La nonviolenza e' in cammino. 1084



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1084 del 15 ottobre 2005

Sommario di questo numero:
1. Appello di donne e uomini insigniti del premio Nobel per la pace: Si' al
referendum per il disarmo
2. Greenpeace: Diciamo si' al disarmo, diciamo si' alla vita
3. Andrea Cozzo: Si'
4. Francesco de Notaris: Si'
5. Cindy Sheehan: Dalla disperazione alla speranza
6. Enrico Peyretti: Etica e comunicazione
7. Lea Melandri: I due volti della maschilita'
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. 23 OTTOBRE. APPELLO DI DONNE E UOMINI INSIGNITI DEL PREMIO NOBEL PER LA
PACE: SI' AL REFERENDUM PER IL DISARMO
[Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo il seguente appello
sottoscritto da donne e uomini insigniti del premio Nobel per la pace]

Noi, donne e uomini insigniti del premio Nobel per la pace, esprimiamo
apprezzamento, gratitudine e sostegno al popolo brasiliano, al governo e
agli attivisti per la pace della societa' civile per i loro sforzi per
contrastare la violenza armata attraverso il voto popolare.
Pur nella sua dimensione nazionale, il referendum per la proibizione della
vendita delle armi e delle munizioni in Brasile ha una rilevanza mondiale:
e' infatti di estrema importanza per elevare il controllo internazionale
delle armi e per prevenire la violenza armata a livello globale. Il mondo
intero si sentira' fortemente interpellato e coinvolto dai risultati di
questa votazione, che avra' un impatto politico e strategico globale.
*
Noi sosteniamo fortemente il referendum, considerando:
- che nel solo Brasile circa 40.000 persone ogni anno vengono uccise da armi
da fuoco, come attestano i dati statistici delle Nazioni Unite;
- che la proliferazione e l'abuso delle armi leggere aumenta il tasso di
letalita' delle comuni controversie, delle liti domestiche e dei crimini
violenti, sia in Brasile che nel mondo;
- che l'inadeguata regolamentazione del commercio delle armi in Brasile e a
livello internazionale ha contribuito ad ostacolare gli sforzi per lo
sviluppo umano, ad esacerbare gli abusi contro i diritti umani, a minacciare
la sicurezza pubblica e a terrorizzare intere popolazioni.
*
Il si' al referendum per il disarmo mandera' un messaggio coraggioso e
innovativo: che le persone che vivono in Brasile non vogliono che le loro
case, le loro strade, le loro scuole e i loro spazi pubblici siano inondati
dalle armi.
Sara' un messaggio che dira' al mondo intero che la maggioranza delle
persone non credono che possedere armi nelle loro comunita' le rende piu'
sicure.
Sara' un messaggio che dira' al mondo intero che deve prevalere la cultura
della giustizia, dei diritti umani e della pace.
*
Noi, che siamo attivamente impegnati per far progredire la pace nel mondo,
riteniamo che una dichiarazione come questa da parte del Brasile - un paese
che non solo e' profondamente colpito dal problema della volenza armata, ma
e' anche un importante produttore di armi leggere - potrebbe incentivare
altri paesi a rendere piu' restrittiva e rigorosa la regolamentazione delle
armi a livello nazionale, regionale, internazionale.
Di piu', noi riteniamo che un passo verso il disarmo come questo costituira'
un sostegno cruciale per il Trattato sul commercio delle armi, costituendo
il modello per uno strumento internazionale per regolamentare e limitare
l'irresponsabile commercio delle armi, cosi' come fu proposto dai vincitori
del premio Nobel per la pace gia' nel 1997.
Conclusivamente, noi abbiamo speranza che il popolo brasiliano vorra'
approfittare di questa opportunita' per creare un futuro libero dalle armi
per le generazioni venture, e dimostrera' al mondo che la pace e' nelle
nostre mani.
*
Noi, donne e uomini insigniti del premio Nobel per la pace, dichiariamo la
nostra completa approvazione e il nostro incondizionato sostegno al
referendum e alla successiva necessaria adeguata applicazione del suo
positivo esito con la proibizione del commercio delle armi da fuoco e delle
munizioni in Brasile.
*
Firmatarie e firmatari:
Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace 1980;
Amnesty International, premio Nobel per la pace 1977;
Betty Williams, premio Nobel per la pace 1976;
Desmond Tutu, premio Nobel per la pace 1984;
International Physicians for the Prevention of Nuclear War (Ippnw), premio
Nobel per la pace 1985;
Jody Williams, premio Nobel per la pace 1997;
Mairead Corrigan, premio Nobel per la pace 1976;
Oscar Arias Sanchez, premio Nobel per la pace 1988;
Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace 2003.
Aderisce anche la Fondazione Albert Schweitzer (1875-1965), premio Nobel per
la pace 1952.

2. 23 OTTOBRE. GREENPEACE: DICIAMO SI' AL DISARMO, DICIAMO SI' ALLA VITA
[Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo la seguente presa di posizione
di Greenpeace, una delle organizzazioni ambientaliste piu' importanti e piu'
note a livello internazionale]

Il 23 ottobre in tutto il Brasile gli elettori andranno alle urne per
rispondere si' o no alla domanda: "Il commercio delle armi da fuoco e delle
munizioni deve essere proibito in Brasile?". E' il primo referendum sulle
armi nella storia brasiliana, ed e' anche la prima volta nel mondo che
verra' realizzata una consultazione popolare su questo specifico tema.
Impegnata in molte iniziative per la pace, Greenpeace conosce le situazioni
di violenza nelle citta' e nelle aree rurali, e nella sua lotta in difesa
dell'ambiente e' stata anche vittima di atti di violenza. ' sulla base
dell'esperienza che la nostra organizzazione ritiene che la presenza delle
armi genera soltanto maggiore violenza, e non protegge affatto i cittadini.
Negli ultimi dieci anni la societa' civile ha cominciato a mobilitarsi
contro la violenza, con la formazione di organizzazioni non governative di
cooperazione e solidarieta' e la mobilitazione di varie associazioni; fino
alla realizzazione della campagna diel disarmo volontario, con la consegna
volontaria delle armi da parte dei cittadini che ne erano in possesso. Solo
lo scorso anno sono state tolte dalla circolazione 450.000 armi in tutto il
paese.
Nell'impegno per un futuro verde e di pace, Greenpeace appoggia la campagna
referendaria. Diciamo si' alla vita, si' al referendum, si' al disarmo.

3. 23 OTTOBRE. ANDREA COZZO: SI'
[Ringraziamo Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) per questo
intervento. Andrea Cozzo e' docente universitario di cultura greca, studioso
e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca
su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e
laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti
articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato
scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti:
Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali
della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo
1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una
societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e
nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta
nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di
lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e
violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci,
Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero
caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti),
"Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione.
Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di),
Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp.
87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una
ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002;
Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che
cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di),
Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi,
Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del
Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11
settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28;
Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa,
Edizioni Mimesis, Milano 2004]

Il referendum brasiliano del 23 ottobre e' un momento fondamentale nel
processo di costruzione di una societa' piu' umana. L'abolizione della
vendita di armi da fuoco e' la scommessa che il Brasile sta facendo per un
salto di qualita' nelle relazioni tra i cittadini, perche' non siano dati
come ovvi la possibilita' della violenza ed, anzi, il pensiero stesso della
violenza.
Rispondere si' al referendum significhera' dare una lezione di civilta' a
tutto il mondo, accendere un'altra fiammella di speranza per i popoli e
contribuire concretamente ed esemplarmente alla diffusione dell'idea che la
gente, la "gente comune", non considera vera sicurezza quella armata.

4. 23 OTTOBRE. FRANCESCO DE NOTARIS: SI'
[Ringraziamo Francesco de Notaris (per contatti:
francesco.denotaris at virgilio.it) per questo intervento. Francesco de
Notaris, gia' senatore, e' impegnato nell'esperienza del "gruppo del
Cantiere", giornalista e saggista, e' stato protagonista di molte iniziative
di pace, di solidarieta', per i diritti umani, contro i poteri criminali e
la violenza. Opere di Francesco de Notaris: Realizzare la speranza. Voci
della citta', Edizioni Dehoniane, Napoli]

Si' al referendum in Brasile, e se ne dovrebbe tenere uno per tutto il
mondo.
Quale cittadino ama le armi e la guerra? Occorre porre fine alla costruzione
e al commercio delle armi. Purtroppo anche l'industria del giocattolo
contribuisce ad indurre i piu' piccoli all'uso delle armi (finte), a
banalizzare la morte e la guerra (vedi soldatini, carriarmati, giochi
virtuali di guerra). I "capi" considerano utopia la pace ed ancor di piu' i
sentieri della pace. Ma l'utopia non e' impossibilita'.
Sembrava, negli scorsi anni, che in Italia anche le istituzioni avessero
cominciato a capire, invece oggi siamo impegnati su fronti di guerra e non
abbiamo corpi disarmati che lavorino per la pace dove c'e' la guerra.
In Parlamento presentai la mozione sulle mine anti-uomo approvata il 2
agosto 1994. E poi l'obiezione di coscienza, e chiedemmo invano la
riconversione dell'industria bellica e la riduzione delle spese militari.
Considerare le armi come un tabu' resta la luce in fondo al tunnel.
In Italia bisogna ripensare ad azioni coordinate, continue, in raccordo con
le realta' educative e superare iniziative episodiche fondate talvolta
sull'emotivita' o relative a fatti contingenti. Programmare solidi percorsi,
regione per regione, nei diversi territori, censendo tutte le sensibilita' e
mettendo in moto anche momenti di pacifica conflittualita' e' un compito
delle diverse associazioni impegnate sul campo, che hanno necessita' di
incontrarsi e conoscersi. La pace e' necessaria alla convivenza: in una
classe scolastica, come in una famiglia o in un condominio.
La pace non e' soltanto da richiedere ai governanti, ma da realizzare nello
sforzo di una quotidianita' che rifiuti la stupida competitivita' o la
ricerca costante di chi e' "a favore" e chi e' "contro". E cosi' via.

5. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: DALLA DISPERAZIONE ALLA SPERANZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo di Cindy
Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il mese
di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush
stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli
conto della morte di suo figlio]

Ci sono state molte notti, dopo che Casey era morto e seppellito, in cui ho
dovuto trattenermi dall'ingoiare l'intero flacone dei sonniferi. Il dolore e
la voragine di disperazione erano troppo forti per lottare contro di loro.
Come ci si puo' aspettare che una persona continui a vivere in un mondo che
e' cosi' pieno di dolore e cosi' avaro di speranza? Percio' pensavo: sarebbe
cosi' facile prendere queste pastiglie ed andare a dormire, e non svegliarsi
piu' in questo mondo terribile... Cio' che mi ha trattenuta dal commettere
questo atto codardo ed egoista sono stati gli altri miei tre figli. Come
potevo metterli in una situazione cosi' orribile, dopo quello che stavano
gia' passando? Sapevo che dovevo vivere, e sapevo che continuare a vivere
sarebbe stato (e lo e' ancora) la cosa piu' difficile che io avessi mai
fatto.
Ad ogni modo, ora so perche' la gente si uccide: e' la mancanza di speranza.
Per me era il buco nero del sapere che avrei dovuto alzarmi al mattino per
il resto dei miei giorni con la consapevolezza che non avrei mai piu'
rivisto Casey: dovevo esistere in un mondo privo di lui, e limitarsi ad
esistere non e' un modo di vivere.
*
Circa tre settimane dopo l'uccisione di Casey, mia figlia Carly venne da me
e mi colpi' con la ragione per vivere: era la sua poesia, intitolata "Una
nazione cullata al sonno". Una delle strofe dice: "Avete mai udito il suono
di una madre che grida per il proprio figlio? Il pianto torrenziale di una
madre, un pianto senza fine. Lo chiamano eroe, e potete rallegrarvi per
questo, ma avete mai udito il suono di una madre che piange per il proprio
figlio?". Questa strofa mi ricordo' che non ero la sola nell'universo a
soffrire di quell'intollerabile dolore, ma cio' che mi aiuto' a scavarmi
l'uscita dalla fossa della disperazione, un agonizzante centimetro alla
volta, fu l'ultima strofa della poesia: "Avete mai udito il suono di una
nazione che viene cullata al sonno? I leader vogliono tenervi annebbiati,
cosi' il dolore non sara' troppo profondo. Ma se noi, il popolo, li lasciamo
continuare, un'altra madre piangera'. Avete mai udito il suono di una
nazione che viene cullata al sonno?".
Quando mia figlia mi recito' questi versi, seppi che avrei speso ogni
briciola di tempo, di denaro e di energia per portare a casa le truppe,
prima che un'altra madre dovesse piangere.
Mi vergognavo di me stessa, per non aver tentato di fermare la guerra prima
che Casey morisse, ma stupidamente avevo pensato: "Cosa puo' fare una
persona da sola?". Allora mi dissi che non sapevo se avrei fatto la
differenza, ma che ci avrei almeno provato. Se fallivo, almeno un giorno
sarei morta sapendo che avevo dato il massimo per riuscire.
*
Cominciai gradualmente, per tre passi di speranza in avanti, facevo anche
due passi indietro. Ebbi un meraviglioso periodo in Florida durante la
campagna elettorale, lavorando contro la rielezione di George Bush. Trovai
l'associazione "Gold Star Families for Peace". Fui una delle oratrici
principali al raduno per la pace di Fayetteville. Casey ed io finimmo sulla
prima pagina di "The Nation". Testimoniai alle consultazioni del deputato
John Conyer nel giugno del 2005. Sentivo che, una scheggia alla volta, stavo
erodendo il sostegno pubblico all'occupazione dell'Iraq.
Poi, nell'agosto del 2005, dopo che mi ero gia' separata da mio marito dopo
28 anni di matrimonio, me ne stavo a casa a guardare la tv (un'occasione
rara, per me) e vidi che 14 marines dell'Ohio erano morti in un solo
incidente. Come se questo non fosse stato abbastanza per spezzarmi il cuore
e farmi stare male, George Bush era sullo schermo a dire ai parenti dei
soldati caduti che i loro cari erano morti "per una nobile causa".
Questo mi fece impazzire di rabbia, ed alimento' il mio senso di fallimento.
Io non credevo, ne' prima che Casey morisse, ne' dopo, e neppure quel 3
agosto 2005, che invadere un paese che era minaccioso per gli Usa quanto la
Svizzera, e che uccidere decine di migliaia di persone per avidita', potere
e denaro, fossero una nobile causa.
Decisi di andare a Crawford, e di chiedergli quale fosse tale "nobile
causa".
Poi George ebbe la sfortunata sfrontatezza di dire qualcosa che mi infiammo'
per mesi. Disse che dovevamo "completare la missione per onorare il
sacrificio dei caduti". Per mesi gli chiesi pubblicamente di smettere. Non
voglio che una sola altra madre abbia il cuore e l'anima lacerati senza
ragione, a causa di bugie e stupidaggini.
Ho voluto andare a Crawford anche per domandare a George di smettere di
usare il sacrificio di mio figlio per continuare il suo disonorevole e
codardo massacro.
^*
Il resto e' gia' storia. Piu' americani vennero a Camp Casey, piu' lettere,
cartoline, e-mail, chiamate telefoniche di sostegno ricevemmo, piu' a Camp
Casey fummo felici. Lo capimmo li', a Camp Casey ricordammo qualcosa, dopo
almeno cinque anni di dittatura virtuale che abbiamo negli Usa ora: noi, la
gente, abbiamo tutto il potere. Noi, il popolo, dobbiamo esercitare i nostri
diritti e le nostre responsabilita' come americani per dissentire da un
governo irresponsabile, temerario, ignorante ed arrogante.
Abbiamo capito, un po' tardi ma non troppo tardi, che quando George disse:
"Se non siete con noi, siete contro di noi", avremmo dovuto alzarci in piedi
in un furente, giusto e patriottico unisono e dire: "Hai dannatamente
ragione, pazzo bugiardo. Siamo proprio contro di te, e contro la tua insana
precipitazione nell'invadere l'Iraq". Non lo facemmo allora, ma Camp Casey
ci ha insegnato che e' giusto far sentire le nostre voci contro il governo.
E non solo e' giusto, ma e' doveroso quando il tuo governo e' responsabile
dell'uccisione di innocenti. E' doveroso, quando non ci sono all'opera ne'
controllo ne' bilanciamento: che noi, la gente, si sia il controllo ed il
bilanciamento dei media e del governo.
*
La mia speranza era stata "uccisa in azione" lo stesso giorno in cui Casey
fu "ucciso in azione". La poesia di Carly mi diede una ragione per vivere.
Camp Casey, con i suoi meravigliosi sentimenti d'amore, accettazione, pace,
comunita', gioia, e si', ottimismo per il nostro futuro, mi ha riportato il
desiderio di vivere.
Posso di nuovo sorridere e ridere, e sapere perche', per la maggior parte
del tempo. Sono cose, queste, che diamo per scontate, ma io non lo faro' mai
piu'. Vivere nella speranza che il nostro mondo un giorno esistera' in un
assetto di pace, amore e risoluzione nonviolenta dei conflitti e' un gran
buon modo di esistere.
Amo essere viva, ora, e la mia vita sara' dedicata alla pace con giustizia,
cosi' che i nostri figli non debbano mai piu' essere abusati dalla macchina
della guerra.
Grazie, America. Grazie, Casey.

6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ETICA E COMUNICAZIONE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
resoconto del convegno su "Etica e comunicazione" svoltosi a Venezia il
primo ottobre 2005. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e
filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il
mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore
per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede
dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente
edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi
interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla
pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

"Noi giornalisti dobbiamo saper dire no, rifiutarci di accettare la versione
dei fatti che ci raccontano presidenti e primi ministri. Ma e' proprio
quello che non facciamo, perche' vogliamo essere parte del potere, ci piace
apparire amici di questo o quel ministro, invece di trattare l'autorita' nel
modo dovuto: sospettando e dubitando sempre" (Robert Fisk, sul quotidiano
"l'Unita'" del 12 ottobre 2005).

Riferisco qualche idea principale dal convegno Etica e comunicazione, sui
diritti e l'informazione nel sistema globale, svoltosi nella belle strutture
dell'isola di San Servolo, a Venezia, il primo ottobre 2005, indetto entro
il programma Provincia Etica di Venezia (per informazioni:
laura.coletti at provincia.venezia.it).
*
Ignacio Ramonet (direttore di "Le Monde Diplomatique"). I media non
funzionano piu': sono diventati il problema principale della democrazia. La
stampa e' nata come quarto potere di controllo, perche' i tre poteri
legislativo, esecutivo, giudiziario, non bastano per una vera democrazia. I
poteri democratici possono fare leggi ingiuste e crudeli: in Usa la
democrazia legittimava la schiavitu' e la segregazione razziale, in Francia
la conquista e il dominio coloniale e la discriminazione dei dominati. Per
definizione, il quarto potere si oppone al potere politico: questa e' la sua
funzione naturale in democrazia. Ma oggi, con qualche eccezione, i media
principali tradiscono questo compito. L'informazione oggi e' la principale
materia strategica del potere. Nella globalizzazione il potere economico,
controllando il potere mediatico, controlla e domina quello politico.
Berlusconi, eletto democraticamente, e' l'anomalia della democrazia. Il
potere mediatico non e' piu' l'alleato dei cittadini contro il potere, ma il
loro avversario. Sulla guerra all'Iraq il potere mediatico si e' alleato a
quello politico-militare per sostenere le sue menzogne. I media non solo
mentono, ma occultano, che e' peggio che travisare. Pensate che le spese di
pubblicita' nel mondo superano le spese per l'educazione. Ma i cittadini,
come cominciano a reclamare un'alimentazione biologica, percio' etica,
cosi', riconoscendosi in condizione di "insicurezza informativa", cominciano
a volere un'informazione etica, cioe' dedicata a controllare gli altri
poteri. C'e' molta piu' informazione corretta negli strumenti orizzontali:
ogni cittadino puo' diventare informatore. Non le migliaia di giornalisti,
ma singoli cittadini hanno scoperto Abu Ghraib. Cosi' a Madrid, nello
tsunami, a New Orleans, il 7 luglio a Londra. Piu' ancora che denunciare,
bisogna costruire. E' possibile la partecipazione di cittadini coscienti e
attivi a creare sistemi di comunicazione.
*
Roberto Savio (Media Watch Global International). Riceviamo tanti, troppi
messaggi, che riducono la nostra capacita' di reazione. Bisogna riscattare
la differenza tra verticalita' e orizzontalita'. Nella verticalita',
l'interazione e' minima e massima l'omogeneizzazione: i provider di immagini
tv erano 7, sono 2, e stanno per fondersi in uno. Molti, tra cui il 16% dei
giovani, non comprano giornali perche' non trovano quello che cercano. Il
nuovo nasce nelle reti orizzontali: campagna contro le mine fino al trattato
internazionale, conferenza delle donne di Pechino, Porto Alegre, campagna
per l'eliminazione del debito. In tutto cio' i giornali non solo non hanno
alcun peso, ma non capiscono e non seguono. Da qui verra' un rinascimento
basato su valori.
*
Ennio Remondino (inviato speciale Rai). Bush I e Kissinger programmarono la
conquista delle bande magnetiche. L'informazione e' pura vendita di
emozioni, suoni, paure, modello Grande Fratello. L'Europa, gigante di 480
milioni di cittadini, e' nana nel regolamentare la pluralita' informativa:
pone solo regole mercantili, non di valori. Nella Costituzione europea c'e'
una sola volta "pluralismo", mai "informazione". L'eccezione italiana
Berlusconi sta diventando regola europea: nei nuovi entrati nella Unione
Europea crescono tanti berluschini. Sul mercato globale di cinema,
intrattenimento, informazione, l'Europa, superiore in popolazione e valori,
ha il 20%, e  gli Usa il 57%. Africa, Asia e Latinoamerica non si
raccontano, percio' non esistono. L'esportazione Usa, dal 1945, vede al
primo posto le armi, al secondo l'industria audiovisiva. In Italia, l'Unione
ha una politica dei media? quale progetto ha sulla tv pubblica? e sul
pluralismo informativo? La corsa alla privatizzazione favorisce dappertutto
la concentrazione, percio' si riscopra il servizio pubblico come garanzia.
*
Giulietto Chiesa (europarlamentare; Megachip). Oggi la comunicazione e'
contro la democrazia. I media sono diventati immorali. Finora, la sinistra e
la chiesa cattolica non hanno capito. Gli ultimi venti anni vedono una
mutazione antropologica, da homo legens a homo videns. Spazzati via
famiglia, scuola, oratorio, chiesa, la tv e' formatrice di tutta la
societa'. Nel grande flusso, da tutti i canali, l'informazione non e' mai
piu' del 10%, anche il 6-7%; tutto il resto e' intrattenimento e
pubblicita': oltre il 90%. E' questo il centro vero dell'informazione che
plasma i cervelli. La battaglia va fatta sul 100%, non solo sul 10%, per
salvare democrazia, cultura, convivenza civile. La tv e' una grande fabbrica
di sogni e menzogne, che ci fa consumatori compulsivi: se cessano le tv per
una settimana crolla l'economia. 27 milioni di italiani vedono solo la tv,
non leggono mai nulla: votano avendo conoscenza zero, solo sogni e menzogne.
E' stato calcolato un 19% di gossip e un 3% di notizie sull'Africa. Contano
solo le facce, non le idee. I bambini diventano uomini dell'immagine, non
sapranno leggere, parleranno una lingua senza sfumature, come l'inglese.
Vedono in media tre ore e mezza al giorno di tv, crescono deformati:
violenza, profitto, competizione senza pieta'. Siamo gia' tutti analfabeti
perche' non sappiamo leggere le immagini. Nei giornali nessun giornalista
puo' davvero lavorare, l'agenda e' fatta da direttori e proprietari. Serve
un grande movimento popolare per rifare la democrazia, che e' demolita.
L'etere e le reti private devono andare sotto il controllo democratico.
L'Europa non fa niente. Non sappiamo niente della Cina. Siamo sull'orlo del
disastro. La contro-informazione non basta, non incide sui media. Si'
all'orizzontalita', ma deve diventare battaglia politica e non lo diventa da
sola.
*
Fausto Colombo (Osservatorio sulla comunicazione dell'Universita' Cattolica
di Milano). La legge dell'Unione Europea sul copyright e' migliore di quella
Usa. E' significativo che un giovane - definito hacker dai giornali - abbia
scoperto, col semplice trasformare il documento da pdf a word, i nomi dei
militari omessi nel rapporto Usa sull'uccisione di Calipari. E' arrivato
prima di tutti i giornali. Bisogna dare alle amministrazioni locali la
capacita' di avere dei loro media.
*
Francesco Siliato (Sociologia dei processi culturali e comunicativi,
Politecnico di Milano). L'Unione Europea sta per varare una legge che
liberalizza i tempi della pubblicita' in tv, che ora sono al 5% (ma spesso
superato perche' non c'e' controllo). La pubblicita' soppianta il racconto
del mondo umano e divino, che e' dare il nome alle cose, senza di che il
mondo e' caos. Poiche' diventa possibile la comunicazione orizzontale, il
potere, per riconquistare l'attenzione, crea la paura, approfittando del
terrorismo che gli e' utilissimo. La tv non e' credibile, ma e' usata.
Bisogna rubare il tempo alla tv, per dedicarlo a immaginare.
*
Alex Zanotelli (missionario comboniano). Non sono neutrale, sto dalla parte
dei poveri. Davvero i media sono il grande problema della democrazia.
Riflettono un'immagine immorale di un mondo immorale, costruito
sull'ingiustizia. Questi sono dati della Banca Mondiale: un miliardo di
persone dispone di meno di un euro al giorno; due miliardi di meno di due
euro. Cinquanta milioni di persone muoiono di fame ogni anno: tante come le
vittime della seconda guerra mondiale. I media riflettono la vita di quel
20% che consuma l'83% delle risorse del pianeta. Il sistema e' tenuto su'
dalle armi. Secondo un rapporto ufficiale di 1.600 scienziati, fra 50 anni
sara' troppo tardi per cambiare. Karl Popper avverti': "Con questa tv non
c'e' democrazia". Sappiamo che in Iraq i morti di questa guerra sono forse
200.000, ma in Congo, per il coltan, per i nostri interessi, sono 4 milioni.
Chi ce lo dice? L'Africa e' la nostra madre, il polmone antropologico del
mondo, e le sue culture sono a rischio di essere spazzate via nei prossimi
20 anni, se continuiamo cosi'. Abbiamo bisogno di giornalisti che dicano la
verita'. Che fare? Tornare ai volti (Italo Mancini), alla capacita'
comunicativa di base. Metterci insieme contro l'atomizzazione, fare reti,
cooperative, recuperare dal basso la decisione politica: la societa' civile
organizzata deve diventare soggetto politico. Le opposizioni attuali, in
questo, non ci sono. Poi boicottare la tv, boicottare la pubblicita': in
prima serata il 30% e' pubblicita' (da "La Repubblica"). In dicembre, a Hong
Kong, il Wto decidera' sui Gats: acqua, scuola, sanita' entreranno nel
commercio? Allora pagheranno i poveri: moriranno cento milioni, e non
cinquanta, all'anno.
*
Una mia considerazione complessiva: la parola umana, che passa tra noi,
dall'uno all'altro, ai molti, non e' un semplice strumento per passare delle
informazioni, meno che mai per comandare, manovrare o utilizzare l'altro. La
parola umana qualifica l'umanita'.
Vale se e' incontro che umanizza gli uni e gli altri. "Lo Spirito non e'
nell'Io, ma tra l'Io e il Tu", dice Martin Buber. Lo spazio tra l'io e il tu
e' il luogo dell'incontro, dell'uscita dalla solitudine, dell'accoglienza
che salva dal nulla, della reciproca realizzazione e valorizzazione. Li'
anche il soffrire e' possibile con una prospettiva, li' sperimentiamo la
maggior gioia possibile. Li' e' ogni verita' umana e ogni piu' grande
verita'. "Dio e' nell'incontro di due sguardi", dice Michele Do. "Dio e' un
bacio", diceva padre Calati. E chi non crede in Dio, sa che nella
comunicazione vera, che e' il reciproco riconoscimento e onore, c'e' la
nostra verita'. Dunque il problema di una comunicazione etica, giusta,
democratica, e' il problema della verita'. Non si tratta di una verita'
somma e ultima, a cui tendiamo come orizzonte del cammino, ma della verita'
minima indispensabile, che e' il dire la verita'.
La veridicita' non e' solo il dovere della nostra parola, ma il diritto
della nostra ricerca e ascolto. Non c'e' societa' umana, senza veridicita',
ma un sistema di trappole. Mi pare che questo sia stato il nocciolo
antropologico, morale e politico presupposto nel colloquio veneziano sui
media di oggi. Su quel nocciolo conviene sostare per consolidare le analisi
e prospettive del convegno.
La parola pubblica e' stata liberata da vincoli e divieti autoritari ad
opera dell'illuminismo e della democrazia. Ma questa parola libera,
potenziata da costosi e ambiti mezzi tecnici di moltiplicazione e
amplificazione, diventa proprieta' di pochi, rovescia la conquista moderna,
diventa anche arma contro la persona e la convivenza: da mezzo di
liberazione diventa strumento di dominazione e trasforma il cittadino
sovrano, derubato e ingannato, in suddito votante ma plebiscitante.
La via di riscatto e' tutta nel dire la verita': il bambino della favola che
grida cio' che vede, "Il re e' nudo", salva tutti dall'inganno potente. Dire
la verita' al potere e' la prima arma nonviolenta gandhiana, anche quando
costa, perche' il libero corso della parola falsa costa piu' di tutto a
tutti.
A salvaguardare queste gravissime preoccupazioni dal pessimismo
paralizzante, e' bene ricordare che, in Italia, mentre la grande
informazione ammanniva le false ragioni della guerra all'Iraq, il 70-80%
degli italiani non le credeva ed era contrario a quella guerra. Lo stesso
sta avvenendo, in ritardo, negli Usa. Il fedele giornalismo di inchiesta, di
smascheramento, e' ritornato nel servizio di Fabrizio Gatti sulle violenze e
sul disprezzo fascista esercitati contro i migranti, anche ad opera dei
carabinieri, nel Centro di Permanenza Temporanea di Lampedusa.

7. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: I DUE VOLTI DELLA MASCHILITA'
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente testo di Lea Melandri.
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma
1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo
strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996.
Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea
Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti.
Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita'
delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal
1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della
rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba
voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte
attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla
problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le
pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977
(Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 (
ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

"L'omofobia e' qualcosa di piu' del timore irrazionale dell'omosessualita',
piu' della paura di essere considerati gay... trae origine dal timore che
altri uomini possano smascherarci, mettere in discussione la nostra
maschilita'... scoprire che la separazione dalla madre non e' ancora del
tutto compiuta" (Michael S. Kimmel, Maschilita' e omofobia, in Tra i generi,
Guerini 2002).

L'esclusione della donna dalla vita pubblica non ha impedito che vi restasse
doppiamente implicata: per gli effetti del dominio che la comunita' storica
degli uomini si e' arrogata sul suo corpo e per quelle tracce di
"effeminatezza" che l'eta' virile eredita, suo malgrado, dalla parziale
identificazione originaria di ogni figlio con la madre, e dalle cure che
riceve da lei.
Nel momento in cui si definiscono la figure del maschile e del femminile,
sulla base delle opposizioni note con cui sono arrivate fino a noi -
materia/spirito, biologia/storia, debolezza/forza, ecc. - si puo' pensare
che la donna sia gia' lontana, confinata nell'interno delle case, e che a
interagire nei vincoli, nelle norme, nei linguaggi che gli uomini vanno
costruendo tra loro, sia rimasta soltanto la sua ombra. E' in questa
posizione ambigua, di presenza e assenza, che la femminilita' si carica di
significati e valenze contraddittorie, diventando agli occhi dell'altro
sesso perdizione e salvezza, mistero e verita', morte e rigenerazione.
Inscindibile dall'infanzia di ogni essere umano, su di essa finiscono per
convergere quei tratti, amati e odiati, da cui il maschio ha creduto di
poter prendere distanza: la tenerezza, ma anche l'umiliazione e la
dipendenza, la garanzia della crescita e, al medesimo tempo, il rischio di
rimanere per sempre bambino.
Le due donne che si presentano al bivio dove un Ercole adolescente e'
chiamato a decidere del suo futuro, benche' messaggere di destini opposti -
la mollezza dei piaceri del corpo e la virtu' del cittadino guerriero-, sono
in realta' una persona sola, divisa tra la possibilita' di scomparire per
lasciar vivere il frutto del suo sacrificio, o di restargli a fianco,
tentazione permanente e ostacolo al suo impegno civile. Il fascino del mito
mai tramontato che racconta il difficile, incerto passaggio dell'uomo-figlio
dall'abbraccio caldo e minaccioso della madre amante alla comunita' di padri
e fratelli, trova in eta' moderna un'appassionata argomentazione nella
lettera che il giovane filosofo goriziano Carlo Michelstaedter scrive alla
madre il 10 settembre 1910, un mese prima di suicidarsi: "Quando tu mi
coprivi se avevo freddo, mi nutrivi se avevo fame, mi confortavi quando
piangevo... dimmi, allora, facevi questo come una bambina fa con la sua
bambola, come un'infermiera o una bambinaia, che lo fa come lavoro
quotidiano di tutta la sua vita, o lo facevi come la mia mamma e mi nutrivi
e mi riparavi e mi curavi perche' ti crescessi forte e sano, perche' nella
piccola, tenera, stupida cosa bisognosa di tutto tu sognavi l'uomo forte,
sicuro di se' di fronte a ogni cosa... tu non mi curavi per potermi curare
ancora in futuro, non mi curavi con la speranza ch'io ti rimanessi
eternamente fragile e impotente oggetto di cure... ora io potro' camminare
sulle mie gambe, ora tu avrai i frutti del tuo lungo soffrire; ora non
amerai piu' in me il futuro incerto da curare e assicurare con la tua pena,
ma il presente vivo per se stesso. Pensa mamma alla tristezza, se stanco e
sfiduciato, adattato alla qualunque convenienza, col sorriso amaro e la
sigaretta sulle labbra io ti chiedessi il rifugio delle cure e delle carezze
che mi davi quand'ero bambino..." (Carlo Michelstaedter, Epistolario,
Adelphi 1983).
*
Lo sguardo impietoso, giudicante, con cui un uomo spia dietro la maschera
virile del suo simile il rimpianto di antichi piaceri e abbandoni, si va a
collocare su una linea di continuita' con l'occhio di chi, a sua volta, si
volge preoccupato verso il retroterra della sua eta' adulta, sperando di non
trovarvi, immutata, l'offerta di cure di cui ha gia' conosciuto i benefici.
A segnare il traguardo di una raggiunta differenziazione e autonomia
rispetto alla condizione infantile di "piccola cosa bisognosa di tutto",
l'uomo chiama paradossalmente la persona che lo ha avuto, confuso e
indistinto, dentro di se' e poi in sua balia, e che ora per risparmiargli
debolezze e umiliazioni, dovrebbe accorparsi in qualche modo a lui, muovere
i suoi passi nel mondo per suo tramite.
La minaccia alla virilita' non viene genericamente da un femminile
riconosciuto diverso dal punto di vista biologico e come tale carico di
enigmi, e forse non e' neppure la conseguenza inevitabile dei segni che
lascia l'appartenenza intima all'altro sesso nella fase prenatale. Il gesto
monotono e ripetitivo della "cura", in cui si vanno a sovrapporre in modo
inquietante il gioco della bambina con la bambola, il lavoro dell'infermiera
e della bambinaia, e' quello che la storia ha ritenuto fin dai primordi
connaturato al femminile, cosi' come "naturale" e' sembrata la rinuncia
della donna a porsi come individualita'. Carlo Michelstaedter, fanciullo
profeta della lunga notte che ha tenuto gli umani in una infantile reciproca
dipendenza, giungera' a "gridare" per la prima volta la sua voce di "uomo
libero", non a tutti gli uomini come avrebbe voluto, ma indirettamente, a
una "commissione di professori". Quasi del tutto assente dal suo unico
libro, La persuasione e la retorica , tesi di laurea incentrata su un'idea
di liberta' "assoluta", sciolta da legami e nostalgie di infanzia, l'ombra
di figure femminili calde e protettive occupa invece interamente
l'Epistolario, lettere spedite da lontano ai famigliari, nel disperato
tentativo di cancellare distanze e separazioni.
*
Il dissidio mortale tra la tenerezza del figlio, che rimanda perennemente la
sua "uscita alla vita", e l'imperativo che chiama a una virilita' forte,
imperturbabile, si tradurra', negli stessi anni, nella teorizzazione di piu'
ampio respiro di Otto Weininger, improntata a toni opposti di profonda
misoginia e di odio razzista nei confronti della donna, considerata nella
sua "essenza" materia che genera e sessualita', vita inferiore alogica e
amorale, che insidia l'uomo dall'interno, perche' ne rappresenta la colpa e
la caduta, mentre contamina, allo stesso modo, popoli "effeminati", come gli
ebrei e gli arabi.
Ad avvicinare Carlo Michelstaedter e Otto Weininger, l'autore di Sesso e
carattere, pubblicato a Vienna nel 1903, e' apparentemente solo il destino
tragico di giovani suicidi e di pensatori estremi, indotti a esplorare zone
di frontiera dell'esperienza umana dall'assolutizzazione di una frattura
antica tra corpo e mente, femminile e maschile, abbandoni sensuali e
perfezionamento dello spirito. Ma dovrebbe far pensare il fatto che due
figure cosi' drammatiche della maschilita', oltre che della cultura
occidentale nelle sue radici classiche e cristiane, si vadano a collocare in
quell'inizio di secolo, il '900, che gia' segnalava una presenza diversa,
consapevole e combattiva, delle donne nella vita pubblica, come se il
minaccioso corpo della madre, prima di eclissarsi dietro l'insegna di donne
emancipate, volesse lanciare i suoi ultimi bagliori.
Quando riemerge sulla scena pubblica con tutta la sua carica di potenza
carnale generatrice e di estasi erotica, attraverso gli scritti che negli
anni '30 esaltano la mistica della guerra, la femminilita' e' gia' parte
integrante, assunta ora in modo esplicito, del rapporto tra uomini.
L'omofobia, da potente dispositivo di paura e difesa rispetto a possibili
cedimenti "femminili", si rivela, per un altro verso, come la piu' efficace
copertura della convivenza e dei compromessi che il maschile e il femminile
hanno trovato all'interno di una societa' di simili, in quanto volti opposti
e complementari dello stesso sesso.
*
"Quinton considera la guerra come lo stato naturale dei maschi. Essa da'
loro la forza morale che la maternita' da' alle donne... Il contatto col
nemico e' un contatto con l'amore. Le prime linee a riposo sono donne che
dormono. Quest'atmosfera ispira al maschio il senso dell'infinito. Egli
comprende che e' fatto per essere sacrificato. La tentazione di morire si
impadronisce di lui come si impadronisce della femmina la tentazione di
partorire." (Roger Caillois, La vertigine della guerra, Edizioni Lavoro
1990).
Anche se mette a repentaglio le costruzioni millenarie della civilta' e
minaccia oggi la sopravvivenza stessa della specie, la guerra non ha mai
smesso di essere pensata come un ritorno "alle leggi semplici e brutali
della natura", a una maschilita' guerriera tanto piu' virile quanto piu' fa
proprie quelle passioni, gioie e patimenti del corpo che a malincuore ha
creduto di dover consegnare alle donne e alla sua memoria di bambino.
La stessa societa' che, come scrive Virginia Woolf nelle Tre ghinee,
congiura a trasformare il "fratello privato" in un "maschio mostruoso, dalla
voce prepotente e dal pugno duro", non ha mai smesso di accogliere,
tollerare e per certi aspetti incentivare quel sottobosco di "non-uomini" -
fanciulli, donne, schiavi, omosessuali, prigionieri, migranti - contro cui
riaffermare i propri paradigmi di vigore fisico e morale.
L'Occidente, come Ercole, mitico eroe della "fatica" guerriera
civilizzatrice, fondatrice di citta', si accanisce ormai da secoli contro
popoli e culture che considera "altro" da se', forze della pura naturalita',
effeminate o ipervirili, incapaci di un sano, civile "ordine democratico".
Mai, come nelle guerre che oggi si definiscono "preventive" e "umanitarie",
secondo un'astratta contrapposizione di Bene e Male, civilta' e barbarie, e'
stata cosi' chiara la parentela tra femminilita', omosessualita' e razzismo,
tra i richiami al sesso che e' stato escluso dal patto sociale e il
trasferimento immaginario che una comunita' storica di soli uomini ne ha
fatto, per cementare legami al proprio interno.
*
In America e nei paesi dell'Unione europea si discute ormai apertamente di
matrimoni gay; nelle capitali del mondo le manifestazioni-spettacolo
dell'orgoglio omosessuale sfidano l'opposizione dei governi conservatori e
delle chiese. Eppure rimane il sospetto che, dietro la maggiore tolleranza
riservata ai corpi, alla sessualita', alla differenza tra i sessi e alle
molteplici forme dell'amore, si nasconda la segreta pacificazione di una
maschilita' che puo' spostare sull'anomalo, sul diverso divenuto visibile,
esperienze, interrogativi, passioni, difficili da riconoscere in se stessa.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1084 del 15 ottobre 2005

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