La nonviolenza e' in cammino. 1107



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1107 del 7 novembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Carlo Maria Martini: Una lettera da Gerusalemme, citta' della preghiera,
del dialogo e dell'amore
2. Andrea Canevaro: "Il compito e' esclusivamente tecnico". Ma e' veramente
cosi'?
3. L'indice de "Il giorno della memoria" di Giorgio Giannini
4. Rossana Rossanda ricorda Mario Rastrelli
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MAESTRI. CARLO MARIA MARTINI: UNA LETTERA DA GERUSALEMME, CITTA' DELLA
PREGHIERA, DEL DIALOGO E DELL'AMORE
[Ringraziamo di cuore Giorgio Bernardelli (per contatti:
g.bernardelli at avvenire.it) per averci messo a disposizione la lettera di
Carlo Maria Martini che funge da premessa al suo libro Oltre il muro.
Storie, incontri e dialoghi tra israeliani e palestinesi, L'ancora del
Mediterraneo, Napoli 2005, pp. 5-6.
Giorgio Bernardelli, 36 anni, giornalista, ha compiuto per il quotidiano
"Avvenire" una serie di viaggi in Israele e nei Territori palestinesi
documentando gli aspetti piu' quotidiani del conflitto. Opere d Giorgio
Bernardelli: Preparami la colazione. Storia di Lucia che da' del tu a Dio,
Itl, 2001; Gaza, incatenati a un sogno, Edizioni Medusa, 2005; Oltre il
muro. Storie, incontri e dialoghi tra israeliani e palestinesi, L'ancora del
Mediterraneo 2005.
Carlo Maria Martini e' una delle figure piu' prestigiose della cultura della
pace; nato a Torino nel 1927, cardinale, gia' arcivescovo di Milano, si e'
caratterizzato per un rilevante impegno sociale e per un attento e sensibile
confronto con le grandi problematiche contemporanee; e' autore di una vasta
opera sia pastorale sia di riflessione. Dal sito www.vatican.va riprendiamo
la seguente scheda: "Il cardinale Carlo Maria Martini, S.I., arcivescovo
emerito di Milano, e' nato a Torino il 15 febbraio 1927. Entrato nella
Compagnia di Gesu' a soli 17 anni, il 25 settembre del 1944, compi' gli
studi di Filosofia nello studentato dei gesuiti di Gallarate, in provincia
di Milano, e quelli di Teologia nella facolta' teologica di Chieri, dove
venne ordinato sacerdote il 13 luglio 1952. Nel 1958 consegui' presso la
Pontificia Universita' Gregoriana la laurea in Teologia, con una tesi su "Il
problema storico della Risurrezione". Dopo alcuni anni di insegnamento nella
facolta' di Chieri, ritorno' a Roma per laurearsi in Scrittura al Pontificio
Istituto Biblico, sempre "summa cum laude", con una tesi su "Il problema
della recensionalita' del codice B alla luce del papiro Bodmer XIV". Decano
della Facolta' di Scrittura del Biblico, ne divenne rettore dal 1969 al
1978, quando fu nominato rettore magnifico della Pontificia Universita'
Gregoriana, succedendo al padre Carrier. La sua attivita' si sviluppo' nel
campo scientifico pubblicando vari libri ed articoli (basti ricordare che
egli era l'unico membro cattolico del comitato ecumenico che ha preparato
l'edizione greca del Nuovo Testamento). I suoi libri sugli esercizi
spirituali sono stati molto apprezzati per l'originalita' dell'impostazione,
che univa alla fedelta' al modello ignaziano tradizionale una luce nuova,
scritturistica. Tra essi, "Gli esercizi ignaziani alla luce di San
Giovanni"; "L'itinerario spirituale dei Dodici nel Vangelo di San Marco";
"Gli esercizi ignaziani alla luce di San Matteo"; "Gli esercizi spirituali
alla luce di San Luca"; "Vita di Mose', Vita di Gesu', esistenza pasquale".
Nel 1978 Paolo VI lo invito' a predicare il ritiro annuale in Vaticano, dove
uno dei suoi predecessori in questo eccezionale ministero era stato il
cardinale Karol Wojtyla. Lo stesso cardinale Wojtyla, divenuto Papa Giovanni
Paolo II, lo elesse poi arcivescovo di Milano il 29 dicembre 1979 e lo
consacro' personalmente il 6 gennaio del 1980. E' stato relatore alla VI
Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi (1983), sul tema: "Riconciliazione
e penitenza nella missione della Chiesa". E' stato presidente del Consiglio
delle Conferenze Episcopali Europee (C.C.E.E.) dal 1986 al 1993. Il 5
ottobre 1999 e' stato insignito della Laurea ad honorem dell'Accademia russa
delle Scienze. Nell'ottobre del 2000 ha ricevuto in Spagna il premio
"Principe delle Asturie" in Scienze Sociali e nel dicembre dello stesso
anno, a Parigi, il premio "Europeo dell'anno 2000". Dal novembre 200 e'
accademico onorario della Pontificia Accademia delle Scienze. Dall'11 luglio
2002 e' arcivescovo emerito di Milano. Da Giovanni Paolo II creato e
pubblicato cardinale nel Concistoro del 2 febbraio 1983, del titolo di S.
Cecilia. E' membro: delle Congregazioni: per le Chiese Orientali; per gli
Istituti di vita consacrata e le Societa' di vita apostolica, per
l'Educazione Cattolica; della Pontificia Commissione per i Beni Culturali
della Chiesa"]

Gerusalemme, 5 aprile 2005
Caro Giorgio Bernardelli,
nel libro di cui mi ha inviato un'anteprima ho trovato finalmente chi ha
avuto il coraggio di superare i luoghi comuni e guardare in faccia la
realta', accorgendosi di situazioni forse poco visibili ma molto
significative. Leggendolo mi sono venute in mente parole come quella di
Isaia: "Ora ti faccio udire cose nuove / e segrete, che nemmeno sospetti"
(Is 48, 6; vedi anche Ger 31, 22 e ss.). Infatti molta gente pensa a
Gerusalemme oggi come la citta' dei conflitti. I mass media hanno
sottolineato in questi anni passati gli atti di terrorismo, creando persino
nella nostra gente la paura di venire qui in pellegrinaggio, paura che oggi
fortunatamente appare un po' superata.
Ma a di la' di queste immagini di violenza, che pure sono vere, mi sono
sempre sforzato, incontrando i nostri pellegrini, di dire che la Gerusalemme
odierna presenta anche altri aspetti, quelli cioe' di dialogo, di mutua
accoglienza, di riconciliazione, che pur non facendo per ora notizia, sono
capaci di farci intravedere quale sia la via di un futuro di pace. Lei ha
raccolto in queste pagine alcuni di questi esempi, tra cui vedo come
particolarmente commovente quello del "Parent's circle", che viene descritto
per primo. Si tratta di persone colpite gravemente negli affetti familiari
per la morte di uno dei loro cari ucciso dalla violenza, che non hanno
voluto chiudersi nel loro dolore ma hanno cercato di comprendere il dolore
dell'altro, di chi, pur trovandosi dall'altra parte, ha sofferto un lutto
simile. Ne sono nate iniziative ammirevoli di incontro e di dialogo che
mostrano la fecondita' anche umana di un simile atteggiamento che non esito
a definire "evangelico", anche se nato al di fuori della tradizione
cristiana.
Interrogato recentemente su che cosa mi colpisce di piu' nella Gerusalemme
di oggi, non ho esitato a rispondere che vedo in essa anzitutto la citta'
della preghiera, la citta' del dialogo e la citta' dell'amore. Citta' della
preghiera, perche' in essa si prega molto, sia dagli ebrei, in particolare
nello shabbat e nelle feste, sia dai musulmani nei loro giorni di preghiera,
sia dai cristiani, in particolare nelle domeniche. Citta' del dialogo,
perche' innumerevoli sono le iniziative di dialogo e di incontro sia a
livello religioso (tra ebrei e musulmani, ebrei e cristiani, come pure i
dialoghi a tre) sia a livello culturale e civile. Citta' dell'amore, a causa
della molteplicita' di istituzioni e gesti di carita' e di assistenza ai
piu' deboli, da parte di un volontariato che proviene da Israele, dai paesi
arabi e da ogni parte del mondo.
Con cio' non si negano anche i dolorosi aspetti del conflitto, che Lei
richiama pure in queste pagine. Ma quanto il Suo libro vuole sottolineare e'
quel cammino silenzioso ma efficace di dialogo e di riconciliazione che e'
gia' una risposta di Dio alle nostre preghiere per la pace e che non potra'
non portare frutto anche a livelli piu' visibili.
Scrivo questa lettera alla vigilia del mio viaggio a Roma per partecipare
alle esequie di papa Giovanni Paolo II. Egli ha sottolineato con forza la
necessita' di creare ponti anche la' dove ci sono conflitti e queste pagine
sono una testimonianza della verita' e fecondita' del suo coraggioso e
instancabile impegno per la pace, che egli ha perseguito fino all'ultimo
istante della sua esistenza.
Suo cordialmente
Carlo Maria card. Martini, S.I.

2. RIFLESSIONE. ANDREA CANEVARO: "IL COMPITO E' ESCLUSIVAMENTE TECNICO". MA
E' VERAMENTE COSI'?
[Ringraziamo Andrea Canevaro (per contatti: canevaro at economia.unibo.it) per
averci messo a disposizione questo recente intervento, in una stesura ancora
provvisoria. Andrea Canevaro, nato nel 1939, docente di pedagogia speciale
all'universita' di Bologna, e' uno dei piu' illustri pedagogisti italiani.
Dal sito www.mediamente.rai.it riprendiamo la seguente scheda: "Andrea
Canevaro (1939) ha svolto studi umanistici (laurea in lettere e filosofia),
con alcuni anni di borsa di studio presso l'Universita' Lyon 2, e in
particolare ha seguito gli studi in pedagogia speciale del professor Claude
Kohler. Ha lavorato come educatore nel settore della devianza giovanile. Ha
avuto un incarico di insegnamento di Pedagogia Speciale nel 1975 presso il
corso di laurea in Pedagogia della Facolta' di Magistero dell'Universita'
degli Studi di Bologna; presso la stessa sede dal 1973 era assistente
incaricato; e, sempre nella stessa sede, come vincitore di concorso di
professore di prima fascia, e' stato chiamato nel novembre 1980 a ricoprire
la cattedra di Pedagogia Speciale come professore straordinario dal 1980 al
1983, e successivamente come professore ordinario. Dal 1983 e' stato eletto
presidente del corso di laurea in Pedagogia; e dal 1987, per due mandati
triennali, e' stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione,
presso lo stesso Ateneo. Nel novembre 1996 e' stato nominato nuovamente
direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione. Ha all'attivo una
vasta attivita' di ricerca, che ha prodotto un elevato numero di
pubblicazioni. E' membro di associazioni scientifiche internazionali e
nazionali, direttore di collane editoriali, e nel comitato scientifico di
alcune riviste nazionali ed internazionali". Dal 1966 al 2000 ha fatto parte
del gruppo tecnico dell'Osservatorio del Ministero della Pubblica Istruzione
per l'integrazione scolastica degli studenti e studentesse in situazione di
handicap; ha fatto parte della Commissione insediata dal Ministero della
Sanita' (1997 - 1998) per la definizione di un protocollo per le
riabilitazioni di soggetti in situazione di handicap; relatore in numerosi
Congressi ed in particolare al Congresso Unesco di Salamanca (1988) dove e'
nata la "Carta di Salamanca" per i disabili; e' membro di numerose
associazioni scientifiche nazionali ed internazionali e in particolare del
Collectif de Recherches sur le Handicap et l'Education Specialisee; e' stato
ed e' collaboratore/consulente di Progetti in Cambogia (1997/1998), Bosnia
(1995/2000), Rwanda (1999/2000), Bielorussia (1999 ad oggi) in stretto
rapporto con il Ministero degli Affari Esteri; ha svolto attivita'
seminariali in diverse Universita' (Montreal, Minsk, Tuzla, Buenos Aires);
ha collaborato e collabora alla valutazione di progetti nel settore della
Pedagogia Speciale per l'Universite' du Quebec a Montreal. E' autore di
numerosi volumi pubblicati su: educazione ed handicappati, manuale per
'íintegrazione scolastica, la formazione dell'educatore professionale,
scuola dell'infanzia - handicap - integrazione, pedagogia speciale
dell'integrazione, potenziali individuali di apprendimento, la relazione di
aiuto, ecc. Tra le principali pubblicazioni di Andrea Canevaro: L'illusione
pedagogica, Armando, Roma 1974; Il bambino che non sara' padrone, Emme,
Milano 1975; I bambini che si perdono nel bosco, La Nuova Italia, Firenze
1976; Il banco dell'asino e del poeta, Emme, Milano 1978; Educazione e
handicappati, La Nuova Italia, Firenze 1979; Handicap e scuola. Manuale per
l'integrazione scolastica, Nuova Italia Scientifica (Nis), Roma 1983;
Handicap e identita', Cappelli, Bologna 1986; (con A. Rubinelli), , Per
l'handicap. Un modello pedagogico complesso, Pellegrini, Cosenza 1986; (con
Jean Gaudreau), L'educazione degli handicappati. Dai primi tentativi alla
pedagogia moderna, Nis, Roma 1988; (a cura di) Handicap, ricerca e
sperimentazione, Nis,Roma 1988; Handicap e luoghi dell'educazione, Eit,
Teramo 1989; La formazione dell'educatore professionale, Nis, Roma 1991;
Quel bambino la'... Scuola dell'infanzia, handicap e integrazione, La Nuova
Italia, Firenze 1996; Pedagogia speciale dell'integrazione, La Nuova Italia,
Firenze 1996; Potenziali individuali di apprendimento, La Nuova Italia,
Firenze, 1996; (con A. Chieregatti), La relazione di aiuto, Carocci, Roma
1999]

1. "Trasformare gli obiettivi civili in militari"
Truman prese la decisione di utilizzare le armi atomiche, e il 6 agosto del
1945 Hiroshima fu bombardata. Poche settimane prima vi era stato
l'esperimento riuscito e condotto dagli scienziati di Los Alamos. La
decisione di Truman si basava su alcuni presupposti:
- se la guerra fosse continuata ci sarebbe stato un lungo periodo ancora di
morti da entrambe le parti, quindi anche da parte americana, e il numero dei
morti sarebbe stato incalcolabile;
- la guerra non sarebbe finita se non con un atto importante, un evento
distruttivo, dimostrativo che il potere e la potenza erano tutte da una
parte;
- la necessita' di vincere la gara contro il tempo nei confronti di altre
potenze - ovvero l'Unione Sovietica, anche se non veniva nominata -,
Germania e Giappone, nella costruzione di armi micidiali.
Veniva dichiarato che gli obiettivi su cui concentrare il bombardamento
atomico erano obiettivi militari, quindi avrebbero distrutto il potenziale
bellico del nemico e non fatto vittime civili.
Tutti i presupposti dichiarati erano falsi.
Si dimostrava, ancora una volta, che la prima vittima di una guerra e' la
verita'. Viene alterata con degli obiettivi dichiarati e che non sono reali.
L'Unione Sovietica non veniva citata ma in realta' l'obiettivo maggiore era
quello di potere concludere il conflitto in condizione di forza dimostrata,
avendo cosi' in mano la possibilita' di dettare legge al tavolo della pace.
Nella riflessione sul paradigma della produzione sociale di vicinanza e
della produzione sociale di lontananza, ci interessa la trasformazione di un
obiettivo civile in obiettivo militare. Il fatto che Hiroshima e, due giorni
dopo, Nagasaki fossero bombardate significava, secondo la dichiarazione
ufficiale, distruggere obiettivi militari. La realta' era ben diversa:
veniva colpita la popolazione civile e le due citta' di Hiroshima e Nagasaki
non avevano caratteristiche di strutture militari ma erano citta' normali,
con il loro abitanti e le loro attivita' che, in tempo di guerra,
convivevano con delle strutture militari, ma non tali da giustificare
l'affermazione che fossero obiettivi militari, funzionale alla loro
distruzione.
Trasformare pero' un obiettivo civile in obiettivo militare liberava la
possibilita' di utilizzo di un'arma nuova il cui effetto non era ancora
dimostrato sugli umani. Vi erano delle cautele da prendere: i piloti
dovevano azionare il dispositivo per il bombardamento tenendosi ad una
distanza di sicurezza per non subire le conseguenze della loro azione. I
piloti dovevano azionare un dispositivo di estrema semplicita', e questo
richiama le riflessioni di Hans Jonas circa quello che lui defini' il
principio responsabilita'.
La responsabilita' e' lontana. "E' noto che gli uomini che agiscono in
seguito a comandi sono capaci delle azioni piu' orribili. Quando l'autorita'
che li comandava viene abbattuta e li si costringe guardare da vicino cio'
che hanno fatto, essi non si riconoscono. 'Io non ho fatto questo' dicono, e
non e' affatto vero che siano sempre consapevoli di mentire" (E. Canetti,
2004, p. 401).
Per Jonas, il principio responsabilita' e' necessario in un tempo in cui le
tecnologie avanzate permettono di produrre una trasformazione - in questo
caso una distruzione - di enorme portata con il minimo sforzo. Banalizzando,
basta premere un bottone per produrre un effetto enorme, di proporzioni
imparagonabili con lo sforzo muscolare richiesto per l'attivazione. Anche
premere il grilletto di un fucile puo' essere considerato un minimo sforzo
che produce un effetto micidiale; ma i 200.000 morti istantanei per le bombe
atomiche dei bombardamenti dell'agosto 1945 non hanno avuto bisogno di
200.000 colpi di fucile. Erano bastati due soli gesti, uno per ognuna delle
due bombe. Non c'erano stati 200.000 gesti.
Vi era stato un gesto liberato da ogni scrupolo, avendo dichiarato la sua
necessita' tecnica. Una tecnica della politica della guerra, avendo
"trasformato" degli obiettivi civili in obiettivi militari.
Anni dopo, il 5 febbraio 2003, il Segretario di Stato degli Usa, Colin
Powell, dichiaro' all'assemblea delle Nazioni Unite di avere in mano le
prove che il governo dittatoriale iracheno di Saddam aveva armi segrete tali
da rendere inevitabile e giusta la guerra. Il colonnello Lawrence Wilkerson
dichiaro' in seguito (cfr. "La Stampa" del 21 agosto 2005) che quel giorno
rappresenta il punto piu' basso della sua vita. Il colonnello Wilkerson,
amico da sempre di Colin Powell, era a capo del suo staff all'epoca del
discorso. Aveva invano avvisato che non vi erano prove, e che l'unica fonte
che attribuiva a Saddam la realizzazione di armi micidiali era in realta'
assolutamente inattendibile. La menzogna, mescolata alla verita' del fatto
che Saddam fosse un tiranno, permetteva ancora una volta di trasformare un
obiettivo da civile, e politico, in militare, e bellico. E di metterlo cosi'
in mano ai tecnici giusti, capaci di fare la guerra.
Hans Jonas (1990, 1979) ha sollevato il problema, di ordine filosofico ed
etico, di una tecnologia che permette di ottenere dei massacri con il minimo
sforzo. La sua preoccupazione era anche legata ad una trasformazione
dell'habitat che ha effetti visibili e constatabili solo dopo diverse
generazioni, e di conseguenza permette di avere delle ragioni tecniche per
agire in un certo modo in un momento della storia, avendo lontano nel tempo
un effetto le cui valenze sembrano poco prevedibili se non per ipotesi.
Confinando l'esplorazione ipotetica (A. Semerari, 1991) ai passatempi dei
poeti e dei sognatori, le ragioni tecniche assumono la fisionomia di
realismo.
Certamente la perfezione delle tecniche permetterebbe di proiettare su uno
scenario lontano gli effetti di una scelta tecnica di scarso sforzo fisico.
Ma la proiezione su scenari lontani a volte e' manipolata per la necessita'
del momento: si giudica utile adesso fare un gesto che lontano nel tempo -
non saremo piu' presenti - otterra' dei risultati forse nocivi. E quel
"forse" - che lascia nell'incertezza di un domani remoto, per qualche cosa
che potrebbe non essere cosi' incerto - viene messo a confronto con la
certezza dell'attuale.
La ragione del collegamento con Jonas e' nella possibilita' che la
lontananza produca un fenomeno di dimensione sociale che toglie al singolo
la responsabilita'; e' produzione sociale di lontananza, e permette di
realizzare un'azione i cui effetti saranno lontani nel tempo. Hiroshima e
Nagasaki sono, a questo proposito, esemplari: la sottolineatura della
trasformazione degli obiettivi da civili in militari, permette di agire
nell'immediato (vicino), avendo come risultato un'azione di morte.
Nel tempo (lontano) si sviluppano effetti che possono essere considerati
secondari, con un cinismo che e' tipico dei gerghi tecnici: un alto numero
di leucemie, di malformazioni, di contaminazioni nell'umanita' colpita dalle
radiazioni che si prolungano per molto tempo. La doppia produzione sociale
di lontananza permette di compiere un'azione senza assumerne la
responsabilita' che sarebbe ineludibile nella produzione sociale di
vicinanza.
Una data, nel mondo a cui apparteniamo, diventa punto di riferimento
inevitabile: l'11 settembre 2001, New York le Torri Gemelle, con tutte le
conseguenze - gia' brevemente ricordate e che vanno completate con la
connessione data per "certa" fra Saddam e Bin Laden - di scelte compiute dal
presidente degli Stati Uniti e che hanno coinvolto l'intero mondo nella
guerra senza linea definita di "scontro di civilta'" che e' il terrorismo.
Questo ha accelerato e diffuso la trasformazione di obiettivi civili in
militari. Siamo arrivati ad una strana e tragica situazione in cui il
singolo individuo e' trasformato da obiettivo civile - eventualmente
perseguibile secondo i normali codici, civile per certe responsabilita' e
penale per altre eventuali - in obiettivo militare, oggetto di una possibile
azione di guerra. Anche in questo caso l'interesse della nostra riflessione
e' nei confronti della produzione sociale di lontananza, necessaria per
questa riconversione degli obiettivi.
E' evidente che non si puo' fare un'operazione del genere prescindendo da
quelli che possono essere i legami stabiliti con la rete sociale: il
compagno di lavoro, la persona vicina di casa, il negoziante, le tante
relazioni possibili che non possono essere indagate una per una e che
potrebbero costituire qualche nodo di resistenza nel compiere con
disinvoltura delle azioni militari riferite a dei singoli soggetti.
L'operazione e' compiuta attraverso i mezzi di informazione che hanno
predisposto, quasi senza saperlo, il terreno perche' l'operazione si possa
svolgere efficacemente.
Da tempo viene rilevato, da parte di tutti coloro che in qualche modo se ne
occupano sia come studiosi che come commentatori, che i mezzi di
informazione hanno preso l'abitudine di collegare alcuni episodi di vita
delinquenziale, cronaca nera, violenza, alle etnie; cosi' come hanno fatto
nell'ambito di una geografia piu' ridotta, dell'Italia, riferendosi ad
alcune tipologie regionali per cui i rapimenti vengono associati alla
tipologia sarda, le estorsioni mafiose a quella siciliana, eccetera, in
un'approssimazione stereotipata possibile unicamente nella lontananza.
Le continue evidenziazioni delle etnie permettono di creare l'elemento
minaccioso attraverso immagini stereotipate. Non sappiamo distinguere un
marocchino da un algerino o da altre provenienze nordafricane, considerando
tutti in uno stereotipo che e' stato a lungo riassunto nell'appellativo
"marocchino". Soprattutto in certe zone d'Italia il "marocchino" era gia'
presente per indicare chi veniva dal profondo sud dell'Italia.
La possibilita' di utilizzare uno stereotipo c'era. Ed era un elemento quasi
innocente, parte di una lunga storia culturale. D'altronde, lo stereotipo e'
nelle professioni, e' nella vita civile e a volte costituisce un primo
contatto con l'altro che cosi' viene letto attraverso un'immagine che puo'
confermare le nostre attese e in cui lo collochiamo. Il contatto, e la
produzione sociale di vicinanza, permettono di non fermarsi qui e di andare
oltre. A meno che...
Abbiamo a lungo avuto uno stereotipo minaccioso nella figura dell'"ebreo".
Abbiamo tuttora uno stereotipo minaccioso nella figura dello "zingaro".
Rischiamo di aumentare gli stereotipi con le presenze di altre culture.
Abbiamo lo stereotipo del "rumeno", dell'"albanese", ecc. ecc.
Questi stereotipi, associati all'attribuzione di misfatti, creano la
possibilita' di compiere il passaggio da obiettivo civile a militare; e la
creazione di una lontananza anche nei confronti del vicino di casa. Il gioco
e' fatto. E la possibilita' che nei confronti del vicino di casa vengano
attuate delle azioni militari diventa scontata. E' prodotta da un doppio
effetto: l'allontanamento, che ci fa sentire lontani anche quando abbiamo
distanze molto ridotte, magari solo una parete; e la perdita di ogni
competenza per interessarci del vicino di casa, che e' per gli addetti ai
lavori. E' compito di chi si occupa delle azioni militari occuparsi del tale
soggetto. Meglio: qualora chi e' addetto alle azioni militari si occupi di
quel soggetto, il vicino lascia fare, non ha nulla da dire anzi cerca di
prendere ancora di piu' le distanze, sentirsi ancor piu' lontano, al sicuro
rispetto all'azione militare. Umanamente e' del tutto comprensibile: la
minaccia di essere coinvolti in un'azione militare suscita in noi la
necessita' di porsi al riparo, di cercare rifugio.
*
2. "Trasformare gli obiettivi umani in tecnico-sanitari"
Questa e' una dinamica molto interessante. Ma perche' ce ne occupiamo? Per
chiarezza dobbiamo dire che dall'inizio di questa argomentazione abbiamo
pensato che questa situazione, con le dovute differenze, e' analoga a una
lunga tradizione che ha coinvolto le persone disabili. Non parliamo di
obiettivi militari, ma di obiettivi tecnici, sanitari, assistenziali.
Trasformiamo un soggetto civile in un soggetto per addetti ai lavori a cui
devono rivolgersi unicamente i tecnici. Chiunque sia presente nel contesto,
lascia lavorare i tecnici anche qualora ritenesse che se facessero a lui, al
soggetto che rimane spettatore, cio' che viene fatto al soggetto disabile,
rifiuterebbe e si rivolgerebbe forse alla magistratura per impedire che
vengano fatte alcune azioni. Ma se tali azioni vengono fatte su un soggetto
disabile non c'e' nessuna ragione di protestare: gli addetti ai lavori sanno
e se non sanno e' colpa loro. In definitiva: di che cosa andiamo ad
impicciarci?
E' una condizione su cui conviene fare un ulteriore ragionamento. La
situazione che noi stiamo vivendo ha prodotto un certo numero di
associazioni: di familiari, degli stessi disabili, a volte associazioni nate
come associazioni di familiari e nel tempo trasformate in associazioni di
disabili. Alcune sono con un carattere che viene definito storico, nel senso
che hanno ormai una lunga tradizione e sono conosciute un po' ovunque. Altre
sono piu' giovani, nuove, con nuovi obiettivi, con motivi di rappresentanza
diversi, come e' giusto in un rinnovamento culturale ampio e dinamico.
Le associazioni potrebbero svolgere il ruolo che in altri campi svolgono le
organizzazioni dei consumatori, vale a dire un ruolo di sorveglianza perche'
il commercio, soprattutto i commercio ma anche l'organizzazione dei servizi
e del mercato nel senso piu' ampio del termine, rispetti i diritti dei
fruitori e non speculi, costringendo le persone a subire angherie occulte o
palesi. Un'associazione che si prenda cura dei diritti dei disabili diventa
quindi un interlocutore interessante per coloro che hanno dei compiti di
responsabilita' politica, amministrativa, professionale.
Questo e' un elemento di grande importanza e quindi non possiamo ignorare o
considerare le associazioni unicamente per quella rappresentazione un po'
folkloristica che a volte anche i grandi scenari delle informazioni, e in
particolare le televisioni, ci fanno credere che siano. Invitando in
trasmissione un membro di un'associazione e attribuendo un'immagine che
definiamo in breve pietistica, finiscono per creare una cattiva informazione
su un ruolo importante. Non e' tanto quello della litigiosita' diffusa,
presente nella microconflittualita' che si e' estesa in maniera
impressionante in ogni campo; e' piuttosto l'attivita' promozionale:
capacita' di promuovere delle esperienze positive nella societa'. Per quei
difetti gia' illustrati, legati a visioni fortemente stereotipate - e quindi
"lontane" -la presenza di componenti di associazioni in momenti di grande
informazione e' piu' legata al sopruso subito, e al singolo caso,
frantumando la realta' sociale e non promuovendo un diritto di cittadinanza
oltre il caso. Al piu', il singolo viene promosso arbitrariamente a
rappresentante di sconosciuti inconsapevoli. Il piu' delle volte, il singolo
caso puo' farcela, e gli sconosciuti rimangono tali.
Il "caso" produce una vicinanza. Mediatica. Non reale. Contribuisce a creare
una falsa idea di vicinanza. In realta' e' un mezzo per la produzione
sociale di lontananza. Permette che soggetti "lontani" vengano considerati,
secondo elementi di pregiudizio mescolati a legittime ignoranze, come
incapaci, e parassitari. Se fossero avvicinati, avverrebbe la scoperta che
sono capaci di cittadinanza attiva. E di pagare le tasse, contribuendo al
benessere e all'organizzazione sociale in tutto un paese.
La situazione delle associazioni ha una possibilita' di avviare una politica
partecipativa, se non viene sabotata. Puo' avvenire con una distribuzione di
piccoli favori, di piccole e anche grandi risorse. E' gia' accaduto che le
associazioni che avevano piu' potere di rappresentanza, non numerica,
abbiano ottenuto risorse ingenti rispetto alle altre.
Le associazioni hanno la possibilita' di fare una scelta non una volta per
tutte ma quotidiana: possono contribuire ad un diritto di cittadinanza
diffusa, con strutture organizzate socialmente, per permettere a tutti,
compresi quindi coloro che sono rappresentati dall'associazione, di vivere
con una qualita' degna; oppure diventare corporazioni, che riguardano solo
gli affiliati, permettendo miglioramenti solo per gli associati. E questi
potranno esserlo per convinzione o per i vantaggi che procura.
E' una situazione critica conosciuta anche, ad esempio, dai sindacati. Il
sindacato di categoria, tutelando giustamente i suoi iscritti, rischia di
trascurare regole fondamentali, che riguardano, per esempio, la promozione
dei diritti di tutti senza dimenticare le competenze, e trasformando dei
diritti in privilegi. E dove c'e' privilegio c'e' anche sopruso.
E' una situazione difficile e delicata. Non e' giusto giudicare da una
posizione di comodo condizioni che ci riguardano fino ad un certo punto. E'
per questo che utilizziamo il paradigma della produzione sociale di
vicinanza e della produzione sociale di lontananza: pensiamo quanto sia
importante per chi deve tutelare i diritti di un gruppo produrre vicinanza a
condizioni diverse, evitando di autocentrare il gruppo sulla propria
situazione. Diversamente le condizioni in cui si produce la tutela diventano
conflittuali per altri che in altre situazioni vedono allontanarsi risorse
senza capire. O capendo che le risorse arrivano non seguendo la logica
dell'analisi dei bisogni, ma quella piu' efficace, apparentemente, della
vicinanza ai poteri. Apparentemente: creano quella conflittualita' gia'
indicata, e che impegna una parte delle stesse risorse per difendersi; e
crea subordinazioni ai poteri e allontanamento dalle competenze. I passaggi
sono generalmente sotterranei e non sono cosi' chiari e trasparenti e quindi
non creano dei sensi di colpa o dei conflitti cosi' eclatanti.
Quando vi sono delle condizioni per cui la resistenza ad un cambiamento e'
legata ad una propria condizione di vita, in qualche modo tutelata dal fatto
che esistano delle possibilita' di lavoro, e' piu' che evidente che la
cancellazione di un lavoro diventa estremamente problematica. E' la
condizione che si e' verificata nel superamento dei grandi istituti. La
cancellazione degli istituti voleva dire rivedere la condizione di lavoro e
in qualche caso significava produrne la cessazione. Di qui la necessita' di
far capire le ragioni e di capire la dinamica di cambiamento.
Non e' pero' sufficiente. La comprensione dei valori ideali e la
constatazione quotidiana dell'insufficienza di risorse personali per tirare
avanti non puo' produrre un senso di appagamento e di tranquillita', ma al
contrario rabbia e resistenza al cambiamento. Ed e' li' che le tutele
diventano molto importanti. La resistenza, legittima, va interpretata, per
costruire una negoziazione che permetta un cambiamento senza perdita. Allo
stesso modo, le associazioni hanno bisogno di modificare delle condizioni di
vita in modo tale che la qualita' della vita migliori per tutti.
Non e' sempre facile perche' molte delle situazioni a cui facciamo allusione
vivono grazie al fatto che la tutela produce affiliazione e quindi siamo in
una condizione di circolo vizioso: avendo tanti affiliati, occorre
assicurare loro la possibilita' di essere tutelati. Uno studioso e
praticante della terapia sociale - Diego Napoletani (1984) - ha coniato
l'espressione "delega paradossa". L'espressione e' collocata in un'epoca ben
definita, caratterizzata proprio dalla chiusura degli istituti e
dall'integrazione di persone disabili nei loro contesti di vita. Indica la
delega che viene data ai tecnici perche' si prendano cura di un soggetto
particolare; i tecnici svolgono paradossalmente il loro compito, restituendo
al contesto il soggetto.
La delega paradossa puo' essere ripresa con un senso piu' ampio, avendo una
funzione di cambiamento importante. Le associazioni possono partire da
situazioni in cui il singolo soggetto, ad esempio una famiglia, da' delega
per una protezione particolare o speciale nei confronti di un membro della
famiglia stessa. La delega paradossa puo' sviluppare una capacita' dialogica
che permetta al soggetto famiglia di maturare una convinzione diversa
dall'esclusione. E il rapporto tra coloro che sono collegati dallo stesso
problema puo' avere una funzione dinamica e non solo protettiva.
Diventa piu' complicato se la delega viene esercitata come una
protezione-scudo, come un'armatura che permetta alla singola famiglia i
contrasti e di avere questa sorta di protezione costituita
dall'associazione, da una struttura istituzionale o altro.
La crescita deve essere operata accettando il punto di partenza e
attivandolo verso un'altra prospettiva. Lo strumento del dialogo e'
privilegiato. La dimensione di reciprocita' favorisce un processo di
empowerment collettivo in cui anche il soggetto che guida un certo disegno
apprende dalle situazioni che deve curare.
E continua la produzione sociale di vicinanza in cui l'elemento vicinanza
diventa allargamento di possibilita' e di opportunita'. Cio' che il singolo
operatore potrebbe conoscere attraverso una visione stereotipata, si
moltiplica in conoscenze piu' precise, la possibilita' di rivedere lo stesso
modello di conoscenza in un'operativita' complessa.
*
3. "Trasformare gli obiettivi organizzativi in affaristici"
La metafora della rete neurale puo' far capire l'importanza di un progetto
culturale in cui, nella rete, vi sono le sinapsi. Senza le sinapsi i
contrasti diventano immediatamente paralisi. In una societa' complessa, vi
sono serie possibilita' di paralisi se non curiamo i mediatori-sinapsi. Ma
questa necessita' puo' essere trasformata in affare, o meglio in affarismo.
L'estate 2005 ha messo in luce questo aspetto attraverso un tema insolito in
relazione a quello che stiamo trattando, confermandoci che il nostro
argomento e' collegabile all'intera realta' nella sua piu' vasta
articolazione. E' il calcio e la sua crisi economica. Diverse squadre di
calcio si sono trovate in difficolta', e alcune non hanno avuto le carte in
regola per la normale iscrizione al campionato. Una di queste e' stata il
Torino. E un bel giorno, i giornali hanno rivelato che un possibile
acquirente della societa' avrebbe potuto essere "il re degli infermieri".
Con una disponibilita' di investimento che i giornali hanno indicato con
cifre molto elevate che permettono fideiussioni e acquisto di una
maggioranza di azioni, un signore di 41 anni, laureato in psicologia, si
presenta come un imprenditore singolare: importa migliaia di infermieri
dall'Est Europa. Il suo percorso sembra sia passato dalla gestione di un
paio di comunita' residenziali per il recupero di tossicodipendenti alla
gia' citata attivita'. E tutto questo deve aver permesso a una persona
giovane di diventare in poco tempo un signore con ampie disponibilita'
economiche e finanziarie.
Dobbiamo forse ringraziare il calcio e la sua crisi per averci messo sotto
gli occhi un fenomeno che merita qualche riflessione, oltre che non poche
domande.
La prima considerazione riguarda il fatto che la societa' organizzata con
mediatori (le sinapsi) e' davvero una necessita', e c'e' gia'. Non e' una
nostra invenzione, magari viziata dal fatto che ci interessiamo e ci
occupiamo di problemi specifici particolari. Questo potrebbe essere
considerato un limite. E le ragioni potrebbero anche sembrare buone: in
definitiva, i soggetti di cui ci interessiamo hanno bisogno di aiuti, che
assomigliano e possono essere scambiati per mediatori.
La lontananza rispetto ai disabili, prodotta socialmente, esiste. Vorremmo
dire: esiste ancora. Con la speranza che sia un fenomeno in corso di
estinzione. Ma non e' facile. E la lontananza permette di considerare il
tema delle persone disabili come separato, di una categoria. I problemi
delle disabilita' sono di una categoria speciale e separata. Se noi parliamo
di societa' delle mediazioni organizzate e' perche' siamo portati a vedere
nelle necessita' di una parte (i disabili) le necessita' di tutti.
Ma abbiamo capito che la societa' organizzata con mediatori (le sinapsi) e'
una necessita', e c'e' gia'. Non ha un progetto politico-culturale fondato
su valori di equita' e giustizia. Che si possono tradurre in termini piu'
pragmatici: nei bilanci delle amministrazioni pubbliche, i bisogni delle
persone disabili sono separati e non integrati alle necessita' di sviluppo e
cura strutturali e infrastrutturali.
Questo permette di ragionare in termini di riduzione della spesa anche
attraverso i meccanismi degli appalti. Le gare di appalto, al di la' di
criteri di qualita' che sembrano sempre appartenere alla sfera
dell'opinabile, hanno certezze nei numeri. E quelli della ragioneria
contabile sono sicuri. Questo e' un problema e un rischio che puo' mettere
in forse la nascita di un progetto culturale e politico, riducendolo ad un
adattamento alle ragioni degli affari.
La vicenda calcistica ci permette di sapere che vi sono realizzazioni
finanziarie di rilevo collegate alle necessita' di aiuto ed alle mediazioni.
Nascono domande che non hanno risposta documentata, ma solo inquietanti
sospetti. Vi e' il rischio che la solidarieta' ed i servizi
socio-assistenziali possano diventare coperture per attivita' d'affari e
affarismi. Ancora una volta, a scapito delle competenze, che esigono rigore
e trasparenza. Il ritardo di alcune professioni "di aiuto" (ad esempio:
l'educatore sociale) e' collegabile a questo problema. E' un po' come per il
lavoro dei clandestini: tutti dichiarano severita'; ma i clandestini
permettono guadagni. Cosi' certe professioni: finche' rimangono senza un
profilo preciso, senza uno statuto di competenze, senza una strutturazione
che ne permetta l'esercizio per l'intera vita lavorativa, permettono affari
a soggetti istituzionali in grado di offrire servizi a costo stracciato.
Gli interessi mediatici - che sono altri affari - tengono i riflettori
accesi su vicende come quella ricordata. Ma per illuminare la questione
calcistica. Se questa si risolve, il resto non conta. Noi ci terremmo che
contasse, per vederci chiaro. E soprattutto per alimentare la volonta' di un
progetto politico e culturale di societa' dei mediatori organizzati e
competenti, basata su equita' e giustizia.
*
Note bibliografiche
E. Canetti (2004, 1960), Massa e potere, Milano, Adelphi.
H. Jonas (1990, 1979), Il principio responsabilita', Torino, Einaudi.
A. Semerari (1991), I processi cognitivi nella relazione terapeutica, Roma,
Carocci (gia' La Nuova Italia Scientifica - Nis)
D. Napoletani (1984), Al di la' dell'individuo, "Ruolo Terapeutico", 36, pp.
20-26.

3. MATERIALI. L'INDICE DE "IL GIORNO DELLA MEMORIA" DI GIORGIO GIANNINI
[Ringraziamo Giorgio Giannini (per contatti: giannini2000 at libero.it) per
averci messo a disposizione l'indice del suo recente libro Il giorno della
memoria. Per non dimenticare, Edizioni Associate, Roma 2005, pp. 406, euro
18. Giorgio Giannini, nato a Roma nel 1949, docente di discipline
giuridiche, storico della Resistenza e della nonviolenza, impegnato in vari
centri studi e movimenti per la pace e i diritti umani. Opere di Giorgio
Giannini: segnaliamo almeno L'obiezione di coscienza, Satyagraha, Torino
1985; L'obiezione di coscienza al servizio militare. Saggio
storico-giuridico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1987; (a cura di), La lotta
nonarmata nella Resistenza, Centro Studi Difesa Civile, Roma 1993; (a cura
di), La Resistenza nonarmata, Sinnos, Roma 1995; (a cura di), L'opposizione
popolare al fascismo, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1996; Il giorno della
memoria. Per non dimenticare, Edizioni Associate, Roma 2005]

Introduzione
- Perche' il Giorno della Memoria
- L'approvazione della legge 20 luglio 2000 n. 211
- La discussione alla Camera dei Deputati
- L'approvazione al Senato della Repubblica
- Il Giorno della Memoria negli altri Paesi
- Documenti: La legge 20 luglio 2000 n. 211
*
Parte prima: Dall'antisemitismo alla Shoah
- L'antisemitismo in Europa
- Le origini dell'antisemitismo
- Le prime ostilita' contro gli ebrei
- L'antigiudaismo cristiano
- Le prime leggi discriminatorie contro gli ebrei
- La discriminazione degli ebrei nell'impero romano
- La discriminazione degli ebrei negli altri Paesi
- La discriminazione degli ebrei nel Medioevo
- Le accuse infamanti contro gli ebrei
- L'espulsione degli ebrei dai Paesi europei
- I nuovi  provvedimenti discriminatori
- L'emancipazione degli ebrei
- La diffusione dell'antisemitismo nel XIX secolo
- L'antisemitismo in Europa all'inizio del Novecento
- L'antisemitismo nazista
- L'antisemitismo in Germania prima del nazismo
- La supremazia della razza ariana nell'ideologia nazista
- I nazisti conquistano il potere
- I campi di rieducazione
- I primi provvedimenti contro gli ebrei
- L'eliminazione dei disabili e dei malati di mente
- Il Lebensborn
- Le Leggi di Norimberga
- L'emigrazione degli ebrei tedeschi
- La notte dei cristalli
- L'Operazione T4 per la purificazione del Reich
- La guerra e la costituzione dei ghetti ad Est
- La vita nei ghetti
- Il ghetto di Lodz
- Il ghetto di Varsavia
- Il Piano Madagascar
- La Shoah
- Gli eccidi di massa degli Einsatzgruppen
- La deportazione degli ebrei nei ghetti dell'Est
- Verso la "soluzione finale del problema ebraico": La Conferenza di Gross
Wannsee
- Le deportazioni degli ebrei del Reich nei campi di sterminio
- Le deportazioni degli ebrei degli altri Paesi europei
- I campi di sterminio
- Il Campo di Chelmo
- Il Campo di Belzec
- Il Campo di Sobibor
- Il Campo di Treblinka
- Il "Campo misto" di Auschwitz-Birkenau
- Il Campo di Auschwitz I
- Il Campo di Auschwitz II- Birkenau
- Il Campo di Auschwitz III- Monowitz
- Il Campo misto di Lublino-Maidanek
- La vita dei deportati
- Lo sfruttamento del lavoro dei deportati
- Gli esperimenti pseudoscientifici
- Le modalita' del genocidio
- Le fughe e le rivolte nei campi
- La liberazione dei campi
- Lo sterminio: chi sapeva?
- Il processo di Norimberga
- L'opposizione delle Chiese al Nazismo
- La posizione della chiesa cattolica sulla Shoah
- Documenti: Il verbale della conferenza di Gross Wansee
- Documenti: La mappa dei Lager e dei campi di sterminio
- Cronologia della Shoah
*
Parte seconda: Il genocidio dimenticato dei Rom
- Introduzione
- L'arrivo dei Rom in Europa
- La diffusione dei Rom in Europa
- Le cause delle migrazioni
- La  persecuzione secolare dei Rom
- La persecuzione dei Rom all'inizio del Novecento
- La persecuzione da parte dei nazisti
- La normativa nazista contro gli zingari
- La "soluzione finale" della questione zingara
- L'internamento e lo sterminio dei Rom negli altri Paesi
- La politica fascista verso i Rom
- Le condizioni dei Rom dopo la guerra
- Documenti sulla persecuzione dei Rom
*
Parte  terza: Le vittime dimenticate del regime nazista
- I testimoni di Geova
- Introduzione
- La repressione prima del nazismo
- La persecuzione da parte del nazismo
- Si intensifica la repressione
- La persecuzione  dei Testimoni di Geova durante il fascismo
- Le origini e la diffusione del Movimento in Italia
- Inizia la repressione
- La distruzione del Movimento
- Documenti
- Gli omosessuali
- Introduzione
- La situazione prima del nazismo
- La persecuzione durante il regime nazista
- L'internamento nei Lager
- La condizione degli omosessuali in Italia durante il fascismo
*
Parte  quarta: Il fascismo e le leggi razziali
- La diffusione degli ebrei in Italia
- La discriminazione secolare degli ebrei
- Il ghetto di Roma
- L'emancipazione degli ebrei
- L'antisemitismo prima del fascismo
- La prima normativa fascista antiebraica
- La campagna antisemita sulla stampa
- Il "Manifesto della razza"
- La rivista "La difesa della razza"
- L'espulsione degli ebrei dalle scuole
- I provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri
- La "Dichiarazione della razza"
- I nuovi provvedimenti antiebraici per la scuola e l'Universita'
- I "Provvedimenti per la difesa della razza italiana"
- L'approvazione in Parlamento delle leggi razziali
- L'esclusione definitiva degli ebrei dalla societa'
- I campi di concentramento per gli ebrei
- La posizione della chiesa cattolica
- La caduta del fascismo e l'occupazione nazista
- Inizia la deportazione degli ebrei italiani
- La "razzia" degli ebrei romani
- Continua la deportazione degli ebrei
 - I Lager nazisti in Italia
- Il Campo di Fossoli
- Il Campo di Gries
- La Risiera di S. Sabba
- Conclusioni
- Documenti: Le leggi razziali italiane del 1938
- Cronologia dell'antisemitismo in Italia
*
Parte quinta: Gli internati militari italiani in Germania
- Le disfatte militari
- La caduta del fascismo
- Il Governo Badoglio
- Le trattative per l'armistizio
- La firma dell'armistizio a Cassibile
- La proclamazione dell'armistizio l'otto settembre 1943
- La fuga da Roma del re e di Badoglio
- La dissoluzione dell'esercito
- La resistenza dei reparti italiani contro i tedeschi
- La resa della marina e dell'aereonautica
- L'occupazione militare tedesca dell'Italia
- La costituzione della Repubblica sociale italiana
- L'internamento dei militari italiani
- I militari  internati nei Lager
- L'organizzazione dei Lager
- Le modalita' dell'internamento
- Lo status di internato militare
- Lo status di lavoratore civile
- L'assistenza sanitaria
- Il rifiuto di aderire alla Rsi
- La resistenza nei Lager
- Documenti: La mappa dei campi di internamento militare
- Documenti: Gli inviti agli internati ad aderire alla Rsi
*
Appendice
- Gli Schindler italiani: Giorgio Perlasca; Giovanni Palatucci
- I simboli antisemiti; gli emblemi etnici nazisti; i simboli nazisti; i
motti nazisti; i simboli fascisti
- Le organizzazioni fasciste
*
Bibliografia

4. LUTTI. ROSSANA ROSSANDA RICORDA MARIO RASTRELLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 ottobre 2005. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana
Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della
politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me.
Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con
Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma
1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione,
immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri,
Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della
testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e
politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e
interventi pubblicati in giornali e riviste]

Ieri notte ha perduto la vita in un incidente d'auto Mario Rastrelli,
direttore sanitario dell'ospedale San Camillo a Roma, prima vicedirettore
sanitario di Niguarda e poi direttore sanitario all'Asl di Gallarate. Aveva
cinquant'anni, era ancora un giovane uomo sorridente e molto pratico, che
reggeva assieme ad altri "Il manifesto" a Milano e si occupava a livello
nazionale degli studenti, finche' il giornale tenne attorno a se' anche un
brandello di societa' politica. Fu lui a organizzare alla fine degli anni
'70 e nei primi anni '80 i convegni di Milano e di Venezia che, malgrado
fossimo poveri come ora e in molti di meno, riuscimmo a tenere per alcuni
giorni sulle crisi delle societa' dell'Est, molto prima dell'89, radunando
quasi tutta la diaspora del dissenso in Europa, e piu' tardi alcuni giorni
di discussione fitta nella sala dell'amministrazione provinciale milanese
sul tema "Liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro" che resta tuttora
aperto nella sinistra extraparlamentare. Mario fu anche fra i promotori
della rivista milanese "L'ottavo giorno" - quello seguente alla creazione -
sulle societa' dell'Est. La sua compagna Lidia Campagnano lavorava gia' da
tempo con noi.
Finiti gli anni delle grandi speranze e delusioni, Mario non si era
disimpegnato dalla passione politica. Poteva avere compiti ingenti di
direttore sanitario, poteva organizzare per la Regione Lazio l'intera rete
di sostegno sanitario al lungo anno del Giubileo senza che il suo occhio
perdesse un episodio della situazione internazionale - come andassero le
elezioni in Francia o in Germania gli era piu' presente che a qualcuno di
noi. Era stato, come Lidia, furiosamente contro la guerra in Jugoslavia.
Trattato con grande rudezza quando Storace arrivo' alla presidenza della
Regione Lazio, tanto piu' che Mario non aveva alcun partito alle spalle,
torno' al lavoro nella sua Asl, ma certo non fu felice di non poter attivare
quelle sue doti straordinarie di organizzatore, coperte dalla gentilezza dei
modi e dallo sguardo un po' ironico che portava sulle cose del mondo.
Mario lascia Lidia, nostra compagna e amica, e la figlia Viola molto voluta
e teneramente amata, che con lui aveva quel rapporto perfetto che a volte
porta padre e figlia a scoprire il mondo assieme. Avevano appena terminato
uno dei loro viaggi in Europa prima che Viola ricominciasse l'universita'.
La morte ci circonda fra guerre e violenze, a che cos'altro potremmo essere
piu' abituati? Eppure la perdita cosi' brutale e senza senso di un amico
resta una morte particolare e intollerabile.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1107 del 7 novembre 2005

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