell'amore umano". Benedetto XVI l'ha dichiarato di recente: la Chiesa ha la missione di difendere "la legge naturale" affinche' le leggi degli uomini ne siano la trasposizione normativa. In una nota di commento a p. 55 di una versione del Corano (a cura di Hamza Roberto Piccardo, Newton, Roma 1996, e successive ristampe) approvata dall'Unione delle Comunita' ed Organizzazioni Islamiche in Italia, si legge che c'e' una superiorita' maschile relativa all'ambito domestico come conseguenza delle differenze fisiologiche e psicologiche perche' "la sensibilita' maschile e' per lo piu' esteriore, proiettata in un ambito extrafamiliare che tende a diventare pubblico e politico. Quella femminile e' interiore, attenta a se stessa, tesa alla protezione di quanto acquisito o all'axcquisizione di semplici mezzi di sostentamento e di sicurezza". Questo secolo appena iniziato appare colorato da una "modernita' liquida" (Bauman) di vari tipi di paure e incertezze. Una di queste riguarda gli uomini, la loro identita' "virile" fondata da tempi immemorabili sulla presunta debolezza e fragilita' "naturale" delle donne. Se le cose possono cambiare, la Natura resta tale e quale: e' un universale, e' l'essenza della Vita. Ha scritto Chiara Saraceno ("La Repubblica", 16 settembre 2005, Storia, crisi e trasformazione di un modello): "l'organizzazione familiare, sia dal punto di vista normativo che dei comportamenti pratici, rappresenta sempre un equilibrio storicamente e socialmente situato tra rapporti di sesso e generazione, che sono anche rapporti di potere. E' un equilibrio che si costituisce in risposta a bisogni 'interni' (accudimento, riproduzione, sostegno), ma anche a circostanze esterne: situazione economica, demografica, politica. In altri termini, non vi e' nulla di naturale nella famiglia, che e una istituzione eminentemente sociale, percio' diversificata nello spazio e nel tempo". L'attacco alla 194 si puo' leggere proprio anche come bisogno, comprensibile, di sicurezza collettiva attraverso la riaffermazione della famiglia come data per scontata, immutabile e naturale. Ci possiamo chiedere se anche noi donne fatichiamo a parlare, a prendere posizione come una volta, perche' subiamo l'incertezza del vivere in un mondo in subbuglio e sentiamo, almeno un po', il richiamo dei fondamentalismi religiosi o laici come porti sicuri nei quali rintanarci pagando il prezzo della liberta'. * Le firmatarie del presente documento, premesso tutto questo, - dichiarano la loro opposizione allo smantellamento delle leggi 194 (maternita' responsabile) e 405 (consultori); - chiedono che il centro-sinistra prenda posizione chiara ed inequivocabile sul primato dell'autoderminazione femminile e sulla laicita' dello stato; - chiedono alle organizzazioni femminili e femministe, alle singole donne italiane e migranti, di sottoscrivere il presente appello in vista di mobilitazioni comuni. * Prime firmatarie: Ileana Montini, psicologa e psicoterapeuta; Maria G. Di Rienzo, scrittrice; Lidia Menapace, Convenzione permanente donne contro le guerre; Mariangela Carlesso, erborista; Teresa Mazzina, giornalista; Franca Morigi, mediatrice culturale; Cristina Papa, redazione de "Il Paese delle Donne"; Marzia Brunello, impiegata; Vera Dalla Costa, impiegata; Annarita Dall'Agata, assistente sociale; Giovanna Corona, operaia; Daniela Danna, ricercatrice; Elisabetta Donati, sociologa; Mariella Scaioli, disegnatrice; Nicoletta Crocella, casa editrice Stelle cadenti; Daniela e Silvia Coassin, impiegate; Mariacristina Cappellazzo, dirigente; Anna Tamburini, pedagogista. * Per contatti: Ileana Montini: ileana.montini at tin.it, Maria G. Di Rienzo: sheela59 at libero.it 4. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: LAICITA' [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per averci inviato come anticipazione questo intervento destinato al quotidiano "Liberazione". Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Anni fa un mal di pancia di Berlinguer, forse provocato da fichi regalatigli dall'ambasciatore di un paese straniero, divento' una notizia pubblicata su tutti i giornali. E poche settimane dopo uno scivolone in bagno di Zaccagnini pure. I due episodi entrarono nell'antologia del femminismo come esempio ironico di che cosa vuol dire che il personale e' politico: per gli uomini potenti e' politico persino il personale piu' pettegolo (erano fichi avvelenati? Zaccagnini aveva bevuto?). Se invece una donna veniva violentata, era offesa la morale e la persona poteva pure darsi che venisse creduta simulatrice o provocatrice. Per far diventare politico il personale delle donne ci sono volute lotte importanti, e la cosa non e' ancora consolidata. Per esempio l'aver rifiutato - al tempo in cui fu fatta la legge 194 - dissuasori o persuasori nei consultori perche' le donne non sono sceme ne' cittadine sotto tutela, e sanno e possono decidere da se', e' posizione non ancora uscita dal personale, non e' diventata politica, a vedere che le prese di posizione contro la presenza di "volontari" del "Movimento per la vita" nei consultori sono deboli, scarse e stupite. Per questa ancora esistente disparita' sulla valutazione politica o personale dei fatti, sarebbe bene che gli uomini potenti che possono far diventare politica qualsiasi notizia che riguardi le loro viscere, fossero molto discreti. Sia perche' la discrezione e' una bella virtu' civile, sia perche' e' facile che le rivelazioni sui propri itinerari interiori siano strumentalizzate o credute opportunistiche ("Parigi val bene una messa"), sospettate, usate malamente. Sembra che Bertinotti sia da qualche tempo incamminato in una ricerca spirituale sulla quale non ho nulla da dire, se non che a me non interessa e non mi pare rilevante che se ne parli sui giornali, anche perche' si tramuta subito in giudizi su fatti italiani del momento, sui quali sarebbe bene tenere posizioni molto precise. Ad esempio non si capisce davvero che cosa c'entri l'otto per mille con la ricerca di Dio: molti credenti colti di teologia e di storia della chiesa pensano persino che sia una forma di simonia. Comunque se l'otto per mille va bene, perche' Bertinotti non fa propria una proposta di legge presentata da tempo da Elettra Deiana (in accordo con associazioni di donne) per estenderlo anche all' associazionismo politico femminile e femminista? Sarebbe un certo riequilibrio tra i generi nell'accesso a risorse economiche, e molte donne invece di lasciare l'otto per mille allo stato perche' non vogliono darlo alle chiese, lo destinerebbero ad associazioni femminili e femministe evitando cosi' che - lasciato allo stato per fini umanitari - sia stornato a sostenere i costi della spedizione "umanitaria" a Nassirija. * E per venire al merito: oggi e' in corso una vera programmata lotta di riconquista neotemporalista da parte della chiesa cattolica, di inusitata pesantezza e antistoricita'. Essa urta profondamente i livelli di coscienza raggiunti... Che vi sia un buon livello di coscienza civile si vede ad esempio dalla manifestazione studentesca con i suoi contenuti a difesa della scuola pubblica e della laicita' e con un serio livello critico e di autonomia personale a sentire gli e le studenti intervistate dai tg. Non vedremo mica le firme di "intellettuali" di sinistra sotto l'appello uscito lo stesso giorno per sostenere che ai giovani bisogna impartire una "educazione"? la divaricazione e' enorme. Moltissimi giovani e ragazze chiedono un rapporto scolastico fondato sul rispetto e sulla critica (cioe' l'essenziale di una scuola pubblica) e viene loro proposto l'ammaestramento e l'educazione autoritaria. Le donne propongono un loro cammino di riflessione sul perche' della sconfitta al referendum e nessuno ribatte alle insidie quotidiane in materia riproduttiva dando la parola alle donne o almeno imparando la nostra storia. * In generale credo che oggi sia necessario un atteggiamento rigorosamente laico, proprio perche' la cultura religiosa in Italia e' scarsa e naturalmente il personale ecclesiastico ne possiede piu' del normale politico italico e per di piu' la esprime autoritativamente. E perche' vi e' un crescente fastidio popolare per l'inframmettenza dei preti condivisa anche da preti, e anche perche' non se ne puo' piu' che laicita' sia intesa come confronto tra confessioni religiose, il che si deve chiamare propriamente ecumenismo. Laicita' e' esposizione di posizioni razionali e situate storicamente, senza pretese autoritative e con disposizione al confronto alla pari. Bisogna davvero sottrarsi persino con puntigliosita' e non lasciarsi coinvolgere in dispute giornalistiche su cose di religione. Il Vaticano non e' uno stato democratico ne' di diritto, e non puo' far parte come stato dell'Europa politica. Come pretende di dire su quali basi va collocata? Le scelte religiose di ciascuna persona non sono rilevanti per la presenza o il giudizio politico: e' persino una decisione del concilio: nelle elezioni i credenti debbono scegliere le persone competenti, non le persone credenti in quanto tali. Faccio un esempio: durante la campagna delle europee i giornali di Bolzano e Trento fecero a tutti quelli e quelle che erano in lista interviste con domande "di varia umanita'" tipo sui romanzi letti, i film o le canzoni preferite, gli sport praticati, ecc. e alla fine "Lei va a messa la domenica?". Risposi che non avevano diritto di pormi la domanda, che non era rilevante politicamente. Avrei potuto rispondere di no, oppure che ho superato l'eta' entro la quale vi era l'obbligo di rispettare il precetto, o che dopo il Vaticano secondo il precetto non e' piu' tale, o che il cristianesimo non e' una religione dell'osservanza e gia' Dante sapeva che l'attenzione alle forme esteriori della religione era bigottismo ignorante, dimostrando che ne sapevo piu' del giornalista che mi aveva posto la domanda. Ma oggi credo che occorra resistere soprattutto al coinvolgimento religioso ossequiente e attenersi con scrupolo a dire che nessuno ha diritto di chiedere notizie sull'appartenenza religiosa. Il diritto di non essere religiosi deve essere affermato perche' oggi e' ben poco riconosciuto e ormai Ruini si permette di definire sprezzantemente "pallottole di carta" le critiche che gli vengono mosse. A quando il foglietto con l'attestato del precetto pasquale o la dichiarazione di battesimo sulla pagella scolastica? Alla condanna di un magistrato che non vuole crocefissi nelle aule di tribunale ci siamo gia'. Per fortuna (nostra, non loro) ci sono le costituzioni islamiche con le quali il papa se la prende perche' non rispetterebbero abbastanza i diritti e i privilegi della chiesa cattolica. Cosi' si capisce che persino per garantire la liberta' religiosa le religioni sono un ostacolo, una difficolta', mentre lo stato laico le tutela per sua intrinseca natura di sostenitore e garante delle liberta', tutte, non solo quella religiosa. 5. RIFLESSIONE. MICHELE DO: CREDO DI ST. JACQUES [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente testo di don Michele Do, recentemente scomparso. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Su Michele Do riportiamo alcuni frammenti da un piu' ampio ricordo scritto da Enrico Peyretti che abbiamo pubblicato nel n. 1118 di questo foglio: "E' morto sabato 12 novembre 2005 ad Aosta, don Michele Do, un uomo autentico, un prete cristiano, un testimone dell'umana sete di Dio. Nato a Canale, presso Alba (provincia di Cuneo), il 13 aprile 1918, abbandono' l'insegnamento in seminario nel 1945, ritirandosi nella frazione di St. Jacques di Champoluc (Aosta), allora senza strada, villaggio di alta montagna, nel quale don Michele cercava la vita ritirata, pensosa. E' stato rettore di quella piccola chiesa fino a quando, nella vecchiaia, si e' ritirato nella Casa Favre, sulla pendice del monte, sopra il villaggio, una pensione-fraternita', luogo di amicizia e spiritualita' aperta. Il suo maggiore riferimento, nella linea del modernismo piu' spirituale - il cuore umano come primo luogo della sete religiosa e dell'evangelo universale - fu don Primo Mazzolari, insieme a tanti altri spiriti ardenti della chiesa e di ogni focolare religioso. I suoi maggiori amici e fratelli di cammino furono David Maria Turoldo, Umberto Vivarelli, padre Acchiappati, Ernesto Balducci, sorella Maria di Spello e, tramite lei, Ernesto Buonaiuti, padre Rogers e sua moglie (anglicani) e tanti, tanti altri, non solo credenti, ma tutti assetati e commensali di verita' e autenticita' vissuta. Appartato, ma senza polemiche superficiali, rispetto alle strutture ecclesiastiche, e' stato un centro vivissimo di aperte amicizie e accoglienze, che ha attirato una quantita' di cuori vivi in ricerca, da tutte le condizioni umane. E' stato una grande anima, uno spirito acceso dal fuoco vivo dello Spirito. Un cercatore instancabile di Dio. Fremeva e cercava, in ogni colloquio e incontro, l'aiuto e l'ascolto nostro per una rilettura essenziale del cristianesimo e di tutta la ricerca spirituale umana, e comunicava tracce preziose di luce..."] Credo in un solo Dio che e' padre fonte sorgiva di ogni vita, di ogni bellezza, di ogni bonta'. Da lui vengono e a lui ascendono tutte le cose. Credo in Gesu' Cristo, figlio di Dio e figlio dell'uomo, immagine visibile e trasparente dell'invisibile volto di Dio, immagine alta e pura del volto dell'uomo cosi' come lo ha sognato il cuore di Dio. Credo nello Spirito Santo, che vive ed opera nelle profondita' del nostro cuore e di ogni creatura, per trasformarci tutti ad immagine di Cristo. Credo che da questa fede fluiscono le realta' piu' essenziali e irrinunciabili della nostra vita: la comunione dei santi e delle cose sante, che e' la vera chiesa, la buona novella del perdono dei peccati la fede nella Risurrezione, che ci dona la speranza che nulla va perduto della nostra vita: nessun frammento di bonta' e di bellezza, nessun sacrificio per quanto nascosto ed ignorato, nessuna lacrima e nessuna amicizia. Amen. 6. LIBRI. MARIA TERESA CARBONE PRESENTA "SUITE FRANCESE" DI IRENE NEMIROVSKY [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo dicembre 2005. Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale, cura con Nanni Balestrini il sito di letture e visioni in rete www.zoooom.it Irene Nemirovsky, nata a Kiev nel 1903, emigrata a Parigi con la famiglia dopo la rivoluzione d'ottobre, scrittrice, nella sua opera narrativa acuta osservatrice della societa', mori' ad Auschwitz nel 1942. Tra le opere di Irene Nemirovsky: Le mosche d'autunno, Feltrinelli, Milano 1989; David Golder, Feltrinelli, Milano 1992; Un bambino prodigio, La Giuntina, Firenze 1995; Il ballo, Adelphi, Milano 2005; Suite francese, Adelphi, Milano 2005] Il clamore che lo scorso anno in Francia ha accolto la pubblicazione di Suite francese di Irene Nemirovsky, culminato con l'assegnazione postuma del Prix Renaudot e con la vendita dei diritti del romanzo in piu' di venti paesi, pone con particolare evidenza una questione che, sia pure in misura minore, riguarda l'accoglienza riservata a qualsiasi libro - fino a che punto cioe' il successo di un testo dipenda dalle sue qualita' intrinseche, e quanto invece sia dovuto a fattori esterni, legati alle vicende biografiche dell'autore o, come in questo caso, alle drammatiche peripezie dell'opera stessa. Quanto ha influito sui lettori francesi la consapevolezza che il testo che avevano fra le mani era stato febbrilmente composto da Irene Nemirovsky nei mesi e nei giorni precedenti al suo arresto, seguito dalla sua deportazione ad Auschwitz, dove sarebbe morta di tifo nel 1942? In quale misura la lettura del libro e' stata condizionata dalla storia avventurosa del manoscritto che, affidato dal marito della scrittrice, Michel Epstein (anch'egli poi scomparso nei campi di sterminio), alla figlia maggiore, la tredicenne Denise, era stato da lei gelosamente custodito nel corso di una fuga disperata da un nascondiglio all'altro per tutti gli anni della guerra? Domande tanto piu' pertinenti se si tiene conto che il testo - ora uscito anche in Italia per Adelphi nella traduzione di Laura Frausin Guarino (pp. 416, euro 19) - arriva al lettore corredato da alcuni materiali che sottolineano appunto l'eccezionalita' della sua vicenda editoriale: accanto alla postfazione firmata dalla saggista francese di origine polacca Myriam Anissimov, l'appendice contiene gli appunti di lavoro di Irene Nemirovsky, le fotografie di due pagine del manoscritto di Suite francese e una serie di lettere che, dal 1936 al 1945, gettano luce sugli ultimi anni di vita della scrittrice e sul periodo immediatamente successivo alla sua scomparsa. E' del 10 ottobre 1938, fra l'altro, un messaggio inviato all'editore di Irene Nemirovsky, Albin Michel, dalle milanesi Edizioni Genio, che al tempo stesso testimonia come la scrittrice negli anni Trenta fosse nota anche al di fuori dei confini francesi e preannuncia la tragedia che si sarebbe consumata di li' a poco: "Vi preghiamo molto gentilmente di saperci dire se la signora I. Nemirovsky e' di razza ebraica. In base alla legge italiana, non dev'essere considerata di razza ebraica la persona che abbia uno dei genitori, il padre o la madre, di razza ariana". Manca la risposta, e quindi non sappiamo se Albin Michel informo' la casa editrice italiana che "la signora I. Nemirovsky" era da considerarsi senza ombra di dubbio "di razza ebraica". * Nata nel 1903 a Kiev, la scrittrice era infatti ebrea per parte di padre e madre: lui, Leon Nemirovsky, affermato banchiere, "amministratore delegato della Banca Unione di Mosca, membro del consiglio della Banca Privata del Commercio di San Pietroburgo"; lei, Faiga detta Fanny, donna bella e pochissimo incline alle cure della maternita', che dalla figlia sarebbe stata detestata (e in parte ferocemente ritratta nel racconto lungo Il ballo, pubblicato da Adelphi la scorsa primavera) e che sarebbe poi morta a Parigi a 102 anni, nel 1989, senza aver mai voluto rivedere dopo la guerra le due nipoti, orfane di entrambi i genitori. Famiglia dunque molto ricca, vacanze ogni anno in Crimea o in Francia, sulla Costa Azzurra o a Biarritz, educazione privata di ottimo livello, letture voracissime. A quattordici anni Irene, che nel frattempo si era trasferita con la famiglia a Pietroburgo e parlava correntemente - oltre al russo - il francese e l'inglese, comincio' a scrivere. Di queste primissime prove non molto si sa, se non che furono, come e' naturale, una sorta di palestra in cui affino' una tecnica, ispirata a quella di Ivan Turgenev, che avrebbe poi adottato per i libri della maturita': "Di un romanzo - spiega Myriam Anissimov nella postfazione a Suite francese - stendeva non solo la vicenda, ma anche le riflessioni che questa le ispirava, il tutto in un flusso libero, senza cancellature o ripensamenti. E aveva un'idea molto chiara di ciascuno dei personaggi, anche di quelli di secondo piano: riempiva quaderni interi per descrivere la fisionomia, il carattere, l'educazione, l'infanzia, le tappe cronologiche della loro vita. Quando tutti erano stati minuziosamente delineati, sottolineava i tratti essenziali da conservare - a volte solo poche righe. Passava quindi rapidamente alla composizione del romanzo, la perfezionava, e infine redigeva la stesura definitiva". * Le Malentendu, il suo primo romanzo, sarebbe uscito nel 1926 in Francia, il paese dove i Nemirovsky avevano deciso di stabilirsi nel 1919 dopo essere fortunosamente fuggiti nel dicembre dell'anno precedente dalla Russia della Rivoluzione e avere trascorso un breve soggiorno a Stoccolma. Proprio il 1926 segna una data importante per la scrittrice: non solo pubblica il primo romanzo, ma si laurea alla Sorbona e soprattutto sposa Michel Epstein, un uomo d'affari, ebreo russo come lei. Da quel momento, come notera' la figlia maggiore, Denise, Irene Nemirovsky - che nei primi anni francesi aveva condotto una vita molto libera e mondana - si dedica esclusivamente alla scrittura e alla famiglia. Tre anni dopo, nel 1929, esce per Grasset quello che viene considerato il suo vero testo d'esordio, David Golder, che - elogiato da figure molto distanti come Joseph Kessel e Robert Brasillach - le apre le porte del mondo letterario parigino. Ma per l'autrice il libro, drammatica epopea intorno all'ascesa e al crollo di un magnate ebreo russo, che morira' sul mare in tempesta balbettando parole sconnesse di yiddish, e' solo un "romanzetto". Nonostante il successo di David Golder (da cui Julien Duvivier trarra' un film con Harry Baur, cosi' come l'adattamento cinematografico del Ballo sara' la prima prova importante della giovanissima Danielle Darrieux), Irene Nemirovsky non si accontenta, anche perche' alla sua fulminea celebrita' e' la prima a non credere: "Di questo libro - osserva in una lettera a un'amica - ora parlano tutti, ma fra una quindicina di giorni sara' gia' finito nel dimenticatoio, come tutto a Parigi". La lucidita' e il disincanto sono del resto la cifra che caratterizza tutti i libri che pubblica nel corso degli anni Trenta, Il ballo, Jezabel, Le vin de solitude, Les chiens et les loups, testi che descrivono in modo spesso impietoso il mondo ebraico russo, che la scrittrice conosce cosi' bene. ("Benche' sia di razza ebraica, mia moglie scrive degli ebrei senza alcuna simpatia", sottolineera' il marito, Michel Epstein, nel tentativo di far liberare la moglie, arrestata dai tedeschi). In realta', quello che piu' di tutto preme a Irene Nemirovsky e' scrivere un testo che sfidi il passare del tempo - un romanzo, in cui le vicende degli individui si intreccino ai grandi casi della storia e che sottolinei la caducita' delle une e, piu' ancora, degli altri. Fra gli appunti che accompagnano la stesura di Suite francese, ce n'e' uno datato 2 giugno 1942, undici giorni prima dell'arresto: "Non dimenticare mai che la guerra finira' e la parte storica sbiadira'. Cercare di mettere insieme il maggior numero di cose, di argomenti... che possano interessare la gente nel 1952 o nel 2052. Rileggere Tolstoj". * E sicuramente l'autrice, nel concepire questo movimento sinfonico in cinque parti (solo due, in realta', Temporale di giugno e Dolce, compongono il volume pubblicato in Francia e ora in Italia), prende come riferimento Guerra e pace. Per tanti versi, dunque, e' un paradosso che un romanzo cosi' ambizioso compaia in una forma monca, assai diversa da quella che aveva in mente Irene Nemirovsky, e che debba il suo successo soprattutto alle circostanze esterne che hanno accompagnato la sua pubblicazione. Pure, vale la pena di leggere Suite francese. Questa saga avvolgente, che descrive con uno sguardo acuminato e insieme partecipe la Francia sotto l'occupazione nazista mettendo in scena una folla di personaggi - dai ricchi borghesi Pericand, attenti custodi del loro patrimonio anche nella tempesta della guerra, allo scrittore estetizzante Gabriel Corte, alla coppia dei Michaud, due modesti impiegati capaci di mantenere, in una situazione cosi' estrema, una forma di consapevole innocenza - non riesce a essere il capolavoro cui aspirava la sua autrice, ma racconta con grande efficacia, forse proprio grazie al suo respiro ampio, la vita durante la guerra, la contraddittoria, continua coesistenza di eccezionalita' e di quotidianita', di tragedia e di speranza. 7. MEMORIA. MARIA TERESA CARBONE INTERVISTA DENISE EPSTEIN [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo dicembre 2005. Denise Epstein, figlia di Irene Nemirovsky; scampate alla Shoah, ha curato l'edizione dell'ultimo romanzo-testimonianza della madre assassinata dai nazisti] Impegnata in una sorta di tournee per le presentazioni internazionali di Suite francese, Denise Epstein, la figlia di Irene Nemirovsky, e' stata una vera "fata madrina" per questo libro dalle vicende tanto travagliate. Fu lei, appena adolescente, a proteggere il manoscritto durante la guerra, dopo la scomparsa della madre e del padre. Ed e' stata poi ancora lei a decifrare e a trascrivere il testo piu' e piu' volte, parola per parola. Semplice e minuta, quasi una ragazzina ultrasettantenne, Denise Epstein e' fiera del suo lavoro: "L'unico sollievo all'amarezza della mia situazione di sopravvissuta - dice - e' sapere che anche grazie a questo libro mia madre ha ripreso il suo posto nel grande panorama della letteratura". * - Maria Teresa Carbone: Dalla fine della guerra all'uscita di Suite francese sono passati sessant'anni: come mai il libro e' rimasto cosi' a lungo inedito? - Denise Epstein: Per anni ho considerato il quaderno di mia madre come un tesoro di famiglia, un oggetto a cui ero legata anche sul piano fisico: lo accarezzavo, lo annusavo, per sentirmi piu' vicina a lei. Al tempo stesso, non avevo mai avuto il coraggio di leggerlo per intero: sfogliandolo, mi era capitato di scorgere appunti da cui emergeva chiaramente la sua consapevolezza di una fine imminente. Che contenesse un romanzo, l'ho capito solo negli anni Settanta, quando mia sorella e io abbiamo affidato tutti i materiali di nostra madre all'Institut Memoires de l'Edition Contemporaine. Prima di lasciarlo andare, l'ho letto e ho deciso di trascriverlo: a mano, e con grande difficolta', perche' mia madre, per risparmiare sulla carta che in tempo di guerra scarseggiava, aveva adottato una grafia minutissima, tanto che per decifrare il testo, ho dovuto utilizzare una potente lente di ingrandimento. Per questa prima stesura ho impiegato oltre due anni, e al termine ho ribattuto a macchina il testo. In seguito, anni dopo, l'ho di nuovo copiato, questa volta al computer. * - Maria Teresa Carbone: Come si e' giunti infine alla pubblicazione di Suite francese lo scorso anno? - Denise Epstein: In realta' ero convinta che il romanzo, essendo incompiuto, fosse destinato a rimanere inedito. A farmi cambiare idea e' stata Myriam Anissimov (autrice fra l'altro di Primo Levi o la tragedia di un ottimista, Baldini e Castoldi - ndr), che aveva scritto cose molto belle sui libri di mia madre, al tempo della loro uscita nella collana dei "Cahiers rouges" di Grasset, negli anni Ottanta. Nella primavera del 2004 le ho accennato per caso dell'esistenza di questo testo, e subito mi ha invitato a mandarlo al suo editore, Olivier Rubinstein. Due giorni dopo lui mi ha chiamato: "Lei ha una meraviglia fra le mani, lo pubblichiamo immediatamente". A questo punto sono entrata in crisi: temevo di andare contro quella che sarebbe stata la volonta' di mia madre. Ma Rubinstein ha dissolto i miei scrupoli, consigliandomi di considerare la questione non solo dal punto di vista affettivo e rassicurandomi sul valore del testo. * - Maria Teresa Carbone: Eppure, come appare evidente dalla postfazione della stessa Anissimov e dalle fotografie del quaderno in appendice al volume, i due romanzi che compongono Suite francese, Temporale di giugno e Dolce, non avevano ancora raggiunto uno stadio definitivo. - Denise Epstein: Era proprio questa la ragione dei miei dubbi. Con Rubinstein siamo partiti dal principio che, non potendo sapere i cambiamenti che mia madre avrebbe apportato, la soluzione piu' onesta per non tradirla, fosse quella di pubblicare solo quello che appariva certo. I brani cancellati, le frasi fra parentesi, non sono stati inclusi. Al tempo stesso, ho insistito perche' i due romanzi venissero pubblicati in un unico volume: mia madre infatti aveva chiaramente espresso la sua volonta' di raccogliere insieme tutti i testi della saga, che ai suoi occhi appariva piuttosto come una sinfonia in cinque movimenti. Per i temi musicali, del resto, lei aveva una vera ossessione, cosi' come per i film: la prima fase della sua scrittura consisteva in una visualizzazione quasi cinematografica dei vari momenti della trama, cui faceva seguito una descrizione minuziosa di tutti i personaggi, anche di quelli che sarebbero apparsi solo per poche righe. A quel punto, quando aveva attribuito a ognuno il ruolo che avrebbe dovuto giocare nella messinscena, restava solo la stesura. * - Maria Teresa Carbone: Se da un lato Suite francese rivela i suoi legami con la grande narrativa russa, emerge anche l'influenza della letteratura francese che fra l'Ottocento e il Novecento conta numerosi esempi di "saghe". Quali erano i rapporti di sua madre con il paese che la ospitava? - Denise Epstein: I miei genitori erano apolidi, e mia madre non ha mai smesso di sentirsi straniera. Al tempo stesso, il francese era per lei una seconda madrelingua, perche' nel suo ambiente, in Russia e in Ucraina, lo parlavano tutti. Adorava la Francia, insisteva perche' noi bambine parlassimo una lingua impeccabile, ci leggeva Dumas, la contessa di Segur, L'uccellino azzurro di Maeterlinck... E mio padre a volte ci cantava le canzoni di Mistinguette, di Josephine Baker. Della Russia parlavano poco, credo che per loro l'esilio fosse molto doloroso. In russo fra di loro comunicavano di rado, solo quando non volevano che noi bambine potessimo sentire - una situazione che con lo scoppio della guerra si e' fatta sempre piu' frequente. * - Maria Teresa Carbone: La guerra ha sconvolto la vostra vita. Cosa ricorda di quel periodo? - Denise Epstein: Nel '39, quando la guerra e' stata dichiarata, avevo dieci anni, e all'inizio ho pensato che fosse una cosa molto eccitante: ci eravamo trasferiti in un piccolo paese dove godevo di liberta' che normalmente sarebbero state inimmaginabili. Prima, a Parigi, avevamo avuto una esistenza molto protetta per scelta precisa di mia madre che, nonostante la sua fama di scrittrice, detestava ogni mondanita'. Lei, che da ragazza, subito dopo il suo arrivo in Francia, si era comportata con grande liberta', passando da una festa all'altra, con il matrimonio aveva avuto una vera trasformazione. Solo tre cose contavano: la scrittura, il marito e noi figlie, in quest'ordine. I primi tempi della guerra quindi per me sono stati bellissimi: frequentare la scuola del paese, non portare piu' le scarpe di vernice, mangiare dolciumi prima proibiti, e soprattutto, avere tutti e due i miei genitori a casa, era la felicita'. Ma presto ho cominciato a vedere la miseria intorno a me, e l'atmosfera in famiglia e' cambiata. Anche se i miei cercavano di non lasciare trapelare nulla, l'angoscia si percepiva. Ricordo quando mi hanno detto che dovevo portare la stella gialla, io non capivo, ma quando si ha paura, non c'e' il tempo di pensare: si accetta la situazione cosi' come e'. E cosi' e' stato anche dopo, quando mia madre, e poi mio padre, sono stati portati via. Con la donna che si prendeva cura di noi, sono cominciati gli anni della fuga, nascondendoci di volta in volta dove trovavamo accoglienza: in un convento, in una famiglia, in una cantina, con la sensazione continua di essere braccate. "Nascondi il tuo naso", mi diceva, perche temeva che i tratti del mio viso potessero tradirmi. E io ubbidivo, senza neanche riflettere. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1133 del 3 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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