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La nonviolenza e' in cammino. 1134
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1134
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 4 Dec 2005 00:04:41 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1134 del 4 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Operazione Colomba: Solidarieta' con i volontari del "Christian Peacemaker Team" rapiti in Iraq 2. Annamaria Rivera: Gli "scarti sociali" in rivolta 3. Una testimonianza di Michele Do (forse del 1968) 4. "La parola alle donne" il 6 dicembre a Roma 5. Luciano Comini: Un invito a Celleno il 10 dicembre 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. APPELLI. OPERAZIONE COLOMBA: SOLIDARIETA' CON I VOLONTARI DEL "CHRISTIAN PEACEMAKER TEAM" RAPITI IN IRAQ [Dagli amici volontari in Israele-Palestina dell'Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace (per contatti: operazione.colomba at apg23.org) riceviamo e diffondiamo] Non aggiungiamo l'indifferenza alla violenza: impegnamoci tutti per i nostri amici dei "Christian Peacemeaker Teams" e per la fine dell'occupazione dell'Iraq. Il 28 novembre scorso Tom, James, Norman e Harmeet, volontari dell'associazione nonviolenta "Christian Peacemaker Team", sono stati rapiti da un gruppo armato iracheno che ha minacciato di ucciderli se entro l'8 dicembre non verranno rilasciati i prigionieri iracheni. Da piu' di un anno nei Territori occupati palestinesi i volontari di Operazione Colomba e dei Christian Peacemeaker Teams accompagnano assieme i pastori e i contadini di At Tuwani ed i loro bambini per proteggerli dalle violenze di alcuni coloni estremisti. Il 29 settembre del 2004 durante un accompagnamento nonviolento dei bambini di Tuba, Chris e Kim, due nostri amici dei Christian Peacemeaker Teams, sono stati picchiati da coloni dell'outpost di Havat Maon. Il 9 ottobre del 2004 Adriano di Operazione Colomba, e Diane dei Christian Peacemeaker Teams, sono stati aggreditti e picchiati dagli stessi coloni. Il 16 febbraio di quest'anno, accompagnando i pastori, Johannes, Monica e Piergiorgio di Operazione Colomba e Diana e Sally dei Christian Peacemeaker Teams sono stati aggrediti dai coloni, minacciati e picchiati. Prima di andare in Iraq, Tom e' stato con noi ad At-Tuwani nel gennaio di quest'anno. Assieme a noi ha scortato i bambini a scuola e i pastori al lavoro, assieme a noi ha mangiato, scherzato, camminato. James doveva arrivare in questi giorni per darci una mano. * I quattro sequestrati sono nostri amici, sono nostri fratelli, sono noi stessi. Sono noi alle manifestazioni nonviolente contro il Muro in Palestina, sono noi che accompagniamo i bambini a scuola, sono noi che lavoriamo a fianco di palestinesi e israeliani per un pace giusta in questa terra. E noi siamo loro sotto sequestro e minaccia di morte in Iraq, siamo loro nel lavoro di denuncia delle violazioni dei diritti umani e nella condivisione della quotidianita' della popolazione irachena oppressa dalla guerra e dall'occupazione. Siamo loro nel contestare una guerra voluta per tutelare gli interessi di pochi, decisa contro il parere della maggioranza dei cittadini, tenuta in piedi da un sistema di bugie e silenzi che scava solchi fra culture e popoli. Loro sono noi, noi siamo loro, insieme crediamo nella presenza nonviolenta delle persone semplici in zona di guerra, crediamo che alla guerra ci sia sempre un'alternativa, crediamo che come cristiani siamo chiamati a spendere il nostro tempo e, se necessario, la nostra vita, per aprire strade di dialogo e abbattere le ingiustizie e le bugie che le tengono in piedi. * Chiediamo a tutti gli esseri umani di buona volonta', a coloro che hanno sete di giustizia, a coloro che sono contro l'occupazione dell'Iraq, di mobilitarsi. Noi, cittadini del mondo e della pace possibile, noi che crediamo nella condivisione della vita con le persone semplici vittime delle guerre e delle ingiustizie, chiediamo a tutti i cittadini italiani ed europei di scendere in strada, manifestare davanti alle ambasciate, vegliare, accendere candele, rimettere fuori la bandiera della pace, prendere posizione pubblica e chiedere a qualcuno che conosciamo di farlo, di fare qualsiasi cosa in nostro potere per la liberazione dei nostri fratelli sequestrati e per la fine dell'occupazione anche italiana dell'Iraq. In attesa di sapere dal coordinamento italiano il giorno e l'ora dell'iniziativa nazionale vi chiediamo di informare delle iniziative locali Lisa Clark (Beati i Costruttori di Pace), tel. 3483323254, e-mail: lisa.clark at libero.it * Concludiamo con le parole dei nostri fratelli dei Christian Peacemeaker Teams: "Siamo molto preoccupati per i nostri amici: sono in Iraq unicamente per la pace, si oppongono all'occupazione". 2. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: GLI "SCARTI SOCIALI" IN RIVOLTA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 dicembre 2005. Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa, fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli, Dedalo, Bari 2005] Ora che nelle banlieues i fuochi sono spenti, il rischio che corriamo e' d'essere sommersi da una valanga di commenti e analisi. Com'e' accaduto per i ricorrenti affaires del "velo", anche i tumulti d'autunno stanno ispirando un'ipertrofia mediatica che non e' sicuro giovi alla loro comprensione. Ognuno, infatti, si esercita a leggere in questo spontaneo scoppio di rabbia collettiva, per molti versi sfuggente e indecifrabile (Marco Bascetta, "Il manifesto" dell'11 novembre 2005), cio' che la propria filosofia politica gli suggerisce; e per lo piu' senza tentare di dare la parola ai giovani protagonisti della rivolta (percio' tanto piu' apprezzabile e' l'inchiesta sul campo di Alessandro Mantovani, pubblicata nei giorni dall'11 al 24 novembre 2005). Anche chi scrive corre questo rischio: per scongiurarlo, puo' provare ad analizzare l'evento con sobrieta', mettendo in questione certezze proclamate a gran voce. I tumulti d'autunno non sono stati una "intifada", ne' la prova generale dell'insurrezione "islamica" contro lo Stato di diritto, ne' l'inveramento della profezia dello "scontro di civilta'" e neppure l'annuncio dell'insurrezione proletaria o della sollevazione della "moltitudine". Non sono stati un evento straordinario e inaspettato, ma del tutto prevedibile: chi ha sgranato gli occhi di fronte a questi riots "cosi' poco francesi" forse non conosce la realta' politica e sociale della Francia e, certo, non ha mai messo piede in una cite'. * In cerca di rispetto Cio' che si puo' dire ragionevolmente e' che la violenza distruttiva e autodistruttiva con cui si sono espressi disagio sociale, malessere e insofferenza della gioventu' banlieuesarde, e' stata, intenzionalmente o non, uno strumento per rompere il muro della segregazione, rendersi visibili nello spazio pubblico, attrarre l'attenzione della politica e dei media. Ma, prima ancora, un'auto-attestazione d'identita'. "On n'est pas des racailles mais des etres humains. On existe. La preuve: les voitures brulent" ("Non siamo feccia ma esseri umani. Esistiamo. La prova? Le auto incendiate"): la frase lapidaria di un sauvageon diciottenne intervistato da "Le Monde" lo dice piu' efficacemente di qualsiasi analisi dotta. E mette in discussione un'altra certezza: si puo' affermare senza dubbio alcuno che si e' trattato di una rivolta del tutto priva d'oggetto e di parola? Oppure la rivendicazione di rispetto che - insieme al "non si puo' andare avanti cosi'", come ha osservato Bascetta - accompagna e accomuna le rivolte metropolitane e' in fondo una parola d'ordine politica, per quanto elementare? Dunque, non e' infondata l'ipotesi interpretativa che legge questo genere di tumulti metropolitani, benche' scomposti, rabbiosi, furiosi, attraverso la categoria delle lotte per il riconoscimento: anzitutto dello statuto di esseri umani, che gli effetti economico-sociali della globalizzazione neoliberista ed i ciechi automatismi della discriminazione e del razzismo tendono a denegare agli "scarti sociali". L'unica novita' della rivolta d'autunno e' che si e' manifestata con una dilatazione temporale e territoriale inusitata. In realta', essa e' il frutto una latenza endemica, alimentata da molti anni di disprezzo coloniale e di discriminazione ai danni delle popolazioni "d'origine immigrata" e punteggiata da una miriade d'insorgenze analoghe, spesso in reazione a morti "accidentali" conseguenti ad interventi delle forze dell'ordine. Il meccanismo e' solitamente lo stesso: un'esplosione di rabbia collettiva al termine di una serie di retate, soprusi e violenze poliziesche, talvolta esiziali. Secondo la stima di Maurice Rajsfus (La police et la peine de mort, Esprit Frappeur, 2002), nell'arco di tempo che va dal 1977 al 2001 le bavures delle forze dell'ordine hanno prodotto 196 omicidi. * Inclusione negata Da lungo tempo antropologi e sociologi (Didier Lapeyronnie, fra gli altri) suggeriscono che il desiderio di essere visti, riconosciuti e considerati sia una delle chiavi per comprendere le rivolte metropolitane che, almeno dagli anni Ottanta del Novecento, scoppiano ciclicamente nelle cites francesi come nelle inner-cities britanniche. Un'ipotesi del tutto plausibile se si ammette che l'esclusione e la segregazione hanno un carattere non solo economico e sociale ma anche politico e simbolico. In Francia, la formazione di zone di marginalita' e di segregazione e' fra l'altro l'effetto della dissoluzione delle banlieues rosse, della decomposizione del mondo industriale e operaio, e delle sue forme d'organizzazione e di rappresentanza. Nel passato anche recente, il conflitto sindacale e politico aveva concorso all'integrazione nella cittadinanza repubblicana d'ampi settori popolari "d'origine immigrata". Oggi non e' piu' cosi': per le fasce giovanili dei quartieri popolari - disoccupate e precarizzate - la costruzione dell'identita' individuale e di gruppo non passa piu' attraverso il lavoro, la produzione, l'impegno sindacale o politico, ma attraverso il consumo, le mode, gli stili. E attraverso un antagonismo irriducibile con i "flics", potente fattore d'identificazione con un noi contrapposto a loro. Esclusi, dunque, anche dalla possibilita' di accesso allo spazio politico, i giovani delle "zone urbane sensibili" sembrano avere come unici mezzi d'espressione pubblica a disposizione le rivolte e le violenze urbane, mentre una mediocre politica ufficiale perpetua l'illusione di poterle dominare con gli strumenti securitari e repressivi. La rivolta banlieuesarde e' certamente il frutto di una condizione quasi-castale: la maggioranza dei figli e nipoti dell'immigrazione coloniale non ha alcuna speranza di mobilita' sociale, condannata com'e' a ereditare lo status dei genitori o dei nonni, o addirittura ad essere declassata. La prospettiva dell'inserimento lavorativo e sociale e' assai sfuggente se, come ha rilevato un'indagine, chi abbia un cognome che suona arabo o africano ha sei volte in meno la possibilita' d'essere convocato per un colloquio di lavoro, rispetto ad un coetaneo franco-francese. Da parte istituzionale, una delle poche risposte non-repressive date alla grande questione sociale che sta dietro la rivolta e' la proposta di abbassare l'obbligo scolastico a 14 anni, rendendo possibile l'avviamento al lavoro della fascia dai 14 ai 16 anni: il che equivale alla condanna definitiva dei giovani delle 752 "zone urbane sensibili" al loro destino di reietti. Ma la rivolta e' anche l'esito della frattura con una politica lontana come la luna dalle spettrali cites: territori d'Oltremare, occupati militarmente da forze dell'ordine che si comportano come un esercito coloniale, e che operano retate, controlli e fermi indiscriminati sulla base della facies: tanto piu' sospetta, una facies "araba" o "africana", se e' di giovani, e abbigliati secondo lo stile hip-hop in voga nelle metropoli di tutto il mondo. La distanza fra chi e' dentro e chi e' fuori, che marca profondamente i rapporti sociali del nostro tempo, e' definita da frontiere anche simboliche. Coloro che sono "fuori", infatti, sono spesso anche etnicizzati, razzializzati, stigmatizzati. Negli anni '80 si comincia a identificare gli zonards con gli immigrati e a rappresentare la banlieue come l'alterita' assoluta, popolata da ogni sorta di racaille (delinquenti, prostitute, drogati). I Novanta (come osserva Hugues Bazin in un bel libro del 1995, La culture hip-hop) sono gli anni dell'etnicizzazione delle banlieues e della loro assimilazione ai ghetti americani. V'e', in Francia, tutta una retorica miserabilista - in fondo razzialista e neocoloniale - sulle periferie urbane, che ne cancella la complessita' e ne legge ogni pratica sociale ed espressiva, ogni rivendicazione, ogni forma di socialita' o di solidarieta' in termini di "comunitarismo", parola che in francese evoca il peggiore dei mali. Il collante identitario della giovane generazione di banlieue e' una cultura metropolitana meticcia (ma tutte le culture lo sono): quella propria, in tutt'Europa, di periferie svantaggiate ed etichettate negativamente, ove dominano disoccupazione di massa, precarieta', segregazione, smantellamento dei servizi pubblici, sentimento d'esclusione; ove i giovani ascoltano la medesima musica, comunicano tramite i blog, parlano qualche forma di slang, indossano le stesse felpe con cappuccio, gli stessi berretti con visiera, le stesse scarpe da jogging; hanno in definitiva la stessa rabbia e le stesse aspirazioni. E' anche per questo che la rivolta ha potuto diffondersi ben oltre la banlieue parigina. Ammesso che, a proposito di questa cultura, si possa parlare d'etnicita', essa ha una valenza anzitutto reattiva, poiche' si costruisce soprattutto sulla base del fatto che ci si sente oggetto di disprezzo e di non-riconoscimento. L'eventuale riferimento all'Islam da parte dei sauvageons - in gran parte cittadini francesi che non conoscono una sola parola d'arabo - puo' essere considerato uno dei tanti referenti etnoidi, al pari dello stile rasta o zulu: reinvenzione immaginaria di una tradizione, contrassegno identitario di una condizione marginale, risposta alla stigmatizzazione e all'anomia, tant'e' vero che e' adottato anche da giovani franco-francesi che abitano nelle stesse zone urbane sensibili e vivono la medesima condizione sociale. * Assimilazione bruciata La rivolta dell'autunno ha potentemente contribuito a palesare che la retorica universalista e' ormai una coperta lacera e insufficiente a coprire la realta' di un apartheid sociale e territoriale, rafforzato e alimentato da processi d'esclusione simbolica. Le istituzioni e la cultura mainstream francesi hanno sempre disprezzato il modello multiculturalista all'anglosassone, statunitense in particolare, come produttore d'orrendi ghetti e di risibili etnicismi, continuamente evocando il fantasma del comunitarismo. La realta' ci mostra che, al di la' della retorica dei modelli d'integrazione nazionale, comparabili sono gli effetti sociali dell'esclusione e del razzismo, e le risposte reattive della racaille. Il fuoco appiccato nelle cites consuma l'illusione dell'assimilazione senza inserimento sociale, della neutralizzazione delle differenze senza il conferimento della pienezza e dell'effettivita' dei diritti di cittadinanza. 3. RIFLESSIONE. UNA TESTIMONIANZA DI MICHELE DO (FORSE DEL 1968) [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione questi appunti su "la nostra appartenza alla Chiesa, oppure: si puo' vivere nella Chiesa? O anche: pace con la Chiesa, e persino: la Chiesa e l'umanita'" ricavati da una conversazione di don Michele Do, recentemente scomparso. Scriveva Enrico Peyretti in una nota di presentazione del 12 settembre 1995: "Questa conversazione, probabilmente del 1968, tenuta alle Equipes Notre Dame di Torino (forse al Cenacolo di C. Gabetti), don Michele non volle che fosse registrata. Ricavai allora questo testo, che credo molto fedele, dagli appunti di vari presenti e miei". Scrive ancora Enrico Peyretti: "Qualche tempo dopo, o qualche anno dopo, incontrai don Michele a Bose e gli proposi di pubblicare queste pagine (forse sul mensile torinese "Il foglio", nato nel febbraio 1971). Eravamo nel cortile dei monaci, davanti alla porta della cucina. Ma lui mi fermo' e mi disse che voleva ancora pensarci e che allora avrebbe detto piu' fortemente: 'La Chiesa e' l'umanita''. Del resto, le ultime parole di questo testo gia' dicevano anche di piu'". Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Su Michele Do riportiamo alcuni frammenti da un piu' ampio ricordo scritto da Enrico Peyretti che abbiamo pubblicato nel n. 1118 di questo foglio: "E' morto sabato 12 novembre 2005 ad Aosta, don Michele Do, un uomo autentico, un prete cristiano, un testimone dell'umana sete di Dio. Nato a Canale, presso Alba (provincia di Cuneo), il 13 aprile 1918, abbandono' l'insegnamento in seminario nel 1945, ritirandosi nella frazione di St. Jacques di Champoluc (Aosta), allora senza strada, villaggio di alta montagna, nel quale don Michele cercava la vita ritirata, pensosa. E' stato rettore di quella piccola chiesa fino a quando, nella vecchiaia, si e' ritirato nella Casa Favre, sulla pendice del monte, sopra il villaggio, una pensione-fraternita', luogo di amicizia e spiritualita' aperta. Il suo maggiore riferimento, nella linea del modernismo piu' spirituale - il cuore umano come primo luogo della sete religiosa e dell'evangelo universale - fu don Primo Mazzolari, insieme a tanti altri spiriti ardenti della chiesa e di ogni focolare religioso. I suoi maggiori amici e fratelli di cammino furono David Maria Turoldo, Umberto Vivarelli, padre Acchiappati, Ernesto Balducci, sorella Maria di Spello e, tramite lei, Ernesto Buonaiuti, padre Rogers e sua moglie (anglicani) e tanti, tanti altri, non solo credenti, ma tutti assetati e commensali di verita' e autenticita' vissuta. Appartato, ma senza polemiche superficiali, rispetto alle strutture ecclesiastiche, e' stato un centro vivissimo di aperte amicizie e accoglienze, che ha attirato una quantita' di cuori vivi in ricerca, da tutte le condizioni umane. E' stato una grande anima, uno spirito acceso dal fuoco vivo dello Spirito. Un cercatore instancabile di Dio. Fremeva e cercava, in ogni colloquio e incontro, l'aiuto e l'ascolto nostro per una rilettura essenziale del cristianesimo e di tutta la ricerca spirituale umana, e comunicava tracce preziose di luce..."] La Chiesa e' cercare di avere una piccola luce dentro di noi e di metterla in comune per far nascere una ricchezza maggiore. Non e' una soluzione ma una ricerca. Romano Guardini aveva detto che il nostro e' il secolo della riscoperta della Chiesa. C'e' oggi in molti un positivo sconcerto di fronte alla nuova immagine della Chiesa che emerge dal dopo-Concilio. Dobbiamo non sostituire alla Chiesa delle sicurezze, che non rimpiangiamo, la sicurezza dell'incoscienza, dell'ignoranza dei problemi e del mistero. C'e' un disagio: come sentirci disarcionati, relativizzati. Bisogna che questa perplessita' e ricerca non concluda in una emorragia, in un allontanamento, ma in un approfondimento del mistero. Il primo ecumenismo non e' la riconciliazione tra le chiese, ma con la Chiesa. Perche' oggi il problema tocca la Chiesa in se stessa, come istituzione, e non solo le sue sbavature ed errori. Non discutiamo. Ne ho abbastanza delle discussioni. Invece conversiamo, mettiamo insieme le esperienze piu' vere, esprimiamo le cose profonde che ognuno sente. Nel discorso amico e nella preghiera emerge lo Spirito di Dio. Qual e' l'immagine della Chiesa che abbiamo? Essa e' alle radici della nostra vita spirituale, o questa si costruisce accanto alla Chiesa, nonostante la Chiesa? La Chiesa e' un momento positivo o negativo della nostra vita spirituale? Se positivo, quali sono le ricchezze che la Chiesa mi ha dato? Uno potrebbe dire: cosa ha aggiunto al Cristo? Se e' negativo, quali sono gli impoverimenti che la Chiesa mi ha portato? Ci possiamo chiedere: non sarebbe piu' bello, ricco, libero, un cristianesimo senza Chiesa? Come stiamo nella Chiesa? Ci stiamo, ma allo stretto. Non scappiamo come il figlio minore, restiamo come il maggiore, ma come lui disamorati, senza gioia: accettiamo la Chiesa, la subiamo, senza passione. Stiamo dentro, ma col cuore fuori. Questa e' stata la mia esperienza per un certo tempo. C'erano dei precisi motivi di questo disagio. * Primo. La Chiesa non sembrava la "plenitudo Christi", ma un impoverimento del Cristo. Rispetto al Vangelo erompente e ardente, sembrava la lava raffreddata e consolidata. Come il matrimonio rispetto all'amore, nel concetto romantico. Come dice Ignazio Silone (nell'introduzione a L'avventura di un povero cristiano): "Cristo e' piu' grande della Chiesa". E il Grande Inquisitore di Dostoevskij a Gesu' che e' ritornato: "Perche' sei tornato? Sei venuto a disturbare la nostra opera". Ci si chiedeva: la Chiesa e' un'istituzione di Cristo o un prodotto della cultura? Ha una radice evangelica? E' un Vangelo impoverito? Si puo' trovare fuori di essa la purezza del cristianesimo? Bisogna veramente uscire dalla Chiesa istituzionale, "veneranda sovrastruttura" come dice ora Silone? * Secondo. La radice giansenista, l'antiumanesimo della Chiesa. Personalmente l'ho vinto leggendo le "Lettere ai giovani" di Lacordaire. L'educazione seminaristica intossicava con l'idea di un Dio che non benedice, non sorride, non ama la vita ma la avvelena. C'era la paura di amare, il sospetto dell'amore, il sospetto dell'amicizia (le amicizie particolari! si pensava subito a questo!). C'era la paura delle cose, come se fossero contro Dio. Non era facile liberarsi da tutto cio', perche' in quella linea c'erano dei santi. Oggi tutto e' facile, ma allora l'angoscia dava notti insonni. Si aveva bisogno di liberarsi di tanti oggetti pesanti, di abbattere tante pareti, ma si temeva di toccare qualche muro portante. * Terzo. La Gerarchia, il Magistero e l'infallibilita'. Sentivamo una costrizione: cosi' o fuori. Tutto ci veniva dato definito fin nei dettagli, in scatola chiusa: prendere o lasciare. Si facevano acrobazie per difendere certe idee e certi documenti papali: se non si accettava tutto si era fuori della Chiesa. L'interpretazione biblica era legata dai decreti del 1911. Piuttosto che negare la storicita' della permanenza di Giona nel ventre della balena si sarebbe detto piu' facilmente che Giova la balena se l'era mangiata. C'era un suicidio dell'intelligenza. Chi oggi lo nega mente. C'era una disonesta' intellettuale. Mentre il Salmo 14 dice: "Chi salira' la tua santa montagna? Colui che dice la verita' che ha nel cuore". * Quarto. La Chiesa era il peggiore di tutti i razzismi, era un razzismo religioso: la razza dei privilegiati, da una parte i figli legittimi, dall'altra i figli bastardi di Dio, quelli dalla salvezza facile e quelli dalla salvezza difficile. Era il fatto piu' antireligioso che io conosca, piu' contrario al cuore di Dio. Non era solo una insufficienza di realizzazione della Chiesa, ma ne toccava l'essenza. Oggi, dopo il Concilio, si ha un'impressione di relativismo sulla Chiesa. La Chiesa si interroga, dunque non sa bene che cosa e'. Con quale diritto si propone alla coscienza dell'uomo e del cristiano? Eppure vivere precede il conoscere. Infatti, chi conosce se stesso? chi conosce la vita? Siamo nella vita. Essa e' la cosa piu' nostra, anche se e' la meno nostra. Ma non sappiamo dire che cosa e'. E' una percezione per approssimazione. Cosi', anche la Chiesa e' in noi, noi siamo la Chiesa, ma non sappiamo dire che cosa e' la Chiesa. Gesu' dice: "certe cose le capirete poi". Non respingiamo quello che non conosciamo perche' e' piu' grande di noi. Le realta' religiose sono piu' grandi di noi, non e' possibile "capirle". Il Cristianesimo non e' capire tutto: esso e', come Maria che rimeditava in cuore, portare dentro alcune grandi parole, e' attesa paziente, e sotto l'urto degli avvenimenti quelle parole si illumineranno e saranno la luce e la risposta. Questa e' la mia attuale esperienza gioiosa. Questo dovrebbe essere il catechismo: seminare negli uomini le grandi certezze e le grandi parole di Gesu'. Bisogna pagare con la fatica le grandi cose. Anche la Chiesa e' da conquistare. C'e' una legge delle famiglie industriali: una generazione accumula, la seconda consolida perche' conosce ancora la fatica, la terza dilapida. La nostra generazione non ha pagato sufficientemente. Dopo il Concilio e' finita la Chiesa delle sicurezze. Lo staccarsi dalla sicurezza e l'averci portato nella insicurezza, come ha fatto il Concilio, e' un farci rinascere. Essere sciolti e liberi e' una gran fatica, dobbiamo rovesciare tutto noi stessi, non ci si puo' fermare ma rinnovarci, ripulirci gli occhi: "beati i puri di cuore". Occorre un ascetismo della verita' di fronte al mistero della Chiesa. "Io sono con voi fino alla fine". Quale significato, quale estensione, quale spessore possiamo dare a queste parole? Da qui dipende la Chiesa. L'ecclesiologia suppone la cristologia. Se Cristo e' solo un uomo, un grande uomo, un'altezza morale, allora Cristo e' piu' grande della Chiesa e questa e' svuotata di mistero, e' solo una convergenza di cuori sui motivi fondamentali del messaggio evangelico, Ma Cristo e' il Figlio del Padre, l'eterno vivente, il contemporaneo (come dice Kierkegaard), e' il Cristo di Paolo, non una memoria del passato, ma una presenza viva che incrocia la mia strada, che entra dentro di me, al quale io offro spazio, che e' presente nella storia e nel destino di ogni uomo. "Chi dite voi che io sia?". La prima cristologia e' nella prima risposta: "Sei un profeta". Ma Pietro risponde: "Sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". "Beato te, perche' questa fede ti e' donata" gli dice Gesu', e su questa fede nasce la Chiesa. Ognuno ha la sua storia nel vivere la sua fede, ma bisogna partire o meglio arrivare qui. * Come sono uscito da quei problemi sulla Chiesa? Anzitutto, devo la mia fedelta' alla Chiesa ad alcune grandi amicizie: Mazzolari per primo. La Chiesa era il tema che lo faceva vibrare di piu': "Dobbiamo stare dentro; da uomini liberi, ma dentro; fuori saremmo nubi sens'acqua" (diceva cosi', con la s). Lui, accusato di essere ai margini, era come su un balcone, ma aveva l'equilibrio di un gatto, cadeva sempre sulle zampe, cioe' dentro la Chiesa, perche' il suo baricentro spirituale era nella Chiesa. La sua era una fedelta' faticata. La devo poi all'avere abbandonato i libri della teologia, sia vecchia che nuova, per ritrovare il Vangelo libro vivo, religioso, non di devozione. Ho buttato dentro parole e pagine del Vangelo, letto attraverso il nostro cuore e quello dei fratelli. Perche' il cuore dell'uomo e' il primo Vangelo. Quando cerco il meglio di me, nel contrasto tra la Bibbia scritta e quella del cuore, scelgo quella del cuore. Chi non ha sofferto non ha nulla da dire, nulla da dare, e' incapace di Vangelo. I problemi devono essere autentici, nascere dentro di noi; non possiamo vestirci delle certezze o dei dubbi altrui, non possiamo giostrare sulla carta, con problemi di carta, ma soffrire nella vita. Il Vangelo e la Chiesa li ho visti poi nella vita della povera gente di montagna, perche' gli umili sono epifania di Dio. La parrocchia ci salva, noi preti. C'e' una duplice immagine della Chiesa nella parabola del figlio prodigo: la piccola immagine che e' nei figli, quello che va come quello che resta, e la grande immagine che e' nel padre, che ama e non e' capito. Ci sono due tristezze nella vita: le domande senza risposta (penso al dolore: guai a dare, senza pudore, risposte troppo facili) e risposte senza domande, quando nessuno chiede. La Chiesa invece e' risposta alle attese piu' profonde. Io l'ho capita quando l'ho sentita come risposta alle attese che avevo, come l'attesa di Adamo che fa nascere Eva. Non un barcone per salvare la pelle spirituale, per traghettare a pagamento verso l'eterno, ma una dimensione di vita. Ho sciolto quei nodi un po' alla volta. * Primo. Cristo e' piu' grande della Chiesa? Non basterebbe Cristo? Ho scoperto che la Chiesa non e' altro che il Vangelo che continua, in atto. Oggi dico con la stessa sincerita' di allora che sto nella Chiesa come sto nel Vangelo con la stessa gioia, passione, fatica. La Chiesa non annuncia il Vangelo: noi siamo Vangelo, viviamo il Vangelo, le creature sono creature di Vangelo, il mondo e' casa di Cristo. Chi non e' di Cristo? Il Vangelo non e' uno spazio santo raggiungibile con memorie e fantasie, ma spazio aperto e concreto in cui vivo. La Chiesa e' Cristo che ci incontra. Non ricordiamo il Vangelo, non lo leggiamo, non lo diciamo, ma lo siamo, il Vangelo e' in noi. Cristo non e' piu' grande della Chiesa, ma e' vivo in essa, essa e' Cristo vivente. Non nella memoria, ma nell'hic et nunc. Rifiutate la Chiesa in nome del Vangelo? Ma e' proprio per trovare la concretezza del Vangelo che ho bisogno della Chiesa. Se non ci fosse la Chiesa il Vangelo sarebbe carta, e Cristo sarebbe il ricordo di un morto. Leggiamo la pagina dei pellegrini di Emmaus: la loro era una religione di memorie, di tristezza, era Vangelo senza Chiesa: "Ti ricordi come era bello?" Un mondo irrimediabilmente perduto e chiuso con il venerdi' santo. Se e' cosi' allora prendiamo il lutto della vita, piangiamo la vita. Allora, di fronte al dolore, se abbiamo un po' di pudore, dobbiamo solo tacere. Infatti e' subito buio: "Rimani con noi perche' si fa sera". Ma egli "entro' in casa per rimanere con loro". Ecco una delle piu' belle definizioni della Chiesa. Ognuno di noi diventa casa di Cristo. La Chiesa non e' una realta' separata da Cristo, che sarebbe il suo "fondatore". Capita cosi' che la pensiamo come l'amministratore delegato del Regno di Dio, con una sua autonomia. Invece la Chiesa non ha una sua consistenza autonoma, non ha una sua personalita', non puo' dire io. L'io della Chiesa e' Cristo. Il suo contenuto totale e' Cristo. La Chiesa si spersonalizza in Cristo. Non e' la Chiesa che annuncia Cristo, e' Cristo che parla attraverso la Chiesa. Non e' la Chiesa che con i sacramenti mi da' Cristo, ma e' Cristo che attraverso i segni della Chiesa viene a noi. Il mio rapporto e' sempre rapporto diretto con Cristo. Non il fango ha guarito gli occhi al cieco nato, ma Cristo col fango; la Chiesa e' fangosa, e' vero, ma Cristo opera in essa. La Chiesa e' come gli occhiali: la loro perfezione si ha quando non si avvertono piu'; e' come le lenti a contatto, che servono per vedere, senza essere viste. La Chiesa e' tanto piu' se stessa quanto piu' scompare, quanto meno la si sente. Come Giovanni Battista, deve diminuire perche' Cristo cresca. Giovanna d'Arco: "Io penso che non si deve distinguere Cristo e la Chiesa: sono tutt'uno". Cosi' ho potuto amare la Chiesa. La Chiesa e' questo essere chiamati oggi per nome: dopo la tristezza per la scomparsa del corpo del Signore c'e' quel dialogo che e' tutto il Cristianesimo: "Maria!" "Rabboni!". * Secondo. L'antiumanesimo della Chiesa, ogni gioia era sospetta, la spontaneita' era peccato. Questo ha avvelenato la mia giovinezza. Come ho superato questa tentazione? Mi ha aiutato quella parola di Nietzsche, letto non alla maniera di D'Annunzio o di Hitler: "Restate fedeli alla terra". Ma ho vinto quel veleno quando ho scoperto che la Chiesa e' l'atto di poesia di Dio, che e' l'atto di fede e di accettazione piu' totale dell'uomo, della vita, delle cose, che il compito della Chiesa e' abbellire la vita fino alla pienezza finale, che la Chiesa e' il mondo redento nella sua bellezza, perche' dice Dostoevskij: "E' la bellezza che redimera' il mondo". La Chiesa e' opera di poesia. Se volete guardarla in prospettiva giuridica, accontentatevi, io non mi accontento. Ho scoperto il sacramento. Per tanto tempo ho avuto allergia per il sacramento, magia cattolica, stregoneria. Ma la Chiesa e' il sacramento di Cristo: e' tutto qui. Cosa vuol dire sacramento? L'ho visto nel Vangelo, non nei libri di teologia. Vuol dire che Cristo rimane nei segni umani delle cose. Perche' ci sono due modi di leggere il Vangelo: la maniera giansenistica..., e quella cattolica. Per esempio, la moltiplicazione dei pani. Prima lettura: Dio fa sentire la fame nel deserto, e' un dio lanciafiamme che distrugge tutto, fa' il vuoto che funziona da sifone di risucchio verso di lui. Seconda lettura: il cuore di Cristo, educato dalla sensibilita' della Vergine (nozze di Cana), educa a suo volta i discepoli: "Se li rimando a casa digiuni verranno meno per via". Se l'Eucarestia e' staccata dalle altre eucarestie, dalle necessita' dell'uomo, e' spenta. Il cattolico non dira' mai: Dio solo mi basta. Il Vangelo non e' disossarsi, e' Incarnazione. Come cantano le liturgie orientali, Dio e' filantropo, amico dell'uomo. Dio non ha una casa staccata da quella degli uomini, e' in ogni casa e in ogni cosa. La risposta piu' vera non e' in Teilhard, ma e' piu' antica, e' nel sacramento, e' nel gusto dell'uomo nel cuore di Dio. Cristo e' venuto in terra a dire che la terra non e' maledetta. Dio si fa uomo non per demagogia, ma per essere meglio Dio; si fa povero non per dare un contentino ai poveri, ma per dire che la piu' piccola realta' creata e' degna del Creatore, per rivalutare tutta la realta'. La risposta e' nell'entrare di Dio in tutte le esperienze dell'uomo, fino alla terribile solitudine della morte, quando Gesu' grida sulla croce. Cos'e' la morte di Cristo? E' il pagamento per noi insolvibili? No, e' il segno ultimo dell'amore, entrato per solidarieta' nei nostri abissi bui: "Li amo' sino alla fine". Cosa vuol dire: "Restero' con voi"? Come e' rimasto Cristo? Cristo non ha fatto finta di vivere (il docetismo e' la prima eresia), ha amato la vita. La Chiesa e' l'ultimo atto dell'Incarnazione. Cristo rimane nell'uomo, nelle cose dell'uomo, si colloca, si fa ospitare nelle cose: nell'acqua, semplice e necessaria; nell'olio, succo dei frutti della terra; nell'amore umano, ancor oggi cosi' sospettato; nella sofferenza umana, nell'invalicabile solitudine agonica, in cui Cristo entra; negli uomini suoi ministri: noi siamo schifiltosi, tentati dal disprezzo, ma Cristo non ha schifo degli uomini, tocca il lebbroso, prende gli uomini non selezionati. La Chiesa non e' la Scuola Normale di Pisa; cosa sarebbe una Chiesa di super-uomini? Chi avrebbe il coraggio di entrarvi? chiede Bernanos. Vi resteremmo davanti come un contadino, che si rigira il cappello tra le mani, davanti ad una casa ricca. La Chiesa deve avere questa poverta' umana: "Una povera cosa vuota che Dio riempie, una cosa smarrita che Dio raccoglie" (fra Silvestro con Guido Gozzano). Cristo costruisce la Chiesa nelle cose e sulle cose. La Chiesa e' allora l'impegno a far crescere le cose nella liberta' e dignita', a dar grazia, cioe' bellezza, alle cose. Ritrovare il senso della sacralita' di tutte le cose, non del proibito. C'e' un segno privilegiato: il consumare insieme fraternamente il pane e il vino, nel nome di Gesu'. Siamo al cuore della Chiesa, che e' comunione dei santi e delle cose sante. La capacita' di comunione e di amicizia e' la sostanza piu' profonda della Chiesa. Senza di cio' non c'e' Chiesa. Ma Chiesa e antichiesa non sono spazi geografici: passano dentro ciascuno. Il samaritano che si credeva fuori e' nella Chiesa, il sacerdote viceversa. "Chi non ama e' nella morte". "Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore". * Terzo. La Gerarchia occorre, e' nel Vangelo. E' quella che dice Ireneo: "Colei che presiede all'amore", che serve all'amore, che serve la verita', ma quella evangelica. Se il cristiano ha il dovere di non relativizzare l'assoluto, la Gerarchia ha il dovere di non assolutizzare il relativo: questo e' un delitto. Siamo nella liberta'. Il compito del Magistero e' di dire: "Questo e' Vangelo autentico", ma impegnando tutto se stesso, impegnando l'infallibilita'. Se non se la sente, non ha il diritto di impegnare le coscienze: allora dica: "Questo mi sembra Vangelo, ma non ve lo garantisco". Faccia piuttosto la Gerarchia lo sforzo di impegnarsi sugli assoluti del Vangelo. Contesti il mondo, ma con dei veri valori. La Chiesa deve chiedere, avere il coraggio dell'impopolarita', ma con parole vere. Perche' la maledizione non risuoni nell'eterno, la Chiesa deve avere il coraggio di maledire nel tempo i colpevoli (per esempio i responsabili del Biafra, l'Inghilterra che specula sulle armi e gli altri). La Chiesa deve respirare nelle dimensioni delle Beatitudini, altrimenti tradisce il Vangelo. Le Beatitudini non sono ascetismo, sono maniera di essere. * Quarto. C'e' un razzismo religioso della Chiesa? Il bacio del Battesimo e' bellezza e forza, come quello di una madre. Ci consacra all'amore. Ma se un bambino di questa madre viene portato via e non riceve il primo bacio, non per questo e' amato di meno, anzi di piu'. Il Battesimo non e' quindi un segno esclusivo. Se il figlio che e' in casa puo' andare da quello lontano, la madre gli affida il messaggio del suo amore. Il missionario non va per salvare, per portare Dio che gia' lavora in loro, ma per aiutarli a conoscere Dio incarnatosi, a conoscere tutta la misura dell'amore di Dio, a dire: "Dio vi ama piu' di quanto possiate immaginare". E va anche ad ascoltare la parola che Dio dice a noi in quella religione, in quella persona. Occorre un rispetto di tutte le religioni, ma non relativismo, un vero ecumenismo, non solo belle maniere. Direte: "Pero' la Chiesa non e' cosi', e' tanto diversa! Questa e' poesia". Ma ogni cristiano deve avere una dimensione di poesia. E poi, la Chiesa, o la guardiamo nel cuore dei due figli della parabola e allora e' stretta, fa soffrire; oppure la guardiamo nel cuore del padre che attende e perdona, e allora e' grande, ci stiamo, e' gioia e poesia. Quella piccola Chiesa mi fa soffrire, me non mi intoppa piu'. Come i campi di concentramento non mi fanno perdere fede nell'uomo, perche' mi importa sapere quale l'uomo puo' essere, non quale e'. La Chiesa non e' proprietaria di Dio, ma segno, e la grandezza del segno e' nel suo significato: vale una bandiera di carta come una di seta. L'imballaggio puo' essere cattivo, ma la merce e' buona. La Chiesa e' quello che ho detto, anche come istituzione. Non possiamo uscirne, ma starci e realizzarla, come uomini liberi e innamorati, con gioia e con passione, fedeli e pazienti. Dobbiamo stare attaccati alla Chiesa come Dio l'ha sognata e ce l'ha data, esservi annodati come un nodo nella fune. Perche' la Chiesa e' il cosmo. 4. INCONTRI. "LA PAROLA ALLE DONNE" IL 6 DICEMBRE A ROMA [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. Per informazioni e contatti: Casa internazionale delle donne, tel. 06684017, e-mail: cciddonne at tiscali.it, sito: www.casainternazionaledelledonne.org] Martedi' 6 dicembre, con inizio alle ore 17, dinanzi al Ministero della salute, lungotevere Ripa 1, a Roma, si svolgera' una iniziativa sul tema "La parola alle donne". * In un clima politico e sociale sempre piu' preoccupante per la dignita' e la liberta' delle donne rifiutiamo qualsiasi ingerenza esterna, pressione ed intrusione del governo nelle scelte che riguardano la sessualita', la procreazione libera e consapevole e la tutela della salute delle donne. Per questo chiediamo: - che la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza, frutto della grande stagione di mobilitazione delle donne negli anni '70 e che simbolicamente rappresenta il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione, sia attuata pienamente su tutto il territorio nazionale, con un adeguato potenziamento del personale dedicato a questo servizio; - un forte impegno finanziario del governo affinche' tutta la rete dei consultori in Italia sia sviluppata, rispettando in ogni singola regione la percentuale imposta per legge della loro presenza sul territorio (dove sono andati a finire i 200 miliardi di lire messi a disposizione delle Regioni con la legge 34/1996, un consultorio ogni 20.000 abitanti?); l'ampliamento dell'organico socio-sanitario che in questi anni ha visto un forte e sempre piu' massiccio impoverimento delle risorse del personale, con un pesante aggravio del lavoro per operatrici ed operatori dei consultori; l'adeguamento di tutte le strutture (con un incremento, in particolare, dei consultori per le/gli adolescenti) che restituisca alla comunita' un servizio originariamente all'avanguardia in tutta Europa rispetto alle politiche per la promozione della salute, riguardo l'offerta attiva sul territorio, le modalita' d'accoglienza, d'ascolto e partecipazione democratica delle donne alla vita degli stessi; - la presenza di almeno una mediatrice culturale per ogni consultorio; - l'immediato utilizzo della RU 486 (pillola abortiva) su tutto il territorio nazionale, nel pieno rispetto della legge 194 che nel testo prevede "l'uso delle tecniche piu' moderne, piu' rispettose dell'integrita' fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza"; - l'acquisto della "pillola del giorno dopo" (Norlevo) senza ricetta medica. * Promuovono l'iniziativa: Coordinamento donne per i consultori, Casa internazionale delle donne; Cgil-fp nazionale, Cgil nazionale, Coordinamento donne Cgil di Roma e del Lazio, Roma Centro Cgil, Cgil-fp Roma e Lazio, Affi, Comitato donne del X Municipio, Assemblea delle donne dei consultori Asl Rmh, associazione Donne In genere. Hanno aderito: collettivo La mela di Eva, Centro Huesera, cooperativa sociale Osala, Marcia mondiale delle donne di Roma, Wilpf, Assolei-sportello donna, Forum regionale delle donne di Rifondazione, Coordinamento donne Ds Roma e Lazio, Associazione Radicali Roma. 5. INCONTRI. LUCIANO COMINI: UN INVITO A CELLENO IL 10 DICEMBRE [Da Luciano Comini del Centro comunitario di Celleno (per contatti: via Roma 5, 01020 Celleno (Vt), tel. e fax: 0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito: www.conventocelleno.it) riceviamo e diffondiamo. Luciano Comini e' insegnante, musicista, in mille forme educatore e soprattutto con l'esempio e l'amicizia, impegnato nell'esperienza del centro comunitario di Celleno, animatore infaticabile della Piccola Editrice, sempre generosamente attivo in iniziative di pace, di solidarieta', di cooperazione internazionale, di sostegno alle lotte per i diritti e la liberazione dei popoli e delle persone] Una cena, oltre a rispondere ad un bisogno fisico, puo' significare tanto, qualcosa o nulla: dipende dai significati di cui i commensali rivestono l'evento: cena di lavoro, cena di ricorrenza, cena tra amici, cena di festa, cena di solidarieta'... In qualsiasi modo la si voglia colorare, definisce sempre un "incontro tra persone". Cena, dal greco koine': mettere in comune, stare insieme, fare comunita'. Nel nostro caso, la cena multietnica provoca un'azione comunitaria, un "porsi di fronte" - questo il senso etimologico di in-contro - tra persone di diversa etnia, di diversa cultura, di diverse fedi. L'altro, il diverso da noi, si propone come interlocutore per arricchirci di nuovi punti di vista, di nuovi stimoli interpretativi della realta' e della vita. Disporsi ad ascoltare, ad entrare in comunicazione, a confrontarsi, a collaborare con chi ha uno stile di vita diverso dal nostro e' entrare nel circolo del rispetto di civilta', della solidariete' umana, e' trasformarsi un po' alla volta in operatori di mondialita' nella pace. Siamo usi, ma non tutti, a considerare l'ondata delle nuove immigrazioni come un fenomeno destabilizzante (il diverso e' sempre sconvolgente), perche' l'esperienza di ogni persona, come di ogni popolo, considera sempre la propria identita' come qualcosa di intoccabile e esclusivo. E' la cultura, la vera cultura, che riesce a snodare il rigido connubio identita'-esclusivita' e aprirlo, scioglierlo nel dialogo, nello scambio, nell'integrazione. Le chiusure, anche politiche, all'incontro (peggio quelle che teorizzano lo scontro) sono questione di pochezza e ristrettezza mentale, anche se, a volte, si mimetizzano ipocritamente come "ragioni di salvaguardia della propria identita'". E, lo constatiamo con rammarico, in questi tempi di rivalsa - anche in istituzioni rispettabili - in cui, quando si e' poveri di motivazioni ideali o di fede, si preferisce "attaccare" (scontrarsi) per non perdere privilegi e potere, lo stereotipato de "la miglior difesa e' l'attacco" interpreta verosimilmente la concezione di chi ha paura di soccombere alla propria vuotaggine ed e' in balia della sindrome dell'accerchiamento. Non e' forse vero, Cicerone insegna, che il peggior nemico di noi stessi, siamo noi stessi? La partecipazione alla cena multietnica - la cultura tocca tutto l'essere umano: nelle sue alte potenzialita' conoscitive ma anche nelle sue manifestazioni di normalita' gioiosa e di intrattenimento - rappresenta l'occasione per esprimere in un gesto di condivisione lo sforzo di interculturalita' e di solidarieta'. Ogni tentativo di incontro e' un gesto di liberta'. Il piccolo contributo di partecipazione, che verra' devoluto per un progetto di solidarieta' nel Terzo Mondo, sara' ulteriore prova della nostra disponibilita' ad andare incontro al viso sconosciuto e lontano che soffre di mancanza di pane e di dignita' umana. Vi ringraziamo per l'ascolto e la condivisione. Vi aspettiamo in tanti. * Per questo siete invitati a partecipare alla cena multietnica al Convento di Celleno sabato 10 dicembre alle ore 20. Il contributo di solidarieta' e' di 10 euro a persona. Alla cena, con la degustazione di dolci etnici, seguira' l'intrattenimento musicale con la band "Sangue Blues" di David e Alessio Lodesani, Gianni Sartori e Mariana Brizi. "Se non conosci bene te stesso, come fai a conoscere un altro? E quando conosci te stesso, tu sei l'altro" (Nisargadatta Maharaj). 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1134 del 4 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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