La nonviolenza e' in cammino. 1115



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1115 del 15 novembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Luigi Ciotti: Perche' la Val di Susa resiste
2. Angela Castellanos: Governare con tenerezza
3. Mobilitazione delle donne in Choco' per la smilitarizzazione del
territorio e della vita civile
4. Annamaria Rivera: "Brucio tutto, quindi esisto"
5. Monia Cappuccini intervista Marc Auge'
6. Enrico Peyretti: Una storia carrarese
7. Alfonso Gianni presenta "Storia dei marxismi in Italia" di Cristina
Corradi
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. DIRITTI. LUIGI CIOTTI: PERCHE' LA VAL DI SUSA RESISTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 novembre 2005. Luigi Ciotti e' nato a
Pieve di Cadore nel 1945, sacerdote, animatore a Torino del Gruppo Abele;
impegnato contro l'emarginazione, per la pace, contro i poteri criminali; ha
promosso numerosissime iniziative. Riportiamo la seguente piu' ampia scheda
biografica dalla Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Luigi
Ciotti nasce il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore (Bl), emigra con la
famiglia a Torino nel 1950. Nel 1966 promuove un gruppo di impegno
giovanile, che prendera' in seguito il nome di Gruppo Abele, costituendosi
in associazione di volontariato e intervenendo su numerose realta' segnate
dall'emarginazione. Fin dall'inizio, caratteristica peculiare del gruppo e'
l'intreccio dell'impegno nell'accompagnare e accogliere le persone in
difficolta' con l'azione educativa, la dimensione sociale e politica, la
proposta culturale. Nel 1968 comincia un intervento all'interno degli
istituti di pena minorili: l'esperienza si articola in seguito all'esterno,
sul territorio, attraverso la costituzione delle prime comunita' per
adolescenti alternative al carcere. Terminati gli studi presso il seminario
di Rivoli (To), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal cardinale
Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene affidata "la strada". Sulla
quale, in quegli anni, affronta l'irruzione improvvisa e diffusa della
droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la prima
comunita'. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano
all'entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze.
Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero
rispetto alle tossicodipendenze e all'alcolismo non si e' mai interrotta. E'
invitato in vari Paesi (Gran Bretagna, Usa, Giappone, Svizzera, Spagna,
Grecia, ex Jugoslavia) per tenere relazioni e condurre seminari sul tema ed
e' chiamato per audizioni presso il Parlamento europeo. Nei primi anni
Ottanta segue un progetto promosso dall'Unione internazionale per l'infanzia
in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove programmi di
cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni Paesi in
via di sviluppo. Nel 1982, contribuisce alla costituzione del Coordinamento
nazionale delle comunita' di accoglienza (Cnca), presiedendolo per dieci
anni: al coordinamento, oggi, aderiscono oltre 200 gruppi, comunita' e
associazioni. Nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la
lotta all'aids (Lila), nata per difendere i diritti delle persone
sieropositive, di cui e' il primo presidente. Nel marzo 1991 e' nominato
Garante alla Conferenza mondiale sull'aids di Firenze, alla quale per la
prima volta riescono a partecipare le associazioni e le organizzazioni non
governative impegnate nell'aiuto e nel sostegno ai malati. Nel marzo 1995
presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di riduzione
del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi e' il Gruppo Abele.
Nel corso degli anni Novanta intensifica l'opera di denuncia e di contrasto
al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui e'
direttore responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra
diverse realta' di volontariato e di un costante lavoro di rete, nasce nel
1995 "Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che
coordina oggi nell'impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia
locali che nazionali. Sin dalla fondazione, "Libera" e' presieduta da Luigi
Ciotti. Il primo luglio 1998 riceve all'Universita' di Bologna la laurea
honoris causa in Scienze dell'educazione; Ciotti accoglie il conferimento
del titolo accademico come un riconoscimento significativo dell'opera di
tutto il Gruppo Abele. Alle attivita' del Gruppo Abele, di cui Ciotti e'
tuttora presidente, attendono oltre trecentocinquanta persone che si
occupano di: accoglienza, articolata in due servizi di pronto intervento a
Torino; in otto comunita' che ospitano persone con problemi di
tossicodipendenza, di alcolismo o malate di aids; in un servizio di
accoglienza notturno per persone senza fissa dimora. Il gruppo Abele ha
anche promosso e gestito l'esperienza di una "Unita' di strada" a Torino, la
seconda attivata in Italia; lavori di tipo artigianale, informatico,
agricolo, condotti attraverso la costituzione di cooperative sociali e di
uno specifico progetto Carcere e lavoro; interventi di cooperazione
internazionale in Costa d'Avorio, Guatemala, Messico; iniziative culturali,
informative, educative, di prevenzione e formazione, che si svolgono
attraverso l'Universita' della Strada, l'Universita' Internazionale della
Strada, il Centro Studi, documentazione e ricerche, l'Ufficio Stampa e
comunicazione, la casa editrice Edizioni Gruppo Abele, la libreria Torre di
Abele, le riviste "Animazione sociale" e "Narcomafie", l'Ufficio scuola.
Luigi Ciotti e' stato piu' volte membro del Consiglio Presbiteriale ed e'
attualmente membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Torino. Da
alcuni anni tiene corsi di formazione presso la Scuola per vigili urbani di
Torino e provincia. Nei primi anni Ottanta e' stato docente presso la Scuola
superiore di polizia del ministero dell'Interno. Giornalista pubblicista dal
1988, Ciotti e' editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici
(tra cui: La Stampa, L'Avvenire, L'Unita', Il Manifesto, Il Sole-24 Ore, il
Mattino, Famiglia Cristiana, Messaggero di Sant'Antonio, Nuovo Consumo),
scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti,
interviene su testate locali". Opere di Luigi Ciotti: e' autore di vari
libri a carattere educativo, di impegno sociale, di riflessione spirituale;
tra le sue pubblicazioni segnaliamo: Genitori, figli e droga, Edizioni
gruppo Abele, Torino 1993; Chi ha paura delle mele marce?, Edizioni gruppo
Abele - Sei, Torino 1992; Persone, non problemi, Edizioni gruppo Abele,
Torino 1994; Terra e cielo, Mondadori, Milano 1998; naturalmente ha anche
contribuito con propri interventi a numerosi testi collettanei]

Il Gruppo Abele si affianca, in queste difficili giornate, alle richieste
dei comitati No Tav della Val Susa e degli amministratori: la politica deve
ascoltare le tante voci che hanno motivato la mobilitazione in atto da anni
nella Valle. Alcuni mesi fa, su "Narcomafie" (il mensile edito dal Gruppo
Abele) titolavamo "Certi treni e' meglio perderli...". Credo che oggi piu'
che mai sia importante ribadire questa posizione. Per dire questo ci siamo
documentati, abbiamo letto le diverse posizioni, abbiamo ascoltato le tante
voci di esperti e non, e alcuni di noi hanno partecipato alle riunioni e
alle manifestazioni promosse nella valle. La gente della Val Susa, i sindaci
e i presidenti delle Comunita' montane che sono scesi in campo da anni per
opporsi al progetto dell'alta velocita' l'hanno sempre fatto in modo civile,
argomentando l'opposizione al progetto e proponendo altre soluzioni meno
dispendiose e meno dannose per l'ambiente e per la salute. Hanno documentato
la dannosita' dell'opera sul piano ambientale e i pericoli per la salute
degli abitanti.
Hanno contestato la destinazione di ingenti risorse per un'opera nuova,
invasiva e non risolutiva dei problemi dei trasporti a scapito del
rimodernamento e della funzionalita' della linea ferroviaria esistente. Per
l'opera in questione si ipotizzano 15-20 miliardi di euro, senza ritorno
economico (pagano i cittadini). Denaro che potrebbe essere utilizzato per
interventi molto piu' importanti e capillari, come le energie rinnovabili,
la sanita', la ricerca scientifica. E, soprattutto, per ammodernare la linea
ferroviaria a doppio binario, che valica le Alpi dal tunnel del Frejus e che
gia' attraversa la Val Susa. Le simulazioni dei tecnici dicono che la Tav
potrebbe spostare solo l'1% del traffico attuale su gomma. Inoltre le
merci - il vero problema della Valle, a detta di tutti - non hanno bisogno
di viaggiare ad alta velocita': un'ora in meno da Parigi a Torino cosa
cambia rispetto ad oggi quando i container restano poi fermi per giorni nei
magazzini di smistamento? Domande che restano ancora senza risposte
convincenti. Eppure, alla luce di queste considerazioni il rapporto tra
costi economici e ambientali e benefici ipotetici e' fortemente sfavorevole
alla Tav. E dovrebbe essere nell'interesse di chi propone l'opera dimostrare
il contrario, argomentando le ragioni che inducono a scegliere la strada del
nuovo traforo e confrontandole con le altre opzioni in campo. Fino ad oggi
e' accaduto esattamente il contrario: il progetto e' andato avanti, senza
valutare seriamente le ragioni portate da chi a questa opera si oppone.
Grandi opere: per chi? Investimento sul futuro: di chi? Il progetto
dell'alta velocita' in Val Susa, come altri, meriterebbe perlomeno di essere
sospeso per rivalutare tutto, con piu' attenzione di quanto non sia stato
fatto finora: dall'effettiva utilita' dell'opera, ai suoi impatti
sull'ambiente e sulla salute degli abitanti della valle.
Nessuno ha intenzione di tagliare fuori l'Italia dal sistema della mobilita'
europea, a maggior ragione da quella su ferro. E nessuno e' cosi'
superficiale da voler perdere finanziamenti per assecondare campanilismi
privi di ragione. Bisogna allora parlarsi, discutere, valutare, ri-valutare.
Per farlo serenamente riconosciamoci, reciprocamente, serieta' di intenti e
stabiliamo percorsi trasparenti, di analisi, di confronto e di decisione.
Con una indispensabile premessa: l'immediata sospensione dei lavori. Le
migliaia di persone che hanno manifestato pacificamente il loro dissenso,
sventolando bandiere bianche "no Tav", accanto a bandiere della pace, hanno
diritto di essere rispettate e ascoltate. Hanno bisogno, come tutti noi, di
una politica che sappia promuovere davvero la partecipazione dei cittadini,
disponibile a riconoscere i propri errori e a correggerli per tempo. Mi
auguro, per tutti, che questa capacita' di riflettere, di ragionare, di
confrontarsi perche' si possa prendere la decisione migliore, prevalga sugli
interessi di chi vorrebbe forzare i tempi, per imporre le proprie scelte.

2. MONDO. ANGELA CASTELLANOS: GOVERNARE CON TENEREZZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Angela Castellanos. Angela Castellanos, giornalista colombiana, lavora per
media nazionali ed internazionali, come Women's Feature Service, Inter Press
Service e Isis Magazine]

Bogota', Colombia. Angelica Lozano e' ben conosciuta a Chapinero come
procuratrice legale perle sue "crociate" contro la corruzione governativa.
Oggi, la ventinovenne avvocata sta lavorando dall'interno
dell'amministrazione locale. Da agosto e' la "prosindaca" di Chapinero,
ovvero un'amministratrice cittadina nominata dal sindaco.
Cio' la mette nella posizione di dover disegnare il bilancio del suo
distretto, che comprende 136.000 persone. Lozano dice che sta mettendo
particolare impegno nel galvanizzare la sua comunita' affinche' participi
alla costruzione di un processo partecipativo che renda il bilancio piu'
trasparente. "In passato, gli amministratori locali premevano perche' nel
bilancio vi fossero investimenti relativi ai loro interessi economici o
politici. Io voglio mettere i soldi dove ce n'e' bisogno, in accordo con il
processo di consultazione che sto costruendo con la comunita'".
Con tutto quello che ha da fare, di una cosa Angelica Lozano non deve piu'
preoccuparsi, ovvero di essere in minoranza. Quest'anno, le amministratrici
con il suo stesso ruolo non sono solo una maggioranza, ma detengono il
completo monopolio.
Il 6 agosto, mentre striscioni con la scritta "Il diritto di governare con
tenerezza" sventolavano dal vecchio edificio che ospita il municipio, il
sindaco Garzon ha nominato venti donne per i venti posti di prosindaco
disponibili. Nella precedente amministrazione di Bogota' le donne in tale
posizione erano sei. Il sindaco ha dichiarato di voler eliminare la
corruzione: a questo proposito afferma che le donne hanno una reputazione di
amministratrici leali ed efficienti, e che saranno piu' oneste nel valutare
le offerte pubbliche per i contratti. "In questo campo le donne ispirano
fiducia", ha detto Garzon al principale quotidiano colombiano, "El Tiempo",
"Sono piu' del 50% della popolazione del paese e sono molto sensibili alle
politiche sociali".
Uno studio di luglio della Commissione Interamericana sui diritti umani,
segnala che i bisogni delle donne non sono presi in considerazione dallo
stato colombiano, e che le loro voci non sono ancora incluse nella
formazione degli interventi pubblici.
Helena Alviar, docente di legge all'Universita' delle Ande di Bogota',
dubita che la decisione del sindaco Garzon cambiera' qualcosa: "La sua
determinazione nel nominare venti donne mostra che ci sono piu' donne che
uomini con le qualifiche e l'istruzione necessarie a svolgere quel lavoro,
dice. Tuttavia, si tratta di incarichi politici, percio' il principale
criterio di selezione deve essere stato l'impegno a sostenere l'agenda
politica del sindaco".
Non e' cosi', risponde Angelica Lozano: "Abbiamo prevalso nella selezione
perche' abbiamo potenziale, capacita' ed esperienza. Chi dice che si tratta
di incarichi politici si stava aspettando proprio una distribuzione politica
dei posti fra maggioranza ed opposizione. Non e' accaduto: siamo donne
provenienti da un largo spettro di movimenti politici e alcune di noi non
hanno alcuna affiliazione politica del tutto".
*
La Colombia e' stata devastata da una guerra civile durata decenni, che ogni
anno ha sacrificato circa 3.000 vite. A Bogota' arrivano ogni giorno circa
cinque famiglie senza casa e senza lavoro, rese profughe dai conflitti nelle
zone rurali. Le prosindache hanno il compito di implementare nei loro
distretti programmi che affrontino la poverta', la salute pubblica,
l'istruzione, il lavoro, in una citta' che conta nove milioni di persone.
Questo significa che le venti donne (avvocate, ingegnere, storiche,
sociologhe, docenti di contabilita' e politica) dovranno essere buone
negoziatrici. Realizzare il programma significa che lavoreranno con piccole
e grandi industrie, scuole pubbliche e private, proprietari terrieri ed
affittuari, lavoratori e disoccupati, e con la polizia per quanto concerne i
problemi relativi alla violenza ed al crimine.
Gli oppositori di Garzon lo accusano di aver discriminato gli uomini, e di
aver effettuato le scelte in modo non trasparente. Il sindaco di Bogota'
viene eletto direttamente dai cittadini; i prosindaci sono nominati dal
sindaco sulla base del risultato di esami e colloqui. Garzon ha ribadito la
propria autonomia e il proprio diritto legale di scegliere: "Non ho infranto
alcuna procedura. L'unica cosa che ho infranto e' lo stereotipo sessista che
non riconosce le potenzialita' delle donne".
Nel 1999, in Colombia e' passata una legge fortemente voluta dalla
quarantaduenne senatrice Viviane Morales, che riserva alle donne il 30% dei
posti nelle posizioni ministeriali e nelle istituzioni pubbliche, e richiede
che nei tribunali su tre giudici almeno uno sia donna. Dall'approvazione
della legge, per fare un esempio, nelle posizioni ministeriali le donne sono
passate al 38% dal 13% che avevano nel 1998.
Le venti prosindache di Bogota' rappresentano un evento comunque
straordinario, se si pensa che la maggior percentuale che le donne avevano
ottenuto in queste posizioni era il 30% del 2001.
*
Per maggiori informazioni:
- Alcaldia Mayor de Bogota Mujer y Generos:
www.bogota.gov.co/equidad/equidad.php
- Universidad Nacional de Colombia Escuela de Estudios de Genero:
www.humanas.unal.edu.co/genero/

3. INIZIATIVE. MOBILITAZIONE DELLE DONNE IN CHOCO' PER LA SMILITARIZZAZIONE
DEL TERRITORIO E DELLA VITA CIVILE
[Da varie altre persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo questo
appello della "Ruta pacifica de las mujeres" dalla Colombia]

Che si affretti la solidarieta', che si affretti la giustizia, che si
affretti la riparazione, che si affretti la speranza. Le aspettiamo in
piedi, che si affrettino.
In diversi angoli del paese noi donne ci prepariamo per  la grande
mobilitazione in Choco'.
Tra il 22 e il 23 di novembre le donne di Antiochia, Cauca, Putumayo,
Risaralda, Santander, Valle, Bogota', Cartagena oltre a quelle delle diverse
regioni del Choco' intraprenderanno il loro viaggio per i fiumi, i
marciapiedi e le strade colombiani verso il Choco'.
Ci mobiliteremo in solidarieta' con le donne chocoane che sono state vittime
non solo dell'abbandono storico da parte dello stato ma anche del conflitto
armato che la' si svolge. Vogliamo rendere visibile la crisi umanitaria, il
trasferimento e il controllo che gli attori armati esercitano sulla vita e
sul corpo delle donne.
L'anno passato gli indici di poverta' sono aumentati del 62.2% e l'indigenza
del 23.5%. La maggioranza della popolazione chocoana non riesce a soddisfare
le piu' elementari necessita' malgrado viva in uno dei dipartimenti piu'
ricchi di risorse naturali.
Lo scontro fra gli attori armati per il controllo del territorio unito
all'implementazione di megaprogetti che non rispondono alle necessita'
culturali, politiche, economiche e sociali delle e degli abitanti dei
villaggi, ha generato l'espropriazione e lo spostamento forzato delle
comunita' nere e indigene che abitano nel dipartimento da epoche ancestrali,
situazione che colpisce in modo particolare le donne, i bambini e le bambine
chocoane.
Per questo in solidarieta' con le donne e con la loro lotta per la pace nel
territorio e per una vita degna, ci mobiliteremo per commemorare insieme il
25 novembre, giornata internazionale del no alla violenza contro le donne, e
faremo una petizione pubblica ai governi nazionale, dipartimentale e
municipale perche' prendano provvedimenti atti a ridurre i contraccolpi
della crisi umanitaria sulle donne chocoane.
Chiediamo inoltre verita', giustizia e riparazione per loro e per tutte le
vittime della guerra.
Noi donne resistiamo, balliamo la danza della vita con speranza.
Non vogliamo ne' una guerra che ci distrugga, ne' una "pace" che ci opprima.

4. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: "BRUCIO TUTTO, QUINDI ESISTO"
[Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sul quotidiano
"Liberazione" del 12 novembre 2005. Annamaria Rivera, antropologa,
fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri
umani, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella
"Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani,
L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine
dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003;
La guerra dei simboli, Dedalo, Bari 2005]

"Non siamo feccia ma esseri umani. Esistiamo. La prova? Le auto bruciano".
Cosi', con una frase epigrafica, un sauvageon intervistato da "Le monde" ha
riassunto il senso della rivolta dei ghetti che infiamma l'autunno francese.
La tendenza a vedere l'ombra degli imam dietro ogni rivendicazione delle
banlieues, l'accusa di comunitarismo che da anni e' rivolta ossessivamente a
qualunque minoranza esiga riconoscimento e rispetto, ma soprattutto alla
racaille (la feccia, secondo Sarkozy) dei quartieri detti sensibili, si
rivelano oggi per cio' che sono: paura che i discendenti dei colonizzati,
cittadini francesi de jure ma trattati de facto al pari degli indigeni delle
colonie, decidano di esistere come esseri umani, rompendo il muro della
segregazione e rendendosi visibili nello spazio pubblico. Oggi lo fanno,
certo, nella maniera piu' scomposta possibile, affidando agli atti di
vandalismo la funzione di dire cio' che per ora forse non si puo' dire
altrimenti: per troppo tempo la parola e' stata loro confiscata. In modo
"irresponsabile", secondo la maggior parte degli osservatori e dei politici,
di destra e di sinistra, occupano lo spazio mediatico e dunque politico:
finora inaccessibile, estraneo, interdetto. Nel tempo in cui i media fanno e
disfanno la realta', essi, conquistandone la scena, fanno vacillare un
ministro che alcuni gia' vedevano presidente della repubblica. I sauvageons,
i selvaggi evocati da Chevenement nel '98, quando era ministro dell'interno,
i "piccoli terroristi di quartiere" che Sarkozy voleva domare con gli
strumenti dell'antiterrorismo, i voyous (i teppisti) dai quali sanificare i
quartieri popolari con acidi corrosivi, come osa ripetere lo stesso
ministro, costringono la politica ad occuparsi di loro: una politica finora
lontana come la luna dalle spettrali cites, gestite per lo piu' come le
vecchie colonie.
Certo, le risposte finora non sono rassicuranti: sfrondando le promesse
dalle fumosita' e dalle vaghezze, cio' che rimane sono il coprifuoco, il
fermo indiscriminato di centinaia di bambini, adolescenti, ragazzi
sospettati di aver partecipato alla rivolta, l'idea di espellere gli
stranieri condannati per le violenze urbane, anche quelli con permessi di
soggiorno di lunga durata, la proposta di abbassare l'obbligo scolastico a
14 anni e rendere possibile l'avviamento al lavoro della fascia dai 14 ai
16: in modo subdolo e paternalistico, la grande questione sociale che la
rivolta ha denunciato e' tradotta nella condanna definitiva dei giovani
delle 752 "zone urbane sensibili" al loro destino di reietti.
*
Per analizzare il meno banalmente possibile le radici e il senso della
rivolta dei ghetti francesi, del tutto vana e' l'antinomia fra
"economicismo" e "culturalismo" che qualche commentatore dotto ha avanzato
polemicamente. La condizione nelle cites non potrebbe essere piu' esemplare
a mostrare il perverso circolo vizioso che lega questione economico-sociale,
razzismo coloniale, "modello d'integrazione", risposta identitaria,
etnicizzazione del conflitto. Al punto che, se c'e' una categoria che puo'
restituire il senso della condizione degli "indigeni della repubblica" e'
quella di casta, riproposta di recente dalla sociologa femminista Christine
Delphy, che la intreccia con quelle di classe e di genere; e accolta da chi
scrive in un libro appena uscito (La guerra dei simboli. Veli postcoloniali
e retoriche sull'identita', Dedalo). In effetti, per gran parte dei figli e
nipoti dell'immigrazione coloniale non v'e' possibilita' ne' speranza di
mobilita' sociale: essi sembrano condannati ad ereditare lo status dei loro
genitori o nonni, o addirittura ad essere ulteriormente declassati. Il fatto
stesso che questi cittadini/e francesi siano detti immigrati/e di seconda o
di terza generazione e' indizio di come il razzismo coloniale trasformi uno
status, che per definizione dovrebbe essere situazionale e transitorio, in
una caratteristica quasi-biologica ed ereditaria. Intervistato da
"Liberation", un giovane banliuesard ha icasticamente dichiarato: "Ci
parlano d'integrazione, ma noi siamo francesi, non abbiamo bisogno di essere
integrati. Abbiamo bisogno di essere inseriti socialmente". Ma quale
inserimento sociale e' possibile quando, come ha rilevato un'inchiesta, chi
abbia un cognome che suona arabo o africano ha sei volte in meno la
possibilita' d'essere convocato per un colloquio di lavoro, rispetto a un
suo coetaneo franco-francese?
Se una tale condizione di discriminazione, emarginazione e segregazione e'
dai piu' considerata come naturale e' anche perche' all'immaginario
collettivo francese non sono estranei un'ideologia o almeno un inconscio di
tipo coloniale, spesso mascherati dal retorico richiamo alla vocazione
universalista della patria dei diritti dell'uomo. L'ombra del razzismo
coloniale, del resto, si allunga sulla stessa "gestione" della rivolta di
questi giorni: lo stato d'emergenza e il coprifuoco sono stati proclamati
invocando una legge del 1955 risalente alla guerra d'Algeria.
La rivolta dei ghetti francesi mostra che il re e' nudo: contribuisce a
palesare che la retorica universalista e' oggi una delle maschere del
dominio. Il modello detto d'integrazione repubblicana, fondato sul
riconoscimento dei diritti individuali universali, palesa tutte le sue crepe
al pari del modello multiculturalista all'anglosassone. Il fuoco appiccato
nelle cites consuma l'illusione dell'assimilazione senza inserimento
sociale. Ed esalta un paradosso, nel modo piu' derisorio possibile: due
modelli d'integrazione che si vogliono opposti producono effetti sociali
comparabili e la medesima forma di rivolte urbane. Le istituzioni e la
cultura mainstream francesi hanno sempre apertamente disprezzato il modello
statunitense come produttore di ghetti, continuamente evocando e
stigmatizzando il fantasma del "comunitarismo". Ebbene, per decifrare il
senso della rivolta delle banlieues, la comparazione piu' opportuna e'
quella con le rivolte dei ghetti neri statunitensi. Con una differenza,
rilevata da Furio Colombo in un lucido editoriale: in occasione
dell'incendio di Watts (1964), di Washington (1968), fino a quello di Los
Angeles (1992), a nessun politico o giornalista venne in mente d'insultare i
rivoltosi.
*
Chi ha deriso Prodi per le sue parole lungimiranti dovrebbe fermarsi a
riflettere. Un modello di welfare state come quello francese, tanto piu'
solido e universale che in altri paesi europei (per non parlare
dell'Italia), si frantuma sotto i colpi della globalizzazione neoliberista
ma anche dei ciechi automatismi della discriminazione e del razzismo
coloniali, tanto da produrre ghetti e rivolte urbane. La' dove le politiche
di protezione sociale sono piu' deboli o inesistenti, dove le sacche
d'emarginazione e d'esclusione - d'immigrati e autoctoni - sono da periferie
del Terzo mondo, dove il disprezzo e il pubblico insulto contro gli estranei
al modello wasp all'italiana sono pratica istituzionale, perche' ci si
dovrebbe sentire preservati dal rischio delle rivolte urbane?
Ben piu' lungimirante, il Consiglio d'Europa, in un lungo rapporto del 2004
sulla violenza nelle societa' democratiche, metteva in guardia dal rischio
della disintegrazione sociale: un numero crescente di persone, scriveva, e'
intrappolato una specie di no man's land sociale, che rischia di divenire
ghetto. L'esclusione, soggiungeva, non e' il risultato di incapacita'
individuali o di inadattamento sociale, ma di un processo di allontanamento
di una parte della popolazione dalla sfera produttiva. Che almeno si cominci
a prestarle ascolto, riconoscimento e rispetto.

5. RIFLESSIONE. MONIA CAPPUCCINI INTERVISTA MARC AUGE'
[Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 novembre 2005.
Monia Cappuccini, antropologa e giornalista, e' studiosa di conflitti urbani
e culture giovanili.
Marc Auge', antropologo, lucido critico della vita quotidiana. Dal
quotidiano "Il manifesto" riportiamo la seguente scheda: "Africanista di
formazione, poi approdato allo studio antropologico delle societa'
complesse, Auge' ne e' diventato uno dei piu' interessanti analisti.
All'Ecole des Hautes Etudes di Parigi insegna logica simbolica e ideologica.
Da anni i suoi libri seguono le manifestazioni piu' eclatanti delle societa'
contemporeanee - da Disneyland e altri nonluoghi all'ultimo diario sull'11
settembre (entrambi pubblicati da Bollati Boringhieri). La sua fama e' da
sempre associata a un neologismo - nonluogo - nato per descrivere spazi
deputati alla circolazione veloce, negati agli incontri: svincoli, dunque,
piuttosto che incroci, autostrade, aeroporti, gli stessi mezzi di trasporto,
i grandi centri commerciali, i campi profughi dove si addensano i rifugiati.
Dai nonluoghi sono esiliati i depositi della memoria, non si da'
possibilita' di rapporti ne' di identita', sebbene una sorta di relazione
contrattuale accomuni i passeggeri, la clientela di un grande magazzino, i
guidatori che per ottenere l'accesso ai luoghi di transito devono esibire i
propri connotati, e con cio' certificare la propria innocenza: di tutto
questo Auge' parla nel suo libro Nonluoghi. Introduzione a una antropologia
della surmodernita', pubblicato da Eleuthera, cui si deve la scoperta
italiana di questo autore. Tra gli altri suoi titoli: Le forme dell'oblio
(Il Saggiatore), La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction (Eleuthera)"]

"Antropologo del quotidiano" ed "etnologo del metro'", Marc Auge' e' senza
dubbio tra gli intellettuali francesi piu' affermati e piu' noti al pubblico
internazionale. Africanista di formazione ha studiato per anni le
popolazioni dell'Alto Volta e della Costa d'Avorio, svolgendo importanti
ricerche sui sistemi di potere, sulle religioni tradizionali e sul
profetismo. A partire dagli anni Ottanta si e' poi dedicato all'osservazione
della pluralita' dei mondi contemporanei, rivolgendo il suo sguardo di
antropologo ai problemi delle societa' complesse, alla dimensione rituale
del quotidiano e alla modernita'. Lungo questa prospettiva ha elaborato
nuovi modi di intendere le relazioni tra dimensione spaziale e appartenenza
ai luoghi, e a meta' degli anni Novanta proprio le sue teorie sull'urbanita'
e sui nonluoghi hanno dato il via ad una prolifica riflessione sociologica.
Piu' di recente si e' occupato dei modi di produzione della memoria
culturale e del senso del tempo nella societa' contemporanea, caratterizzata
dall'assottigliarsi dell'orizzonte del passato e dal "paradosso delle
rovine".
Attualmente directeur d'etudes presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales di Parigi, Marc Auge' sta girando in questi giorni l'Italia per
presentare il suo ultimo libro La madre di Arthur (Bollati Boringhieri, pp.
142, euro 15). Non un saggio ma un romanzo, un lavoro che pero' non si pone
in contraddizione con i suoi precedenti perche', come spiega lo stesso
Auge': "Quando si studiano i fatti sociali si indaga sulle soggettivita'
individuali, mentre il romanzo costituisce un esercizio inverso: si
immaginano delle individualita' per suggerire qualcosa di piu' vasto". Ma e'
chiaramente dalla situazione francese e dalla rivolta nelle banlieue delle
ultime settimane, che muove l'incontro con l'intellettuale transalpino.
*
- Monia Cappuccini: Alla luce delle sue teorie sull'urbanita' e sui
nonluoghi, come valuta quanto sta accadendo nelle periferie francesi e i
motivi che hanno innescato la rivolta di questi giorni? Cosa dobbiamo
aspettarci ora?
- Marc Auge': E' difficile rispondere in poche parole ad una domanda cosi'
complessa. Posso dire pero' che per questi giovani che oggi manifestano con
violenza la banlieue non e' un nonluogo, bensi' il loro luogo. Il posto dove
vivono, dove comunicano con il loro linguaggio, con il loro modo di essere e
di vestirsi. Ma la banlieue e' vissuta anche come un luogo di chiusura, e le
strade per uscirne non sono sufficientemente aperte. Cio' che questi giovani
rivendicano e' sentirsi francesi, e che anche la Francia finalmente li
consideri tali, poiche' la maggior parte di loro incontrano molte
difficolta' ad inserirsi nella vita professionale e sociale in generale.
Hanno l'impressione di fare parte della Francia senza esserne pero' parte;
non e' la banlieue ma la Francia intera ad essere percepita da loro come un
nonluogo.
*
- Monia Cappuccini: E' evidente che e' in atto un conflitto: nei confronti
di un'esclusione sociale e del luogo dove vivono questi giovani. Ma anche
nei confronti della famiglia e della tradizione. E' un conflitto che segue
percio' diverse direzioni, puo' spiegarcene la natura?
- Marc Auge': Sicuramente sussistono tutte queste dimensioni. Il conflitto
principale ha origine nel gap tra la prima generazione di immigrati e la
seconda generazione francese. Non sono tra coloro che affermano che il
modello francese e' fallito, perche' in realta' ritengo non sia mai stato
veramente applicato. Credo che gli sforzi della Francia siano stati
insufficienti per quel che riguarda l'alfabetizzazione, l'istruzione e
l'integrazione. Si e' quindi verificata una rottura tra la prima generazione
dei genitori e la seconda formata da questi ragazzi, che hanno frequentato
la scuola e che hanno elaborato una cultura propria, che poi e' quella della
cite' di periferia e della citta' in cui sono nati e cresciuti.
*
- Monia Cappuccini: In un'intervista lei ha affermato che "la violenza e'
all'origine della ristrutturazione urbana". Abbiamo visto questi ragazzi
distruggere cose, se la prendono con le persone, spesso i loro vicini di
casa che difendono la propria macchina da tentativi di incendio. Non
praticano la protesta con "l'assalto alla Bastiglia", per intenderci. Come
la violenza della ristrutturazione e' stata perpetrata nella banlieue e come
la stessa e' stata poi rielaborata da chi vive in quelle zone?
- Marc Auge': Siamo di fronte ad una ribellione, non a una rivoluzione.
Certo ci si chiede perche' vengano bruciate le scuole, la macchina del
vicino, le case, i supermercati, che naturalmente rappresentano dei simboli.
Piu' della violenza come atto di distruzione e' significativo il gesto della
violenza in senso assoluto, che e' un modo per attirare l'attenzione. Un
altro aspetto da non sottovalutare e' che oggi viviamo nella societa'
dell'immagine, e questi ragazzi hanno l'illusione di esistere solo se
entrano nello schermo. Da questo punto di vista esiste una specie di
competizione fra le diverse zone urbane; facendo salire il livello di
scontro piu' degli altri le periferie sono in concorrenza per arrivare in
tv. Viviamo in un mondo in cui bisogna passare dall'altra parte dello
schermo per esistere, ed e' cio' che i giovani delle banlieue stanno
facendo. Diventa anche un messaggio che parla alla e della nostra societa'
del consumo, caratterizzata dal culto dell'immagine.
*
- Monia Cappuccini: Nell'interpretazione della contemporaneita' lei ha
parlato di surmodernita' come di una nuova sensibilita' culturale che vede
l'individuo e la sua liberta' agire in un clima caratterizzato dall'eccesso.
Puo' essere un concetto applicabile a questa situazione o questa situazione
puo' considerarsi una diretta conseguenza di tutto cio'?
- Marc Auge': Non esiste un concetto in grado di definire cio' che si sta
verificando in questi giorni, e che altro non e' che una somma di
frustrazioni di varia natura. In un certo senso pero' questa crisi puo'
risultare positiva, perche' e' il segnale che e' tempo di agire e che
bisogna fare qualcosa. Segnali tra l'altro gia' verificatisi nel passato,
perche' non e' la prima volta che vengono bruciate le macchine per strada.
Solo che oggi la situazione ha raggiunto un livello molto piu' vasto in
termini di contagio.
*
- Monia Cappuccini: Come si puo' intervenire? La linea dura del governo puo'
rivelarsi efficace?
- Marc Auge': Non so se definirla propriamente una linea dura. Ovvio che il
governo deve intervenire e trovare una soluzione nell'immediato, ed e'
costretto a escogitare un linguaggio che invochi la sicurezza, altrimenti e'
l'estrema destra a prendere la parola, cosa che e' gia' successa nel
passato. Interpreto questa agitazione come un grido, e forse questa crisi
risultera' utile. Dipendera' dal fatto se il messaggio della rivolta nelle
banlieue sara' realmente recepito. Penso che la Francia e il mondo intero
necessitino di una rivoluzione dell'educazione e dell'istruzione. E' cio'
che ripetiamo spesso: esiste un enorme divario non solo tra i ricchi sempre
piu' ricchi e i poveri sempre piu' poveri, ma anche fra chi ha la
possibilita' di accedere a un sapere e chi invece non ce l'ha. Questa e' la
posta in gioco di cui dobbiamo prendere coscienza, altrimenti continueranno
a generasi altre violenze.

6. MEMORIA. ENRICO PEYRETTI: UNA STORIA CARRARESE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
ricordo. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha
fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del
"non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto
il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su
questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono
anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

Ho scorso gli appunti di storia dell'anarchismo pubblicati nei giorni
scorsi. In argomento, posso proporre un mio ricordo, minimo, ma di qualche
significato.
Ho frequentato il ginnasio-liceo Repetti, a Carrara, negli anni dal 1948 al
1953. Ho respirato qualcosa di quell'aria.
Ci insegnava filosofia e storia il professor Rolla, uomo mite e
appassionato: una di quelle persone che sono amate dagli uni e disprezzate
dagli altri. Lo amavamo senza saperglielo dire, pur sorridendo del suo
idealismo, con sufficienza adolescenziale. I suoi maestri, ci ripeteva,
erano Galileo e Mazzini, la scienza e l'ideale.
Ci racconto' un episodio cittadino avvenuto sotto il fascismo.
Un popolano anarchico convinse un bambino a nascondersi dentro un bidone
della spazzatura munito di ruote. Girava per la citta' spingendo questo
bidone. Ogni tanto il bambino alzava il coperchio del bidone e gridava: "O
pa', aio' fama!" [Babbo, ho fame! - chiedo scusa se il dialetto non e'
corretto]. L'uomo gli rispondeva: "Grida alala' e la fama a te pasara'!
[Grida alala' - che era uno dei gridi fascisti di squadra, come "A noi!" - e
la fame ti passera'].
L'uomo fu preso e messo in prigione, come tante altre volte, per un po' di
giorni.
Fin da allora - piu' di cinquant'anni fa - questo piccolo episodio e'
rimasto nella mia memoria come un atto tipico di resistenza nonviolenta
attraverso le forme del teatro di strada: uno di quegli atti che non
cambiano il mondo, ma tengono deste, o risvegliano, le coscienze sullo stato
del mondo. Non per nulla l'episodio era stato tramandato da persone
sensibili come il nostro professor Rolla, gia' da qualche decennio, come un
atto significativo delle lotte antifasciste carraresi.

7. LIBRI. ALFONSO GIANNI PRESENTA "STORIA DEI MARXISMI IN ITALIA" DI
CRISTINA CORRADI
[Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 novembre 2005 riprendiamo questa
anticipazione di un articolo che apparira' nel prossimo numero della rivista
"Alternative" diretta da Domenico Jervolino.
Alfonso Gianni, deputato del Prc, e' autore di alcuni libri in
collaborazione con Fausto Bertinotti.
Cristina Corradi e' dottore di ricerca in filosofia dell'Universita' di
Bari]

Tuffarsi nella lettura del libro di Cristina Corradi, Storia dei marxismi in
Italia (Manifestolibri, Roma, 2005, pp. 438, 30 euro), non e' un'impresa da
compiere a cuor leggero, richiede pazienza e passione, ma ne vale proprio la
pena. Siamo di fronte infatti ad un libro di straordinaria erudizione - se
si puo' usare ancora questo termine che alcuni autori considerano invece
sminuente della propria creativita' - che ci accompagna in una rilettura
delle complesse vicende teoriche dei marxismi italiani lungo l'intero
Novecento. Un'opera che ci da' il segno inequivocabile della ripresa (si
puo' dire della rinascita?) dell'interesse e degli studi marxisti nel nostro
paese, dopo una grande e grigia parentesi durata quasi trent'anni. Un ottimo
segnale dunque, da giudicare positivamente, direi persino al di la' e oltre
i meriti specifici di questa opera che comunque sono molti e su cui vorrei
brevemente condurre qualche considerazione tutt'altro che esaustiva, anzi
dichiaratamente parziale.
Naturalmente rinuncio in partenza (come invece dovrebbe fare un buon
recensore, ma tale non sono) a qualunque tentativo di riassumere la
narrazione dell'autrice. Ricordo solamente, per invogliare i futuri lettori,
che il volume si articola in tre parti. La prima, che secondo l'autrice
dovrebbe svolgere semplicemente una funzione introduttiva, ma in realta' ci
dice molto di piu', muove da Labriola per giungere a Gramsci, e naturalmente
ci racconta della pesante influenza crociana sulla lettura italiana del
marxismo, nonche' delle influenze di Sorel, di Gentile e di Mondolfo. In
particolare le pagine su quest'ultimo conferiscono a questa parte un tratto
di stimolante originalita' interpretativa, che meriterebbe approfondimenti
ben maggiori anche rispetto ad un'opera gia' cosi' corposa.
Comincia qui a delinearsi una delle chiavi di lettura che l'autrice utilizza
per percorrere l'intera vicenda intellettuale che connota il modo con cui il
marxismo si e' diffuso ed e' stato accolto nel nostro paese. Come e' stato
osservato anche da Roberto Finelli nel dibattito attorno a questo libro - al
quale ha partecipato anche chi scrive - tenutosi alla recente festa
nazionale di "Liberazione", da qui parte quella lettura del marxismo senza
Il Capitale (e naturalmente a maggior ragione senza i Grundrisse) che
caratterizzera' la storia dei marxismi italiani, in particolare per una
prima parte abbondante del secolo.
I marxismi in Italia si snodano lungo un percorso stretto dall'idealismo
crociano e dal positivismo di molteplici ascendenze. La conoscenza
dell'opera fondamentale di Gramsci, raccolta nei Quaderni del carcere, che,
seppure giungendo tardi, modifichera' sensibilmente e positivamente la
lettura del marxismo, non poteva certo invertire da sola questa tendenza,
data anche "l'oggettiva difficolta' di dedicarsi allo studio del Capitale"
da parte di Gramsci stesso.
Questo vizio d'origine, questa pesante tara, non abbandonera' piu' i
marxismi italiani, evidenziando, rispetto ad altre esperienze di pensiero in
altri paesi e in altre tradizioni, un'endemica carenza della critica
dell'economia politica, che neppure la potente riflessione dell'istituto
Gramsci e del Cespe lungo tutti gli anni Sessanta sul capitalismo italiano,
europeo e mondiale riuscira' a eliminare.
*
Con la seconda e la terza parte il lettore e' invece condotto in un viaggio
tra i marxismi contemporanei, che si snoda attraverso diversi autori e
pensatori quali Della Volpe, Banfi, Luporini, Colletti, Rossi, Panzieri,
Togliatti, Tronti, Timpanaro, Napoleoni, Negri, Cacciari, Preve, Losurdo, La
Grassa, Turchetto, Bellofiore, Finelli, per citare i principali.
La storia dei marxismi e' costruita quindi attraverso l'analisi della
produzione teorica dei suoi protagonisti. Verso tutti l'autrice mostra un
grande rispetto e, pur destinando ad essi pesi diversi nella trattazione,
frutto di inclinazioni e sensibilita' proprie, rifugge da qualunque pretesa
di ergersi a giudice dei valori in campo. Questo e' un pregio specifico di
questo libro, tanto piu' importante quanto infrequente nel panorama della
saggistica contemporanea spesso e volentieri contrassegnata da sanguinose,
quanto inutili e sterili, "guerre di religione". E' un pregio che l'autrice
difende lungo tutte le oltre quattrocento pagine con grande rigore e
coerenza, anche al prezzo di qualche timidezza che, almeno per chi scrive,
puo' perfino apparire eccessiva.
E' forse il caso delle pagine dedicate a Napoleoni, del quale si sarebbe
potuta sottolineare ed esplicitare ancora di piu' l'importanza e la
singolarita' nel quadro dei marxismi contemporanei, tanto piu' che nel
dibattito sopra ricordato dello stesso avviso si e' dichiarata l'autrice
stessa.
*
La considerazione qui svolta ci porta direttamente a sottolineare un altro
dei meriti principali di questo libro, che viene dichiarato e annunciato dal
suo stesso titolo. Bisogna dire che si tratta di una scelta coraggiosa. Qui
si parla di marxismi e non del marxismo. Finalmente si rompe la presunta
unita' sacrale del marxismo, per cui la sua storia sarebbe fatta solo di
successive implementazioni o deviazioni. Si accetta una pluralita' di
teorie, aventi tutte un ceppo comune, ma senza pretendere di tracciare il
fatidico filo rosso. Questa concezione non puo' non piacere particolarmente
a chi, come chi scrive, ritiene oggi necessario promuovere sul terreno
culturale un ritorno a Marx, ad un Marx non mutilato di nessuna sua parte. E
questo ritorno non puo' compiersi se non "distinguendo" da Marx e "mettendo
da parte", senza ovviamente ne' negarli ne' liquidarli, i marxismi
successivi.
L'autrice riesce a compiere questa scelta anche grazie ad un'opportuna
contestualizzazione dei diversi marxismi. Non siamo certo di fronte ad una
storia "sociale" dei marxismi, questa resta pienamente una storia delle
teorie, ma del loro evolversi si coglie sempre un nesso dialetticamente
causale con la realta' sociale ed economica e con il contesto politico e
culturale.
*
Centrale, nella narrazione dell'autrice, e' la svolta degli anni Settanta.
Li' molti elementi che avevano caratterizzato le precedenti letture del
marxismo entrano in crisi e cio' avviene mentre nel mondo maturano quegli
elementi che determinano la moderna globalizzazione capitalistica, dal
superamento del paradigma produttivo del fordismo-taylorismo alla crisi
dello stato sociale, dal crollo dei vecchi istituti che in qualche modo
governavano la finanza mondiale alla riduzione e alla modificazione dei
poteri dello stato-nazione, per non parlare dell'evidenziarsi di un rapido
sfaldamento dei regimi del "socialismo reale".
In questo quadro le esistenti letture del marxismo patiscono una crisi che
si articola essenzialmente attorno a tre grandi nodi teorici, ancora oggi al
centro della riflessione attuale: il problema della trasformazione del
valore in prezzi, acuito dalla conoscenza dell'opera sraffiana; la questione
della teoria dell'estinzione dello stato; il tema della dialettica. Come si
vede un problema eminentemente di teoria economica, un secondo di teoria
politica, un terzo di filosofia.
Non tutti i marxismi successivi, quelli che animano il dibattito attuale,
sono incastonabili solo entro il tentativo di soluzione di questi tre
problemi, basta pensare a come l'irrompere dei movimenti su scala mondiale,
in particolare all'inizio del nuovo secolo, abbia sensibilmente modificato
l'ordine e il peso delle tematiche su cui verte la riflessione teorica. Ne'
si puo' dimenticare quanto e' maturato nell'incontro, sempre difficile, tra
i marxismi e il pensiero che muove dalla differenza di genere, o tra i primi
e quello che insiste sulla difesa dell'ambiente, della natura, del vivente
non umano.
Ma queste nuove dimensioni non possono che essere soltanto accennate
dall'autrice. Mi riferisco in particolare alle pagine che essa dedica alla
individuazione delle caratteristiche della globalizzazione capitalistica,
alla critica delle teorie sulla fine del lavoro, alle diverse posizioni sul
delinearsi di un mondo dominato da un impero e sulla crisi dello
stato-nazione, alla individuazione del postmoderno come approfondimento del
rapporto capitalistico di produzione e della diffusione dell'astratto "sia
nel mondo della produzione che in quello del consumo, sia nell'agire
interindividuale che nello spazio intrapsichico", per usare le parole di
Roberto Finelli.
La storia dei marxismi continua e libri come questo, facendoci conoscere il
pensiero fin qui accumulato nelle sue diverse accezioni e senza mutilazioni,
aiutano a renderla ancora piu' vivace e fertile. Infatti, come diceva il
grande matematico e filosofo francese Rene' Thom "il nemico del vero non e'
il falso, ma l'insignificante".

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1115 del 15 novembre 2005

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it