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La nonviolenza e' in cammino. 1112
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1112
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 12 Nov 2005 00:04:17 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1112 del 12 novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Dalle periferie in fiamme un appello delle donne contro tutte le violenze 2. Massimo Ortalli: Leggere l'anarchismo (parte quarta e conclusiva) 3. Maria Antonietta Saracino ricorda Ken Saro-Wiwa 4. Giampaolo Calchi Novati ricorda Ken Saro-Wiwa 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. APPELLI. DALLE PERIFERIE IN FIAMME UN APPELLO DELLE DONNE CONTRO TUTTE LE VIOLENZE [Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo il seguente appello promosso da movimenti di donne impegnate nelle periferie delle citta' francesi contro tutte le violenze] Siamo donne, madri, figlie, sorelle. Noi siamo nipoti, zie, cugine, amiche, amanti o vicine. Noi siamo la meta' della popolazione. La meta' del cielo. La meta' del mondo. Guardate bene: nelle foto delle banlieues in fiamme non c'e' una donna. Nel momento in cui un ministro irresponsabile e bellicoso insulta i nostri parenti e le nostre famiglie, francesi, immigrati, stranieri; nel momento in cui pretende di "ripulire i quarteri con gli idranti" e "eliminare la marmaglia": nel momento in cui noi piangiamo la morte di due ragazzi, rifugiatisi in circostanze ancora non chiarite all'interno di un impianto per l'energia elettrica; nel momento in cui piangiamo e deploriamo la morte di un uomo colpito a morte a Epinay poiche' fotografava un lampadario; nel momento in cui bruciano le macchine, le scuole, i commissariati: in questo momento noi lanciamo un forte appello affinche' cessino queste violenze che possono avere esiti ancor piu' drammatici. Perche' i nostri figli hanno bisogno di veicoli per andare a lavorare o a cercare un lavoro; hanno bisogno di scuole per acquisire i saperi indispensabili; hanno bisogno di centri sociali gratuiti di prevenzione e di cura; hanno bisogno di avere accesso ai servizi e sanitari; hanno bisogno di autobus per spostarsi; hanno bisogno di pompieri per salvare delle vite e spegnere gli incendi; hanno bisogno di postini per far pervenire la posta; hanno bisogno di servizi pubblici utili alla collettivita'. Noi rivolgiamo un appello innanzitutto ai nostri figli, a quelli che amiamo: esigiamo che ritornino a casa e che si calmino. Lo esigiamo perche' li abbiamo messi al mondo; perche' li abbiamo fatti crescere e nutriti; perche' senza di noi non esisterebbero. Non hanno diritto di distruggere la vita che abbiamo loro dato. Ci fanno provare vergogna accettando di somigliare all'insulto che e' stato loro rivolto. No, non sono marmaglia; non sono degli scarti da gettare: sono degli esseri umani che hanno diritto al rispetto, all'uguaglianza, alla dignita'. Come tutti i cittadini hanno dei diritti, ma anche dei doveri. Rivolgiamo un appello alle forze di polizia perche' rispettino scrupolosamente la egalita' democratica. Rivolgiamo un appello altesi' ai "moralizzatori" che ci disprezzano e ci ignorano, a quelli che hanno instaurato la deplorevole politica dei "grandi fratelli" di cui si vedono i disastrosi risultati, che trattano solo con le chiese e gli imam, che aboliscono l'assistenza pubblica e le politiche di solidarieta', che attizzano l'odio e lo smarrimento, senza mai darci i mezzi per vivere dignitosamente. Dietro questa politica, c'e' anche il disprezzo per le donne, per quelle che lottano nei quartieri, che si battono, che costruiscono - con mezzi e aiuti palesemente insufficienti - strategie per lottare contro le violenze: le donne che prestano soccorso, le donne solidali, le donne in piedi. Chiediamo un vero piano d'urgenza per le banlieues che promuova una vera politica sociale per tutti, una politica di prevenzione e di sostegno all'infanzia e alle famiglie, una politica scolastica all'altezza delle esigenze, una vera politica di riconocimento ed integrazione sociale e la fine dei ghetti. Saremo nei quartieri che bruciano, manifesteremo con i nostri parenti e vicini, in silenzio e pacificamente. Lanciamo questo appello a tutte le donne, dobbiamo essere migliaia per interporci e metter fine a queste violenze. * Prime firmatarie: Africa 93, Ufal Saint-Denis, Ufal Ile de France 2. DOCUMENTAZIONE. MASSIMO ORTALLI: LEGGERE L'ANARCHISMO (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA) [Dal sito di "A. rivista anarchica" (www.arivista.org) riprendiamo questa ampia bibliografia ragionata apparsa come inserto di "A. rivista anarchica", anno XXXV, n. 311 (7/2005), ottobre 2005, ma disponibile anche in edizione a stampa a se'. "A. rivista anarchica" e' una delle migliori riviste mensili di politica e cultura disponibili in Italia; esce regolarmente nove volte l'anno dal febbraio 1971; non esce nei mesi di gennaio, agosto e settembre; e' in vendita per abbonamento, in numerose librerie e presso centri sociali, circoli anarchici, botteghe, ecc.. E' possibile richiederne una copia/saggio. Per qualsiasi informazione, compresa la lista completa dei vari materiali prodotti dalla rivista (dossier "Gli anarchici contro il fascismo", letture di Bakunin, Kropotkin, Malatesta e Proudhon, volantoni della serie anti-globalizzazione, poster di Malatesta 1921, i nostri dossier, cd e dvd di/su Fabrizio De Andre', dossier su Franco Serantini, lista di oltre cento cd, mc, ecc. della "Musica per 'A'", ecc.) contattare la redazione per fax, e-mail o in segreteria telefonica. Una copia di "A" costa 3 euro, l'abbonamento annuo 30 euro, quello estero 40 euro, l'abbonamento sostenitore da 100 euro in su. Per contatti: Editrice A, cas. post. 17120, I - 20170 Milano, tel. (+39) 022896627, fax (+39) 0228001271, e-mail: arivista at tin.it, sito: www.arivista.org, conto corrente postale 12552204, conto corrente bancario n. 107397 presso Banca Popolare Etica, filiale di Milano (abi 05018, cab. 01600). Per effettuare un bonifico, le banche richiedono spesso le coordinate: quelle nazionali (BBAN) sono H 05018 01600 00000107397 e quelle internazionali (IBAN) sono IT10 H050 1801 6000 0000 0107 397. Massimo Ortalli (per contatti: massimo.ortalli at acantho.it), storico, saggista, studioso e militante del movimento libertario, e' impegnato nell'Archivio storico della Federazione anarchica italiana di Imola] Letteratura Veniamo ora all'ambito letterario, il piu' frequentato dagli autori che hanno trovato nelle storie degli anarchici e dell'anarchia un'evidente fonte d'ispirazione. Sono parecchi i testi da segnalare, per cui la cosa migliore e' procedere in ordine cronologico. Iniziamo con Luigi Regoli anarchico di Angelo Toninelli (Firenze, Shakespeare and Company, 1995), un romanzo molto bello, ambientato nella Maremma selvaggia e nell'industrializzata Piombino agli inizi del '900, in cui emergono i caratteri degli spiriti ribelli e sognatori del secolo scorso. Una storia d'amore e di lotta contro i fascisti che vede impegnato un intero paese, temprato nelle lotte di fabbrica delle acciaierie piombinesi, giunto all'anarchia sulle "alate" parole di Pietro Gori, deciso a conservare la sua anima proletaria e libertaria senza cedere alla violenza e alla reazione. Trattando di anarchismo e letteratura, centrale e' l'opera di Paco Ignacio Taibo II, che in Rivoluzionario di passaggio (Milano, Tropea, 1996) tratteggia la straordinaria figura di un irriducibile rivoluzionario spagnolo che, nel Messico degli anni '20, incarna, con il rifiuto di normalizzare la propria vita, l'essenza di quello spirito libero e ribelle caro a tanti compagni di ieri e di oggi. Restando in Sud America, ricordo Un caffe' molto dolce di Maria Luisa Magagnali (Torino, Bollati Boringhieri, 1996), che rievoca le vicende di Severino Di Giovanni, uno dei personaggi piu' controversi dell'anarchismo argentino. La sua vita avventurosa, fatta di azioni quasi sempre ai limiti o fuori della legalita' e finita tragicamente, e' anche quella di un anarchico a tutto tondo, che dette tutto di se' per la causa, vivendo anche un'appassionata storia d'amore con una giovanissima compagna. Il francese Michel Ragon e' autore de La memoria dei vinti (Milano, I nostri, 1997), un complesso romanzo che ripercorre la storia dell'anarchismo, dalla Banda Bonnot alla guerra di Spagna, da Kronstadt al Sessantotto, mescolando personaggi reali e figure di fantasia, e costruendo tanto il ritratto di un'epoca quanto un'intensa storia sentimentale. Restiamo in Francia con Il grido del popolo di Jean Vautrin (Milano, Frassinelli, 2001). Premio Goncourt, Legion d'Onore, giallista di fama, Vautrin, al suo primo romanzo tradotto in italiano, ci porta ai tempi della gloriosa Comune del 1871, con una trama avvincente a mezza via tra le forti tinte del feuilleton ottocentesco e la denuncia sociale delle miserie del proletariato insorto. Poi ci sono i Ribelli! di Pino Cacucci (Milano, Feltrinelli, 2001): Sacco e Vanzetti, Secondari, Marius Jacob, Sabate' e tante altre figure quasi leggendarie accomunate dall'inesauribile amore per una vita libera e ribelle. Tornando in patria, esclameremo, con Toni Iero, Forza, Italia! 2001-2005 una nazione alla deriva in un mondo in tempesta (Milano, Zero in condotta, 2002). Un racconto avvincente, composto nel solco della migliore tradizione della fantapolitica libertaria, con la prefigurazione delle future scadenze sociali, economiche e politiche che ci attendono - ma speriamo di no - nei prossimi anni. Un altro romanzo curioso, a tratti onirico e surreale, e' Zero maggio a Palermo di Fulvio Abbate (Milano, Baldini & Castoldi, 2003). L'autore torna alle sue esperienze giovanili, vissute dentro i movimenti della Palermo sessantottesca, una citta' attraversata da pulsioni libertarie e da sette metafisici Salvatori anarchici, una citta' magica e affascinante nella quale tutto appare finalmente possibile. Il secondo romanzo di ispirazione anarchica di Angelo Toninelli, scrittore decisamente innamorato dell'anarchia e delle sue coinvolgenti storie, e' Un sogno d'amore (Pisa, Ets, 2003). In una popolana Firenze ottocentesca si incontra una folla di personaggi, storici e di fantasia, impegnati nella costruzione dell'Internazionale e convinti assertori della necessita' di un'organizzazione sociale che crei le premesse dell'emancipazione. Il racconto delle tribolazioni, ma anche degli entusiasmi dei primi militanti proletari. Di tuttíaltro tenore, ma non meno avvincente, Itala scola. I delitti di una scuola azienda (Milano, Zero in condotta, 2004), un vero e proprio thriller di Dario Molino, insegnante e militante del sindacalismo di base. Un racconto dove gli elementi tipici del noir si mescolano, con feroce ironia, ai problemi pressanti che affondano, giorno dopo giorno, una scuola sempre meno scuola e sempre piu' azienda. Il dolore perfetto (Milano, Mondadori, 2004), che e' valso a Ugo Riccarelli il Premio Strega 2004, e' un bellissimo romanzo che narra la saga struggente ed eroica di una famiglia e di un'intera generazione di anarchici, trascorsa fra la poesia del padule maremmano. Nella drammaticita' di vite sconvolte dalla violenza del potere, solo la solidarieta' fra emarginati riesce a lenire e a rendere superabili le dolorose difficolta' della vita. Di Franco Bernini e' uscito La prima volta (Torino, Einaudi, 2005), curioso ma non straordinario romanzo ambientato nel 1898, nel quale si intrecciano rocambolescamente le vicende del primo campionato di calcio, quelle dei moti milanesi soppressi nel sangue da Bava Beccaris e le mene attentatrici di improbabili anarchici idealisti e di cinici anarchici ancora piu' inverosimili. Saluto anche con piacere la ristampa del Ritratto in piedi di Gianna Manzini (Pistoia, Libreria dell'Orso, 2005). Era, infatti, ormai introvabile questo libro - senz'altro una delle piu' belle opere letterarie dedicate a figure anarchiche - nel quale la famosa scrittrice tratteggia la splendida ed amata figura del padre, anarchico pistoiese, amico di Gori e Malatesta, che mai si piego' di fronte alle avversita' famigliari e politiche. Termino questa "rassegna letteraria" con l'ultimo nato, Lo zio anarchico di Pier Francesco Gasparetto (Reggio Emilia, Aliberti, 2005). Ancora una volta storie di anarchici e attentatori, in trasferta dalla provincia piemontese a Paterson, New Jersey. A un primo sguardo, questo libro sembra avere come unico pregio la bella riproduzione in copertina di un quadro di Costantini. * I situazionisti Termino la sezione culturale con una serie di testi che, pur non interessando il mondo delle arti in senso stretto, testimoniano pero' una corrente intellettuale che affronto', in modo originale e felicemente provocatorio, le tematiche legate alla critica culturale. Intendo parlare del situazionismo. Partiamo, doverosamente, da L'amara vittoria del situazionismo. Per una storia critica dell'Internationale Situationniste 1957-1972, di Gianfranco Marelli (Pisa, Bfs, 1996), un testo ormai indispensabile per comprendere quanto vicine, ma anche quanto distanti siano state le strade percorse, negli stessi anni, da situazionisti e anarchici. In questo saggio, senza dubbio il piu' importante in Italia, Marelli ricostruisce il percorso teorico dei situazionisti che aveva l'obiettivo di reinventare la rivoluzione e liberare la vita quotidiana dalla passivita' alienante della societa' dello spettacolo. Sempre di Marelli, L'ultima Internazionale. I situazionisti oltre l'arte e la politica (Torino, Bollati Boringhieri, 2000), un altro studio sulla peculiarita' del situazionismo, l'ultima internazionale del secondo millennio, in bilico fra il recupero agiografico della sua critica radicale e dei suoi "profeti", e la capacita' di allestire un habitat per "l'illimitato dispiegamento delle nuove passioni". Sullo stesso argomento e' uscito Breve storia dell'Internazionale Situazionista (Torino, Nautilus, 1999), a cura della Nottingham Psychogeographical Unit, col corredo di rare immagini fotografiche. Molto interessante e' anche Potlach, Bollettino dell'Internazionale lettrista 1954-57, che la piccola e vivace editrice torinese Nautilus, in sintonia con la sua linea editoriale, ha stampato nel 1999. E' l'unica edizione italiana degli introvabili documenti di questa Internazionale, il movimento francese d'avanguardia capostipite della "editoria selvaggia", che si proponeva di operare la difficile riunificazione della creazione culturale d'avanguardia con la critica rivoluzionaria della societa'. Per finire, altri tre testi esemplari pubblicati da Nautilus, Urla in favore di Sade (Torino, 2000), di Guy Debord, uno dei fondatori e padri nobili del situazionismo; Avviso agli studenti (Torino, 1996), dell'altro "mostro sacro" Raul Vaneigem; e infine La rivoluzione dell'arte moderna e l'arte moderna della rivoluzione (Torino, 1996), antico e illuminante documento del 1967 proveniente dalla Sezione inglese dell'Internazionale Situazionista. * Spagna '36 A conclusione di questa traccia bibliografica gettiamo uno sguardo oltre le frontiere e occupiamoci dell'anarchismo degli altri paesi. Naturalmente l'attenzione sara' concentrata soprattutto sulle due grandi esperienze rivoluzionarie del Novecento, nelle quali gli anarchici ebbero una parte importantissima: la libertaria rivoluzione spagnola e la rivoluzione, un po' meno libertaria, che sfocio' nella fondazione della prima repubblica sovietica. Per l'affetto che ci lega, partiamo dalla Spagna, seguendo in questo caso l'ordine cronologico delle pubblicazioni segnalate. Zero in condotta ha pubblicato Chi c'era racconta. La rivoluzione libertaria nella Spagna del 1936 (Milano, 1995), le intense testimonianze in presa diretta di una ventina di militanti spagnoli che dettero vita alla rivoluzione comunista libertaria. Parole che valgono quanto e piu' di una ricostruzione saggistica, ricordi partecipi di un'esperienza esaltante e, temiamo, irripetibile. Sempre Zero in condotta ha curato, con altre quattro editrici internazionali, Durruti 1896-1936 (Milano, 1996), una bella edizione fotografica commentata in cinque lingue, che permette di cogliere, grazie alla ricca iconografia, tutti i momenti della "eroica" e avventurosa vita di Durruti, ucciso mentre difendeva, con i suoi miliziani, le conquiste rivoluzionarie del proletariato in armi in terra di Spagna. Di Carlos Semprun Maura, Libertad! Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna (Milano, Eleuthera, 1996). E' la seconda edizione (dopo quella milanese dell'Antistato del 1976) di questo studio critico sui problemi interni alle forze rivoluzionarie e al movimento anarchico, nati dalle difficolta' e dalle contraddizioni che caratterizzarono i primi mesi della rivoluzione, la' dove prese forma il comunismo libertario della Cnt. A seguire, di Abel Paz, Spagna 1936, un anarchico nella rivoluzione (Manduria, Lacaita, 1998). In questa autobiografia Abel Paz (nom de plume di Diego Camacho), giovanissimo combattente rivoluzionario sulle barricate di Barcellona, ripercorre con grande partecipazione le vicende esaltanti e le tragedie immani che segnarono quella che puo' essere considerata l'esperienza senza ritorno del ventesimo secolo. Sempre di Abel Paz, Durruti e la rivoluzione spagnola (Pisa-Ragusa-Milano, Bfs, Fiaccola, Zero in condotta, 1999-2000, 2 voll.). Da questa biografia, frutto di una documentazione imponente e scritta con l'immediatezza del testimone, emerge la figura di uno dei personaggi non solo piu' importanti e significativi, ma anche piu' amati dell'anarchismo internazionale. Si parla di anarchici, di quelli reclusi ma ancora vitali nelle carceri franchiste, nel romanzo di Manuel Rivas, Il lapis del falegname (Milano, Feltrinelli, 2000). Una storia struggente, una delle tante che in questi anni hanno ispirato i narratori spagnoli alla scoperta delle vergogne di un passato volutamente nascosto dai miserabili aguzzini di un popolo straordinario. Ancora di Abel Paz, Le 30 ore di Barcellona. Immagini della rivoluzione (Carrara, Cooperativa Tipolitografica, 2002). Impreziosito dalle famose tavole disegnate da Sim durante le giornate di luglio, e finalmente pubblicate in Italia, il libro si concentra sulla descrizione delle prime, determinanti ore della rivoluzione spagnola, quando, grazie alla resistenza operaia al sollevamento dei militari, si decisero le strategie e i rapporti di forza che avrebbero caratterizzato la lotta al franchismo. Per chi ama i fumetti, segnalo la bella storia a strisce di Alfonso Font, Negras tormentas e altre storie (Milano, ReM, 2002), dove il disegnatore spagnolo ricostruisce vividamente una Barcellona rivoluzionaria e anarcosindacalista, epicentro di avvincenti avventure. Apprezzabile la ristampa dell'introvabile Mussolini alla conquista delle Baleari (Casalvelino, Galzerano, 2002), il famoso testo con il quale Berneri affrontava, nel fuoco della rivoluzione, le responsabilita' del fascismo italiano a sostegno del sollevamento dei militari felloni guidati da Franco. Di un altro grande protagonista dell'anarchismo spagnolo scrive Fulvio Abbate ne Il ministro anarchico (Milano, Baldini & Castoldi, 2004). Restando a meta' strada fra narrazione romanzata e ricostruzione storica, lo scrittore palermitano abbozza la biografia di uno dei piu' affascinanti e controversi protagonisti della rivoluzione, Juan Garcia Oliver, ministro anarchico della giustizia, gia' idolo della Barcellona proletaria, poi esule in Nord Europa e in Messico dove continuera' a vivere nel ricordo della travolgente esperienza del 1936. Di un'altra esperienza eccezionale, fra le tante vissute dal movimento iberico, scrive Martha Ackelsberg nel suo Mujeres Libres. L'attualita' della lotta delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola (Milano, Zero in condotta, 2005), ricostruendo, con un accurato studio delle fonti, le gloriose vicende di un'organizzazione tutta femminile, operaia, emancipatrice e impegnata nel progresso della condizione della donna, tanto piu' importante in Spagna dove gli atavici retaggi feudali e maschilisti erano ancora dominanti. Seguono due testi dedicati agli anni successivi al 1936-'39: gli anni della feroce repressione franchista e degli ultimi, tragici tentativi di anarchici irriducibili, decisi a combattere il fascismo armi alla mano. Di Massimiliano Ilari e' uscito La giustizia di Franco. La repressione franchista ed il movimento libertario spagnolo 1939-1951 (Chieti, Csl Di Sciullo, 2005), che descrive la resistenza "sconosciuta" degli epigoni dell'imponente movimento anarchico spagnolo e la barbara repressione con la quale il regime colpi' il suo nemico piu' irriducibile. L'autore, giovane militante della Fai, propone anche un'inedita cronologia comparata di grande interesse. La Fiaccola di Ragusa, sempre nel 2005, riedita il famoso Sabate', la guerriglia urbana in Spagna (1945-1960), di Antonio Tellez. Il 1939 non segna la fine della resistenza anarchica alla dittatura: gia' dai primi mesi del nuovo regime guerriglieri anarchici cercano di mantenere viva la lotta. Quanto mai opportuna e' dunque la ristampa di questo drammatico testo, che narra la tragica storia di una generazione di giovani militanti caduti nella lotta contro il carnicero falangista. Chiudo questo lungo capitolo con una curiosita' di autore anonimo, La cuoca di Durruti. La cucina spagnola al tempo della guerra civile. Ricette e ricordi (Roma, Derive Approdi, 2002). Con la prefazione di Luigi Veronelli, questo originale e avvincente frammento di diario, un po' narrazione e un po' cronaca storica, mescola i ricordi rivoluzionari della giovane miliziana Nadine, ricchi di personaggi e grandi avvenimenti, con le sue allettanti ricette culinarie realizzate, e' il caso di dirlo, nel fuoco di uno dei piu' grandi e gloriosi incendi del Novecento. * Russia e Ucraina Veniamo ora all'altra grande rivoluzione che segno' l'inizio del secolo breve, quella "realizzata" e non sconfitta dalle forze della reazione e del capitalismo, la rivoluzione russa, ricca di contraddizioni e di duri insegnamenti per gli entusiasti rivoluzionari, bolscevichi, anarchici, menscevichi, che vi presero parte. E' soprattutto della soffocante burocrazia e della repressione che ne segui' e che affosso' il sogno della palingenesi sociale, che trattano i libri che citero'. Piotr Arscinov, ucraino, fu uno dei tanti anarchici che combatterono le truppe bianche della reazione, con in cuore il sogno di una nuova societa' di liberi ed uguali. Nella sua ormai classica Storia del movimento makhnovista, ristampata da Samizdat (Pescara, 1999), ma uscita a caldo nella Parigi del 1924, ci sono tutti gli elementi per capire la capitale importanza che ebbe l'anarchismo nei primi anni, soprattutto nella fertile Ucraina controllata dalle truppe dell'anarchico Makhno, e la degenerazione che i semi dell'autoritarismo bolscevico avrebbero innestato nella nuova societa'. Anche l'anarcosindacalista Gregori P. Maximoff, con il suo Gli anarcosindacalisti nella rivoluzione russa (Pescara, Samizdat, 1997), porta un prezioso contributo alla ricostruzione del ruolo, importante e misconosciuto, che l'anarchismo ebbe nei processi rivoluzionari della Russia. Ed e' proprio la specificita' dell'agire anarchico, inconciliabile con il centralismo burocratico marxista-leninista, che fa capire perche' i libertari furono tra i primi a cadere sotto i colpi della spietata repressione di Lenin e Stalin. Un altro lavoro sui contrastati rapporti all'interno delle forze rivoluzionarie e' Marxismo e anarchismo nella rivoluzione russa, di Arthur Lehning, nella nuova edizione di Samizdat (Pescara, 1999). Si tratta di uno dei grandi classici della letteratura anarchica, nel quale lo studioso olandese affonda le mani nella tragica diatriba che vide opporsi, da un lato, il pragmatismo totalitario di Lenin e, dall'altro, l'afflato libertario e rivoluzionario che gli anarchici russi, nonostante la repressione, contrapposero alla degenerazione burocratica e alla dittatura del proletariato. Infine, molto interessante per la prospettiva da cui muove, e' il libro di Santi Fedele, Una breve illusione. Gli anarchici italiani e la Russia sovietica 1917-1939 (Milano, Angeli, 1996). Come si sa, le sirene della rivoluzione russa cantarono a lungo fra i movimenti sovversivi europei, e anche gli anarchici non furono sordi. Questo documentato e illuminante saggio ricostruisce il progressivo dissolverrsi delle simpatie che i libertari italiani avevano manifestato, se non per i bolscevichi, certamente per la loro rivoluzione. Una breve illusione, appunto, presto sommersa dalla consapevolezza con cui si colsero gli aspetti degenerativi della rivoluzione burocratica e della dittatura proletaria. * Altrove nel mondo Esaurite le due grandi esperienze rivoluzionarie, prendiamo ora in considerazione i non molti libri dedicati ad altri paesi. Restando in Europa, un bel testo che tratta di argomenti poco conosciuti e' quello di Martine Lina Riesenfeld e altri autori, Piegarsi vuol dire mentire. La resistenza libertaria al nazismo nella Ruhr e in Renania (1933-1945) (Milano, Zero in condotta, 2005), che viene a smentire il consolidato luogo comune sulla mancata resistenza del proletariato tedesco all'avvento del nazismo, dimostrando come, fra le fila del movimento sindacalista libertario, l'opposizione alla barbarie hitleriana non venne mai meno. Sulla ex Jugoslavia e i drammi che l'hanno dilaniata negli anni Novanta, ricordo l'opuscolo Jugoslavia una guerra per il potere (Livorno, Sempre Avanti, 1996), nel quale Claudio Venza mostra con chiarezza le cause e gli effetti di una delle maggiori tragedie della fine del secondo millennio: la guerra fratricida fra i popoli slavi condotta in nome di diversita' etniche e religiose, evocate cinicamente per occultare la sete di potere delle varie cricche post-titoiste. Estremamente interessante, anche per la particolare prospettiva di analisi, Donne contro la guerra. Interventi e testimonianze dalla ex Jugoslavia, curato dalla non dimenticata Marina Padovese e da Salvo Vaccaro (Palermo, La Zisa, 1996). Pier Francesco Zarcone e' autore di Portogallo anarchico e ribelle (Pescara, Samizdat, 2004), che ripercorre l'esperienza dell'anarchismo portoghese, senza dubbio meno significativa di quella dei cugini spagnoli, ma non per questo priva di episodi e figure interessanti. Rimaniamo in Europa, per parlare di quei cittadini del mondo che furono gli ebrei fino alla nascita dello Stato di Israele, e segnaliamo l'interessante Nati altrove. Il movimento anarchico ebraico tra Mosca e New York di Furio Biagini (Pisa, Bfs, 1998), che ricostruisce la storia di un movimento tanto importante quanto poco conosciuto, quello degli ebrei di lingua yiddish che partirono dai villaggi della Russia per sfuggire ai pogrom, trasportando in Inghilterra e negli Stati Uniti le loro esperienze comunaliste e autogestionarie, nelle quali il tradizionale messianismo era sostituito dall'utopismo rivoluzionario. Sempre sull'importanza della presenza ebraica nell'anarchismo internazionale, Amedeo Bertolo ha curato L'anarchico e l'ebreo. Storia di un incontro (Milano, Eleuthera, 2001), gli atti del convegno tenutosi a Venezia nel maggio 2000, nel corso del quale gli epigoni di questo movimento senza frontiere hanno confrontato, forse per la prima volta, le loro eccezionali esperienze. Cambiando continente, sbarchiamo nelle due Americhe; nella prima, che pare destinata a essere a lungo l'epicentro politico-economico e sbirresco del mondo, e nella seconda che ancora manifesta, con i colori degli indios messicani, la voglia di un cambiamento definitivo nei rapporti che regolano la vita dei popoli. Sugli Stati Uniti e il loro ruolo negli equilibri internazionali, si e' scritto e si continua a scrivere con dovizia, e spesso gli occhiali delle superstiti ideologie impediscono di cogliere con esattezza le dinamiche in atto. Non e' il caso del libro di Stefano Capello, Oltre il giardino. Guerra infinita ed egemonia americana (Milano, Zero in condotta, 2003) nel quale l'autore, con un'analisi dal taglio decisamente libertario e scevro da condizionamenti, analizza le tendenze in atto nella geopolitica mondiale, evitando di cadere nelle trappole della propaganda e mettendo in risalto le oggettive convergenze fra i poteri internazionali in conflitto, per fare si' che il dominio nordamericano sull'economia non venga minimamente messo in discussione. Passando la frontiera, sbarchiamo in Messico, dove la comunita' chiapaneca, con la sua pratica antimperialista, continua a destare l'interesse degli spiriti liberi in tutto il mondo. Come primo approccio, non si puo' prescindere dal prezioso Documenti e comunicati del Chiapas insorto. 1 gennaio 1994 - 29 settembre 1995 (Pisa, Bfs, 1996-1997, 2 voll.), che raccoglie i documenti dell'Ejercito Zapatista de Liberacion Nacional. Uno strumento indispensabile, anche per la mole documentaria, per cogliere di prima mano la ricchezza teorica e l'imprevedibile tattica sovversiva degli indios del Chiapas. Sempre sul Chiapas, ma anche su altre insorgenze indie, due libri scritti da uno dei maggiori esperti del continente latinoamericano, il giornalista uruguayano Raul Zibechi. Il primo, Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista in Chiapas (Milano, Eleuthera, 1998), dove la peculiarita' libertaria del movimento zapatista si mostra in tutta la sua inimitabile originalita', e il secondo, Zapatisti e Sem terra. Movimenti sociali ed insorgenza indigena (Milano, Zero in condotta, 2001), in cui si afferma che la cultura india, la cultura degli oppressi, puo' emergere come strumento di riscatto e di liberazione per chi non e' piu' rassegnato ad essere l'ultimo degli ultimi. Infine, di Jerome Baschet, La scintilla zapatista. Insurrezione india e resistenza planetaria (Milano, Eleuthera, 2003), una storia e una cronologia dello zapatismo che, con chiarezza e senza demagogia, spazza via il fuorviante folclore "militante" che avvolge l'Ezln. Venendo a Cuba, un altro dei nodi politici e sociali di questi anni, segnaliamo Cuba libertaria. Storia dell'anarchismo cubano (Milano, Zero in condotta, 2003), di Frank Fernandez, militante storico e redattore della rivista "Guangara Libertaria", edita dal movimento libertario cubano in esilio. Un movimento che, soprattutto negli anni Venti e Trenta ma anche in seguito, ha vissuto momenti di grande splendore e che ha visto i suoi militanti dapprima combattere al fianco di Castro e Guevara contro la dittatura di Batista, poi prendere la via dell'esilio per continuare a lottare per la liberta'. Termino questo lungo viaggio nell'editoria libertaria sbarcando in Africa, nell'auspicio che questa ultima segnalazione sia presagio di nuove avventure anarchiche in terre ancora inesplorate dagli eredi di Bakunin e Malatesta. Merito dunque alla milanese Zero in condotta per aver pubblicato, nel 2002, Africa ribelle, Societa' senza stato. Le prospettive libertarie, di Sam Mbah e I. E. Igariwey, militanti della Awareness League nigeriana aderente all'Ait, che illustrano gli sconosciuti e sorprendenti elementi libertari e comunalisti presenti nelle societa' tradizionali africane, ancora vitali nonostante gli effetti del colonialismo, gli esperimenti dei socialismi di stato, le drammatiche conseguenze delle lotte di liberazione nazionale e dei conflitti tribali. * Alcune case editrici anarchiche e libertarie - BFS edizioni, via I. Bargagna 60, 56124 Pisa, tel. e fax: 0509711432, info e corrispondenza: posta at bfs-edizioni.it, per ordini: acquisti at bfs-edizioni.it, sito: www.bfs-edizioni.it - Edizioni La Baronata, casella postale 22, 6906 Lugano CH, e-mail: baronata at anarca-bolo.ch, sito: www.anarca-bolo.ch/baronata - Edizioni La Fiaccola, Elisabetta Medda, via B. Croce 20, 96017 Noto (Sr), tel. 0931839849, sito (catalogo): www.ecn.org/elpaso/distro/libri/lafiaccola_edizioni/lafiaccola.htm - Edizioni Zero in Condotta, Autogestione, casella postale 17127, 20170 Milano, fax: 022551994, e-mail: zeroinc at tin.it, sito: www.federazioneanarchica.org/zic/ - Eleuthera editrice, via Rovetta 27, 20127 Milano, tel. 0226143950, fax: 0228040340, c. p. 17002, e-mail: info at eleuthera.it, sito: www.eleuthera.it - Giuseppe Galzerano Editore, 84040 Casalvelino Scalo (Sa), tel. e fax: 097462028, e-mail: giuseppe.galzerano@tiscalinet, sito (catalogo): http://web.tiscali.it/felittonet/idx_gal.htm - Nautilus, casella postale 1311, 10100 Torino, fax: 0116505653, e-mail: nautilus at ecn.org, sito: www.ecn.org/nautilus Chi non riuscisse a rintracciare gli indirizzi di altre case editrici citate nel testo, puo' rivolgersi direttamente al curatore Massimo Ortalli massimo.ortalli at acantho.it, che si rende diponibile anche per ulteriori informazioni di carattere bibliografico. (Fine - le parti precedenti sono apparse nei nn. 1109-1111) 3. MEMORIA. MARIA ANTONIETTA SARACINO RICORDA KEN SARO-WIWA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2005. Maria Antonietta Saracino, anglista, insegna all'Universita' di Roma "La Sapienza"; si occupa di letterature anglofone di Africa, Caraibi, India e di multiculturalismo. Ha curato numerosi testi, tra cui Altri lati del mondo (Roma, 1994), ha tradotto e curato testi di Bessie Head (Sudafrica), Miriam Makeba (Sudafrica), la narrativa africana di Doris Lessing e Joseph Conrad, testi di Edward Said, di poeti africani contemporanei, di Aphra Behn; ha curato Africapoesia, all'interno del festival Romapoesia del 1999; ha pubblicato saggi sulle principali aree delle letterature post-coloniali anglofone, collabora regolarmente con le pagine culturali de "Il manifesto" e con i programmi culturali di Radio3. Ken Saro-Wiwa, scrittore nigeriano, militante politico, attivista per i diritti umani umani e dei popoli e per la difesa dell'ambiente, e' stato assassinato dal regime nel 1995] Il 10 novembre del 1995, nella Nigeria del generale Sani Abacha, a seguito di un rapido processo-farsa privo di garanzie legali e di difesa, e senza possibilita' per gli accusati di ricorrere in appello, nove attivisti Ogoni, uno dei 248 gruppi etnici del paese, vennero condannati a morte e impiccati, con l'accusa di avere ucciso quattro componenti moderati della medesima etnia, una comunita' di circa mezzo milione di individui che da sempre viveva di pesca e di agricoltura presso il delta del Niger, sui territori del Rivers State. Tra i condannati, lo scrittore Ken Saro-Wiwa, che nel 1990 era stato fra i fondatori del Mosop (Movimento per la sopravvivenza degli Ogoni), l'organizzazione politica e ambientalista che si opponeva ai sistemi di sfruttamento selvaggio di quei territori da parte delle multinazionali del petrolio, con metodi devastanti che avevano finito per avvelenare vaste aree fertili, costringendo a una migrazione forzata gli Ogoni. La brutalita' dell'evento - non nuovo in Nigeria come purtroppo ancora in molte parti del continente africano - aveva in questo caso suscitato uno scalpore insolito presso la comunita' internazionale, tanto che la Nigeria era stata radiata dal Commonwealth e la Comunita' europea era intervenuta con un embargo delle armi (ma non del petrolio), con la chiusura di progetti gia' avviati nel paese da parte della cooperazione internazionale e con restrizioni di varia natura. Motivo di questa indignazione era per l'appunto la presenza di spicco, nel gruppo dei condannati, di Ken Saro-Wiwa, leader degli Ogoni, candidato al Nobel per la pace e vincitore nel 1994 del cosiddetto "Nobel per la pace alternativo", ma soprattutto scrittore affermato, nel suo paese e all'estero, in particolare nel mondo anglosassone e tra la vasta comunita' di studiosi delle cosiddette "letterature post-coloniali". Per mesi il governo nigeriano era stato tempestato di petizioni, mentre una campagna di stampa internazionale si batteva a favore di un giusto processo e del rilascio di Saro-Wiwa, unanimemente ritenuto innocente. A guidare le iniziative, lo scrittore e drammaturgo Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986 - anch'egli nigeriano, anch'egli nel suo paese vittima del carcere e della censura e costretto da diversi anni all'esilio. L'esito del processo dava alla lotta degli Ogoni e alla figura di Ken Saro-Wiwa una risonanza senza precedenti, portando all'attenzione del mondo il piu' diffuso problema della relazione tra governi corrotti e inquinamento ambientale, ma anche la questione, fortissima in Africa, del rapporto tra intellettuali e potere, tra scrittura e censura. Al tempo stesso, pero', spegneva per sempre la voce di uno scrittore innovativo e militante, il quale - in un breve volgere di anni e in una produzione che (giocoforza) sarebbe stata in gran parte postuma - aveva saputo dare espressione alla cultura nigeriana e africana in generale. Attraversando a largo raggio un'ampia gamma di generi letterari, sapientemente usando linguaggi e codici diversi, dalla commedia alla farsa, dalla scrittura radiofonica a quella del nascente serial televisivo, dalla autobiografia politica alla narrativa in inglese standard, Saro-Wiwa era soprattutto riuscito a adottare un singolarissimo pidgin letterario, il rotten english nel quale scrisse il suo romanzo piu' bello e famoso: quel Sozaboy del 1986, identificato dal suo stesso sottotitolo, A Novel in Rotten English, come un romanzo volutamente scritto in inglese bastardo, sporco, marcio. Perche' nella Nigeria del suo tempo non c'e' registro che possa rendere tutto intero il marciume che mina il potere, la politica e quindi la cultura. Non c'e' lingua "pulita" che possa esprimere l'orrore della guerra e la sofferenza dei piu' deboli, i bambini in particolare. L'inglese standard, del quale Saro-Wiwa, laureato a Ibadan con il massimo dei voti, era perfettamente padrone, puo' forse dar voce al dolente racconto della protagonista di Lemona's Tale (1996) che - profeticamente - nel carcere di Port Harcourt (lo stesso nel quale l'autore sarebbe poi stato ucciso) racconta la sua vita intera, la notte prima di essere impiccata, innocente. Ma puo' anche assumere la valenza forte e vivace della oralita' nei Four Farcical Plays (1989), come The Transistor Radio, allegoria della Nigeria intesa come stato-vampiro, che si nutre del sangue della nazione, oppure quella piu' divertita di Basi & Company (1988), serie televisiva in trenta puntate, o infine i toni drammatici del diario di prigione: A Month and a Day, del '95, sara' una sorta di testamento politico e spirituale di chi prefigura la propria fine. Ma che proprio per questo chiede ai suoi concittadini piu' consapevoli, e agli intellettuali in particolare, di non cedere ai compromessi, di spendersi per una giusta causa, di mettere la penna e la fama al servizio di chi non puo' parlare. Nei suoi scritti politici, Essays on Anomic Nigeria, (1991), Nigeria: The Brink of Disaster (1991), Genocide in Nigeria: The Ogoni Tragedy (1992), Saro-Wiwa rende chiara la correlazione tra il territorio e la cultura nel suo insieme. Distruggere l'uno significa inevitabilmente condannare a morte anche l'altra. Siamo nel 1992: Saro-Wiwa sa che non ha piu' molto tempo, e allora la militanza e la scrittura si intensificano, anziche' farsi piu' caute. E piu' forte si fa la sua identificazione con il proprio paese sofferente. Nigeria e' la parola che piu' spesso ricorre nei suoi scritti, compresi quelli poetici. La lotta degli Ogoni contro il governo corrotto che consente alle multinazionali del petrolio di avvelenare terre che ormai non offrono piu' sussistenza alcuna e' diventata troppo visibile e scomoda perche' il potere militare non intervenga, chiudendo la bocca al suo esponente di maggior spicco. Ai giudici che lo condannano a morte, Ken Saro-Wiwa risponde con un ultimo potente atto di accusa verso la corruzione di chi sta distruggendo la Nigeria, e con una appassionata dichiarazione di amore e responsabilita' nei confronti del suo paese e della sua storia. Ha quarantaquattro anni, una moglie e cinque figli. Poco prima che venga pronunciata la condanna a morte, un altro celebre scrittore nigeriano, Ben Okri, pubblica su "The Guardian" un lungo disperato appello in difesa di Saro-Wiwa, che si trasforma in un vero e proprio manifesto su scrittura e impegno politico. "Se volete sapere che cosa accade in un'epoca o in un paese - scrive tra l'altro - cercate di scoprire che cosa sta succedendo ai suoi scrittori, ai suoi banditori pubblici: perche' sono loro i sismografi che rilevano i terremoti che incombono sullo spirito dei tempi... Se sentite che gli scrittori sono stati inesplicabilmente uccisi, messi a tacere, che le loro case sono state misteriosamente bruciate, che sono fuggiti dal loro paese e vivono in esilio. Ma soprattutto quando sentite che gli scrittori sono stati condannati a morte da tribunali tutt'altro che democratici, allora capirete che l'aria di quella terra e' gia' densa di corruzione e terrore, che e' irrespirabile, che la vita della gente e' insopportabile, che il suolo di quella terra ha gia' cominciato a produrre il suo raccolto di cadaveri: che la liberta' e' morta sui campi, che i suoi capi hanno condannato il paese a morte... Chiunque possa sentirmi mi ascolti: in Nigeria uno scrittore e' stato condannato a morte perche' voleva una vita migliore per la sua gente. Le conseguenze di questo atto sono incalcolabili. Il suo nome e' Ken Saro-Wiwa, ed e' mio amico". * Scheda: Iniziative in ricordo di Ken Saro-Wiwa Nonostante la fama che ormai da diversi anni, e soprattutto dalla sua tragica morte, circonda in tutto il mondo il nome di Ken Saro-Wiwa, le case editrici italiane hanno esitato a lungo prima di pubblicare i suoi libri, scritti in un impasto linguistico cosi' particolare da renderne estremamente problematica la traduzione. La prima a lanciarsi in questa impresa e' stata una minuscola sigla editoriale romana, Socrates, che nel settembre 2004 ha mandato in libreria Foresta di fiori, una raccolta di racconti la cui versione e' il frutto del lavoro collettivo di un gruppo di allievi del corso di traduzione letteraria dell'agenzia Herzog. Molte delle diciannove brevi storie che compongono Foresta di fiori sono ambientate in quello stesso villaggio sperduto di Dukana che fa da sfondo anche a Sozaboy, il romanzo piu' famoso di Saro-Wiwa, appena uscito per Baldini Castoldi Dalai nella traduzione di Roberto Piangatelli e per le cure di Itala Vivan. Nella versione italiana il libro ha tuttavia perso il sottotitolo, A Novel in Rotten English, che ne connotava le caratteristiche di una lingua spuria e ibridata: se questa lingua - nota la curatrice nella postfazione - e' stata in parte mantenuta nella traduzione francese dove si e' adottato un linguaggio creolo dell'Africa francofona, una soluzione analoga sarebbe stata impraticabile in italiano. In occasione del decimo anniversario della morte di Saro-Wiwa, Soza-Boy verra' presentato questo pomeriggio a Roma, presso l'Officina Arte al Borghetto, in piazza della Marina: all'incontro, coordinato da Luigi Manconi, prenderanno parte Sergio Baffoni di Greenpeace, Gianni Borgna, Godwin Chukru, Beppe Grillo, Laura Guercio (in rappresentanza di Amnesty International), Igino Poggiali, Donatello Santarone e Itala Vivan. Sempre per ricordare lo scrittore nigeriano, il centro RialtoSantambrogio mette in scena in questi giorni uno spettacolo diretto da Roberto Biselli, Saro-Wiwa, Non mi piace l'Africa, un oratorio che si ispira ai testi di Paul Niger Non mi piace quest'Africa e dello stesso Saro-Wiwa Anche questa Nigeria. 4. MEMORIA. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI RICORDA KEN SARO-WIWA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2005. Giampaolo Calchi Novati, nato nel 1935, docente universitario, e' tra i massimi esperti italiani delle questioni del sud del mondo. Tra le opere di Giampaolo Calchi Novati: Neutralismo e guerra fredda (1963); L'Africa nera non e' indipendente (1964); Le rivoluzioni nell'Africa nera (1967); La rivoluzione algerina (1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979); La decolonizzazione (1983); Dopo l'apartheid (a cura di, 1986); L'Africa (1987); Nord/Sud (1987); Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno d'Africa nella storia e nella politica (1994); Dalla parte dei leoni (1995); Storia dell'Algeria indipendente (1998); Il canale della discordia (1998)] La prima guerra di secessione della nuova Africa si combatte' in Congo all'atto dell'indipendenza del grande paese gia' possedimento personale di Leopoldo II. Tradendo il patto nazionale, Moise Tshombe svolse la parte del vilain al servizio degli interessi della grande finanza internazionale in un contesto ancora segnato dalle problematiche della decolonizzazione. Il caso del Biafra e' diverso. L'accesso all'indipendenza della Nigeria era ormai alle spalle da qualche anno. Lo stato piu' popoloso dell'Africa faticava a decollare. Invece di essere una ricchezza, le sue dimensioni erano un handicap. L'Inghilterra, la potenza coloniale, aveva negoziato la transizione dei poteri varando una Costituzione di tipo federale, che assicurava la preponderanza dell'oligarchia musulmana del nord. Invano i cultori piu' autentici del nazionalismo nigeriano, a cominciare da Nnamdi Azikiwe, il popolarissimo Zik, avevano insistito per imporre una soluzione centralizzata. Le elites e i partiti politici delle regioni meridionali, piu' sviluppate, con un piu' alto grado di urbanizzazione e istruzione, piu' aperte ai rapporti con l'esterno, temevano con qualche buona ragione che il federalismo - per molti aspetti congeniale alla pluralita' e diversita' del paesaggio storico e culturale nigeriano - fosse un espediente del neocolonialismo. Crisi dopo crisi, anche in Nigeria, come pochi mesi prima nel Ghana di Nkrumah, scocco' l'ora dei militari. Con uno dei primi provvedimenti annunciati dagli ufficiali dopo il colpo di stato il sistema federale venne abrogato. Ma fu poco piu' di un lampo. A conclusione di una fase concitata con violenze interetniche, spostamenti di popolazione fra nord e sud alla ricerca di un riparo, scontri all'interno dell'esercito ormai padrone della situazione, la regione orientale con il delta del Niger e immensi giacimenti di petrolio proclamo' l'indipendenza assumendo il nome di Biafra. Segui' una guerra civile che, a differenza di quella del Katanga, presentava contorni mal definiti. Chi erano i buoni? E chi i cattivi? La difesa dello stato giustifico' mezzi estremi. La sete di petrolio scateno' appetiti e interferenze. E' in questo inferno che Ken Saro-Wiwa colloca le vicende del suo romanzo piu' famoso: Sozaboy, di cui, a vent'anni di distanza dalla prima edizione in Nigeria, esce finalmente la versione italiana (Baldini Castoldi Dalai editori, pp. 286, euro 14, a cura di Itala Vivan, traduzione di Roberto Piangatelli). Il protagonista, un ragazzo di nome Mene, e' un bambino soldato, Sozaboy, appunto, dalla contrazione di Soldier e Boy nell'impasto linguistico di inglese buono e sgrammaticato, pidgin e echi degli idiomi locali, impiegato con effetti suggestivi da Saro-Wiwa. Il ritardo dell'edizione italiana, a parte la solita disattenzione per la letteratura africana, si spiega anche con la difficolta' di rendere in italiano il rotten english dell'originale. Il comportamento di Sozaboy che milita un po' da una parte e un po' dall'altra riflette la confusione generale. Come in un libro altrettanto famoso sulle guerre civili degli anni Novanta, Allah non e' mica obbligato, scritto da Ahmadou Kouroma, originario della Costa d'Avorio, quello che risalta di piu' e' il travaglio di un intero mondo che cade a pezzi e che pure va avanti, cammina, si sposta, spara, fa soldi illegalmente. E' persino difficile parlare di guerra civile in una situazione dove non c'e' una civitas, magari per romperla o corromperla. Ma se Sozaboy non capisce bene chi sia al suo fianco e chi sia il nemico, quell'epopea sgangherata, in cui perde la sposa, la famiglia, i contatti con il villaggio natale, dove infatti al suo ritorno viene accolto con molta diffidenza, gli serve per formarsi una coscienza. Alla fine di una guerra solo apparentemente senza senso nulla sara' piu' come prima: il ragazzo al pari della Nigeria. L'impegno di Ken Saro-Wiwa, romanziere, saggista, uomo di teatro, non si limito' all'arte e alla letteratura. Si cimento' nella politica come animatore e portavoce della resistenza di una piccola comunita' della regione del delta, gli Ogoni, agli espropri e al degrado collegati allo sfruttamento del petrolio. Il governo era deciso a evitare che quella lotta per una diversa distribuzione delle risorse e un maggiore rispetto dell'ambiente umano e naturale arrestasse il flusso della rendita petrolifera. I margini d'azione per la Shell e le altre compagnie minerarie, fra cui l'Agip, erano stretti. Il Biafra era ormai una battaglia lontana. Saro-Wiwa non aveva creduto alla causa del secessionismo preferendo schierarsi con il governo federale e la nazione, perdonandole di essere matrigna per la sua gente. Il suo Mosop (Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni) si poneva obiettivi di giustizia e di democrazia, senza stravolgere la geopolitica ma favorendo rapporti di partecipazione, compensi, salvaguardia. Tutto inutile. Per il regime di Abacha ogni richiesta di equita' suonava come una minaccia. Prendendo a pretesto una rissa fra dirigenti del Mosop, forse un regolamento di conti, i militari accusarono Saro-Wiwa e altri suoi compagni di omicidio, li processarono e li condannarono a morte. Il 10 novembre 1995 fu spenta una voce e una volonta' di intendere la politica come uno strumento di promozione per i singoli e la societa'. Un sacrificio doloroso che ha lasciato tuttavia piu' di un seme. Gli Ogoni, fra contrasti e contraddizioni, hanno continuato la loro azione di riscatto. Lo sfondo e' una delle regioni piu' compromesse della Nigeria e dell'Africa con il petrolio come metafora della speranza e della maledizione per molti paesi della periferia. E' importante riproporre oggi l'opera letteraria di Ken Saro-Wiwa come testimonianza di una realta' - la regione del delta, la Nigeria, l'Africa - che non puo' fare a meno di una via all'espressione di se'. Anche la lingua scelta per Sozaboy e' il segno di una identita' in cui la cultura importata e quella indigena si contaminano reciprocamente. La Nigeria del 2005 e' una federazione divisa in 36 stati. E' meno disperata di quella del 1967, l'anno della guerra del Biafra, o del 1995, l'anno della morte di Saro-Wiwa, anche se le troppe repubbliche che si sono succedute in Nigeria non hanno spostato i termini veri del potere. La Nigeria sta diventando uno dei leader del continente: con il Sudafrica cerca di traghettare l'Africa nell'era della globalizzazione. La letteratura nigeriana ha prodotto addirittura un premio Nobel, Wole Soyinka, ancora piu' noto di Saro-Wiwa. Ma questo fa parte del destino dell'Africa e dei suoi figli migliori. Per acquisire visibilita' e autorita' si deve in qualche modo uscire dall'Africa e farsi "riconoscere" dal mondo che conta, adottandone il linguaggio, la cultura, i codici valoriali. Una investitura che puo' significare anche un principio d'alienazione. Sozaboy usa il pidgin, non si allinea, si tiene lontano dalle metropoli del Primo mondo. Il prodigio e' che non per questo - lui e per lui il suo autore - cessa di farsi interprete di diritti e rivendicazioni universali. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1112 del 12 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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