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La nonviolenza e' in cammino. 1107
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1107
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 7 Nov 2005 00:22:09 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1107 del 7 novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Carlo Maria Martini: Una lettera da Gerusalemme, citta' della preghiera, del dialogo e dell'amore 2. Andrea Canevaro: "Il compito e' esclusivamente tecnico". Ma e' veramente cosi'? 3. L'indice de "Il giorno della memoria" di Giorgio Giannini 4. Rossana Rossanda ricorda Mario Rastrelli 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. MAESTRI. CARLO MARIA MARTINI: UNA LETTERA DA GERUSALEMME, CITTA' DELLA PREGHIERA, DEL DIALOGO E DELL'AMORE [Ringraziamo di cuore Giorgio Bernardelli (per contatti: g.bernardelli at avvenire.it) per averci messo a disposizione la lettera di Carlo Maria Martini che funge da premessa al suo libro Oltre il muro. Storie, incontri e dialoghi tra israeliani e palestinesi, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2005, pp. 5-6. Giorgio Bernardelli, 36 anni, giornalista, ha compiuto per il quotidiano "Avvenire" una serie di viaggi in Israele e nei Territori palestinesi documentando gli aspetti piu' quotidiani del conflitto. Opere d Giorgio Bernardelli: Preparami la colazione. Storia di Lucia che da' del tu a Dio, Itl, 2001; Gaza, incatenati a un sogno, Edizioni Medusa, 2005; Oltre il muro. Storie, incontri e dialoghi tra israeliani e palestinesi, L'ancora del Mediterraneo 2005. Carlo Maria Martini e' una delle figure piu' prestigiose della cultura della pace; nato a Torino nel 1927, cardinale, gia' arcivescovo di Milano, si e' caratterizzato per un rilevante impegno sociale e per un attento e sensibile confronto con le grandi problematiche contemporanee; e' autore di una vasta opera sia pastorale sia di riflessione. Dal sito www.vatican.va riprendiamo la seguente scheda: "Il cardinale Carlo Maria Martini, S.I., arcivescovo emerito di Milano, e' nato a Torino il 15 febbraio 1927. Entrato nella Compagnia di Gesu' a soli 17 anni, il 25 settembre del 1944, compi' gli studi di Filosofia nello studentato dei gesuiti di Gallarate, in provincia di Milano, e quelli di Teologia nella facolta' teologica di Chieri, dove venne ordinato sacerdote il 13 luglio 1952. Nel 1958 consegui' presso la Pontificia Universita' Gregoriana la laurea in Teologia, con una tesi su "Il problema storico della Risurrezione". Dopo alcuni anni di insegnamento nella facolta' di Chieri, ritorno' a Roma per laurearsi in Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, sempre "summa cum laude", con una tesi su "Il problema della recensionalita' del codice B alla luce del papiro Bodmer XIV". Decano della Facolta' di Scrittura del Biblico, ne divenne rettore dal 1969 al 1978, quando fu nominato rettore magnifico della Pontificia Universita' Gregoriana, succedendo al padre Carrier. La sua attivita' si sviluppo' nel campo scientifico pubblicando vari libri ed articoli (basti ricordare che egli era l'unico membro cattolico del comitato ecumenico che ha preparato l'edizione greca del Nuovo Testamento). I suoi libri sugli esercizi spirituali sono stati molto apprezzati per l'originalita' dell'impostazione, che univa alla fedelta' al modello ignaziano tradizionale una luce nuova, scritturistica. Tra essi, "Gli esercizi ignaziani alla luce di San Giovanni"; "L'itinerario spirituale dei Dodici nel Vangelo di San Marco"; "Gli esercizi ignaziani alla luce di San Matteo"; "Gli esercizi spirituali alla luce di San Luca"; "Vita di Mose', Vita di Gesu', esistenza pasquale". Nel 1978 Paolo VI lo invito' a predicare il ritiro annuale in Vaticano, dove uno dei suoi predecessori in questo eccezionale ministero era stato il cardinale Karol Wojtyla. Lo stesso cardinale Wojtyla, divenuto Papa Giovanni Paolo II, lo elesse poi arcivescovo di Milano il 29 dicembre 1979 e lo consacro' personalmente il 6 gennaio del 1980. E' stato relatore alla VI Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi (1983), sul tema: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa". E' stato presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (C.C.E.E.) dal 1986 al 1993. Il 5 ottobre 1999 e' stato insignito della Laurea ad honorem dell'Accademia russa delle Scienze. Nell'ottobre del 2000 ha ricevuto in Spagna il premio "Principe delle Asturie" in Scienze Sociali e nel dicembre dello stesso anno, a Parigi, il premio "Europeo dell'anno 2000". Dal novembre 200 e' accademico onorario della Pontificia Accademia delle Scienze. Dall'11 luglio 2002 e' arcivescovo emerito di Milano. Da Giovanni Paolo II creato e pubblicato cardinale nel Concistoro del 2 febbraio 1983, del titolo di S. Cecilia. E' membro: delle Congregazioni: per le Chiese Orientali; per gli Istituti di vita consacrata e le Societa' di vita apostolica, per l'Educazione Cattolica; della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa"] Gerusalemme, 5 aprile 2005 Caro Giorgio Bernardelli, nel libro di cui mi ha inviato un'anteprima ho trovato finalmente chi ha avuto il coraggio di superare i luoghi comuni e guardare in faccia la realta', accorgendosi di situazioni forse poco visibili ma molto significative. Leggendolo mi sono venute in mente parole come quella di Isaia: "Ora ti faccio udire cose nuove / e segrete, che nemmeno sospetti" (Is 48, 6; vedi anche Ger 31, 22 e ss.). Infatti molta gente pensa a Gerusalemme oggi come la citta' dei conflitti. I mass media hanno sottolineato in questi anni passati gli atti di terrorismo, creando persino nella nostra gente la paura di venire qui in pellegrinaggio, paura che oggi fortunatamente appare un po' superata. Ma a di la' di queste immagini di violenza, che pure sono vere, mi sono sempre sforzato, incontrando i nostri pellegrini, di dire che la Gerusalemme odierna presenta anche altri aspetti, quelli cioe' di dialogo, di mutua accoglienza, di riconciliazione, che pur non facendo per ora notizia, sono capaci di farci intravedere quale sia la via di un futuro di pace. Lei ha raccolto in queste pagine alcuni di questi esempi, tra cui vedo come particolarmente commovente quello del "Parent's circle", che viene descritto per primo. Si tratta di persone colpite gravemente negli affetti familiari per la morte di uno dei loro cari ucciso dalla violenza, che non hanno voluto chiudersi nel loro dolore ma hanno cercato di comprendere il dolore dell'altro, di chi, pur trovandosi dall'altra parte, ha sofferto un lutto simile. Ne sono nate iniziative ammirevoli di incontro e di dialogo che mostrano la fecondita' anche umana di un simile atteggiamento che non esito a definire "evangelico", anche se nato al di fuori della tradizione cristiana. Interrogato recentemente su che cosa mi colpisce di piu' nella Gerusalemme di oggi, non ho esitato a rispondere che vedo in essa anzitutto la citta' della preghiera, la citta' del dialogo e la citta' dell'amore. Citta' della preghiera, perche' in essa si prega molto, sia dagli ebrei, in particolare nello shabbat e nelle feste, sia dai musulmani nei loro giorni di preghiera, sia dai cristiani, in particolare nelle domeniche. Citta' del dialogo, perche' innumerevoli sono le iniziative di dialogo e di incontro sia a livello religioso (tra ebrei e musulmani, ebrei e cristiani, come pure i dialoghi a tre) sia a livello culturale e civile. Citta' dell'amore, a causa della molteplicita' di istituzioni e gesti di carita' e di assistenza ai piu' deboli, da parte di un volontariato che proviene da Israele, dai paesi arabi e da ogni parte del mondo. Con cio' non si negano anche i dolorosi aspetti del conflitto, che Lei richiama pure in queste pagine. Ma quanto il Suo libro vuole sottolineare e' quel cammino silenzioso ma efficace di dialogo e di riconciliazione che e' gia' una risposta di Dio alle nostre preghiere per la pace e che non potra' non portare frutto anche a livelli piu' visibili. Scrivo questa lettera alla vigilia del mio viaggio a Roma per partecipare alle esequie di papa Giovanni Paolo II. Egli ha sottolineato con forza la necessita' di creare ponti anche la' dove ci sono conflitti e queste pagine sono una testimonianza della verita' e fecondita' del suo coraggioso e instancabile impegno per la pace, che egli ha perseguito fino all'ultimo istante della sua esistenza. Suo cordialmente Carlo Maria card. Martini, S.I. 2. RIFLESSIONE. ANDREA CANEVARO: "IL COMPITO E' ESCLUSIVAMENTE TECNICO". MA E' VERAMENTE COSI'? [Ringraziamo Andrea Canevaro (per contatti: canevaro at economia.unibo.it) per averci messo a disposizione questo recente intervento, in una stesura ancora provvisoria. Andrea Canevaro, nato nel 1939, docente di pedagogia speciale all'universita' di Bologna, e' uno dei piu' illustri pedagogisti italiani. Dal sito www.mediamente.rai.it riprendiamo la seguente scheda: "Andrea Canevaro (1939) ha svolto studi umanistici (laurea in lettere e filosofia), con alcuni anni di borsa di studio presso l'Universita' Lyon 2, e in particolare ha seguito gli studi in pedagogia speciale del professor Claude Kohler. Ha lavorato come educatore nel settore della devianza giovanile. Ha avuto un incarico di insegnamento di Pedagogia Speciale nel 1975 presso il corso di laurea in Pedagogia della Facolta' di Magistero dell'Universita' degli Studi di Bologna; presso la stessa sede dal 1973 era assistente incaricato; e, sempre nella stessa sede, come vincitore di concorso di professore di prima fascia, e' stato chiamato nel novembre 1980 a ricoprire la cattedra di Pedagogia Speciale come professore straordinario dal 1980 al 1983, e successivamente come professore ordinario. Dal 1983 e' stato eletto presidente del corso di laurea in Pedagogia; e dal 1987, per due mandati triennali, e' stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione, presso lo stesso Ateneo. Nel novembre 1996 e' stato nominato nuovamente direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione. Ha all'attivo una vasta attivita' di ricerca, che ha prodotto un elevato numero di pubblicazioni. E' membro di associazioni scientifiche internazionali e nazionali, direttore di collane editoriali, e nel comitato scientifico di alcune riviste nazionali ed internazionali". Dal 1966 al 2000 ha fatto parte del gruppo tecnico dell'Osservatorio del Ministero della Pubblica Istruzione per l'integrazione scolastica degli studenti e studentesse in situazione di handicap; ha fatto parte della Commissione insediata dal Ministero della Sanita' (1997 - 1998) per la definizione di un protocollo per le riabilitazioni di soggetti in situazione di handicap; relatore in numerosi Congressi ed in particolare al Congresso Unesco di Salamanca (1988) dove e' nata la "Carta di Salamanca" per i disabili; e' membro di numerose associazioni scientifiche nazionali ed internazionali e in particolare del Collectif de Recherches sur le Handicap et l'Education Specialisee; e' stato ed e' collaboratore/consulente di Progetti in Cambogia (1997/1998), Bosnia (1995/2000), Rwanda (1999/2000), Bielorussia (1999 ad oggi) in stretto rapporto con il Ministero degli Affari Esteri; ha svolto attivita' seminariali in diverse Universita' (Montreal, Minsk, Tuzla, Buenos Aires); ha collaborato e collabora alla valutazione di progetti nel settore della Pedagogia Speciale per l'Universite' du Quebec a Montreal. E' autore di numerosi volumi pubblicati su: educazione ed handicappati, manuale per 'íintegrazione scolastica, la formazione dell'educatore professionale, scuola dell'infanzia - handicap - integrazione, pedagogia speciale dell'integrazione, potenziali individuali di apprendimento, la relazione di aiuto, ecc. Tra le principali pubblicazioni di Andrea Canevaro: L'illusione pedagogica, Armando, Roma 1974; Il bambino che non sara' padrone, Emme, Milano 1975; I bambini che si perdono nel bosco, La Nuova Italia, Firenze 1976; Il banco dell'asino e del poeta, Emme, Milano 1978; Educazione e handicappati, La Nuova Italia, Firenze 1979; Handicap e scuola. Manuale per l'integrazione scolastica, Nuova Italia Scientifica (Nis), Roma 1983; Handicap e identita', Cappelli, Bologna 1986; (con A. Rubinelli), , Per l'handicap. Un modello pedagogico complesso, Pellegrini, Cosenza 1986; (con Jean Gaudreau), L'educazione degli handicappati. Dai primi tentativi alla pedagogia moderna, Nis, Roma 1988; (a cura di) Handicap, ricerca e sperimentazione, Nis,Roma 1988; Handicap e luoghi dell'educazione, Eit, Teramo 1989; La formazione dell'educatore professionale, Nis, Roma 1991; Quel bambino la'... Scuola dell'infanzia, handicap e integrazione, La Nuova Italia, Firenze 1996; Pedagogia speciale dell'integrazione, La Nuova Italia, Firenze 1996; Potenziali individuali di apprendimento, La Nuova Italia, Firenze, 1996; (con A. Chieregatti), La relazione di aiuto, Carocci, Roma 1999] 1. "Trasformare gli obiettivi civili in militari" Truman prese la decisione di utilizzare le armi atomiche, e il 6 agosto del 1945 Hiroshima fu bombardata. Poche settimane prima vi era stato l'esperimento riuscito e condotto dagli scienziati di Los Alamos. La decisione di Truman si basava su alcuni presupposti: - se la guerra fosse continuata ci sarebbe stato un lungo periodo ancora di morti da entrambe le parti, quindi anche da parte americana, e il numero dei morti sarebbe stato incalcolabile; - la guerra non sarebbe finita se non con un atto importante, un evento distruttivo, dimostrativo che il potere e la potenza erano tutte da una parte; - la necessita' di vincere la gara contro il tempo nei confronti di altre potenze - ovvero l'Unione Sovietica, anche se non veniva nominata -, Germania e Giappone, nella costruzione di armi micidiali. Veniva dichiarato che gli obiettivi su cui concentrare il bombardamento atomico erano obiettivi militari, quindi avrebbero distrutto il potenziale bellico del nemico e non fatto vittime civili. Tutti i presupposti dichiarati erano falsi. Si dimostrava, ancora una volta, che la prima vittima di una guerra e' la verita'. Viene alterata con degli obiettivi dichiarati e che non sono reali. L'Unione Sovietica non veniva citata ma in realta' l'obiettivo maggiore era quello di potere concludere il conflitto in condizione di forza dimostrata, avendo cosi' in mano la possibilita' di dettare legge al tavolo della pace. Nella riflessione sul paradigma della produzione sociale di vicinanza e della produzione sociale di lontananza, ci interessa la trasformazione di un obiettivo civile in obiettivo militare. Il fatto che Hiroshima e, due giorni dopo, Nagasaki fossero bombardate significava, secondo la dichiarazione ufficiale, distruggere obiettivi militari. La realta' era ben diversa: veniva colpita la popolazione civile e le due citta' di Hiroshima e Nagasaki non avevano caratteristiche di strutture militari ma erano citta' normali, con il loro abitanti e le loro attivita' che, in tempo di guerra, convivevano con delle strutture militari, ma non tali da giustificare l'affermazione che fossero obiettivi militari, funzionale alla loro distruzione. Trasformare pero' un obiettivo civile in obiettivo militare liberava la possibilita' di utilizzo di un'arma nuova il cui effetto non era ancora dimostrato sugli umani. Vi erano delle cautele da prendere: i piloti dovevano azionare il dispositivo per il bombardamento tenendosi ad una distanza di sicurezza per non subire le conseguenze della loro azione. I piloti dovevano azionare un dispositivo di estrema semplicita', e questo richiama le riflessioni di Hans Jonas circa quello che lui defini' il principio responsabilita'. La responsabilita' e' lontana. "E' noto che gli uomini che agiscono in seguito a comandi sono capaci delle azioni piu' orribili. Quando l'autorita' che li comandava viene abbattuta e li si costringe guardare da vicino cio' che hanno fatto, essi non si riconoscono. 'Io non ho fatto questo' dicono, e non e' affatto vero che siano sempre consapevoli di mentire" (E. Canetti, 2004, p. 401). Per Jonas, il principio responsabilita' e' necessario in un tempo in cui le tecnologie avanzate permettono di produrre una trasformazione - in questo caso una distruzione - di enorme portata con il minimo sforzo. Banalizzando, basta premere un bottone per produrre un effetto enorme, di proporzioni imparagonabili con lo sforzo muscolare richiesto per l'attivazione. Anche premere il grilletto di un fucile puo' essere considerato un minimo sforzo che produce un effetto micidiale; ma i 200.000 morti istantanei per le bombe atomiche dei bombardamenti dell'agosto 1945 non hanno avuto bisogno di 200.000 colpi di fucile. Erano bastati due soli gesti, uno per ognuna delle due bombe. Non c'erano stati 200.000 gesti. Vi era stato un gesto liberato da ogni scrupolo, avendo dichiarato la sua necessita' tecnica. Una tecnica della politica della guerra, avendo "trasformato" degli obiettivi civili in obiettivi militari. Anni dopo, il 5 febbraio 2003, il Segretario di Stato degli Usa, Colin Powell, dichiaro' all'assemblea delle Nazioni Unite di avere in mano le prove che il governo dittatoriale iracheno di Saddam aveva armi segrete tali da rendere inevitabile e giusta la guerra. Il colonnello Lawrence Wilkerson dichiaro' in seguito (cfr. "La Stampa" del 21 agosto 2005) che quel giorno rappresenta il punto piu' basso della sua vita. Il colonnello Wilkerson, amico da sempre di Colin Powell, era a capo del suo staff all'epoca del discorso. Aveva invano avvisato che non vi erano prove, e che l'unica fonte che attribuiva a Saddam la realizzazione di armi micidiali era in realta' assolutamente inattendibile. La menzogna, mescolata alla verita' del fatto che Saddam fosse un tiranno, permetteva ancora una volta di trasformare un obiettivo da civile, e politico, in militare, e bellico. E di metterlo cosi' in mano ai tecnici giusti, capaci di fare la guerra. Hans Jonas (1990, 1979) ha sollevato il problema, di ordine filosofico ed etico, di una tecnologia che permette di ottenere dei massacri con il minimo sforzo. La sua preoccupazione era anche legata ad una trasformazione dell'habitat che ha effetti visibili e constatabili solo dopo diverse generazioni, e di conseguenza permette di avere delle ragioni tecniche per agire in un certo modo in un momento della storia, avendo lontano nel tempo un effetto le cui valenze sembrano poco prevedibili se non per ipotesi. Confinando l'esplorazione ipotetica (A. Semerari, 1991) ai passatempi dei poeti e dei sognatori, le ragioni tecniche assumono la fisionomia di realismo. Certamente la perfezione delle tecniche permetterebbe di proiettare su uno scenario lontano gli effetti di una scelta tecnica di scarso sforzo fisico. Ma la proiezione su scenari lontani a volte e' manipolata per la necessita' del momento: si giudica utile adesso fare un gesto che lontano nel tempo - non saremo piu' presenti - otterra' dei risultati forse nocivi. E quel "forse" - che lascia nell'incertezza di un domani remoto, per qualche cosa che potrebbe non essere cosi' incerto - viene messo a confronto con la certezza dell'attuale. La ragione del collegamento con Jonas e' nella possibilita' che la lontananza produca un fenomeno di dimensione sociale che toglie al singolo la responsabilita'; e' produzione sociale di lontananza, e permette di realizzare un'azione i cui effetti saranno lontani nel tempo. Hiroshima e Nagasaki sono, a questo proposito, esemplari: la sottolineatura della trasformazione degli obiettivi da civili in militari, permette di agire nell'immediato (vicino), avendo come risultato un'azione di morte. Nel tempo (lontano) si sviluppano effetti che possono essere considerati secondari, con un cinismo che e' tipico dei gerghi tecnici: un alto numero di leucemie, di malformazioni, di contaminazioni nell'umanita' colpita dalle radiazioni che si prolungano per molto tempo. La doppia produzione sociale di lontananza permette di compiere un'azione senza assumerne la responsabilita' che sarebbe ineludibile nella produzione sociale di vicinanza. Una data, nel mondo a cui apparteniamo, diventa punto di riferimento inevitabile: l'11 settembre 2001, New York le Torri Gemelle, con tutte le conseguenze - gia' brevemente ricordate e che vanno completate con la connessione data per "certa" fra Saddam e Bin Laden - di scelte compiute dal presidente degli Stati Uniti e che hanno coinvolto l'intero mondo nella guerra senza linea definita di "scontro di civilta'" che e' il terrorismo. Questo ha accelerato e diffuso la trasformazione di obiettivi civili in militari. Siamo arrivati ad una strana e tragica situazione in cui il singolo individuo e' trasformato da obiettivo civile - eventualmente perseguibile secondo i normali codici, civile per certe responsabilita' e penale per altre eventuali - in obiettivo militare, oggetto di una possibile azione di guerra. Anche in questo caso l'interesse della nostra riflessione e' nei confronti della produzione sociale di lontananza, necessaria per questa riconversione degli obiettivi. E' evidente che non si puo' fare un'operazione del genere prescindendo da quelli che possono essere i legami stabiliti con la rete sociale: il compagno di lavoro, la persona vicina di casa, il negoziante, le tante relazioni possibili che non possono essere indagate una per una e che potrebbero costituire qualche nodo di resistenza nel compiere con disinvoltura delle azioni militari riferite a dei singoli soggetti. L'operazione e' compiuta attraverso i mezzi di informazione che hanno predisposto, quasi senza saperlo, il terreno perche' l'operazione si possa svolgere efficacemente. Da tempo viene rilevato, da parte di tutti coloro che in qualche modo se ne occupano sia come studiosi che come commentatori, che i mezzi di informazione hanno preso l'abitudine di collegare alcuni episodi di vita delinquenziale, cronaca nera, violenza, alle etnie; cosi' come hanno fatto nell'ambito di una geografia piu' ridotta, dell'Italia, riferendosi ad alcune tipologie regionali per cui i rapimenti vengono associati alla tipologia sarda, le estorsioni mafiose a quella siciliana, eccetera, in un'approssimazione stereotipata possibile unicamente nella lontananza. Le continue evidenziazioni delle etnie permettono di creare l'elemento minaccioso attraverso immagini stereotipate. Non sappiamo distinguere un marocchino da un algerino o da altre provenienze nordafricane, considerando tutti in uno stereotipo che e' stato a lungo riassunto nell'appellativo "marocchino". Soprattutto in certe zone d'Italia il "marocchino" era gia' presente per indicare chi veniva dal profondo sud dell'Italia. La possibilita' di utilizzare uno stereotipo c'era. Ed era un elemento quasi innocente, parte di una lunga storia culturale. D'altronde, lo stereotipo e' nelle professioni, e' nella vita civile e a volte costituisce un primo contatto con l'altro che cosi' viene letto attraverso un'immagine che puo' confermare le nostre attese e in cui lo collochiamo. Il contatto, e la produzione sociale di vicinanza, permettono di non fermarsi qui e di andare oltre. A meno che... Abbiamo a lungo avuto uno stereotipo minaccioso nella figura dell'"ebreo". Abbiamo tuttora uno stereotipo minaccioso nella figura dello "zingaro". Rischiamo di aumentare gli stereotipi con le presenze di altre culture. Abbiamo lo stereotipo del "rumeno", dell'"albanese", ecc. ecc. Questi stereotipi, associati all'attribuzione di misfatti, creano la possibilita' di compiere il passaggio da obiettivo civile a militare; e la creazione di una lontananza anche nei confronti del vicino di casa. Il gioco e' fatto. E la possibilita' che nei confronti del vicino di casa vengano attuate delle azioni militari diventa scontata. E' prodotta da un doppio effetto: l'allontanamento, che ci fa sentire lontani anche quando abbiamo distanze molto ridotte, magari solo una parete; e la perdita di ogni competenza per interessarci del vicino di casa, che e' per gli addetti ai lavori. E' compito di chi si occupa delle azioni militari occuparsi del tale soggetto. Meglio: qualora chi e' addetto alle azioni militari si occupi di quel soggetto, il vicino lascia fare, non ha nulla da dire anzi cerca di prendere ancora di piu' le distanze, sentirsi ancor piu' lontano, al sicuro rispetto all'azione militare. Umanamente e' del tutto comprensibile: la minaccia di essere coinvolti in un'azione militare suscita in noi la necessita' di porsi al riparo, di cercare rifugio. * 2. "Trasformare gli obiettivi umani in tecnico-sanitari" Questa e' una dinamica molto interessante. Ma perche' ce ne occupiamo? Per chiarezza dobbiamo dire che dall'inizio di questa argomentazione abbiamo pensato che questa situazione, con le dovute differenze, e' analoga a una lunga tradizione che ha coinvolto le persone disabili. Non parliamo di obiettivi militari, ma di obiettivi tecnici, sanitari, assistenziali. Trasformiamo un soggetto civile in un soggetto per addetti ai lavori a cui devono rivolgersi unicamente i tecnici. Chiunque sia presente nel contesto, lascia lavorare i tecnici anche qualora ritenesse che se facessero a lui, al soggetto che rimane spettatore, cio' che viene fatto al soggetto disabile, rifiuterebbe e si rivolgerebbe forse alla magistratura per impedire che vengano fatte alcune azioni. Ma se tali azioni vengono fatte su un soggetto disabile non c'e' nessuna ragione di protestare: gli addetti ai lavori sanno e se non sanno e' colpa loro. In definitiva: di che cosa andiamo ad impicciarci? E' una condizione su cui conviene fare un ulteriore ragionamento. La situazione che noi stiamo vivendo ha prodotto un certo numero di associazioni: di familiari, degli stessi disabili, a volte associazioni nate come associazioni di familiari e nel tempo trasformate in associazioni di disabili. Alcune sono con un carattere che viene definito storico, nel senso che hanno ormai una lunga tradizione e sono conosciute un po' ovunque. Altre sono piu' giovani, nuove, con nuovi obiettivi, con motivi di rappresentanza diversi, come e' giusto in un rinnovamento culturale ampio e dinamico. Le associazioni potrebbero svolgere il ruolo che in altri campi svolgono le organizzazioni dei consumatori, vale a dire un ruolo di sorveglianza perche' il commercio, soprattutto i commercio ma anche l'organizzazione dei servizi e del mercato nel senso piu' ampio del termine, rispetti i diritti dei fruitori e non speculi, costringendo le persone a subire angherie occulte o palesi. Un'associazione che si prenda cura dei diritti dei disabili diventa quindi un interlocutore interessante per coloro che hanno dei compiti di responsabilita' politica, amministrativa, professionale. Questo e' un elemento di grande importanza e quindi non possiamo ignorare o considerare le associazioni unicamente per quella rappresentazione un po' folkloristica che a volte anche i grandi scenari delle informazioni, e in particolare le televisioni, ci fanno credere che siano. Invitando in trasmissione un membro di un'associazione e attribuendo un'immagine che definiamo in breve pietistica, finiscono per creare una cattiva informazione su un ruolo importante. Non e' tanto quello della litigiosita' diffusa, presente nella microconflittualita' che si e' estesa in maniera impressionante in ogni campo; e' piuttosto l'attivita' promozionale: capacita' di promuovere delle esperienze positive nella societa'. Per quei difetti gia' illustrati, legati a visioni fortemente stereotipate - e quindi "lontane" -la presenza di componenti di associazioni in momenti di grande informazione e' piu' legata al sopruso subito, e al singolo caso, frantumando la realta' sociale e non promuovendo un diritto di cittadinanza oltre il caso. Al piu', il singolo viene promosso arbitrariamente a rappresentante di sconosciuti inconsapevoli. Il piu' delle volte, il singolo caso puo' farcela, e gli sconosciuti rimangono tali. Il "caso" produce una vicinanza. Mediatica. Non reale. Contribuisce a creare una falsa idea di vicinanza. In realta' e' un mezzo per la produzione sociale di lontananza. Permette che soggetti "lontani" vengano considerati, secondo elementi di pregiudizio mescolati a legittime ignoranze, come incapaci, e parassitari. Se fossero avvicinati, avverrebbe la scoperta che sono capaci di cittadinanza attiva. E di pagare le tasse, contribuendo al benessere e all'organizzazione sociale in tutto un paese. La situazione delle associazioni ha una possibilita' di avviare una politica partecipativa, se non viene sabotata. Puo' avvenire con una distribuzione di piccoli favori, di piccole e anche grandi risorse. E' gia' accaduto che le associazioni che avevano piu' potere di rappresentanza, non numerica, abbiano ottenuto risorse ingenti rispetto alle altre. Le associazioni hanno la possibilita' di fare una scelta non una volta per tutte ma quotidiana: possono contribuire ad un diritto di cittadinanza diffusa, con strutture organizzate socialmente, per permettere a tutti, compresi quindi coloro che sono rappresentati dall'associazione, di vivere con una qualita' degna; oppure diventare corporazioni, che riguardano solo gli affiliati, permettendo miglioramenti solo per gli associati. E questi potranno esserlo per convinzione o per i vantaggi che procura. E' una situazione critica conosciuta anche, ad esempio, dai sindacati. Il sindacato di categoria, tutelando giustamente i suoi iscritti, rischia di trascurare regole fondamentali, che riguardano, per esempio, la promozione dei diritti di tutti senza dimenticare le competenze, e trasformando dei diritti in privilegi. E dove c'e' privilegio c'e' anche sopruso. E' una situazione difficile e delicata. Non e' giusto giudicare da una posizione di comodo condizioni che ci riguardano fino ad un certo punto. E' per questo che utilizziamo il paradigma della produzione sociale di vicinanza e della produzione sociale di lontananza: pensiamo quanto sia importante per chi deve tutelare i diritti di un gruppo produrre vicinanza a condizioni diverse, evitando di autocentrare il gruppo sulla propria situazione. Diversamente le condizioni in cui si produce la tutela diventano conflittuali per altri che in altre situazioni vedono allontanarsi risorse senza capire. O capendo che le risorse arrivano non seguendo la logica dell'analisi dei bisogni, ma quella piu' efficace, apparentemente, della vicinanza ai poteri. Apparentemente: creano quella conflittualita' gia' indicata, e che impegna una parte delle stesse risorse per difendersi; e crea subordinazioni ai poteri e allontanamento dalle competenze. I passaggi sono generalmente sotterranei e non sono cosi' chiari e trasparenti e quindi non creano dei sensi di colpa o dei conflitti cosi' eclatanti. Quando vi sono delle condizioni per cui la resistenza ad un cambiamento e' legata ad una propria condizione di vita, in qualche modo tutelata dal fatto che esistano delle possibilita' di lavoro, e' piu' che evidente che la cancellazione di un lavoro diventa estremamente problematica. E' la condizione che si e' verificata nel superamento dei grandi istituti. La cancellazione degli istituti voleva dire rivedere la condizione di lavoro e in qualche caso significava produrne la cessazione. Di qui la necessita' di far capire le ragioni e di capire la dinamica di cambiamento. Non e' pero' sufficiente. La comprensione dei valori ideali e la constatazione quotidiana dell'insufficienza di risorse personali per tirare avanti non puo' produrre un senso di appagamento e di tranquillita', ma al contrario rabbia e resistenza al cambiamento. Ed e' li' che le tutele diventano molto importanti. La resistenza, legittima, va interpretata, per costruire una negoziazione che permetta un cambiamento senza perdita. Allo stesso modo, le associazioni hanno bisogno di modificare delle condizioni di vita in modo tale che la qualita' della vita migliori per tutti. Non e' sempre facile perche' molte delle situazioni a cui facciamo allusione vivono grazie al fatto che la tutela produce affiliazione e quindi siamo in una condizione di circolo vizioso: avendo tanti affiliati, occorre assicurare loro la possibilita' di essere tutelati. Uno studioso e praticante della terapia sociale - Diego Napoletani (1984) - ha coniato l'espressione "delega paradossa". L'espressione e' collocata in un'epoca ben definita, caratterizzata proprio dalla chiusura degli istituti e dall'integrazione di persone disabili nei loro contesti di vita. Indica la delega che viene data ai tecnici perche' si prendano cura di un soggetto particolare; i tecnici svolgono paradossalmente il loro compito, restituendo al contesto il soggetto. La delega paradossa puo' essere ripresa con un senso piu' ampio, avendo una funzione di cambiamento importante. Le associazioni possono partire da situazioni in cui il singolo soggetto, ad esempio una famiglia, da' delega per una protezione particolare o speciale nei confronti di un membro della famiglia stessa. La delega paradossa puo' sviluppare una capacita' dialogica che permetta al soggetto famiglia di maturare una convinzione diversa dall'esclusione. E il rapporto tra coloro che sono collegati dallo stesso problema puo' avere una funzione dinamica e non solo protettiva. Diventa piu' complicato se la delega viene esercitata come una protezione-scudo, come un'armatura che permetta alla singola famiglia i contrasti e di avere questa sorta di protezione costituita dall'associazione, da una struttura istituzionale o altro. La crescita deve essere operata accettando il punto di partenza e attivandolo verso un'altra prospettiva. Lo strumento del dialogo e' privilegiato. La dimensione di reciprocita' favorisce un processo di empowerment collettivo in cui anche il soggetto che guida un certo disegno apprende dalle situazioni che deve curare. E continua la produzione sociale di vicinanza in cui l'elemento vicinanza diventa allargamento di possibilita' e di opportunita'. Cio' che il singolo operatore potrebbe conoscere attraverso una visione stereotipata, si moltiplica in conoscenze piu' precise, la possibilita' di rivedere lo stesso modello di conoscenza in un'operativita' complessa. * 3. "Trasformare gli obiettivi organizzativi in affaristici" La metafora della rete neurale puo' far capire l'importanza di un progetto culturale in cui, nella rete, vi sono le sinapsi. Senza le sinapsi i contrasti diventano immediatamente paralisi. In una societa' complessa, vi sono serie possibilita' di paralisi se non curiamo i mediatori-sinapsi. Ma questa necessita' puo' essere trasformata in affare, o meglio in affarismo. L'estate 2005 ha messo in luce questo aspetto attraverso un tema insolito in relazione a quello che stiamo trattando, confermandoci che il nostro argomento e' collegabile all'intera realta' nella sua piu' vasta articolazione. E' il calcio e la sua crisi economica. Diverse squadre di calcio si sono trovate in difficolta', e alcune non hanno avuto le carte in regola per la normale iscrizione al campionato. Una di queste e' stata il Torino. E un bel giorno, i giornali hanno rivelato che un possibile acquirente della societa' avrebbe potuto essere "il re degli infermieri". Con una disponibilita' di investimento che i giornali hanno indicato con cifre molto elevate che permettono fideiussioni e acquisto di una maggioranza di azioni, un signore di 41 anni, laureato in psicologia, si presenta come un imprenditore singolare: importa migliaia di infermieri dall'Est Europa. Il suo percorso sembra sia passato dalla gestione di un paio di comunita' residenziali per il recupero di tossicodipendenti alla gia' citata attivita'. E tutto questo deve aver permesso a una persona giovane di diventare in poco tempo un signore con ampie disponibilita' economiche e finanziarie. Dobbiamo forse ringraziare il calcio e la sua crisi per averci messo sotto gli occhi un fenomeno che merita qualche riflessione, oltre che non poche domande. La prima considerazione riguarda il fatto che la societa' organizzata con mediatori (le sinapsi) e' davvero una necessita', e c'e' gia'. Non e' una nostra invenzione, magari viziata dal fatto che ci interessiamo e ci occupiamo di problemi specifici particolari. Questo potrebbe essere considerato un limite. E le ragioni potrebbero anche sembrare buone: in definitiva, i soggetti di cui ci interessiamo hanno bisogno di aiuti, che assomigliano e possono essere scambiati per mediatori. La lontananza rispetto ai disabili, prodotta socialmente, esiste. Vorremmo dire: esiste ancora. Con la speranza che sia un fenomeno in corso di estinzione. Ma non e' facile. E la lontananza permette di considerare il tema delle persone disabili come separato, di una categoria. I problemi delle disabilita' sono di una categoria speciale e separata. Se noi parliamo di societa' delle mediazioni organizzate e' perche' siamo portati a vedere nelle necessita' di una parte (i disabili) le necessita' di tutti. Ma abbiamo capito che la societa' organizzata con mediatori (le sinapsi) e' una necessita', e c'e' gia'. Non ha un progetto politico-culturale fondato su valori di equita' e giustizia. Che si possono tradurre in termini piu' pragmatici: nei bilanci delle amministrazioni pubbliche, i bisogni delle persone disabili sono separati e non integrati alle necessita' di sviluppo e cura strutturali e infrastrutturali. Questo permette di ragionare in termini di riduzione della spesa anche attraverso i meccanismi degli appalti. Le gare di appalto, al di la' di criteri di qualita' che sembrano sempre appartenere alla sfera dell'opinabile, hanno certezze nei numeri. E quelli della ragioneria contabile sono sicuri. Questo e' un problema e un rischio che puo' mettere in forse la nascita di un progetto culturale e politico, riducendolo ad un adattamento alle ragioni degli affari. La vicenda calcistica ci permette di sapere che vi sono realizzazioni finanziarie di rilevo collegate alle necessita' di aiuto ed alle mediazioni. Nascono domande che non hanno risposta documentata, ma solo inquietanti sospetti. Vi e' il rischio che la solidarieta' ed i servizi socio-assistenziali possano diventare coperture per attivita' d'affari e affarismi. Ancora una volta, a scapito delle competenze, che esigono rigore e trasparenza. Il ritardo di alcune professioni "di aiuto" (ad esempio: l'educatore sociale) e' collegabile a questo problema. E' un po' come per il lavoro dei clandestini: tutti dichiarano severita'; ma i clandestini permettono guadagni. Cosi' certe professioni: finche' rimangono senza un profilo preciso, senza uno statuto di competenze, senza una strutturazione che ne permetta l'esercizio per l'intera vita lavorativa, permettono affari a soggetti istituzionali in grado di offrire servizi a costo stracciato. Gli interessi mediatici - che sono altri affari - tengono i riflettori accesi su vicende come quella ricordata. Ma per illuminare la questione calcistica. Se questa si risolve, il resto non conta. Noi ci terremmo che contasse, per vederci chiaro. E soprattutto per alimentare la volonta' di un progetto politico e culturale di societa' dei mediatori organizzati e competenti, basata su equita' e giustizia. * Note bibliografiche E. Canetti (2004, 1960), Massa e potere, Milano, Adelphi. H. Jonas (1990, 1979), Il principio responsabilita', Torino, Einaudi. A. Semerari (1991), I processi cognitivi nella relazione terapeutica, Roma, Carocci (gia' La Nuova Italia Scientifica - Nis) D. Napoletani (1984), Al di la' dell'individuo, "Ruolo Terapeutico", 36, pp. 20-26. 3. MATERIALI. L'INDICE DE "IL GIORNO DELLA MEMORIA" DI GIORGIO GIANNINI [Ringraziamo Giorgio Giannini (per contatti: giannini2000 at libero.it) per averci messo a disposizione l'indice del suo recente libro Il giorno della memoria. Per non dimenticare, Edizioni Associate, Roma 2005, pp. 406, euro 18. Giorgio Giannini, nato a Roma nel 1949, docente di discipline giuridiche, storico della Resistenza e della nonviolenza, impegnato in vari centri studi e movimenti per la pace e i diritti umani. Opere di Giorgio Giannini: segnaliamo almeno L'obiezione di coscienza, Satyagraha, Torino 1985; L'obiezione di coscienza al servizio militare. Saggio storico-giuridico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1987; (a cura di), La lotta nonarmata nella Resistenza, Centro Studi Difesa Civile, Roma 1993; (a cura di), La Resistenza nonarmata, Sinnos, Roma 1995; (a cura di), L'opposizione popolare al fascismo, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1996; Il giorno della memoria. Per non dimenticare, Edizioni Associate, Roma 2005] Introduzione - Perche' il Giorno della Memoria - L'approvazione della legge 20 luglio 2000 n. 211 - La discussione alla Camera dei Deputati - L'approvazione al Senato della Repubblica - Il Giorno della Memoria negli altri Paesi - Documenti: La legge 20 luglio 2000 n. 211 * Parte prima: Dall'antisemitismo alla Shoah - L'antisemitismo in Europa - Le origini dell'antisemitismo - Le prime ostilita' contro gli ebrei - L'antigiudaismo cristiano - Le prime leggi discriminatorie contro gli ebrei - La discriminazione degli ebrei nell'impero romano - La discriminazione degli ebrei negli altri Paesi - La discriminazione degli ebrei nel Medioevo - Le accuse infamanti contro gli ebrei - L'espulsione degli ebrei dai Paesi europei - I nuovi provvedimenti discriminatori - L'emancipazione degli ebrei - La diffusione dell'antisemitismo nel XIX secolo - L'antisemitismo in Europa all'inizio del Novecento - L'antisemitismo nazista - L'antisemitismo in Germania prima del nazismo - La supremazia della razza ariana nell'ideologia nazista - I nazisti conquistano il potere - I campi di rieducazione - I primi provvedimenti contro gli ebrei - L'eliminazione dei disabili e dei malati di mente - Il Lebensborn - Le Leggi di Norimberga - L'emigrazione degli ebrei tedeschi - La notte dei cristalli - L'Operazione T4 per la purificazione del Reich - La guerra e la costituzione dei ghetti ad Est - La vita nei ghetti - Il ghetto di Lodz - Il ghetto di Varsavia - Il Piano Madagascar - La Shoah - Gli eccidi di massa degli Einsatzgruppen - La deportazione degli ebrei nei ghetti dell'Est - Verso la "soluzione finale del problema ebraico": La Conferenza di Gross Wannsee - Le deportazioni degli ebrei del Reich nei campi di sterminio - Le deportazioni degli ebrei degli altri Paesi europei - I campi di sterminio - Il Campo di Chelmo - Il Campo di Belzec - Il Campo di Sobibor - Il Campo di Treblinka - Il "Campo misto" di Auschwitz-Birkenau - Il Campo di Auschwitz I - Il Campo di Auschwitz II- Birkenau - Il Campo di Auschwitz III- Monowitz - Il Campo misto di Lublino-Maidanek - La vita dei deportati - Lo sfruttamento del lavoro dei deportati - Gli esperimenti pseudoscientifici - Le modalita' del genocidio - Le fughe e le rivolte nei campi - La liberazione dei campi - Lo sterminio: chi sapeva? - Il processo di Norimberga - L'opposizione delle Chiese al Nazismo - La posizione della chiesa cattolica sulla Shoah - Documenti: Il verbale della conferenza di Gross Wansee - Documenti: La mappa dei Lager e dei campi di sterminio - Cronologia della Shoah * Parte seconda: Il genocidio dimenticato dei Rom - Introduzione - L'arrivo dei Rom in Europa - La diffusione dei Rom in Europa - Le cause delle migrazioni - La persecuzione secolare dei Rom - La persecuzione dei Rom all'inizio del Novecento - La persecuzione da parte dei nazisti - La normativa nazista contro gli zingari - La "soluzione finale" della questione zingara - L'internamento e lo sterminio dei Rom negli altri Paesi - La politica fascista verso i Rom - Le condizioni dei Rom dopo la guerra - Documenti sulla persecuzione dei Rom * Parte terza: Le vittime dimenticate del regime nazista - I testimoni di Geova - Introduzione - La repressione prima del nazismo - La persecuzione da parte del nazismo - Si intensifica la repressione - La persecuzione dei Testimoni di Geova durante il fascismo - Le origini e la diffusione del Movimento in Italia - Inizia la repressione - La distruzione del Movimento - Documenti - Gli omosessuali - Introduzione - La situazione prima del nazismo - La persecuzione durante il regime nazista - L'internamento nei Lager - La condizione degli omosessuali in Italia durante il fascismo * Parte quarta: Il fascismo e le leggi razziali - La diffusione degli ebrei in Italia - La discriminazione secolare degli ebrei - Il ghetto di Roma - L'emancipazione degli ebrei - L'antisemitismo prima del fascismo - La prima normativa fascista antiebraica - La campagna antisemita sulla stampa - Il "Manifesto della razza" - La rivista "La difesa della razza" - L'espulsione degli ebrei dalle scuole - I provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri - La "Dichiarazione della razza" - I nuovi provvedimenti antiebraici per la scuola e l'Universita' - I "Provvedimenti per la difesa della razza italiana" - L'approvazione in Parlamento delle leggi razziali - L'esclusione definitiva degli ebrei dalla societa' - I campi di concentramento per gli ebrei - La posizione della chiesa cattolica - La caduta del fascismo e l'occupazione nazista - Inizia la deportazione degli ebrei italiani - La "razzia" degli ebrei romani - Continua la deportazione degli ebrei - I Lager nazisti in Italia - Il Campo di Fossoli - Il Campo di Gries - La Risiera di S. Sabba - Conclusioni - Documenti: Le leggi razziali italiane del 1938 - Cronologia dell'antisemitismo in Italia * Parte quinta: Gli internati militari italiani in Germania - Le disfatte militari - La caduta del fascismo - Il Governo Badoglio - Le trattative per l'armistizio - La firma dell'armistizio a Cassibile - La proclamazione dell'armistizio l'otto settembre 1943 - La fuga da Roma del re e di Badoglio - La dissoluzione dell'esercito - La resistenza dei reparti italiani contro i tedeschi - La resa della marina e dell'aereonautica - L'occupazione militare tedesca dell'Italia - La costituzione della Repubblica sociale italiana - L'internamento dei militari italiani - I militari internati nei Lager - L'organizzazione dei Lager - Le modalita' dell'internamento - Lo status di internato militare - Lo status di lavoratore civile - L'assistenza sanitaria - Il rifiuto di aderire alla Rsi - La resistenza nei Lager - Documenti: La mappa dei campi di internamento militare - Documenti: Gli inviti agli internati ad aderire alla Rsi * Appendice - Gli Schindler italiani: Giorgio Perlasca; Giovanni Palatucci - I simboli antisemiti; gli emblemi etnici nazisti; i simboli nazisti; i motti nazisti; i simboli fascisti - Le organizzazioni fasciste * Bibliografia 4. LUTTI. ROSSANA ROSSANDA RICORDA MARIO RASTRELLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 ottobre 2005. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Ieri notte ha perduto la vita in un incidente d'auto Mario Rastrelli, direttore sanitario dell'ospedale San Camillo a Roma, prima vicedirettore sanitario di Niguarda e poi direttore sanitario all'Asl di Gallarate. Aveva cinquant'anni, era ancora un giovane uomo sorridente e molto pratico, che reggeva assieme ad altri "Il manifesto" a Milano e si occupava a livello nazionale degli studenti, finche' il giornale tenne attorno a se' anche un brandello di societa' politica. Fu lui a organizzare alla fine degli anni '70 e nei primi anni '80 i convegni di Milano e di Venezia che, malgrado fossimo poveri come ora e in molti di meno, riuscimmo a tenere per alcuni giorni sulle crisi delle societa' dell'Est, molto prima dell'89, radunando quasi tutta la diaspora del dissenso in Europa, e piu' tardi alcuni giorni di discussione fitta nella sala dell'amministrazione provinciale milanese sul tema "Liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro" che resta tuttora aperto nella sinistra extraparlamentare. Mario fu anche fra i promotori della rivista milanese "L'ottavo giorno" - quello seguente alla creazione - sulle societa' dell'Est. La sua compagna Lidia Campagnano lavorava gia' da tempo con noi. Finiti gli anni delle grandi speranze e delusioni, Mario non si era disimpegnato dalla passione politica. Poteva avere compiti ingenti di direttore sanitario, poteva organizzare per la Regione Lazio l'intera rete di sostegno sanitario al lungo anno del Giubileo senza che il suo occhio perdesse un episodio della situazione internazionale - come andassero le elezioni in Francia o in Germania gli era piu' presente che a qualcuno di noi. Era stato, come Lidia, furiosamente contro la guerra in Jugoslavia. Trattato con grande rudezza quando Storace arrivo' alla presidenza della Regione Lazio, tanto piu' che Mario non aveva alcun partito alle spalle, torno' al lavoro nella sua Asl, ma certo non fu felice di non poter attivare quelle sue doti straordinarie di organizzatore, coperte dalla gentilezza dei modi e dallo sguardo un po' ironico che portava sulle cose del mondo. Mario lascia Lidia, nostra compagna e amica, e la figlia Viola molto voluta e teneramente amata, che con lui aveva quel rapporto perfetto che a volte porta padre e figlia a scoprire il mondo assieme. Avevano appena terminato uno dei loro viaggi in Europa prima che Viola ricominciasse l'universita'. La morte ci circonda fra guerre e violenze, a che cos'altro potremmo essere piu' abituati? Eppure la perdita cosi' brutale e senza senso di un amico resta una morte particolare e intollerabile. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1107 del 7 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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