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La domenica della nonviolenza. 47
- Subject: La domenica della nonviolenza. 47
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Nov 2005 11:37:15 +0100
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 47 del 13 novembre 2005 In questo numero: 1. Riedizioni: Emily Dickinson, Tutte le poesie 2. Anissa Helie: La doppia oppressione contro le donne in Iraq 3. Giulio Vittorangeli: Il dovere di ricordare 4. Maria Rosa Cutrufelli: Una polemica pasoliniana 5. Lea Melandri: Il circolo degli uomini 6. Un libro di Arturo Paoli e Francesco Comina 1. RIEDIZIONI. EMILY DICKINSON: TUTTE LE POESIE Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, pp. LXII + 1858, euro 12,90. La fondamentale edizione integrale dell'opera poetica dickinsoniana curata da Marisa Bulgheroni nella collana dei Meridiani, ripubblicata e diffusa in edicola in supplemento a vari settimanali del gruppo editoriale Mondadori ad un prezzo vantaggiosissimo. Con testo orginale a fronte, apparato critico, accurati indici, repertorio iconografico, una sezione di versioni d'autore: un volume irrinunciabile. L'opera di Emily Dickinson, come nessuno ignora, e' - come quella di Omero, di Dante, di Shakespeare, di Kafka - una delle glorie dell'umanita', ed all'umanita' uno dei fondamentali appelli. 2. RIFLESSIONE. ANISSA HELIE: LA DOPPIA OPPRESSIONE CONTRO LE DONNE IN IRAQ [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Anissa Helie. Anissa Helie, storica, femminista, attivista per i diritti umani, fa parte del network "Women Living Under Muslim Laws" ("Donne che vivono sotto le leggi islamiche") fin dalla fondazione nel 1984] L'8 febbraio 2005, la rete femminista ed antimilitarista delle Donne in nero lancio' un appello urgente per l'immediata liberazione di Giuliana Sgrena, una giornalista italiana che era stata rapita in Iraq da un gruppo islamista militante (e che venne poi ferita dalle truppe Usa mentre, rilasciata, era sulla strada verso la sicurezza) (1). Tre giorni dopo l'appello, vari gruppi di Donne in nero nel mondo si erano mobilitati, e si tennero 463 veglie silenziose attraverso i continenti. Mentre questa fu senz'altro una dimostrazione dell'efficienza e della forza della solidarieta' delle donne a livello globale, la vicenda in se' e' solo una dei tante manifestazioni della violenza montante contro le donne in Iraq. Le truppe statunitensi ivi dislocate, 140.000 unita', contano un numero sempre crescente di perdite (2), mentre l'occupazione solleva molti problemi, dalle denunce di crimini di guerra al sostegno al nuovo governo iracheno basato su affiliazioni tribali, etniche e religiose, un fatto quest'ultimo che avra' implicazioni a lungo termine per la regione. Tuttavia, il contesto iracheno non e' segnato solo dall'occupazione statunitense, ma anche dal sorgere di una lotta armata estremista islamica che ha fra i suoi bersagli le donne. La sinistra dovrebbe evitare i romanticismi su forze che, nonostante dichiarino come primo impegno l'opposizione all'imperialismo statunitense, stanno in effetti perseguendo un'agenda fondamentalista in Iraq. La sinistra ha anche bisogno di porre attenzione all'incursione della destra estremista musulmana in occidente, e di opporvisi. * L'attuale tendenza alla violenza contro le donne in Iraq dovrebbe essere vista nel piu' ampio contesto delle violazioni ai diritti umani, come quelle perpetrate dalle truppe Usa ai danni di detenuti e civili, inclusi i bambini. Invero, la disumanizzazione di chiunque venga identificato come "arabo" o "musulmano" dopo l'11 settembre, ed una cultura di razzismo istituzionalizzato all'interno dell'esercito americano (3), hanno condotto a numerosi atti di brutalita'. Ci sono prove concrete, suffragate da Amnesty International e Human Rights Watch, che donne irachene hanno sofferto abusi e torture dalle mani dei militari Usa (4). Il crollo della societa' irachena provocato dall'occupazione ha anche avuto un effetto dannoso sulle donne. La situazione corrente, a livello di sicurezza, e' tale che i genitori sono riluttanti a mandare a scuola le figlie senza accompagnarle, e un gran numero di ragazze adolescenti hanno abbandonato gli studi. Le minacce di violenza sessuale ed omicidio hanno anche indotto le donne che avevano una professione a lasciare il lavoro. Donne e ragazze irachene (alcune di solo nove anni) vengono rapite sia per riscatto che per essere vendute (5). La violenza diffusa diminuisce anche la partecipazione delle donne in politica: in seguito all'omicidio di Akila al-Hashimi (una delle tre donne che partecipavano al governo provvisorio), molte attiviste si sono ritirate dalla sfera pubblica. Eppure, una recente inchiesta sul dopoguerra delle donne irachene mostra quanto esse continuino a dare valore al proprio accesso ai diritti politici e legali. Questo studio, effettuato nel gennaio 2005 da "Women for Women International", in collaborazione con l'Iraq Center for Research and Strategic Studies, e' un altro esempio della solidarieta' internazionale delle donne (6). * In aggiunta alla distruzione delle infrastrutture di base, ad una terribile mancanza di sicurezza, ed alla violenza per mano delle forze di occupazione, l'emergere e il crescere dell'estremismo religioso pone ulteriori minacce alle vite delle donne irachene. In un progetto che va al di la' dell'imporre una rigida ideologia di genere, i gruppi armati fondamentalisti colpiscono specificatamente le donne per indurre paura e disperazione fra i comuni cittadini. Cio' spesso prelude all'imposizione di uno stato islamico. Il lavoro d'indagine di "Women Living Under Muslim Laws" (Wluml) mostra che c'e' uno schema, all'opera in Iraq, che si e' piu' volte ripetuto in numerosi altri contesti: la violenza contro le donne come forma di intimidazione politica e' una delle strategie che le forze dell'estrema destra religiosa impiegano sistematicamente (7). Mentre tentano di assicurarsi il potere politico, i fondamentalisti di svariati credi (hindu, musulmani, cristiani, eccetera) spesso iniziano con l'intimidazione, la persecuzione, i rapimenti e gli omicidi di donne e appartenenti a minoranze. Le minoranze religiose, etniche e sessuali sono particolarmente a rischio. Dopo di che le forze fondamentaliste si muovono verso il terrorizzare tutte gli altri cittadini che potrebbero opporsi al loro progetto autoritario e teocratico. Per esempio, un gruppo estremista iracheno chiamato Mujahidin Shura (Consiglio dei combattenti) ha annunciato che uccidera' qualunque donna da loro vista senza velo sulle strade. Il caso di Zeena Al Qushtaini ha dimostrato che non si tratta di vuote minacce. Zeena, una femminista, attivista per i diritti delle donne e donna d'affari, che vestiva all'occidentale, e' stata rapita e uccisa dal gruppo armato islamico Jamaat al Tawhid wa'l-Jihad. Il suo corpo e' stato trovato avvolto nell'abito tradizionale detto "abaya", che Zeena aveva rifiutato di indossare per tutta la sua vita. Pinzato alla stoffa c'era il messaggio: "Costei era una collaborazionista contro l'Islam". Gli estremisti musulmani si sono gia' spinti fino ad assassinare parrucchieri uomini e donne, accusati di promuovere mode occidentali (8). Altri loro bersagli specifici sono i dirigenti sindacali e uomini e donne omosessuali (9). Anche le minoranze religiose sono sotto attacco, come i cristiani a Mosul: alla donne cristiane delle comunita' e' stata data la caccia in quella che e' stata chiamata la "campagna dello stupro" (10). Stante il loro progetto politico, e le tattiche violente che usano, come possono tali gruppi ricevere legittimazione in occidente? E' necessario riflettere un attimo sulla natura del linguaggio che viene usato per riferirsi a questi sempre piu' potenti attori politici. * I media piu' seguiti in occidente e le organizzazioni per i diritti umani tendono a descrivere gli atti di violenza di questi militanti usando il termine "insorgenza". C'e' anche la tendenza, all'interno della sinistra e del femminismo, a mettere l'etichetta "resistenza" sugli estremisti musulmani (che uccidono, stuprano, rapiscono donne e bambine, e hanno per bersaglio i civili). Cio' che e' molto problematico in questa faccenda e' che la parola "resistenza" ha una connotazione eroica e rivoluzionaria che lascia inesplorata l'agenda politica delle fazioni fondamentaliste in Iraq. In Gran Bretagna, voci autorevoli della sinistra hanno reso ancor piu' romantica la "resistenza armata contro l'imperialismo", paragonandola alle lotte di indipendenza in Vietnam ed Algeria (11). Vale la pena di ricordare che ci sono un gran numero di civili disarmati, cosi' come gruppi delle piu' svariate tendenze politiche, che si oppongono all'occupazione eppure non commettono in atti di violenza o violazioni di diritti umani. I combattenti islamisti non dovrebbero essere confusi con i movimenti di liberazione nazionale. L'etichetta "resistenza" produce confusione politica nel contesto iracheno, almeno fino a che si riferisce ai gruppi fondamentalisti islamici. E' inadeguata, poiche' l'enfasi e' posta in modo ristretto sul rigetto dell'occupazione americana. Nonostante le dichiarazioni antimperialiste dei capi dei gruppi armati, sembra alquanto improbabile che al ritiro delle truppe statunitensi la persecuzione delle donne o delle minoranze religiose e sessuali si arrestera': perche' cio' che e' veramente in gioco e' un'agenda che mira a instaurare un regime politico su base teocratica. Riferirsi ai "combattenti della resistenza" e' pure pericoloso, perche' valorizza e glorifica i militanti della destra estremista musulmana, e rende invisibile la natura autoritaria dei movimenti di estrema destra che usano religione, cultura ed etnia per imporre il loro progetto politico alla gente comune. * Cio' che abbiamo oggi in Iraq si chiama violenza. Cio' che abbiamo e' una lotta per il potere, con varie forze che usano mezzi estremamente violenti e li motivano in modo diverso. Alcuni usano la retorica della "democrazia" e della "esportazione della liberta'", altri usano la retorica della "resistenza all'imperialismo". Alleanze progressiste in occidente adottano un linguaggio che semplifica e mistifica realta' politiche complesse: peggio ancora e' la tendenza crescente per gruppi ed individui che si identificano come "sinistra" a sostenere la destra estremista musulmana sulla base della loro (sedicente) lotta contro l'imperialismo. Sempre piu' attivisti abbracciano strategie di breve respiro, insistendo per esempio sul fatto che in occidente "il movimento contro la guerra non deve perdere di vista il fatto che il nemico principale e' in casa propria, e che ogni resistenza a questo nemico merita il nostro sostegno incondizionato" (12). Cio' che allarma in questa dichiarazione e' l'immediato "sostegno incondizionato", senza alcun riguardo per le ideologie, le pratiche e gli atti di violenza commessi da tali gruppi. Nel contesto musulmano, come ovunque, ci sono voci progressiste e voci reazionarie. Talvolta, seguono la strategia summenzionata, ovvero "il nemico del mio nemico e' mio amico", anche se l'Iran postrivoluzionario dovrebbe averci insegnato a non confondere le voci di chi e' contro le donne, le minoranze e le differenze, con le voci femministe e progressiste. Questa confusione ideologica non va perduta, all'orecchio dei musulmani fondamentalisti, che sono tutto tranne che politicamente ingenui. In effetti, i loro leader si avvantaggiano del malriposto senso di colpa bianco per espandere la loro presa. Le mani insanguinate minacciano, e gli intellettuali istruiti incantano: questa e' la divisione del lavoro negli estremisti. Coscienti della realta' del razzismo, e nello sforzo di essere amici degli oppressi, dagli scrittori agli accademici ai leader politici, gli occidentali cercano un "punto di vista musulmano" praticamente su qualsiasi cosa. Se il punto di vista e' conservatore o reazionario, lo considerano piu' autentico. I progressisti o i liberali non hanno per loro il profumo dell'esotico. In questo modo, punti di vista pericolosamente rigidi sono offerti come la "vera" espressione di tutti i musulmani. Lo spazio del dissenso viene monopolizzato dai fondamentalisti, alle spese di laici, femministe e democratici. * Tre esempi possono far luce su quest'ultimo punto. a) Il lavoro di pressione fatto in Ontario, Canada, dai cosiddetti fondamentalisti "moderati" per introdurre la sharia (l'interpretazione della giurisprudenza musulmana, che in alcuni paesi prevede pene quali la fustigazione, l'amputazione di arti e la lapidazione) di modo che la "comunita' musulmana" potesse risolvere i conflitti familiari senza interferenze (13). Simili pressioni sono state esercitate anche in Europa ed Australia. Tralasciando il fatto che le leggi modellate sulle religioni si sono mostrate estremamente avverse ai diritti umani delle donne in numerosi contesti, il problema e' che l'argomentazione "multiculturale" conduce troppi, a sinistra, a sostenere ciecamente agende oppressive. b) Il governo britannico, introducendo la nuova legge sull'eguaglianza (Equality Bill) nel febbraio 2005, ha deciso di dare priorita' alla discriminazione su base religiosa, e ha rigettato l'inclusione della discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale, per paura che "i musulmani potessero offendersi ad essere messi insieme agli omosessuali" (14). Uno puo' solo chiedersi quanto i gay e le lesbiche della comunita' musulmana abbiano apprezzato il sacrificio dei diritti alla non discriminazione sessuale sull'altare della liberta' religiosa. c) Infine, il Forum sociale europeo tenutosi a Londra nell'ottobre 2004, avrebbe dovuto portare a dibattere insieme un gran numero di attivisti su istanze quali: "globalizzazione imperialista, settarismo religioso, identita' politiche e fondamentalismo". Tristemente, gli organizzatori si sono vantati di aver invitato un bel po' di estremisti musulmani. Allo stesso tempo, hanno scoraggiato attivamente iniziative piu' progressiste, come la proposta di un seminario che includeva relatrici e relatori di vari gruppi femministi e di network internazionali (Wluml, Women Against Fundamentalism, Catholics For a Free Choice, Act Together, eccetera). Mentre il Consiglio musulmano di Gran Bretagna e altri simili invitati avevano accesso a tutte le facilitazioni disponibili nei numerosi seminari organizzati, la richiesta dell'iniziativa femminista di avere il servizio di traduzione e' stata respinta. Mi domando se questo sia accaduto perche' le femministe intendevano parlare della "profana alleanza" tra la sinistra e le forze estremiste di destra musulmane, e cio' e' stato ritenuto minaccioso. * Non si tratta di episodi isolati. Allarmi su a cosa tali alleanze potranno portare su larga scala erano gia' stati messi in circolo da gruppi femministi internazionali (15). I fondamentalisti cercano sostegno dalle forze progressiste allettandole con gli stessi ideali a cui essi si dicono fedeli, come l'eguaglianza, l'antirazzismo, la liberta' di espressione. In questo momento storico, in cui vediamo le forze dell'estrema destra guadagnare terreno (che sia negli Usa con la destra cristiana, in Iraq, Bangladesh, o dovunque) la necessita' di solidarieta' internazionale diventa ancora piu' urgente. Evitare di mescolare identita' culturali e religiose, e riconoscere che non tutti coloro che sono nati in un contesto musulmano sono credenti, o hanno scelto di definirsi principalmente in base alla loro fede, sarebbe un buon primo passo. In effetti, con i fondamentalismi che si coalizzano attraversando confini culturali e religiosi (16) dovremmo noi stessi, progressisti e femministe di vari orizzonti, comporre insieme strategie comuni di resistenza ai gruppi che praticano la violenza e l'oppressione contro le donne e le persone in generale. Credo si tratti di una priorita', e di un'opportunita' per rafforzare la nostra solidarieta' a livello globale. * Note 1. Scahill, Jeremy, "No checkpoint, no self defense", AlterNet, 28 marzo 2005. www.alternet.org/story/21613 2. American Friends Service Committee, "Wage Peace" Movie (due minuti). www.afsc.org/iraq//movie.html 3. Rockwell, Paul, "New Revelations about Racism in the Military - Army Reservist Witnesses War Crimes", The Black Commentator, 7 aprile 2005, n. 133. www.blackcommentator.com/133/133_think_racism_military.html 4. Amnesty International, "Iraq: Decades of Suffering, Now Women Deserve Better", 22 febbraio 2005. web.amnesty.org/library/Index/ENGMDE140012005 Ed anche "U.S. Investigate Rumsfeld, Tenet for Torture", Human Rights Watch, 24 aprile 2005. www.hrw.org/english/docs/2005/04/24/usint10511.htm 6. Firmo-Fontan, Victoria, "Abducted, Beaten And Sold Into Prostitution: A Tale From Iraq', The Independent, 26 luglio 2004. www.countercurrents.org/iraq-fontan260704.htm 7. Women for Women International, "Windows of opportunity: The pursuit of gender equality on post-war Iraq", gennaio 2005. www.womenforwomen.org/Downloads/Iraq_Paper_0105.pdf 8. www.wluml.org 9. Osborn, Mark, "Iraqi Union leader murdered. 'Resistance' targets trade unions, women, lesbians and gay men", 12 gennaio 2005. www.workersliberty.org/node/view/3532 10. Associated Press, "Iraqi Christians Keep Low Profile", 13 novembre 2004. www.foxnews.com/story/0,2933,138375,00.html 11. Tariq Ali talks to Socialist Worker about empire and those who fight against it, Socialist Worker, n. 239, marzo/aprile 2005. www.swp.ie/socialistworker/2005/sw239/socialistworker-239-9.htm 12. Smith, Sharon, "The Right to Resist Occupation - The Anti-War Movement and the Iraqi Resistance", CounterPunch, 21 gennaio 2005. www.counterpunch.org/smith01212005.html 13. Per l'uso che i musulmani di destra fanno dell'Arbitration Act 1991, vedasi Canadian Council of Muslim Women's website: www.ccmw.com ed anche: "Canada: Support Canadian women's struggle against Shari'a courts", Wluml, 7 marzo 2005. www.wluml.org/english/actionsfulltxt.shtml?cmd[156]=i-156-180177 14. Cracknell, David, "Discrimination bill snubs gays to save Muslim vote", The Sunday Times, 27 febbraio 2005. www.the-times.co.uk (nell'appendice). 15. "Dichiarazione del Wluml al World Social Forum Appello contro i fondamentalismi", 21 gennaio 2005. www.wluml.org/english/newsfulltxt.shtml?cmd[157]=x-157-103376 16. Whitaker, Brian, "Fundamental union - When it comes to defining family values, conservative Christians and Muslims are united against liberal secularists", The Guardian, 25 gennaio 2005. www.guardian.co.uk/elsewhere/journalist/story/0,,1398055,00.html 3. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI: IL DOVERE DI RICORDARE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'". Sula strage dell'Universita' centroamericana (in sigla: Uca) di San Salvador, in cui furono trucidati Joaquin Lopez y Lopez, Ignacio Ellacuria, Segundo Montes Mozo, Juan Ramon Moreno Pardo, Jose' Ignacio Martin-Baro', Amando Lopez Quintana, Elba Julia Ramos, Celina Maricet Ramos, si veda il libro di Jon Sobrino e i suoi compagni dell'Uca, Il martirio dei gesuiti salvadoregni nelle parole dei sopravvissuti, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 1990] Tutti ricordiamo gli ultimi mesi del 1989, in Europa crollava il muro di Berlino e l'attenzione internazionale veniva catturata da questo importantissimo avvenimento (il crollo dell'Est e la fine del bipolarismo), oscurando ogni altra vicenda. Il 16 novembre, sempre del 1989, nella capitale salvadoregna venivano uccisi sei gesuiti, mentre l'offensiva della guerriglia (Fmln) era al suo culmine. Morti scomode, ma passate sotto silenzio ieri come oggi, perche' avvenute nella parte sbagliata del mondo. Se fossero avvenute a Varsavia (per fare un esempio), avrebbero avuto la commozione dei nostri telegiornali, l'indignazione delle grandi firme giornalistiche, le messe e il lutto pontificale. Certo dei martiri, ma martiri solo per i popoli centroamericani. Le foto dell'eccidio all'Universita' centroamericana (Uca), con la loro atmosfera irreale, giunsero con imperdonabile ritardo, anche in Italia. La visione dei quattro cadaveri nell'androne, vicino al muro lungo il quale erano stati assassinati - solo piu' tardi si seppe che gli assassini avevano spostato i corpi dopo l'omicidio con il proposito, non riuscito, di riportarli nelle stanze dalle quali li avevano strappati all'alba - era sconvolgente. Il cadavere di Ellacuria era irriconoscibile. L'impatto dei colpi sparati da una distanza ravvicinata ne aveva deformato il cranio; il cervello era sparso sul muro contro il quale era stato fucilato. Quel cervello aveva prodotto le idee piu' generose e brillanti che si fossero ascoltate nel Salvador da molti anni. Altri due religiosi erano stati trasportati nelle loro camere ed era visibile la traccia del sangue lasciato a terra. Anche la donna che faceva i lavori domestici nella residenza e sua figlia erano state uccise dai criminali che non volevano testimoni. L'assassinio di Ellacuria e dei suoi compagni era stato annunciato da tempo, erano l'obiettivo designato dai militari e dagli squadroni della morte salvadoregni. Nonostante questo, l'ambasciatore statunitense William Walker, il dipartimento di Stato e il Pentagono incolparono del delitto la guerriglia e fecero di tutto per ostacolare le indagini. Walker e' lo stesso che poco tempo prima aveva occupato l'ambasciata statunitense in Nicaragua e che nel 1999 ha presieduto la commissione Osce che ha visitato il Kossovo prima della guerra e che ha portato al duro scontro con Milosevic. Per un breve momento, l'allora presidente George Bush si trovo' in difficolta'. Una commissione investigativa del Congresso si impegno' per svelare la verita' e ammise la responsabilita' diretta, nella pianificazione dell'assassinio, del capo di stato maggiore dell'esercito, il colonnello Rene' Emilio Ponce, che sarebbe poi diventato ministro della difesa. Per il massacro venne condannato solo un ufficiale: il colonnello Guillermo Benavides, direttore della Scuola militare. Il processo, che si e' poi svolto in Salvador, ha stabilito la complicita' di un solo altro membro dell'esercito, ma i risultati hanno lasciato insoddisfatti i compagni dei re ligiosi assassinati e tutti quelli che conoscevano la verita' dei fatti. Ellacuria era un vero intellettuale; mentre altri sacerdoti si dedicavano al lavoro quotidiano nella comunita' povera, lui era piu' degli altri l'ispiratore, colui che elaborava la riflessione, fonte costante di rinnovamento per la Chiesa e di preoccupazione per la curia romana. Dal Vaticano parti' una vera e propria aggressione alle espressioni pastorali della teologia della liberazione in tutta l'America Latina. Comunque, l'assassinio di Ellacuria e degli altri cinque sacerdoti certamente diede la spinta per una conclusione piu' rapida della guerra. Solamente che la loro memoria e' oggi sfortunatamente scarsa. Il loro messaggio, a giudicare dalla violenza, questa volta sotto forma di delinquenza comune, che continua a insanguinare il Salvador, non si e' diffuso a sufficienza tra coloro per i quali donarono la vita. Nella cappella nella quale e' stato celebrato il loro funerale sono incise alcune parole di un altro uomo della Chiesa caduto nello stesso paese, il vescovo Oscar Romero: "Se mi uccidono, resuscitero' nel popolo salvadoregno". Certo anche la nostra memoria e' scarsa, del resto a quindici anni dal crollo del Muro il mondo e' profondamente cambiato; i conflitti attuali non consentono piu' la divisione in due campi netti, di qua gli oppressi di la' gli oppressori, mentre impazza la regressione identitaria e fondamentalista. Ma resta ineludibile la necessita' di cambiare il mondo, questo mondo; credenti e no, abbiamo il diritto di progettare, sognare una societa' nuova, abbiamo il dovere di costruirla, anche in questi tempi bui, anche nella notte. 4. RIFLESSIONE. MARIA ROSA CUTRUFELLI: UNA POLEMICA PASOLINIANA [Dal quotidiano "Liberazione" del 30 ottobre 2005. Maria Rosa Cutrufelli e' nata a Messina e vive a Roma, intellettuale impegnata nel movimento delle donne, ricercatrice, saggista, narratrice, giornalista, direttrice di "Tuttestorie", rivista di narrativa di donne. Opere di Maria Rosa Cutrufelli: L'invenzione della donna, Mazzotta, Milano 1974; L'unita' d'Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud, Bertani, 1974; Disoccupata con onore. Lavoro e condizione della donna, Mazzotta, Milano 1975; Donna perche' piangi, Mazzotta, Milano 1976; Economia e politica dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980; Il cliente. Inchiesta sulla domanda di prostituzione, 1981; Mama Africa. Storia di donne e di utopie, Feltrinelli, Milano 1989; La Briganta, La Luna, Palermo 1990; Il denaro in corpo, Marco Tropea Editore, Milano 1996; (a cura di), Nella citta' proibita, Marco Tropea Editore, Milano 1997, Net, Milano 2003; Lontano da casa, Rai, 1997; Canto al deserto. Storia di Tina, soldato di mafia, Longanesi, Milano 1994, Tea, Milano 1997; Il paese dei figli perduti, Marco Tropea Editore, Milano 1999; Giorni d'acqua corrente. Quando la vita delle donne diventa racconto, Pratiche Editrice, Milano 2002; Terrona, Citta' Aperta, Troina (En) 2004; La donna che visse per un sogno, Frassinelli, Milano 2004. Pier Paolo Pasolini, scrittore, regista cinematografico, operatore culturale, polemista, artista e intellettuale di straordinario impegno civile, nato a Bologna nel 1922, ed ucciso ad Ostia nel 1975. Opere di Pier Paolo Pasolini: a noi interessano particolarmente qui alcune raccolte di saggi e di interventi giornalistici: Passione e ideologia, Empirismo eretico, e soprattutto Scritti corsari e Lettere luterane. Ma tanta parte del suo contributo di artista-critico e di pensatore e' nei suoi lavori in versi, in prosa e cinematografici (ed in particolare anche in alcuni lavori apparentemente marginali o extravaganti come la parte da lui realizzata per il film di montaggio La rabbia, gli Appunti per un film sull'India, gli Appunti per un'Orestiade africana, Le mura di Sana'a). Della sua opera cinematografica, di grande valore e bellezza (ed in alcuni casi di straordinaria limpidezza e suggestione morale), solo il film Salo' ci sembra assolutamente ripugnante, un film di un tale orrore che averlo realizzato ci pare un atto inammissibile. Opere su Pier Paolo Pasolini: ovviamente va letto innanzitutto il volume di Franco Fortini, Attraverso Pasolini, Einaudi. E l'antologia a cura di Franco Brevini, Per conoscere Pasolini, Mondadori. Inoltre: sullo scrittore cfr. Tommaso Anzoino, Pasolini, La Nuova Italia; sul cineasta cfr. Serafino Murri, Pasolini, Il Castoro Cinema; Adelio Ferrero, Il cinema di Pier Paolo Pasolini, Mondadori. Un interessante volume sul difficile rapporto di Pasolini con l'omosessualita' e' quello a cura di Stefano Casi, Desiderio di Pasolini, Sonda, Torino-Milano 1990 (che segnaliamo in particolare per il notevolissimo saggio di Giovanni Dall'Orto, Contro Pasolini). Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978; Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990] "Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perche' la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio". Con queste parole Pasolini comincio', il 19 gennaio del 1975, la sua polemica contro l'aborto, che duro' a lungo fra prese di posizioni, repliche e controrepliche, ospitate per lo piu' sul "Corriere della sera". Io ricordavo bene queste parole, ma non gli argomenti con cui Pasolini le motivava, percio' sono andata a rileggermi tutti gli articoli dedicati al tema e raccolti negli Scritti corsari. Confesso che mi sono accinta alla rilettura con una punta di fastidio (presumevo di conoscere gia' tutte le obiezioni), ma poi, man mano che leggevo, i miei pensieri hanno preso una strana deriva... Dunque: cosa significa liberalizzare l'aborto? Significa (ed e' una delle critiche principali, da parte di Pasolini) rendere facile il coito. Significa un'esaltazione oggettiva "dell'accoppiamento eterosessuale", che "non ha piu' ostacoli". La liberta' sessuale, in quest'ottica, si trasforma in "un obbligo, un dovere sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualita' di vita del consumatore". La liberta', insomma, si degrada in consumo. Consumo di sesso "etero", beninteso, perche' il trionfo della coppia uomo-donna rende ancora piu' marginale, e anzi intollerabile, ogni altro tipo di sessualita'. "Il coito - dice Pasolini - e' politico. Dunque non si puo' parlare politicamente in concreto dell'aborto, senza considerare come politico il coito". Sacrosante parole! Ma... non l'aveva gia' detto qualcuno? Carla Lonzi, per esempio: "Contraccettivi, aborto, sterilizzazione, rivelano un'incongruenza del mondo patriarcale che, invece di porre in discussione il modello sessuale procreativo come modello 'naturale', lo riconferma mobilitando una serie di misure che rendono l'atto procreativo non-procreativo". Parole del 1971. E poi, scrive Pasolini, invece di lottare per la legalizzazione dell'aborto, non sarebbe forse meglio lottare per "una serie di liberalizzazioni reali riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralita' dell'onore sessuale?". Be', mi dico, questo senz'altro suona un po' riduttivo. In fondo (scusate la pedanteria, ma ognuno, se non altro, ha diritto ai suoi ricordi), in fondo il femminismo aveva gia' detto cose ben piu' radicali. Per esempio: "Perche' l'aborto non sia un nuovo strumento di oppressione (sic), esso deve rientrare in un programma di mutamento radicale delle nostre condizioni... e il nostro movimento sara' il solo garante che l'aborto non sia la cinica scelta di uno Stato che comincia a considerare piu' economico prevenire la nascita di milioni di bambini, scaricandone la responsabilita' sulla donna, piuttosto che ammazzarli dopo, in guerra, sul lavoro, in ospedali che fanno schifo". Firmato: movimento femminista padovano. Eravamo a maggio del 1973. Dunque, quel che deduco dalla mia rilettura e' che fino a questo punto le riflessioni di Pasolini non erano poi cosi' inconciliabili con le riflessioni che andava facendo (o che aveva gia' fatto) il femminismo dell'epoca. Pero' c'e' quella dichiarazione iniziale: perentoria, senza sfumature. E in nessuno dei cinque lunghi articoli dedicati all'argomento si fa cenno, mai, a quell'articolo di legge che il femminismo allora considerava irrinunciabile: l'autodeterminazione delle donne. Cioe' il riconoscimento che il corpo femminile non e' "un luogo pubblico" da controllare, normare, espropriare a piacere. Il corpo della donna non puo' essere ridotto a "un ambiente uterino per l'approvvigionamento di un feto" (come denuncia Barbara Duden). Eppure e' proprio Pasolini - che si dice contrario alla legalizzazione dell'aborto "per una serie caotica, tumultuosa ed emozionante di ragioni" - a rivendicare l'esperienza del corpo come fondamento di ogni relazione e di ogni possibilita' di pensiero. E' dal contatto con la gente, scrive, "e' da questa esperienza esistenziale, diretta, concreta, drammatica, corporea, che nascono in conclusione tutti i miei discorsi ideologici". Ma, viene da chiedersi, su quale esperienza Pasolini fonda la sua opinione in merito all'aborto? Da quale esperienza di vita trae alimento la sua "ideologia"? Intanto sono uomini, e uomini soltanto, quelli a cui spiega la sua posizione: e' loro che ascolta, a loro si rivolge, con loro discute e s'infuria. Giornalisti, scrittori, politici, una lunga, lunghissima teoria d'intellettuali, i piu' importanti del tempo. Non e' colpa di Pasolini questa unidirezionalita' del discorso: all'epoca erano soltanto gli uomini a "fare opinione", come si suol dire. E' logico percio' che siano uomini i suoi interlocutori, anche se qualche donna qua e la' viene nominata, benche' incidentalmente, di sfuggita: Laura Betti, che lo ha rimproverato perche' nel suo articolo "manca fisiologicamente la donna", Adriana Seroni, con cui lo scrittore si dichiara d'accordo, Natalia Ginzburg che giustamente e' accusata di volgarita' per aver definito "squallido" l'amore omosessuale. Pero', pero'... anche Pasolini a dire il vero si macchia di una qualche volgarita', e precisamente quando nomina - incidentalmente, di sfuggita - le "oltranziste dell'aborto", cioe' le femministe che lamentano la solitudine della donna in questo dramma, e lui dice: "Capisco". Ma poi aggiunge: "Pero' quando era a letto non era sola". Gia'. E allora, per concludere, citero' proprio la frase provocatoria con cui Pasolini chiudeva il suo primo articolo: "Molti accuseranno questo mio intervento di essere personale, particolare, minoritario. Ebbene?". Ebbene: a volte anche un grande poeta, un poeta del corpo e delle sue emozioni, puo' non accorgersi d'avere un occhio ciclopico. Un occhio "unico", cieco all'esperienza altrui. 5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL CIRCOLO DEGLI UOMINI [Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 novembre 2005. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Nel libro L'ultimo paradosso (Einaudi 1986), presentato come "un quaderno di appunti, note, osservazioni, pensieri sui problemi fondamentali dell'esistenza", Alberto Asor Rosa scrive: "Uomini. Sediamo da secoli in gruppo intorno ad una tavola - non importa se rotonda o quadrata - impartendo il comando cui la nostra funzione ci abilita, distribuendo il potere che il nostro ruolo ci assegna. Anche fra amici indossiamo corazze: i momenti piu' intimi della nostra conversazione passano tra celate accuratamente abbassate. Le nostre mani sono chele in riposo. Gli orgogliosi sanno fare tutto questo con dignita' e fierezza, i vili lo ostentano codardamente per incutere timore: ma gli uni e gli altri stanno diritti solamente perche' c'e' una corazza a sostenere il filo della schiena o una spada a cui appoggiare il fianco stanco. Il nostro volto, il nostro corpo sono pur la', dietro quelle biancheggianti, livide spoglie. Ma non oseremmo pensare di rinunciare al nostro circolo e alle sue leggi neanche se ci fosse promessa in cambio una liberta' sconfinata, una gioia senza pari. Sediamo, intenti a noi stessi, alla nostra forma, al nostro decoro, al nostro eroismo, alla nostra dignita': al nostro essere-per-se', custodito da un simulacro d'acciaio e da una maschera di ferro. Intorno a noi ci sono soltanto o subalterni o buffoni: e tra essi mettiamo le donne, alle quali per giunta presumiamo di piacere e di dar piacere ostentando le virtu' cavalleresche, ossia tutto cio' che piu' ci allontana da loro. A forza di tenere il corpo in armatura, ne risultiamo un poco rattrappiti, le giunture scricchiolano e nel muovere ci procurano dolore. Talvolta ci sorge il sospetto che il nostro sacrificio, offerto a divinita' tanto astratte quanto crudeli come quelle che compongono la religione dell'ascetismo guerriero, sia scontato ed inutile, e persino oggi un poco patetico: ed aspiriamo ad uscire da qualche crepa della vecchia armatura, a scivolare furtivi sotto quel tavolo, per guadagnare la porta della riunione a uscire a respirare aria pura. Ma appena fissiamo lo sguardo nello sguardo dei nostri compagni, attraverso la fessura della celata... e vi scorgiamo la nostra stessa disperazione, la nostra prigionia, il nostro dolore, il nostro stesso smisurato orgoglio, il nostro disprezzo per tutti gli estranei alla cerchia - non appena sguardo con sguardo di nuovo s'incatena, subito il desiderio di liberta', l'ansia di gioia ci abbandonano -, e scopriamo che non potremo mai lasciarli... L'unico passo in avanti nella cultura degli uomini da due millenni a questa parte e' stato la soppressione del re: ma questa soppressione non ha cancellato il circolo, se mai lo ha rafforzato, liberandolo della maglia piu' debole. Sono secoli che gli esseri umani maschili vivono cosi'; e con questo modo di vita affonderanno". * Ho ripensato a questo frammento e al destino del libro che lo contiene - giudicato dagli intellettuali piu' vicini all'autore come meritevole di restare in solaio, dove sembra effettivamente rimasto -, dopo aver letto su "Liberazione" (6 novembre 2005) il punto di vista di dieci uomini sul tema "Maschi, perche' uccidete le donne?". Mi soffermo su due aspetti, che non finiscono di sorprendermi: la potenza - o prepotenza - che conserva tutt'ora la "neutralita'", l'abitudine dell'uomo di pensarsi e di parlare come prototipo unico della specie umana; e, per un altro verso, la repentinita' con cui essa puo' eclissarsi, come se avesse in effetti la leggerezza di una maschera che si puo' mettere e togliere a volonta'. Negli scritti pubblicati dal giornale, l'idea di un dominio maschile che attraversa da sempre la sfera privata e pubblica, la consapevolezza delle forme piu' o meno violente con cui si e' imposto il patriarcato, appaiono come verita' incontestabili, dati della propria esperienza e della propria formazione culturale, analisi che sembrano essere state presenti da sempre, sia pure in modo diverso, nell'impegno politico di ognuno. * Se le donne hanno dovuto faticosamente, tra mille inganni e ostacoli, "prendere coscienza" di un'oppressione, peraltro evidente, e sopportare che questa lucidita' si rivelasse estremamente fragile, pronta a scomparire dopo ogni piccola conquista, gli uomini, ragionando su una rappresentazione del mondo prodotta dalla storia dei loro simili hanno evidentemente una via di accesso piu' facile alla messa a nudo del sessismo, delle logiche d'amore e di violenza che lo sostengono, nonostante i progressi della civilta'. Perche' allora quella difesa estrema, sempre meno convinta eppure ostinata, della neutralita', che si esprime non solo nel cancellare dalle analisi politiche il rapporto tra i sessi, ma anche in quella copertura che e' la sua distorta collocazione tra le questioni sociali: emarginazione, cittadinanza incompleta, sfruttamento economico, beni comuni, ecc.? Le donne sembra che stentino a "sapere" quanto e' profonda l'espropriazione che hanno subito, quanto siano ancora lontane dalla percezione di se' come individualita' intere, corpo e pensiero, quanto siano propense ad accontentarsi di una emancipazione che le porta sulla scena del mondo con le stesse attribuzioni per cui ne sono state allontanate: corpo, sessualita', maternita'. Anche sulla violenza che subiscono quotidianamente, e che risulta essere ancora la causa prima della loro morte, cala spesso l'invisibilita', frutto di paure, intimidazioni, cosi' come di desideri e fantasie amorose mal riposte. Per quanto riguarda gli uomini, viene invece il sospetto che "sappiano" e che sia proprio l'evidenza del privilegio toccato loro storicamente e diventato "destino", copione di comportamenti obbligati, a dover essere in qualche modo aggirata, perche' colpevolizzante e quindi innominabile. La comunita' storica maschile ha visto cadere imperi, muraglie, confini, odi che sembravano irriducibili, eppure esita a far cadere le fragili pareti che separano la sua civilta' dalla porta di casa, l'immagine della sua "virilita'" pubblica dalla posizione di figlio, fratello, padre, marito, amante. Ma tutto cio' che scorre innominato sotto la storia rischia di diventare col tempo la galassia che la conduce a sua insaputa, che la ricopre via via di macerie e la tiene con lo sguardo rivolto all'indietro, cosicche' la speranza finisce per confondersi con la nostalgia, e il corpo femminile, su cui ancora si pretende di esercitare un possesso indiscusso, diventa, immaginariamente, la terra feconda, incontaminata, di rinascite a venire. * Lo spazio che si e' aperto su "Liberazione", interrogando uomini e donne sul destino che li ha confusi e contrapposti, si spera che da piccolo rigagnolo di riflessioni inedite diventi un fiume capace di dare nuova linfa alla politica e di allargarne gli argini, prima che lo facciano distruttivamente il mercato, le guerre o il fanatismo religioso. 6. LIBRI. UN LIBRO DI ARTURO PAOLI E FRANCESCO COMINA [Dagli amici delle Edizioni la meridiana (per contatti: info at lameridiana.it) riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente notizia editoriale. Arturo Paoli, religioso, costruttore di pace, saggista, e' una delle figure piu' vive della solidarieta' operosa e della nonviolenza in cammino; su di lui dal sito www.giovaniemissione.it riprendiamo la seguente scheda: "Arturo Paoli e' nato a Lucca nel 1912. Si laurea in lettere classiche a Pisa ed e' ordinato sacerdote nel 1940. Tra il '43 e il '44 partecipa alla Resistenza. Nel 1949 viene nominato assistente nazionale della Giac (Gioventu' Cattolica) mentre era alla presidenza Carlo Carretto. Assistente nazionale dell'Azione Cattolica negli anni '50, fu costretto alle dimissioni per le sue posizioni in contrasto con la gerarchia. Autore di numerose opere che potrebbero andare sotto il titolo di "spiritualita' della relazione", ha scritto fra gli anni '80 e i '90 la sua puntuale "Lettera dall'America Latina" ai lettori di "Nigrizia" (www.nigrizia.it). Nel 1954 riceve l'ordine di imbarcarsi come cappellano su una nave argentina destinata agli emigranti. Durante questi viaggi conosce i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld ed entra nella loro congregazione. Terminato il noviziato svolge il lavoro di magazziniere nel porto di Orano (Algeria) e poi nelle miniere di Monterangiu in Sardegna. Nel 1960 si reca in America Latina per avviare una nuova fondazione: qui vive con i boscaioli della foresta argentina. Quando il clima politico peronista si fa pesante, subisce una campagna denigratoria: il suo nome e' nell'elenco di quelli che devono essere soppressi. Nel 1974 si trasferisce in Venezuela; anche qui il suo lavoro e' di impegno pastorale e di promozione sociale. Nel 1983 comincia a soggiornare in Brasile, dove, dopo la dittatura militare, prende vita una chiesa che e' tra le piu' vive dell'America Latina. In Brasile ha fondato "Afa" (Associazione fraternita' alleanza), che e' una comunita' di laici impegnati in alcuni progetti di aiuto alle famiglie delle favelas: progetto Latte, Educazione, Salute, Donna, Informatizzazione. Nel 1999 lo Stato d'Israele gli conferisce la nomina a "Giusto tra le Nazioni" per aver aiutato e salvato alcuni ebrei nel 1944 all'epoca delle persecuzioni naziste. Il suo nome sara' scritto per sempre nel muro d'onore del Giardino dei Giusti dello Yad Vashem a Gerusalemme. Attualmente vive a Foz de Iguacu, nel barrio di Boa Esperanza. Da quarant'anni Arturo Paoli condivide la sua vita con i poveri, senza per questo rinunciare all'attivita' di conferenziere e animatore: collabora con diverse riviste ("Rocca", "Nigrizia", "Il Regno", "Jesus") e ha scritto una trentina di opere". Tra le opere di Arturo Paoli: Gesu' amore, 1960, Borla 1970; Dialogo della liberazione, 1969; La costruzione del Regno, Cittadella, Assisi 1971; Conversione, Cittadella, Assisi 1974; Il grido della terra,1976; Camminando si apre cammino, Gribaudi, Torino 1977; Cercando liberta', Gribaudi, Torino 1980; Tentando fraternita', Gribaudi, Torino 1981; Facendo verita', Gribaudi, Torino 1984; Le palme cantano speranza, Morcelliana, Brescia 1984; Testimoni della speranza, Morcelliana, Brescia 1989; Il silenzio, pienezza della parola, Cittadella, Assisi 1991, 1994, 2002; La radice dell'uomo, Morcelliana, Brescia; Camminando s'apre cammino, Cittadella, Assisi 1994; Il sacerdote e la donna, Marsilio, Venezia 1996; Progetto Gesu': una societa' fraterna, Cittadella, Assisi 1997; Quel che muore, quel che nasce, Sperling & Kupfer, Milano 2001; Un incontro difficile, Cittadella, Assisi 2001; con Remo Cacitti e Bruno Maggioni, La poverta', In dialogo, 2001; La gioia di essere liberi, Edizioni Messaggero di Padova, Padova 2002; Della mistica discorde, La meridiana, Molfetta (Ba) 2002; (con Francesco Comina), Qui la meta e' partire, La meridiana, Molfetta (Ba) 2005. Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) e' stato uno dei principali punti di riferimento in Italia della campagna di sostegno al si' al referendum brasiliano per proibire il commercio delle armi. Giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; (con Arturo Paoli), Qui la meta e' partire, La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e ad AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna] Fra pochi giorni sara' nelle librerie il libro di Arturo Paoli, Francesco Comina, Qui la meta e' partire, La meridiana, Molfetta 2005, pp. 112, euro 12. "Questo lungo dialogo nasce al mattino presto, verso le cinque, quando la luce comincia a svelare le cose del mondo. Arturo Paoli si alza e inizia a cantare". Quasi un secolo di vita e di storia in sole 112 pagine dove "la strada - come scrive Ettore Masina nella prefazione - sui cui Arturo cammina e' fiancheggiata dai ruderi di molte ideologie, speranze, illusioni, civilta', filosofie, piccoli Mozart (per dirla con Saint-Exupery) assassinati dalla miseria. Sulla stessa strada ha camminato la Chiesa, la 'sua' Chiesa: quella che egli enormemente ama ma della quale conosce il dramma di essere semper casta et meretrix". Un libro dove con limpidezza Arturo, incalzato dalle domande e dalle riflessioni di Francesco Comina, ricorda e mette insieme tasselli del suo impegno durante il fascismo (significativa e attuale la lettura del confronto tra De Gasperi e il vaticano), l'eco del Concilio, le speranze, l'affermarsi e le ragioni della teologia della liberazione, il cammino delle Chiese dell'America latina e soprattutto il suo cruccio e la sua ragion d'essere: l'altro. Meglio: il volto dell'altro. Che puo' farsi anche volto dell'Altro. Un libro in cui la saggezza senile apre al futuro, non declina, nemmeno a 93 anni, dalla responsabilita' dell'esserci "ora e qui", non si spoglia del "vizio della curiosita'" e dell'interesse per tutto cio' che di nuovo ogni alba offre. Un libro nel quale il lettore, pagina dopo pagina, assapora l'intimita' di una esperienza forte e leggera, lieve e radicale, fino a desiderare di rubarne il segreto. Per acquisti: e-mail: info at lameridiana.it Sconto del 20% per chi ordina il volume entro il 25 novembre. Di Arturo Paoli La meridiana ha pubblicato anche Della mistica discorde e Prendete e mangiate. Di Francesco Comina ha pubblciato anche Il sapore della liberta', dialogo con Marcelo Barros. Anche su questi volumi sconto del 20%. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 47 del 13 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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