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La nonviolenza e' in cammino. 1113
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1113
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Nov 2005 01:26:26 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1113 del 13 novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Flavio Lotti e Grazia Bellini: L'Italia chieda verita' e giustizia su Fallujah 2. Andrea Cozzo: Un corso per operatori di pace 3. Chiara Zamboni: Dell'universita' e dei suoi bisogni 4. Marina Terragni: L'aborto, la morte, il dolore, il parlare 5. Un incontro con Maria Luisa Boccia il 14 novembre a Roma 6. Iaia Vantaggiato intervista Enzo Traverso 7. Enrico Peyretti: Dell'amore contro la guerra 8. Letture: Rita Melillo, Tutuch 9. Letture: Rosanna Schiralli: Ti parlo ma non mi senti 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. APPELLI. FLAVIO LOTTI E GRAZIA BELLINI: L'ITALIA CHIEDA VERITA' E GIUSTIZIA SU FALLUJAH [Dalla Tavola della pace (per contatti: e-mail: info at perlapace.it, sito: www.tavoladellapace.it), la principale rete pacifista italiana, riceviamo e volentieri diffondiamo. Flavio Lotti e Grazia Bellini sono i coordinatori nazionali della Tavola della pace] L'inchiesta di Rainews24 sull'utilizzo del fosforo bianco nella battaglia che un anno fa ha portato alla conquista americana di Fallujah in Iraq contiene le prove di una denuncia gravissima che non puo' e non deve lasciarci indifferenti. Quanto chiaramente documentato per la prima volta da Sigfrido Ranucci esige l'indignazione e la ferma reazione di tutti. L'intero governo italiano e non solo il ministro della Difesa e' chiamato a dire cosa sa dei fatti, ad assumere una chiara posizione politica di condanna, a chiedere spiegazioni al governo americano e a promuovere l'avvio di un'inchiesta da parte delle Nazioni Unite che faccia piena luce sul massacro nascosto di Fallujah. Non basta dire che l'Italia non e' responsabile di questi crimini. Troppo poco. Se davvero non vogliamo essere complici dobbiamo intervenire. La guerra pulita e intelligente esiste solo nella propaganda dei signori della guerra. La guerra e' un "omicidio di massa" e in Iraq non e' affatto finita. Per questo se l'Italia non vuole essere corresponsabile deve dire basta alla guerra, ritirare le sue truppe e investire le sue migliori energie per portare aiuto concreto alle popolazioni, difendere i diritti umani e ridare spazio alla politica. La marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre scorso e la manifestazione di Washington del 24 settembre 2005 sono il segno di una straordinaria mobilitazione che unisce il movimento per la pace del nostro paese a quello che sta crescendo negli Stati Uniti. L'inchiesta di Rainews24 che abbiamo immediatamente segnalato ai nostri amici americani contribuira' ad aprire gli occhi anche di coloro che sino ad oggi non hanno voluto vedere. Ci auguriamo che questo accada anche nel nostro paese. Con questo spirito aderiamo alle manifestazioni di protesta indette da numerose organizzazioni per lunedi' 14 novembre a Roma e martedi' 15 a Milano. 2. ESPERIENZE. ANDREA COZZO: UN CORSO PER OPERATORI DI PACE [Ringraziamo Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) per questa bella notizia. Andrea Cozzo e' docente universitario di cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004] E' iniziato da alcune settimane un corso per "Operatori di pace attraverso la trasformazione nonviolenta dei conflitti" per una scuola polo che la direzione generale dell'Ufficio scolastico regionale della Sicilia mi ha chiesto di progettare e coordinare. Il corso, di 64 ore, vede la partecipazione volontaria di 50 studenti e studentesse del terzo e quarto anno di tutte le scuole superiori del comprensorio di Marsala (provincia di Trapani) e di Bagheria (provincia di Palermo) e di tutors d'aula; alla sua frequenza e' stato assegnato, previa verifica finale a marzo, un credito scolastico. Si svolge in orario pomeridiano, in aggiunta al carico didattico ordinario, presso le due scuole i cui presidi per primi hanno aderito al progetto: il liceo classico Papa Giovanni XXIII di Marsala (preside prof. G. Salvo) e il liceo scientifico D'Alessandro (preside il prof. G. Pagano), ed e' articolato in tre moduli (teoria e tecniche della nonviolenza, storia della nonviolenza, comunicazione di genere), ognuno comprendente tre modalita' didattiche (lezioni frontali, seminari, laboratori). Ne sono docenti persone che da tempo si sforzano di studiare e praticare la nonviolenza: Giuseppe Burgio, Sergio Di Vita, Vincenzo Sanfilippo, Isabella Tondo, e il sottoscritto. * I temi del corso, finora seguiti e partecipati con entusiasmo da studentesse, studenti e tutors di aula, sono i seguenti: a) Teoria e tecniche della nonviolenza I. Assenza di violenza, nonviolenza. Diversi tipi di pace e modi di approccio al conflitto. Come funziona la violenza, come funziona la nonviolenza. Studio di casi. II. Principi fondamentali della nonviolenza: omogeneita' mezzi-fini, separazione agente-azione, gradualita' delle lotte, noncollaborazione, disobbedienza civile, atteggiamento costruttivo. III. Trasformazione di conflitti interpersonali diretti (a). Vedere i punti di vista. Separazione tra posizioni e bisogni. Studio di casi. IV. Trasformazione di conflitti interpersonali diretti (b). Gestione delle emozioni e tecniche dell'ascolto. Esercizi di ascolto. V. L'arte della creativita': oltre il pensiero dicotomico, una pluralita' di soluzioni possibili. VI. Cinque stili di comunicazione. Pregiudizi e stereotipi. Studio di casi. VII. Linguaggio digitale e linguaggio analogico. La consapevolezza dell'atto del parlare. VIII. Come comunicare in modo nonviolento, senza accettare prevaricazioni e senza compierne. IX. Mediazione come terza parte nel conflitto fra altri (compartecipazione ed equivicinanza; essere ponti di comunicazione e non proporre soluzioni). X. Processi decisionali e metodo del consenso. * b) Storia della nonviolenza I. Conflitti macro, simmetrici ed asimmetrici: mediazione ed interposizione. Esperienze di gestione nonviolenta. Film. II. Marcia del sale. Wykhom. Martin Luther King. Wahat al Salaam/Neve' Shalom. Comunita' di sant'Egidio in Mozambico. Film. * c) Comunicazione di genere I. Differenza sessuale e differenza di genere. Stereotipi di genere e pregiudizi (giochi di ruolo). II. Uguaglianza o differenza. Discussione guidata su un caso. III. Orientamento e ruolo. Audiovisivo "Nessuno uguale". IV. Violenza di genere. Linee-guida per una condotta attivamente antidiscriminatoria. 3. RIFLESSIONE. CHIARA ZAMBONI: DELL'UNIVERSITA E DEI SUOI BISOGNI [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sulla bella rivista pedagogica "Ecole", nel fascicolo di ottobre 2005. Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997] La riforma dell'insegnamento, che ha separato uno zoccolo di tre anni iniziali da due successivi di specializzazione e che ha introdotto crediti e moduli brevi, ha modificato radicalmente l'universita': la sua immagine e la metafisica in essa coinvolta. La trasformazione si vede dagli effetti. Ne parlo soprattutto a partire dalle facolta' umanistiche, che conosco di piu', dato che insegno per un corso di laurea di filosofia nell'ateneo di Verona. Incomincio dalla frammentazione degli insegnamenti, che sono stati sparpagliati in una miriade di moduli brevi e brevissimi, di 40, 20, 10 ore. Questo ha modificato alla radice il rapporto tra studenti e docenti. Insegnando si sa per esperienza che per creare una relazione viva con gli studenti occorre un certo tempo. Nel "mordi e fuggi" dei moduli questo risulta impossibile. Cosi' viene meno quello che costituisce il lato implicito e piu' importante dell'insegnamento: accanto al passaggio di conoscenze si insegna anche un certo modo di accostare i testi, di leggere, di dire, di ragionare, di porre domande e di far parlare l'esperienza soggettiva. Cio' ha bisogno di una relazione che si sia venuta a creare per fiducia. Si tratta infatti di uno stile che solo cosi' le studentesse e gli studenti colgono e che piu' di tanto non puo' essere messo in parola. Oltre a cio' occorre per gli studenti avere tempo di "ruminare" quel che hanno appreso. Nutrirsene. Farlo proprio. Meditarci. E questo richiede tempo. Un tempo che il ritmo battente di corsi brevissimi seguiti immediatamente da esami non lascia affatto. * Il fordismo applicato alla cultura E' stato soprattutto lo zoccolo di tre anni che ha risentito di questa disgregazione del legame tra studenti e docenti. Esso si ricrea nella specialistica di due anni, perche' gli studenti sono pochi e perche' cambia completamente lo spirito dell'insegnamento che non e' informativo ma quasi artigianale, simile a quello della vecchia bottega dove si imparava un mestiere. Si viene a configurare una divisione di formazione tra chi frequenta solo i tre anni e chi anche la specialistica. E' una divisione tra una cultura fondata sul consumo di informazioni, slegate le une dalle altre, non orientata e semplificata a pillole, e una cultura che cerca di recuperare l'antico rapporto maestro-allievo nell'insegnare il mestiere in tutta la sua complessita', sia che si tratti di filosofia o di ingegneria, o fisica. Una divisione dunque tra una cultura di informazione, che in realta' e' una non-cultura, e una cultura complessa che nasce dal fatto che sono pochi a iscriversi e la relazione di insegnamento si fa piu' stretta. Insomma una nuova forma di divisione di classe piu' negli effetti che nelle cause. L'inserimento dei crediti per calcolare il valore di un esame ha portato a questo meccanismo perverso: i crediti vengono fissati sulle ore di lavoro che si presuppone che uno studente medio faccia. Quante ore lavoro per studiare la Critica della ragion pura di Kant? Di piu' o di meno rispetto a Speculum di Luce Irigaray? Naturalmente gli studenti sono molto diversi gli uni dagli altri nello studiare, ma questo non ha importanza per i riformatori alla ricerca di criteri unici. Quel che piu' impressiona e' il criterio di ore-lavoro che ricorda gli operai alla catena di montaggio o in forma piu' aggiornata dei call center. E' il fordismo applicato alla cultura. Neanche il postfordismo piu' elastico e duttile. Un'idea di lavoro calcolato e pagato ad ore, che deve mantenere un certo ritmo. Una fabbrica diventa l'universita'. L'idea serpeggiante di lavoro, economia, tecniche di comunicazione, dirigenti manager si e' fissata nel linguaggio imposto dal ministero per redigere qualsiasi foglio riguardante la didattica. E' scomparsa un'idea di etica del lavoro, criticabile, ma ancora giocata dalla parte della soggettivita', sostituita da quella della costrizione al lavoro oggettivo e quantificabile nei tempi e nei prodotti. * Frammenti di competenze La frammentazione dunque dell'universita' e' visibile per la composizione dei piu' disparati e brevissimi moduli di chimica, biologia, sociologia, filosofia teoretica, che va di pari passo con lo spezzettamento delle offerte sul mercato dell'informazione: corsi triennali, specialistici, master, perfezionamenti, stage, dottorati, tanto che uno non sa come raccapezzarcisi e avrebbe bisogno di una guida. Non solo: le facolta' per farvi fronte hanno aumentato i contratti con docenti esterni all'universita'. Il che e' molto positivo per avere scambi con altri contesti di produzione del sapere, ma ha reso la frammentazione ancora maggiore. Io credo che questo non sia stato a caso nell'intenzione dei legislatori. C'e' un tentativo in atto non solo all'universita' di dislocare, decentrare, decostruire centri organici di produzione di sapere e altro, per avere un governo piu' ristretto, nella mano di pochi. Del resto di fronte a questa grande frammentazione solo pochi hanno le informazioni per avere una visione d'insieme e dunque solo a pochi e' dato governare la complessita'. Dunque la maggioranza che rimanga nel proprio piccolo frammento di competenze, lasciando a chi ha le informazioni di tutti i settori frammentati il governo della situazione. Non e' capitato questo solo all'universita': ovunque, la' dove ci sono stati centri organici, storici e sedimentati di sapere, si e' visto negli ultimi anni il tentativo di disgregarli attraverso il decentramento e la frammentazione per accentrare le decisioni nelle mani di pochi. * Spaesamento Come vivono queste modificazioni le donne e gli uomini che lavorano con me all'universita'? Con una sofferenza sotterranea, che raramente raggiunge la soglia della consapevolezza e che colgo in comportamenti automatici, in spaesamento. Gli uomini piu' consapevoli si ritirano in una solitudine spirituale amareggiata. Altri puntano ad entrare in lizza per governare il governabile. Alcune donne rielaborano l'estraneita', altre si pongono in una posizione piu' di servizio. I consigli di facolta' non sono piu' luoghi di discussione su orientamenti di fondo sull'insegnamento e la ricerca. Sono diventati gli strumenti con i quali i presidi informano delle decisioni del ministero e cercano di attuarle con i docenti. La resistenza che alcuni docenti mettono in atto e' avvertita da tutti solo come un ritardare una linea di tendenza ritenuta inevitabile. Come argini inutili al fiume in piena. Non c'e' piu' pensiero dell'universita'. Chi lavora nella scuola riconoscera' questi processi come pane quotidiano della propria esperienza. Lo so perche' mi trovo con frequenza regolare a discutere con docenti della scuola in un seminario tenuto qui all'Universita' di Verona per scambiare il senso politico del proprio lavoro di insegnamento. Con la precisa intenzione di avere uno sguardo piu' ampio sulla realta' e i suoi processi di modificazione a partire dalle nostre esperienze. In questo seminario abbiamo discusso del senso diffuso di infelicita'. Della percezione di una accelerazione dei tempi di lavoro a causa della rincorsa della realta' frammentata e della prestazione che viene richiesta. Del desiderio di rinchiudersi nell'insegnamento con gli studenti come unico luogo sensato rimasto, senza rendersi conto che anch'esso si e' profondamente modificato. Siamo arrivati alla idea che un lavoro senza un pensiero che lo accompagni e che permetta di mettere in parola le scoperte che via via facciamo a partire dall'esperienza, le contraddizioni, le impasse, sia un lavoro molto simile alla schiavitu'. Un lavoro solo per riprodurre la nostra vita, per la sopravvivenza, ma senza trascendenza. D'altra parte sono stati via via cancellati i luoghi giusti e il tempo per avere pensiero di quel che facciamo. Che fare? Portare una critica a questi processi avendo il piu' possibile una visione d'insieme e' cosa buona e giusta. Insufficiente pero'. La via che vedo in questo momento di forte disordine e' di capire quali siano le dipendenze che abbiamo dal reale e farne una leva politica. Certo c'e' il bisogno di avere tempo per pensare quel che facciamo. Il bisogno di capire che cosa significa insegnare, fare cultura, fare ricerca in uno scambio con donne e uomini che abbiamo vicini. Nella scuola come nell'universita'. Il bisogno di capire che cosa desiderano le studentesse e gli studenti, nella consapevolezza che i loro desideri sono diversi dai nostri. Il bisogno che l'istituzione ci aiuti nel nostro percorso. Riflettere sui bisogni significa accettare che siamo mancanti di qualcosa di essenziale e al medesimo tempo dipendiamo dallo scambio con gli altri per capire davvero come orientarci. E' la sofferenza che ci fa capire tale mancanza. E' l'amore per la realta, che ci fa comprendere la necessita' di rapportarci agli altri. Questa riflessione e' gia' un primo passo politico. 4. RIFLESSIONE. MARINA TERRAGNI: L'ABORTO, LA MORTE, IL DOLORE, IL PARLARE [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento apparso sul quotidiano "Il foglio" del 4 ottobre 2005. Marina Terragni, giornalista, e' editorialista di "Io Donna" e scrive sul "Corriere della Sera" e su "Il foglio". Opere di Marina Terragni: ha curato il libro di Vittorino Andreoli, E vivremo per sempre liberi dall'ansia, intervista di Marina Terragni, Rizzoli, Milano 1997] Quando sento parlare di aborto nel modo in cui se ne sta parlando, mi chiedo: ma sanno davvero di che cosa si tratta? Anch'io non lo sapevo. Poi un giorno l'ho saputo. Per me - non per tutte sara' andata cosi' - e' stato l'imprinting del senso di morte. Tutte le volte che in seguito ho incontrato la morte somigliava a quella prima esperienza: il risveglio allegro della citta' alle sei del mattino (era ancora un tempo in cui le citta' erano molto allegre), il profumo del caffe' e brioche nei bar, la mia amica che mangiava con appetito e senza nausee prima di accompagnarmi in macchina all'ospedale, il vuoto del digiuno pre-anestesia nel mio stomaco. Per me la morte, in seguito, e' stata per sempre quello stesso vuoto nauseato, quel sentimento tenace e appiccicoso che ci si mette molto, il tempo giusto del lutto, a scrollarsi di dosso per tornare a vivere. La legge 194 era appena passata, io ero una ragazza di sinistra e avrei avuto tutte le possibilita' di ideologizzare difensivamente l'evento. O per banalizzarlo, come si direbbe oggi. L'operazione a me non e' riuscita. Non penso che l'aborto sia banalizzabile. Per l'inconscio non lo e' mai. Per l'io cosciente forse un po' di piu', le difese esistono. Non penso che sarebbe banalizzabile neppure se bastasse uno schiocco di dita o un tocco pranoterapeutico. Ma a maggior ragione non e' banalizzabile quando richiede, come nel caso della Ru486, un paio di giorni di visite e manovre, e la terribilita' dell'attesa solitaria dei dolori e del sanguinamento facendo zapping davanti alla tv. Io, oggi, dovessi scegliere, sceglierei ancora il Karman: un po' di sedazione e di anestetico locale, cinque minuti, un dolore acuto e poi e' finita, almeno la parte brutalmente fisica della questione. A me pare anzi che la Ru486 tenga la coscienza piu' vigile sulla cosa. Insopportabilmente e inutilmente vigile, a mio parere: perche' quando ti succede non vuoi sapere, non c'e' proprio niente da sapere, vuoi solo piangere un po' per lavare via tutto, aspettare le nuove mestruazioni e voltare pagina. Una proporzionalita' che non esiste. Ma ammettiamo pure che la Ru486 renda l'aborto "piu' leggero". Non per questo le donne abortiranno di piu'. Si potrebbe allora orribilmente sostenere che renderlo "piu' pesante", tornare al vecchio raschiamento senza anestesia e magari senza cautele sanitarie, potrebbe far diminuire il numero degli aborti. Tutte le donne morte per "appendicite", come si diceva pudicamente una volta, stanno a dimostrare che anche quando l'aborto era pesante, faceva male e magari ti uccideva per emorragia o setticemia, le donne abortivano. Non e' aumentando il male che gli aborti diminuiranno, ne' diminuendolo che gli aborti aumenteranno. Questa proporzionalita' inversa non esiste, ed e' molto crudele nei confronti delle donne, perche' il pensiero sotteso e' che l'aborto e' un vizio o un lusso di cui, se ne aumenti il prezzo, si dovra' fare a meno, come la benzina e le sigarette, e, peggio ancora, che i figli sono una punizione e una privazione che accetti di infliggerti solo per evitare un male piu' grande. Be', piantiamola. Il male e il danno devono essere ridotti, ogni volta che si puo'. E' uno dei principi politici a cui mi sento piu' affezionata. Il male dell'aborto deve diminuire, e anche il numero degli aborti deve diminuire, e le due cose vanno insieme, non sono l'una il contrario dell'altra. La coscienza deve aumentare e non sara' l'aumento del dolore fisico e nessun'altra strategia sadica a farla crescere. E qui sono costretta a essere banale, dicendo che c'e' ancora un gran lavoro di decolpevolizzazione da condurre sulla contraccezione. A me non piace la contraccezione, personalmente la detesto, specialmente quella ormonale. Ma anche qui, si tratta di mettersi dal punto di vista di una riduzione del danno. Non viviamo in un mondo in cui i figli possono venire quando e quanto vogliono, e sarebbe un gran bel mondo, e questo giornale ha dato avvio a una bella e sacrosanta battaglia perche' questo possa succedere sempre di piu', e mi sembra una delle battaglie politiche piu' rilevanti di questi anni. Ma stare tra l'obbligo morale della contraccezione e il divieto morale della contraccezione e' come stare tra Scilla e Cariddi. Le donne diventano il terminale di un conflitto che nell'aborto ha fatalmente il suo exitus. Si abortira' di meno solo quando cessera' il proibizionismo sui figli, quando il mondo si ricalibrera' sulla nascita, quando la differenza femminile sara' autorizzata e benvoluta e non piu' costretta a cancellarsi nell'emancipazione. C'e' un gran lavoro da fare, come si puo' capire. Nel frattempo la contraccezione puo' dare una mano. E vietare la Ru486, se e' vero, come credo, che puo' ridurre il danno e il male, o quanto meno costituire per molte un'alternativa preferibile all'aborto chirurgico, sarebbe solo ideologia. Io qui, come hanno fatto anche Paola Tavella e Alessandra di Pietro, ho parlato un poco di me, ho radicato nelle cose della mia vita le riflessioni che ho proposto. Oggi sono interessata a parlarne con gli uomini, anche con i molti uomini che nella loro vita hanno obbligato le donne ad abortire, aborto "leggero" o "pesante" che fosse: statisticamente un buon numero di gravidanze interrotte si deve al rifiuto o all'abbandono maschile. Ma di outing non ne ho sentito uno. Che si tratti di figli, di amore o di violenza, nella testa degli uomini la verita' della vita resta tenacemente distinta dalla neutralita' della teoria politica o morale. Per ridurre il numero degli aborti, bisogna invece anche che i maschi accettino di rischiare, e comincino a parlare di questa faccenda, come di molte altre faccende, in questo modo. 5. INIZIATIVE. UN INCONTRO CON MARIA LUISA BOCCIA IL 14 NOVEMBRE A ROMA [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente invito. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002] L'associazione "Generi e generazioni - Scuola di studi femministi" promuove un incontro di discussione e confronto di diverse esperienze con Maria Luisa Boccia sul tema "Le forme dell'agire collettivo". L'incontro si svolgera' lunedi' 14 novembre 2005, con inizio alle ore 18, presso la Casa internazionale delle donne, in via della Lungara 19, a Roma. 6. MEMORIA. IAIA VANTAGGIATO INTERVISTA ENZO TRAVERSO [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 novembre 2005 riprendiamo questa intervista sull'appena pubblicata Storia della Shoah. La crisi dell'Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, a cura di Marina Cattaruzza, Marcello Flores, Simon Levis Sullam ed Enzo Traverso, 4 volumi con 70 saggi inediti e 15 saggi iconografici; un volume di documenti, 3 dvd con filmati d'epoca in parte inediti, un cd-rom ipertestuale, Utet, Torino 2005: "un'opera monumentale e innovativa nel panorama editoriale internazionale che analizza quell'evento drammatico all'interno delle trasformazioni della politica e della societa' europea del XX secolo". Iaia Vantaggiato e' una prestigiosa intellettuale e giornalista impegnata per la pace e i diritti. Enzo Traverso, storico (nato nel 1957), docente all'Universita' della Picardie "Jules Verne" di Amiens, saggista, acuto studioso della Shoah e del totalitarismo. Tra le opere di Enzo Traverso. Gli ebrei e la Germania: Auschwitz e la simbiosi ebraico-tedesca, Il Mulino, Bologna 1994; La violenza nazista. Una genealogia, Il Mulino, Bologna 2002; Auschwitz e gli intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra, il Mulino, Bologna 2004; (con Marina Cattaruzza, Marcello Flores e Simon Levis Sullam), Storia della Shoah, Utet, Torino 2005; in francese: Les marxistes et la question juive, La Breche-Pec, Montreuil 1990; Les Juifs et l'Allemagne, de la "symbiose judeo-allemande" a' la memoire d'Auschwitz, La Decouverte, Paris 1992; L'Histoire dechiree. Essai sur Auschwitz et les intellectuels, Editions du Cerf, Paris 1997; Pour une critique de la barbarie moderne. Ecrits sur l'histoire des Juifs et l'antisemitisme, Editions Page deux (Cahiers libres), Lausanne 2000; Le totalitarisme. Le XXeme siecle en debat, Seuil, Paris 2001; La violence nazie. Essai de genealogie historique, La Fabrique, Paris 2001; La pensee dispersee, Ed. Leo Scheer, Paris, 2004] Due volumi proposti dalla Utet - il primo dei quali e' appena approdato in libreria - ripercorrono in maniera del tutto inedita e innovativa la storia della Shoah. Ne parliamo con lo storico Enzo Traverso dell'universita' di Amiens, curatore dei due volumi con Marina Cattaruzza, Marcello Flores e Simon Levis Sullam. * - Iaia Vantaggiato: Perche' una nuova "Storia della Shoah"? - Enzo Traverso: Intanto si tratta di una "storia" diversa da quelle gia' esistenti e non solo perche' la nostra e' un'opera collettiva. Il tentativo e' stato quello di affrontare la Shoah come problema storico nel senso piu' ampio del termine: non solo l'evento, le sue premesse, le sue interpretazioni, ma anche la memoria, le rappresentazioni, l'impatto sulla cultura. * - Iaia Vantaggiato: Cosa intende dire? - Enzo Traverso: Che abbiamo cercato di tenere insieme le temporalita' diverse che nella Shoah si condensano. Quella fulminea dello sterminio che e' poi la temporalita' della guerra e all'interno della quale la Shoah si inscrive come trauma e catastrofe. Quindi la temporalita' lunga del processo che la prepara: mi riferisco, in particolare, alla crisi europea che esplode con la Grande guerra ma che gia' viene annunciata dalle contraddizioni e dalle tensioni che, in tutta Europa, si vanno accumulando nel corso dell'800. Il fascismo non e' una specificita' tedesca che', anzi, nasce in Italia; il colonialismo e' di portata europea cosi' come l'antisemitismo razziale e l'eugenismo, l'anticomunismo e l'antibolscevismo. Parliamo, insomma, di un insieme di fenomeni che precipitano nel nazismo ma che precedeno l'"evento Olocausto". * - Iaia Vantaggiato: E la memoria? - Enzo Traverso: E' il terzo asse temporale, quello all'interno del quale cerchiamo di capire come l'Olocausto si e' andato costruendo come evento centrale nelle nostre rappresentazioni della storia del '900. Senza cadere nel relativismo radicale dei postmoderni, la storia e' una rappresentazione a posteriori, ancorata ai fatti, ma pur sempre costruita nel presente, e per questo mutevole in ogni epoca. Fra cinquant'anni vedremo la Shoah con occhi diversi. * - Iaia Vantaggiato: Cosa aggiungono i vostri volumi a quanto gia' scritto, per esempio, da Raul Hilberg ne La distruzione degli ebrei d'Europa? - Enzo Traverso: Il testo di Hilberg resta imprescindibile ma il suo approccio e' diverso dal nostro. Hilberg fa un'anatomia dell'Olocausto che vede come un processo endogeno, come una sorta di partita a due tra ebrei e nazisti facendo astrazione del contesto storico: la guerra nazista come guerra di conquista dello "spazio vitale", di colonizzazione del mondo slavo e di distruzione del bolscevismo. Lo sterminio degli ebrei e' parte di questa guerra. * - Iaia Vantaggiato: Lei, pero', ha appena detto che la Shoah e' un evento autonomo. - Enzo Traverso: Si', occorre riconoscere il carattere fulmineo e traumatico di un evento che i suoi stessi attori non avevano previsto. Ne' gli ebrei - che non pensavano di trovarsi di fronte a un progetto di sterminio - ne' i nazisti, almeno sino al '41. Dunque l'autonomia dell'evento resta un dato imprescindibile che, peraltro, mette in discussione una visione strutturalista della storia che considera l'evento, per dirla con Fernand Braudel, effimera "schiuma". * - Iaia Vantaggiato: Evento autonomo, e va bene. Ma ci sara' pure un modo per risalire alle sue origini? - Enzo Traverso: Io credo che le origini della Shoah si configurino a posteriori: esse nascono dall'evento attraverso una ricognizione retrospettiva delle sue premesse ma queste non lo contengono. Rimane uno scarto rispetto a tutte le premesse che si possano prendere in esame. * - Iaia Vantaggiato: Parliamo, dunque, di premesse che non vanno considerate alla stregua di vere e proprie cause? - Enzo Traverso: L'Olocausto non e' uno sbocco fatale e meccanico ma - ripeto - la condensazione e la precipitazione di tensioni accumulate nel corso di decenni. L'antisemitismo, il colonialismo e l'imperialismo classico con il loro corteo di genocidi, guerre di conquista e stermini giustificati e legittimati sul piano ideologico dal razzismo. Esperienze dalle quali il nazismo ha ricevuto in eredita' anche un linguaggio: penso, per esempio, alle nozioni di "subumanita', "estinzione delle razze", "annientamento". * - Iaia Vantaggiato: Un concetto ereditato dalla Grande guerra, non crede? - Enzo Traverso: Come ha scritto George Mosse, la Grande guerra ha "brutalizzato" le societa' europee, e' stato il momento in cui l'Europa ha scoperto il massacro industriale, la morte anonima di massa e i campi di concentramento. Senza cadere nel determinismo, la Grande guerra e' premessa senza la quale lo sterminio degli ebrei sarebbe stato inconcepibile. * - Iaia Vantaggiato: Nel saggio di Dan Diner che apre il primo dei due volumi, si parla di "Zivilisationsbruch", di frattura di civilta' come epistemologia della Shoah. Che vuol dire? - Enzo Traverso: Un genocidio e' una rottura di civilta' perche' e' lacerazione di un tessuto elementare di solidarieta' umana soggiacente al funzionamento della societa', al di la' dei singoli conflitti nel corso dei quali, come ha sostenuto Habermas, anche nel nemico si riconosce un essere umano. E il concetto di genocidio e' nato con la Shoah. Ma la Shoah e' una rottura di civilta' che nasce dalla civilta' ed e' un prodotto della civilta'. * - Iaia Vantaggiato: Dunque lei e' contrario a considerare il fascismo o il nazismo come "semplice" ricaduta nella barbarie. - Enzo Traverso: La barbarie del fascismo e del nazismo sono l'altra faccia della civilta' occidentale moderna. * - Iaia Vantaggiato: Torniamo, insomma, alla dialettica dell'illuminismo. - Enzo Traverso: Si'. Alcune premesse dell'Olocausto risiedono tutte nelle conquiste della civilta': nella sua fenomenologia, l'Olocausto presuppone una razionalita' produttiva e amministrativa che Max Weber indicava come uno dei tratti salienti dell'Occidente e un paradigma fordista di produzione in serie che ora viene usato per distruggere. * - Iaia Vantaggiato: "Modernita' e Olocausto", insomma, per dirla con Baumann? - Enzo Traverso: Per far funzionare un campo di sterminio bisogna avere delle competenze tecniche e amministrative. Per costruire e far funzionare le camere a gas e i forni crematori occorre una razionalita' strumentale i cui agenti possono fare a meno dell'ideologia e che, per parlare con Weber, spesso si considerano eticamente deresponsabilizzati: basti pensare ai funzionari che stilano le liste degli ebrei o che controllano il sistema dei trasporti. Tutto questo - come ha ben scritto Baumann - implica le acquisizioni della civilta' industriale moderne. La Shoah e' si' rottura di civilta', ma una rottura che quella civilta' suppone. * - Iaia Vantaggiato: Quanto ha a che fare tutto cio' col passaggio dall'apocalisse della modernita' all'apocalisse totalitaria di cui parla Emilio Gentile nel volume? - Enzo Traverso: Gentile analizza un mutamento che avviene nella cultura europea alla svolta del secolo e che rimane a monte della Shoah. La sua e' una formula efficace che indica la transizione da una critica della modernita' fattasi virulenta e diffusa gia' a partire dalla fine dell'800 - la modernita' che distrugge valori, tradizioni, natura, rapporti sociali - a una vera e propria offensiva contro la modernita' condotta pero', dopo la Grande guerra, con gli stessi strumenti della modernita'. * - Iaia Vantaggiato: Il fascismo come controrivoluzione? - Enzo Traverso: Si', ma una controrivoluzione moderna. Il fascismo non critica la modernita' dal punto di vista passatista ma adotta un linguaggio rivoluzionario e intende sfruttare la democrazia come forma sociale. Al cuore dell'apocalissi totalitaria nella sua forma nazista c'e' una singolare commistione di romanticismo e modernismo, di valori arcaici ereditati dalla critica dell'illuminismo e tecniche, linguaggi e strumenti del tutto moderni. * - Iaia Vantaggiato: Oltre che di rottura di civilta', ritiene che sia legittimo parlare anche di una rottura del paradigma dell'uguaglianza? - Enzo Traverso: Certo il nazismo si oppone a questo paradigma, che e' il presupposto della democrazia. Mettendo fine a un secolo di emancipazione ebraica in Germania, le leggi di Norimberga segnano incontestabilmente una rottura del paradigma dell'uguaglianza, ma si tratta di una rottura che va contestualizzata. Non bisogna dimenticare che nella prima meta' del secolo l'Europa e' ancora coloniale e imperiale e che il liberalismo di quegli anni non e' democratico ma conservatore: algerini e indiani sono sudditi, non cittadini. Hitler vuole assimilare il mondo slavo alle colonie asiatiche o africane e trasferire nel mondo slavo - il Lebensraum tedesco - un modello coloniale che riguarda l'Eurpopa nel suo insieme. * - Iaia Vantaggiato: Per questo lei cita Hannah Arendt la' dove afferma: "Il fatto e' che una situazione di completa privazione dei diritti era stata creata prima che il diritto alla vita venisse messo in discussione"? - Enzo Traverso: Si', anche perche' Arendt non si riferiva solo agli ebrei ma a tutti coloro che - dopo il 1918 - cominciano ad essere considerati dei "paria" in virtu' di una ridefinizione dell'Europa che, ispirata al modello dello stato-nazione come alternativa ai grandi imperi multinazionali, crea grandi masse di profughi e di apolidi, di senza patria e senza diritti. * - Iaia Vantaggiato: Torniamo all'"evento Olocausto". Chi riguarda? - Enzo Traverso: Certo le vittime e i carnefici ma anche l'Europa nel suo insieme, perche' se i tedeschi sono riusciti a sterminare gli ebrei e' stato anche grazie alla complicita' passiva della societa' tedesca, al sostegno attivo dei regimi alleati e di una parte dell'Europa profondamente contaminata dall'antisemitismo. * - Iaia Vantaggiato: Questo dal punto di vista della storia. Ma da quello della memoria? - Enzo Traverso: La Shoah e' entrata nella coscienza storica del mondo occidentale, tanto che si puo' parlare di ossessione della memoria, quasi una compensazione tardiva rispetto al lungo silenzio che l'aveva avvolta nel dopoguerra. E tuttavia la retorica della memoria rischia di diventare sterile. Il problema non e' quello di ricordare ma dell'uso politico che della memoria si fa. Intendo dire che non serve commemorare ogni anno la liberazione di Auschwitz o far leggere Primo Levi nelle scuole se non si cerca di inscrivere nel presente questa memoria, mettendola in rapporto alle nuove forme di razzismo, ai genocidi della fine del '900. * - Iaia Vantaggiato: Non crede che la memoria della Shoah sia anche un modo attraverso cui le diverse identita' nazionali ridefiniscono se stesse? - Enzo Traverso: Credo che la memoria della Shoah sia diventata una sorta di religione civile dell'Occidente democratico. Per essere solide e virtuose, le democrazie devono conservare la memoria dell'Olocausto. E' un fatto importante. Ma questa religione civile ha le sue zone d'ombra e non deve sottrarsi alla critica: tra gli statisti che nel gennaio scorso hanno commemorato ad Auschwitz la liberazione dei campi di sterminio, c'erano anche i responsabili di Guantanamo e di Abu Ghraib. * - Iaia Vantaggiato: Molti ebrei hanno cominciato a parlare di Shoah anni dopo la fine della guerra. Perche'? - Enzo Traverso: La memoria ha una sua temporalita', segue spesso percorsi lunghi e tortuosi. Nel dopoguerra gli ebrei non volevano apparire come vittime ma reintegrarsi nelle comunita' nazionali dalle quali erano stati strappati. Poi ci sono stati degli eventi che hanno funzionato come detonatori: penso al processo di Eichmann a Gerusalemme. Per la prima volta i sopravvissuti hanno potuto parlare ed essere ascoltati. Per Israele - che nel '48 non vuole apparire come un paese di reduci ma di combattenti - e' stato un grande momento di svolta: la memoria dell'Olocausto diventa fonte di legittimazione della sua esistenza e della sua politica. Israele stessa diventa la risposta all'Olocausto. Quanto all'Europa, sara' il movimento studentesco tedesco - negli anni '60 - a porre nuove domande alla generazione dei padri: "perche' il nazismo", "perche' l'avete accettato senza ribellarvi", "perche' la Shoah"? Interrogativi che prendono finalmente forma all'interno di una generazione che vuole capire. Sono alcune tappe di un processo che non e' stato lineare. 7. CINEMA. ENRICO PEYRETTI: DELL'AMORE CONTRO LA GUERRA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questa meditazione sull'ultimo film di Roberto Benigni, La tigre e la neve. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Roberto Benigni (Misericordia, Arezzo, 1952), attore, sceneggiatore, regista e produttore cinematografico, ma attivo anche come comico televisione e in altre forme di spettacolo, si e' sempre caratterizzato come un artista di sincero impegno civile; tra i riconoscimenti internazionali il Gran premio della giuria a Cannes e tre Oscar per La vita e' bella. Tra i film da lui diretti: Tu mi turbi (1983); Il piccolo diavolo (1988); Johnny Stecchino (1991); Il mostro (1994); La vita e' bella (1997); Pinocchio (2002); La tigre e la neve (2005); ma vanno ricordati anche almeno, tra i film da lui interpretati: Berlinguer ti voglio bene (1977) di Giuseppe Bertolucci; Chiedo asilo (1979) di Marco Ferreri; Daunbailo' (1986) di Jim Jarmusch; La voce della luna (1989) di Federico Fellini; Il figlio della pantera Rosa (1993) di Blake Edwards] La guerra non e' soltanto a Baghdad, dove Vittoria (nome scelto pour cause) ne e' colpita, ma nel cuore e nei sogni di Attilio. Qualcosa non va con Vittoria, che sfugge, sfugge. E lui la sogna, la sogna. Sogno e realta' si intrecciano, a piu' livelli del racconto. La realta' si nasconde nei simboli animali, inquietanti, divertenti: pipistrelli, topi e ragni che obbediscono ai versi di una filastrocca. Attilio e' un poeta invincibile (Vittoria non lo vince) perche' trasfigura la realta'. Anche Fuad, il suo amico iracheno, e' poeta, ma e' triste, e di tristezza si muore. Attilio no: lui afferra tristezza, solitudine, guerra e morte, con l'abilita' di un giocoliere, con la risolutezza che in un poeta svagato non sapresti immaginare e con l'allegria malinconica di chi vede bene il male ma non si piega alla rassegnazione. Perche' ama. In Baghdad bombardata - siamo nel marzo 2003 - trova una introvabile medicina per lei, che forse era morta. Col titolo di poeta sbalordisce i giovanottoni blindati e terrorizzati del chek-point americano, sfuggendo per poco alla morte di Calipari. La sua lezione di poesia agli studenti e' una pagina di antologia del cinema, da conservare: un muro non e' un muro, e' quello che il poeta vuole che sia. Il poeta e' creatore. Tutti potremmo essere creatori, se avessimo la fede di Attilio nell'amore. Che e' invincibile, e' Vittoria. Lei e' lontana. Cosa e' piu' lontano di Baghdad? Lui, sempre in ritardo, ci arriva in un lampo, mentre gli aerei non ci vanno. E' chiaro che la guerra non la vuole, ma non la discute, non fa manifestazioni: fa il contrario della guerra, trova ossigeno e medicine sotto le bombe, salva una vita, passa le barriere. Data per morta, lui le parla, le procura musica e scacciamosche, e un confortevole sottoscala. Forse Baghdad e la guerra sono stati solo un incubo, perche' l'amore difficile minaccia la vita, come una guerra. Ma tutto va affrontato con l'inventiva tenace, come e' tenace l'amore. Oh, Fuad, perche' ti sei arreso alla guerra che offende il cielo millenario della tua citta'? Ora i tuoi fogli volano via. E' vero che ogni cuore e' un abisso. Ma vedi che alla fine Vittoria e' vinta, perche' la tigre e la neve, cioe' la poesia di Attilio, lei le incontra davvero, davanti a se', sulla sua strada. Attilio e' da sempre un vinto, e quando si arrende al sonno stanco di lei, e' allora che vincono entrambi. Benigni sa domare shoah e guerra, guarda la tigre negli occhi e la incanta con la leggerezza della neve. 8. LETTURE. RITA MELILLO: TUTUCH Rita Melillo, Tutuch (Uccello tuono). A colloquio con gli aborigeni del Canada, Mephite, Atripalda (Av) 2004, pp. 256, euro 16. Preceduta da un ampio saggio interpretativo e di sintesi dell'autrice - una studiosa che ha gia' pubblicato vari volumi spaziando dalla filosofia teoretica all'antropologia culturale, alla riflessione sul management -, un'appassionante raccolta di interviste (pp. 123-242) a nativi canadesi restati legati alle loro culture tradizionali; le interviste sono condotte col metodo del questionario che puo' apparire rigido, ma le risposte sono assai variegate per impostazione e per dimensioni, e molte sono di grande interesse. Con una presentazione di Domenico Antonino Conci. 9. LETTURE. ROSANNA SCHIRALLI: TI PARLO MA NON MI SENTI Rosanna Schiralli: Ti parlo ma non mi senti. Manuale di orientamento per genitori disorientati, Angeli, Milano 2004, pp. 128, euro 13. In un linguaggio semplice e piano alcuni ragionevoli consigli a genitori sovente troppo distratti, affinche' sappiano ascoltare i bambini. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1113 del 13 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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