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La nonviolenza e' in cammino. 1132
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1132
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 2 Dec 2005 00:20:28 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1132 del 2 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Franco Fortini: Dodici risposte su cosa sia la poesia 2. il Centro studi "Franco Fortini" di Siena 3. La "Carta" del Movimento Nonviolento 4. Per saperne di piu' 1. MAESTRI. FRANCO FORTINI: DODICI RISPOSTE SU COSA SIA LA POESIA [Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente intervista a Franco Fortini dell'8 maggio 1993 sul tema "Che cos'e' la poesia?". Il testo si presenta come trascrizione di una conversazione orale, in alcuni punti e' possibile ci siano refusi o fraintendimenti. Poeta e saggista tra i maggiori del Novecento, Franco Lattes (Fortini e' il cognome della madre) e' nato a Firenze nel 1917, antifascista, partecipa all'esperienza della repubblica partigiana in Val d'Ossola. Nel dopoguerra e' redattore del "Politecnico" di Vittorini; in seguito ha collaborato a varie riviste, da "Comunita'" a "Ragionamenti", da "Officina" ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre ancora. Ha lavorato nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come insegnante. E' stato una delle persone piu' limpide e piu' lucide (e per questo piu' isolate) della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed intellettuale pressoche' leggendario. E' scomparso nel 1994. Opere di Franco Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno le raccolte complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso Pasolini, Einaudi. Si veda anche l'antologia fortiniana curata da Paolo Jachia, Non solo oggi, Editori Riuniti; la recente bella raccolta di interviste, Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri; e la raccolta di Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003. Tra le opere su Franco Fortini in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in ragione, Manifestolibri, Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini, La Nuova Italia, Firenze 1974; Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti, Roma 1986; Remo Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988. Su Fortini hanno scritto molti protagonisti della cultura e dell'impegno civile; fondamentali sono i saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo; la bibliogafia generale degli scritti di Franco Fortini e' in corso di stampa presso le edizioni Quodlibet a cura del Centro studi Franco Fortini; una bibliografia essenziale della critica e' nel succitato "Meridiano" mondadoriano pubblicato nel 2003] 1. Professor Fortini, proviamo ad iniziare in modo diretto, immediato, con la domanda essenziale: che cos'e' la poesia? Rispondere e' come se si volesse rispondere a "che cos'e' l'uomo" o a "che cos'e' il mondo". Bisogna aggirare la difficolta'. Ammettendo che si sappia che cos'e' il linguaggio articolato di cui ci serviamo e quali sono i diversi aspetti, le diverse funzioni che coesistono in ogni atto del linguaggio, si puo' dire che nel linguaggio umano c'e' una funzione che tende a mettere in evidenza soprattutto, o almeno in modo particolare, il linguaggio stesso, ad attirare l'attenzione sulla forma della comunicazione. Ebbene questa e' la funzione poetica. Certo bisogna tener presente che quando si parla di poesia questa parola significa due cose: da un lato, appunto, un tipo particolare di discorso parlato o scritto che si distingue da altri modi di comunicazione; dall'altro, invece, un'attribuzione di valore per cui si dice "poesia" per dire qualcosa di bello, di importante, di riuscito, di meritevole di stima o di attenzione. Nel parlare comune, "poesia" significa due cose: per un verso e' un discorso, o ragionamento, o una comunicazione dove prevalgono elementi di ritmo e cadenze, di ripetizioni, di immagini che alterano i significati immediati e che gli conferiscono, oltre ai primi, anche significati interiori. Per un altro verso, quando noi diciamo "questa e' poesia" intendiamo in genere qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di commovente o di rasserenante, di vivace, pungente ecc. Facciamo un esempio. Se io dico: "Madre dei santi, immagine della citta' superna, del sangue incorruttibile conservatrice eterna" ecc. - con quello che segue nella Pentecoste del Manzoni - posso dare importanza al ritmo, ai gruppi di sillabe, al sistema di accenti e di rime e naturalmente posso anche sapere, oppure qualcuno ce lo spiega, che in questo caso l'appello e' diretto alla chiesa cattolica. Invece se io dico: "Trenta di' conta novembre con april, giugno e settembre, di ventotto ce ne e' uno, tutti gli altri ne han trentuno", anche qui trovo ritmo - infatti sono quattro ottonari - e trovo delle rime. Insomma, se devo chiedermi come classificare l'inizio di una delle piu' famose composizioni letterarie della lingua italiana, oppure di un soccorso mnemonico come quello che ci vuole informare di quali siano i mesi che hanno trenta o trentuno giorni, non c'e' dubbio che l'uno e l'altro devono essere considerati in questo senso: poesie o testi poetici. Si potrebbe obiettare che nell'un caso ci sono delle parole desuete, arcaiche, solenni, nell'altro caso no. Ma non e' del tutto vero perche', per esempio, nel testo manzoniano ci sono delle parole come "superna" oppure delle inversioni - si dice: "del sangue conservatrice" invece che "conservatrice del sangue"- ma anche nel proverbio rimato troviamo per esempio delle parole in disuso come "di'", oppure delle abbreviazioni o troncature come "april" invece di "aprile". Ecco, e' a questo punto che viene avanti il secondo significato correntemente attribuito alla parola "poesia". Nel primo caso c'e' un oggetto sublime, si tratta niente di meno che della discesa dello Spirito Santo, e poi soprattutto non ha nessun senso isolare questi primi versi che ho letto da quelli che seguono; mentre nella seconda e' una canzoncina puerile con dei fini di sostegno alla memoria. Ora qui dobbiamo decidere: ci occupiamo della poesia come oggetto di bellezza, di commozione o di espressione, o ci occupiamo piuttosto della poesia come oggetto verbale, ossia come un tipo particolare di comunicazione, sospendendo per il momento ogni giudizio di valore? * 2. Allora approfondiamo questo aspetto della poesia proprio come "oggetto" verbale. Che cosa e' che chiamiamo una "poesia"? Certamente oggi - non due o tremila anni fa quando, probabilmente, la questione sarebbe stata diversa - quando noi diciamo "una poesia" intendiamo una composizione, un testo non lungo dove sia possibile identificare un certo sistema che e' indicato graficamente dagli "a capo" e poi anche da un congegno di pause maggiori, quelle che separano una unita' ritmica da un'altra. Ebbene, queste possono corrispondere o non corrispondere alle intonazioni cosiddette naturali e in questo caso comunque le chiamiamo "verso". Ora, se io parlando o scrivendo faccio tornare ad intervalli uguali certi accenti e certi accenti tonici, si forma, come si suol dire, un'attesa tecnica. Prendiamo la comunicazione normale: "se mi dai quella mezza matita che e' posata vicino al tuo libro, ti saro' molto grato, mio caro, e al piu' presto te la rendero'". Questo enunciato e' un gruppo di quattro decasillabi e chi ascolta o legge si aspetta che il discorso continui ripetendo lo stesso schema ritmico. Molto spesso dei prosatori fanno uso di questi schemi ritmici con effetti vari. Nel Cinquecento un retore veronese o padovano, Sperone Speroni, iniziava cosi' una sua orazione: "Noi Padovani generalmente siamo allegrissimi non solamente per l'onor nostro particolare e per la pubblica utilita', onde noi siamo non poca parte, ma per l'onore di tutto il popolo": era una serie di quinari con i quali egli credeva di dare sostenutezza al suo discorso. In epoca contemporanea e' possibile vedere come certi scrittori, per esempio il bravissimo Silvio D'Arzi, abbia costruito un suo racconto in novenari abbastanza nascosti per cui il lettore non se ne accorge ma, insensibilmente, gli viene suggerito un ritmo. Questo e' un procedimento che naturalmente i grandi prosatori hanno in qualche modo sempre seguito, e che spiega perche' si sia potuto parlare di un "ron ron" per esempio per la prosa di Flaubert. Ognuno avverte che ci sono degli elementi di scansione anche nelle scritture in prosa. Ora, se a questo punto alle ricorrenze degli accenti si aggiungono le ricorrenze sonore, certi nessi vocalici o consonantici che vengono chiamati nel linguaggio della retorica le allitterazioni, le omofonie, o le rime, l'attesa dell'ascoltatore e del lettore si fara' sempre piu' forte, sia che essa sia adempiuta, sia che essa resti delusa. Prendiamo un esempio del Metastasio: "Se a ciascun l'interno affanno si vedesse in fronte scritto, quanto quei che invidia fanno ci farebbero pieta'". Sono quattro gruppi di otto sillabe legate anche da rime, ma se io invece di "pieta'" scrivessi "commozione" che cosa verrebbe? Verrebbe: "se a ciascun l'interno affanno si vedesse in fronte scritto, quanto quei che invidia fanno ci farebbero commozione": a questo punto avremmo una delusione nella nostra attesa. Pero', attenzione: le cose possono diventare piu' complesse e due delusioni messe ad adeguata distanza e rimate tra loro non ci deludono piu'. Per esempio in questi versi sempre del Metastasio: "Sogna il guerrier le schiere / le selve il cacciator / e sogna il pescator / le reti e l'amo. / Sopito in dolce oblio / sogno pur io cosi' / colei che tutto il di' / sospiro e chiamo". * 3. Oggi e' quasi naturale identificare la poesia con la poesia lirica, intendendo una espressione di sentimenti soggettivi, mentre noi sappiamo che la poesia come momento del linguaggio e dell'esperienza puo' trovarsi naturalmente nell'epica come nella drammatica, nella narrativa e persino anche negli scritti critici, nei diari, negli scritti epistolari, memorialistici. E' cosi', professor Fortini? Certamente, e' cosi'. Pero' si tratta di sapere se la comunicazione e' orientata all'informazione, alla narrazione, alla recitazione: se il soggetto che parla si ritira o no sul fondo; allora, in questo caso, potremmo parlare di "racconto", di "favola", di "leggenda", di "scena teatrale", di "monologo". Facciamo un esempio. Se io dico: "Fuggii da casa col circo / perche' mi ero innamorato di mademoiselle Estralada / la domatrice dei leoni" oppure "Il maestro ci aveva fatto ad alta voce, come allora usava, la lettura: 'Immagina un bambino che va solo in America, solo a trovare sua madre'" - e se io non so di dove vengano quelle parole e chi le sta pronunciando posso pensare che si tratti di due passi di conversazione di uso televisivo, oppure di un appunto di diario. Se invece io so che le prime parole che ho ricordato sono l'inizio di una delle piu' di duecentotrenta immaginarie lapidi funerarie in un immaginario cimitero americano, quello di Spoon River, pubblicate nel 1915 dal poeta americano Edgar Lee Masters e che quelle parole si suppongono pronunciate da un defunto, ecco che allora gli elementi fonici e ritmici, le figure di discorso, la ripetizione, che erano servite per definire come poesia i versi della Pentecoste manzoniana o quelle del proverbio sui mesi, perdono una parte della loro importanza e sono altri elementi invece esterni al testo in quanto tale a intervenire. Per esempio il pathos che e' connesso con la voce di un morto fra i tanti di un villaggio, quindi col mito e col brivido del morto vivente: siamo quindi al confine fra la lirica e il monologo. L'altro esempio fatto viene da una poesia di Umberto Saba. E' necessario mettere in evidenza che quelle righe che ci sembravano prosa: "il maestro ci aveva fatto ad alta voce, come allora usava, la lettura: 'immagina un bambino che va solo in America a trovare sua madre'" invece sono organizzati in tradizionali endecasillabi, di cui e' fatta la stragrande maggioranza della poesia italiana lungo otto secoli, e che quindi e' come se, per dir cosi', ci venisse consigliato non di leggere "immagina un bambino che va solo in America" quale sarebbe l'intonazione colloquiale, bensi' "Immagina - pausa forte, a capo - un bambino che va solo in America". Insomma noi oggi abbiamo la tendenza a sopravvalutare come poesia l'espressione dei sentimenti soggettivi, invece anche quella poesia moderna, come e' il caso della poesia di Saba, che sembra essere un moto immediato dell'animo, e' una intenzionale e organizzata finzione. * 4. Allora la definizione di "lirica" come "poesia dell'espressione soggettiva" non e' piu' vera? Certo che e' vera. Pero' bisogna ricordarsi che, oggi, la poesia e' capace di liricizzare, per cosi' dire, il materiale meno soggettivo, meno emotivo. Ci sono degli autori delle avanguardie letterarie, soprattutto del periodo surrealista, che inserivano nei loro libri di versi interi passi di testi pubblicitari o frammenti degli orari ferroviari o passi dell'elenco del telefono, cosi' come c'erano degli artisti che esponevano una ruota di bicicletta o una sedia contando sull'effetto di "spaesamento". Ora lo spaesamento effettivamente fa di un testo un altro testo, spesso puo' essere anche solo la sede editoriale quella che assegna a un determinato messaggio un uso non pratico. Quando pensiamo per esempio a certe celebri poesie di Ungaretti molto brevi, dobbiamo renderci conto che non si tratta soltanto di mettere in evidenza la loro ritmicita' che suggerisce una lettura solenne e attonita, da oracolo o da voce sovraumana: questa non viene solo dalle indicazioni per la scansione che sono date dagli a capo, dall'isolamento delle parole, ma anche da tutto il piu' vasto bianco della pagina e, per dirla tutta, anche dalla collocazione in una serie che ci permette di identificare questa come poesia. Come se si accendesse un segnale preventivo, una luce rossa che annuncia "qui poesia" e noi siamo quindi disposti a non trovare in questo testo un'informazione ferroviaria ma a interpretare quest'ultima come un nesso fonico o simbolico, cioe' una poesia. * 5. A questo punto, ha ancora senso distinguere tra poesia lirica e poesia non-lirica? Certo, il nostro secolo ha una sorta di "imperialismo" della lirica per cui, tra l'altro, Benedetto Croce aveva sostenuto che ogni poesia e' poesia lirica. Ma da qualche decennio c'e' un rigetto di questa nozione di lirica, in quanto si parla di poesia come di testi autosufficienti e intimamente coerenti all'interno dei quali prevale la funzione poetica. Io vorrei prendere l'esempio di una brevissima poesia di Brecht che ha anch'essa un'epigrafe. "Qui giace / Karl Liebknecht / che combatte' contro la guerra. Quando fu assassinato / la nostra citta' c'era ancora". Si noti che di fronte a un testo come questo viene a mancare quasi del tutto l'idea corrente che la poesia sia intraducibile perche' il baricentro, il peso di questi versi non e' interno ai versi stessi, e' esterno: consiste nel sapere dei destinatari, dei lettori. Per esempio se i lettori non sanno che questo Liebknecht e' un rivoluzionario socialista tedesco che e' stato ucciso da militari della destra nazionalista tedesca alla fine del 1918, insieme a Rosa Luxemburg; e se non sanno che "la nostra citta'" di cui si parla e' Berlino e che la distruzione di questa citta' nella seconda guerra mondiale e' avvenuta ventisette anni dopo la morte di Liebknecht, questa poesia ci diventa incomprensibile. Tutte le nozioni storiche, morali e politiche che premono intorno a quelle quindici parole - "Qui giace Karl Liebknecht che combatte' contro la guerra, quando fu assassinato la nostra citta' c'era ancora" - premono intorno a queste parole non diversamente da quanto faccia per esempio la teologia intorno alla poesia cristiana o la mitologia classica per poter capire il canto di Ulisse di Dante. La "guerra" che ha distrutto la "nostra citta'" di cui si parla nella poesia non e' quella contro cui si batte' Liebknecht, pero' il suo assassinio e' stato un passo verso quella distruzione; ma questa non sarebbe ancora una poesia, la si avverte, anzi essa diventa una poesia, se si capisce che il rapporto di causa e di effetto per la morte del dirigente rivoluzionario e pacifista e la distruzione di un'intera capitale crea un personaggio, non quello dell'assassinato, il personaggio di colui che parla. Quest'ultimo passa da un pensiero all'altro, "qui giace Liebkneicht che combatte' contro la guerra - pausa - quando fu assassinato la nostra citta' c'era ancora": c'e' lo stupore e la tristezza di questa scoperta e di questa connessione tra epoche diverse. Chi parla non e' l'autore Brecht, e' un suo personaggio, il visitatore della tomba, il berlinese che fra se' e se' ripercorre sinteticamente un cinquantennio di storia. E' questa la forza poetica dell'epigrafe. Naturalmente poi non conta molto che la citta' sia stata ricostruita, anche Troia fu ricostruita: dalla distruzione di Troia a quella di Berlino l'umanita' ormai in proposito ha una lunga esperienza. * 6. Ma allora a chi si rivolge la poesia? Ecco, qui bisognerebbe ricordare una cosa che e' stata detta da un famoso critico canadese in modo paradossale ma anche in modo molto serio, che definiva la poesia lirica come quel genere di poesia nella quale l'autore "finge" l'assenza di pubblico, finge di parlare o di scrivere per se' o tutt'al piu' per un "tu" o per un "voi", come destinatari immaginari o reali, come destinatari di una epistola, come ascoltatori di una orazione. Insomma non c'e' poesia lirica che non implichi la costituzione di una persona almeno a cominciare da quella che parla. Ora questa persona pero' non e' intesa nel senso anagrafico; e' colui che lo scrittore o il parlante finge sia l'autore. Insomma bisogna cercare di evitare l'inganno della identificazione che e' cosi' corrente scolasticamente. Quante volte noi diciamo: "allora Dante dice a Virgilio". No, Dante non dice nulla a Virgilio. Dante dice che un personaggio che egli chiama "Dante" si rivolge a un personaggio che egli dice "Virgilio". Quando noi diciamo: "Petrarca dice che..." o "Leopardi lamenta che...", bisognerebbe dire: "Il personaggio che il poeta Petrarca ha scelto come enunciatore suo, come suo portavoce o altro che sia e di cui ha costruito la figura dice che la signora Laura, ecc.". Oppure Leopardi ha costruito una o piu' figure di personaggi eroici infelici ai quali fa pronunciare la propria composizione; queste figure possono avere un nome reale, storico - per esempio Saffo o Bruto - possono essere dei personaggi immaginari, possono essere il "pastore errante dell'Asia", o possono altre volte dire "io": ma in questo senso si equivalgono. * 7. E' difficile pensare a un giovane adolescente studente che non si sia cimentato, perlomeno una volta, con la scrittura di una poesia. Ecco, perche' in ogni eta', cultura e condizione si scrivono versi? Effettivamente con la successione delle tendenze letterarie e delle tendenze culturali o, diciamo ideologiche, degli ultimi due secoli a partire pressappoco dall'eta' della Rivoluzione francese, la scrittura in generale e la scrittura poetica in particolare sono diventate uno strumento di introspezione, sono diventate una via alla ricerca della propria identita'. Insomma ogni scrittura che non abbia delle finalita' puramente pratiche, sembra guidare alla scoperta di se stessi: allora scrivere versi diventa, in misura minore, anche tenere un diario o scrivere delle lettere reali o immaginarie. Scrivere versi diventa un modo rapido, un modo economico e, ahime', un modo illusorio di risparmiarsi una crescita psicologica o un trattamento psicanalitico. Per esempio e' diffusa l'idea che le scritture poetiche private siano alcunche' di gratuito che uno puo' fare o puo' non fare, invece ci si accorge che questa e' la conseguenza del fatto che le classi dominanti a partire dall'inizio dell'Ottocento avevano investito la categoria degli intellettuali di quelle funzioni che erano state nei secoli precedenti proprie della casta sacerdotale, e esaltarono all'interno di questi intellettuali i letterati e i poeti come dei portatori di qualcosa di particolarmente rilevante, libero, gratuito, sublime, e hanno continuato a mantenere questa sorta di illusione attraverso l'educazione di massa, attraverso i media audiovisivi, nonostante che appunto l'educazione di massa e i media audiovisivi, l'industria culturale dei nostri tempi, abbiano tolto ogni mandato sociale, ogni compito collettivo al letterato. So benissimo che mi si dira' che questo non e' del tutto vero. Certo, fittiziamente vengono mantenuti, ma vengono mantenuti con una funzione analoga a quella che hanno i corazzieri al Quirinale. Il poeta si lascia adulare grazie ai suoi supposti rapporti col mondo dell'invisibile e dell'inconscio, come vedremo supposti, ma non del tutto falsi. Insomma per risolvere dei problemi affettivi, morali, psicologici, religiosi, metafisici e' meglio non fare assegnamento sulla scrittura dei versi. Se si scrivono o se si leggono dei versi senza qualche coscienza critica o storica della tradizione letteraria per un verso e della loro destinazione, della loro collocazione nella realta' di oggi, si fa una strada falsa, non dimenticando che una letteratura di consumo di apparente immediatezza esiste ed e' quella che troviamo per esempio in molte forme pubblicitarie, nell'uso della parola nei testi pubblicitari o nelle canzoni di consumo. Anzi e' molto educativo, e' molto importante leggere e considerare i testi delle canzoni per vedere a quali antecedenti di metro, di linguaggio, di argomento, di situazioni essi si richiamino. Per chi conosca questo settore della nostra cultura e' facile vedere dietro le parole dei cantautori piu' moderni come si ritrovano, come si leggono in filigrana cose che fanno parte della tradizione letteraria recente o remota. Leopardi, per esempio, pensava, sognava, immaginava che in ere remote c'era stata una vicinanza della lirica con la poesia cosiddetta popolare e diceva: "la poesia e' l'espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito nell'uomo" e dispiace dirgli che si sbagliava, si sbagliava moltissimo e lo dimostrava lui stesso con l'altissimo livello di autocontrollo critico che poneva nella sua opera di poeta, e quindi anche nel continuo ricorso che egli faceva alla tradizione letteraria. Insomma l'arte della lirica e' cosciente di se stessa, e' bisognosa di un atteggiamento critico-culturale per non essere ignara del deposito di lingua e di forme alle quali attinge necessariamente. * 8. Puo' provare a spiegarci qual e' la differenza tra un linguaggio normale, il linguaggio della comunicazione, da quello della persuasione oratoria, oppure da quello poetico? Innanzitutto bisogna dire che il linguaggio poetico e' uno spazio chiuso su se stesso nelle singole opere, e' una identita', un perenne ritorno di elementi, in esso tendono a prevalere la simmetria, l'armonia o al contrario l'asimmetria e la disarmonia che poi si ricompongono in altra simmetria; e' un gioco calcolato di elementi variabili e di elementi invarianti. Di qui abbiamo la presenza costante della ripetizione, del raddoppiamento, del ritorno, del parallelismo che e' uno degli elementi fondamentali della tradizione poetica dai tempi piu' remoti fino ad oggi; e naturalmente poi c'e' tutta una serie di livelli che va dalle scelte lessicali, alle figure foniche e ritmiche, allo svolgimento tematico, all'argomento, alle referenze ideologiche che vi stanno intorno, eccetera. Ora, ognuno di questi livelli interferisce con ognuno degli altri e con tutti gli altri. Il lettore tende a commutare la propria attenzione ora sull'uno ora sull'altro. Una poesia breve, di versi molto ritmati, molto connessi da assonanze o da omofonie presenta innanzitutto una dimensione fonica o ritmica. Ecco per esempio alcuni versi di Marino Moretti: "Lenta lenta lenta va / nei canali l'acqua verde / e co' suoi cigni si perde / nella grigia immensita' / Oh dolcezza del mio cuore / dei miei sensi un poco stanchi! / Vanno i cigni i cigni bianchi / sullo specchio dell'amore". In una poesia senza rime, con ritmi meno insistiti, con pause ritmiche meno folte tendera', invece, a diventare importante il tema, l'argomento, la vicenda. Per esempio: "Vent'anni e' stato in giro per il mondo. / Se ne ando' ch'io ero ancora un bambino portato da donne / e lo dissero morto. Sentii poi parlarne da donne, come in favola, talvolta / ma gli uomini piu' gravi lo scordarono, ecc.". Naturalmente questi versi di Pavese hanno anch'essi un ritmo. Succede, tuttavia, che chi ascolta i versi di Pavese fa attenzione soprattutto al racconto della vicenda e dopo avverte che c'e' una cadenza da cantastorie, da discendente di Omero. Invece chi ascolta i versi di Moretti ascolta prima di tutto la melodia e solo ad un secondo livello si accorge o puo' capire che stiamo parlando di un canale olandese. Insomma, tutta la poesia ha con se' dei fini di persuasione, di esclamazione, di informazione e di emozione; afferma qualcosa, lo nega, lo chiama, ragiona eccetera. Tutto l'intero discorso poetico e' disposto in modo tale da evocare una separatezza da quei fini, in modo da mostrare una seconda finalita', e' disposto in modo da costringere il lettore, l'ascoltatore, ad avvertire una quantita' di sintomi che negli altri discorsi non ci sono o che non sarebbero cosi' importanti, come ad esempio la quantita' delle figure retoriche o del discorso, gli effetti fonici, le scelte lessicali e cosi' via, in rapporto con strutture che apparentemente sono simili a quelle che appaiono nella comunicazione non poetica. In un passo del vecchio Goethe si legge: "quando si hanno delle cose da dire si dicono in prosa, e' quando non si ha nulla da dire che si scrivono poesie", il che e' abbastanza sorprendente considerando che chi diceva queste cose aveva scritto credo una massa di poesie sterminata per tutta la sua vita. E tuttavia c'era qualcosa di vero: quando non si ha nulla da dire nel senso di comunicazione, quale puo' essere la comunicazione prosastica, allora si adopera quel mezzo di comunicazione che dice altro da quello che direbbe la prosa. La poesia non vuole comandare, non vuole persuadere, non vuole indurre, non vuole dimostrare. Si impone con l'autorita' dell'istituzione letteraria che essa evoca o rivive, si impone con l'adempimento di un rituale, di un cerimoniale. Insomma, anche la poesia piu' apparentemente privata chiama in vita una parte della coscienza collettiva, allude al valore non individuale del linguaggio, produce un senso. * 9. Ma se allora il dire della poesia non e' un dire strumentale, un dire fattuale o positivo, che cosa dice la poesia? La poesia parla di qualcosa e nello stesso tempo parla di se stessa. La voce della poesia dice questo o quello, ma lo dice in modo che un effetto d'eco ci ricorda sempre che non la si puo' prendere in parola. Naturalmente questo irrita coloro che vogliono opinioni, vogliono scelte, sentimenti immediati. Ebbene, questa sua ambiguita' fondamentale e' la sua lezione, una lezione insostituibile. Insomma, nella poesia ci si trova di tutto ma lo si trova ad una distanza tale che ricorda continuamente la necessita' di prendere le distanze. Qualcuno, alla fine del Settecento, scrisse che la poesia era un sogno fatto in presenza della ragione; forse sarebbe piu' esatto dire invece che la poesia e' un ragionamento fatto in presenza di un sogno, cioe' un discorso che in apparenza e' un discorso come un altro, cioe' un discorso di amore, di dolore, di descrizione, di esortazione, di sapere, di sapienza, che e' fatto sotto lo sguardo di un fantasma, sotto uno sguardo che tutto tramuta, tutto apparentemente lasciando intatto come accade appunto nei sogni. * 10. Se il dire della poesia non e' un dire strumentale dobbiamo immaginare che la poesia non ha nessuna intenzione di agire sulla realta'? Qui si tocca un punto molto importante e delicato. C'e' stato per esempio Adorno che ha scritto che la specificazione formale di una poesia lirica si pone di per se' come antagonista al mondo storico-sociale che le sta intorno, e ha affermato che quando all'interno di un testo le tensioni raggiungono un grado elevato di energia e di vitalita', la presenza dell'oggetto estetico, la "poesia", nega e avversa e contesta tutto quello che e' accettato nel quotidiano ripetuto. E' interessante che Adorno prendeva come esempio una breve poesia di un autore romantico tedesco, Moerike, che era una descrizione di un crepuscolo in una cittadina tedesca primaverile, quindi qualcosa che apparentemente non aveva nessun contenuto eversivo, ne' rivoluzionario. Ebbene - diceva Adorno - e' proprio quella immagine che noi potremmo chiamare pascoliana per intenderci, che e' un suggerimento di speranza di felicita' che puo' avere nell'animo di chi ne partecipa un valore dirompente; e' una promessa di felicita' che tende a fare avvertire la insopportabilita' del mondo schiavistico e volgare nel quale noi viviamo. Spesso - dice Adorno - cio' che apparentemente sembra il piu' lontano, il piu' remoto dall'appello all'azione e all'immediatezza, ha la funzione di mostrare l'insostenibilita' del mondo che ci sta intorno, la stessa funzione che ha il bicchiere di grappa dato al soldato che deve uscire dalla trincea per affrontare il fuoco nemico. Certo aveva ragione quel grande scrittore e poeta cinese che negli anni Trenta circa diceva che una canzone battagliera anche di pessima qualita', come possono essere gli inni patriottici, serve benissimo per incitare gli animi, per commuoverli, ma che per battere il nemico - Lu Hsun parlava degli ufficiali di artiglieria - e' meglio usare i cannoni. E tuttavia esistono opere poetiche apparentemente lontanissime dall'impegno, che hanno avuto la funzione di indirizzare gli animi ad azioni generose, a scelte moralmente ricche come e' il caso per esempio della poesia di Leopardi, cosa che il nostro De Sanctis aveva visto benissimo. Appunto a questo proposito sarebbe curioso ricordare un dialogo fra il rivoluzionario russo Alexander Herzen e Giuseppe Mazzini a Londra poco dopo la caduta della Repubblica Romana quando a Mazzini, che obbietta alla poesia di Leopardi di non esssere sufficientemente animatrice di generosi sentimenti, Herzen invece risponde dimostrando che appunto e' proprio questa sua apparente separatezza morale quella che ne fa la forza. Ne segue una scena molto bella in cui Aurelio Saffi, combattente della Repubblica Romana del 1849 e compagno di Mazzini, va con Herzen in una misera osteria londinese di profughi e di esuli a leggere le poesie di Leopardi. Se noi teniamo presente che il messaggio che in una poesia si indirizza al lettore e' comunicazione di certi particolari contenuti, ma, nello stesso tempo e' anche comunicazione di "altro", attraverso per esempio l'inconsueta inversione - "caro mi fu" - l'aggettivo antiquato, latineggiante "ermo", l'anticipazione, anch'essa latineggiante "ermo colle" invece che "colle ermo", allora non solo questo ma tutto il fatto che quest'intera affermazione e' contenuta in una sequenza ritmica cui il nostro orecchio e' abituato, il verso di undici sillabe, con una sosta sulla sesta sillaba "sempre caro mi fu / quest'ermo colle": questi elementi intervengono sul contenuto, sull'informazione che ci viene data; non la sopprime ma la muta: chi ascolta o legge non puo' non avvertire che gli vengono inviate anche altre informazioni. * 11. Nessuna interpretazione esaurisce la poesia, ma nessuna poesia puo' fare a meno dell'interpretazione. Condivide questa affermazione? Direi senz'altro di si'. Leggere una poesia, anche fra se' e se' o ad alta voce, e' eseguirla, interpretarla e quindi anche modificarla, ricrearla. In una certa misura criticarla. Quando si dice che un testo poetico non e' interpretabile solo a partire da se stesso si allude alla sua situazione nella cultura e nella storia. Chiunque legga una poesia, indipendentemente dal suo grado di coscienza o di conoscenza culturale rapporta le parole a una sfera di competenza e di risonanza che non e' soltanto linguistica ma che e' di tutta la sua mente, di tutta la sua coscienza, di tutto il suo inconscio. Anzi questo avviene in un modo diverso, e, possiamo dire, per certi aspetti piu' profondo o piu' coinvolgente di quanto non sia per altre forme di comunicazione linguistica proprio perche' e' ambigua, proprio perche' ha un'apparenza informativa, comunicativa e persuasiva che viene modulata, per dir cosi', in una forma. Questa forma diventa deformatrice del messaggio e lo rende risonante come avviene nel sogno, in cui certe figure, certi personaggi sono dotati di doppie identita'. Questo potere e' stato attribuito alla poesia da tutte le piu' remote e diverse tradizioni della poesia e tradizioni culturali, e questo spiega anche tra l'altro l'equivoco continuo che c'e' tra la sacralita' di tipo religioso e la funzione del poeta. L'idea che il poeta sia ispirato dalle muse o dall'inconscio o da qualche demone segreto o dalla divinita', e' qualcosa che effettivamente accompagna direi tutte le tradizioni perche' vi e' stata un'epoca nella quale la funzione della poesia era quella di comunicare con una zona oscura, esterna alla cerchia illuminata dal fuoco della tribu', nella quale e dalla quale lo sciamano, il sacerdote e il poeta, il cantore facevano pervenire, dicevano che pervenivano i loro messaggi. Spesso mi e' occorso di ricordare, in queste circostanze, il passo assolutamente straordinario della Odissea quando Ulisse ha compiuto la sua vendetta sui Proci, ha compiuto la terribile strage a colpi di frecce e tra i morti e gli agonizzanti si fa avanti il cantore, colui che in sostanza cantava narrazioni epico-liriche alla mensa dei Proci; gli si fa incontro, gli abbraccia le ginocchia, lo scongiura di non ucciderlo e lo scongiura di non ucciderlo dicendo: "si', e' vero, io ho cantato per questi usurpatori ma l'ho fatto perche' vi ero costretto, e d'altronde sappi che io sono prontissimo a cantare anche per te; ma astieniti dal sangue di colui che in qualche modo e' consacrato ad Apollo e che e' quindi un personaggio sacro". Qui troviamo nello stesso tempo affermato l'elemento diciamo di grandezza e di miseria della tradizione letteraria, per cui per un verso c'e' una sorta di invisibile tonsura sacra sul poeta, e nello stesso tempo c'e' l'abiezione di colui che vive mendicando alla tavola dei padroni e dei potenti. Naturalmente Ulisse non uccide il cantore e da quel momento il destino del poeta e del letterato nella cultura occidentale e' segnato. * 12. Se c'e' una contiguita' della poesia con la verita' e con la sacralita' e se nello stesso tempo si afferma che la poesia e' portatrice di verita', qual e' la differenza a questo punto tra la poesia e la filosofia, la poesia e la scienza? Le verita' teologiche, per esempio di Alighieri, le verita' filosofiche e antropologiche di Leopardi, la visione dei rapporti umani quali si rivelano per esempio nella poesia di Giovanni Pascoli o in quella di Vittorio Sereni, non sono ne' da prendere letteralmente e quindi da misurare nella loro verita' o parziale o integrale o falsita', ne' da considerare senza importanza. Ricordiamo che Croce, per esempio, la struttura teologica della Divina Commedia la considerava non poetica, pressoche' inutile al suo senso poetico. Noi sappiamo assolutamente che non e' cosi'; questo non significa che noi dobbiamo necessariamente condividere fino in fondo il pensiero cattolico dell'Alighieri. Un celebre studioso americano, Singleton diceva: "il lettore non dimentichi mai che il poeta Dante Alighieri e' un poeta cattolico", ed effettivamente l'aspetto in questo caso teologico, di verita' teologica, come anche le affermazioni di verita' materialistiche in Leopardi, non sono elementi soltanto accessori, sono elementi integranti e integrali della poesia. Questi elementi sono inseparabili dalla rappresentazione, non sono delle verita' vestite con un abito diverso, sono inseparabili dalla rappresentazione di questa o di quella situazione immaginaria che si tratti di parlare dell'oltretomba o della sera di sabato in un villaggio italiano, o del raccapriccio di morti in una valle toscana come nel tardo Pascoli o del brivido della trasformazione sociale della morte individuale nella poesia lombarda di Vittorio Sereni. Tutto questo non ci induce a cogliere dei letterali enunciati di verita': se io voglio cercare questi letterali enunciati di verita' li trovero' piuttosto, per esempio, nelle pagine dello Zibaldone leopardiano, nel De vulgari eloquentia o nel Convivio di Dante, o nelle prose di Pascoli o di Sereni che non nei versi; tuttavia mentre sarebbe assolutamente assurdo di prendere alla lettera le affermazioni teoriche o filosofiche di Dante e di Leopardi, il fatto che non si condivida, come ho detto, le idee di Dante sulla Trinita' o sulla istituzione del Purgatorio ne' quelle del Leopardi sul pessimismo cosmico, non vuol dire che debbano essere considerati dei superati, degli inattuali, degli illusi, perche' quello che essi ci dicono a proposito di cose che noi possiamo considerare superate o false e' qualche cosa di non superato e di vero. 2. ESPERIENZE. IL CENTRO STUDI "FRANCO FORTINI" DI SIENA [Dal sito del Centro studi Franco Fortini presso l'Universita' degli studi di Siena (www.centrofortini.unisi.it) riprendiamo i seguenti materiali di presentazione dell'esperienza] Il Centro e l'Archivio hanno sede nella Biblioteca della Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' degli Studi di Siena, in via Fieravecchia 19, 53100 Siena, tel. 0577232502, fax: 0577222668, e-mail: fortini at unisi.it L'archivio e' aperto tutti i giorni dalle ore 10,30 alle 15,00; il sabato mattina per appuntamento. * La donazione Fortini ed il Centro studi Prima della sua morte, avvenuta nel novembre del 1994, Franco Fortini ha donato alla Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' di Siena il suo archivio privato comprendente lettere, manoscritti, documenti inediti e materiale di varia natura, disegni e pitture. La donazione, di cui si e' fatta tramite la moglie Ruth Leiser Lattes, e' stata recepita dal Consiglio di Facolta' del 13 settembre 1995; successivamente, il Consiglio di Facolta' ha approvato la costituzione del Centro studi Franco Fortini, che ha come fine istituzionale la promozione dell'opera edita e inedita di Fortini, lo studio del suo lascito materiale e culturale in senso lato. In precedenza, Fortini aveva gia' donato alla Facolta' la sua biblioteca, in corso di acquisizione. * Cenni su Franco Fortini Nato a Firenze nel 1917, Fortini ha vissuto in quella citta' gli anni giovanili, laureandosi in Giurisprudenza ed in Lettere, ed entrando in contatto sia con i protagonisti della stagione dell'Ermetismo, sia con gli intellettuali che prima della guerra hanno fatto la storia della cultura italiana, da Montale a Noventa e Vittorini. Richiamato alle armi nel 1941, dopo aver partecipato alla Resistenza in Valdossola ed essere emigrato in Svizzera, con la fine della guerra si e' stabilito a Milano, diventando redattore del "Politecnico". Dal 1948 al 1953 ha lavorato alla Olivetti; successivamente e' stato collaboratore delle riviste "Comunita'", "Officina", "Ragionamenti", "Il menabo'", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini"; tra i quotidiani, prima dell'"Avanti!", poi del "Manifesto", del "Corriere della sera", del "Messaggero", de "II sole - 24 ore". Dopo aver insegnato nelle scuole secondarie, dal 1971 al 1989 e' stato titolare della cattedra di Storia della critica letteraria della Facolta' di Lettere di Siena, dove ha svolto l'intera carriera accademica. Nel 1985 gli e' stato conferito il Premio Montale-Guggenheim per la poesia. E' morto a Milano nel novembre '94. * L'opera di Franco Fortini La produzione di Fortini comprende la saggistica, la poesia, la narrativa, sceneggiature, traduzioni in versi ed in prosa dal francese e dal tedesco. Limitandosi ai titoli principali, per la poesia: Foglio di via (Einaudi, 1946, 1967), Poesia e errore (Feltrinelli, 1959; Mondadori, 1969), Una volta per sempre (Mondadori, 1963), Questo muro (Mondadori, 1973), Il ladro di ciliege (Einaudi, 1982), Paesaggio con serpente (Einaudi, 1984), Composita solvantur (Einaudi, 1994). Per la narrativa e la diaristica: Agonia di NataIe (Einaudi, 1948; Giovanni e le mani, 1972), Asia Maggiore (Einaudi, 1956), Sere in Valdossola (Mondadori, 1963; Marsilio, 1985), I cani del Sinai (De Donato. 1967; Einaudi, 1979). Per la saggistica, Dieci inverni (Feltrinelli, 1957; De Donato, 1974), Verifica dei poteri (Il saggiatore, 1965; Einaudi, 1989), Profezie e realta' del nostro secolo (Laterza, 1995), L'ospite ingrato (De Donato, 1966; Marietti, 1985), Saggi italiani (De Donato, 1974; Garzanti, 1987), I poeti del Novecento (Laterza, 1977), Questioni di frontiera (Einaudi, 1977), Insistenze (Garzanti, 1985), Extrema ratio (Garzanti, 1990). Traduzioni: Flaubert, Eluard, Doblin, Gide, Brecht, Proust, Goethe, Einstein, Queneau. Postumi sono usciti Breve secondo Novecento (Manni, 1996), Poesie inedite (Einaudi, 1997), Disobbedienze. I. Gli anni dei movimenti (Manifestolibri, 1997); II. Gli anni della sconfitta (ivi, 1998), Fortini e Loi. Franchi dialoghi, Manni, 1998, Dialoghi con il Tasso, Bollati Boringhieri, 1998. * L'archivio del Centro: Il fondo Franco Fortini Il Fondo - esclusi i libri - e' costituito in primo luogo dalla corrispondenza di Fortini: si tratta di oltre cinquemila lettere, in cui sono compresi i carteggi con Barthes, Bobbio, Contini, Calvino, Eluard, Montale, Pasolini, Sereni, Vittorini, solo per fare alcuni di nomi di spicco. Accanto alla corrispondenza, non rivestono minore interesse gli appunti per i corsi universitari senesi, i giudizi editoriali, gli scartafacci e documenti preliminari a scritti di vario genere, conferenze e conversazioni. A tutto cio' e' da aggiungere il materiale fornito originariamente per la mostra che si tenne a Siena nell'89, materiale che rappresenta la gran parte della produzione grafica dell'autore. Fanno inoltre parte del Fondo trenta fascicoli rilegati di fotocopie di articoli, saggi e altro, che comprendono ampia parte del pubblicato dallo scrittore dal 1949 al 1990, e raccolgono materiale disperso su riviste spesso di non facile accesso. Presso l'Archivio e' anche conservata copia di interviste radiofoniche e di programmi con la partecipazione di Fortini, e materiale video. Accanto a questo materiale si sta infine raccogliendo una vasta miscellanea di contributi critici su Fortini. Direttore del Centro studi e' Giuseppe Nava. Il Comitato scientifico del Centro e' composto dai seguenti membri: Luca Baranelli, Maria Vittoria De Filippis, Carlo Fini, Luca Lenzini, Romano Luperini, Giacomo Magrini, Edoarda Masi, Guido Mazzoni, Pier Vincenzo Mengaldo, Giuseppe Nava, Michele Ranchetti. I collaboratori sono Velio Abati, Cristina Alziati, Claudio Greppi, Paolo Jachia, Rossella Niccolucci, Pia Mondelli, Donatello Santarone. Addetta alla catalogazione del Fondo e' Elisabetta Nencini. * Le finalita' dell'Archivio e del Centro studi L'Archivio si propone la catalogazione e la conservazione del Fondo; la messa a disposizione per gli studiosi dei documenti che ne fanno parte secondo le modalita' prescritte dal regolamento; la valorizzazione del materiale attraverso cataloghi a stampa e informatici. Inerente ai fini istituzionali dell'Archivio e' il porsi come servizio: per la fornitura di informazioni, come per il sostegno a tesi di laurea e ricerche specifiche. Fanno parte degli obiettivi del Centro studi tutte le manifestazioni che possano stimolare e aiutare la conoscenza dell'opera di Franco Fortini, sia attraverso i canali tradizionali (incontri, seminari, dibattiti) sia attraverso le reti telematiche. Tra gli scopi del Centro e' infine quello di proporre iniziative che contribuiscano a sviluppare i piu' diversi temi della riflessione critica nei confronti della societa' contemporanea. Il patrimonio che Fortini ha lasciato alla Facolta' non puo' infatti essere considerato, secondo il Comitato scientifico del Centro, una riserva di materiale "letterario" o "storico", bensi' un insieme di risorse da proiettare sul mondo attuale. Per questo il Centro ha scelto di lavorare insieme alla "Libera Universita' di Milano e dell'Hinterland", anch'essa intitolata a Franco Fortini, e ad altri enti e istituzioni che hanno analoghi obiettivi. * I programmi editoriali Sia l'Archivio che il Centro studi, nei loro rispettivi ambiti di attivita', hanno un nutrito programma editoriale. L'Archivio produrra', accanto al catalogo elettronico in linea, cataloghi specifici a stampa per i vari settori del Fondo; il Centro studi cura invece un annuario, intitolato "L'ospite ingrato", una collana che accogliera' documenti inediti e carteggi, una serie di quaderni su temi ed aspetti dell'opera di Fortini. Pubblicazioni del Centro studi Franco Fortini: 1996: - Bertolt Brecht - Franco Fortini, Siena, Tipografia senese, 1996. 1998: - "L'Ospite ingrato" - Intellettuali e societa' 1999: - "L'Ospite ingrato" - Memoria 2000: - "L'Ospite ingrato" - Globalizzazione e identita' - Discussioni (1949-1952), premessa di Renato Solmi, Macerata, Quodlibet, 2000 - Numero di "Trasparenze" dedicato a Fortini 2001-2002: - "L'Ospite ingrato" - La traduzione - Disegni, incisioni, dipinti, a cura di Enrico Crispolti, Macerata, Quodlibet, 2001 - La morte del cherubino, adattamento teatrale di Attilio Lolini, Siena, Parole e musica, 2002 - I cani del Sinai, Macerata, in appendice Lettera agli ebrei italiani, Quodlibet, 2002 2003: - "L'Ospite ingrato" - I, Conflitto/Lavoro - "L'Ospite ingrato" - II, Conflitto/Guerra/Media 2004: - "L'Ospite ingrato" - I, Le responsabilita' della critica - "L'Ospite ingrato" - II, Editoria e industria culturale In corso di stampa: - Album Fortini, a cura di Luca Baranelli e Luca Lenzini - Un giorno o l'altro, a cura di Marianna Marrucci e Valentina Tinacci - Bibliografia degli scritti di Franco Fortini, a cura di Monica Marchi e Elisabetta Nencini - Catalogo del Fondo Franco Fortini, a cura di Elisabetta Nencini 3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 4. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1132 del 2 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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