La domenica della nonviolenza. 46



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 46 del 6 novembre 2005

In questo numero:
1. Vittorio Bellavite: Il lavoro della Commissione per la verita' e la
riconciliazione in Peru'
2. Scott Galindez intervista Mimi Evans
3. Scotto Galindez intervista Deborah Regal
4. Gianfranco Accattino: Rosa Parks
5. Paul Rogat Loeb: Rosa Parks
6. Un nuovo lavoro di Giuseppe Casarrubea
7. Un primo bilancio della quarta giornata ecumenica del dialogo
cristiano-islamico

1. ESPERIENZE. VITTORIO BELLAVITE: IL LAVORO DELLA COMMISSIONE PER LA
VERITA' E LA RICONCILIAZIONE IN PERU'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2005. Vittorio Bellavite (per
contatti: vittorio.bellavite at fastwebnet.it), docente, coordinatore di "Noi
Siamo Chiesa" a Milano, da molti anni una delle figure piu' vive del
movimento dei cristiani per il socialismo e dell'esperienza delle comunita'
di base, e' da sempre impegnato nei movimenti di pace e di solidarieta']

Dopo aver letto le conclusioni dell'"Informe final" (la "relazione
conclusiva" della Commissione per la verita' e la riconciliazione in Peru'),
una domanda sorge spontanea: come e' potuto accadere che in un paese ancora
cosi' disastrato e con un evidente deficit di democrazia, sia uscita da una
fonte istituzionale una denuncia tanto lucida, documentata e propositiva? I
vent'anni di conflitto armato tra polizia e forze armate da un lato e
Sendero luminoso dall'altro che hanno provocato 24.000 morti, molto piu'
realisticamente 70.000, sono stati analizzati con imparzialita' dalla
"Comision por la veridad y la reconciliation". Dalle conclusioni
dell'Informe final esce una lucida denuncia denuncia delle responsabilita' e
dei crimini di tutti i soggetti in campo.
Ne parlo con Luis Mujica, uno dei responsabili delle ricerche della
Comision. Mi dice che, nel passaggio traumatico tra Fujimori e Toledo, c'e'
stato un periodo di interregno, quello del presidente provvisorio Valentin
Paniagua, nel quale la societa' civile e' riuscita ad imporsi e a ottenere
la Commissione, effettivamente indipendente, con personalita' di alto
livello morale. Le conclusioni della Commissione non sono state digerite dai
partiti, qualcuno ha voltato le spalle, altri hanno sostenuto che lo stato
non poteva fare diversamente, che non aveva capito la situazione. Ora - dice
Luis - dopo due anni dalla presentazione dell'Informe (28 agosto 2003)
l'opinione pubblica lentamente sta diventando piu' consapevole, ma i mezzi
di comunicazione non se ne interessano (salvo Canal Ocho che si vede con il
decoder, e i quotidiani "El commercio" e "Repubblica" che non sono ostili).
*
Di qua Lima, di la' la Sierra
Il Peru' e' un paese molto diviso, separato, con scarse comunicazioni. Lima
e' un altro continente rispetto alla Sierra, bisogna creare cittadinanza
vera al di la' della tanta retorica patriottarda dallo scarso significato
concreto. Lo stato deve impegnarsi nelle riparazioni alle vittime. Il potere
giudiziario e' relativamente autonomo ma molto lento e con pochi strumenti
giuridici. Parallelamente alla redazione dell'Informe, nel 2003 su
iniziativa di organizzazioni della societa' civile, e in particolare
dell'area cristiana di base, si e' costituito il Movimento Para que no se
repita (www.paraquenoserepita.org.pe). Ne fanno parte circa cento
organizzazioni, ha lavorato alla realizzazione di una marcia da Piura nel
Nord fino al confine con la Bolivia da maggio a fine agosto
(www.caminataporlapaz.org.pe). Quattro mesi di marcia, di incontri, di
contatti.
*
I diritti umani
Incontro Ernesto de la Jara, direttore dell'Istituto de defensa legal
(www.idl.org.pe), sorto nel 1983, in prima fila nella difesa dei diritti
umani negli anni peggiori, insieme alla Coordenadora nacional de derechos
humanos (www.dhperu.org). Il Peru', mi dice, fu visitato da una Commissione
dell'Onu contro la tortura, al secondo posto nel mondo dopo la Turchia. Il
governo non attacca la Commissione, invece e' violento lo scontro coi
partiti, con l'Apra di Garcia (presidente nel periodo buio '85-'90),
soprattutto con militari ed ex-militari, con alcuni media. C'e' tanto da
fare: bisogna redigere un Registro nazionale delle vittime (sono moltissime:
vedove, orfani, feriti, donne stuprate, profughi dalla Sierra a Lima, anche
ex-militari...), bisogna pretendere un impegno etico e politico a difesa
dell'Informe dai candidati alla presidenza per le elezioni della prossima
primavera. Ernesto mi dice che si aspettano di piu' dall'Europa: un maggiore
impegno del Parlamento europeo, dall'Italia la continuazione della
riconversione di una parte del debito estero con l'obbligo di investire il
corrispettivo nell'attuazione delle proposte della Commissione. Il
Parlamento peruviano ha stanziato a fine luglio sei milioni di soles ( un
milione e mezzo di euro) per le riparazioni alle vittime (ma ne servono
500). Ora si sta discutendo del bilancio per il 2006.
Federico Arnillas e' il direttore dell'Asociacion nacional de Centros (Anc),
l'autorevole federazione di tutte le ong peruviane. Mi conferma le lentezze
nella realizzazione degli interventi di riparazione, la scarsita' delle
risorse; ora e' stata istituita una Commissione governativa con la
partecipazione della societa' civile per attuare la legge di luglio ma manca
ancora il regolamento indispensabile perche' possa funzionare. Federico e'
piu' ottimista. Mi dice che in cinque anni (dalla caduta di Fujimori,
novembre 2000, a oggi) si e' fatta molta strada. E' invece preoccupato per
le prossime scadenze politiche. Che fara', nell'ultimo anno della presidenza
Toledo, il nuovo governo di Pedro Pablo Kuczynski decollato a fine agosto?
Chi sara' eletto presidente in primavera? Toledo non e' rieleggibile in base
alla Costituzione. E cosa si puo' fare in Europa? Mi ripete le indicazioni
di Ernesto de la Jara relative al Fondo italo-peruviano istituito con i
fondi "condonati" dal governo italiano dopo la campagna per la cancellazione
del debito, sulla base della legge 209 del 2000). Si tratta di 116 milioni
di dollari per il periodo 2001-2006; nella loro gestione cercano di
impegnarsi le ong italiane piu' presenti in Peru' (Mlal,Terra Nuova ed
Aspem). Mi ricorda che Unione Europea e Peru' stanno rinegoziando l'accordo
per il periodo 2007-2013. Bisogna ottenere che vi siano previsti interventi
importanti nella direzione dell'attuazione delle raccomandazioni della
Commissione.
*
"Para que no se repita"
Rosa Villaran dirige tutto il movimento "Para que no se repita" ("Affinche'
non si ripeta") in una palazzina dove si vive la preoccupazione e la
passione di una grande scommessa. Anzittutto mi dice che i morti sono
sicuramente ben piu' dei 70.000, indicati dalla Commissione (l'accesso a
molti archivi militari e' stato negato). Mi racconta della marcia, sono
state coinvolte 250.000 persone e circa 140 collettivita' locali, i
chilometri percorsi sono stati 2.200 in 118 giorni. Dovunque si sono
intrecciati quipu (e' un sistema di corde di lana e di nodi usato dagli
Incas per contare; ora e' diventato un simbolo per la memoria delle vittime
della violenza e per esprimere sentimenti di impegno per la pace e la
riconciliazione). Mi dice con grande determinazione che il processo
difficile di crescita civile e di recupero della memoria e' incominciato con
la conclusione della Commissione. Lo considera un percorso veramente lungo;
spera molto che il decentramento politico e amministrativo delle istituzioni
in corso ora in Peru' possa facilitare rapporti con nuove autorita' locali e
che si possa contare di piu' sulla scuola e sui servizi sanitari che sono,
di per se', piu' sensibili alle tematiche della difesa dei diritti umani e
dei problemi delle vittime del conflitto. Infine, Rosa spera nella
"Defensoria del pueblo" (qualcosa di simile al difensore civico), una
istituzione inventata nel 1992 da Fujimori per motivi demagogici ma che ora
si e' trasformata ed e' esplicitamente alleata dei soggetti della societa'
civile.
*
Una rete di sostegno
Rosa Villaran si aspetta che in Europa si organizzi una rete di collegamento
e di appoggio a quanti sono impegnati in Peru' per la realizzazione delle
Raccomandazioni dell'Informe, cita l'impegno dell'Osservatorio italiano
sulla regione andina (www.selvas.org). E conclude invitandomi a non
dimenticare una visita a Campo di Marte, il grande parco nel centro di Lima.
Li' il 28 agosto, secondo anniversario della consegna delle conclusioni
dell'Informe, Salomon Lerner ha inaugurato un monumento alla memoria delle
vittime. Un grande cerchio di trenta metri di diametro e' percorso da un
labirinto disegnato sul terreno. A fianco, su piccoli sassi bianchi sono
scritti i nomi di tutte le 23.969 vittime accertate dalla Commissione e il
luogo della morte. Al centro un grande blocco di granito rossastro con una
pietra ovale incastonata verso l'alto, a simboleggiare gli occhi. Da essa
scende in continuazione un filo d'acqua, testimonianza delle lacrime di
sofferenza per le vittime. Il Memorial sara' completato per natale e
diventera' per sempre un ricordo delle vittime, destinato a essere
conosciuto in tutto il mondo, come l'Esma a Buenos Ayres e Villa Grimaldi a
Santiago.
*
Scheda: Una sintesi dell'"Informe final"
La "Comision por la verdad y la reconciliation" fu istituita nel giugno del
2001 dal presidente provvisorio del Peru' Valentin Paniagua per accertare
quanto avvenuto tra 1980 e il 2000 nel "conflitto armato interno" tra il
Partido Comunista Peruano-Sendero Luminoso (ed anche l'Mrta, Movimiento
Revolucionario Tupac Amaru) e la polizia e le forze armate. Inoltre, doveva
proporre raccomandazioni in vista di una riconciliazione nazionale.
Presieduta da Salomon Lerner, rettore dell'Universita' cattolica di Lima,
era costituita da dodici personalita' indipendenti.
Il Rapporto conclusivo (Informe final) e' stato diffuso il 28 agosto 2003.
Le conclusioni generali sono costituite da 171 punti che non solo descrivono
i fatti ma fanno anche un'analisi storico-critica della storia peruviana di
venti anni con giudizi molto precisi, con i nomi dei responsabili.
23.969 sono i peruviani morti o scomparsi di cui sono stati accertati i nomi
e i cognomi, ma la Commissione ha calcolato che essi siano stati quasi
settantamila. Un numero impressionante, anche perche' sono state tutte
vittime di armi da fuoco leggere ed in gran parte civili (soprattutto
contadini poveri della Sierra che parlavano il quechua, donne e bambini ma
anche militari e senderisti).
La responsabilita' "immediata e fondamentale" e' attribuita dalla
Commissione a Sendero Luminoso, una formazione che si ispirava al maoismo
(conquistare il potere dalle campagne, cioe' dalla Sierra) e che, a
posteriori, ha dimostrato di avere una pratica polpottista. Anche l'Mrta
(protagonista dell'occupazione dell'ambasciata giapponese nel 1996) viene
accusato di violenze, uccisioni e violazione dei diritti umani, ma in misura
ben minore (1,8% dei casi accertati, contro il 53,68 di Sendero).
Ma la Commissione accusa anche pesantemente la polizia e le forze armate il
cui comportamento, per lunghi periodi e nelle aree piu' povere del paese
(Ayacucho), ha violato qualsiasi regola di comportamento di un'azione
antisovversiva rendendisi responsabili di massacri, violenze sessuali,
detenzioni arbitrarie, a spese soprattutto dei campesinos stretti tra le due
fazioni in lotta.
La Commissione non risparmia giudizi severi su tutti. Si salvano le
organizzazioni per la tutela dei diritti umani e le chiese: per la chiesa
cattolica, in particolare, l'area che faceva capo alla teologia della
liberazione e a vescovi come Luis Bambaran. Ma la Commissione e' pesante nei
confronti dell'allora arcivescovo di Ayacucho Luis Cipriani (ora Cardinale
di Lima, dell'Opus Dei) "che ostacolo' le attivita' delle organizzazioni
della Chiesa impegnate sui diritti umani", mentre "negava l'esistenza della
loro violazione nella sua giurisdizione".
La Commissione aveva solo compiti di ricerca della verita' e di proposta.
Nelle raccomandazioni finali ha proposto riforme istituzionali per fare del
Peru' un vero stato di diritto, riparazioni integrali alle vittime, un piano
nazionale di accertamento delle fosse comuni, chiamata in giudizio dei
responsabili, comunque provvedimenti amministrativi nei confronti dei
colpevoli, tutela dei testimoni e amnistie e indulti solo negli stretti
limiti stabiliti dalla Corte interamericana dei diritti umani.

2. TESTIMONIANZE. SCOTT GALINDEZ INTERVISTA MIMI EVANS
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista.
Scott Galindez e' direttore esecutivo di "Truth Out".
Mimi Evans, del Massachusetts, ha un figlio nei Marine che si trova in Iraq]

- Scott Galindez: Mimi, ti dispiacerebbe presentarci tuo figlio Lee?
- Mimi Evans: Lee e' il mio figlio di mezzo, quello che si e' sempre
caricato di responsabilita'. Dal giorno in cui ha lasciato la culla per un
lettino, lo ha sempre rifatto. Confrontandolo con i suoi piu' creativi
fratelli trovavo la sua autodisciplina un po' snervante, ma lasciavo
perdere. Quando era adolescente, senza che ci fosse bisogno di incitarlo,
Lee faceva tutte quelle che cose che gli adolescenti tendono a non voler
fare, tipo portare via la spazzatura o potare la siepe. Forse avrei dovuto
preoccuparmi, ma a scuola andava bene, conduceva un programma alla radio del
liceo, giocava a football ed era il capitano della squadra, suonava in un
gruppo, e cosi' via. Lee ando' a lavorare per una impresa a New York, dopo
il college, e ci si trovava bene, pero' il lavoro non lo appassionava. Era
il 1999 quando mi chiamo' al telefono per dirmi due cose: che intendeva
iscriversi ad una scuola di legge, il che mi rendeva gia' un po' infelice
stante la mia avversione per i conflitti, e che si sarebbe arruolato nei
Marine. Io cominciai a piangere. Ero alla mia scrivania, in ufficio, con i
colleghi che mi guardavano meravigliati mentre lui continuava a ripetermi:
"Non piangere, non piangere". Insomma, entrambe le sue decisioni furono
traumatiche per me, ma non era la mia, di vita, non pensavo di dover
interferire. Credo che Lee abbia voluto diventare un avvocato ed un Marine
perche' suo padre era entrambe le cose, era un veterano del Vietnam. Lee si
sposo' un paio di anni dopo e fu promosso capitano. Gli mancava un anno al
congedo quando lo inviarono in Iraq, all'inizio dello scorso settembre,
proprio quando lui e sua moglie annunciarono di aspettare un bambino.Oggi si
trova a circa 50 miglia da Baghdad con la sua unita'. Sua moglie e' andata a
stare dai propri genitori. Dovrebbe fare ritorno in marzo, ed io sto
contando i giorni da quando e' partito. E man mano che li conto, divento
sempre piu' arrabbiata. Lee e' in Iraq per ragioni ignobili, ovvero per
nessuna ragione. Lui ed i suoi colleghi dell'esercito stanno combattendo i
mulini a vento e corteggiando una morte violenta priva di senso. Sono pedine
in un gioco che nessuno puo' vincere. L'uomo che li ha mandati la' non puo'
provare quello che proviamo noi genitori. Le sue lacrime di coccodrillo sono
un insulto alle duemila famiglie che hanno sacrificato i propri figli.
Certo, sostengo le nostre truppe, chi non lo farebbe? Ma e' il modo in cui
lo si fa, ad essere importante. L'esercito americano dovrebbe essere usato
per scopi piu' nobili e costruttivi.
*
- Scott Galindez: Quali sono i sentimenti di Lee, rispetto alla guerra?
- Mimi Evans: Molto prima che ricevesse l'ordine di partire per l'Iraq in
famiglia discutevano della guerra. Erano discussioni politiche, di persone
che si erano sempre interessate a cio' che accadeva nel mondo. Dopo la sua
partenza, con Lee non ho piu' affrontato il lato politico della guerra. Mi
ha detto che ai Marine e' stato ordinato di sparare su tutto cio' che gli
ingombra la strada. "Non siamo noi a decidere, ha aggiunto, Sono i civili,
quelli che hanno votato, a volere che noi si stia qui. Possiamo anche
pensare che veniamo usati nella maniera sbagliata, ma non sta a noi
decidere". Questo e' cio' che mi dice il Marine. Come si sente a livello
umano lo so, ma non penso di dover parlare per lui. La mia opposizione alla
guerra e' sincera, ed e' mio diritto dire la mia opinione.
*
- Scott Galindez: Che cosa diresti alle altre madri che hanno un figlio o
una figlia in Iraq?
- Mimi Evans: Continuate a dir loro che li amate, sempre. Scrivete loro
delle cose che ricordate della loro infanzia. Se pregate, continuate a
farlo, ma non deducete che "Dio li proteggera'" perche' pregate. Anche le
famiglie dei duemila uccisi hanno pregato. Dio puo' essere di conforto a voi
ed ai vostri figli, ma non e' Dio a controllare il male, e la guerra e'
male, male, non importa da che parte la si combatta. E alle madri che hanno
figli che vogliono arruolarsi direi: fate tutto il possibile per
dissuaderli. L'esercito non e' sempre onesto nella promesse che fa ai
ragazzi. Se vostro figlio vuole servire il proprio paese ha innumerevoli
altre opzioni di fronte, come andare ad insegnare in un'area degli Usa dove
vivono famiglie a basso reddito.
*
- Scott Galindez: Da chi possono avere sostegno, le famiglie che hanno
soldati in Iraq?
- Mimi Evans: Io sono stata fortunata, ho trovato "Military Families Speak
Out" (Mfso). Gli organizzatori, Nancy Lessin e Charley Richardson, trattano
ciascun membro dell'organizzazione come se fosse un loro parente. Il sito
web ha molti link utili per contattare altri gruppi. Quando mio figlio
ricevette l'ordine di partire ed io ero particolarmente disperata, "Military
Families Speak Out" chiese ad un'altra madre di un Marine che era gia' in
Iraq di chiamarmi, e di condividere con me come si era sentita, e come era
uscita dalla depressione. Ho imparato un gran numero di cose dall'Mfso, e
non mi sento piu' sola. I genitori che sentono di aver bisogno di aiuto
possono anche contattare "United For Peace and Justice" (Uniti per la pace e
la giustizia) ed e' facile che troveranno un gruppo nella loro zona. Sebbene
io viva in un luogo piuttosto isolato, ho trovato grande sostegno nei locali
membri di "United For Peace and Justice". Mi e' stato di incalcolabile aiuto
protestare contro la guerra con questi nuovi amici, piuttosto di restarmene
seduta in casa. Non importa quanto uno e' timido, in questo modo puo'
trovare la propria voce, e dire cio' che ha bisogno di dire.
*
- Scott Galindez: C'e' altro che vorresti far sapere alle nostre lettrici e
ai nostri lettori?
- Mimi Evans: Si', il fatto che la maggior parte degli americani non sono
coinvolti per nulla in questa guerra (meno dell'uno per cento dei nostri
cittadini sono in Iraq o in Afghanistan o ci sono stati) e' secondo me la
ragione principale per cui la guerra continua. Qui a casa noi continuiamo a
passeggiare in centro e a guardare le partite in televisione e a guidare le
nostre automobili: non vediamo le immagini di orrore di cio' che sta
veramente accadendo laggiu' e non ci viene chiesto di modificare le nostre
confortevoli vite americane in nessun modo. Non appena l'opinione pubblica
comincia a non sostenere la guerra, ecco che ci si presenta un altro
"allarme terrorismo" e niente cambia. I politici, di ambo i partiti, stanno
ancora biascicando scuse per giustificare la permanenza in Iraq. Ebbene, mi
verrebbe voglia di chiedere loro di mandarci i propri figli e le proprie
figlie. Ma tanto non lo farebbero, non c'e' niente da vincere. Vorrei sapere
dov'e' finita l'indignazione e la capacita' di dissentire, nella coraggiosa
America. E' la nostra complicita' a permettere che si continui ad ammazzare
e a morire. L'unico onore che si puo' ricavare da questa guerra, l'unica
cosa che farebbe di Bush un presidente, sarebbe prendersi cura degli
americani abbastanza da portare a casa le truppe ora.
- Scott Galindez: Grazie per aver condiviso la tua storia con noi.

3. TESTIMONIANZE. SCOTT GALINDEZ INTERVISTA DEBORAH REGAL
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista.
Scott Galindez e' direttore esecutivo di "Truth Out".
Deborah Regal, del Michigan, ha un figlio nei Marine che si trova in Iraq]

- Scott Galindez: Per favore, presentaci tuo figlio Justin.
- Deborah Regal: Justin ha 26 anni, e' il secondo dei miei cinque figli.
Quand'era piccolo era affascinato da ogni cosa avesse ruote o ali. Aveva
circa quattro anni quando punto' con il dito un aereo che passava e grido':
"Un aeroplano! Un giorno io ci volero' sopra!". E' sempre stato gentile,
generoso. Quando aveva dieci anni costrui' con le sue mani una complicata
casetta per le bambole, per sua sorella. Quattro anni fa e' venuto ad
aiutarmi nei campi ed ogni pianta riceveva da lui attenzione speciale: tutte
quelle che ha piantato stanno ancora fiorendo. All'ultimo anno del liceo
approfitto' di uno scambio culturale fra studenti ed ando' in Svizzera:
mungeva mucche tutti i giorni, sciava e faceva sfoggio del suo senso
dell'umorismo. Tutti i nostri parenti conoscono la sua filosofia, e cioe':
"Le regole sono fatte per essere violate". Che ironia, il fatto che sia
finito volontario nei Marine! Sebbene fosse brillante ed avesse avuto voti
eccellenti alle superiori, stento' ad orientarsi quando frequentava
l'Universita' del Michigan. Alla fine lascio' gli studi e ando' a lavorare
come tassista in un'altra citta'. Infine, nel 2001, si iscrisse al programma
per meccanici d'aviazione che c'era nella sua zona, ed era molto eccitato
dal trovarsi finalmente in mezzo agli aerei, e voleva essere addestrato
anche come pilota. Pensava che il lavoro non gli sarebbe mancato, se avesse
completato l'addestramento con successo. Ma poi venne l'11 settembre del
2001. In aggiunta all'orrore e al dolore di quel giorno, esso lascio' fra le
eredita' negative un impatto sull'aviazione commerciale statunitense. Quando
Justin comincio' a chiedere di essere assunto, gli fu piu' volte risposto
che solo nell'esercito avrebbe avuto l'opportunita' di fare il lavoro che
gli piaceva e per cui era stato istruito. Alla fine di quel settembre, mi
lascio' un messaggio in segreteria, un messaggio del tutto normale salvo che
per la frase finale: "Ah si', mamma, volevo anche dirti che mi sono
arruolato nei Marine". Click. Continuai a risentire il messaggio, tante,
tante volte... Oggi mio figlio si trova in Iraq, nella provincia di al
Anbar. Ogni notte prima di addormentarmi mi chiedo dove sia Justin, e cosa
stia accadendo dentro di lui e attorno a lui. Ogni volta in cui qualcuno
suona alla porta, o il telefono squilla, mi sento come se stessi per
annegare: forse dall'altra parte della porta, o all'altro capo del filo, ci
sono le notizie che ho il terrore di ricevere? Io sono una donna che ha
fede, e prego, per il benessere di Justin, per la salvezza delle nostre
truppe e del popolo iracheno, e perche' mi sia concesso di avere il coraggio
e la forza di affrontare qualsiasi cosa io debba affrontare. Nelle mie
preghiere, chiedo anche perdono per la complicita' che ho in passato fornito
ai sistemi politici, sociali ed economici di questo paese che hanno iniziato
e perpetuato l'occupazione dell'Iraq. Inoltre, continuo ovviamente a
denunciare le ingiustizie che questa illegale occupazione comporta. La mia
paura per Justin avrebbe potuto paralizzarmi. Ma mi sono detta che la mia
paura non era piu' grande di quella che i genitori iracheni hanno per i loro
bambini, o delle altre famiglie con membri nell'esercito dislocati in Iraq.
In uno strano modo, i sentimenti di terrore e di indignazione hanno reso
piu' profonde la mia compassione, il legame con coloro che soffrono, e la
mia urgenza di agire.
*
- Scott Galindez: Quali sono i sentimenti di Justin rispetto alla guerra?
- Deborah Regal: Non sono del tutto sicura di quali siano. In genere crede
che l'uso della forza possa essere giustificato, ma dalle conversazioni che
abbiamo avuto, ho capito che non e' convinto delle ragioni fornite
all'origine della nostra invasione, ovvero la storia sulle armi di
distruzione di massa. So che ha sofferto molto per la perdita di alcuni suoi
compagni. In una e-mail che mi ha mandato ha scritto: "Non preoccuparti per
me, pensa a loro".
*
- Scott Galindez: Cosa rispondi all'accusa di star sostenendo il nemico
perche' ti opponi alla guerra?
- Deborah Regal: Che e' triste, quando la richiesta di verita', integrita' e
rispetto delle leggi internazionali viene vista come qualcosa di sovversivo,
o che sostiene "il nemico". Permettimi di essere chiara: io mi oppongo
all'uso della forza per risolvere i conflitti, ed in ogni caso mi oppongo
alle tattiche che infliggono dolore e morte ai civili.
*
- Scott Galindez: Che consigli daresti a una madre il cui figlio o figlia
adolescente vuole arruolarsi nell'esercito?
- Deborah Regal: Le direi che l'esercito non e' una delle "vocazioni" a
disposizione, ne' una strada economica per pagare il college. I possibili
costi di questa scelta sono la morte, ferite gravi, danni alla psiche e
all'anima. Le direi di leggere le regole del servizio, in un documento che
si chiama "The Enlistment / Reenlistment Document for the Armed Forces of
the United States". Non e' un contratto, perche' in un contratto ambo le
parti sono responsabili, e ciascuna puo' rescinderlo se l'altra non soddisfa
gli obblighi che ha preso. Le regole del servizio non danno alcuna
protezione a chi si arruola, ma contengono moltissimi riferimenti al fatto
che nessuna delle promesse fatte dai reclutatori puo' essere considerata
vincolante. I termini del servizio possono essere allungati senza il
consenso di chi si arruola, e le regole contenute nel documento cambiare
senza che ne sia data notizia a chi presta servizio. Basandomi su questa
realta', consiglierei con particolare fervore ogni genitore di un ragazzo
che voglia arruolarsi di accompagnarlo a tutti gli incontri con i
reclutatori, e di chiedere a questi ultimi il documento che ho citato.
Leggetelo con vostra figlia o vostro figlio, sottolineate i punti ambigui e
confusi, e quelli che vi preoccupano. Prendere una decisione di questo tipo
e' importante, e allora e' importante avere tutte le informazioni prima di
firmare qualsiasi cosa.
*
- Scott Galindez: Tu hai il coraggio di opporti alla guerra a voce alta.
Cosa diresti ad altri genitori di soldati che non sostengono la guerra, ma
sono impauriti dall'idea di esporsi?
- Deborah Regal: I nostri figli e i nostri parenti che sono nell'esercito
hanno giurato di difendere la nostra Costituzione e di difenderci dai
nemici. Il Codice militare proibisce loro di esprimersi in certe maniere
contro la politica del governo: cio' include la critica aperta all'agenda
politica dell'amministrazione Bush che ha avuto come risultato l'invasione
dell'Iraq. A questo punto chi deve chiedere alle persone che abbiamo eletto
di rispondere per aver creato una simile situazione in Iraq? Che valore ha
la nostra Costituzione, quella stessa che i nostri cari sono chiamati a
difendere con le loro vite? Per me, parlare a voce alta del mio dissenso e'
un imperativo morale. A volte temo che vi siano ritorsioni su Justin. Ma io
credo che il bene piu' grande che posso fare, per lui e per tutti gli altri
nelle forze armate, sia quello di mostrare all'opinione pubblica i costi
umani, ambientali ed economici di questa guerra illegale. Percio' agli altri
genitori dico: parlate a voce alta, non siete soli.
- Scott Galindez: Grazie per aver condiviso questo con noi.

4. MEMORIA. GIANFRANCO ACCATTINO: ROSA PARKS
[Ringraziamo gli amici del mensile torinese "Il foglio" (per contatti:
www.ilfoglio.org) per averci messo a disposizione il seguente intervento di
Gianfranco Accattino in memoria di Rosa Parks.
Gianfranco Accattino e' uno dei redattori del mensile torinese "Il foglio".
Rosa Parks, recentemente scomparsa, e' la donna che diede inizio al grande
movimento nonviolento contro la segregazione razziale a Montgomery, Alabama,
nel 1955; un suo profilo e' nel n. 1096 di questo foglio; si veda anche il
ricordo di Alessandro Portelli nel n. 1099]

Si discute in questi giorni su quale sia l'origine dei diritti umani. Ci
puo' illuminare la vicenda di Rosa Parks, morta a 92 anni in poverta',
vedova e senza figli, il 24 ottobre nel suo alloggetto di Detroit.
Un diritto civile puo' nascere nel momento in cui una donna nera di 42 anni,
di professione sarta, cittadina di Montgomery, Alabama, sale su un autobus,
occupa un posto vietato ai neri e rifiuta di cederlo a un passeggero bianco.
Quella donna era Rose Parks, ed era il 1955.
Fu arrestata, passo' una notte in carcere e dovette pagare una multa di 14
dollari. Il suo gesto era stato spontaneo, ma non istintivo, bensi' maturato
dalla sua coscienza di militante della National Association for the
Advancement of Colored People. La Naacp raccolse il suo segnale, ne fece la
scintilla di una campagna collettiva di liberazione. Nella chiesa battista
di Montgomery, un giovane pastore lancio' la parola d'ordine: "Nessun
cittadino di colore salga su un autobus". Il boicottaggio duro' 381 giorni.
Il pastore si chiamava Martin Luther King.
Il riconoscimento di un diritto e' gratuito per chi lo riceve al termine di
una lotta, ma mai per chi lo rivendica lottando. Rosa Parks perse il lavoro
e dovette trasferirsi con il marito al nord, a Detroit, dove ha continuato a
combattere fino a ieri. Martin Luther King, che otto anni dopo lo sciopero
dei bus proclamava al mondo dalla spianata di Washington "I have a dream",
fu ucciso nel 1968. Nel frattempo c'era stato altro sangue: l'assassinio di
Malcolm X, la strage di Birmingham (sempre Alabama), ma le voci libere non
si lasciarono mai soffocare. I cori continuavano a cantare di liberta': "And
the choirs kept singing of Freedom", cosi' Joan Baez piangeva le quattro
bambine dilaniate dalla bomba nella chiesa di Birmingham.
Nel 1965 infine fu firmata dal presidente Johnson la prima di una serie di
leggi federali contro la discriminazione razziale in ogni aspetto della vita
civile. I diritti civili riconosciuti e affermati dagli Stati nascono nella
coscienza dei singoli, sanno resistere e sopravvivere alla violenza che
uccide i corpi ma non le idee, si diffondono attraverso lo scontro
democratico, possono evolversi, anche esserci sottratti. Ci sostiene solo la
certezza che ci sara' sempre una donna capace, per un diritto suo e di
tutti, di rimanere seduta sull'autobus.
Farewell, Rosa, hai lasciato una grande eredita' al mondo.

5. MEMORIA. PAUL ROGAT LOEB: ROSA PARKS
[Ringraziamo gli amici del mensile torinese "Il foglio" (per contatti:
www.ilfoglio.org) per averci messo a disposizione nella t raduzione di
Gianfranco Accattino il seguente intervento di Paul Rogat Loeb in memoria di
Rosa Parks, tratto da "Sojourners' voice for justice and peace" (per
contatti: sojoMail at sojo.net) del 2 novembre 2005. Paul Rogat Loeb, nato in
California nel l952, e' impegnato da sempre nei movimenti contro la guerra,
per i diritti civili e per la nonviolenza, saggista, conferenziere,
collaboratore di molte testate. Opere di Paul Rogat Loeb: Nuclear Culture
(New Society Publishers); Hope in Hard Times (Lexington Books); Generation
at the Crossroads: Apathy and Action on the American Campus (Rutgers
University Press, 1994); Soul of a Citizen: Living With Conviction in a
Cynical Time (St Martin's Press 1999); The Impossible Will Take a Little
While: A Citizen's Guide to Hope in a Time of Fear (Basic Books, 2004)]

Noi impariamo molto dal modo con cui presentiamo i nostri eroi. Alcuni anni
fa, nella Giornata di Martin Luther King, fui intervistato dalla Cnn.
Contemporaneamente fu intervistata Rosa Parks, per telefono da Los Angeles.
"Siamo molto onorati di averla con noi", disse il conduttore. "Rosa Parks e'
la donna che non volle spostarsi al fondo dell'autobus. Non volle alzarsi e
dare a un bianco il suo posto nella zona riservata ai bianchi. Questo mise
in moto il boicottaggio, lungo un anno, degli autobus di Montgomery. E fece
guadagnare a Rosa Parks il titolo di 'madre del movimento dei diritti
civili'".
Io ero emozionato nell'udire la voce di Rosa Parks e di partecipare con lei
alla trasmissione. Ma mi resi conto che la descrizione fornita dal
conduttore - la classica ricostruzione della storia, la stessa ripetuta in
molti dei suoi necrologi - sottraeva il boicottaggio di Montgomery da tutto
il suo contesto. Prima di rifiutarsi di cedere il suo posto sul bus, Rosa
Parks era stata per dodici anni una attiva componente della sezione locale
della Naacp [la storica organizzazione del movimento per i diritti civili -
ndr], di cui era segretaria. Nell'estate precedente il suo arresto, aveva
seguito un corso di addestramento di dieci giorni alla scuola di
organizzazione dei diritti civili e del lavoro in Tennessee, il Centro
Highlander, dove aveva incontrato una generazione piu' matura di attivisti
dei diritti civili, come l'insegnante della South Carolina Septima Clark, e
aveva discusso la recente decisione della Corte Suprema che bandiva le
scuole "separate-ma-eguali". Durante il suo periodo di coinvolgimento e
formazione, Rosa Parks aveva preso conoscenza di precedenti episodi di sfida
alla segregazione: un altro boicottaggio degli autobus a Montgomery,
cinquant'anni prima, era riuscito a rimuovere con successo alcune
restrizioni; un boicottaggio degli autobus a Baton Rouge aveva raggiunto
alcuni pur limitati vantaggi, due anni prima dell'arresto di Rosa Parks; e
nella primavera precedente, una giovane donna di Montgomery si era anch'essa
rifiutata di spostarsi al fondo dell'autobus, spingendo la Naacp a prendere
in considerazione un'azione legale, finche' non risulto' che la donna era
incinta e non sposata, e quindi poco adatta a diventare un simbolo per una
campagna di massa.
*
In breve, quella di Rosa Parks non fu la decisione improvvisata di un
momento. Lei non diede vita con un atto individuale alle lotte per i diritti
civili, ma era gia' parte di un preesistente movimento di rinnovamento, in
un momento in cui il successo era ben lontano dalla certezza.
Tutti conosciamo il nome di Rosa Parks, ma pochi di noi sanno qualcosa di E.
D. Nixon, il leader della Naacp di Montgomery, che fu uno dei suoi
ispiratori e che per primo coinvolse Martin Luther King. Nixon portava le
valige della gente sui treni, e fu attivo nella "Fratellanza dei facchini
dei vagoni-letto", il sindacato fondato dal leggendario attivista dei
diritti civili A. Philip Randolph. Egli ebbe un ruolo chiave nella campagna.
Nessuno parla di lui, cosi' come nessuno parla di Joann Robinson, che
insegnava in una povera e segregata universita' per soli neri, e il cui
Consiglio politico femminile distribui' i primi volantini a seguito
dell'arresto di Rosa Parks. Senza il lavoro, spesso solitario, di persone
come Nixon, Randolph e Robinson, Rosa Parks non avrebbe forse mai assunto il
suo ruolo, e se anche lo avesse raggiunto, cio' non avrebbe comunque mai
avuto lo stesso impatto.
Tutto cio' non diminuisce affatto il potere e l'importanza storica del
rifiuto di Rosa Parks di cedere il suo posto. Ma ci ricorda che questo atto
tremendamente coerente, con tutto quello che venne dopo, dipendeva da tutto
il lavoro umile e frustrante che Rosa Parks e altri avevano condotto fino ad
allora. Ci ricorda pure che per Rosa Parks la decisione iniziale di
impegnarsi fu altrettanto coraggiosa e critica quanto il gesto di rimanere
seduta sul bus di cui tutti noi abbiamo sentito parlare.
*
Persone come Rosa Parks definiscono i nostri modelli di impegno sociale.
Tuttavia, dalle risposte alle conferenze che ho tenuto per tutto il paese,
mi rendo conto che la maggior parte dei cittadini non conoscono la storia
completa del suo coinvolgimento. E il racconto ritagliato convenzionalmente
crea un modello cosi' impossibile da seguire, che potrebbe di fatto rendere
piu' difficile per noi lo sforzo di volersi coinvolgere, allontanando cosi',
sia pure inavvertitamente, le piu' robuste lezioni di speranza che Rosa
Parks ci ha dato.
Questo ritratto convenzionale suggerisce che gli attivisti sociali
scaturiscono dal nulla, per assumere improvvisamente un ruolo gigantesco.
Cio' implica che noi possiamo agire con il massimo di impatto solo quando
agiamo da soli, almeno inizialmente. E implica pure che il cambiamento
avviene istantaneamente, non attraverso la lenta costruzione di una serie di
piccole azioni spesso invisibili. Il mito di Rosa Parks come attivista
solitaria rafforza l'idea che chiunque assuma un ruolo di impegno pubblico,
o almeno un ruolo di una qualche efficacia, deve essere una figura al di
fuori del normale - qualcuno con piu' tempo, energia, coraggio, sguardo sul
futuro o conoscenza di quanta ne possa possedere ogni persona normale.
Questa convinzione pervade la nostra societa', in parte perche' i media
tendono a non rappresentare l'evoluzione storica come il risultato degli
sforzi di esseri umani ordinari, come invece di fatto e' quasi sempre.
Una volta che i nostri eroi sono innalzati su un piedistallo, diventa arduo
per i comuni mortali guardarli negli occhi e confrontarsi con loro. In
qualunque modo degli individui parlino, siamo tentati di rifiutare le loro
motivazioni, le loro conoscenze, le loro tattiche perche' non abbastanza
grandiose o eroiche. Rimproveriamo loro di non avere sotto controllo ogni
fatto, ogni cifra, o di non avere una risposta per ogni domanda.
Rimproveriamo anche noi stessi, allo stesso modo, per non possedere ogni
minimo dettaglio, o per coltivare incertezze e dubbi. Ci pare arduo
immaginare che degli esseri umani comuni, con difetti comuni, possano
fornire un apporto critico e differente alle cause di utilita' sociale.
In realta', coloro che passano all'azione hanno tutti le loro imperfezioni,
e ampie ragioni per rinunciare all'impegno. "Io penso non ci si rende un
servizio utile", dice una giovane attivista afroamericana di Atlanta, Sonya
Tinsley, "quando le persone che lavorano per il progresso sociale sono
presentate come santi - molto piu' nobili di tutti noi. Ci facciamo la falsa
sensazione che essi erano chiamati ad agire dal momento stesso in cui erano
nati, che non hanno mai conosciuto dubbi, che erano immersi in un'aureola di
luce. Ma io mi sento molto piu' ispirata dall'imparare come quelle persone
hanno vinto nonostante i loro fallimenti e le loro incertezze. E'
un'immagine molto meno intimidatoria. Fa si' che io mi senta di avere
anch'io una possibilita' di cambiare le cose". Sonya ha ascoltato di recente
una conversazione tenuta da uno dei professori di Martin Luther King a
Morehouse, in cui ricordava quanto Martin Luther King aveva dovuto lottare
al suo primo ingresso all'universita', avendo preso, per esempio, solo una
"C" al suo primo esame di filosofia. "Ho trovato cio' molto incoraggiante,
quando l'ho sentito", dice Sonya, "con tutto quello che Martin Luther King
e' riuscito a ottenere. Mi ha dato la convinzione che quasi tutto e'
possibile".
*
L'errata lettura che la nostra cultura fa della storia di Rosa Parks rivela
una piu' generale amnesia collettiva, con cui noi dimentichiamo gli esempi
che piu' potrebbero ispirare il nostro coraggio, la nostra speranza e la
nostra coscienza. Fuori dai momenti ovviamente tragici dei conflitti
militari, la maggior parte di noi sa poco o nulla delle tante battaglie che
uomini e donne comuni combattono per garantire la liberta', espandere la
sfera della democrazia, e creare una societa' piu' giusta. Dei movimenti
abolizionisti e per i diritti civili, noi ricordiamo al massimo alcune
figure-chiave, e spesso fraintendiamo le loro reali vicende. Sappiamo anche
meno di tutti i leader popolari che a cavallo tra Ottocento e Novecento
sfidarono radicati interessi economici e combatterono per un "mondo comune
cooperante". Chi oggi sa raccontare la storia dei movimenti sindacali che
misero fine alle settimane di lavoro di ottanta ore a salari di fame? Chi
conosce le origini del sistema di sicurezza sociale, oggi minacciato dai
tentativi sistematici di privatizzarlo? Come accadde che il movimento per il
voto alle donne si diffuse attraverso centinaia di citta', e accumulo' tanta
forza da riuscire ad affermarsi?
Quando sparisce la memoria di questi eventi, noi perdiamo la conoscenza dei
meccanismi che movimenti sociali radicati nella popolazione hanno saputo
usare con successo nel passato per smuovere l'opinione pubblica e sfidare un
agguerrito potere istituzionale. Allo stesso modo vanno persi i mezzi con
cui i partecipanti a questi movimenti riuscirono a resistere e infine a
prevalere in circostanze dure almeno quanto lo sono quello che fronteggiamo
oggi.
*
Ripensiamo ai diversi modi in cui si puo' inquadrare la storica azione di
Rosa Parks. Secondo il mito prevalente, Rosa Parks decide di agire quasi per
un capriccio, isolatamente. Lei e' vergine alla politica, una santa
innocente. La lezione sembra essere che se ognuno di noi improvvisamente
avverte l'impulso a fare qualcosa di egualmente eroico, cio' sarebbe una
grande cosa. Naturalmente quasi nessuno di noi riceve l'impulso, e cosi'
tutti aspettiamo per tutta la vita che ci capiti il momento ideale.
La vera storia di Rosa Parks ha una morale ben piu' consistente. Lei
comincia con piccoli passi apparentemente modesti. Va a una riunione, poi a
un'altra, aiuta a formare la comunita' che a sua volta la sosterra' nel
cammino. Al principio esitante, prende confidenza con il parlare chiaro.
Tiene duro a dispetto di un contesto profondamente incerto, lei e altri
agiscono al meglio di loro stessi per contrastare delle ingiustizie
profondamente radicate, con poca certezza dei risultati. Se lei o gli altri
avessero rinunciato dopo dieci o undici anni di impegno, noi non avremmo mai
sentito parlare di Montgomery. Rosa Parks ci ricorda inoltre che, anche in
una causa apparentemente persa, una persona puo' ispirare un'altra senza
esserne cosciente, e quella persona ancora influisce su una terza, che puo'
allora andare avanti a cambiare il mondo, o almeno un piccolo angolino del
mondo. Raymond, il marito di Rosa Parks, la convinse a partecipare alla sua
prima riunione della Naacp, il passo iniziale di un percorso che la porto'
al giorno fatidico sull'autobus di Montgomery. Ma chi aveva convinto
Raymond? E perche' si era impegnato per convincerlo? Quali esperienze
avevano modellato la loro visione del mondo, avevano costruito le loro
convinzioni? I legami in ogni catena di influenza tra le persone sono troppo
numerosi e troppo complessi per poter essere ricostruiti. Ma la
consapevolezza che esistono queste catene, che noi possiamo scegliere di
entrare a farne parte, e che il cambiamento duraturo non puo' realizzarsi in
loro assenza, e' uno dei modi principali per sostenere la speranza,
specialmente quando le nostre azioni paiono cosi' insignificanti da contare
nulla.
Infine, la vicenda di Rosa Parks insegna che il cambiamento e' il risultato
di una azione deliberata e incrementale, con cui noi ci uniamo insieme per
dare forma a un mondo migliore. Qualche volta le nostre lotte falliranno,
come fallirono molti tentativi iniziali di Rosa Parks, dei suoi compagni,
dei suoi predecessori. Altre volte porteranno risultati modesti. E talvolta
invece scateneranno un miracoloso fiorire di coraggio e di cuore - come
accadde con il suo arresto e tutto cio' che ne segui'. Poiche' solo quando
noi agiamo a dispetto di tutte le nostre incertezze e dubbi abbiamo una
possibilita' di fare la storia.

6. LIBRI. UN NUOVO LAVORO DI GIUSEPPE CASARRUBEA
[Riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente segnalazione editoriale.
Giuseppe Casarrubea (per contatti: icasar at tin.it), figlio del militante del
movimento operaio assassinato dalla mafia a Partinico nel 1947,
collaboratore di Danilo Dolci, educatore e preside, prestigioso storico che
ha dedicato fondamentali ricerche alle lotte del movimento dei lavoratori
contro la mafia, valoroso militante del movimento antimafia. Tra le molte ed
ottime opere di Giuseppe Casarrubea segnaliamo particolarmente: Portella
della Ginestra: microstoria di una strage di Stato, Angeli, Milano 1997;
Fra' Diavolo e il governo nero: doppio Stato e stragi nella Sicilia del
dopoguerra, Angeli, Milano 1998; Salvatore Giuliano: morte di un capobanda e
dei suoi luogotenenti, Angeli, Milano 2001]

Da mercoledi' 9 novembre 2005 e' disponibile nelle librerie il piu' recente
lavoro di Giuseppe Casarrubea: Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco
alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, Milano 2005, pp. 350, euro 9.
L'autore affronta gli anni della Sicilia del secondo dopoguerra, con un
approccio inedito e convincente. Inedito: perche' utilizza il livello ipogeo
dei servizi segreti, americani e italiani, che descrissero il mondo che li
circondava, da un punto di vista non usuale quale fu quello dei double agent
e dei capi dello spionaggio; convincente perche' il sistema informativo che
lo sorreggeva doveva necessariamente fondarsi su dati reali, pena il crollo
immediato dell'intero apparato di intelligence.
I documenti consultati hanno consentito di seguire il progetto di Alessandro
Pavolini e di altri irriducibili sostenitori della Repubblica sociale
italiana, di spostare nei territori occupati dagli Alleati, e soprattutto in
Sicilia, gli sforzi necessari alla riconquista degli spazi perduti dal
fascismo, dirottando in una fase successiva le energie verso la lotta
anticomunista.
"Su questi presupposti documentari - scrive Nicola Tranfaglia - diventati,
grazie alle ricerche e ai documenti trovati negli ultimi anni, assai
difficilmente contestabili, Casarrubea propone una ricostruzione
completamente nuova e problematica dei misteri che circondano quella che si
puo' ormai definire come la prima strage di Stato dell'Italia repubblicana,
l'assassinio di undici persone tra cui donne e bambini nei prati di Portella
della Ginestra, alle porte di Palermo (primo maggio 1947)". All'interno di
questo periodo, in un'isola pervasa dal fantasma rosso della rivoluzione
d'Ottobre, si muovono storie che appaiono ora sotto una luce diversa: dal
banditismo politico dopo lo sbarco alleato, alla nascita di Cosa Nostra,
dall'attivita' degli 007 alle funzioni del controspionaggio internazionale.
Giuseppe Casarrubea e' uno dei massimi storici della Sicilia contemporanea.
Con l'editore Sellerio ha pubblicato Intellettuali e potere in Sicilia
(1983), L'educazione mafiosa (1991) e Gabbie strette (1996). I risultati
delle sue ricerche, negli ultimi anni, sono usciti per i tipi di Franco
Angeli, tra il 1997 e il 2001: Portella della Ginestra. Microstoria di una
strage di Stato; Fra' Diavolo e il governo nero; Salvatore Giuliano. Morte
di un capobanda e dei suoi luogotenenti.  Ha curato le note al testo
antologico di Nicola Tranfaglia, Come nasce la Repubblica (Bompiani, 2004).
Vive e lavora a Partinico (Palermo).

7. INIZIATIVE. UN PRIMO BILANCO DELLA QUARTA GIORNATA ECUMENICA DEL DIALOGO
CRISTIANO-ISLAMICO
[Dal comitato organizzatore della quarta Giornata ecumenica del dialogo
cristiano-islamico (per contatti: redazione at ildialogo.org) riceviamo e
volentieri diffondiamo]

Un primo bilancio della quarta Giornata ecumenica del dialogo
cristianoislamico del 28 ottobre 2005, "Vincere la paura per costruire la
pace": il popolo del dialogo c'e'. La festa e l'incontro fra cristiani e
musulmani continuano alla riscoperta delle comuni radici abramitiche e di un
dialogo che deve e puo' riguardare tutte le religioni.
A distanza di una settimana dalla celebrazione della quarta Giornata
ecumenica del dialogo cristianoislamico del 28 ottobre 2005, possiamo dire
con soddisfazione che le iniziative svolte hanno di nuovo messo in luce come
la voglia di pace e di incontro fra le persone di diversa religione e
cultura non e' stata fiaccata dalle reiterate campagne di odio e di
istigazione alla violenza razzistica che da alcuni anni caratterizza la
realta' politico-sociale del nostro paese e del mondo intero e che proprio
in questi ultimi giorni ha di nuovo fatto sentire la sua voce. Come gia'
nelle altre passate edizioni, gli incontri sono andati molto al di la' di
quelli che noi stessi abbiamo segnalato o direttamente organizzato. Alcune
agenzie di stampa, come il "Sir", hanno parlato di "migliaia di iniziative"
non tanto per indicare un numero preciso bensi' per segnalare come la
giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico legata all'ultimo venerdi'
del Ramadan sia ormai entrata nelle consuetudini degli uomini e delle donne
di pace del nostro paese. Le iniziative hanno riguardato realta' importanti
come Napoli, Roma, Torino e Venezia, ma anche tante piccole e medie citta'
del nostro paese come, solo per citarne alcune, Desio, Caserta, San Severo
(Fg), Carrara, Padova, Bolzano, Cento, Firenze, Cuneo, Carpi, Bari. Bologna,
Genova, Novellara, Pescara, Fiorano (Mo), Mestre (Ve), Chieri (To), Pinerolo
(To), Galliera (Bo), Citta' di Castello (Pg), Verona, Avellino, Novellara (R
e), Reggio Calabria, Faenza, Sesto Calende (Va), Cagliari...
Dappertutto l'affluenza e' stata consistente. I profeti di guerra e di
sventura non sono riusciti a fiaccare la volonta' di pace e di dialogo che
anima gli uomini e le donne del nostro paese. Dappertutto si e' ricordata la
felice coincidenza fra la celebrazione della giornata e il quarantesimo
anniversario della promulgazione del documento "Nostra Aetate" del Concilio
Vaticano II sul dialogo interreligioso. In molte occasioni gli incontri sono
stati caratterizzati proprio in senso interreligioso ed in alcune realta'
comincia a farsi strada l'idea di promuovere giornate di dialogo
interreligioso che coinvolgano tutte le religioni presenti sul territorio.
Rimandiamo al sito www.ildialogo.org per i gia' numerosi e significativi
resoconti delle iniziative svolte.
Abbiamo altresi' la segnalazione che iniziative analoghe alla nostra si
stanno sviluppando anche in altri paesi europei come la Francia, dove e'
programmata una settimana di incontri fra cristiani e islamici di cui daremo
segnalazione prossimamente. Iniziative continuano a svolgersi anche in
questo mese sempre nell'ambito della quarta Giornata Ecumenica del dialogo
cristianoislamico.
Anche quest'anno le iniziative sono servite per fare il punto di un lavoro
svolto e per programmare iniziative future. In molte realta' comincia ad
essere praticato con costanza l'incontro fra cristiani e musulmani anche nei
periodi di festa specificamente cristiani come il Natale e la Pasqua. Non
sono solo i cristiani che vanno in visita alle moschee ma anche i musulmani
che vanno in visita alle chiese e si confrontano e riscoprono le comuni
radici abramitiche. Sono in programma infatti iniziative comuni sia per il
prossimo Natale che per la prossima Pasqua (per informazioni dettagliate si
veda il sito www.ildialogo.org). La festa e l'incontro continuano.
Gli uomini e le donne del nostro paese e del mondo vogliono la pace e si
organizzano per realizzarla e promuoverla. Segnaleremo con appositi
comunicati le prossime iniziative comuni che dureranno tutto il prossimo
anno e fino alla quinta Giornata del prossimo Ramadan che cadra' il 20
ottobre del 2006.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 46 del 6 novembre 2005

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