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La domenica della nonviolenza. 46
- Subject: La domenica della nonviolenza. 46
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 6 Nov 2005 12:41:11 +0100
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 46 del 6 novembre 2005 In questo numero: 1. Vittorio Bellavite: Il lavoro della Commissione per la verita' e la riconciliazione in Peru' 2. Scott Galindez intervista Mimi Evans 3. Scotto Galindez intervista Deborah Regal 4. Gianfranco Accattino: Rosa Parks 5. Paul Rogat Loeb: Rosa Parks 6. Un nuovo lavoro di Giuseppe Casarrubea 7. Un primo bilancio della quarta giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico 1. ESPERIENZE. VITTORIO BELLAVITE: IL LAVORO DELLA COMMISSIONE PER LA VERITA' E LA RICONCILIAZIONE IN PERU' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2005. Vittorio Bellavite (per contatti: vittorio.bellavite at fastwebnet.it), docente, coordinatore di "Noi Siamo Chiesa" a Milano, da molti anni una delle figure piu' vive del movimento dei cristiani per il socialismo e dell'esperienza delle comunita' di base, e' da sempre impegnato nei movimenti di pace e di solidarieta'] Dopo aver letto le conclusioni dell'"Informe final" (la "relazione conclusiva" della Commissione per la verita' e la riconciliazione in Peru'), una domanda sorge spontanea: come e' potuto accadere che in un paese ancora cosi' disastrato e con un evidente deficit di democrazia, sia uscita da una fonte istituzionale una denuncia tanto lucida, documentata e propositiva? I vent'anni di conflitto armato tra polizia e forze armate da un lato e Sendero luminoso dall'altro che hanno provocato 24.000 morti, molto piu' realisticamente 70.000, sono stati analizzati con imparzialita' dalla "Comision por la veridad y la reconciliation". Dalle conclusioni dell'Informe final esce una lucida denuncia denuncia delle responsabilita' e dei crimini di tutti i soggetti in campo. Ne parlo con Luis Mujica, uno dei responsabili delle ricerche della Comision. Mi dice che, nel passaggio traumatico tra Fujimori e Toledo, c'e' stato un periodo di interregno, quello del presidente provvisorio Valentin Paniagua, nel quale la societa' civile e' riuscita ad imporsi e a ottenere la Commissione, effettivamente indipendente, con personalita' di alto livello morale. Le conclusioni della Commissione non sono state digerite dai partiti, qualcuno ha voltato le spalle, altri hanno sostenuto che lo stato non poteva fare diversamente, che non aveva capito la situazione. Ora - dice Luis - dopo due anni dalla presentazione dell'Informe (28 agosto 2003) l'opinione pubblica lentamente sta diventando piu' consapevole, ma i mezzi di comunicazione non se ne interessano (salvo Canal Ocho che si vede con il decoder, e i quotidiani "El commercio" e "Repubblica" che non sono ostili). * Di qua Lima, di la' la Sierra Il Peru' e' un paese molto diviso, separato, con scarse comunicazioni. Lima e' un altro continente rispetto alla Sierra, bisogna creare cittadinanza vera al di la' della tanta retorica patriottarda dallo scarso significato concreto. Lo stato deve impegnarsi nelle riparazioni alle vittime. Il potere giudiziario e' relativamente autonomo ma molto lento e con pochi strumenti giuridici. Parallelamente alla redazione dell'Informe, nel 2003 su iniziativa di organizzazioni della societa' civile, e in particolare dell'area cristiana di base, si e' costituito il Movimento Para que no se repita (www.paraquenoserepita.org.pe). Ne fanno parte circa cento organizzazioni, ha lavorato alla realizzazione di una marcia da Piura nel Nord fino al confine con la Bolivia da maggio a fine agosto (www.caminataporlapaz.org.pe). Quattro mesi di marcia, di incontri, di contatti. * I diritti umani Incontro Ernesto de la Jara, direttore dell'Istituto de defensa legal (www.idl.org.pe), sorto nel 1983, in prima fila nella difesa dei diritti umani negli anni peggiori, insieme alla Coordenadora nacional de derechos humanos (www.dhperu.org). Il Peru', mi dice, fu visitato da una Commissione dell'Onu contro la tortura, al secondo posto nel mondo dopo la Turchia. Il governo non attacca la Commissione, invece e' violento lo scontro coi partiti, con l'Apra di Garcia (presidente nel periodo buio '85-'90), soprattutto con militari ed ex-militari, con alcuni media. C'e' tanto da fare: bisogna redigere un Registro nazionale delle vittime (sono moltissime: vedove, orfani, feriti, donne stuprate, profughi dalla Sierra a Lima, anche ex-militari...), bisogna pretendere un impegno etico e politico a difesa dell'Informe dai candidati alla presidenza per le elezioni della prossima primavera. Ernesto mi dice che si aspettano di piu' dall'Europa: un maggiore impegno del Parlamento europeo, dall'Italia la continuazione della riconversione di una parte del debito estero con l'obbligo di investire il corrispettivo nell'attuazione delle proposte della Commissione. Il Parlamento peruviano ha stanziato a fine luglio sei milioni di soles ( un milione e mezzo di euro) per le riparazioni alle vittime (ma ne servono 500). Ora si sta discutendo del bilancio per il 2006. Federico Arnillas e' il direttore dell'Asociacion nacional de Centros (Anc), l'autorevole federazione di tutte le ong peruviane. Mi conferma le lentezze nella realizzazione degli interventi di riparazione, la scarsita' delle risorse; ora e' stata istituita una Commissione governativa con la partecipazione della societa' civile per attuare la legge di luglio ma manca ancora il regolamento indispensabile perche' possa funzionare. Federico e' piu' ottimista. Mi dice che in cinque anni (dalla caduta di Fujimori, novembre 2000, a oggi) si e' fatta molta strada. E' invece preoccupato per le prossime scadenze politiche. Che fara', nell'ultimo anno della presidenza Toledo, il nuovo governo di Pedro Pablo Kuczynski decollato a fine agosto? Chi sara' eletto presidente in primavera? Toledo non e' rieleggibile in base alla Costituzione. E cosa si puo' fare in Europa? Mi ripete le indicazioni di Ernesto de la Jara relative al Fondo italo-peruviano istituito con i fondi "condonati" dal governo italiano dopo la campagna per la cancellazione del debito, sulla base della legge 209 del 2000). Si tratta di 116 milioni di dollari per il periodo 2001-2006; nella loro gestione cercano di impegnarsi le ong italiane piu' presenti in Peru' (Mlal,Terra Nuova ed Aspem). Mi ricorda che Unione Europea e Peru' stanno rinegoziando l'accordo per il periodo 2007-2013. Bisogna ottenere che vi siano previsti interventi importanti nella direzione dell'attuazione delle raccomandazioni della Commissione. * "Para que no se repita" Rosa Villaran dirige tutto il movimento "Para que no se repita" ("Affinche' non si ripeta") in una palazzina dove si vive la preoccupazione e la passione di una grande scommessa. Anzittutto mi dice che i morti sono sicuramente ben piu' dei 70.000, indicati dalla Commissione (l'accesso a molti archivi militari e' stato negato). Mi racconta della marcia, sono state coinvolte 250.000 persone e circa 140 collettivita' locali, i chilometri percorsi sono stati 2.200 in 118 giorni. Dovunque si sono intrecciati quipu (e' un sistema di corde di lana e di nodi usato dagli Incas per contare; ora e' diventato un simbolo per la memoria delle vittime della violenza e per esprimere sentimenti di impegno per la pace e la riconciliazione). Mi dice con grande determinazione che il processo difficile di crescita civile e di recupero della memoria e' incominciato con la conclusione della Commissione. Lo considera un percorso veramente lungo; spera molto che il decentramento politico e amministrativo delle istituzioni in corso ora in Peru' possa facilitare rapporti con nuove autorita' locali e che si possa contare di piu' sulla scuola e sui servizi sanitari che sono, di per se', piu' sensibili alle tematiche della difesa dei diritti umani e dei problemi delle vittime del conflitto. Infine, Rosa spera nella "Defensoria del pueblo" (qualcosa di simile al difensore civico), una istituzione inventata nel 1992 da Fujimori per motivi demagogici ma che ora si e' trasformata ed e' esplicitamente alleata dei soggetti della societa' civile. * Una rete di sostegno Rosa Villaran si aspetta che in Europa si organizzi una rete di collegamento e di appoggio a quanti sono impegnati in Peru' per la realizzazione delle Raccomandazioni dell'Informe, cita l'impegno dell'Osservatorio italiano sulla regione andina (www.selvas.org). E conclude invitandomi a non dimenticare una visita a Campo di Marte, il grande parco nel centro di Lima. Li' il 28 agosto, secondo anniversario della consegna delle conclusioni dell'Informe, Salomon Lerner ha inaugurato un monumento alla memoria delle vittime. Un grande cerchio di trenta metri di diametro e' percorso da un labirinto disegnato sul terreno. A fianco, su piccoli sassi bianchi sono scritti i nomi di tutte le 23.969 vittime accertate dalla Commissione e il luogo della morte. Al centro un grande blocco di granito rossastro con una pietra ovale incastonata verso l'alto, a simboleggiare gli occhi. Da essa scende in continuazione un filo d'acqua, testimonianza delle lacrime di sofferenza per le vittime. Il Memorial sara' completato per natale e diventera' per sempre un ricordo delle vittime, destinato a essere conosciuto in tutto il mondo, come l'Esma a Buenos Ayres e Villa Grimaldi a Santiago. * Scheda: Una sintesi dell'"Informe final" La "Comision por la verdad y la reconciliation" fu istituita nel giugno del 2001 dal presidente provvisorio del Peru' Valentin Paniagua per accertare quanto avvenuto tra 1980 e il 2000 nel "conflitto armato interno" tra il Partido Comunista Peruano-Sendero Luminoso (ed anche l'Mrta, Movimiento Revolucionario Tupac Amaru) e la polizia e le forze armate. Inoltre, doveva proporre raccomandazioni in vista di una riconciliazione nazionale. Presieduta da Salomon Lerner, rettore dell'Universita' cattolica di Lima, era costituita da dodici personalita' indipendenti. Il Rapporto conclusivo (Informe final) e' stato diffuso il 28 agosto 2003. Le conclusioni generali sono costituite da 171 punti che non solo descrivono i fatti ma fanno anche un'analisi storico-critica della storia peruviana di venti anni con giudizi molto precisi, con i nomi dei responsabili. 23.969 sono i peruviani morti o scomparsi di cui sono stati accertati i nomi e i cognomi, ma la Commissione ha calcolato che essi siano stati quasi settantamila. Un numero impressionante, anche perche' sono state tutte vittime di armi da fuoco leggere ed in gran parte civili (soprattutto contadini poveri della Sierra che parlavano il quechua, donne e bambini ma anche militari e senderisti). La responsabilita' "immediata e fondamentale" e' attribuita dalla Commissione a Sendero Luminoso, una formazione che si ispirava al maoismo (conquistare il potere dalle campagne, cioe' dalla Sierra) e che, a posteriori, ha dimostrato di avere una pratica polpottista. Anche l'Mrta (protagonista dell'occupazione dell'ambasciata giapponese nel 1996) viene accusato di violenze, uccisioni e violazione dei diritti umani, ma in misura ben minore (1,8% dei casi accertati, contro il 53,68 di Sendero). Ma la Commissione accusa anche pesantemente la polizia e le forze armate il cui comportamento, per lunghi periodi e nelle aree piu' povere del paese (Ayacucho), ha violato qualsiasi regola di comportamento di un'azione antisovversiva rendendisi responsabili di massacri, violenze sessuali, detenzioni arbitrarie, a spese soprattutto dei campesinos stretti tra le due fazioni in lotta. La Commissione non risparmia giudizi severi su tutti. Si salvano le organizzazioni per la tutela dei diritti umani e le chiese: per la chiesa cattolica, in particolare, l'area che faceva capo alla teologia della liberazione e a vescovi come Luis Bambaran. Ma la Commissione e' pesante nei confronti dell'allora arcivescovo di Ayacucho Luis Cipriani (ora Cardinale di Lima, dell'Opus Dei) "che ostacolo' le attivita' delle organizzazioni della Chiesa impegnate sui diritti umani", mentre "negava l'esistenza della loro violazione nella sua giurisdizione". La Commissione aveva solo compiti di ricerca della verita' e di proposta. Nelle raccomandazioni finali ha proposto riforme istituzionali per fare del Peru' un vero stato di diritto, riparazioni integrali alle vittime, un piano nazionale di accertamento delle fosse comuni, chiamata in giudizio dei responsabili, comunque provvedimenti amministrativi nei confronti dei colpevoli, tutela dei testimoni e amnistie e indulti solo negli stretti limiti stabiliti dalla Corte interamericana dei diritti umani. 2. TESTIMONIANZE. SCOTT GALINDEZ INTERVISTA MIMI EVANS [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista. Scott Galindez e' direttore esecutivo di "Truth Out". Mimi Evans, del Massachusetts, ha un figlio nei Marine che si trova in Iraq] - Scott Galindez: Mimi, ti dispiacerebbe presentarci tuo figlio Lee? - Mimi Evans: Lee e' il mio figlio di mezzo, quello che si e' sempre caricato di responsabilita'. Dal giorno in cui ha lasciato la culla per un lettino, lo ha sempre rifatto. Confrontandolo con i suoi piu' creativi fratelli trovavo la sua autodisciplina un po' snervante, ma lasciavo perdere. Quando era adolescente, senza che ci fosse bisogno di incitarlo, Lee faceva tutte quelle che cose che gli adolescenti tendono a non voler fare, tipo portare via la spazzatura o potare la siepe. Forse avrei dovuto preoccuparmi, ma a scuola andava bene, conduceva un programma alla radio del liceo, giocava a football ed era il capitano della squadra, suonava in un gruppo, e cosi' via. Lee ando' a lavorare per una impresa a New York, dopo il college, e ci si trovava bene, pero' il lavoro non lo appassionava. Era il 1999 quando mi chiamo' al telefono per dirmi due cose: che intendeva iscriversi ad una scuola di legge, il che mi rendeva gia' un po' infelice stante la mia avversione per i conflitti, e che si sarebbe arruolato nei Marine. Io cominciai a piangere. Ero alla mia scrivania, in ufficio, con i colleghi che mi guardavano meravigliati mentre lui continuava a ripetermi: "Non piangere, non piangere". Insomma, entrambe le sue decisioni furono traumatiche per me, ma non era la mia, di vita, non pensavo di dover interferire. Credo che Lee abbia voluto diventare un avvocato ed un Marine perche' suo padre era entrambe le cose, era un veterano del Vietnam. Lee si sposo' un paio di anni dopo e fu promosso capitano. Gli mancava un anno al congedo quando lo inviarono in Iraq, all'inizio dello scorso settembre, proprio quando lui e sua moglie annunciarono di aspettare un bambino.Oggi si trova a circa 50 miglia da Baghdad con la sua unita'. Sua moglie e' andata a stare dai propri genitori. Dovrebbe fare ritorno in marzo, ed io sto contando i giorni da quando e' partito. E man mano che li conto, divento sempre piu' arrabbiata. Lee e' in Iraq per ragioni ignobili, ovvero per nessuna ragione. Lui ed i suoi colleghi dell'esercito stanno combattendo i mulini a vento e corteggiando una morte violenta priva di senso. Sono pedine in un gioco che nessuno puo' vincere. L'uomo che li ha mandati la' non puo' provare quello che proviamo noi genitori. Le sue lacrime di coccodrillo sono un insulto alle duemila famiglie che hanno sacrificato i propri figli. Certo, sostengo le nostre truppe, chi non lo farebbe? Ma e' il modo in cui lo si fa, ad essere importante. L'esercito americano dovrebbe essere usato per scopi piu' nobili e costruttivi. * - Scott Galindez: Quali sono i sentimenti di Lee, rispetto alla guerra? - Mimi Evans: Molto prima che ricevesse l'ordine di partire per l'Iraq in famiglia discutevano della guerra. Erano discussioni politiche, di persone che si erano sempre interessate a cio' che accadeva nel mondo. Dopo la sua partenza, con Lee non ho piu' affrontato il lato politico della guerra. Mi ha detto che ai Marine e' stato ordinato di sparare su tutto cio' che gli ingombra la strada. "Non siamo noi a decidere, ha aggiunto, Sono i civili, quelli che hanno votato, a volere che noi si stia qui. Possiamo anche pensare che veniamo usati nella maniera sbagliata, ma non sta a noi decidere". Questo e' cio' che mi dice il Marine. Come si sente a livello umano lo so, ma non penso di dover parlare per lui. La mia opposizione alla guerra e' sincera, ed e' mio diritto dire la mia opinione. * - Scott Galindez: Che cosa diresti alle altre madri che hanno un figlio o una figlia in Iraq? - Mimi Evans: Continuate a dir loro che li amate, sempre. Scrivete loro delle cose che ricordate della loro infanzia. Se pregate, continuate a farlo, ma non deducete che "Dio li proteggera'" perche' pregate. Anche le famiglie dei duemila uccisi hanno pregato. Dio puo' essere di conforto a voi ed ai vostri figli, ma non e' Dio a controllare il male, e la guerra e' male, male, non importa da che parte la si combatta. E alle madri che hanno figli che vogliono arruolarsi direi: fate tutto il possibile per dissuaderli. L'esercito non e' sempre onesto nella promesse che fa ai ragazzi. Se vostro figlio vuole servire il proprio paese ha innumerevoli altre opzioni di fronte, come andare ad insegnare in un'area degli Usa dove vivono famiglie a basso reddito. * - Scott Galindez: Da chi possono avere sostegno, le famiglie che hanno soldati in Iraq? - Mimi Evans: Io sono stata fortunata, ho trovato "Military Families Speak Out" (Mfso). Gli organizzatori, Nancy Lessin e Charley Richardson, trattano ciascun membro dell'organizzazione come se fosse un loro parente. Il sito web ha molti link utili per contattare altri gruppi. Quando mio figlio ricevette l'ordine di partire ed io ero particolarmente disperata, "Military Families Speak Out" chiese ad un'altra madre di un Marine che era gia' in Iraq di chiamarmi, e di condividere con me come si era sentita, e come era uscita dalla depressione. Ho imparato un gran numero di cose dall'Mfso, e non mi sento piu' sola. I genitori che sentono di aver bisogno di aiuto possono anche contattare "United For Peace and Justice" (Uniti per la pace e la giustizia) ed e' facile che troveranno un gruppo nella loro zona. Sebbene io viva in un luogo piuttosto isolato, ho trovato grande sostegno nei locali membri di "United For Peace and Justice". Mi e' stato di incalcolabile aiuto protestare contro la guerra con questi nuovi amici, piuttosto di restarmene seduta in casa. Non importa quanto uno e' timido, in questo modo puo' trovare la propria voce, e dire cio' che ha bisogno di dire. * - Scott Galindez: C'e' altro che vorresti far sapere alle nostre lettrici e ai nostri lettori? - Mimi Evans: Si', il fatto che la maggior parte degli americani non sono coinvolti per nulla in questa guerra (meno dell'uno per cento dei nostri cittadini sono in Iraq o in Afghanistan o ci sono stati) e' secondo me la ragione principale per cui la guerra continua. Qui a casa noi continuiamo a passeggiare in centro e a guardare le partite in televisione e a guidare le nostre automobili: non vediamo le immagini di orrore di cio' che sta veramente accadendo laggiu' e non ci viene chiesto di modificare le nostre confortevoli vite americane in nessun modo. Non appena l'opinione pubblica comincia a non sostenere la guerra, ecco che ci si presenta un altro "allarme terrorismo" e niente cambia. I politici, di ambo i partiti, stanno ancora biascicando scuse per giustificare la permanenza in Iraq. Ebbene, mi verrebbe voglia di chiedere loro di mandarci i propri figli e le proprie figlie. Ma tanto non lo farebbero, non c'e' niente da vincere. Vorrei sapere dov'e' finita l'indignazione e la capacita' di dissentire, nella coraggiosa America. E' la nostra complicita' a permettere che si continui ad ammazzare e a morire. L'unico onore che si puo' ricavare da questa guerra, l'unica cosa che farebbe di Bush un presidente, sarebbe prendersi cura degli americani abbastanza da portare a casa le truppe ora. - Scott Galindez: Grazie per aver condiviso la tua storia con noi. 3. TESTIMONIANZE. SCOTT GALINDEZ INTERVISTA DEBORAH REGAL [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista. Scott Galindez e' direttore esecutivo di "Truth Out". Deborah Regal, del Michigan, ha un figlio nei Marine che si trova in Iraq] - Scott Galindez: Per favore, presentaci tuo figlio Justin. - Deborah Regal: Justin ha 26 anni, e' il secondo dei miei cinque figli. Quand'era piccolo era affascinato da ogni cosa avesse ruote o ali. Aveva circa quattro anni quando punto' con il dito un aereo che passava e grido': "Un aeroplano! Un giorno io ci volero' sopra!". E' sempre stato gentile, generoso. Quando aveva dieci anni costrui' con le sue mani una complicata casetta per le bambole, per sua sorella. Quattro anni fa e' venuto ad aiutarmi nei campi ed ogni pianta riceveva da lui attenzione speciale: tutte quelle che ha piantato stanno ancora fiorendo. All'ultimo anno del liceo approfitto' di uno scambio culturale fra studenti ed ando' in Svizzera: mungeva mucche tutti i giorni, sciava e faceva sfoggio del suo senso dell'umorismo. Tutti i nostri parenti conoscono la sua filosofia, e cioe': "Le regole sono fatte per essere violate". Che ironia, il fatto che sia finito volontario nei Marine! Sebbene fosse brillante ed avesse avuto voti eccellenti alle superiori, stento' ad orientarsi quando frequentava l'Universita' del Michigan. Alla fine lascio' gli studi e ando' a lavorare come tassista in un'altra citta'. Infine, nel 2001, si iscrisse al programma per meccanici d'aviazione che c'era nella sua zona, ed era molto eccitato dal trovarsi finalmente in mezzo agli aerei, e voleva essere addestrato anche come pilota. Pensava che il lavoro non gli sarebbe mancato, se avesse completato l'addestramento con successo. Ma poi venne l'11 settembre del 2001. In aggiunta all'orrore e al dolore di quel giorno, esso lascio' fra le eredita' negative un impatto sull'aviazione commerciale statunitense. Quando Justin comincio' a chiedere di essere assunto, gli fu piu' volte risposto che solo nell'esercito avrebbe avuto l'opportunita' di fare il lavoro che gli piaceva e per cui era stato istruito. Alla fine di quel settembre, mi lascio' un messaggio in segreteria, un messaggio del tutto normale salvo che per la frase finale: "Ah si', mamma, volevo anche dirti che mi sono arruolato nei Marine". Click. Continuai a risentire il messaggio, tante, tante volte... Oggi mio figlio si trova in Iraq, nella provincia di al Anbar. Ogni notte prima di addormentarmi mi chiedo dove sia Justin, e cosa stia accadendo dentro di lui e attorno a lui. Ogni volta in cui qualcuno suona alla porta, o il telefono squilla, mi sento come se stessi per annegare: forse dall'altra parte della porta, o all'altro capo del filo, ci sono le notizie che ho il terrore di ricevere? Io sono una donna che ha fede, e prego, per il benessere di Justin, per la salvezza delle nostre truppe e del popolo iracheno, e perche' mi sia concesso di avere il coraggio e la forza di affrontare qualsiasi cosa io debba affrontare. Nelle mie preghiere, chiedo anche perdono per la complicita' che ho in passato fornito ai sistemi politici, sociali ed economici di questo paese che hanno iniziato e perpetuato l'occupazione dell'Iraq. Inoltre, continuo ovviamente a denunciare le ingiustizie che questa illegale occupazione comporta. La mia paura per Justin avrebbe potuto paralizzarmi. Ma mi sono detta che la mia paura non era piu' grande di quella che i genitori iracheni hanno per i loro bambini, o delle altre famiglie con membri nell'esercito dislocati in Iraq. In uno strano modo, i sentimenti di terrore e di indignazione hanno reso piu' profonde la mia compassione, il legame con coloro che soffrono, e la mia urgenza di agire. * - Scott Galindez: Quali sono i sentimenti di Justin rispetto alla guerra? - Deborah Regal: Non sono del tutto sicura di quali siano. In genere crede che l'uso della forza possa essere giustificato, ma dalle conversazioni che abbiamo avuto, ho capito che non e' convinto delle ragioni fornite all'origine della nostra invasione, ovvero la storia sulle armi di distruzione di massa. So che ha sofferto molto per la perdita di alcuni suoi compagni. In una e-mail che mi ha mandato ha scritto: "Non preoccuparti per me, pensa a loro". * - Scott Galindez: Cosa rispondi all'accusa di star sostenendo il nemico perche' ti opponi alla guerra? - Deborah Regal: Che e' triste, quando la richiesta di verita', integrita' e rispetto delle leggi internazionali viene vista come qualcosa di sovversivo, o che sostiene "il nemico". Permettimi di essere chiara: io mi oppongo all'uso della forza per risolvere i conflitti, ed in ogni caso mi oppongo alle tattiche che infliggono dolore e morte ai civili. * - Scott Galindez: Che consigli daresti a una madre il cui figlio o figlia adolescente vuole arruolarsi nell'esercito? - Deborah Regal: Le direi che l'esercito non e' una delle "vocazioni" a disposizione, ne' una strada economica per pagare il college. I possibili costi di questa scelta sono la morte, ferite gravi, danni alla psiche e all'anima. Le direi di leggere le regole del servizio, in un documento che si chiama "The Enlistment / Reenlistment Document for the Armed Forces of the United States". Non e' un contratto, perche' in un contratto ambo le parti sono responsabili, e ciascuna puo' rescinderlo se l'altra non soddisfa gli obblighi che ha preso. Le regole del servizio non danno alcuna protezione a chi si arruola, ma contengono moltissimi riferimenti al fatto che nessuna delle promesse fatte dai reclutatori puo' essere considerata vincolante. I termini del servizio possono essere allungati senza il consenso di chi si arruola, e le regole contenute nel documento cambiare senza che ne sia data notizia a chi presta servizio. Basandomi su questa realta', consiglierei con particolare fervore ogni genitore di un ragazzo che voglia arruolarsi di accompagnarlo a tutti gli incontri con i reclutatori, e di chiedere a questi ultimi il documento che ho citato. Leggetelo con vostra figlia o vostro figlio, sottolineate i punti ambigui e confusi, e quelli che vi preoccupano. Prendere una decisione di questo tipo e' importante, e allora e' importante avere tutte le informazioni prima di firmare qualsiasi cosa. * - Scott Galindez: Tu hai il coraggio di opporti alla guerra a voce alta. Cosa diresti ad altri genitori di soldati che non sostengono la guerra, ma sono impauriti dall'idea di esporsi? - Deborah Regal: I nostri figli e i nostri parenti che sono nell'esercito hanno giurato di difendere la nostra Costituzione e di difenderci dai nemici. Il Codice militare proibisce loro di esprimersi in certe maniere contro la politica del governo: cio' include la critica aperta all'agenda politica dell'amministrazione Bush che ha avuto come risultato l'invasione dell'Iraq. A questo punto chi deve chiedere alle persone che abbiamo eletto di rispondere per aver creato una simile situazione in Iraq? Che valore ha la nostra Costituzione, quella stessa che i nostri cari sono chiamati a difendere con le loro vite? Per me, parlare a voce alta del mio dissenso e' un imperativo morale. A volte temo che vi siano ritorsioni su Justin. Ma io credo che il bene piu' grande che posso fare, per lui e per tutti gli altri nelle forze armate, sia quello di mostrare all'opinione pubblica i costi umani, ambientali ed economici di questa guerra illegale. Percio' agli altri genitori dico: parlate a voce alta, non siete soli. - Scott Galindez: Grazie per aver condiviso questo con noi. 4. MEMORIA. GIANFRANCO ACCATTINO: ROSA PARKS [Ringraziamo gli amici del mensile torinese "Il foglio" (per contatti: www.ilfoglio.org) per averci messo a disposizione il seguente intervento di Gianfranco Accattino in memoria di Rosa Parks. Gianfranco Accattino e' uno dei redattori del mensile torinese "Il foglio". Rosa Parks, recentemente scomparsa, e' la donna che diede inizio al grande movimento nonviolento contro la segregazione razziale a Montgomery, Alabama, nel 1955; un suo profilo e' nel n. 1096 di questo foglio; si veda anche il ricordo di Alessandro Portelli nel n. 1099] Si discute in questi giorni su quale sia l'origine dei diritti umani. Ci puo' illuminare la vicenda di Rosa Parks, morta a 92 anni in poverta', vedova e senza figli, il 24 ottobre nel suo alloggetto di Detroit. Un diritto civile puo' nascere nel momento in cui una donna nera di 42 anni, di professione sarta, cittadina di Montgomery, Alabama, sale su un autobus, occupa un posto vietato ai neri e rifiuta di cederlo a un passeggero bianco. Quella donna era Rose Parks, ed era il 1955. Fu arrestata, passo' una notte in carcere e dovette pagare una multa di 14 dollari. Il suo gesto era stato spontaneo, ma non istintivo, bensi' maturato dalla sua coscienza di militante della National Association for the Advancement of Colored People. La Naacp raccolse il suo segnale, ne fece la scintilla di una campagna collettiva di liberazione. Nella chiesa battista di Montgomery, un giovane pastore lancio' la parola d'ordine: "Nessun cittadino di colore salga su un autobus". Il boicottaggio duro' 381 giorni. Il pastore si chiamava Martin Luther King. Il riconoscimento di un diritto e' gratuito per chi lo riceve al termine di una lotta, ma mai per chi lo rivendica lottando. Rosa Parks perse il lavoro e dovette trasferirsi con il marito al nord, a Detroit, dove ha continuato a combattere fino a ieri. Martin Luther King, che otto anni dopo lo sciopero dei bus proclamava al mondo dalla spianata di Washington "I have a dream", fu ucciso nel 1968. Nel frattempo c'era stato altro sangue: l'assassinio di Malcolm X, la strage di Birmingham (sempre Alabama), ma le voci libere non si lasciarono mai soffocare. I cori continuavano a cantare di liberta': "And the choirs kept singing of Freedom", cosi' Joan Baez piangeva le quattro bambine dilaniate dalla bomba nella chiesa di Birmingham. Nel 1965 infine fu firmata dal presidente Johnson la prima di una serie di leggi federali contro la discriminazione razziale in ogni aspetto della vita civile. I diritti civili riconosciuti e affermati dagli Stati nascono nella coscienza dei singoli, sanno resistere e sopravvivere alla violenza che uccide i corpi ma non le idee, si diffondono attraverso lo scontro democratico, possono evolversi, anche esserci sottratti. Ci sostiene solo la certezza che ci sara' sempre una donna capace, per un diritto suo e di tutti, di rimanere seduta sull'autobus. Farewell, Rosa, hai lasciato una grande eredita' al mondo. 5. MEMORIA. PAUL ROGAT LOEB: ROSA PARKS [Ringraziamo gli amici del mensile torinese "Il foglio" (per contatti: www.ilfoglio.org) per averci messo a disposizione nella t raduzione di Gianfranco Accattino il seguente intervento di Paul Rogat Loeb in memoria di Rosa Parks, tratto da "Sojourners' voice for justice and peace" (per contatti: sojoMail at sojo.net) del 2 novembre 2005. Paul Rogat Loeb, nato in California nel l952, e' impegnato da sempre nei movimenti contro la guerra, per i diritti civili e per la nonviolenza, saggista, conferenziere, collaboratore di molte testate. Opere di Paul Rogat Loeb: Nuclear Culture (New Society Publishers); Hope in Hard Times (Lexington Books); Generation at the Crossroads: Apathy and Action on the American Campus (Rutgers University Press, 1994); Soul of a Citizen: Living With Conviction in a Cynical Time (St Martin's Press 1999); The Impossible Will Take a Little While: A Citizen's Guide to Hope in a Time of Fear (Basic Books, 2004)] Noi impariamo molto dal modo con cui presentiamo i nostri eroi. Alcuni anni fa, nella Giornata di Martin Luther King, fui intervistato dalla Cnn. Contemporaneamente fu intervistata Rosa Parks, per telefono da Los Angeles. "Siamo molto onorati di averla con noi", disse il conduttore. "Rosa Parks e' la donna che non volle spostarsi al fondo dell'autobus. Non volle alzarsi e dare a un bianco il suo posto nella zona riservata ai bianchi. Questo mise in moto il boicottaggio, lungo un anno, degli autobus di Montgomery. E fece guadagnare a Rosa Parks il titolo di 'madre del movimento dei diritti civili'". Io ero emozionato nell'udire la voce di Rosa Parks e di partecipare con lei alla trasmissione. Ma mi resi conto che la descrizione fornita dal conduttore - la classica ricostruzione della storia, la stessa ripetuta in molti dei suoi necrologi - sottraeva il boicottaggio di Montgomery da tutto il suo contesto. Prima di rifiutarsi di cedere il suo posto sul bus, Rosa Parks era stata per dodici anni una attiva componente della sezione locale della Naacp [la storica organizzazione del movimento per i diritti civili - ndr], di cui era segretaria. Nell'estate precedente il suo arresto, aveva seguito un corso di addestramento di dieci giorni alla scuola di organizzazione dei diritti civili e del lavoro in Tennessee, il Centro Highlander, dove aveva incontrato una generazione piu' matura di attivisti dei diritti civili, come l'insegnante della South Carolina Septima Clark, e aveva discusso la recente decisione della Corte Suprema che bandiva le scuole "separate-ma-eguali". Durante il suo periodo di coinvolgimento e formazione, Rosa Parks aveva preso conoscenza di precedenti episodi di sfida alla segregazione: un altro boicottaggio degli autobus a Montgomery, cinquant'anni prima, era riuscito a rimuovere con successo alcune restrizioni; un boicottaggio degli autobus a Baton Rouge aveva raggiunto alcuni pur limitati vantaggi, due anni prima dell'arresto di Rosa Parks; e nella primavera precedente, una giovane donna di Montgomery si era anch'essa rifiutata di spostarsi al fondo dell'autobus, spingendo la Naacp a prendere in considerazione un'azione legale, finche' non risulto' che la donna era incinta e non sposata, e quindi poco adatta a diventare un simbolo per una campagna di massa. * In breve, quella di Rosa Parks non fu la decisione improvvisata di un momento. Lei non diede vita con un atto individuale alle lotte per i diritti civili, ma era gia' parte di un preesistente movimento di rinnovamento, in un momento in cui il successo era ben lontano dalla certezza. Tutti conosciamo il nome di Rosa Parks, ma pochi di noi sanno qualcosa di E. D. Nixon, il leader della Naacp di Montgomery, che fu uno dei suoi ispiratori e che per primo coinvolse Martin Luther King. Nixon portava le valige della gente sui treni, e fu attivo nella "Fratellanza dei facchini dei vagoni-letto", il sindacato fondato dal leggendario attivista dei diritti civili A. Philip Randolph. Egli ebbe un ruolo chiave nella campagna. Nessuno parla di lui, cosi' come nessuno parla di Joann Robinson, che insegnava in una povera e segregata universita' per soli neri, e il cui Consiglio politico femminile distribui' i primi volantini a seguito dell'arresto di Rosa Parks. Senza il lavoro, spesso solitario, di persone come Nixon, Randolph e Robinson, Rosa Parks non avrebbe forse mai assunto il suo ruolo, e se anche lo avesse raggiunto, cio' non avrebbe comunque mai avuto lo stesso impatto. Tutto cio' non diminuisce affatto il potere e l'importanza storica del rifiuto di Rosa Parks di cedere il suo posto. Ma ci ricorda che questo atto tremendamente coerente, con tutto quello che venne dopo, dipendeva da tutto il lavoro umile e frustrante che Rosa Parks e altri avevano condotto fino ad allora. Ci ricorda pure che per Rosa Parks la decisione iniziale di impegnarsi fu altrettanto coraggiosa e critica quanto il gesto di rimanere seduta sul bus di cui tutti noi abbiamo sentito parlare. * Persone come Rosa Parks definiscono i nostri modelli di impegno sociale. Tuttavia, dalle risposte alle conferenze che ho tenuto per tutto il paese, mi rendo conto che la maggior parte dei cittadini non conoscono la storia completa del suo coinvolgimento. E il racconto ritagliato convenzionalmente crea un modello cosi' impossibile da seguire, che potrebbe di fatto rendere piu' difficile per noi lo sforzo di volersi coinvolgere, allontanando cosi', sia pure inavvertitamente, le piu' robuste lezioni di speranza che Rosa Parks ci ha dato. Questo ritratto convenzionale suggerisce che gli attivisti sociali scaturiscono dal nulla, per assumere improvvisamente un ruolo gigantesco. Cio' implica che noi possiamo agire con il massimo di impatto solo quando agiamo da soli, almeno inizialmente. E implica pure che il cambiamento avviene istantaneamente, non attraverso la lenta costruzione di una serie di piccole azioni spesso invisibili. Il mito di Rosa Parks come attivista solitaria rafforza l'idea che chiunque assuma un ruolo di impegno pubblico, o almeno un ruolo di una qualche efficacia, deve essere una figura al di fuori del normale - qualcuno con piu' tempo, energia, coraggio, sguardo sul futuro o conoscenza di quanta ne possa possedere ogni persona normale. Questa convinzione pervade la nostra societa', in parte perche' i media tendono a non rappresentare l'evoluzione storica come il risultato degli sforzi di esseri umani ordinari, come invece di fatto e' quasi sempre. Una volta che i nostri eroi sono innalzati su un piedistallo, diventa arduo per i comuni mortali guardarli negli occhi e confrontarsi con loro. In qualunque modo degli individui parlino, siamo tentati di rifiutare le loro motivazioni, le loro conoscenze, le loro tattiche perche' non abbastanza grandiose o eroiche. Rimproveriamo loro di non avere sotto controllo ogni fatto, ogni cifra, o di non avere una risposta per ogni domanda. Rimproveriamo anche noi stessi, allo stesso modo, per non possedere ogni minimo dettaglio, o per coltivare incertezze e dubbi. Ci pare arduo immaginare che degli esseri umani comuni, con difetti comuni, possano fornire un apporto critico e differente alle cause di utilita' sociale. In realta', coloro che passano all'azione hanno tutti le loro imperfezioni, e ampie ragioni per rinunciare all'impegno. "Io penso non ci si rende un servizio utile", dice una giovane attivista afroamericana di Atlanta, Sonya Tinsley, "quando le persone che lavorano per il progresso sociale sono presentate come santi - molto piu' nobili di tutti noi. Ci facciamo la falsa sensazione che essi erano chiamati ad agire dal momento stesso in cui erano nati, che non hanno mai conosciuto dubbi, che erano immersi in un'aureola di luce. Ma io mi sento molto piu' ispirata dall'imparare come quelle persone hanno vinto nonostante i loro fallimenti e le loro incertezze. E' un'immagine molto meno intimidatoria. Fa si' che io mi senta di avere anch'io una possibilita' di cambiare le cose". Sonya ha ascoltato di recente una conversazione tenuta da uno dei professori di Martin Luther King a Morehouse, in cui ricordava quanto Martin Luther King aveva dovuto lottare al suo primo ingresso all'universita', avendo preso, per esempio, solo una "C" al suo primo esame di filosofia. "Ho trovato cio' molto incoraggiante, quando l'ho sentito", dice Sonya, "con tutto quello che Martin Luther King e' riuscito a ottenere. Mi ha dato la convinzione che quasi tutto e' possibile". * L'errata lettura che la nostra cultura fa della storia di Rosa Parks rivela una piu' generale amnesia collettiva, con cui noi dimentichiamo gli esempi che piu' potrebbero ispirare il nostro coraggio, la nostra speranza e la nostra coscienza. Fuori dai momenti ovviamente tragici dei conflitti militari, la maggior parte di noi sa poco o nulla delle tante battaglie che uomini e donne comuni combattono per garantire la liberta', espandere la sfera della democrazia, e creare una societa' piu' giusta. Dei movimenti abolizionisti e per i diritti civili, noi ricordiamo al massimo alcune figure-chiave, e spesso fraintendiamo le loro reali vicende. Sappiamo anche meno di tutti i leader popolari che a cavallo tra Ottocento e Novecento sfidarono radicati interessi economici e combatterono per un "mondo comune cooperante". Chi oggi sa raccontare la storia dei movimenti sindacali che misero fine alle settimane di lavoro di ottanta ore a salari di fame? Chi conosce le origini del sistema di sicurezza sociale, oggi minacciato dai tentativi sistematici di privatizzarlo? Come accadde che il movimento per il voto alle donne si diffuse attraverso centinaia di citta', e accumulo' tanta forza da riuscire ad affermarsi? Quando sparisce la memoria di questi eventi, noi perdiamo la conoscenza dei meccanismi che movimenti sociali radicati nella popolazione hanno saputo usare con successo nel passato per smuovere l'opinione pubblica e sfidare un agguerrito potere istituzionale. Allo stesso modo vanno persi i mezzi con cui i partecipanti a questi movimenti riuscirono a resistere e infine a prevalere in circostanze dure almeno quanto lo sono quello che fronteggiamo oggi. * Ripensiamo ai diversi modi in cui si puo' inquadrare la storica azione di Rosa Parks. Secondo il mito prevalente, Rosa Parks decide di agire quasi per un capriccio, isolatamente. Lei e' vergine alla politica, una santa innocente. La lezione sembra essere che se ognuno di noi improvvisamente avverte l'impulso a fare qualcosa di egualmente eroico, cio' sarebbe una grande cosa. Naturalmente quasi nessuno di noi riceve l'impulso, e cosi' tutti aspettiamo per tutta la vita che ci capiti il momento ideale. La vera storia di Rosa Parks ha una morale ben piu' consistente. Lei comincia con piccoli passi apparentemente modesti. Va a una riunione, poi a un'altra, aiuta a formare la comunita' che a sua volta la sosterra' nel cammino. Al principio esitante, prende confidenza con il parlare chiaro. Tiene duro a dispetto di un contesto profondamente incerto, lei e altri agiscono al meglio di loro stessi per contrastare delle ingiustizie profondamente radicate, con poca certezza dei risultati. Se lei o gli altri avessero rinunciato dopo dieci o undici anni di impegno, noi non avremmo mai sentito parlare di Montgomery. Rosa Parks ci ricorda inoltre che, anche in una causa apparentemente persa, una persona puo' ispirare un'altra senza esserne cosciente, e quella persona ancora influisce su una terza, che puo' allora andare avanti a cambiare il mondo, o almeno un piccolo angolino del mondo. Raymond, il marito di Rosa Parks, la convinse a partecipare alla sua prima riunione della Naacp, il passo iniziale di un percorso che la porto' al giorno fatidico sull'autobus di Montgomery. Ma chi aveva convinto Raymond? E perche' si era impegnato per convincerlo? Quali esperienze avevano modellato la loro visione del mondo, avevano costruito le loro convinzioni? I legami in ogni catena di influenza tra le persone sono troppo numerosi e troppo complessi per poter essere ricostruiti. Ma la consapevolezza che esistono queste catene, che noi possiamo scegliere di entrare a farne parte, e che il cambiamento duraturo non puo' realizzarsi in loro assenza, e' uno dei modi principali per sostenere la speranza, specialmente quando le nostre azioni paiono cosi' insignificanti da contare nulla. Infine, la vicenda di Rosa Parks insegna che il cambiamento e' il risultato di una azione deliberata e incrementale, con cui noi ci uniamo insieme per dare forma a un mondo migliore. Qualche volta le nostre lotte falliranno, come fallirono molti tentativi iniziali di Rosa Parks, dei suoi compagni, dei suoi predecessori. Altre volte porteranno risultati modesti. E talvolta invece scateneranno un miracoloso fiorire di coraggio e di cuore - come accadde con il suo arresto e tutto cio' che ne segui'. Poiche' solo quando noi agiamo a dispetto di tutte le nostre incertezze e dubbi abbiamo una possibilita' di fare la storia. 6. LIBRI. UN NUOVO LAVORO DI GIUSEPPE CASARRUBEA [Riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente segnalazione editoriale. Giuseppe Casarrubea (per contatti: icasar at tin.it), figlio del militante del movimento operaio assassinato dalla mafia a Partinico nel 1947, collaboratore di Danilo Dolci, educatore e preside, prestigioso storico che ha dedicato fondamentali ricerche alle lotte del movimento dei lavoratori contro la mafia, valoroso militante del movimento antimafia. Tra le molte ed ottime opere di Giuseppe Casarrubea segnaliamo particolarmente: Portella della Ginestra: microstoria di una strage di Stato, Angeli, Milano 1997; Fra' Diavolo e il governo nero: doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra, Angeli, Milano 1998; Salvatore Giuliano: morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, Angeli, Milano 2001] Da mercoledi' 9 novembre 2005 e' disponibile nelle librerie il piu' recente lavoro di Giuseppe Casarrubea: Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, Milano 2005, pp. 350, euro 9. L'autore affronta gli anni della Sicilia del secondo dopoguerra, con un approccio inedito e convincente. Inedito: perche' utilizza il livello ipogeo dei servizi segreti, americani e italiani, che descrissero il mondo che li circondava, da un punto di vista non usuale quale fu quello dei double agent e dei capi dello spionaggio; convincente perche' il sistema informativo che lo sorreggeva doveva necessariamente fondarsi su dati reali, pena il crollo immediato dell'intero apparato di intelligence. I documenti consultati hanno consentito di seguire il progetto di Alessandro Pavolini e di altri irriducibili sostenitori della Repubblica sociale italiana, di spostare nei territori occupati dagli Alleati, e soprattutto in Sicilia, gli sforzi necessari alla riconquista degli spazi perduti dal fascismo, dirottando in una fase successiva le energie verso la lotta anticomunista. "Su questi presupposti documentari - scrive Nicola Tranfaglia - diventati, grazie alle ricerche e ai documenti trovati negli ultimi anni, assai difficilmente contestabili, Casarrubea propone una ricostruzione completamente nuova e problematica dei misteri che circondano quella che si puo' ormai definire come la prima strage di Stato dell'Italia repubblicana, l'assassinio di undici persone tra cui donne e bambini nei prati di Portella della Ginestra, alle porte di Palermo (primo maggio 1947)". All'interno di questo periodo, in un'isola pervasa dal fantasma rosso della rivoluzione d'Ottobre, si muovono storie che appaiono ora sotto una luce diversa: dal banditismo politico dopo lo sbarco alleato, alla nascita di Cosa Nostra, dall'attivita' degli 007 alle funzioni del controspionaggio internazionale. Giuseppe Casarrubea e' uno dei massimi storici della Sicilia contemporanea. Con l'editore Sellerio ha pubblicato Intellettuali e potere in Sicilia (1983), L'educazione mafiosa (1991) e Gabbie strette (1996). I risultati delle sue ricerche, negli ultimi anni, sono usciti per i tipi di Franco Angeli, tra il 1997 e il 2001: Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato; Fra' Diavolo e il governo nero; Salvatore Giuliano. Morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti. Ha curato le note al testo antologico di Nicola Tranfaglia, Come nasce la Repubblica (Bompiani, 2004). Vive e lavora a Partinico (Palermo). 7. INIZIATIVE. UN PRIMO BILANCO DELLA QUARTA GIORNATA ECUMENICA DEL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO [Dal comitato organizzatore della quarta Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico (per contatti: redazione at ildialogo.org) riceviamo e volentieri diffondiamo] Un primo bilancio della quarta Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico del 28 ottobre 2005, "Vincere la paura per costruire la pace": il popolo del dialogo c'e'. La festa e l'incontro fra cristiani e musulmani continuano alla riscoperta delle comuni radici abramitiche e di un dialogo che deve e puo' riguardare tutte le religioni. A distanza di una settimana dalla celebrazione della quarta Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico del 28 ottobre 2005, possiamo dire con soddisfazione che le iniziative svolte hanno di nuovo messo in luce come la voglia di pace e di incontro fra le persone di diversa religione e cultura non e' stata fiaccata dalle reiterate campagne di odio e di istigazione alla violenza razzistica che da alcuni anni caratterizza la realta' politico-sociale del nostro paese e del mondo intero e che proprio in questi ultimi giorni ha di nuovo fatto sentire la sua voce. Come gia' nelle altre passate edizioni, gli incontri sono andati molto al di la' di quelli che noi stessi abbiamo segnalato o direttamente organizzato. Alcune agenzie di stampa, come il "Sir", hanno parlato di "migliaia di iniziative" non tanto per indicare un numero preciso bensi' per segnalare come la giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico legata all'ultimo venerdi' del Ramadan sia ormai entrata nelle consuetudini degli uomini e delle donne di pace del nostro paese. Le iniziative hanno riguardato realta' importanti come Napoli, Roma, Torino e Venezia, ma anche tante piccole e medie citta' del nostro paese come, solo per citarne alcune, Desio, Caserta, San Severo (Fg), Carrara, Padova, Bolzano, Cento, Firenze, Cuneo, Carpi, Bari. Bologna, Genova, Novellara, Pescara, Fiorano (Mo), Mestre (Ve), Chieri (To), Pinerolo (To), Galliera (Bo), Citta' di Castello (Pg), Verona, Avellino, Novellara (R e), Reggio Calabria, Faenza, Sesto Calende (Va), Cagliari... Dappertutto l'affluenza e' stata consistente. I profeti di guerra e di sventura non sono riusciti a fiaccare la volonta' di pace e di dialogo che anima gli uomini e le donne del nostro paese. Dappertutto si e' ricordata la felice coincidenza fra la celebrazione della giornata e il quarantesimo anniversario della promulgazione del documento "Nostra Aetate" del Concilio Vaticano II sul dialogo interreligioso. In molte occasioni gli incontri sono stati caratterizzati proprio in senso interreligioso ed in alcune realta' comincia a farsi strada l'idea di promuovere giornate di dialogo interreligioso che coinvolgano tutte le religioni presenti sul territorio. Rimandiamo al sito www.ildialogo.org per i gia' numerosi e significativi resoconti delle iniziative svolte. Abbiamo altresi' la segnalazione che iniziative analoghe alla nostra si stanno sviluppando anche in altri paesi europei come la Francia, dove e' programmata una settimana di incontri fra cristiani e islamici di cui daremo segnalazione prossimamente. Iniziative continuano a svolgersi anche in questo mese sempre nell'ambito della quarta Giornata Ecumenica del dialogo cristianoislamico. Anche quest'anno le iniziative sono servite per fare il punto di un lavoro svolto e per programmare iniziative future. In molte realta' comincia ad essere praticato con costanza l'incontro fra cristiani e musulmani anche nei periodi di festa specificamente cristiani come il Natale e la Pasqua. Non sono solo i cristiani che vanno in visita alle moschee ma anche i musulmani che vanno in visita alle chiese e si confrontano e riscoprono le comuni radici abramitiche. Sono in programma infatti iniziative comuni sia per il prossimo Natale che per la prossima Pasqua (per informazioni dettagliate si veda il sito www.ildialogo.org). La festa e l'incontro continuano. Gli uomini e le donne del nostro paese e del mondo vogliono la pace e si organizzano per realizzarla e promuoverla. Segnaleremo con appositi comunicati le prossime iniziative comuni che dureranno tutto il prossimo anno e fino alla quinta Giornata del prossimo Ramadan che cadra' il 20 ottobre del 2006. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 46 del 6 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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