La nonviolenza e' in cammino. 1113



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1113 del 13 novembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Flavio Lotti e Grazia Bellini: L'Italia chieda verita' e giustizia su
Fallujah
2. Andrea Cozzo: Un corso per operatori di pace
3. Chiara Zamboni: Dell'universita' e dei suoi bisogni
4. Marina Terragni: L'aborto, la morte, il dolore, il parlare
5. Un incontro con Maria Luisa Boccia il 14 novembre a Roma
6. Iaia Vantaggiato intervista Enzo Traverso
7. Enrico Peyretti: Dell'amore contro la guerra
8. Letture: Rita Melillo, Tutuch
9. Letture: Rosanna Schiralli: Ti parlo ma non mi senti
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. APPELLI. FLAVIO LOTTI E GRAZIA BELLINI: L'ITALIA CHIEDA VERITA' E
GIUSTIZIA SU FALLUJAH
[Dalla Tavola della pace (per contatti: e-mail: info at perlapace.it, sito:
www.tavoladellapace.it), la principale rete pacifista italiana, riceviamo e
volentieri diffondiamo. Flavio Lotti e Grazia Bellini sono i coordinatori
nazionali della Tavola della pace]

L'inchiesta di Rainews24 sull'utilizzo del fosforo bianco nella battaglia
che un anno fa ha portato alla conquista americana di Fallujah in Iraq
contiene le prove di una denuncia gravissima che non puo' e non deve
lasciarci indifferenti. Quanto chiaramente documentato per la prima volta da
Sigfrido Ranucci esige l'indignazione e la ferma reazione di tutti.
L'intero governo italiano e non solo il ministro della Difesa e' chiamato a
dire cosa sa dei fatti, ad assumere una chiara posizione politica di
condanna, a chiedere spiegazioni al governo americano e a promuovere l'avvio
di un'inchiesta da parte delle Nazioni Unite che faccia piena luce sul
massacro nascosto di Fallujah. Non basta dire che l'Italia non e'
responsabile di questi crimini. Troppo poco. Se davvero non vogliamo essere
complici dobbiamo intervenire.
La guerra pulita e intelligente esiste solo nella propaganda dei signori
della guerra. La guerra e' un "omicidio di massa" e in Iraq non e' affatto
finita. Per questo se l'Italia non vuole essere corresponsabile deve dire
basta alla guerra, ritirare le sue truppe e investire le sue migliori
energie per portare aiuto concreto alle popolazioni, difendere i diritti
umani e ridare spazio alla politica.
La marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre scorso e la manifestazione di
Washington del 24 settembre 2005 sono il segno di una straordinaria
mobilitazione che unisce il movimento per la pace del nostro paese a quello
che sta crescendo negli Stati Uniti.
L'inchiesta di Rainews24 che abbiamo immediatamente segnalato ai nostri
amici americani contribuira' ad aprire gli occhi anche di coloro che sino ad
oggi non hanno voluto vedere. Ci auguriamo che questo accada anche nel
nostro paese.
Con questo spirito aderiamo alle manifestazioni di protesta indette da
numerose organizzazioni per lunedi' 14 novembre a Roma e martedi' 15 a
Milano.

2. ESPERIENZE. ANDREA COZZO: UN CORSO PER OPERATORI DI PACE
[Ringraziamo Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) per questa bella
notizia. Andrea Cozzo e' docente universitario di cultura greca, studioso e
amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su
pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e
laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti
articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato
scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti:
Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali
della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo
1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una
societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e
nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta
nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di
lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e
violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci,
Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero
caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti),
"Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione.
Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di),
Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp.
87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una
ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002;
Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che
cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di),
Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi,
Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del
Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11
settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28;
Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa,
Edizioni Mimesis, Milano 2004]

E' iniziato da alcune settimane un corso per "Operatori di pace attraverso
la trasformazione nonviolenta dei conflitti" per una scuola polo che la
direzione generale dell'Ufficio scolastico regionale della Sicilia mi ha
chiesto di progettare e coordinare. Il corso, di 64 ore, vede la
partecipazione volontaria di 50 studenti e studentesse del terzo e quarto
anno di tutte le scuole superiori del comprensorio di Marsala (provincia di
Trapani) e di Bagheria (provincia di Palermo) e di tutors d'aula; alla sua
frequenza e' stato assegnato, previa verifica finale a marzo, un credito
scolastico. Si svolge in orario pomeridiano, in aggiunta al carico didattico
ordinario, presso le due scuole i cui presidi per primi hanno aderito al
progetto: il liceo classico Papa Giovanni XXIII di Marsala (preside prof. G.
Salvo) e il liceo scientifico D'Alessandro (preside il prof. G. Pagano), ed
e' articolato in tre moduli (teoria e tecniche della nonviolenza, storia
della nonviolenza, comunicazione di genere), ognuno comprendente tre
modalita' didattiche (lezioni frontali, seminari, laboratori). Ne sono
docenti persone che da tempo si sforzano di studiare e praticare  la
nonviolenza: Giuseppe Burgio, Sergio Di Vita, Vincenzo Sanfilippo, Isabella
Tondo, e il sottoscritto.
*
I temi del corso, finora seguiti e partecipati con entusiasmo da
studentesse, studenti e tutors di aula, sono i seguenti:
a) Teoria e tecniche della nonviolenza
I. Assenza di violenza, nonviolenza. Diversi tipi di pace e modi di
approccio al conflitto. Come funziona la violenza, come funziona la
nonviolenza. Studio di casi.
II. Principi fondamentali della nonviolenza: omogeneita' mezzi-fini,
separazione agente-azione, gradualita' delle lotte, noncollaborazione,
disobbedienza civile, atteggiamento costruttivo.
III. Trasformazione di conflitti interpersonali diretti (a). Vedere i punti
di vista. Separazione tra posizioni e bisogni. Studio di casi.
IV. Trasformazione di conflitti interpersonali diretti (b). Gestione delle
emozioni e tecniche dell'ascolto. Esercizi di ascolto.
V. L'arte della creativita': oltre il pensiero dicotomico, una pluralita' di
soluzioni possibili.
VI. Cinque stili di comunicazione. Pregiudizi e stereotipi. Studio di casi.
VII. Linguaggio digitale e linguaggio analogico. La consapevolezza dell'atto
del parlare.
VIII. Come comunicare in modo nonviolento, senza accettare prevaricazioni e
senza compierne.
IX. Mediazione come terza parte nel conflitto fra altri (compartecipazione
ed equivicinanza; essere ponti di comunicazione e non proporre soluzioni).
X. Processi decisionali e metodo del consenso.
*
b) Storia della nonviolenza
I. Conflitti macro, simmetrici ed asimmetrici: mediazione ed interposizione.
Esperienze di gestione nonviolenta. Film.
II. Marcia del sale. Wykhom. Martin Luther King. Wahat al Salaam/Neve'
Shalom. Comunita' di sant'Egidio in Mozambico. Film.
*
c) Comunicazione di genere
I. Differenza sessuale e differenza di genere. Stereotipi di genere e
pregiudizi (giochi di ruolo).
II. Uguaglianza o differenza. Discussione guidata su un caso.
III. Orientamento e ruolo. Audiovisivo "Nessuno uguale".
IV. Violenza di genere. Linee-guida per una condotta attivamente
antidiscriminatoria.

3. RIFLESSIONE. CHIARA ZAMBONI: DELL'UNIVERSITA E DEI SUOI BISOGNI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sulla bella rivista pedagogica
"Ecole", nel fascicolo di ottobre 2005. Chiara Zamboni e' docente di
filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla comunita'
filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni: Favole e
immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa.
Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione
perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra,
Colognola ai Colli (Vr) 1997]

La riforma dell'insegnamento, che ha separato uno zoccolo di tre anni
iniziali da due successivi di specializzazione e che ha introdotto crediti e
moduli brevi, ha modificato radicalmente l'universita': la sua immagine e la
metafisica in essa coinvolta. La trasformazione si vede dagli effetti.
Ne parlo soprattutto a partire dalle facolta' umanistiche, che conosco di
piu', dato che insegno per un corso di laurea di filosofia nell'ateneo di
Verona.
Incomincio dalla frammentazione degli insegnamenti, che sono stati
sparpagliati in una miriade di moduli brevi e brevissimi, di 40, 20, 10 ore.
Questo ha modificato alla radice il rapporto tra studenti e docenti.
Insegnando si sa per esperienza che per creare una relazione viva con gli
studenti occorre un certo tempo. Nel "mordi e fuggi" dei moduli questo
risulta impossibile. Cosi' viene meno quello che costituisce il lato
implicito e piu' importante dell'insegnamento: accanto al passaggio di
conoscenze si insegna anche un certo modo di accostare i testi, di leggere,
di dire, di ragionare, di porre domande e di far parlare l'esperienza
soggettiva. Cio' ha bisogno di una relazione che si sia venuta a creare per
fiducia. Si tratta infatti di uno stile che solo cosi' le studentesse e gli
studenti colgono e che piu' di tanto non puo' essere messo in parola.
Oltre a cio' occorre per gli studenti avere tempo di "ruminare" quel che
hanno appreso. Nutrirsene. Farlo proprio. Meditarci. E questo richiede
tempo. Un tempo che il ritmo battente di corsi brevissimi seguiti
immediatamente da esami non lascia affatto.
*
Il fordismo applicato alla cultura
E' stato soprattutto lo zoccolo di tre anni che ha risentito di questa
disgregazione del legame tra studenti e docenti. Esso si ricrea nella
specialistica di due anni, perche' gli studenti sono pochi e perche' cambia
completamente lo spirito dell'insegnamento che non e' informativo ma quasi
artigianale, simile a quello della vecchia bottega dove si imparava un
mestiere. Si viene a configurare una divisione di formazione tra chi
frequenta solo i tre anni e chi anche la specialistica. E' una divisione tra
una cultura fondata sul consumo di informazioni, slegate le une dalle altre,
non orientata e semplificata a pillole, e una cultura che cerca di
recuperare l'antico rapporto maestro-allievo nell'insegnare il mestiere in
tutta la sua complessita', sia che si tratti di filosofia o di ingegneria, o
fisica. Una divisione dunque tra una cultura di informazione, che in realta'
e' una non-cultura, e una cultura complessa che nasce dal fatto che sono
pochi a iscriversi e la relazione di insegnamento si fa piu' stretta.
Insomma una nuova forma di divisione di classe piu' negli effetti che nelle
cause.
L'inserimento dei crediti per calcolare il valore di un esame ha portato a
questo meccanismo perverso: i crediti vengono fissati sulle ore di lavoro
che si presuppone che uno studente medio faccia. Quante ore lavoro per
studiare la Critica della ragion pura di Kant? Di piu' o di meno rispetto a
Speculum di Luce Irigaray? Naturalmente gli studenti sono molto diversi gli
uni dagli altri nello studiare, ma questo non ha importanza per i
riformatori alla ricerca di criteri unici. Quel che piu' impressiona e' il
criterio di ore-lavoro che ricorda gli operai alla catena di montaggio o in
forma piu' aggiornata dei call center.
E' il fordismo applicato alla cultura. Neanche il postfordismo piu' elastico
e duttile. Un'idea di lavoro calcolato e pagato ad ore, che deve mantenere
un certo ritmo. Una fabbrica diventa l'universita'. L'idea serpeggiante di
lavoro, economia, tecniche di comunicazione, dirigenti manager si e' fissata
nel linguaggio imposto dal ministero per redigere qualsiasi foglio
riguardante la didattica. E' scomparsa un'idea di etica del lavoro,
criticabile, ma ancora giocata dalla parte della soggettivita', sostituita
da quella della costrizione al lavoro oggettivo e quantificabile nei tempi e
nei prodotti.
*
Frammenti di competenze
La frammentazione dunque dell'universita' e' visibile per la composizione
dei piu' disparati e brevissimi moduli di chimica, biologia, sociologia,
filosofia teoretica, che va di pari passo con lo spezzettamento delle
offerte sul mercato dell'informazione: corsi triennali, specialistici,
master, perfezionamenti, stage, dottorati, tanto che uno non sa come
raccapezzarcisi e avrebbe bisogno di una guida. Non solo: le facolta' per
farvi fronte hanno aumentato i contratti con docenti esterni
all'universita'. Il che e' molto positivo per avere scambi con altri
contesti di produzione del sapere, ma ha reso la frammentazione ancora
maggiore.
Io credo che questo non sia stato a caso nell'intenzione dei legislatori.
C'e' un tentativo in atto non solo all'universita' di dislocare, decentrare,
decostruire centri organici di produzione di sapere e altro, per avere un
governo piu' ristretto, nella mano di pochi. Del resto di fronte a questa
grande frammentazione solo pochi hanno le informazioni per avere una visione
d'insieme e dunque solo a pochi e' dato governare la complessita'. Dunque la
maggioranza che rimanga nel proprio piccolo frammento di competenze,
lasciando a chi ha le informazioni di tutti i settori frammentati il governo
della situazione. Non e' capitato questo solo all'universita': ovunque, la'
dove ci sono stati centri organici, storici e sedimentati di sapere, si e'
visto negli ultimi anni il tentativo di disgregarli attraverso il
decentramento e la frammentazione per accentrare le decisioni nelle mani di
pochi.
*
Spaesamento
Come vivono queste modificazioni le donne e gli uomini che lavorano con me
all'universita'? Con una sofferenza sotterranea, che raramente raggiunge la
soglia della consapevolezza e che colgo in comportamenti automatici, in
spaesamento. Gli uomini piu' consapevoli si ritirano in una solitudine
spirituale amareggiata. Altri puntano ad entrare in lizza per governare il
governabile. Alcune donne rielaborano l'estraneita', altre si pongono in una
posizione piu' di servizio.
I consigli di facolta' non sono piu' luoghi di discussione su orientamenti
di fondo sull'insegnamento e la ricerca. Sono diventati gli strumenti con i
quali i presidi informano delle decisioni del ministero e cercano di
attuarle con i docenti. La resistenza che alcuni docenti mettono in atto e'
avvertita da tutti solo come un ritardare una linea di tendenza ritenuta
inevitabile. Come argini inutili al fiume in piena. Non c'e' piu' pensiero
dell'universita'.
Chi lavora nella scuola riconoscera' questi processi come pane quotidiano
della propria esperienza. Lo so perche' mi trovo con frequenza regolare a
discutere con docenti della scuola in un seminario tenuto qui
all'Universita' di Verona per scambiare il senso politico del proprio lavoro
di insegnamento. Con la precisa intenzione di avere uno sguardo piu' ampio
sulla realta' e i suoi processi di modificazione a partire dalle nostre
esperienze.
In questo seminario abbiamo discusso del senso diffuso di infelicita'. Della
percezione di una accelerazione dei tempi di lavoro a causa della rincorsa
della realta' frammentata e della prestazione che viene richiesta. Del
desiderio di rinchiudersi nell'insegnamento con gli studenti come unico
luogo sensato rimasto, senza rendersi conto che anch'esso si e'
profondamente modificato. Siamo arrivati alla idea che un lavoro senza un
pensiero che lo accompagni e che permetta di mettere in parola le scoperte
che via via facciamo a partire dall'esperienza, le contraddizioni, le
impasse, sia un lavoro molto simile alla schiavitu'. Un lavoro solo per
riprodurre la nostra vita, per la sopravvivenza, ma senza trascendenza.
D'altra parte sono stati via via cancellati i luoghi giusti e il tempo per
avere pensiero di quel che facciamo.
Che fare? Portare una critica a questi processi avendo il piu' possibile una
visione d'insieme e' cosa buona e giusta. Insufficiente pero'. La via che
vedo in questo momento di forte disordine e' di capire quali siano le
dipendenze che abbiamo dal reale e farne una leva politica. Certo c'e' il
bisogno di avere tempo per pensare quel che facciamo. Il bisogno di capire
che cosa significa insegnare, fare cultura, fare ricerca in uno scambio con
donne e uomini che abbiamo vicini. Nella scuola come nell'universita'. Il
bisogno di capire che cosa desiderano le studentesse e gli studenti, nella
consapevolezza che i loro desideri sono diversi dai nostri. Il bisogno che
l'istituzione ci aiuti nel nostro percorso.
Riflettere sui bisogni significa accettare che siamo mancanti di qualcosa di
essenziale e al medesimo tempo dipendiamo dallo scambio con gli altri per
capire davvero come orientarci. E' la sofferenza che ci fa capire tale
mancanza. E' l'amore per la realta, che ci fa comprendere la necessita' di
rapportarci agli altri. Questa riflessione e' gia' un primo passo politico.

4. RIFLESSIONE. MARINA TERRAGNI: L'ABORTO, LA MORTE, IL DOLORE, IL PARLARE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente intervento apparso sul quotidiano "Il foglio" del 4
ottobre 2005. Marina Terragni, giornalista, e' editorialista di "Io Donna" e
scrive sul "Corriere della Sera" e su "Il foglio". Opere di Marina Terragni:
ha curato il libro di Vittorino Andreoli, E vivremo per sempre liberi
dall'ansia, intervista di Marina Terragni, Rizzoli, Milano 1997]

Quando sento parlare di aborto nel modo in cui se ne sta parlando, mi
chiedo: ma sanno davvero di che cosa si tratta? Anch'io non lo sapevo. Poi
un giorno l'ho saputo. Per me - non per tutte sara' andata cosi' - e' stato
l'imprinting del senso di morte. Tutte le volte che in seguito ho incontrato
la morte somigliava a quella prima esperienza: il risveglio allegro della
citta' alle sei del mattino (era ancora un tempo in cui le citta' erano
molto allegre), il profumo del caffe' e brioche nei bar, la mia amica che
mangiava con appetito e senza nausee prima di accompagnarmi in macchina
all'ospedale, il vuoto del digiuno pre-anestesia nel mio stomaco. Per me la
morte, in seguito, e' stata per sempre quello stesso vuoto nauseato, quel
sentimento tenace e appiccicoso che ci si mette molto, il tempo giusto del
lutto, a scrollarsi di dosso per tornare a vivere.
La legge 194 era appena passata, io ero una ragazza di sinistra e avrei
avuto tutte le possibilita' di ideologizzare difensivamente l'evento. O per
banalizzarlo, come si direbbe oggi. L'operazione a me non e' riuscita. Non
penso che l'aborto sia banalizzabile. Per l'inconscio non lo e' mai. Per
l'io cosciente forse un po' di piu', le difese esistono. Non penso che
sarebbe banalizzabile neppure se bastasse uno schiocco di dita o un tocco
pranoterapeutico.
Ma a maggior ragione non e' banalizzabile quando richiede, come nel caso
della Ru486, un paio di giorni di visite e manovre, e la terribilita'
dell'attesa solitaria dei dolori e del sanguinamento facendo zapping davanti
alla tv. Io, oggi, dovessi scegliere, sceglierei ancora il Karman: un po' di
sedazione e di anestetico locale, cinque minuti, un dolore acuto e poi e'
finita, almeno la parte brutalmente fisica della questione. A me pare anzi
che la Ru486 tenga la coscienza piu' vigile sulla cosa. Insopportabilmente e
inutilmente vigile, a mio parere: perche' quando ti succede non vuoi sapere,
non c'e' proprio niente da sapere, vuoi solo piangere un po' per lavare via
tutto, aspettare le nuove mestruazioni e voltare pagina. Una
proporzionalita' che non esiste.
Ma ammettiamo pure che la Ru486 renda l'aborto "piu' leggero". Non per
questo le donne abortiranno di piu'. Si potrebbe allora orribilmente
sostenere che renderlo "piu' pesante", tornare al vecchio raschiamento senza
anestesia e magari senza cautele sanitarie, potrebbe far diminuire il numero
degli aborti. Tutte le donne morte per "appendicite", come si diceva
pudicamente una volta, stanno a dimostrare che anche quando l'aborto era
pesante, faceva male e magari ti uccideva per emorragia o setticemia, le
donne abortivano.
Non e' aumentando il male che gli aborti diminuiranno, ne' diminuendolo che
gli aborti aumenteranno. Questa proporzionalita' inversa non esiste, ed e'
molto crudele nei confronti delle donne, perche' il pensiero sotteso e' che
l'aborto e' un vizio o un lusso di cui, se ne aumenti il prezzo, si dovra'
fare a meno, come la benzina e le sigarette, e, peggio ancora, che i figli
sono una punizione e una privazione che accetti di infliggerti solo per
evitare un male piu' grande.
Be', piantiamola. Il male e il danno devono essere ridotti, ogni volta che
si puo'. E' uno dei principi politici a cui mi sento piu' affezionata. Il
male dell'aborto deve diminuire, e anche il numero degli aborti deve
diminuire, e le due cose vanno insieme, non sono l'una il contrario
dell'altra.
La coscienza deve aumentare e non sara' l'aumento del dolore fisico e
nessun'altra strategia sadica a farla crescere. E qui sono costretta a
essere banale, dicendo che c'e' ancora un gran lavoro di decolpevolizzazione
da condurre sulla contraccezione.
A me non piace la contraccezione, personalmente la detesto, specialmente
quella ormonale. Ma anche qui, si tratta di mettersi dal punto di vista di
una riduzione del danno.
Non viviamo in un mondo in cui i figli possono venire quando e quanto
vogliono, e sarebbe un gran bel mondo, e questo giornale ha dato avvio a una
bella e sacrosanta battaglia perche' questo possa succedere sempre di piu',
e mi sembra una delle battaglie politiche piu' rilevanti di questi anni. Ma
stare tra l'obbligo morale della contraccezione e il divieto morale della
contraccezione e' come stare tra Scilla e Cariddi. Le donne diventano il
terminale di un conflitto che nell'aborto ha fatalmente il suo exitus. Si
abortira' di meno solo quando cessera' il proibizionismo sui figli, quando
il mondo si ricalibrera' sulla nascita, quando la differenza femminile sara'
autorizzata e benvoluta e non piu' costretta a cancellarsi
nell'emancipazione. C'e' un gran lavoro da fare, come si puo' capire.
Nel frattempo la contraccezione puo' dare una mano. E vietare la Ru486, se
e' vero, come credo, che puo' ridurre il danno e il male, o quanto meno
costituire per molte un'alternativa preferibile all'aborto chirurgico,
sarebbe solo ideologia.
Io qui, come hanno fatto anche Paola Tavella e Alessandra di Pietro, ho
parlato un poco di me, ho radicato nelle cose della mia vita le riflessioni
che ho proposto. Oggi sono interessata a parlarne con gli uomini, anche con
i molti uomini che nella loro vita hanno obbligato le donne ad abortire,
aborto "leggero" o "pesante" che fosse: statisticamente un buon numero di
gravidanze interrotte si deve al rifiuto o all'abbandono maschile. Ma di
outing non ne ho sentito uno. Che si tratti di figli, di amore o di
violenza, nella testa degli uomini la verita' della vita resta tenacemente
distinta dalla neutralita' della teoria politica o morale.
Per ridurre il numero degli aborti, bisogna invece anche che i maschi
accettino di rischiare, e comincino a parlare di questa faccenda, come di
molte altre faccende, in questo modo.

5. INIZIATIVE. UN INCONTRO CON MARIA LUISA BOCCIA IL 14 NOVEMBRE A ROMA
[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente
invito. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal
1974 lavora all'Universita' di  Siena, e attualmente vi insegna filosofia
politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei
movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla
famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre,
magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per
l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita,
la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo.
In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla
filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il
collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei
suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di
donne - "Memoria", "Orsaminore",  "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi,
dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove
iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo,
la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con
alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra
umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista,
oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la
riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed
ha  concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con
Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto
articoli, saggi, ed elaborato  moltissimi interventi, solo in parte
pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti:
Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando
l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie,
menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in
rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con
Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche,
fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in
"Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello
scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in
Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni
dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della
politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura
di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e
cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002]

L'associazione "Generi e generazioni - Scuola di studi femministi" promuove
un incontro di discussione e confronto di diverse esperienze con Maria Luisa
Boccia sul tema "Le forme dell'agire collettivo".
L'incontro si svolgera' lunedi' 14 novembre 2005, con inizio alle ore 18,
presso la Casa internazionale delle donne, in via della Lungara 19, a Roma.

6. MEMORIA. IAIA VANTAGGIATO INTERVISTA ENZO TRAVERSO
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 novembre 2005 riprendiamo questa
intervista sull'appena pubblicata Storia della Shoah. La crisi dell'Europa,
lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo,  a cura di Marina
Cattaruzza, Marcello Flores, Simon Levis Sullam ed Enzo Traverso, 4 volumi
con 70 saggi inediti e 15 saggi iconografici; un volume di documenti, 3 dvd
con filmati d'epoca in parte inediti, un cd-rom ipertestuale, Utet, Torino
2005: "un'opera monumentale e innovativa nel panorama editoriale
internazionale che analizza quell'evento drammatico all'interno delle
trasformazioni della politica e della societa' europea del XX secolo".
Iaia Vantaggiato e' una prestigiosa intellettuale e giornalista impegnata
per la pace e i diritti.
Enzo Traverso, storico (nato nel 1957), docente all'Universita' della
Picardie "Jules Verne" di Amiens, saggista, acuto studioso della Shoah e del
totalitarismo. Tra le opere di Enzo Traverso. Gli ebrei e la Germania:
Auschwitz e la simbiosi ebraico-tedesca, Il Mulino, Bologna 1994; La
violenza nazista. Una genealogia, Il Mulino, Bologna 2002; Auschwitz e gli
intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra, il Mulino, Bologna
2004; (con Marina Cattaruzza, Marcello Flores e Simon Levis Sullam), Storia
della Shoah, Utet, Torino 2005; in francese: Les marxistes et la question
juive, La Breche-Pec, Montreuil 1990; Les Juifs et l'Allemagne, de la
"symbiose judeo-allemande" a' la memoire d'Auschwitz, La Decouverte, Paris
1992; L'Histoire dechiree. Essai sur Auschwitz et les intellectuels,
Editions du Cerf, Paris 1997; Pour une critique de la barbarie moderne.
Ecrits sur l'histoire des Juifs et l'antisemitisme, Editions Page deux
(Cahiers libres), Lausanne 2000; Le totalitarisme. Le XXeme siecle en debat,
Seuil, Paris 2001; La violence nazie. Essai de genealogie historique, La
Fabrique, Paris 2001; La pensee dispersee, Ed. Leo Scheer, Paris, 2004]

Due volumi proposti dalla Utet - il primo dei quali e' appena approdato in
libreria - ripercorrono in maniera del tutto inedita e innovativa la storia
della Shoah. Ne parliamo con lo storico Enzo Traverso dell'universita' di
Amiens, curatore dei due volumi con Marina Cattaruzza, Marcello Flores e
Simon Levis Sullam.
*
- Iaia Vantaggiato: Perche' una nuova "Storia della Shoah"?
- Enzo Traverso: Intanto si tratta di una "storia" diversa da quelle gia'
esistenti e non solo perche' la nostra e' un'opera collettiva. Il tentativo
e' stato quello di affrontare la Shoah come problema storico nel senso piu'
ampio del termine: non solo l'evento, le sue premesse, le sue
interpretazioni, ma anche la memoria, le rappresentazioni, l'impatto sulla
cultura.
*
- Iaia Vantaggiato: Cosa intende dire?
- Enzo Traverso: Che abbiamo cercato di tenere insieme le temporalita'
diverse che nella Shoah si condensano. Quella fulminea dello sterminio che
e' poi la temporalita' della guerra e all'interno della quale la Shoah si
inscrive come trauma e catastrofe. Quindi la temporalita' lunga del processo
che la prepara: mi riferisco, in particolare, alla crisi europea che esplode
con la Grande guerra ma che gia' viene annunciata dalle contraddizioni e
dalle tensioni che, in tutta Europa, si vanno accumulando nel corso
dell'800. Il fascismo non e' una specificita' tedesca che', anzi, nasce in
Italia; il colonialismo e' di portata europea cosi' come l'antisemitismo
razziale e l'eugenismo, l'anticomunismo e l'antibolscevismo. Parliamo,
insomma, di un insieme di fenomeni che precipitano nel nazismo ma che
precedeno l'"evento Olocausto".
*
- Iaia Vantaggiato: E la memoria?
- Enzo Traverso: E' il terzo asse temporale, quello all'interno del quale
cerchiamo di capire come l'Olocausto si e' andato costruendo come evento
centrale nelle nostre rappresentazioni della storia del '900. Senza cadere
nel relativismo radicale dei postmoderni, la storia e' una rappresentazione
a posteriori, ancorata ai fatti, ma pur sempre costruita nel presente, e per
questo mutevole in ogni epoca. Fra cinquant'anni vedremo la Shoah con occhi
diversi.
*
- Iaia Vantaggiato: Cosa aggiungono i vostri volumi a quanto gia' scritto,
per esempio, da Raul Hilberg ne La distruzione degli ebrei d'Europa?
- Enzo Traverso: Il testo di Hilberg resta imprescindibile ma il suo
approccio e' diverso dal nostro. Hilberg fa un'anatomia dell'Olocausto che
vede come un processo endogeno, come una sorta di partita a due tra ebrei e
nazisti facendo astrazione del contesto storico: la guerra nazista come
guerra di conquista dello "spazio vitale", di colonizzazione del mondo slavo
e di distruzione del bolscevismo. Lo sterminio degli ebrei e' parte di
questa guerra.
*
- Iaia Vantaggiato: Lei, pero', ha appena detto che la Shoah e' un evento
autonomo.
- Enzo Traverso: Si', occorre riconoscere il carattere fulmineo e traumatico
di un evento che i suoi stessi attori non avevano previsto. Ne' gli ebrei -
che non pensavano di trovarsi di fronte a un progetto di sterminio - ne' i
nazisti, almeno sino al '41. Dunque l'autonomia dell'evento resta un dato
imprescindibile che, peraltro, mette in discussione una visione
strutturalista della storia che considera l'evento, per dirla con Fernand
Braudel, effimera "schiuma".
*
- Iaia Vantaggiato: Evento autonomo, e va bene. Ma ci sara' pure un modo per
risalire alle sue origini?
- Enzo Traverso: Io credo che le origini della Shoah si configurino a
posteriori: esse nascono dall'evento attraverso una ricognizione
retrospettiva delle sue premesse ma queste non lo contengono. Rimane uno
scarto rispetto a tutte le premesse che si possano prendere in esame.
*
- Iaia Vantaggiato: Parliamo, dunque, di premesse che non vanno considerate
alla stregua di vere e proprie cause?
- Enzo Traverso: L'Olocausto non e' uno sbocco fatale e meccanico ma -
ripeto - la condensazione e la precipitazione di tensioni accumulate nel
corso di decenni. L'antisemitismo, il colonialismo e l'imperialismo classico
con il loro corteo di genocidi, guerre di conquista e stermini giustificati
e legittimati sul piano ideologico dal razzismo. Esperienze dalle quali il
nazismo ha ricevuto in eredita' anche un linguaggio: penso, per esempio,
alle nozioni di "subumanita', "estinzione delle razze", "annientamento".
*
- Iaia Vantaggiato: Un concetto ereditato dalla Grande guerra, non crede?
- Enzo Traverso: Come ha scritto George Mosse, la Grande guerra ha
"brutalizzato" le societa' europee, e' stato il momento in cui l'Europa ha
scoperto il massacro industriale, la morte anonima di massa e i campi di
concentramento. Senza cadere nel determinismo, la Grande guerra e' premessa
senza la quale lo sterminio degli ebrei sarebbe stato inconcepibile.
*
- Iaia Vantaggiato: Nel saggio di Dan Diner che apre il primo dei due
volumi, si parla di "Zivilisationsbruch", di frattura di civilta' come
epistemologia della Shoah. Che vuol dire?
- Enzo Traverso: Un genocidio e' una rottura di civilta' perche' e'
lacerazione di un tessuto elementare di solidarieta' umana soggiacente al
funzionamento della societa', al di la' dei singoli conflitti nel corso dei
quali, come ha sostenuto Habermas, anche nel nemico si riconosce un essere
umano. E il concetto di genocidio e' nato con la Shoah. Ma la Shoah e' una
rottura di civilta' che nasce dalla civilta' ed e' un prodotto della
civilta'.
*
- Iaia Vantaggiato: Dunque lei e' contrario a considerare il fascismo o il
nazismo come "semplice" ricaduta nella barbarie.
- Enzo Traverso: La barbarie del fascismo e del nazismo sono l'altra faccia
della civilta' occidentale moderna.
*
- Iaia Vantaggiato: Torniamo, insomma, alla dialettica dell'illuminismo.
- Enzo Traverso: Si'. Alcune premesse dell'Olocausto risiedono tutte nelle
conquiste della civilta': nella sua fenomenologia, l'Olocausto presuppone
una razionalita' produttiva e amministrativa che Max Weber indicava come uno
dei tratti salienti dell'Occidente e un paradigma fordista di produzione in
serie che ora viene usato per distruggere.
*
- Iaia Vantaggiato: "Modernita' e Olocausto", insomma, per dirla con
Baumann?
- Enzo Traverso: Per far funzionare un campo di sterminio bisogna avere
delle competenze tecniche e amministrative. Per costruire e far funzionare
le camere a gas e i forni crematori occorre una razionalita' strumentale i
cui agenti possono fare a meno dell'ideologia e che, per parlare con Weber,
spesso si considerano eticamente deresponsabilizzati: basti pensare ai
funzionari che stilano le liste degli ebrei o che controllano il sistema dei
trasporti. Tutto questo - come ha ben scritto Baumann - implica le
acquisizioni della civilta' industriale moderne. La Shoah e' si' rottura di
civilta', ma una rottura che quella civilta' suppone.
*
- Iaia Vantaggiato: Quanto ha a che fare tutto cio' col passaggio
dall'apocalisse della modernita' all'apocalisse totalitaria di cui parla
Emilio Gentile nel volume?
- Enzo Traverso: Gentile analizza un mutamento che avviene nella cultura
europea alla svolta del secolo e che rimane a monte della Shoah. La sua e'
una formula efficace che indica la transizione da una critica della
modernita' fattasi virulenta e diffusa gia' a partire dalla fine dell'800 -
la modernita' che distrugge valori, tradizioni, natura, rapporti sociali - a
una vera e propria offensiva contro la modernita' condotta pero', dopo la
Grande guerra, con gli stessi strumenti della modernita'.
*
- Iaia Vantaggiato: Il fascismo come controrivoluzione?
- Enzo Traverso: Si', ma una controrivoluzione moderna. Il fascismo non
critica la modernita' dal punto di vista passatista ma adotta un linguaggio
rivoluzionario e intende sfruttare la democrazia come forma sociale. Al
cuore dell'apocalissi totalitaria nella sua forma nazista c'e' una singolare
commistione di romanticismo e modernismo, di valori arcaici ereditati dalla
critica dell'illuminismo e tecniche, linguaggi e strumenti del tutto
moderni.
*
- Iaia Vantaggiato: Oltre che di rottura di civilta', ritiene che sia
legittimo parlare anche di una rottura del paradigma dell'uguaglianza?
- Enzo Traverso: Certo il nazismo si oppone a questo paradigma, che e' il
presupposto della democrazia. Mettendo fine a un secolo di emancipazione
ebraica in Germania, le leggi di Norimberga segnano incontestabilmente una
rottura del paradigma dell'uguaglianza, ma si tratta di una rottura che va
contestualizzata. Non bisogna dimenticare che nella prima meta' del secolo
l'Europa e' ancora coloniale e imperiale e che il liberalismo di quegli anni
non e' democratico ma conservatore: algerini e indiani sono sudditi, non
cittadini. Hitler vuole assimilare il mondo slavo alle colonie asiatiche o
africane e trasferire nel mondo slavo - il Lebensraum tedesco - un modello
coloniale che riguarda l'Eurpopa nel suo insieme.
*
- Iaia Vantaggiato: Per questo lei cita Hannah Arendt la' dove afferma: "Il
fatto e' che una situazione di completa privazione dei diritti era stata
creata prima che il diritto alla vita venisse messo in discussione"?
- Enzo Traverso: Si', anche perche' Arendt non si riferiva solo agli ebrei
ma a tutti coloro che - dopo il 1918 - cominciano ad essere considerati dei
"paria" in virtu' di una ridefinizione dell'Europa che, ispirata al modello
dello stato-nazione come alternativa ai grandi imperi multinazionali, crea
grandi masse di profughi e di apolidi, di senza patria e senza diritti.
*
- Iaia Vantaggiato: Torniamo all'"evento Olocausto". Chi riguarda?
- Enzo Traverso: Certo le vittime e i carnefici ma anche l'Europa nel suo
insieme, perche' se i tedeschi sono riusciti a sterminare gli ebrei e' stato
anche grazie alla complicita' passiva della societa' tedesca, al sostegno
attivo dei regimi alleati e di una parte dell'Europa profondamente
contaminata dall'antisemitismo.
*
- Iaia Vantaggiato: Questo dal punto di vista della storia. Ma da quello
della memoria?
- Enzo Traverso: La Shoah e' entrata nella coscienza storica del mondo
occidentale, tanto che si puo' parlare di ossessione della memoria, quasi
una compensazione tardiva rispetto al lungo silenzio che l'aveva avvolta nel
dopoguerra. E tuttavia la retorica della memoria rischia di diventare
sterile. Il problema non e' quello di ricordare ma dell'uso politico che
della memoria si fa. Intendo dire che non serve commemorare ogni anno la
liberazione di Auschwitz o far leggere Primo Levi nelle scuole se non si
cerca di inscrivere nel presente questa memoria, mettendola in rapporto alle
nuove forme di razzismo, ai genocidi della fine del '900.
*
- Iaia Vantaggiato: Non crede che la memoria della Shoah sia anche un modo
attraverso cui le diverse identita' nazionali ridefiniscono se stesse?
- Enzo Traverso: Credo che la memoria della Shoah sia diventata una sorta di
religione civile dell'Occidente democratico. Per essere solide e virtuose,
le democrazie devono conservare la memoria dell'Olocausto. E' un fatto
importante. Ma questa religione civile ha le sue zone d'ombra e non deve
sottrarsi alla critica: tra gli statisti che nel gennaio scorso hanno
commemorato ad Auschwitz la liberazione dei campi di sterminio, c'erano
anche i responsabili di Guantanamo e di Abu Ghraib.
*
- Iaia Vantaggiato: Molti ebrei hanno cominciato a parlare di Shoah anni
dopo la fine della guerra. Perche'?
- Enzo Traverso: La memoria ha una sua temporalita', segue spesso percorsi
lunghi e tortuosi. Nel dopoguerra gli ebrei non volevano apparire come
vittime ma reintegrarsi nelle comunita' nazionali dalle quali erano stati
strappati. Poi ci sono stati degli eventi che hanno funzionato come
detonatori: penso al processo di Eichmann a Gerusalemme. Per la prima volta
i sopravvissuti hanno potuto parlare ed essere ascoltati. Per Israele - che
nel '48 non vuole apparire come un paese di reduci ma di combattenti - e'
stato un grande momento di svolta: la memoria dell'Olocausto diventa fonte
di legittimazione della sua esistenza e della sua politica. Israele stessa
diventa la risposta all'Olocausto. Quanto all'Europa, sara' il movimento
studentesco tedesco - negli anni '60 - a porre nuove domande alla
generazione dei padri: "perche' il nazismo", "perche' l'avete accettato
senza ribellarvi", "perche' la Shoah"? Interrogativi che prendono finalmente
forma all'interno di una generazione che vuole capire. Sono alcune tappe di
un processo che non e' stato lineare.

7. CINEMA. ENRICO PEYRETTI: DELL'AMORE CONTRO LA GUERRA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questa
meditazione sull'ultimo film di Roberto Benigni, La tigre e la neve.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con
altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio",
che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi
"Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi
per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della
rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su
questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono
anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario.
Roberto Benigni (Misericordia, Arezzo, 1952), attore, sceneggiatore, regista
e produttore cinematografico, ma attivo anche come comico televisione e in
altre forme di spettacolo, si e' sempre caratterizzato come un artista di
sincero impegno civile; tra i riconoscimenti internazionali il Gran premio
della giuria a Cannes e tre Oscar per La vita e' bella. Tra i film da lui
diretti: Tu mi turbi (1983); Il piccolo diavolo (1988); Johnny Stecchino
(1991); Il mostro (1994); La vita e' bella (1997); Pinocchio (2002); La
tigre e la neve (2005); ma vanno ricordati anche almeno, tra i film da lui
interpretati: Berlinguer ti voglio bene (1977) di Giuseppe Bertolucci;
Chiedo asilo (1979) di Marco Ferreri; Daunbailo' (1986) di Jim Jarmusch; La
voce della luna (1989) di Federico Fellini; Il figlio della pantera Rosa
(1993) di Blake Edwards]

La guerra non e' soltanto a Baghdad, dove Vittoria (nome scelto pour cause)
ne e' colpita, ma nel cuore e nei sogni di Attilio. Qualcosa non va con
Vittoria, che sfugge, sfugge. E lui la sogna, la sogna. Sogno e realta' si
intrecciano, a piu' livelli del racconto. La realta' si nasconde nei simboli
animali, inquietanti, divertenti: pipistrelli, topi e ragni che obbediscono
ai versi di una filastrocca. Attilio e' un poeta invincibile (Vittoria non
lo vince) perche' trasfigura la realta'. Anche Fuad, il suo amico iracheno,
e' poeta, ma e' triste, e di tristezza si muore. Attilio no: lui afferra
tristezza, solitudine, guerra e morte, con l'abilita' di un giocoliere, con
la risolutezza che in un poeta svagato non sapresti immaginare e con
l'allegria malinconica di chi vede bene il male ma non si piega alla
rassegnazione. Perche' ama. In Baghdad bombardata - siamo nel marzo 2003 -
trova una introvabile medicina per lei, che forse era morta. Col titolo di
poeta sbalordisce i giovanottoni blindati e terrorizzati del chek-point
americano, sfuggendo per poco alla morte di Calipari. La sua lezione di
poesia agli studenti e' una pagina di antologia del cinema, da conservare:
un muro non e' un muro, e' quello che il poeta vuole che sia. Il poeta e'
creatore. Tutti potremmo essere creatori, se avessimo la fede di Attilio
nell'amore. Che e' invincibile, e' Vittoria. Lei e' lontana. Cosa e' piu'
lontano di Baghdad? Lui, sempre in ritardo, ci arriva in un lampo, mentre
gli aerei non ci vanno. E' chiaro che la guerra non la vuole, ma non la
discute, non fa manifestazioni: fa il contrario della guerra, trova ossigeno
e medicine sotto le bombe, salva una vita, passa le barriere. Data per
morta, lui le parla, le procura musica e scacciamosche, e un confortevole
sottoscala. Forse Baghdad e la guerra sono stati solo un incubo, perche'
l'amore difficile minaccia la vita, come una guerra. Ma tutto va affrontato
con l'inventiva tenace, come e' tenace l'amore. Oh, Fuad, perche' ti sei
arreso alla guerra che offende il cielo millenario della tua citta'? Ora i
tuoi fogli volano via. E' vero che ogni cuore e' un abisso. Ma vedi che alla
fine Vittoria e' vinta, perche' la tigre e la neve, cioe' la poesia di
Attilio, lei le incontra davvero, davanti a se', sulla sua strada. Attilio
e' da sempre un vinto, e quando si arrende al sonno stanco di lei, e' allora
che vincono entrambi. Benigni sa domare shoah e guerra, guarda la tigre
negli occhi e la incanta con la leggerezza della neve.

8. LETTURE. RITA MELILLO: TUTUCH
Rita Melillo, Tutuch (Uccello tuono). A colloquio con gli aborigeni del
Canada, Mephite, Atripalda (Av) 2004, pp. 256, euro 16. Preceduta da un
ampio saggio interpretativo e di sintesi dell'autrice - una studiosa che ha
gia' pubblicato vari volumi spaziando dalla filosofia teoretica
all'antropologia culturale, alla riflessione sul management -,
un'appassionante raccolta di interviste (pp. 123-242) a nativi canadesi
restati legati alle loro culture tradizionali; le interviste sono condotte
col metodo del questionario che puo' apparire rigido, ma le risposte sono
assai variegate per impostazione e per dimensioni, e molte sono di grande
interesse. Con una presentazione di Domenico Antonino Conci.

9. LETTURE. ROSANNA SCHIRALLI: TI PARLO MA NON MI SENTI
Rosanna Schiralli: Ti parlo ma non mi senti. Manuale di orientamento per
genitori disorientati, Angeli, Milano 2004, pp. 128, euro 13. In un
linguaggio semplice e piano alcuni ragionevoli consigli a genitori sovente
troppo distratti, affinche' sappiano ascoltare i bambini.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1113 del 13 novembre 2005

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