La nonviolenza e' in cammino. 1108



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1108 dell'8 novembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Norberto Bobbio commemora Erasmo da Rotterdam
2. Enrico Peyretti: Una sintesi schematica del "Dulce bellum inexpertis"
(1515) di Erasmo da Rotterdam
3. Peppe Sini, una introduzione al "Lamento della pace" di Erasmo da
Rotterdam
4. Una breve notizia biobibliografica su Erasmo da Rotterdam
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO COMMEMORA ERASMO DA ROTTERDAM
[Riproponiamo la commemorazione di Erasmo da Rotterdam tenuta nel 1996 da
Norberto Bobbio all'Universita' di Torino; il testo di essa apparve in
versione parziale sul quotidiano "La stampa", ed in versione integrale
nell'eccellente mensile torinese "Il foglio", nel n. 231 del luglio 1996.
Ringraziamo ancora Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per
averci trasmesso queste parole che un grande maestro di cultura, di diritto
e di impegno civile ha dedicato al principe degli umanisti, fondatore
dell'impegno pacifista nell'eta' moderna. Norberto Bobbio e' nato a Torino
nel 1909 ed e' deceduto nel 2004, antifascista, filosofo della politica e
del diritto, autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei
diritti umani, della pace, e' stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali
italiani del XX secolo. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si
intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di
questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute,
Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi
libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte
dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno
Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti
presso l'editore Passigli, Firenze. Per la sua riflessione sulla democrazia
cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e
liberta'; tutti presso Einaudi, Torino. Sui diritti umani si veda L'eta' dei
diritti, Einaudi, Torino 1990. Sulla pace si veda Il problema della guerra e
le vie della pace, Il Mulino, Bologna, varie riedizioni; Il terzo assente,
Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della
mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche
la lettura di Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo
ideologico del Novecento, Garzanti, Milano 1990; Teoria generale del
diritto, Giappichelli, Torino 1993. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo
almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino
1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto
Bobbio, Donzelli, Roma 2000. Per la bibliografia di e su Norberto Bobbio uno
strumento di lavoro utilissimo e' il sito del Centro studi Piero Gobetti
(www.erasmo.it/gobetti) che invitiamo caldamente a visitare]

Chi entra nel cortile di questo palazzo e percorre l'ala sinistra del
porticato per accedere allo scalone che lo porta in questa aula non puo'
fare a meno di imbattersi in una grande lapide di marmo, murata piu' di
cento anni fa (1876), in cui si legge che Erasmo da Rotterdam ebbe il titolo
di dottore in teologia in questa Universita' il 4 di settembre del 1506.  E
non puo' non essere colto da un moto di sorpresa nel trovare accostati i due
nomi del grande Erasmo e della piccola citta' di Torino (aveva allora poche
migliaia di abitanti) con la sua sconosciutissima e tutt'altro che vetusta
Universita', che, come ha scritto Luigi Firpo (che all'episodio della laurea
erasmiana ha dedicato una dottissima narrazione), era "poco frequentata e
deserta di docenti illustri", "modesta scuola di provincia, piuttosto
corriva nel concedere titoli dottorali".
Nel 1506 Erasmo aveva 37 anni. Aveva.gia' scritto una delle sue opere che lo
renderanno famoso, l'Enchiridion Militis Christiani. Il viaggio in Italia
per visitarvi le principali citta', conoscere i dottori piu' famosi,
frequentare le celebri biblioteche, era una sua vecchia aspirazione, che per
diverse circostanze sfortunate era stato costretto piu' volte a rinviare.
Questa volta, nel suo soggiorno inglese, l'occasione gli era stata offerta
da un genovese autorevole, Giovan Battista Boeri, che era medico del re
d'Inghilterra. Questi gli aveva affidato i suoi due figli perche' li
accompagnasse nel viaggio in Italia. La partenza da Londra avvenne ai primi
di giugno del 1506; attraverso la Francia, con una lunga tappa a Parigi,
sosta a Lione, traversata delle Alpi per il colle del Moncenisio, Erasmo
arrivo' a Torino alla fine di agosto. La discussione su vari temi teologici
si svolse il 4 settembre nel Palazzo dei Vescovo, alla presenza di un
collegio giudicante di teologi dell'Universita', che lo dichiararono "idoneo
e sufficiente" a ottenere il titolo di dottore. La ragione principale per
cui Erasmo si addottoro' nell'oscura Universita' torinese, anziche' in
quella illustre di Bologna verso la quale era diretto, pare sia stata la
opportunita', fattagli presente da alcuni amici, di avere un titolo di
dottore, comunque, il piu' presto possibile, prima di presentarsi ai dottori
che avrebbe voluto incontrare. Scendendo in Italia dalla Francia, la nostra
citta' fu la prima che egli trovava sul suo cammino. Scrisse piu' tardi che
aveva ricevuto il dottorato in teologia "contro voglia e sospinto dagli
amici". Firpo osserva con malizia che nelle lettere in cui parla della
laurea conseguita non indica mai il nome dell'Universita' di Torino. Si
consolino pero' i torinesi qui presenti. In una lettera di molti anni piu'
tardi (2 aprile 1533, pochi anni prima della morte) scrivera': "A Torino mi
piaceva la straordinaria cortesia (humanitas) della popolazione".
Il soggiorno di Erasmo in Italia duro' tre anni.  Tanto amo' l'Inghilterra,
paese in cui gli piaceva vivere, patria di Tommaso Moro, tanto poco amo'
l'Italia e meno ancora gli italiani: il soggiorno in Italia negli anni delle
gesta del bellicoso Giulio II, gli suggeri' non pochi argomenti per l'Elogio
della pazzia, che pubblico' nel 1511. Detestava l'arroganza dei dotti che
consideravano barbari tutti gli altri popoli, in specie i Romani "che van
sognando, nella maniera piu' spassosa, le glorie dell'antica Roma". Non
mancano peraltro anche giudizi qua e la' lusinghieri, su Venezia, per
esempio.
*
Erasmo, nonostante la sua cagionevole salute, viaggio' attraverso l'Europa,
soggiornando anche a lungo in vari paesi, ma non ne adotto' nessuno. La sua
lingua e' il Latino. L'unica sua patria - patria ideale cui aspira pur non
ignorando che e' piu' divisa che mai - e' l'Europa cristiana. Scrive: "Una
volta il Reno separava il Gallo dal Germano. Ora il Reno non separa il
cristiano dal cristiano". Altrove: "I Pirenei disgiungono gli spagnoli dalla
Francia, ma non dividono le comunita' della Chiesa. Il mare divide gli
inglesi dai francesi, ma non divide l'unita' della fede". La divisione in
nazioni separate e' incompatibile con l'universalita' del cristianesimo.
Scrive anche: "Ubi bene est, ibi patria est". E ancora "Se il nome di patria
serve a unire, ricordiamo che la patria comune e' il mondo".
Non e' ne' inglese ne' francese ne' tedesco, tanto meno italiano. E'
europeo. Europeo perche' cristiano. L'unica repubblica a cui ammette di
appartenere, e ne trae vanto, e' la repubblica di coloro che, in quanto
uomini di studi, si riconoscono, dialogano e disputano fra di loro, al di
sopra delle frontiere. Patriota di nessuna patria, attribuisce a se stesso
lo status di peregrinus, non quello di cittadino: "Ego mundi civis esse
cupio, communis omnium vel peregrinus".
Erasmo, principe della pace, come fu chiamato. Nel secolo in cui il problema
della pace ha due aspetti diversi. La pace religiosa e quella politica.
Entrambe, del resto, sono strettamente connesse l'una con l'altra: le
discordie religiose non sono mai disgiunte dalle lotte politiche e
territoriali, anzi sono con esse continuamente intrecciate.
I suoi scritti politici appaiono l'uno a breve distanza dall'altro in poco
piu' di un decennio, l'Elogio della pazzia nel 1511, il Dulce bellum
inexpertis (in volgare: "Chi loda la guerra non l'ha mai vista in faccia")
nel 1515 nella nuova edizione degli Adagia, l'Institutio principis
christiani nel 1516, dedicata al futuro Carlo V, la Querela pacis l'anno
dopo.
Il 1517 e' l'anno in cui Martin Lutero affigge le 95 tesi sulle porte del
duomo di Wittenberg. Nel decennio precedente si sono successe le imprese
guerresche in Italia di Giulio II, che lo indignano. Nel 1515 il giovane re
di Francia, Francesco I, invade l'Italia e vince la battaglia di Marignano.
Erasmo commenta: "C'e' forse una nazione ove non si sia combattuto
spietatamente in terra o in mare? Quale paese non s'inzuppo' di sangue
cristiano?".  Esclama: "O teologi senza lingua, o vescovi muti, che
assistete senza far motto a questo sfacelo dell'umanita'".
Due sono le ragioni della discordia che genera infelicita' e sofferenza
infinite: religiose e politiche. Il nemico della pace religiosa e' il
fanatismo, da cui nasce l'intolleranza delle idee altrui, l'ostinazione con
cui ognuna della parti sostiene con accanimento la propria verita', la
caparbieta' nel difenderla sino alla rottura irrimediabile di ogni tentativo
di dialogo ragionevole, fondato sullo scambio di argomenti, il rifiuto di
ogni invito alla pacata riflessione, alla mediazione fra tesi che non sono
sempre, come appare a un giudizio passionale, inconciliabili. Tema
ricorrente e' l'avversione per le sottili e futili dispute dei dotti, in
particolare dei teologi che tanto piu' accanitamente litigano fra loro
quanto piu' irrilevanti sono i temi della disputa.
Nella Querela pacis, la pace, come la follia nell'elogio della medesima,
parla in prima persona. Viaggia attraverso il mondo per trovare un angolo in
cui sia rispettata. Dopo averla invano cercata fra i principi, si rifugia
piena di speranza fra i dotti: "Quale pena!", esclama. Anche qui, un altro
genere di guerra, se pure non cruenta, ma non meno folle (insana). Non cessa
dallo sbeffeggiare le sottigliezze di cui costoro si compiacciono per il
gusto della disputa fine a se stessa. E pretendono di sputare sentenze
sull'universo mondo, costringendo i dissenzienti, quando ne hanno il potere,
a piegarsi alle loro stramberie.
*
Erasmo e' l'uomo della moderazione. La virtu' che egli apprezza, sopra ogni
altra, nei sovrani e nei grandi uomini, e' la mitezza (mansuetudo); cerca
nelle grandi idee e nei grandi uomini del passato piu' cio' che li unisce
che quello che li divide. Come accade alle persone che sono in continuo
dissidio con se stesse e non sono mai soddisfatte di se', sente il bisogno
di essere in armonia con gli altri. Disse di se' in terza persona: "Non
scrisse mai nulla di cui fosse soddisfatto, gli dispiaceva il suo stesso
aspetto, e solo le insistenza degli amici lo costrinsero a stento a farsi
ritrarre". Fu un uomo di dubbi piu' che di certezze, come conveniva al dotto
che non fu mai uomo d'azione. Alla fine del secolo, come attesta Giovanni
Botero, era diventato un modo corrente di dire per contrapporre Erasmo a
Lutero: "Erasmus dubitat, Lutherus asseverat".
Se il nemico della pace religiosa e' il fanatismo, il nemico della pace
politica e' l'ubris dei principi, la libido dominandi di cui parla Agostino,
oggi, dopo Nietzsche, diremmo la volonta' di potenza, da cui abbiamo appreso
a riconoscere quello che Gerhard Ritter ha chiamato il "volto demoniaco del
potere", considerandone capostipite Machiavelli contro Tommaso Moro, di
Erasmo amico per elettiva affinita'. Il fanatismo genera intolleranza, la
volonta' di potenza genera la guerra, che e' diventata, ma in realta' e'
sempre stata, la condizione permanente dei rapporti tra stati sovrani.
Questi, violando il principio fondamentale cui dovrebbe essere ispirata la
loro condotta, il perseguimento del bene comune e della felicita' dei loro
popoli, tendono a rendere il loro dominio non migliore ma maggiore. Tanto
piu' grave la trasgressione quanto piu' sono cristiani i principi che la
commettono.
Nel celebre adagio, gia' menzionato, Dulce bellum inexpertis, scrive: "La
nostra vita e' dominata dalla guerra. Non c'e' tregua. Imperversa tra le
nazioni ma non risparmia neppure i rapporti di parentela, non conosce
vincoli di sangue, mette fratelli contro fratelli, arma i figli contro il
padre", e, ignominia ancora piu' grande, "il cristiano contro il cristiano".
Erasmo e' assillato, ossessionato, tormentato da due pensieri che lo
perseguitano. Il primo riguarda la futilita' o frivolita' delle ragioni per
cui i sovrani sono disposti ad avventurarsi in guerre sanguinose. Ritorna il
tema della futilita', che e' follia e, come tale, l'opposto
dell'assennatezza, ma ben piu' grave per le conseguenze che ne derivano.
Questo tema anticipa anche uno dei topoi della letteratura pacifista del
futuro: la guerra come "capriccio dei principi". Il secondo pensiero si
rivolge alla guerra che imperversa nell'Europa cristiana, tra sovrani che
dovrebbero avere come somma guida il Vangelo. La guerra europea in quanto
combattuta tra principi cristiani diventa, agli occhi di Erasmo, una vera e
propria guerra civile (ricordo che "guerra civile europea" e' stata chiamata
non a caso anche la nuova guerra dei trent'anni (1914-1945) che ha sconvolto
il nostro secolo).
Nella Querela pacis Erasmo mette la civile concordia che regna fra gli
uomini all'interno della propria specie in contrasto con la belluinita'
degli uomini nei rapporti fra loro. Una delle sue massime preferite: "La
natura ha insegnato la concordia ma l'uomo vuole la discordia" (ma Kant
sosterra' la massima opposta: "L'uomo vuole la concordia ma la natura vuole,
per spingerlo a progredire, la discordia"). Nel suo vagabondaggio in cerca
di se stessa, la pace non solo apprende che ovunque c'e' guerra, ma che
ovunque ci sono anche i dottori che la giustificano. La teoria tradizionale.
da Agostino a Tommaso, della guerra giusta, non piace al principe della
pace. Il quale - affermazione scandalosa - ripete: "Meglio una pace ingiusta
che una guerra giusta". Se pure con qualche ambiguita', e' contrario alla
crociata contro i Turchi, bandita dal nuovo pontefice Leone X. Se volessimo
respingere i Turchi con la guerra - argomenta - ci faremmo noi stessi
Turchi. Correremmo il pericolo "Ut nos degeneremus in Turcis". Conclude:
anche se possa esserci nella guerra qualcosa di giusto, sarebbe ben
difficile trovarvi qualche cosa che non sia ispirato dalla collera, dalla
libidine, dalla ferocia, dall'avidita'.
*
Vi sono due forme di pacifismo: quello etico-religioso e quello
istituzionale o giuridico. Il pacifismo dell'autore del Lamento e' senza
ombra di dubbio il primo. Erasmo rifiuta l'ideale dantesco della monarchia
universale, che considera un ideale non di pace ma di guerra. Il pacifismo
istituzionale attraverso il diritto nascera' in Europa piu' tardi. L'unico
strumento giuridico che egli prevedeva era quello tradizionale
dell'arbitrato, ma ne attribuiva il compito non tanto ai principi quanto ai
vescovi e al papa. Il futuro della pace non puo' essere affidato, secondo
Erasmo, se non all'educazione del principe cristiano, il cui dovere
principale dovrebbe essere quello di difendere la pace interna e quella
esterna del proprio popolo. Nella Educazione del principe cristiano, che
egli scrive negli stessi anni in cui Machiavelli scrive Il Principe, che ne
e' l'antitesi, cosi' tratteggia le virtu' del principe cui e' affidato il
mantenimento della pace universale: magnanimita', temperanza, onesta'. E ne
indica i vizi che dovrebbe evitare: "Se vorrai entrare in gara con altri
principi, non ritenere di averli vinti perche' hai tolto loro parte del loro
dominio. Li vincerai veramente se sarai meno corrotto di loro, meno avaro,
arrogante, iracondo, precipitoso".
Negli stessi anni Machiavelli nel famoso cap.  XVIII del Principe scriveva,
al contrario: "Faccia dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: i
mezzi saranno giudicati onorevoli e da ciascuno laudati".
*
Il secolo di Erasmo era allora all'inizio. Non conobbe ne' la pace religiosa
ne' quella politica. Il sogno di Erasmo non si avvero'. Noi siamo alla fine
del nostro secolo e le due piu' grandi guerre nella storia dell'umanita', le
abbiamo alle spalle. Non possiamo dire di essere "inexperti". Eppure anche
noi non siamo sicuri che quel sogno si avveri. Ma non e' necessario essere
sicuri, come non era Erasmo, per continuare a perseguirlo.

2. STRUMENTI. ENRICO PEYRETTI: UNA SINTESI SCHEMATICA DEL "DULCE BELLUM
INEXPERTIS" (1515) DI ERASMO DA ROTTERDAM
[Nel riproporre questo testo ai nostri lettori, nuovamente ringraziamo
Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a
disposizione questo schema ad uso didattico - da lui steso a suo tempo per i
suoi allievi - dell'Adagio 3001 di Erasmo, "Dolce e' la guerra a chi non
l'ha provata", seguendo come testo di riferimento la traduzione italiana nel
volume curato da Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1988, alle pp. 57-97. Enrico Peyretti (1935) e' uno
dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu'
nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato
nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino
al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e'
ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino,
sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094;
vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org
e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una
piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n.
731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

1. L'inganno dell'inesperienza.
2. Cio' e' specialmente vero per la guerra, oggi trionfante al punto di
capovolgere il giudizio su di essa, che e' cattiva e dannosa. Problema: da
dove viene la guerra? Necessaria indagine filosofi­ca.
3. L'immagine dell'uomo e quella della guerra:
a) l'immagine dell'uomo: il corpo; linguaggio e ragione; immagine di Dio;
b) l'immagine della guerra: aspetto orribile; effetti piu' gravi; guai
minori, ma sempre terribili; conseguenze consuete; rovina morale; la guerra
genera guerra.
4. Natura della guerra: opera della peggiore Furia; origine della parola;
peggio che bestiale (confronto uomo-animali); la Natura stupita.
5. Problema dell'origine della guerra: uccidere le fiere per difesa; idem
senza necessita'; mangiare le belve (esempi di assurdita' consuete);
mangiare animali innocui e sevizie sugli animali; uccidere le bestie insegna
ad uccidere l'uomo: a) duello; b) tirannicidio da' gloria; c) guerra (cresce
la furia; sviluppo delle armi; guerra=gloria; limitazioni alla guerra;
guerra senza limiti, a scopo di lucro, peggio della gloria). Sommario: dalla
caccia alla guerra; i potenti ottusi e disumani non vogliono capire.
6. Critica del bellicismo cristiano. Punto presente della storia della
guerra: uomo contro uomo, cristia­no contro cristiano. Nessuno condanna.
C'e' chi applaude e santi­fica, chi benedice e fa della guerra un
sacramento. Falsificazione dei profeti, della preghiera, della croce.
Antitesi fra guerra e regno di Dio. Giulio II istigatore. Obiezione dei
mercenari. Rinvio della risposta al paragrafo 12.
7. Confronto morale guerra-pace (dopo il confronto uomo-guerra, paragrafi
3-6). Due argomenti (morale  e utilitario) indipendenti e convergenti: a) la
guerra e' colpa, e' male morale (qui, par. 7); b) la guerra e' danno per
tutti, e' male fisico (par. 8, e gia' alla fine del 7; par.14). Confronto
tra gli effetti della pace e quelli della guerra; il danno morale della
guerra e' piu' grave di quello fisico (cfr. Primo Mazzolari, Tu non
uccidere, ed. 1965, p. 19); elenco dei mali naturali, confronto col male
voluto; la pace e' benefica per tutti, la guerra per pochi, a danno di
altri; inutilita' della vittoria.
8. La guerra e' un danno per chi la fa, senza vantaggio certo; affliggere se
stessi per poter affliggere gli altri; non convenienza economica,
irreparabilita' del danno.
9. Incompatibilita' fra l'essere cristiano e far guerra: peggio che
fratricidio; niente e' piu' lontano dall'amore; Salomone e Cristo (motivo
ripetuto in Erasmo); beatitudini; insegnamento degli apostoli; armonia nel
corpo e nell'universo; l'uomo (e il cristiano) che fa guerra e' al di sotto
degli animali.
10. Storia e analisi della corruzione del cristianesimo fino a renderlo
guerriero:
a) cultura: dialettica; retorica; disputa; Aristotele sopra Cristo; il
diritto romano sopra il vangelo; la cultura pagana sopra le Sacre Scritture.
Tensione tra Cristo e filosofia (ragione);
b) onori e ricchezze: per i poveri; per noi; onore al ricco;
c) potere: titolo; potere temporale; tirannide.
11. Guerre dei cristiani peggiori di quelle dei pagani antichi: nuove armi;
noi pseudocristiani; Romani ponevano limiti alla guerra: uccidere solo per
necessita'; oggi onorato l'uccidere con inganno e ferocia per lucro; contro
i mercenari; monarchi cristiani peggiori dei monarchi gentili.
12. Contro le giustificazioni religiose della guerra. Il vangelo proibisce
la guerra.
Prima obiezione: argomento biblico per la guerra. Risposta: a) guerra dei
cristiani meno giustificabili di quelle degli  ebrei; b) perche' non
imitiamo altre usanze degli ebrei? c)l'unica guerra lecita ai cristiani e'
la guerra morale ai vizi. Solo questa guerra genera la vera pace. Cristo,
vietando la spada a Pietro, proibisce quella guerra che prima sembrava
lecita.
Seconda obiezione: eppure Pietro uso' la spada. Risposta: a) non era ancora
cristiano; b) non per se' ma per la vita del Maestro; c) imitarlo anche nel
rinnegare? d) Cristo non approva la difesa armata.
Altre obiezioni: a) guerra come mestiere; b) ogni guerra e' giusta se
dichiarata dal principe; c) sacerdoti e monaci non possono combattere ma
possono dirigere una guerra; d) la propria causa appare a tutti giusta,
dunque e' lecito combattere; e) Cristo vieto' la difesa finche' c'era lui,
dopo la sua dipartita e' lecita la difesa armata; f) cosi' le sue
esortazioni all'amore dei nemici; g) insegnamenti simili degli apostoli sono
consigli e non precetti. Risposta: con questi argomenti speciosi si
capovolge Cristo in "banditore di guerre" e "consigliere dell'accumulo dei
beni" e si da' avallo religioso alla cupidigia dei principi. Cristo indica
il fine dello sforzo morale, non da' le misure del permesso e del vietato
(cfr. i lavori di teologia morale di Bernhard Haering). Oggi capovolgimento:
sospetto di eresia chi esorta a fuggire la guerra, campione di ortodossia
chi snerva il vangelo e offre ai cupidi principi argomenti concessivi. "Un
dottore davvero cristiano non approva mai la guerra; e se, forse, in qualche
momento la ammet­te, lo fa suo malgrado e con dolore".
13. Obiezioni a favore del diritto di guerra, e repliche.
a) e' diritto di natura. Risposta: ma il vangelo va oltre.
b) il vangelo e' per alcuni. Risposta: no, e' per tutti quelli che sperano
in Cristo. Chi si ride di lui combatte per il denaro e il potere, ma questa
e' morte piu' che vita.
c) casi di papi e padri della chiesa a favore della guerra. Risposta: e'
tradizione non univoca; e comunque, perche' seguire esempi equivoci,
divergenti dalla parola chiara di Cristo?
d) guerra come procedura giudiziaria. Risposta: in giudizio c'e' il primato
della legge; la guerra e' giudizio in causa propria; in guerra la pena va
sugli innocenti; i vantaggi della guerra sono per i briganti; in tribunale
si punisce uno per il bene di tutti, in guerra sono puniti tutti, benche'
inno­centi. Conclusione: meglio pochi colpevoli impuniti che condannare, con
loro, tutti gli innocenti.
e) e' diritto dei principi. Risposta: tutti avrebbero qualche diritto; il
governo e' amministrazione, non possesso; il diritto dei principi viene dal
popolo, che puo' toglierlo; e' diritto che i principi rivendicano per se',
non per la giustizia.
14. In ogni caso, la guerra non conviene. Meglio una pace ingiusta che una
guerra giusta (questo paragrafo prosegue il n. 13, discutendo ancora
l'ar­gomento del diritto dei principi, sotto l'aspetto della sag­gezza
pratica.
Alla fine si aggiunge un sesto preteso fondamen­to del diritto di guerra,
quello religioso, cui sara' dedicata la prima parte del par. 15). Anche
ammesso il diritto di guerra, esaminarne la convenienza (argomento
utilitario, vedi par. 7). Esempio tratto dagli interessi privati: vittoria
inutile. Affermazione di principio di morale utilitaria: "Meglio una pace
ingiusta di una guerra giusta" (cfr. Querela pacis, p.122 nel medesimo
volume sopra citato). Spesa superiore al guadagno. Il possesso attuale di un
principe e' migliore di una rivendicazione cruenta, sempre precaria.
Alternativa alla guerra: l'arbitrato (vedi Lettera ad Antonio di Bergen alla
p. 35 dell'introduzione di Garin; vedi Mesnard, ivi alle pp. 47-48).
f) diritto di guerra in difesa della chiesa: prima risposta sintetica
(antitesi tra chiesa e guerra); sviluppo della risposta nel paragrafo
seguente.
15. Contro la crociata e contro le guerre in genere:
a) contro la crociata: contraddizione tra crociata e cristianesimo (tra
crociata e croce).
Obiezione: occhio per occhio. Risposta evangelica: il cristiano violento e'
eretico, peggiore dei turchi; oggi monaci, papi, vescovi confidano nel
potere umano, regnano a danno del popolo cristiano; turchi "quasi
cristiani".
Noi tutti cristiani rendiamo non credibile il vangelo, distruggiamo Asia e
Africa mentre Cristo rispetta tutto, facciamo uso imperialista del vangelo.
Cosi' siamo anche politicamente imprudenti (mondo cristiano assediato dai
barbari). Dio non aiuta i violenti, anzi "vinceremo veramente allorquando
saremo vinti". Una guerra vinta non evangelizza: meglio turchi o ebrei
sinceri che cristiani ipocriti.
Obiezione ripetuta: vim vi repellere licet, e' necessario. Risposta: perche'
scateniamo violenza con le nostre discordie?
La crociata peggiora i cristiani; sospetto fondato che la crociata serva ai
tiranni civili ed ecclesiastici per spo­gliare i popoli cristiani.
Ammette il problema di difenderci dai turchi, se sono loro ad assalirci, a
condizione: che questa guerra sia fatta con animo e mezzi cristiani; non
inimicizia (turchi "braccati come prede"), ma testimonianza di costumi
cristiani; chiediamo loro consenso a un cristianesimo essenziale (tema
dell'umanesimo cristiano e del pacifismo-ecumenismo rinascimentale. Erasmo
qui rinvia al suo prossimo Antipolemos, perduto, vedi p. 27
dell'introduzione di Garin e p. 162).
b) contro le guerre in genere (dei cristiani), che sono stolte o malvage;
stupida educazione dei principi (vedi Panegyricus, citato alle pp. 24- 25
dell'introduzione di Garin); guerre fatte per tiranneggiare e depredare il
popolo; coperture ideologiche; "Non ottengono mai proprio quello che
vogliono": - gloria: falsa gloria; - orgoglio: "ti costringi a umiliarti
all'ultima feccia dell'umanita'", "perche' e' con costoro che soprattutto si
combattono le guerre"; - guadagno: calcolo errato, maggior danno per tutti.
Ipotesi di guerra inevitabile: se si verifica: lasciarla fare ai violenti
("L'infame   impresa sia fatta da infami"); limitare quanto piu' possibile
lo spargimento di sangue. Per scongiurarla: se... (indica 9 condizioni di
vita spirituale cristiana, che infine sintetizza in: innocenza, amore,
pazienza)... allora la guerra sparirebbe. Altrimenti, eliminare Cristo come
favola. Se invece e' verita', mostriamolo con azioni di pace, specialmente i
pontefici, i principi, le citta'. Se si agita il popolo, i principi lo
riconducano all'ordine; se sono i principi a turbare la pace, i pontefici
ricompongano i disordini.
Elogio di Leone X e confronto con Giulio II. Speranze.
Conclusione brevissima in tono dimesso: "Ma questa digressione e' durata
troppo, almeno per chi preferisce sentir parlare di proverbi [gli Adagia, di
cui il "Dulce bellum inexpertis" fa parte, sono una raccolta di massime
commentate] piuttosto che di pace e di guerra".

3. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: UNA INTRODUZIONE AL "LAMENTO DELLA PACE" DI
ERASMO DA ROTTERDAM
[Riproduciamo qui nuovamente il testo dell'introduzione ad una recente
edizione italiana del Lamento della pace di Erasmo da Rotterdam (Multimage,
Firenze 2002, nella traduzione di Patrizia Moradei)]

Questo sapeva Erasmo: che la guerra e' sempre un male e il piu' grande dei
mali: uccisione di esseri umani, che l'attivita' dei soldati e'
l'assassinio, che chi giustifica la guerra e' complice degli assassini, e
chi la organizza e promuove e' il primo e il principe degli assassini. E che
bisogna scegliere tra omicidio e civilta', tra la morte e la vita degli
esseri umani.
Cosi' leggere Erasmo e' gettarsi nella lotta, nella lotta contro la violenza
e per l'umanita'. Non si puo' leggere questo sorridente umanista senza
sentirsi toccati nel profondo: poiche' in tutta l'opera sua incessante ti
rivolge un appello a un'impresa comune: l'affermazione della dignita' umana
e dell'umana solidarieta', l'opposizione alla violenza e alla menzogna.
*
Dopo Auschwitz
Diciamolo subito: c'e' un passo nella Querela Pacis che e' di un razzismo
ripugnante: e' un passo minuscolo, ma una caduta rovinosa; che deturpa
questo per il resto splendido testo, e ci addolora e ferisce vieppiu'
proprio per l'ammirazione che per Erasmo abbiamo e proprio perche' lo
troviamo in flagrante contraddizione con quanto di buono e di vero Erasmo ci
ha insegnato. Ma c'e', e ci rende avvertiti di quanto questa indimenticabile
esortazione alla pace e alla solidarieta' tra gli esseri umani sia tuttavia
un testo lontano da noi non solo nel tempo; ci rende avvertiti di come
l'orizzonte culturale dell'autore del Lamento della pace e dell'Elogio della
follia non sia il nostro, gli interlocutori cui esso direttamente si
rivolgeva non siamo noi, e solo andando oltre i limiti storici e culturali
di Erasmo si puo' ereditare e inverare il messaggio di Erasmo piu' autentico
e fecondo.
*
Del buon uso della Querela Pacis
La Querela Pacis puo' essere letta in molti modi diversi.
Si puo' leggere come un repertorio di argomenti contro la guerra (ma non e'
mai una buona lettura quella che sbrana l'altrui discorso per rivenderne le
spoglie); come un classico (col rischio inerente ad ogni lettura di classici
fatta per dovere di studio o di informazione: il rischio della
mummificazione che ne annienta il valore dialogico); e si puo' leggere come
un appello, che ci riguarda e ci convoca a una discussione franca, ed ai
compiti nostri: ed e' questa la nostra lettura.
Ma proprio per questo occorre che leggiamo questo testo con coscienza
storica, collocandolo nel suo preciso contesto, l'Europa del primo
Cinquecento.
Apparso nel 1517, testo d'occasione, come pressoche' tutta l'opera in
proprio di Erasmo, scritto su sollecitazione della cancelleria di quel Carlo
che diverra' l'imperatore Carlo V (e per il quale Erasmo aveva gia' scritto
l'Institutio principis christiani), la Querela Pacis ha un preciso
destinatario immediato: si parla per essere ascoltati dai principi, dai
principi cristiani, e dalla loro azione, dal loro potere ci si attende la
pace, loro si cerca di convincere. Sappiamo come andra' a finire.
Ma la Querela Pacis e' anche il compendio di una costante riflessione ed
azione di Erasmo: il suo irenismo e' premessa ed esito del suo progetto
culturale, esistenziale, politico: promuovere l'umana dignita' e fratellanza
in un orizzonte di cristianesimo e cristianita' rinnovati dal ritorno
all'autentico messaggio di Cristo, quello dei Vangeli; rinnovamento
cristiano (rigenerazione, riforma; movimento di rivolgimento al passato in
funzione di apertura al futuro) reso possibile dall'uso critico della
strumentazione tecnica e morale messa a disposizione dalle "bonae litterae",
il recupero filologicamente adeguato della cultura classica e delle fonti
evangeliche e patristiche del cristianesimo, ed avvalendosi della stampa, la
grande rivoluzione tecnologica che rende possibile una diffusione della
cultura senza precedenti per estensione e profondita', che permette di
costruire una sempre piu' vasta comunita' di intellettuali, e che consente
un condiviso agire ermeneutico che prosegue ed invera il modello di Girolamo
e adotta il metodo di Valla.
Sappiamo che nell'impegno per la pace, e non solo, Erasmo fu sconfitto. Ma
e' dalla storia dei vinti che traiamo le nostre ragioni, non da quella dei
vincitori.
*
Dall'irenismo alla nonviolenza
E' facile individuare i limiti del pacifismo erasmiano e piu' in generale
del pacifismo umanistico e cristiano del XVI secolo: ed e' facile dire della
sua insufficienza per l'oggi, che occorre passare dal pacifismo alla
nonviolenza. E' facile dirlo, eppur va detto.
Ma attenzione a non semplificare e banalizzare oltre il lecito.
La sua azione pacifista non e' circoscritta ad alcuni testi ma anima e si
invera nella sua stupefacente attivita' filologica ed editoriale, nel suo
epistolario che costruisce una comunita' di studiosi che attraverso le bonae
litterae combattono il fanatismo ed affratellano i popoli.
Che la pace sia stata una delle preoccupazioni centrali del pensare ed agire
di Erasmo e' notissimo, e quasi non c'e' pagina di Erasmo che non sia
invocazione alla pace; ha scritto giustamente Eugenio Garin che "per Erasmo
la pace, l'ideale della pace come concordia umana, era lo stesso ritorno al
Vangelo".
Di cosa stiamo parlando quando parliamo dell'azione e dell'opera di Erasmo?
Cosa ci dice l'attivita' editoriale di Erasmo? Quel restituire la parola ai
defunti ed aprire con loro un dialogo nuovo; quel ritorno al semplice e
all'autentico; quella lezione di metodo fondata sul non fraintendere, non
deformare, non mentire: non e' una prassi di pace e di nonviolenza?
Cosa ci dice l'epistolario di Erasmo? Non e' costruzione di umanita',
sostituzione della comprensione e del rispetto reciproco alla sopraffazione
e all'inganno? Non e' lotta incessante contro la chiusura  e contro
l'esclusione, contro l'ignoranza e contro l'avvilimento? Questa lotta contro
il fanatismo e la repressione non e' anch'essa ipso facto prassi di pace e
di nonviolenza?
E il suo costante tornare al cristianesimo di Cristo, al cristianesimo il
cui monumento teorico e' il discorso della montagna? Non e' forse un invito
incessante a passare dall'irenismo predicato alla nonviolenza praticata?
Non vi e' gia' qui, in questa persona cosi' sensibile alla vita concreta,
alla felicita' terrestre e condivisa, propugnatore di un retto e nobile
epicureismo che si connette e non si oppone alla lezione del cristianesimo
come umanesimo, non vi e' qui il presagire e il suggerire che occorre un
salto, dall'irenismo alla nonviolenza?
*
Dire di no
Quest'uomo che fu il principe della cultura europea nei primi decenni del
XVI secolo, che fu ascoltato e ammirato da re e papi e imperatori, che le
parti in conflitto cercavano di accaparrare alla propria causa, fu e sara'
sempre un tipo sospetto per gli autoritari di ogni schieramento.
Un tipo sospetto perche' non si prestava alla propaganda, cui e'
consustanziale l'uso del travisamento delle opinioni altrui e della menzogna
come primo strumento d'offesa (e quando si comincia con l'accoppare la
verita' poi si accoppano le persone); un tipo sospetto perche' detestava i
fanatismi e le irragionevolezze e la mancanza di misericordia; un tipo
sospetto perche' sapeva dire di no.
Vi e' un luogo comune, alimentato da una propaganda accanita: che Erasmo
fosse un tiepido, un pusillanime, che non sapesse prendere posizione, che si
ritraesse dinanzi agli sviluppi di quanto aveva pur seminato, e cosi' via.
E si dimentica che invece Erasmo non volle mai essere il servo della
violenza (quali che fossero le ragioni di cui essa si ammantava: e nella
sartoria presso cui la violenza si abbiglia si trovano sempre abiti di gran
classe): e questo e' il nostro Erasmo: che la storia lo abbia sconfitto,
ahime', che disastro per la storia, e quante sofferenze per l'umanita'.
*
L'opera dimenticata
Fatta eccezione per una ristretta cerchia di studiosi, Erasmo e' oggi uno
sconosciuto: della sua opera e della sua figura ci si sbarazza in fretta
attraverso la ripetizione di pochi luoghi comuni.
Eppure la sua opera e' immensa. Ma in cosa consiste?
In primo luogo: l'opera di Erasmo e' innanzitutto quella di un grande
editore e commentatore di opere fondamentali della cultura cristiana e
classica. Erasmo fu il principe degli umanisti innanzitutto con la sua
infaticabile attivita' di editore. Dalle sue cure usci' la prima edizione
critica del Nuovo Testamento.
In secondo luogo: fu un epistolografo infaticabile: e' attraverso le lettere
(e la pubblicazione di raccolte di esse, con cui si allargava
straordinariamente l'area degli interlocutori) che Erasmo guida e quasi crea
quella vera e propria aggregazione delle persone colte che diviene la base
relativamente di massa del movimento per la renovatio cristiana fondata
sulla ripresa delle bonae litterae.
In terzo luogo: fu autore di opere in proprio, naturalmente, ma sebbene esse
nascano da istanze sovente occasionali (divulgazione, polemiche) tutte si
rivelano solidamente collegate a un progetto di intervento culturale che
prolunga e precisa l'attivita' editoriale: il progetto erasmiano della
promozione della cultura come lotta contro il fanatismo e la violenza, di
promovimento dell'umanesimo cristiano come rigorizzazione morale e
benevolenza ad un tempo.
*
Cosi' lontano, cosi' vicino
Erasmo e' lontano da noi.
Non ingannino alcune analogie tra l'epoca che fu sua e quella che in sorte
ci e' toccata. E' lontano da noi.
Ed insieme e' cosi' vicino: nel suo scacco, nella sua illusione. Ma quella
illusione, di istituire una societa' civile che ogni essere umano raggiunga,
e fondata sul diritto e la pace, e' ancora la nostra.
Ed e' nostro il suo scacco. Ed e' nostro il medesimo compito: che quello
scacco diventi coscienza, che quella illusione divenga realta', che la
figura di Erasmo si adempia nell'umanita' cosciente e liberata che videro
Giacomo Leopardi e Franco Fortini (non solo presagirono, non solo sperarono:
videro, poiche' ne furono in strazio e in isforzo prefigurazione).
E dell'opera tutta di Erasmo la Querela Pacis talora ci accade di intendere
come il cuore segreto: ancor piu' dell'Elogio della follia, ancor piu' dei
Colloquia e degli Adagia, ancor piu' dell'opera grandiosa del filologo e
dell'editore. Il cuore segreto e pulsante.
Veramente il programma e l'appello di Erasmo e' il nostro ancora: si
potrebbero aggiungere infinite glosse e distinguo infiniti, ma il succo
prezioso ci pare sia qui: solo la pace promuove la dignita' umana, solo la
dignita' umana costruisce la pace, solo la consapevolezza che l'io nel tu si
specchia, e la consapevolezza ad un tempo che il tu resta irriducibilmente
altro dall'io e questa diversita' va rispettata e difesa poiche' e' la
pupilla del mondo; ed in questo processo di riconoscimento e di rispetto per
la vita dell'altro e' il sale della terra e l'identita' tua profonda: "esser
uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa" (Saba).

4. MATERIALI. UNA BREVE NOTIZIA BIOBIBLIOGRAFICA SU ERASMO DA ROTTERDAM
[Riproponiamo anche la seguente notizia biobibliografica su Erasmo che
integrava l'introduzione alla "Querela Pacis" sopra riprodotta. Ovviamente
la bibliografia dovrebbe essere aggiornata; tra vari altri utili volumi
apparsi negli ultimi anni in Italia ricordiamo almeno: Erasmo da Rotterdam,
Pace e guerra, Salerno Editrice, Roma 2004, a cura di  Italo Francesco Baldo
(quattro classici testi erasmiani: la Oratio de pace, la Querela  Pacis, il
De bello Turcis inferendo, la Precatio pro pace Ecclesiae); Erasmo da
Rotterdam, Per una libera educazione, Rizzoli, Milano 2004, a cura di Luca
D'Ascia; Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, Rizzoli, Milano 2005, a
cura di Federico Cinti, e con un saggio di Jean-Claude Margolin; testi gia'
segnalati a suo tempo su questo foglio, tutti con utili apparati
bibliografici aggiornati cui si rinvia]

Una cronologia essenziale
Nacque Erasmo tra il 1466 e il 1469 da genitori non uniti in matrimonio,
fanciullo frequenta a Deventer una scuola dei Fratelli della Vita Comune;
nel 1479 la peste uccide la madre, poi il padre; spinto dai tutori Erasmo
entra nel convento di Steyn, presso Gouda, e abbraccia la vita religiosa.
Negli anni di Steyn studia alacremente e si segnala come latinista. Nel 1492
e' ordinato prete.
Nel 1492 lascia Steyn per entrare al servizio di Enrico di Berghes, vescovo
di Cambrai. Nel 1495 ottiene di andare a studiar teologia a Parigi, l'anno
dopo lascia il collegio Montaigu e si guadagna da vivere facendo il
precettore. La sua sara' una vita di andirivieni per l'Europa, con
prevalente residenza nell'area tra Lovanio, Basilea e Friburgo, ma con
fondamentali protratti soggiorni in Inghilterra, ed un operoso viaggio in
Italia.
Nel 1499 compie il suo primo soggiorno in Inghilterra, e vi conosce Thomas
More e John Colet. Nel 1500 a Parigi pubblica la prima edizione degli
Adagia; nel 1501 pubblica il De Officiis di Cicerone ed inizia cosi' la sua
fondamentale attivita' di editore di classici; nello stesso anno studia il
greco. Nel 1502 muore Enrico di Berghes, Erasmo va a Lovanio. Nel 1503
pubblica l'Enchiridion militis christiani, nel 1504 il Panegyricus ad
Philippum Austriae ducem (uno dei primi importanti testi pacifisti di
Erasmo); nel 1505 edita le Annotazioni sul Nuovo Testamento di Lorenzo
Valla, compie il suo secondo soggiorno in Inghilterra.
Dal 1505 al 1509 e' in Italia: a Venezia presso Aldo Manuzio svolge
un'attivita' editoriale cospicua. Lasciando l'Italia medita l'Elogio della
follia, che pubblichera' nel 1511 dedicandola a Thomas More.
Dal 1509 al 1514 e' perlopiu' in Inghiltera. Nel 1513 muore Giulio II, e
viene pubblicato il libello Julius exclusus e coelis, violento attacco alla
figura del papa-guerriero: un testo attribuito ad Erasmo, sebbene egli
sempre abbia negato di esserne autore.
Nel 1514 e' a Basilea ed inizia il sodalizio editoriale con lo stampatore ed
amico Johann Froben. E presso Froben nel 1515 pubblica tra l'altro
un'edizione di Seneca. Nel 1516 pubblica la prima edizione critica del Nuovo
Testamento. Inizia anche a pubblicare raccolte del suo epistolario.
Nel 1516 gli viene attribuita la carica onoraria di consigliere di Carlo
d'Asburgo (il futuro imperatore Carlo V, che gia' nel corso dell'anno
diverra' re di Spagna), e pubblica l'Institutio principis christiani. Sempre
quest'anno pubblica la sua edizione dell'Opera omnia di Girolamo, e
un'edizione della Grammatica institutio di Teodoro di Gaza. Pubblicazione
dell'Utopia di Thomas More.
Nel 1517 (che e' anche l'anno delle novantacinque Tesi di Lutero) pubblica
la Querela Pacis, Carlo si trasferisce in Spagna ma Erasmo non lo segue. Dal
1517 al 1522 sara' prevalentemente a Lovanio.
Nel 1518 pubblica tra l'altro l'Encomium matrimonii. Nel 1519 pubblica la
seconda edizione del Nuovo Testamento, un'edizione di Cipriano, ed esce
un'edizione delle Familiarum colloquiorum formules, che diverranno i
Colloquia; Carlo viene eletto imperatore. Muore John Colet. Nel 1520
pubblica gli Antibarbari. E' l'anno della bolla papale Exurge Domine, che
Lutero da' pubblicamente alle fiamme.
Nel 1521 pubblica il De contemptu mundi. Nel 1522 si trasferisce da Lovanio
a Basilea; viene pubblicata da Froben la prima edizione autorizzata dei
Colloquia, la terza edizione del Nuovo Testamento, vari altri lavori (tra
cui l'edizione di Arnobio).
Nel 1523 alle edizioni e commenti di testi neotestamentari e patristici
(Ilario) aggiunge anche le Tuscolane di Cicerone (e nel 1525 l'Historia
Naturalis di Plinio il Vecchio). Declina l'invito di Francesco I a
trasferirsi in Francia.
Nel 1524 esce il Libero arbitrio cui Lutero replichera' col Servo arbitrio,
al quale Erasmo rispondera' con l'Hyperaspistes nel '26. Sempre nel '26
pubblica l'Institutio matrimonii christiani e l'edizione di Ireneo. Nel 1527
la quarta edizione del Nuovo Testamento e l'edizione delle opere di
Ambrogio. E' l'anno del sacco di Roma. Nel 1528 pubblica il Ciceronianus.
Nel 1529 pubblica il De pueris statim ac liberaliter instituendis, e l'Opera
omnia di Agostino.
Dal 1529 al 1533 e' prevalentemente a Friburgo. Nel '30 cura l'edizione di
Giovanni Crisostomo e pubblica la sua Consultatio de bello turcis inferendo.
Nel '31 edizione di Aristotele, Livio, Gregorio Nazianzeno, e Paraphrasis in
Elegantias L. Vallae. Nel '32 edizioni di Demostene e Terenzio. Nel '33
pubblica la De sarcienda Ecclesiae concordia. Nel 1534 la Preparazione alla
morte.
Nel 1535 a Basilea, quinta edizione del Nuovo Testamento. Decapitazione di
Thomas More, imprigionato l'anno prima. Erasmo rifiuta l'offerta del
cappello cardinalizio. Nel 1536 cura l'edizione di Origene. Muore a Basilea
tra l'11 e il 12 luglio.
*
Una bibliografia orientativa
I. Le opere di Erasmo
L'opera omnia di Erasmo si legge ancora nell'edizione di Leida (Lugduni
Batavorum) del 1703-1706 a cura di Jean Leclerc (Joannes Clericus),
ristampata nel 1961 a Hildsheim.
Dal 1969 e' in corso ad Amsterdam l'edizione critica, di cui sono gia'
usciti vari volumi.
Il monumentale e fondamentale epistolario di Erasmo e' stato edito da P. S.
Allen e collaboratori e prosecutori ad Oxford tra il 1906 e il 1958.
*
II. Alcune opere di Erasmo disponibili in italiano
Per la Querela Pacis segnaliamo le edizioni curate da Luigi Firpo (Erasmo,
Il lamento della pace, Utet, Torino 1967; poi Tea, Milano); da Franco Gaeta
(Erasmo, Contro la guerra, Japadre, L'Aquila 1968, che reca anche il Dulce
bellum inexpertis); da Eugenio Garin (nella sezione di testi erasmiani
inclusa nella sua monografia Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole 1988, di cui diremo piu' avanti).
Ovviamente quasi non c'e' casa editrice, grande o piccola, che non abbia
pubblicato l'Elogio della follia, sovente arricchito da perspicue
introduzioni e prefazioni di preclari studiosi. Dall'edizione a cura di
Benedetto Croce per Laterza (Elogio della pazzia e Dialoghi, Laterza, Bari
1914), a quella a cura di Tommaso Fiore per Einaudi (Elogio della pazzia,
Einaudi, Torino 1943), a quella a cura di Eugenio Garin (Erasmo da
Rotterdam, Elogio della follia, Serra e Riva, Milano 1984, poi Mondadori,
Milano 1992) ad innumerevoli altre: tra le recenti segnaliamo quella di Luca
D'Ascia con un saggio di Bainton, per Rizzoli.
Dei Colloquia dopo la traduzione parziale di Gian Piero Brega (Erasmo, I
colloqui, Feltrinelli, Milano 1959, poi in edizione rivista 1967; e adesso
Garzanti, Milano 2000) finalmente e' stata pubblicata una traduzione
integrale con testo a fronte: Erasmo da Rotterdam, Colloquia, Einaudi,
Torino 2002 (progetto editoriale e introduzione di Adriano Prosperi,
traduzione, cura e apparati di Cecilia Asso).
Degli Adagia segnaliamo la pregevole edizione di un piccolo ma prezioso
saggio di essi a cura di Silvana Seidel Menchi: Erasmo, Adagia. Sei saggi
politici in forma di proverbi, Einaudi, Torino 1980.
Una segnalazione particolare vogliamo fare anche per L'Institutio principis
christiani, nella traduzione italiana a cura di Margherita Isnardi Parente:
Erasmo da Rotterdam, L'educazione del principe cristiano, Morano, Napoli
1977.
Va letto anche almeno il Libero arbitrio nell'utile edizione a cura di
Roberto Jouvenal: Erasmo, Il libero arbitrio (testo integrale); Lutero, Il
servo arbitrio (passi scelti), Claudiana, Torino 1969, seconda edizione del
1973. Una nuova edizione del solo testo erasmiano (ma con una prefazione di
Sergio Quinzio) e' nella traduzione di Italo Pin: Erasmo da Rotterdam, Sul
libero arbitrio, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1989.
Ovviamente vari altri testi di Erasmo sono disponibili in traduzione
italiana.
E' opportuno avvertire che sovente gli apparati critici e informativi che
accompagnano le traduzioni italiane dei testi erasmiani sono assai
approssimativi.
*
III. Alcune opere su Erasmo
Chiunque si accosti alla letteratura critica novecentesca su Erasmo non puo'
non notare la presenza tra i suoi studiosi di un elevato numero di persone
che hanno dato  buona prova di se' nell'opporsi al fascismo: scorrendo i
nomi dei traduttori, dei curatori, degli autori di studi e ricerche
erasmiane trovi alcune delle figure piu' nitide ed alte dell'antifascismo e
della Resistenza. Pensiamo che non avvenga per caso. Ed anche se in questa
nota non citiamo che pochi autori di contributi maggiori, vorremmo qui
idealmente ricordarli tutti, con ammirazione ed affetto.
Tra le principali monografie disponibili in italiano che ricostruiscono
vita, personalita', riflessione ed opera di Erasmo segnaliamo
particolarmente le seguenti: Johan Huizinga, Erasmo, Einaudi, Torino 1941
(piu' volte ristampata); Roland H. Bainton, Erasmo della Cristianita',
Sansoni, Firenze 1970; Pierre Mesnard, Erasmo, Accademia Sansoni, Milano
1971; Cornelis Augustijn, Erasmo da Rotterdam. La vita e l'opera,
Morcelliana, Brescia 1989; Leon E. Halkin, Erasmo, Laterza, Roma-Bari 1989.
Fondamentale e' anche Hugh R. Trevor-Roper, Protestantesimo e trasformazione
sociale, Laterza, Bari 1969 e piu' volte ristampato; il primo saggio del
volume è specifico su Erasmo, ma - scrive l'autore nella prefazione
all'edizione italiana, e dice bene - "la figura e le idee di Erasmo dominano
il libro. Se questi saggi, come spero, hanno una loro unita', mi sembra che
il filo conduttore sia appunto la sconfitta delle prospettive aperte da
Erasmo".
Su Erasmo e la pace cfr. Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace,
S. Domenico di Fiesole (Fi) 1988 (che reca anche i seguenti testi erasmiani:
il Dulce bellum inexpertis, dagli Adagia; la Querela Pacis; e tre testi dai
Colloquia: la Confessio militis, Militis et Cartusiani, il Charon). Per una
puntuale collocazione di Erasmo nella tradizione (ed alle radici) del
pensiero pacifista moderno si veda anche l'eccellente antologia a cura di
Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia,
Principato, Milano 1983.
Per la bibliografia cfr. (in francese) gli ottimi lavori specifici di
Jean-Claude Margolin.
Su Erasmo e l'erasmismo fondamentali sono gli studi di Augustin Renaudet,
Marcel Bataillon, e per l'Italia Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia.
1520-1580, Bollati Boringhieri, Torino 1987. Su Erasmo e l'Italia cfr. anche
i classici studi (che non ci risulta siano stati tradotti in italiano) di P.
De Nolhac, Erasme en Italie. Etude sur un episode de la Renaissance, Paris
1888; ed Augustin Renaudet, Erasme et l'Italie, Geneve 1954, nuova ed. 1998.
Vari studiosi italiani nel corso degli ultimi decenni hanno dedicato ad
Erasmo studi talvolta perspicui, rinunciamo a darne qui un elenco rinviando
alle bibliografie contenute nei volumi sopra segnalati.
Degli autori gia' citati vorremmo ricordare altri libri a nostro parere
utili a lumeggiare le premesse, il contesto o l'eredita' erasmiana: di Johan
Huzinga cfr. anche L'autunno del Medioevo (Sansoni) e La civiltà olandese
del Seicento (Einaudi); di Pierre Mesnard si veda anche almeno l'eccellente
Il pensiero politico rinascimentale, 2 voll., Laterza, Bari 1963-1964; di
Eugenio Garin e di Ernesto Balducci si dovrebbero ricordare qui innumerevoli
opere, basti aver reso omaggio ai loro nomi di maestri.
*
IV. Su Thomas More
Ovviamente non si puo' parlare di Erasmo e tacere di Thomas More, l'amico
fraterno, l'autore dell'Utopia, il testimone del primato della coscienza e
della dignita' umana; su More si legga almeno introduttivamente il volume di
Cosimo Quarta, Thomas More, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1993.
*
V. Et coetera
Sul XVI secolo un utile testo introduttivo e' quello di H. G. Koenigsberger
e G. L. Mosse, L'Europa del Cinquecento, Laterza, Bari 1969 (ma noi abbiamo
sotto gli occhi l'edizione del 1974); cfr. anche almeno Gerhard Ritter, La
formazione dell'Europa moderna, 2 voll., Laterza, Bari 1964, 1968 (ma noi
abbiamo letto l'edizione del  1976).
Sulla figura di Carlo V resta ancora insostituibile come compendio
biografico Karl Brandi, Carlo V, Einaudi, Torino, 1961, in nuova edizione
del 2001.
Sulla cultura del Rinascimento bastera' il rinvio alle molte eccellenti
opere di Eugenio Garin; come e' noto hanno sviluppato negli ultimi decenni
nuove prospettive, ed hanno lumeggiato aspetti prima sottovalutati, i lavori
di Frances Amelia Yates.
Sulle vicende della Riforma e della Controriforma (o della Riforma
protestante e di quella cattolica, se si preferisce) per un avvio cfr.
almeno J. Lortz ed E. Iserloh, Storia della Riforma, Il Mulino, Bologna
1974; Roland H. Bainton, La Riforma protestante, Einaudi 1958, 1974; Hubert
Jedin, Riforma cattolica o Controriforma?, Morcelliana, Brescia, 1957, 1987.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1108 dell'8 novembre 2005

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