La nonviolenza e' in cammino. 1112



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1112 del 12 novembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Dalle periferie in fiamme un appello delle donne contro tutte le violenze
2. Massimo Ortalli: Leggere l'anarchismo (parte quarta e conclusiva)
3. Maria Antonietta Saracino ricorda Ken Saro-Wiwa
4. Giampaolo Calchi Novati ricorda Ken Saro-Wiwa
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. APPELLI. DALLE PERIFERIE IN FIAMME UN APPELLO DELLE DONNE CONTRO TUTTE LE
VIOLENZE
[Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo il seguente appello
promosso da movimenti di donne impegnate nelle periferie delle citta'
francesi contro tutte le violenze]

Siamo donne, madri, figlie, sorelle. Noi siamo nipoti, zie, cugine, amiche,
amanti o vicine. Noi siamo la meta' della popolazione. La meta' del cielo.
La meta' del mondo. Guardate bene: nelle foto delle banlieues in fiamme non
c'e' una donna.
Nel momento in cui un ministro irresponsabile e bellicoso insulta i nostri
parenti e le nostre famiglie, francesi, immigrati, stranieri; nel momento in
cui pretende di "ripulire i quarteri con gli idranti" e "eliminare la
marmaglia": nel momento in cui noi piangiamo la morte di due ragazzi,
rifugiatisi in circostanze ancora non chiarite all'interno di un impianto
per l'energia elettrica; nel momento in cui piangiamo e deploriamo la morte
di un uomo colpito a morte a Epinay poiche' fotografava un lampadario; nel
momento in cui bruciano le macchine, le scuole, i commissariati: in questo
momento noi lanciamo un forte appello affinche' cessino queste violenze che
possono avere esiti ancor piu' drammatici.
Perche' i nostri figli hanno bisogno di veicoli per andare a lavorare o a
cercare un lavoro; hanno bisogno di scuole per acquisire i saperi
indispensabili; hanno bisogno di centri sociali gratuiti di prevenzione e di
cura; hanno bisogno di avere accesso ai servizi e sanitari; hanno bisogno di
autobus per spostarsi; hanno bisogno di pompieri per salvare delle vite e
spegnere gli incendi; hanno bisogno di postini per far pervenire la posta;
hanno bisogno di servizi pubblici utili alla collettivita'.
Noi rivolgiamo un appello innanzitutto ai nostri figli, a quelli che amiamo:
esigiamo che ritornino a casa e che  si calmino. Lo esigiamo perche' li
abbiamo messi al mondo; perche' li abbiamo fatti crescere e nutriti; perche'
senza di noi non esisterebbero. Non hanno diritto di distruggere la vita che
abbiamo loro dato. Ci fanno provare vergogna accettando di somigliare
all'insulto che e' stato loro rivolto. No, non sono marmaglia; non sono
degli scarti da gettare: sono degli esseri umani che hanno diritto al
rispetto, all'uguaglianza, alla dignita'. Come tutti i cittadini hanno dei
diritti, ma anche dei doveri.
Rivolgiamo un appello alle forze di polizia perche' rispettino
scrupolosamente la egalita' democratica.
Rivolgiamo un appello altesi' ai "moralizzatori" che ci disprezzano e ci
ignorano, a quelli che hanno instaurato la deplorevole politica dei "grandi
fratelli" di cui si vedono i disastrosi risultati, che trattano solo con le
chiese e gli imam, che aboliscono l'assistenza pubblica e le politiche di
solidarieta', che attizzano l'odio e lo smarrimento, senza mai darci i mezzi
per vivere dignitosamente. Dietro questa politica, c'e' anche il disprezzo
per le donne, per quelle che lottano nei quartieri, che si battono, che
costruiscono - con mezzi e aiuti palesemente insufficienti - strategie per
lottare contro le violenze: le donne che prestano soccorso, le donne
solidali, le donne in piedi.
Chiediamo un vero piano d'urgenza per le banlieues che promuova una vera
politica sociale per tutti, una politica di prevenzione e di sostegno
all'infanzia e alle famiglie, una politica scolastica all'altezza delle
esigenze, una vera politica di riconocimento ed integrazione sociale e la
fine dei ghetti.
Saremo nei quartieri che bruciano, manifesteremo con i nostri parenti e
vicini, in silenzio e pacificamente. Lanciamo questo appello a tutte le
donne, dobbiamo essere migliaia per interporci e metter fine a queste
violenze.
*
Prime firmatarie: Africa 93, Ufal Saint-Denis, Ufal Ile de France

2. DOCUMENTAZIONE. MASSIMO ORTALLI: LEGGERE L'ANARCHISMO (PARTE QUARTA E
CONCLUSIVA)
[Dal sito di "A. rivista anarchica" (www.arivista.org) riprendiamo questa
ampia bibliografia ragionata apparsa come inserto di "A. rivista anarchica",
anno XXXV, n. 311 (7/2005), ottobre 2005, ma disponibile anche in edizione a
stampa a se'.
"A. rivista anarchica" e' una delle migliori riviste mensili di politica e
cultura disponibili in Italia; esce regolarmente nove volte l'anno dal
febbraio 1971; non esce nei mesi di gennaio, agosto e settembre; e' in
vendita per abbonamento, in numerose librerie e presso centri sociali,
circoli anarchici, botteghe, ecc.. E' possibile richiederne una
copia/saggio. Per qualsiasi informazione, compresa la lista completa dei
vari materiali prodotti dalla rivista (dossier "Gli anarchici contro il
fascismo", letture di Bakunin, Kropotkin, Malatesta e Proudhon, volantoni
della serie anti-globalizzazione, poster di Malatesta 1921, i nostri
dossier, cd e dvd di/su Fabrizio De Andre', dossier su Franco Serantini,
lista di oltre cento cd, mc, ecc. della "Musica per 'A'", ecc.) contattare
la redazione per fax, e-mail o in segreteria telefonica. Una copia di "A"
costa 3 euro, l'abbonamento annuo 30 euro, quello estero 40 euro,
l'abbonamento sostenitore da 100 euro in su. Per contatti: Editrice A, cas.
post. 17120, I - 20170 Milano, tel. (+39) 022896627, fax (+39) 0228001271,
e-mail: arivista at tin.it, sito: www.arivista.org, conto corrente postale
12552204, conto corrente bancario n. 107397 presso Banca Popolare Etica,
filiale di Milano (abi 05018, cab. 01600). Per effettuare un bonifico, le
banche richiedono spesso le coordinate: quelle nazionali (BBAN) sono H 05018
01600 00000107397 e quelle internazionali (IBAN) sono IT10 H050 1801 6000
0000 0107 397.
Massimo Ortalli (per contatti: massimo.ortalli at acantho.it), storico,
saggista, studioso e militante del movimento libertario, e' impegnato
nell'Archivio storico della Federazione anarchica italiana di Imola]

Letteratura
Veniamo ora all'ambito letterario, il piu' frequentato dagli autori che
hanno trovato nelle storie degli anarchici e dell'anarchia un'evidente fonte
d'ispirazione. Sono parecchi i testi da segnalare, per cui la cosa migliore
e' procedere in ordine cronologico.
Iniziamo con Luigi Regoli anarchico di Angelo Toninelli (Firenze,
Shakespeare and Company, 1995), un romanzo molto bello, ambientato nella
Maremma selvaggia e nell'industrializzata Piombino agli inizi del '900, in
cui emergono i caratteri degli spiriti ribelli e sognatori del secolo
scorso. Una storia d'amore e di lotta contro i fascisti che vede impegnato
un intero paese, temprato nelle lotte di fabbrica delle acciaierie
piombinesi, giunto all'anarchia sulle "alate" parole di Pietro Gori, deciso
a conservare la sua anima proletaria e libertaria senza cedere alla violenza
e alla reazione.
Trattando di anarchismo e letteratura, centrale e' l'opera di Paco Ignacio
Taibo II, che in Rivoluzionario di passaggio (Milano, Tropea, 1996)
tratteggia la straordinaria figura di un irriducibile rivoluzionario
spagnolo che, nel Messico degli anni '20, incarna, con il rifiuto di
normalizzare la propria vita, l'essenza di quello spirito libero e ribelle
caro a tanti compagni di ieri e di oggi.
Restando in Sud America, ricordo Un caffe' molto dolce di Maria Luisa
Magagnali (Torino, Bollati Boringhieri, 1996), che rievoca le vicende di
Severino Di Giovanni, uno dei personaggi piu' controversi dell'anarchismo
argentino. La sua vita avventurosa, fatta di azioni quasi sempre ai limiti o
fuori della legalita' e finita tragicamente, e' anche quella di un anarchico
a tutto tondo, che dette tutto di se' per la causa, vivendo anche
un'appassionata storia d'amore con una giovanissima compagna.
Il francese Michel Ragon e' autore de La memoria dei vinti (Milano, I
nostri, 1997), un complesso romanzo che ripercorre la storia
dell'anarchismo, dalla Banda Bonnot alla guerra di Spagna, da Kronstadt al
Sessantotto, mescolando personaggi reali e figure di fantasia, e costruendo
tanto il ritratto di un'epoca quanto un'intensa storia sentimentale.
Restiamo in Francia con Il grido del popolo di Jean Vautrin (Milano,
Frassinelli, 2001). Premio Goncourt, Legion d'Onore, giallista di fama,
Vautrin, al suo primo romanzo tradotto in italiano, ci porta ai tempi della
gloriosa Comune del 1871, con una trama avvincente a mezza via tra le forti
tinte del feuilleton ottocentesco e la denuncia sociale delle miserie del
proletariato insorto.
Poi ci sono i Ribelli! di Pino Cacucci (Milano, Feltrinelli, 2001): Sacco e
Vanzetti, Secondari, Marius Jacob, Sabate' e tante altre figure quasi
leggendarie accomunate dall'inesauribile amore per una vita libera e
ribelle.
Tornando in patria, esclameremo, con Toni Iero, Forza, Italia! 2001-2005 una
nazione alla deriva in un mondo in tempesta (Milano, Zero in condotta,
2002). Un racconto avvincente, composto nel solco della migliore tradizione
della fantapolitica libertaria, con la prefigurazione delle future scadenze
sociali, economiche e politiche che ci attendono - ma speriamo di no - nei
prossimi anni. Un altro romanzo curioso, a tratti onirico e surreale, e'
Zero maggio a Palermo di Fulvio Abbate (Milano, Baldini & Castoldi, 2003).
L'autore torna alle sue esperienze giovanili, vissute dentro i movimenti
della Palermo sessantottesca, una citta' attraversata da pulsioni libertarie
e da sette metafisici Salvatori anarchici, una citta' magica e affascinante
nella quale tutto appare finalmente possibile.
Il secondo romanzo di ispirazione anarchica di Angelo Toninelli, scrittore
decisamente innamorato dell'anarchia e delle sue coinvolgenti storie, e' Un
sogno d'amore (Pisa, Ets, 2003). In una popolana Firenze ottocentesca si
incontra una folla di personaggi, storici e di fantasia, impegnati nella
costruzione dell'Internazionale e convinti assertori della necessita' di
un'organizzazione sociale che crei le premesse dell'emancipazione. Il
racconto delle tribolazioni, ma anche degli entusiasmi dei primi militanti
proletari.
Di tuttíaltro tenore, ma non meno avvincente, Itala scola. I delitti di una
scuola azienda (Milano, Zero in condotta, 2004), un vero e proprio thriller
di Dario Molino, insegnante e militante del sindacalismo di base. Un
racconto dove gli elementi tipici del noir si mescolano, con feroce ironia,
ai problemi pressanti che affondano, giorno dopo giorno, una scuola sempre
meno scuola e sempre piu' azienda.
Il dolore perfetto (Milano, Mondadori, 2004), che e' valso a Ugo Riccarelli
il Premio Strega 2004, e' un bellissimo romanzo che narra la saga struggente
ed eroica di una famiglia e di un'intera generazione di anarchici, trascorsa
fra la poesia del padule maremmano. Nella drammaticita' di vite sconvolte
dalla violenza del potere, solo la solidarieta' fra emarginati riesce a
lenire e a rendere superabili le dolorose difficolta' della vita.
Di Franco Bernini e' uscito La prima volta (Torino, Einaudi, 2005), curioso
ma non straordinario romanzo ambientato nel 1898, nel quale si intrecciano
rocambolescamente le vicende del primo campionato di calcio, quelle dei moti
milanesi soppressi nel sangue da Bava Beccaris e le mene attentatrici di
improbabili anarchici idealisti e di cinici anarchici ancora piu'
inverosimili.
Saluto anche con piacere la ristampa del Ritratto in piedi di Gianna Manzini
(Pistoia, Libreria dell'Orso, 2005). Era, infatti, ormai introvabile questo
libro - senz'altro una delle piu' belle opere letterarie dedicate a figure
anarchiche - nel quale la famosa scrittrice tratteggia la splendida ed amata
figura del padre, anarchico pistoiese, amico di Gori e Malatesta, che mai si
piego' di fronte alle avversita' famigliari e politiche.
Termino questa "rassegna letteraria" con l'ultimo nato, Lo zio anarchico di
Pier Francesco Gasparetto (Reggio Emilia, Aliberti, 2005). Ancora una volta
storie di anarchici e attentatori, in trasferta dalla provincia piemontese a
Paterson, New Jersey. A un primo sguardo, questo libro sembra avere come
unico pregio la bella riproduzione in copertina di un quadro di Costantini.
*
I situazionisti
Termino la sezione culturale con una serie di testi che, pur non
interessando il mondo delle arti in senso stretto, testimoniano pero' una
corrente intellettuale che affronto', in modo originale e felicemente
provocatorio, le tematiche legate alla critica culturale. Intendo parlare
del situazionismo.
Partiamo, doverosamente, da L'amara vittoria del situazionismo. Per una
storia critica dell'Internationale Situationniste 1957-1972, di Gianfranco
Marelli (Pisa, Bfs, 1996), un testo ormai indispensabile per comprendere
quanto vicine, ma anche quanto distanti siano state le strade percorse,
negli stessi anni, da situazionisti e anarchici. In questo saggio, senza
dubbio il piu' importante in Italia, Marelli ricostruisce il percorso
teorico dei situazionisti che aveva l'obiettivo di reinventare la
rivoluzione e liberare la vita quotidiana dalla passivita' alienante della
societa' dello spettacolo. Sempre di Marelli, L'ultima Internazionale. I
situazionisti oltre l'arte e la politica (Torino, Bollati Boringhieri,
2000), un altro studio sulla peculiarita' del situazionismo, l'ultima
internazionale del secondo millennio, in bilico fra il recupero agiografico
della sua critica radicale e dei suoi "profeti", e la capacita' di allestire
un habitat per "l'illimitato dispiegamento delle nuove passioni". Sullo
stesso argomento e' uscito Breve storia dell'Internazionale Situazionista
(Torino, Nautilus, 1999), a cura della Nottingham Psychogeographical Unit,
col corredo di rare immagini fotografiche.
Molto interessante e' anche Potlach, Bollettino dell'Internazionale
lettrista 1954-57, che la piccola e vivace editrice torinese Nautilus, in
sintonia con la sua linea editoriale, ha stampato nel 1999. E' l'unica
edizione italiana degli introvabili documenti di questa Internazionale, il
movimento francese d'avanguardia capostipite della "editoria selvaggia", che
si proponeva di operare la difficile riunificazione della creazione
culturale d'avanguardia con la critica rivoluzionaria della societa'.
Per finire, altri tre testi esemplari pubblicati da Nautilus, Urla in favore
di Sade (Torino, 2000), di Guy Debord, uno dei fondatori e padri nobili del
situazionismo; Avviso agli studenti (Torino, 1996), dell'altro "mostro
sacro" Raul Vaneigem; e infine La rivoluzione dell'arte moderna e l'arte
moderna della rivoluzione (Torino, 1996), antico e illuminante documento del
1967 proveniente dalla Sezione inglese dell'Internazionale Situazionista.
*
Spagna '36
A conclusione di questa traccia bibliografica gettiamo uno sguardo oltre le
frontiere e occupiamoci dell'anarchismo degli altri paesi. Naturalmente
l'attenzione sara' concentrata soprattutto sulle due grandi esperienze
rivoluzionarie del Novecento, nelle quali gli anarchici ebbero una parte
importantissima: la libertaria rivoluzione spagnola e la rivoluzione, un po'
meno libertaria, che sfocio' nella fondazione della prima repubblica
sovietica.
Per l'affetto che ci lega, partiamo dalla Spagna, seguendo in questo caso
l'ordine cronologico delle pubblicazioni segnalate.
Zero in condotta ha pubblicato Chi c'era racconta. La rivoluzione libertaria
nella Spagna del 1936 (Milano, 1995), le intense testimonianze in presa
diretta di una ventina di militanti spagnoli che dettero vita alla
rivoluzione comunista libertaria. Parole che valgono quanto e piu' di una
ricostruzione saggistica, ricordi partecipi di un'esperienza esaltante e,
temiamo, irripetibile. Sempre Zero in condotta ha curato, con altre quattro
editrici internazionali, Durruti 1896-1936 (Milano, 1996), una bella
edizione fotografica commentata in cinque lingue, che permette di cogliere,
grazie alla ricca iconografia, tutti i momenti della "eroica" e avventurosa
vita di Durruti, ucciso mentre difendeva, con i suoi miliziani, le conquiste
rivoluzionarie del proletariato in armi in terra di Spagna.
Di Carlos Semprun Maura, Libertad! Rivoluzione e controrivoluzione in
Catalogna (Milano, Eleuthera, 1996). E' la seconda edizione (dopo quella
milanese dell'Antistato del 1976) di questo studio critico sui problemi
interni alle forze rivoluzionarie e al movimento anarchico, nati dalle
difficolta' e dalle contraddizioni che caratterizzarono i primi mesi della
rivoluzione, la' dove prese forma il comunismo libertario della Cnt.
A seguire, di Abel Paz, Spagna 1936, un anarchico nella rivoluzione
(Manduria, Lacaita, 1998). In questa autobiografia Abel Paz (nom de plume di
Diego Camacho), giovanissimo combattente rivoluzionario sulle barricate di
Barcellona, ripercorre con grande partecipazione le vicende esaltanti e le
tragedie immani che segnarono quella che puo' essere considerata
l'esperienza senza ritorno del ventesimo secolo. Sempre di Abel Paz, Durruti
e la rivoluzione spagnola (Pisa-Ragusa-Milano, Bfs, Fiaccola, Zero in
condotta, 1999-2000, 2 voll.). Da questa biografia, frutto di una
documentazione imponente e scritta con l'immediatezza del testimone, emerge
la figura di uno dei personaggi non solo piu' importanti e significativi, ma
anche piu' amati dell'anarchismo internazionale.
Si parla di anarchici, di quelli reclusi ma ancora vitali nelle carceri
franchiste, nel romanzo di Manuel Rivas, Il lapis del falegname (Milano,
Feltrinelli, 2000). Una storia struggente, una delle tante che in questi
anni hanno ispirato i narratori spagnoli alla scoperta delle vergogne di un
passato volutamente nascosto dai miserabili aguzzini di un popolo
straordinario.
Ancora di Abel Paz, Le 30 ore di Barcellona. Immagini della rivoluzione
(Carrara, Cooperativa Tipolitografica, 2002). Impreziosito dalle famose
tavole disegnate da Sim durante le giornate di luglio, e finalmente
pubblicate in Italia, il libro si concentra sulla descrizione delle prime,
determinanti ore della rivoluzione spagnola, quando, grazie alla resistenza
operaia al sollevamento dei militari, si decisero le strategie e i rapporti
di forza che avrebbero caratterizzato la lotta al franchismo.
Per chi ama i fumetti, segnalo la bella storia a strisce di Alfonso Font,
Negras tormentas e altre storie (Milano, ReM, 2002), dove il disegnatore
spagnolo ricostruisce vividamente una Barcellona rivoluzionaria e
anarcosindacalista, epicentro di avvincenti avventure.
Apprezzabile la ristampa dell'introvabile Mussolini alla conquista delle
Baleari (Casalvelino, Galzerano, 2002), il famoso testo con il quale Berneri
affrontava, nel fuoco della rivoluzione, le responsabilita' del fascismo
italiano a sostegno del sollevamento dei militari felloni guidati da Franco.
Di un altro grande protagonista dell'anarchismo spagnolo scrive Fulvio
Abbate ne Il ministro anarchico (Milano, Baldini & Castoldi, 2004). Restando
a meta' strada fra narrazione romanzata e ricostruzione storica, lo
scrittore palermitano abbozza la biografia di uno dei piu' affascinanti e
controversi protagonisti della rivoluzione, Juan Garcia Oliver, ministro
anarchico della giustizia, gia' idolo della Barcellona proletaria, poi esule
in Nord Europa e in Messico dove continuera' a vivere nel ricordo della
travolgente esperienza del 1936.
Di un'altra esperienza eccezionale, fra le tante vissute dal movimento
iberico, scrive Martha Ackelsberg nel suo Mujeres Libres. L'attualita' della
lotta delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola (Milano, Zero in
condotta, 2005), ricostruendo, con un accurato studio delle fonti, le
gloriose vicende di un'organizzazione tutta femminile, operaia,
emancipatrice e impegnata nel progresso della condizione della donna, tanto
piu' importante in Spagna dove gli atavici retaggi feudali e maschilisti
erano ancora dominanti.
Seguono due testi dedicati agli anni successivi al 1936-'39: gli anni della
feroce repressione franchista e degli ultimi, tragici tentativi di anarchici
irriducibili, decisi a combattere il fascismo armi alla mano. Di
Massimiliano Ilari e' uscito La giustizia di Franco. La repressione
franchista ed il movimento libertario spagnolo 1939-1951 (Chieti, Csl Di
Sciullo, 2005), che descrive la resistenza "sconosciuta" degli epigoni
dell'imponente movimento anarchico spagnolo e la barbara repressione con la
quale il regime colpi' il suo nemico piu' irriducibile. L'autore, giovane
militante della Fai, propone anche un'inedita cronologia comparata di grande
interesse.
La Fiaccola di Ragusa, sempre nel 2005, riedita il famoso Sabate', la
guerriglia urbana in Spagna (1945-1960), di Antonio Tellez. Il 1939 non
segna la fine della resistenza anarchica alla dittatura: gia' dai primi mesi
del nuovo regime guerriglieri anarchici cercano di mantenere viva la lotta.
Quanto mai opportuna e' dunque la ristampa di questo drammatico testo, che
narra la tragica storia di una generazione di giovani militanti caduti nella
lotta contro il carnicero falangista.
Chiudo questo lungo capitolo con una curiosita' di autore anonimo, La cuoca
di Durruti. La cucina spagnola al tempo della guerra civile. Ricette e
ricordi (Roma, Derive Approdi, 2002). Con la prefazione di Luigi Veronelli,
questo originale e avvincente frammento di diario, un po' narrazione e un
po' cronaca storica, mescola i ricordi rivoluzionari della giovane miliziana
Nadine, ricchi di personaggi e grandi avvenimenti, con le sue allettanti
ricette culinarie realizzate, e' il caso di dirlo, nel fuoco di uno dei piu'
grandi e gloriosi incendi del Novecento.
*
Russia e Ucraina
Veniamo ora all'altra grande rivoluzione che segno' l'inizio del secolo
breve, quella "realizzata" e non sconfitta dalle forze della reazione e del
capitalismo, la rivoluzione russa, ricca di contraddizioni e di duri
insegnamenti per gli entusiasti rivoluzionari, bolscevichi, anarchici,
menscevichi, che vi presero parte.
E' soprattutto della soffocante burocrazia e della repressione che ne segui'
e che affosso' il sogno della palingenesi sociale, che trattano i libri che
citero'.
Piotr Arscinov, ucraino, fu uno dei tanti anarchici che combatterono le
truppe bianche della reazione, con in cuore il sogno di una nuova societa'
di liberi ed uguali. Nella sua ormai classica Storia del movimento
makhnovista, ristampata da Samizdat (Pescara, 1999), ma uscita a caldo nella
Parigi del 1924, ci sono tutti gli elementi per capire la capitale
importanza che ebbe l'anarchismo nei primi anni, soprattutto nella fertile
Ucraina controllata dalle truppe dell'anarchico Makhno, e la degenerazione
che i semi dell'autoritarismo bolscevico avrebbero innestato nella nuova
societa'.
Anche l'anarcosindacalista Gregori P. Maximoff, con il suo Gli
anarcosindacalisti nella rivoluzione russa (Pescara, Samizdat, 1997), porta
un prezioso contributo alla ricostruzione del ruolo, importante e
misconosciuto, che l'anarchismo ebbe nei processi rivoluzionari della
Russia.
Ed e' proprio la specificita' dell'agire anarchico, inconciliabile con il
centralismo burocratico marxista-leninista, che fa capire perche' i
libertari furono tra i primi a cadere sotto i colpi della spietata
repressione di Lenin e Stalin.
Un altro lavoro sui contrastati rapporti all'interno delle forze
rivoluzionarie e' Marxismo e anarchismo nella rivoluzione russa, di Arthur
Lehning, nella nuova edizione di Samizdat (Pescara, 1999). Si tratta di uno
dei grandi classici della letteratura anarchica, nel quale lo studioso
olandese affonda le mani nella tragica diatriba che vide opporsi, da un
lato, il pragmatismo totalitario di Lenin e, dall'altro, l'afflato
libertario e rivoluzionario che gli anarchici russi, nonostante la
repressione, contrapposero alla degenerazione burocratica e alla dittatura
del proletariato.
Infine, molto interessante per la prospettiva da cui muove, e' il libro di
Santi Fedele, Una breve illusione. Gli anarchici italiani e la Russia
sovietica 1917-1939 (Milano, Angeli, 1996). Come si sa, le sirene della
rivoluzione russa cantarono a lungo fra i movimenti sovversivi europei, e
anche gli anarchici non furono sordi. Questo documentato e illuminante
saggio ricostruisce il progressivo dissolverrsi delle simpatie che i
libertari italiani avevano manifestato, se non per i bolscevichi, certamente
per la loro rivoluzione.
Una breve illusione, appunto, presto sommersa dalla consapevolezza con cui
si colsero gli aspetti degenerativi della rivoluzione burocratica e della
dittatura proletaria.
*
Altrove nel mondo
Esaurite le due grandi esperienze rivoluzionarie, prendiamo ora in
considerazione i non molti libri dedicati ad altri paesi.
Restando in Europa, un bel testo che tratta di argomenti poco conosciuti e'
quello di Martine Lina Riesenfeld e altri autori, Piegarsi vuol dire
mentire. La resistenza libertaria al nazismo nella Ruhr e in Renania
(1933-1945) (Milano, Zero in condotta, 2005), che viene a smentire il
consolidato luogo comune sulla mancata resistenza del proletariato tedesco
all'avvento del nazismo, dimostrando come, fra le fila del movimento
sindacalista libertario, l'opposizione alla barbarie hitleriana non venne
mai meno.
Sulla ex Jugoslavia e i drammi che l'hanno dilaniata negli anni Novanta,
ricordo l'opuscolo Jugoslavia una guerra per il potere (Livorno, Sempre
Avanti, 1996), nel quale Claudio Venza mostra con chiarezza le cause e gli
effetti di una delle maggiori tragedie della fine del secondo millennio: la
guerra fratricida fra i popoli slavi condotta in nome di diversita' etniche
e religiose, evocate cinicamente per occultare la sete di potere delle varie
cricche post-titoiste.
Estremamente interessante, anche per la particolare prospettiva di analisi,
Donne contro la guerra. Interventi e testimonianze dalla ex Jugoslavia,
curato dalla non dimenticata Marina Padovese e da Salvo Vaccaro (Palermo, La
Zisa, 1996). Pier Francesco Zarcone e' autore di Portogallo anarchico e
ribelle (Pescara, Samizdat, 2004), che ripercorre l'esperienza
dell'anarchismo portoghese, senza dubbio meno significativa di quella dei
cugini spagnoli, ma non per questo priva di episodi e figure interessanti.
Rimaniamo in Europa, per parlare di quei cittadini del mondo che furono gli
ebrei fino alla nascita dello Stato di Israele, e segnaliamo l'interessante
Nati altrove. Il movimento anarchico ebraico tra Mosca e New York di Furio
Biagini (Pisa, Bfs, 1998), che ricostruisce la storia di un movimento tanto
importante quanto poco conosciuto, quello degli ebrei di lingua yiddish che
partirono dai villaggi della Russia per sfuggire ai pogrom, trasportando in
Inghilterra e negli Stati Uniti le loro esperienze comunaliste e
autogestionarie, nelle quali il tradizionale messianismo era sostituito
dall'utopismo rivoluzionario.
Sempre sull'importanza della presenza ebraica nell'anarchismo
internazionale, Amedeo Bertolo ha curato L'anarchico e l'ebreo. Storia di un
incontro (Milano, Eleuthera, 2001), gli atti del convegno tenutosi a Venezia
nel maggio 2000, nel corso del quale gli epigoni di questo movimento senza
frontiere hanno confrontato, forse per la prima volta, le loro eccezionali
esperienze.
Cambiando continente, sbarchiamo nelle due Americhe; nella prima, che pare
destinata a essere a lungo l'epicentro politico-economico e sbirresco del
mondo, e nella seconda che ancora manifesta, con i colori degli indios
messicani, la voglia di un cambiamento definitivo nei rapporti che regolano
la vita dei popoli.
Sugli Stati Uniti e il loro ruolo negli equilibri internazionali, si e'
scritto e si continua a scrivere con dovizia, e spesso gli occhiali delle
superstiti ideologie impediscono di cogliere con esattezza le dinamiche in
atto. Non e' il caso del libro di Stefano Capello, Oltre il giardino. Guerra
infinita ed egemonia americana (Milano, Zero in condotta, 2003) nel quale
l'autore, con un'analisi dal taglio decisamente libertario e scevro da
condizionamenti, analizza le tendenze in atto nella geopolitica mondiale,
evitando di cadere nelle trappole della propaganda e mettendo in risalto le
oggettive convergenze fra i poteri internazionali in conflitto, per fare si'
che il dominio nordamericano sull'economia non venga minimamente messo in
discussione.
Passando la frontiera, sbarchiamo in Messico, dove la comunita' chiapaneca,
con la sua pratica antimperialista, continua a destare l'interesse degli
spiriti liberi in tutto il mondo. Come primo approccio, non si puo'
prescindere dal prezioso Documenti e comunicati del Chiapas insorto. 1
gennaio 1994 - 29 settembre 1995 (Pisa, Bfs, 1996-1997, 2 voll.), che
raccoglie i documenti dell'Ejercito Zapatista de Liberacion Nacional. Uno
strumento indispensabile, anche per la mole documentaria, per cogliere di
prima mano la ricchezza teorica e l'imprevedibile tattica sovversiva degli
indios del Chiapas. Sempre sul Chiapas, ma anche su altre insorgenze indie,
due libri scritti da uno dei maggiori esperti del continente
latinoamericano, il giornalista uruguayano Raul Zibechi. Il primo, Il
paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista in Chiapas (Milano,
Eleuthera, 1998), dove la peculiarita' libertaria del movimento zapatista si
mostra in tutta la sua inimitabile originalita', e il secondo, Zapatisti e
Sem terra. Movimenti sociali ed insorgenza indigena (Milano, Zero in
condotta, 2001), in cui si afferma che la cultura india, la cultura degli
oppressi, puo' emergere come strumento di riscatto e di liberazione per chi
non e' piu' rassegnato ad essere l'ultimo degli ultimi. Infine, di Jerome
Baschet, La scintilla zapatista. Insurrezione india e resistenza planetaria
(Milano, Eleuthera, 2003), una storia e una cronologia dello zapatismo che,
con chiarezza e senza demagogia, spazza via il fuorviante folclore
"militante" che avvolge l'Ezln.
Venendo a Cuba, un altro dei nodi politici e sociali di questi anni,
segnaliamo Cuba libertaria. Storia dell'anarchismo cubano (Milano, Zero in
condotta, 2003), di Frank Fernandez, militante storico e redattore della
rivista "Guangara Libertaria", edita dal movimento libertario cubano in
esilio.
Un movimento che, soprattutto negli anni Venti e Trenta ma anche in seguito,
ha vissuto momenti di grande splendore e che ha visto i suoi militanti
dapprima combattere al fianco di Castro e Guevara contro la dittatura di
Batista, poi prendere la via dell'esilio per continuare a lottare per la
liberta'.
Termino questo lungo viaggio nell'editoria libertaria sbarcando in Africa,
nell'auspicio che questa ultima segnalazione sia presagio di nuove avventure
anarchiche in terre ancora inesplorate dagli eredi di Bakunin e Malatesta.
Merito dunque alla milanese Zero in condotta per aver pubblicato, nel 2002,
Africa ribelle, Societa' senza stato. Le prospettive libertarie, di Sam Mbah
e I. E. Igariwey, militanti della Awareness League nigeriana aderente
all'Ait, che illustrano gli sconosciuti e sorprendenti elementi libertari e
comunalisti presenti nelle societa' tradizionali africane, ancora vitali
nonostante gli effetti del colonialismo, gli esperimenti dei socialismi di
stato, le drammatiche conseguenze delle lotte di liberazione nazionale e dei
conflitti tribali.
*
Alcune case editrici anarchiche e libertarie
- BFS edizioni, via I. Bargagna 60, 56124 Pisa, tel. e fax: 0509711432, info
e corrispondenza: posta at bfs-edizioni.it, per ordini:
acquisti at bfs-edizioni.it, sito: www.bfs-edizioni.it
- Edizioni La Baronata, casella postale 22, 6906 Lugano CH, e-mail:
baronata at anarca-bolo.ch, sito: www.anarca-bolo.ch/baronata
- Edizioni La Fiaccola, Elisabetta Medda, via B. Croce 20, 96017 Noto (Sr),
tel. 0931839849, sito (catalogo):
www.ecn.org/elpaso/distro/libri/lafiaccola_edizioni/lafiaccola.htm
- Edizioni Zero in Condotta, Autogestione, casella postale 17127, 20170
Milano, fax: 022551994, e-mail: zeroinc at tin.it, sito:
www.federazioneanarchica.org/zic/
- Eleuthera editrice, via Rovetta 27, 20127 Milano, tel. 0226143950, fax:
0228040340, c. p. 17002, e-mail: info at eleuthera.it, sito: www.eleuthera.it
- Giuseppe Galzerano Editore, 84040 Casalvelino Scalo (Sa), tel. e fax:
097462028, e-mail: giuseppe.galzerano@tiscalinet, sito (catalogo):
http://web.tiscali.it/felittonet/idx_gal.htm
- Nautilus, casella postale 1311, 10100 Torino, fax: 0116505653, e-mail:
nautilus at ecn.org, sito: www.ecn.org/nautilus
Chi non riuscisse a rintracciare gli indirizzi di altre case editrici citate
nel testo, puo' rivolgersi direttamente al curatore Massimo Ortalli
massimo.ortalli at acantho.it, che si rende diponibile anche per ulteriori
informazioni di carattere bibliografico.
(Fine - le parti precedenti sono apparse nei nn. 1109-1111)

3. MEMORIA. MARIA ANTONIETTA SARACINO RICORDA KEN SARO-WIWA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2005.
Maria Antonietta Saracino, anglista, insegna all'Universita' di Roma "La
Sapienza"; si occupa di letterature anglofone di Africa, Caraibi, India e di
multiculturalismo. Ha curato numerosi testi, tra cui Altri lati del mondo
(Roma, 1994), ha tradotto e curato testi di Bessie Head (Sudafrica), Miriam
Makeba (Sudafrica), la narrativa africana di Doris Lessing e Joseph Conrad,
testi di Edward Said, di poeti africani contemporanei, di Aphra Behn; ha
curato Africapoesia, all'interno del festival Romapoesia del 1999; ha
pubblicato saggi sulle principali aree delle letterature post-coloniali
anglofone, collabora regolarmente con le pagine culturali de "Il manifesto"
e con i programmi culturali di Radio3.
Ken Saro-Wiwa, scrittore nigeriano, militante politico, attivista per i
diritti umani umani e dei popoli e per la difesa dell'ambiente, e' stato
assassinato dal regime nel 1995]

Il 10 novembre del 1995, nella Nigeria del generale Sani Abacha, a seguito
di un rapido processo-farsa privo di garanzie legali e di difesa, e senza
possibilita' per gli accusati di ricorrere in appello, nove attivisti Ogoni,
uno dei 248 gruppi etnici del paese, vennero condannati a morte e impiccati,
con l'accusa di avere ucciso quattro componenti moderati della medesima
etnia, una comunita' di circa mezzo milione di individui che da sempre
viveva di pesca e di agricoltura presso il delta del Niger, sui territori
del Rivers State. Tra i condannati, lo scrittore Ken Saro-Wiwa, che nel 1990
era stato fra i fondatori del Mosop (Movimento per la sopravvivenza degli
Ogoni), l'organizzazione politica e ambientalista che si opponeva ai sistemi
di sfruttamento selvaggio di quei territori da parte delle multinazionali
del petrolio, con metodi devastanti che avevano finito per avvelenare vaste
aree fertili, costringendo a una migrazione forzata gli Ogoni.
La brutalita' dell'evento - non nuovo in Nigeria come purtroppo ancora in
molte parti del continente africano - aveva in questo caso suscitato uno
scalpore insolito presso la comunita' internazionale, tanto che la Nigeria
era stata radiata dal Commonwealth e la Comunita' europea era intervenuta
con un embargo delle armi (ma non del petrolio), con la chiusura di progetti
gia' avviati nel paese da parte della cooperazione internazionale e con
restrizioni di varia natura. Motivo di questa indignazione era per l'appunto
la presenza di spicco, nel gruppo dei condannati, di Ken Saro-Wiwa, leader
degli Ogoni, candidato al Nobel per la pace e vincitore nel 1994 del
cosiddetto "Nobel per la pace alternativo", ma soprattutto scrittore
affermato, nel suo paese e all'estero, in particolare nel mondo anglosassone
e tra la vasta comunita' di studiosi delle cosiddette "letterature
post-coloniali". Per mesi il governo nigeriano era stato tempestato di
petizioni, mentre una campagna di stampa internazionale si batteva a favore
di un giusto processo e del rilascio di Saro-Wiwa, unanimemente ritenuto
innocente. A guidare le iniziative, lo scrittore e drammaturgo Wole Soyinka,
premio Nobel per la letteratura nel 1986 - anch'egli nigeriano, anch'egli
nel suo paese vittima del carcere e della censura e costretto da diversi
anni all'esilio.
L'esito del processo dava alla lotta degli Ogoni e alla figura di Ken
Saro-Wiwa una risonanza senza precedenti, portando all'attenzione del mondo
il piu' diffuso problema della relazione tra governi corrotti e inquinamento
ambientale, ma anche la questione, fortissima in Africa, del rapporto tra
intellettuali e potere, tra scrittura e censura.
Al tempo stesso, pero', spegneva per sempre la voce di uno scrittore
innovativo e militante, il quale - in un breve volgere di anni e in una
produzione che (giocoforza) sarebbe stata in gran parte postuma - aveva
saputo dare espressione alla cultura nigeriana e africana in generale.
Attraversando a largo raggio un'ampia gamma di generi letterari,
sapientemente usando linguaggi e codici diversi, dalla commedia alla farsa,
dalla scrittura radiofonica a quella del nascente serial televisivo, dalla
autobiografia politica alla narrativa in inglese standard, Saro-Wiwa era
soprattutto riuscito a adottare un singolarissimo pidgin letterario, il
rotten english nel quale scrisse il suo romanzo piu' bello e famoso: quel
Sozaboy del 1986, identificato dal suo stesso sottotitolo, A Novel in Rotten
English, come un romanzo volutamente scritto in inglese bastardo, sporco,
marcio. Perche' nella Nigeria del suo tempo non c'e' registro che possa
rendere tutto intero il marciume che mina il potere, la politica e quindi la
cultura. Non c'e' lingua "pulita" che possa esprimere l'orrore della guerra
e la sofferenza dei piu' deboli, i bambini in particolare. L'inglese
standard, del quale Saro-Wiwa, laureato a Ibadan con il massimo dei voti,
era perfettamente padrone, puo' forse dar voce al dolente racconto della
protagonista di Lemona's Tale (1996) che - profeticamente - nel carcere di
Port Harcourt (lo stesso nel quale l'autore sarebbe poi stato ucciso)
racconta la sua vita intera, la notte prima di essere impiccata, innocente.
Ma puo' anche assumere la valenza forte e vivace della oralita' nei Four
Farcical Plays (1989), come The Transistor Radio, allegoria della Nigeria
intesa come stato-vampiro, che si nutre del sangue della nazione, oppure
quella piu' divertita di Basi & Company (1988), serie televisiva in trenta
puntate, o infine i toni drammatici del diario di prigione: A Month and a
Day, del '95, sara' una sorta di testamento politico e spirituale di chi
prefigura la propria fine. Ma che proprio per questo chiede ai suoi
concittadini piu' consapevoli, e agli intellettuali in particolare, di non
cedere ai compromessi, di spendersi per una giusta causa, di mettere la
penna e la fama al servizio di chi non puo' parlare.
Nei suoi scritti politici, Essays on Anomic Nigeria, (1991), Nigeria: The
Brink of Disaster (1991), Genocide in Nigeria: The Ogoni Tragedy (1992),
Saro-Wiwa rende chiara la correlazione tra il territorio e la cultura nel
suo insieme. Distruggere l'uno significa inevitabilmente condannare a morte
anche l'altra. Siamo nel 1992: Saro-Wiwa sa che non ha piu' molto tempo, e
allora la militanza e la scrittura si intensificano, anziche' farsi piu'
caute. E piu' forte si fa la sua identificazione con il proprio paese
sofferente. Nigeria e' la parola che piu' spesso ricorre nei suoi scritti,
compresi quelli poetici. La lotta degli Ogoni contro il governo corrotto che
consente alle multinazionali del petrolio di avvelenare terre che ormai non
offrono piu' sussistenza alcuna e' diventata troppo visibile e scomoda
perche' il potere militare non intervenga, chiudendo la bocca al suo
esponente di maggior spicco. Ai giudici che lo condannano a morte, Ken
Saro-Wiwa risponde con un ultimo potente atto di accusa verso la corruzione
di chi sta distruggendo la Nigeria, e con una appassionata dichiarazione di
amore e responsabilita' nei confronti del suo paese e della sua storia. Ha
quarantaquattro anni, una moglie e cinque figli.
Poco prima che venga pronunciata la condanna a morte, un altro celebre
scrittore nigeriano, Ben Okri, pubblica su "The Guardian" un lungo disperato
appello in difesa di Saro-Wiwa, che si trasforma in un vero e proprio
manifesto su scrittura e impegno politico. "Se volete sapere che cosa accade
in un'epoca o in un paese - scrive tra l'altro - cercate di scoprire che
cosa sta succedendo ai suoi scrittori, ai suoi banditori pubblici: perche'
sono loro i sismografi che rilevano i terremoti che incombono sullo spirito
dei tempi... Se sentite che gli scrittori sono stati inesplicabilmente
uccisi, messi a tacere, che le loro case sono state misteriosamente
bruciate, che sono fuggiti dal loro paese e vivono in esilio. Ma soprattutto
quando sentite che gli scrittori sono stati condannati a morte da tribunali
tutt'altro che democratici, allora capirete che l'aria di quella terra e'
gia' densa di corruzione e terrore, che e' irrespirabile, che la vita della
gente e' insopportabile, che il suolo di quella terra ha gia' cominciato a
produrre il suo raccolto di cadaveri: che la liberta' e' morta sui campi,
che i suoi capi hanno condannato il paese a morte... Chiunque possa sentirmi
mi ascolti: in Nigeria uno scrittore e' stato condannato a morte perche'
voleva una vita migliore per la sua gente. Le conseguenze di questo atto
sono incalcolabili. Il suo nome e' Ken Saro-Wiwa, ed e' mio amico".
*
Scheda: Iniziative in ricordo di Ken Saro-Wiwa
Nonostante la fama che ormai da diversi anni, e soprattutto dalla sua
tragica morte, circonda in tutto il mondo il nome di Ken Saro-Wiwa, le case
editrici italiane hanno esitato a lungo prima di pubblicare i suoi libri,
scritti in un impasto linguistico cosi' particolare da renderne estremamente
problematica la traduzione. La prima a lanciarsi in questa impresa e' stata
una minuscola sigla editoriale romana, Socrates, che nel settembre 2004 ha
mandato in libreria Foresta di fiori, una raccolta di racconti la cui
versione e' il frutto del lavoro collettivo di un gruppo di allievi del
corso di traduzione letteraria dell'agenzia Herzog. Molte delle diciannove
brevi storie che compongono Foresta di fiori sono ambientate in quello
stesso villaggio sperduto di Dukana che fa da sfondo anche a Sozaboy, il
romanzo piu' famoso di Saro-Wiwa, appena uscito per Baldini Castoldi Dalai
nella traduzione di Roberto Piangatelli e per le cure di Itala Vivan. Nella
versione italiana il libro ha tuttavia perso il sottotitolo, A Novel in
Rotten English, che ne connotava le caratteristiche di una lingua spuria e
ibridata: se questa lingua - nota la curatrice nella postfazione - e' stata
in parte mantenuta nella traduzione francese dove si e' adottato un
linguaggio creolo dell'Africa francofona, una soluzione analoga sarebbe
stata impraticabile in italiano.
In occasione del decimo anniversario della morte di Saro-Wiwa, Soza-Boy
verra' presentato questo pomeriggio a Roma, presso l'Officina Arte al
Borghetto, in piazza della Marina: all'incontro, coordinato da Luigi
Manconi, prenderanno parte Sergio Baffoni di Greenpeace, Gianni Borgna,
Godwin Chukru, Beppe Grillo, Laura Guercio (in rappresentanza di Amnesty
International), Igino Poggiali, Donatello Santarone e Itala Vivan. Sempre
per ricordare lo scrittore nigeriano, il centro RialtoSantambrogio mette in
scena in questi giorni uno spettacolo diretto da Roberto Biselli, Saro-Wiwa,
Non mi piace l'Africa, un oratorio che si ispira ai testi di Paul Niger Non
mi piace quest'Africa e dello stesso Saro-Wiwa Anche questa Nigeria.

4. MEMORIA. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI RICORDA KEN SARO-WIWA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2005. Giampaolo Calchi
Novati, nato nel 1935, docente universitario, e' tra i massimi esperti
italiani delle questioni del sud del mondo. Tra le opere di Giampaolo Calchi
Novati: Neutralismo e guerra fredda (1963); L'Africa nera non e'
indipendente (1964); Le rivoluzioni nell'Africa nera (1967); La rivoluzione
algerina (1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979); La decolonizzazione
(1983); Dopo l'apartheid (a cura di, 1986); L'Africa (1987); Nord/Sud
(1987); Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno d'Africa nella storia e nella
politica (1994); Dalla parte dei leoni (1995); Storia dell'Algeria
indipendente (1998); Il canale della discordia (1998)]

La prima guerra di secessione della nuova Africa si combatte' in Congo
all'atto dell'indipendenza del grande paese gia' possedimento personale di
Leopoldo II. Tradendo il patto nazionale, Moise Tshombe svolse la parte del
vilain al servizio degli interessi della grande finanza internazionale in un
contesto ancora segnato dalle problematiche della decolonizzazione. Il caso
del Biafra e' diverso. L'accesso all'indipendenza della Nigeria era ormai
alle spalle da qualche anno. Lo stato piu' popoloso dell'Africa faticava a
decollare. Invece di essere una ricchezza, le sue dimensioni erano un
handicap. L'Inghilterra, la potenza coloniale, aveva negoziato la
transizione dei poteri varando una Costituzione di tipo federale, che
assicurava la preponderanza dell'oligarchia musulmana del nord. Invano i
cultori piu' autentici del nazionalismo nigeriano, a cominciare da Nnamdi
Azikiwe, il popolarissimo Zik, avevano insistito per imporre una soluzione
centralizzata. Le elites e i partiti politici delle regioni meridionali,
piu' sviluppate, con un piu' alto grado di urbanizzazione e istruzione, piu'
aperte ai rapporti con l'esterno, temevano con qualche buona ragione che il
federalismo - per molti aspetti congeniale alla pluralita' e diversita' del
paesaggio storico e culturale nigeriano - fosse un espediente del
neocolonialismo.
Crisi dopo crisi, anche in Nigeria, come pochi mesi prima nel Ghana di
Nkrumah, scocco' l'ora dei militari. Con uno dei primi provvedimenti
annunciati dagli ufficiali dopo il colpo di stato il sistema federale venne
abrogato. Ma fu poco piu' di un lampo. A conclusione di una fase concitata
con violenze interetniche, spostamenti di popolazione fra nord e sud alla
ricerca di un riparo, scontri all'interno dell'esercito ormai padrone della
situazione, la regione orientale con il delta del Niger e immensi giacimenti
di petrolio proclamo' l'indipendenza assumendo il nome di Biafra. Segui' una
guerra civile che, a differenza di quella del Katanga, presentava contorni
mal definiti. Chi erano i buoni? E chi i cattivi? La difesa dello stato
giustifico' mezzi estremi. La sete di petrolio scateno' appetiti e
interferenze. E' in questo inferno che Ken Saro-Wiwa colloca le vicende del
suo romanzo piu' famoso: Sozaboy, di cui, a vent'anni di distanza dalla
prima edizione in Nigeria, esce finalmente la versione italiana (Baldini
Castoldi Dalai editori, pp. 286, euro 14, a cura di Itala Vivan, traduzione
di Roberto Piangatelli).
Il protagonista, un ragazzo di nome Mene, e' un bambino soldato, Sozaboy,
appunto, dalla contrazione di Soldier e Boy nell'impasto linguistico di
inglese buono e sgrammaticato, pidgin e echi degli idiomi locali, impiegato
con effetti suggestivi da Saro-Wiwa. Il ritardo dell'edizione italiana, a
parte la solita disattenzione per la letteratura africana, si spiega anche
con la difficolta' di rendere in italiano il rotten english dell'originale.
Il comportamento di Sozaboy che milita un po' da una parte e un po'
dall'altra riflette la confusione generale.
Come in un libro altrettanto famoso sulle guerre civili degli anni Novanta,
Allah non e' mica obbligato, scritto da Ahmadou Kouroma, originario della
Costa d'Avorio, quello che risalta di piu' e' il travaglio di un intero
mondo che cade a pezzi e che pure va avanti, cammina, si sposta, spara, fa
soldi illegalmente. E' persino difficile parlare di guerra civile in una
situazione dove non c'e' una civitas, magari per romperla o corromperla. Ma
se Sozaboy non capisce bene chi sia al suo fianco e chi sia il nemico,
quell'epopea sgangherata, in cui perde la sposa, la famiglia, i contatti con
il villaggio natale, dove infatti al suo ritorno viene accolto con molta
diffidenza, gli serve per formarsi una coscienza. Alla fine di una guerra
solo apparentemente senza senso nulla sara' piu' come prima: il ragazzo al
pari della Nigeria.
L'impegno di Ken Saro-Wiwa, romanziere, saggista, uomo di teatro, non si
limito' all'arte e alla letteratura. Si cimento' nella politica come
animatore e portavoce della resistenza di una piccola comunita' della
regione del delta, gli Ogoni, agli espropri e al degrado collegati allo
sfruttamento del petrolio. Il governo era deciso a evitare che quella lotta
per una diversa distribuzione delle risorse e un maggiore rispetto
dell'ambiente umano e naturale arrestasse il flusso della rendita
petrolifera. I margini d'azione per la Shell e le altre compagnie minerarie,
fra cui l'Agip, erano stretti. Il Biafra era ormai una battaglia lontana.
Saro-Wiwa non aveva creduto alla causa del secessionismo preferendo
schierarsi con il governo federale e la nazione, perdonandole di essere
matrigna per la sua gente. Il suo Mosop (Movimento per la sopravvivenza del
popolo Ogoni) si poneva obiettivi di giustizia e di democrazia, senza
stravolgere la geopolitica ma favorendo rapporti di partecipazione,
compensi, salvaguardia. Tutto inutile. Per il regime di Abacha ogni
richiesta di equita' suonava come una minaccia.
Prendendo a pretesto una rissa fra dirigenti del Mosop, forse un regolamento
di conti, i militari accusarono Saro-Wiwa e altri suoi compagni di omicidio,
li processarono e li condannarono a morte. Il 10 novembre 1995 fu spenta una
voce e una volonta' di intendere la politica come uno strumento di
promozione per i singoli e la societa'. Un sacrificio doloroso che ha
lasciato tuttavia piu' di un seme. Gli Ogoni, fra contrasti e
contraddizioni, hanno continuato la loro azione di riscatto. Lo sfondo e'
una delle regioni piu' compromesse della Nigeria e dell'Africa con il
petrolio come metafora della speranza e della maledizione per molti paesi
della periferia.
E' importante riproporre oggi l'opera letteraria di Ken Saro-Wiwa come
testimonianza di una realta' - la regione del delta, la Nigeria, l'Africa -
che non puo' fare a meno di una via all'espressione di se'. Anche la lingua
scelta per Sozaboy e' il segno di una identita' in cui la cultura importata
e quella indigena si contaminano reciprocamente. La Nigeria del 2005 e' una
federazione divisa in 36 stati. E' meno disperata di quella del 1967, l'anno
della guerra del Biafra, o del 1995, l'anno della morte di Saro-Wiwa, anche
se le troppe repubbliche che si sono succedute in Nigeria non hanno spostato
i termini veri del potere. La Nigeria sta diventando uno dei leader del
continente: con il Sudafrica cerca di traghettare l'Africa nell'era della
globalizzazione. La letteratura nigeriana ha prodotto addirittura un premio
Nobel, Wole Soyinka, ancora piu' noto di Saro-Wiwa. Ma questo fa parte del
destino dell'Africa e dei suoi figli migliori. Per acquisire visibilita' e
autorita' si deve in qualche modo uscire dall'Africa e farsi "riconoscere"
dal mondo che conta, adottandone il linguaggio, la cultura, i codici
valoriali. Una investitura che puo' significare anche un principio
d'alienazione. Sozaboy usa il pidgin, non si allinea, si tiene lontano dalle
metropoli del Primo mondo. Il prodigio e' che non per questo - lui e per lui
il suo autore - cessa di farsi interprete di diritti e rivendicazioni
universali.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1112 del 12 novembre 2005

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