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La nonviolenza e' in cammino. 1088
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1088
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 19 Oct 2005 00:22:14 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1088 del 19 ottobre 2005 Sommario di questo numero: 1. Gabriele Aquilina e Elena Dall'Acqua: Si' 2. Antonio Di Pietro: Si' 3. Donato Perreca: Si' 4. Patrizia Toia: Si' 5. Maria G. Di Rienzo: Una lettera da leggere quando hai tempo 6. Enrico Peyretti: La guerra, antitesi del diritto 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. 23 OTTOBRE. GABRIELE AQUILINA E ELENA DALL'ACQUA: SI' [Ringraziamo Gabriele.Aquilina e Elena Dall'Acqua (per contatti: gabriele.aquilina at tin.it) per questo intervento. Gabriele Aquilina e Elena Dall'Acqua, impegnati nel movimento pacifista, per un'economia di giustizia, per i diritti umani e la promozione della nonviolenza, sono tra gli animatore dell'esperienza di "Narni per la pace"] Anche noi vogliamo dare il nostro piccolo contributo al grande segno che viene dal Brasile. Mentre nel nord del mondo i governi vanno avanti con le loro guerre "umanitarie", e i nostri movimenti per la pace e la giustizia sociale sembrano spesso lontani dall'avere un impatto, se non marginale, sulle politiche di questi governi, ancora una volta dall'America Latina ci viene una ventata di novita'. E' possibile opporsi alla violenza mettendo al centro il rispetto della persona umana. E' possibile impegnarsi perche' i principi della nonviolenza comincino ad entrare nelle leggi dello stato. Speriamo il 23 ottobre di festeggiare la vittoria del si' insieme con le cittadine e i cittadini brasiliani, che hanno avuto il coraggio di tentare questo importante passo avanti di civilta', nella direzione dell'"altro mondo possibile" che vogliamo costruire insieme. 2. 23 OTTOBRE. ANTONIO DI PIETRO: SI' [Ringraziamo Antonio Di Pietro (per contatti: dipietro at italiadeivalori.it) per questo intervento. Antonio Di Pietro, gia' magistrato impegnato nell'inchiesta "Mani pulite", poi senatore, ministro, attualmente parlamentare europeo, e' presidente dell'"Italia dei Valori". Dal sito dell'Unione riprendiamo la seguente notizia autobiografica: "Sono nato a Montenero di Bisaccia (Campobasso) il 2 ottobre 1950. Risiedo a Curno, in provincia di Bergamo. Sono sposato, ho tre figli e sono nonno. Da adolescente, sono stato tre anni in seminario a Termoli e poi mi sono trasferito a Roma, ove nel 1968 mi sono diplomato perito tecnico in telecomunicazioni. Ho poi fatto il militare in fanteria a Chieti. A 21 anni sono emigrato in Baviera (Germania) per lavorare dapprima in una catena di montaggio di un'industria metalmeccanica e successivamente in una segheria. Nel 1973, dopo aver vinto un concorso statale al Ministero della Difesa, sono tornato a lavorare in Italia come impiegato civile dell'Aeronautica Militare. Contestualmente ho ripreso gli studi e nel 1978 mi sono laureato in giurisprudenza presso l'Universita' Statale di Milano. Nel 1979, a seguito di pubblico concorso, ho assunto le funzioni di segretario comunale in alcuni comuni del comasco. Nel 1980, sempre a seguito di pubblico concorso, sono diventato commissario di polizia ed ho operato nel IV distretto di Milano, quale responsabile della polizia giudiziaria. Nello stesso anno ho conseguito l'abilitazione di procuratore legale per l'esercizio della professione forense. Nel 1981 ho vinto il concorso per entrare in magistratura e, dopo il periodo di praticantato, sono stato assegnato alla Procura di Bergamo con funzioni di sostituto procuratore. Nel 1985 sono stato trasferito, a mia richiesta, alla Procura di Milano sempre con le funzioni di sostituto procuratore e qui mi sono occupato prevalentemente di inchieste riguardanti la criminalita' organizzata ed i reati contro la pubblica amministrazione (tra cui, significativamente, l'inchiesta Mani Pulite). Nel 1989 sono stato nominato consulente per l'informazione dal Ministero di grazia e giustizia. Nel 1995, lasciata la magistratura, ho conseguito la cattedra di Diritto penale dell'economia presso il Libero istituto universitario "Carlo Cattaneo" (Liuc) di Castellanza (Varese). Sempre nel 1995 sono stato nominato consulente della Commissione parlamentare stragi ove sono stato relatore sui fatti criminali commessi dal 1987 al 1994 dalla cosiddetta "Banda della Uno bianca". Nel maggio dello stesso anno, sono stato nominato consulente anche della "Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo". Il 26 novembre 1995 ho ricevuto la laurea honoris causa dalla Facolta' di giurisprudenza dell'Universita' Democritus di Tracia (Grecia). Nel maggio 1996 sono stato nominato ministro dei lavori pubblici del governo Prodi. Dal novembre 1997 al 2001 sono stato senatore della Repubblica, eletto nella circoscrizione del Mugello. Dal giugno 1999 sono parlamentare europeo, incarico che ricopro tutt'ora. In tale ambito ho svolto e svolgo funzioni di presidente di delegazione del Parlamento europeo dapprima per le relazioni con il Sud America, poi per l'Asia centrale ed ora per il Sudafrica. Nel 1998 sono stato tra i promotori del movimento "Italia dei Valori". Nel 2000 ho fondato il partito "Italia dei Valori", di cui attualmente sono presidente esecutivo. "Italia dei Valori" fa parte della coalizione dell'Unione, della quale condivide i principi ispiratori e gli obiettivi"] Dico si', come presidente di una forza politica per cui la pace e' valore fondamentale di riferimento. Dico si' come deputato al Parlamento europeo che crede fermamente che la fratellanza tra i popoli sia possibile. Dico si' come uomo, padre di famiglia e nonno. Dico si' ad un sogno. * Non so quanto sia tecnicamente realizzabile questa meravigliosa idea di un mondo senza armi, ma e' certo che ancora una volta il Brasile, questo straordinario paese dove le contraddizioni sono tanto estreme, ha il coraggio di porsi questa domanda ed interrogando se stesso, con il referendum del 23 ottobre, interroga il mondo, ed ognuno di noi. Ogni giorno assistiamo, spesso impotenti, al consumarsi di tragedie che sono fuori dal nostro controllo, ma tante, tante altre sofferenze, violenze, ingiustizie che vedono sempre le armi quali indiscusse protagoniste, non sono fenomeni ineluttabili che forzatamente dobbiamo subire. Al contrario, sono situazioni, sia pur estremamente complesse, che possiamo cercare di evitare, governare, migliorare, indirizzare. E' compito delle donne e degli uomini, della politica, dei principi e dei valori che difendono, operare scelte coerenti e decidere che tipo di mondo vorremmo costruire, insieme. 3. 23 OTTOBRE. DONATO PERRECA: SI' [Ringraziamo Donato Perreca (per contatti: donato.rossi at alice.it) per questo intervento. Donato Perreca, costruttore di pace, amico della nonviolenza, persona mite che con la parola umile e saggia, col gesto fraterno e con l'esempio buono rende miti quanti incontra, e' persona di profonda spiritualita' e forte e rigoroso impegno religioso, morale e civile] Una cosa importanta da dire e' questa. Se l'essere umano fosse null'altro che un essere naturale che vive nella natura e non puo' uscire da essa, come un meccanismo predeterminato, ammesso che esista una tale possibilita', prigioniero della necessita' e di se stesso, gli assassini, i ladri, i violentatori, i banditi, le guerre farebbero parte di questa natura necessitata, come i terremoti, gli uragani, la caduta di meteoriti, ed altre catastrofi naturali. Ed anche i mezzi per opporsi a queste cose avrebbero la forma della necessita' e del dolore. Ma se l'essere umano non rifiuta Dio, se crede nella possibilita' e nella realta' della liberazione, se crede di essere persona vivente a cui e' concessa la possibilita' di avere coscienza e di essere libero nell'universo, e di avere da questa coscienza e da questa liberta' una gioia cosi' grande da desiderare di vivere in esso in una felicita' senza fine, allora questa violenza non e' per sempre, e puo' finire quando l'essere umano lo vuole, a partire da ora con un processo graduale o istantaneo, secondo quanto egli stesso crede alla verita', parola di Dio, che risuona nel mondo da sempre. * Noi stessi abbiamo voluto essere vittime della natura, agenti in base a "leggi" indagate dalle scienze, ma come? Un'idea e' che le "scienze dell'uomo" sono contro l'uomo (mentre le scienze "della natura" sono a favore dell'uomo). In questo senso nell'epoca attuale l'oppressione dell'uomo, come la possibilita' della liberazione, e' prodotta dalle ideologie e dagli strumenti culturali che le veicolano, sociologia, psicologia, psichiatria, scienze politiche, economia politica, eccetera, ed i mezzi di comunicazione di massa (radio, giornali, televisione, cinema, internet...), con le organizzazioni sociali, chiese, sindacati, partiti, stati, associazioni umane diverse che se ne servono o/e le servono e operano in questo ambiente cognitivo. Contro questa situazione di oppressione e di alienazione le pistole non servono a nulla, evidentemente, neanche per conseguire quella liberta' momentanea che la forza puo' ottenere, neanche per difendere la stessa. * Rifiutando di credere a Dio l'uomo si trova in una situazione bloccata, in cui il ricorso alla violenza (alla forza) sembra ineliminabile per quanto palesemente vano e illusorio, come e' sempre stato, fonte comunque di ingiustizie, e tutte le leggi e conoscenze cui accennavo prima producono con grandissimi e tortuosi sforzi miglioramenti piccoli e non definitivi, nel continuare delle sofferenze e delle vittime. Tutta la pace cosi' conquistata e' sempre in pericolo e in un attimo puo' scatenarsi un odio divorante, incomprensibile, che acceca interi popoli, e che puo' distruggere il mondo intero. C'e' da chiedersi se i mezzi adoperati per cercare la pace non mettano le basi per nuovi conflitti. * L'illusione tuttavia puo' essere vinta. Questa e' la promessa di Dio. Si puo' descrivere questo processo di liberazione come la creazione e la distruzione di una serie di simboli e di miti e di mondi mitici, di contenuto via via piu' libero e piu' ricco, che cadono dopo essere stati utilizzati come piattaforma per il passaggio successivo, per la crescita morale e psicologica, fino alla scomparsa di tutti i miti e alla manifestazione della realta', all'apparire di Dio, Dio delle cose cosi' come sono... Il nostro respiro, il funzionamento delle cellule, il cuore, la mente, la pelle e le ossa, i miliardi di miliardi di stelle e corpi celesti per tutto l'infinito, e l 'essere vivi su questo pianeta. Dov'e' il male ? Dov'e' la possibilita' del male? Dov'e' la possibilta' di non amare? Questo e' l'augurio che voglio fare alle sorelle e ai fratelli brasiliani in occasione del referendum per il disarmo. Il Brasile avra' un destino di gloria, come tutta l'umanita'. 4. 23 OTTOBRE. PATRIZIA TOIA: SI' [Ringraziamo Patrizia Toia (per contatti: ptoia at europarl.eu.int) per questo intervento. Patrizia Toia e' nata il 17 marzo 1950 a Pogliano Milanese (Milano); laureata in scienze politiche all'Universita' degli Studi di Milano con una tesi sull'automazione nella pubblica amministrazione; frequenta, dopo la laurea, corsi di specializzazione in pianificazione strategica all'Universita' Bocconi. Fino al 1985 e' dirigente del servizio programmazione della Regione Lombardia. Dal 1985 al 1995 e' consigliere regionale in Lombardia, con incarichi di giunta in diversi periodi: assessora al coordinamento per i servizi sociali, assessora alla sanita', assessora al bilancio. Dal 1995 in parlamento, prima alla Camera dei Deputati, poi al Senato della Repubblica; dal 1996 al 1999 e' Sottosegretario al Ministero degli affari esteri; e' poi Ministro per le politiche comunitarie e, nell'aprile 2000, Ministro per i rapporti con il parlamento; dopo le elezioni del 2001 e' nuovamente eletta al Senato della Repubblica e ricopre la carica di vicepresidente della Commissione straordinaria per i diritti umani. Dal 2004 e' parlamentare europea] Credo che, su una questione cosi' importante, che riguarda il futuro non solo del Brasile, ma quello di tutti i paesi dell'America Latina e del mondo intero, sia necessario spendere parole chiare e prendere una posizione determinata. Il referendum del 23 ottobre, promosso per proibire il commercio delle armi da fuoco, e' una straordinaria opportunita' per fare un passo avanti verso alte forme di civilta' e democrazia. Vorrei partire dai numeri che, meglio di ogni altra considerazione, fanno capire il contesto in cui il referendum si tiene. Una veloce ricerca mi ha consentito di sapere che: - in Brasile circolano 18 milioni di armi da fuoco, piu' della meta' non ha registrazione regolare. Tra il 1990 e il 2000, hanno causato 266.000 morti, ovvero il 24% di tutte le morti causate da cause esterne non naturali; - le armi da fuoco sono la prima delle cause di morte di giovani in Brasile; - ogni giorno tre bambini sono feriti da pallottole in Brasile, di cui due per un colpo accidentale; - nel 2002, la sanita' pubblica in Brasile ha speso tra i 45 e i 55 milioni di euro per curare feriti da armi da fuoco. Basterebbero queste cifre per rendersi conto dell'importanza di recarsi alle urne domenica 23 ottobre, votare e mettere fine a una piaga, quella del commercio delle armi, che dilania uno dei pochi paesi non in guerra in cui si muore piu' a causa delle armi che per incidenti stradali. Recenti inchieste rivelano che due brasiliani su tre appoggiano le ragioni promosse dal referendum ed e' proprio questa grande voglia di disarmo che sta "contagiando" tutto il paese, che deve essere il punto di partenza per ottenere una grande vittoria. * Personalmente, non posso che cogliere l'occasione per esprimere il mio rifiuto categorico e il mio sdegno di fronte all'utilizzo e al commercio delle armi da fuoco, e ribadire la mia convinzione che la nonviolenza sia l'unica strada certa da seguire. E' significativo, a questo proposito, che il Brasile cerchi di contrastare la violenza affidandosi allo strumento di democrazia per eccellenza, il referendum. La repressione non puo' e non deve bastare. Solo forti politiche sociali possono farci sperare in un Brasile, e in un mondo, migliore. Al di la' del referendum brasiliano, occorre una profonda riflessione generale, su scala europea e mondiale, sul problema del commercio delle armi e sulle sue devastanti conseguenze, soprattutto perche' sottrae moltissime risorse economiche che potrebbero piu' opportunamente essere dedicate alla promozione dello sviluppo nelle aree piu' arretrate. Proprio pochi giorni fa, in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione della Fao, il nostro presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha pronunciato parole molto toccanti in proposito, quando ha affermato che "una societa' che spende centinaia di miliardi in armamenti e consente che ogni anno muoiano di fame cinque milioni di bambini e' una societa' malata di egoismo e di indifferenza". Sono parole, queste, di cui tutti dovremmo fare tesoro. Confermo la mia costante disponibilita' ad appoggiare le iniziative su questo tema. 5. UMANITA'. MARIA G. DI RIENZO: UNA LETTERA DA LEGGERE QUANDO HAI TEMPO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questa lettera. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Caro ..., lascia che ti racconti una storia, perche' sono stata incaricata di portarti dei saluti. Il 13 ottobre e' nata la seconda bambina di una mia cara amica. I suoi genitori volevano un nome che contenesse un augurio di pace, e cosi' questa piccina si chiama Iris. La mia preghiera per lei e' stata che la terra l'aiutasse a mettere radici in tutto cio' che e' buono, che l'aria la tenesse in sicurezza fra le sue braccia di nuvola, che il fuoco facesse risplendere la sua fiamma interiore e che l'acqua la sostenesse e la nutrisse con l'esempio della sua pazienza e della sua forza. Ma mentre facevo questo, sono incappata in quello che Kurt Vonnegut avrebbe chiamato un "cronosisma". Ho visto la neonata spalancare gli occhi, trasformarsi in una donna adulta dal volto severo e addolorato. Pure, ha piantato il suo sguardo nel mio con una dolcezza attenta, come quando si pianta un seme. * "Come avete potuto essere cosi' ciechi, nella tua epoca?", mi ha chiesto a bruciapelo. "Io vivo nel 2050, dopo le grandi guerre per l'acqua, ma quando tu vivevi esse potevano essere evitate. Sapevate che piu' del 25% della popolazione globale sarebbe vissuta in paesi dove l'acqua sarebbe stata sempre piu' scarsa, e sapevate che il surriscaldamento del pianeta stava peggiorando la situazione. Nel 2005, l'anno in cui io nacqui, l'ex segretario dell'Onu Boutros Boutros-Ghali disse per l'ennesima volta che la prossima guerra in Medio Oriente sarebbe stata combattuta per l'acqua, non per il petrolio. Perche' non avete fatto nulla? E ascolta: ricordi le Maldive, e Tuvalu che fu per breve tempo completamente sommersa nel 2004? Queste isole sono annegate, scomparse. Il surriscaldamento globale ha sciolto i ghiacciai ed ha innalzato il livello del mare, e questo innalzamento sta continuando tuttora e andra' avanti ancora per secoli, perche' nell'anno in cui io nacqui era iniziato lo scioglimento anche delle calotte polari. L'Amazzonia ed il Borneo sono diventate per la maggior parte aride e molte loro foreste sono bruciate. L'Europa del nord e' invece molto piu' fredda, perche' lo scioglimento delle calotte polari impedisce il crearsi della Corrente del Golfo inviando acqua fredda nell'Atlantico del nord. Gli oceani sono acidi e tutto cio' da cui dipendeva la vita in essi e' morto: plancton, molluschi, banchi di coralli. E questi oceani morti ribollono di calore, e gonfiano tifoni ed uragani che colpiscono ovunque. E lascia che ti parli dell'Africa, gia' martoriata dalle guerre. Man mano che le fattorie si trasformavano in deserti a causa dei periodi di siccita' sempre piu' frequenti, milioni di persone cercavano di lasciare i loro paesi, in cerca di cibo, e venivano umiliati e respinti ovunque andassero. Voi lo sapevate. Era gia' cominciato. E dimmi dell'Italia, paese che ci avete consegnato umiliato, impoverito, involgarito in ogni aspetto della vita civile e democratica, pieno di un rancore tanto piu' feroce perche' basato sulla superficialita' e l'ignoranza. Dimmi di questo paese che era crudele con i deboli e servile con i potenti". * Cara nipote, ho detto, a tutta prima mi verrebbe da risponderti che sono felice di non esistere piu' in un mondo siffatto, per poi ritirarmi in fretta, piena di vergogna, nella regione spettrale dalla quale mi hai evocato. Ma tu hai ragione. Anche se sono morta ti devo una risposta migliore di questa. Ti parlero' allora del perche' non abbiamo fatto nulla, o abbiamo fatto poco, nel posto che conosco meglio, e in cui tu come me sei nata. Molti italiani del 2005, cara Iris, erano molto piu' interessati alla propria sopravvivenza e al proprio svago, che all'ambiente o alle istanze relative ai diritti umani, civili o democratici. Drogati da televisione e telefonini, volevano solo che gli si permettesse di vivere tranquilli. C'e' da dire pero' che la loro partecipazione democratica veniva percepita come una noia, una seccatura o un imbroglio non solo da loro stessi. La societa' civile veniva invocata dai politici a loro comodo, e rigettata non appena si mostrava. Il quadro della distruzione dei movimenti era desolatamente ripetitivo: cooptazione (ne facevamo assessori un paio), formazione di liste elettorali autonome (in cui ci si scannava sulla "testa di lista" e sulla perduta "purezza"), attribuzione a loro ed altri dei fallimenti elettorali (era colpa dei "girotondi", dei documentari, della satira). Per indurre le persone ad accettare i ruoli imposti, gli si davano vari tipi di "bromuro culturale" che li mantenevano docili, fra cui un'informazione drogata e mete ed eroi triviali o assurdi; battendo sul tasto della paura e dell'avidita', gli si insegnava il "patriottismo" necessario per armarsi e uccidere in nome degli interessi, della sicurezza, della sopravvivenza del proprio paese. Perche' chi era al potere ci rimanesse, e le corporazioni economiche potessero mantenere i loro vantaggi, a questa gente si dava un nemico, di modo che ogni forma non democratica di governo e di legislazione fosse percepita non solo come piu' efficiente, ma come inevitabile e giusta. * E anche chi metteva in questione tale stato di cose sembrava vivere nel mondo delle fiabe, e ripeteva gli stessi cliche' e gli stessi slogan persino quando questi venivano smentiti dall'esperienza diretta: costoro si aggrappavano ossessivamente ai loro miti, senza riconoscerli per tali. Dicevano: "La gente vuole stabilita'. Non possiamo cancellare tutte le leggi della destra, bastera' emendare qui e la'". Intanto i legislatori, ben piu' preoccupati dei propri affari e della propria rielezione che del futuro del pianeta, si dimostravano incapaci, completamente privi del senso del loro servizio alla comunita', asserviti ad interessi dei gruppi di potere economico e spalmati a tappeto sulla politica guerrafondaia statunitense. Dicevano: "Dobbiamo batterli sul loro stesso terreno e riformare". E cosi' assistemmo alla distruzione della Costituzione e dei diritti democratici, quasi non sapessimo piu' che farcene. Dicevano: "La politica la fanno i politici. Loro sanno quello che fanno, sono li' apposta". Una menzogna che la maggior parte della gente accettava con gratitudine, giacche' permetteva loro di restare politicamente inattivi e non li costringeva a pensare e ad agire. Eravamo governati/e da un mucchio di sciocchi e furfanti benestanti, socialmente prominenti e laureati: ma restavano degli sciocchi e dei furfanti, e prendevano decisioni per il resto di noi. Dicevano: "Ma abbiamo il diritto di parola". Si', con la maggioranza dei giornali, delle reti televisive e radiofoniche di proprieta' di gruppi economici o sotto il controllo del governo (che guarda caso assai spesso facevano capo alla stessa persona); il resto dipendeva dalla pubblicita' per sopravvivere e accordava le vele al vento, oppure si trattava di pubblicazioni alternative che lottavano con ancora maggiori difficolta' finanziarie e che in ogni caso raggiungevano segmenti assai ristretti di pubblico. * Dicevano: "Dobbiamo combattere il terrorismo". In effetti, non ne avevamo mai avuto tanto bisogno. Del terrorismo, intendo. Senza questo nemico indistinto non ci sarebbero state scuse per l'invio di soldati italiani in guerra alla faccia della Costituzione, per il bilancio del Ministero della Difesa, per i profitti delle industrie correlate (belliche, affittuari di "contractors", ecc.). Inoltre, era molto bello poter biasimare il nemico/terrorismo per ogni cosa che andasse storta o quando un altarino si scopriva, inchiodando il politico di turno alle proprie responsabilita': si poteva sempre urlare che c'era la guerra santa e stornare l'attenzione. Di converso, ogni idiota aspirante alla gloria e al potere poteva indicare il proprio nemico come l'altrettanto indistinto "imperialismo americano" e formare il proprio gruppo di combattenti. La cosa interessante di quest'arrangiamento e' che non solo permetteva ai due contendenti (governi e gruppi terroristici) di forzare la sottomissione nei propri popoli per le soverchianti necessita' della guerra, ma consentiva anche di accusare chiunque non fosse d'accordo dei peccati mortali di "scarso patriottismo" o di "infedelta' religiosa" o di "tradimento del movimento", grazie ai quali saremmo stati/e consegnati/e alla barbarie del nemico. * Dicevano: "La Costituzione puo', deve essere adattata ai tempi, al federalismo, alle riforme, eccetera". A dimostrazione che quando si raggiungono le leve decisionali, non abusare del proprio potere e' impossibile? Mi chiederai tu. Ed io in verita' non so dirti a che titolo pensassero di poter alterare il patto fra cittadini e cittadine senza consultare i diretti interessati e le dirette interessate. Chi scrisse la Costituzione vergo' un documento bilanciato e intelligente, teso anche a far si' che nessuno potesse occupare il centro della scena politica da solo, senza mediazioni o negoziazioni. A poco a poco, questo documento venne eroso da destra e da sinistra, sino a risultare di volta in volta sospeso, invalidato, annacquato al punto da risultare privo di senso. Distruggere la Costituzione e' lo scopo non dichiarato di chiunque desideri il potere assoluto, il dominio. Per lavare i cervelli dell'opinione pubblica, affinche' non si accorgesse di questo, si invocavano la moralita', la religione, la sicurezza nazionale, ossia quelle "vacche sacre" che i rappresentanti dell'opposizione avevano troppo paura di mettere in discussione. * Per cui, che facevamo, nipote mia? Ci lamentavamo. Ci lamentavamo della corruzione, dell'ineguaglianza, delle illegalita' condonate o promosse per legge, dei disastri ambientali (oh, cosi' confortevolmente distanti!), ma sotto sotto speravamo che qualcosa dello scandaloso banchetto, una briciola, un beneficio, cadesse su di noi, per ingozzare la nostra avidita' e sopire la nostra paura. Non devi credere pero' che fra noi non ci fosse anche gente che questo lo aveva capito, che lottava in ogni direzione per sanare i guasti e per fermare le sofferenze. Per lo piu' era invisibile alla massa. Faceva il suo lavoro di opposizione al dominio quietamente, con devozione, con amore, con compassione, con tenacia. Io ne ho conosciute parecchie, di queste persone. Di altre sentivo parlare, o leggevo le loro storie. Erano semplicemente umane, e percio' mi hanno dato speranza nell'umanita', Iris, e l'energia necessaria a continuare a vivere. * Ora parla tu, che nel 2005 fosti per me la bimba dell'arcobaleno, dimmi tu cosa posso fare di meglio, e di piu', e di diverso, per far si' che il tuo futuro e il futuro degli altri bimbi di questo mondo non sia un incubo. "Di' alle persone di cui parli che continuino a fare cio' che fanno e che il loro esempio ne convincera' altre, mi ha risposto Iris sorridendo, Di' loro che insieme possono riuscire. Quello che ti ho narrato e' solo uno scenario possibile, ma non e' inevitabile. Tu continua a scrivere, zia. E salutami ...". Cosi' ho fatto, amico mio. 6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA GUERRA, ANTITESI DEL DIRITTO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione il testo della sua relazione al convegno su "I diritti negati dai conflitti" svoltosi il 7 ottobre 2005 a Torino per iniziativa del gruppo consiliare dei verdi per la pace alla Regione Piemonte. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] "La guerra e' l'antitesi del diritto" (Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, quarta edizione, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 59 e 66). 1. La guerra e' l'antitesi del diritto. Qui diritto va inteso sia 1) come ordinamento, sia 2) come diritti umani. 1) "Silent in bello leges", dicevano gli antichi, citati da Erasmo. Inoltre, oggi, la guerra e' chiaramente illegale per la Costituzione italiana e per la Carta dell'Onu, e non puo' mai venire legalizzata. Chi promuove la guerra e' criminale internazionale. L'art. 51 della Carta dell'Onu e l'art. 52 della nostra grande Costituzione, combinati, ammettono la difesa armata da aggressioni militari, purche' con immediato deferimento al Consiglio di Sicurezza. Le azioni armate dell'Onu possono essere azioni di polizia, ma non di guerra. La differenza non e' verbale, ma sostanziale, come la differenza tra forza, che costruisce, e violenza, che distrugge. La polizia, quando agisce legalmente, riduce la violenza, mentre la guerra di natura sua l'accresce, perche' la guerra premia solo il piu' violento, non chi ha ragione e diritto. L'Onu non puo' ne' fare ne' autorizzare alcuna guerra, perche' e' istituita, come dice il Preambolo della Carta, per "salvare le future generazioni dal flagello della guerra". Lo scopo primo ed essenziale dell'Onu, del nuovo diritto internazionale di pace, e' l'abolizione storica della guerra. La Costituzione italiana implica un movimento verso il superamento non solo dell'aggressione, ovviamente, ma anche della difesa con mezzi militari: "L'Italia ripudia la guerra [...] come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", art. 11. Per l'art. 52, come ha sentenziato chiarissimamente la Corte Costituzionale (sent. 164/85), la difesa non e' soltanto militare, ma anche non armata, cioe' coi mezzi della nonviolenza attiva: se e' "sacro dovere" di ogni cittadino e cittadina, senza alcuna distinzione tra abili e non abili alle armi, allora la difesa della Patria deve adempiersi anche con tutti i mezzi leciti ed efficaci, non militari. Il monopolio militare della difesa, ancora fisso nella mente dei piu', in tutte le culture politiche ufficiali, e' ufficialmente spezzato. La legge 230/98, all'art. 8, impegna lo Stato a "predisporre [...] forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta". Un Comitato consultivo e' stato istituito nel 2004, ma la sua attivita' sembra essersi arenata. 2) Quanto ai diritti umani, la guerra e' essenzialmente ricatto violento mediante minaccia e offesa ai diritti (vita, liberta', beni vitali) delle persone, per imporre al vinto la volonta' del piu' violento (von Clausewitz). L'esito di ogni guerra e' totalmente estraneo a ragione e diritto: premia il piu' violento, e' la solennizzazione della totale irrazionalita' e ingiustizia. Nessuna guerra puo' essere giusta. Bisogna rinnovare radicalmente il pensiero. Non vale portare l'esempio della seconda guerra mondiale, imposta da Hitler alle democrazie: essa divenne errore necessario a causa dei ritardi e delle complicita' culturali e politiche delle democrazie col nazismo. Nessuna guerra, nemmeno quando sventa un pericolo grandissimo, merita glorificazione. La Resistenza al nazifascismo in Italia e in Europa, fu lotta giusta nei fini, nei mezzi fu anche spesso nonviolenta, e, nell'uso delle armi, dipese dalle conoscenze del tempo, e certo non potrebbe oggi, in una situazione simile, essere condotta in forme militari (si veda Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993, e la bibliografia Difesa senza guerra, indicata piu' sotto). Difendersi con la guerra e' collaborare alla guerra: si veda di nuovo cio' che scriveva Gandhi agli inglesi sotto attacco nazista il 7 luglio 1940 (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, pp. 248-251). E' utile anche vedere la tesi, sempre meno paradossale, per la quale Hitler ha vinto la seconda guerra mondiale (nel mio libro Dov'e' la vittoria?, Il Segno dei Gabrielli editore, 2005, pp. 67-70, e ora, piu' a fondo, Walter Graziano, Hitler ha vinto la guerra, Arcana, 2005). * 2. Qual e' l'antitesi della guerra? E' necessario cercare l'antitesi e l'antidoto, proprio quando, come oggi, si vuol fare apparire la guerra come l'unico mezzo possibile e necessario contro il terrorismo. Guerra e terrorismo sono due facce della stessa moneta (falsa) e si causano reciprocamente, in una relazione di reciproca imitazione. Non si puo' essere contro la guerra senza un programma costruttivo alternativo nella gestione dei conflitti. Qui e' tutta la fatica e l'impegno dei movimenti anti-guerra pacifisti. Qui e' anche la loro insufficienza, quando si limitano al pacifismo senza costruire cultura e politica nonviolenta. La nonviolenza attiva include ma supera il pacifismo, non opera solo contro la guerra, ma sulle radici strutturali, culturali, spirituali della violenza, con la ricerca, l'educazione, l'azione. E' ormai classica la distinzione della violenza in violenza diretta, strutturale, culturale. Questa tripartizione procede dalla maggiore visibilita' e ripugnanza alla maggiore invisibilita', occultamento, gravita' e profondita'. In un certo senso, la guerra e' la violenza meno grave! Fa piu' numerose vittime l'economia violenta (violenza strutturale) che la guerra. La cultura conflittualista, l'antropologia hobbesiana, l'ideologia della competizione senza pieta' (violenza culturale) sono causa e giustificazione della rapina economica e della guerra. La guerra chiude il cerchio difendendo la rapina strutturale e il dominio ideologico sulle menti. Questa tripartizione procede dal rifiuto piu' facile (della guerra) al rifiuto piu' difficile, quello della accettazione passiva piu' frequente (dell'ingiustizia e della ideologia violenta). Cosi' e' piu' facile resistere e opporsi a una dittatura aperta che a una democrazia violenta e bellicosa. Ma quella che bisogna sviluppare e' l'opposizione piu' difficile e piu' importante. L'impegno deve essere crescente, sulla seconda e sulla terza violenza piu' ancora che sulla guerra. * 3. L'antitesi della guerra e' il diritto Parliamo sia del diritto oggettivo, l'ordinamento, violato dal crimine dalla guerra, come abbiamo gia' visto, sia - ora qui - del diritto sussistente e vivente nella persona umana inviolabile, anche quando e' avversaria, anche quando e' colpevole. Il diritto della persona e' limite e regola e controllo del potere conferito democraticamente. E' regola di gestione e soluzione dei conflitti, che impone di escludere i mezzi distruttivi. E' il diritto di partecipazione culturale e politica, non unicamente istituzionale, di ogni cittadino e cittadina, affinche' la politica, finora sposata indissolubilmente alla guerra, obbedisca ad una societa' che "ripudia" la guerra, cioe' che spezza quel nefasto matrimonio. Il "quarto potere", la libera opinione pubblica che si esprime nei liberi mezzi di comunicazione, e' il diritto dei cittadini ad esercitare un potere di controllo sugli stessi poteri politici democratici, per integrare e correggere le violazioni dei diritti umani, possibili e storicamente avvenute, anche nelle democrazie (vedi Ignacio Ramonet e altri, nel mio resoconto del convegno "Etica e comunicazione", Venezia, primo ottobre 2005, ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 1084, del 15 ottobre 2005 http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html ). * 4. I diritti, negati nel conflitto violento, sono affermati ed esercitati nei conflitti nonviolenti e giusti. Contro l'uso confuso corrente, "conflitto" non e' sinonimo di "guerra": puo' essere violento o nonviolento. La nonviolenza, infatti, e' concetto positivo, nonostante l'apparenza del termine italiano. Essa e': 1) non-offendere (a-himsa); 2) ma di piu' e' in-dipendenza interiore dalla cultura violenta; 3) e' lotta con forza non offensiva, col satyagraha, cioe' la forza interiore, dell'anima, dell'attaccamento al vero e giusto in quanto li conosciamo; 4) e' comunque sempre, anche in caso di insuccesso, testimonianza di un'altra possibilita', diversa dalla regola della violenza, ed esperienza preziosa per le lotte successive. Il conflitto nonviolento e' la lotta ai poteri ingiusti costruendo giustizia con i soli mezzi giusti: la disobbedienza civile responsabile e la resistenza all'ingiustizia, pagando il prezzo della lotta. Ogni potere, anche violento, dipende essenzialmente dall'essere obbedito (teoria di Etienne de la Boetie nel '500, oggi di Gene Sharp, ma gia' apparsa in Aristotele), percio' i popoli, nella misura in cui ne diventano consapevoli, hanno la possibilita' invincibile di smontare con la resistenza e la disobbedienza civile, senza violenza, ogni potere ingiusto (esempio storico maggiore, fra i tanti anche recenti, le rivoluzioni nonviolente nell'Est Europa del 1989). Il prezzo da pagare e' sempre minore in sofferenze e maggiore in dignita', non e' pesante e vergognoso come il prezzo della lotta violenta. La lotta giusta nonviolenta afferma, nell'atto di esercitarli: 1) i diritti delle persone; 2) le regole che a) limitano il potere ristretto e b) sviluppano il "potere di tutti"; 3) esperienze e metodi di gestione non distruttiva ma costruttiva delle differenze e tensioni inevitabili ed anzi vitali nella societa' umana. * 5. Il tempo della guerra e' il tempo della nonviolenza Il Novecento, secolo della massima violenza, e' anche il secolo che ha visto lo sbocco politico della nonviolenza, da virtu' morale personale a virtu', sapienza ed efficacia politica. Jacques Ellul ha potuto dire che "La nostra non e' affatto l'eta' della violenza, e' l'eta' della consapevolezza della violenza" (Contre les violents, Le Centurion, Wien 1972, p. 7). Questa presa di coscienza non rassegnata alla violenza, nonostante la vasta pratica attuale, scopre, con un'altra lettura della storia, demistificante e rivelatrice, che la nonviolenza non e' soltanto un'utopia, ma ha una storia reale, spesso ignorata e occultata: ho raccolto una molto ampia bibliografia storica delle lotte nonviolente, in http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti . Che fare per una politica nonviolenta positiva? Io non sono un politico operativo, penso di vedere un poco gli obiettivi, ma siete voi che sapete camminare. C'e' una vera funzione cooperativa e di uguale importanza tra il lavoro di avvistamento del mozzo sull'albero della nave, e del timoniere a guidarla. Ricordo schematicamente alcuni punti politici che mi sembrano di primaria importanza: - Transarmo: trasformazione dell'armamento da offensivo, come e' ora, a strettamente difensivo. Il Nuovo Modello di Difesa (Nmd), del '91, seguito alla fine della guerra fredda, portato avanti da tutti i governi che si sono succeduti da allora, e' aggressivo, difende non il diritto ma il privilegio, per sua esplicita dichiarazione: secondo il Nmd, il pericolo attuale, caduta l'Urss, sta nelle tendenze "al sovvertimento delle attuali situazioni di predominio regionale, anche per il controllo delle riserve energetiche esistenti nell'area" (p. 21 del libro bianco del Ministero della Difesa, ottobre 1991). Quindi si vuol difendere un predominio. Questa filosofia della difesa e' incostituzionale e intollerabile, per non dire di peggio. L'armamento italiano - portaerei, aerei di lunga portata - e' oggi strutturalmente aggressivo. Sottrae risorse alla vita giusta per un'opera ingiusta. La politica di pace, nella gestione di una difesa ancora armata, impone armamenti "strutturalmente incapaci di aggressione" (come chiedevano i pacifisti tedeschi negli anni '80). Un punto programmatico puo' essere l'annullamento di tutti i programmi di armamento aggressivo. - Corpi civili di pace: la proposta di Alex Langer nel Parlamento Europeo attende di essere ripresa e promossa. Oggi le iniziative di interventi civili di pace sono tutte volontarie (Operazione Colomba, Berretti Bianchi...). Un punto programmatico puo' essere lo spostamento annuo del 5% delle risorse dalla difesa armata alla difesa civile assunta come impegno pubblico. - Promozione dell'economia vitale in sostituzione di quella "sacrificale", come il filosofo Roberto Mancini, dell'Universita' di Macerata, definisce l'attuale economia capitalistica globale, basata sulla divisione dell'umanita', sulla selezione sommersi-salvati, sull'esaurimento della natura. Un punto programmatico puo' essere lo sviluppo della cooperazione internazionale in termini di giustizia dovuta e mai di speculazione, e la riduzione annuale del 5% dei consumi di combustibili fossili con incremento, nella stessa percentuale, delle fonti alternative. - Onu democratizzata, e anzitutto rispettata. Abbiamo visto che non puo' fare ne' autorizzare alcuna guerra, senza distruggere le piu' preziose regole giuridiche di pace. Un punto programmatico puo' essere questo: la nostra politica internazionale non puo' essere soltanto "sotto l'egida" dell'Onu, ma deve essere "sotto i principi del diritto internazionale di pace della Carta dell'Onu, vigente e obbligante". - Diplomazia popolare, contro le cause profonde degli "opposti terrorismi" (che sono proprio due, e non uno solo). Un punto programmatico puo' essere che bisogna dunque parlare coi terroristi, in un dialogo tenace, perche' dove si mette la parola umana, anche conflittuale, si puo' sospendere il potere cieco e muto delle armi. Quando, al contrario, le armi prendono il posto della parola, si eclissa l'umanita', e nessuna soluzione umana si puo' sperare. Le cause prime del terrorismo sono nell'orrendo squilibrio mondiale tra i popoli. Certo, sono anche in germi violenti, presenti in tutte le culture, sviluppati da ingiustizie e violenze, dai quali germi solo il dialogo e il rispetto, la giustizia economica e la politica invece della guerra, possono difendere e immunizzare. L'arma umana del sui-omicida, che usa il proprio corpo come bomba, e' solo la piu' potente e invincibile arma nella corsa all'estremo degli armamenti: la violenza genera sempre la propria contro-violenza, fino ai limiti assoluti della bomba nucleare e del corpo-bomba, se non le si oppone una forza qualitativamente diversa, la relazione umana, che sola puo' invertire la direzione distruttiva. - Dialogo di base tra religioni e culture. Questo fenomeno non vistoso ma presente nella societa' civile e nella cultura e' di importanza decisiva per la pace e il futuro umano. Un punto programmatico per la politica puo' essere riconoscerlo, rispettarlo e proteggerne il libero svolgimento. - L'utopia e' essenziale alla concretezza. Essa indica la direzione, preserva dal perdere l'orientamento, dal regredire. Un punto programmatico della cultura politica puo' essere comprendere la gradualita', certamente, come la legge necessaria dell'azione, purche' sia dinamica e orientata; e comprendere la moderazione come concretezza del fare un passo dopo l'altro, non un passo senza il successivo. - Il distacco personale dal potere, nell'etica personale degli eletti, e' indispensabile al potere democratico, delegato dal popolo: un punto programmatico di chi opera nella politica istituzionale puo' essere percio' un lavorare libero dall'ossessione della carriera; percio' il saper dare senza prendere, il sapere ritirarsi o perdere posizioni senza rinunciare all'impegno, il saper dare come regola alla propria azione non il successo ad ogni costo, ma la fecondita' a lungo termine. La politica, infatti, e' essenzialmente etica. Ricordo che queste erano idee-guida quando partecipai anch'io alla nascita delle prime "liste verdi", attorno all'idea della ecologia, della pace, dell'etica. A fronte dal banditismo della maggioranza attuale, questa e' la prima qualita' alternativa con cui si attende da voi politici che vi presentiate per operare risanamento e giustizia. - Un punto programmatico essenziale della cultura politica mi pare che debba essere analizzare il concetto e la realta' del "potere" politico con la piu' chiara distinzione tra il "potere di", cioe' la possibilita' personale di partecipazione (art. 3 della Costituzione), che deve diventare di tutti, e il "potere su" (sugli altri), che nessuno deve avere. La diffusione a tutti del "potere di" (secondo l'idea del "potere di tutti", la onnicrazia di Aldo Capitini) deve crescere fino a estinguere il "potere su", di alcuni, tanti o pochi, sugli altri, il potere delle oligarchie di ogni genere. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1088 del 19 ottobre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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