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Nonviolenza. Femminile plurale. 32
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 32
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 6 Oct 2005 14:00:06 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 32 del 6 ottobre 2005 In questo numero: 1. Carla Biavati: Si' 2. Un ordine del giorno di solidarieta' con la Campagna per il disarmo in Brasile da proporre alle istituzioni italiane 3. Elena Buccoliero: La disposizione al dialogo 4. Maria G. Di Rienzo: Qualche notizia d'ottobre 5. Sherif El Sebaie intervista Elham Agid 6. Benjamin Dangl intervista Celia Martinez 7. Maria Antonietta Saracino: Le parole, il dolore. Letteratura sudafricana oggi 1. 23 OTTOBRE. CARLA BIAVATI: SI' [Ringraziamo Carla Biavati (per contatti: carlabiavati at interfree.it) per questo intervento. Carla Biavati e' impegnata nelle rilevanti esperienze di interposizione nonviolenta in zone di conflitto dei "Berretti bianchi" e della rete "Verso i corpi civili di pace"] Un si' a sostegno del referendum per la proibizione del commercio delle armi da fuoco in Brasile. Credo che proposte civiche come questa debbano essere sostenute da tutto il movimento per la pace e riportate anche in italia, dove peraltro non mancano i farneticatori che, sull'onda emotiva di alcuni recenti fatti di cronaca, propongono di liberalizzare ulteriormente la vendita di armi ai privati. La pubblicizzazione dei dati relativi all'incremento della violenza legato al possesso di armi da fuoco serve a fare chiarezza anche in Italia. Proporro' anche al coordinamento della rete "Corpi civili di pace" di aderire all'iniziativa a sostegno del si' al referendum brasiliano per il disarmo. Teniamoci in contatto. 2. MATERIALI DI LAVORO. UN ORDINE DEL GIORNO DI SOLIDARIETA' CON LA CAMPAGNA PER IL DISARMO IN BRASILE DA PROPORRE ALLE ISTITUZIONI ITALIANE [Riproponiamo ancora una volta la seguente proposta di ordine del giorno da presentare e approvare nelle istituzioni italiane a sostegno della Campagna per il disarmo in Brasile. Essa e' stata gia' approvata con voto unanime dal Consiglio Provinciale di Viterbo nella seduta del 3 ottobre 2005] Premesso che - il Brasile e' un paese in cui sono in circolazione piu' di 17 milioni di armi da fuoco, di cui soltanto il 10% appartengono alle forze armate e alle forze di polizia, mentre il resto e' nelle mani di civili; - ogni giorno in Brasile circa cento persone muoiono uccise da armi da fuoco; - nel 2003 39.325 persone in Brasile sono morte uccise da armi da fuoco; - le istituzioni brasiliane hanno promosso una Campagna di disarmo volontario attraverso cui e' stato chiesto ai cittadini in possesso di armi di consegnarle alle autorita' affinche' venissero distrutte; - nel 2004 grazie a questa Campagna di disarmo piu' di 450.000 armi da fuoco sono state tolte dalla circolazione, e per la prima volta in 13 anni il numero dei morti uccisi da armi da fuoco in Brasile e' diminuito: rispetto ai dati del 2003 nel 2004 sono state salvate 3.234 vite umane; - il 23 ottobre 2005 si svolgera' in Brasile il primo referendum della storia di quel Paese, referendum in cui ai cittadini verra' posto il quesito: "Il commercio di armi da fuoco e munizioni deve essere proibito in Brasile?"; - intorno alla Campagna per il disarmo vi e' stato un grande coinvolgimento popolare: l'associazionismo democratico, imprenditori, sindacati, chiese, movimenti, personalita' della cultura, dello sport e dello spettacolo, operatori sociali e sanitari, docenti universitari, si sono uniti alle istituzioni nell'impegno di salvare quante piu' vite umane possibile; il Consiglio [Circoscrizionale, Comunale, Provinciale, Regionale] di ... 1. esprime solidarieta' all'impegno delle istituzioni e della societa' civile del Brasile per ridurre il numero delle vittime di uccisioni da armi da fuoco; 2. esprime apprezzamento per la scelta di civilta' di chiedere ai cittadini di disarmarsi volontariamente e di decidere democraticamente ed umanitariamente di salvare quante piu' vite umane sia possibile; 3. sollecita che l'esempio brasiliano si estenda quanto piu' possibile, e che anche altri paesi ed altre popolazioni scelgano la via del disarmo e del rispetto per la vita umana; 4. auspica che l'intera umanita' abbia un futuro di pace e convivenza, ed a tal fine si impegna a promuovere la cultura della pace, del dialogo, della solidarieta', della legalita', del disarmo, della nonviolenza; 5. esprime un convinto e coerente si' alla difesa della vita di ogni essere umano, si' alla pace tra le persone e tra i popoli, si' alla sicurezza di tutti nel rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani, si' alla legalita', si' al disarmo della societa', si' alla civile convivenza. * Il Consiglio [Circoscrizionale, Comunale, Provinciale, Regionale] di ... dispone inoltre che il presente ordine del giorno, approvato nella seduta svoltasi in data ..., a) sia reso noto alla cittadinanza mediante affissione di manifesti, invio ai mezzi d'informazione locali e nazionali, e in tutte le altre forme consuete ed opportune; b) sia inviato per opportuna conoscenza ai seguenti soggetti istituzionali: - Ambasciata del Brasile in Italia, - Ambasciata italiana in Brasile, - Presidenza della Repubblica del Brasile; - Presidenza della Repubblica Italiana; c) sia inviato inoltre ai seguenti ulteriori referenti istituzionali brasiliani: - Ministero della Giustizia; - Ministero della Salute; d) sia inviato inoltre per opportuna conoscenza ai seguenti indirizzi di referenti istituzionali e della societa' civile brasiliani particolarmente impegnati nella Campagna per il disarmo: acresemarmas at uol.com.br oca-ong at bol.com.br fccv at ufba.br suzanav at atarde.com.br estadodepaz at estadodepaz.com.br inamaramelo at yahoo.com.br pazpelapaz1 at yahoo.com.br borgescoml at bol.com.br desarmamentodf at desarmamentodf.org otaviofalcao at pop.com.br samambaiadizsim at bol.com.br federacaoinquilinosdf at bol.com.br associacaomis at brturbo.com.br desarmamentoes at paz-es.org.br valparaiso at terra.com.br cmtbatista at mixx.com.br orestesoliveira at casamilitar.mt.gov.br pteruel at terra.com.br frentemunicipalbrasilsemarmas at yahoo.com.br bh_sem_armas at yahoo.com.br welingtonvenancio at bol.com.br kleversonrocha at ig.com.br depjordy at alepa.pa.gov.br deparacelilemos at alepa.pa.gov.br almirlaureano at yahoo.com.br paz at londrinapazeando.org.br murilocavalcanti at uol.com.br f.tavares at digi.com.br leandro_amme at yahoo.com.br frentepelodesarmamento at ig.com.br pemarcel at terra.com.br gvieira7 at terra.com.br seguranca at niteroi.rj.gov.br beatriz at soudapaz.org mariana at soudapaz.org desarmecampinas at yahoo.com.br ajardim at al.sp.gov.br josecpinto at camaralimeira.sp.gov.br gotadeorvalho at gmail.com jbernegossi at prefeitura.sp.gov.br mjduarte at uol.com.br hpereira at al.sp.gov.br marcoanjos at bol.com.br marcosanjos at emsergipe.com conic.brasil at terra.com.br cbjp at cbjp.org.br ronenu at canal13.com.br jdarif at uol.com.br naida at uol.com.br pstoffel at saap.org.br welinton_pereira at wvi.org padrebizon at casadareconciliacao.com.br ivoschoenherr at terra.com.br frentepelodesarmamento at ig.com.br rev.aquino at ig.com.br torressantana at uol.com.br norberge at terra.com.br soniarosafaria at hotmail.com mitra at diocesepetropolis.org.br cier at cnbbsul4.org.br czbsbf at terra.com.br e) sia inviato inoltre per opportuna conoscenza ai seguenti indirizzi di referenti italiani particolarmente impegnati a sostegno della Campagna per il disarmo brasiliana: - padre Ermanno Allegri, e-mail: ermanno at adital.com.br - dottor Francesco Comina, e-mail: f.comina at ladige.it - Centro per la pace del Comune di Bolzano, e-mail: welapax at hotmail.com - Rete italiana per il disarmo, e-mail: segreteria at disarmo.org - Centro di ricerca per la pace di Viterbo, e-mail: nbawac at tin.it 3. RIFLESSIONE. ELENA BUCCOLIERO: LA DISPOSIZIONE AL DIALOGO [Da "Azione nonviolenta" di luglio 2005 (sito: www.nonviolenti.org). Elena Buccoliero (per contatti: e.buccoliero at comune.fe.it), nata a Ferrara nel 1970, collabora ad "Azione nonviolenta" e fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento; lavora per Promeco, un ufficio del Comune e dell'azienda Usl di Ferrara dove si occupa di adolescenti con particolare attenzione al bullismo e al consumo di sostanze, e con iniziative rivolte sia ai ragazzi, sia agli adulti; a Ferrara, insieme ad altri amici, anima la Scuola della nonviolenza. E' autrice di diverse pubblicazioni, tra cui il recente (con Marco Maggi), Bullismo, bullismi, Franco Angeli, Milano 2005. Un piu' ampio profilo biobibliografico di Elena Buccoliero e' nel n. 836 di questo notiziario] Il conflitto e' risorsa, la diversita' e' ricchezza. E' in questa ottica che la disposizione al dialogo assume senso e prospettiva in quanto strumento di conoscenza dell'altro. Giuliano Pontara nel suo saggio su dieci caratteristiche della personalita' nonviolenta ricorda che "ha grandissima importanza la disposizione ad argomentare e ascoltare gli argomenti della parte opposta, e quindi lo sforzo di tenere continuamente aperti canali di comunicazione con essa". Nella tendenza generale all'evitamento del conflitto o al suo congelamento in equilibri provvisoriamente composti sul pregiudizio o il non ascolto dell'altro, parole come queste ci sollecitano ad ampliare lo sguardo e a ricordare che solo attraverso l'incontro con la diversita' si cresce e si cambia. Proviamo a ricominciare da principio. Il conflitto e' risorsa, la diversita' e' ricchezza: sacrosanto. E parziale. Chi frequenta ambienti formativi o si occupa ad un qualunque titolo di gestione dei conflitti potra' forse condividere una noia o un'impazienza di fronte a questi che rischiano di restare ritornelli privi di spessore, se non provati da un affondo personale e vero. Il conflitto e' anche disagio, difficolta', sofferenza. Ci sono ambienti dove c'e' da vergognarsi a ricordarlo. Chi solo ci prova - l'ingenuo! - viene guardato con acuta disapprovazione dagli astanti, quasi avesse osato profanare un'acquisizione indiscutibile. E allora si potrebbe ripartire proprio da qui, dalla disposizione al dialogo con se stessi, dall'ascolto e accoglienza del proprio vissuto e del proprio limite, per non rischiare di ridurre la presenza nel conflitto a qualcosa di asettico e vuoto, colmo di solitudine, irreale. Il dialogo nel conflitto e' un passo necessario e difficile, nel quale si cresce non senza fatica. Alla base di questa attitudine, scrive Giuliano Pontara, "e' l'accettazione del principio del fallibilismo. Questo principio ci dice che siamo tutti mortali con poteri di conoscenza limitati onde nessuno puo' mai dirsi sicuro che quello che in un certo momento crede essere vero, in effetti sia tale: puo' benissimo darsi che sia falso". Come puo' darsi - vorrei aggiungere - che non sia falso ma incompleto, cioe' abbracci solo una parte di quello che puo' essere visto, perche' strettamente legato al proprio punto di osservazione. * Il disegno di Sasha La definizione che piu' mi piace di disposizione al dialogo mi viene dalle "Sette regole dell'arte di ascoltare" di Marianella Sclavi, e precisamente la terza: "Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva". Sasha ha disegnato una casa in mezzo al bosco e su quel foglio continua ad aggiungere segni e a cancellarli. Siamo in quarta elementare, nel pieno di un laboratorio di scrittura collettiva, e Sasha e' un bambino bielorusso adottato da una famiglia italiana dopo alcuni anni di vita in un orfanotrofio. Non ha ancora dimestichezza con la nostra lingua e, per questo, ha faticato a prendere parte al dialogo da cui e' scaturita la storia che ora stiamo per scrivere. Sasha che non parla bene l'italiano, tutti si aspettano che si dedichi alle illustrazioni, non che cincischi su di un foglio per due ore. "L'ho visto subito", conclude l'insegnante. "Non fa niente, non ha voglia di far niente...". Un po' di attenzione e di ascolto per capire quello che sta facendo Sasha. Ha disegnato su un grande foglio l'ambientazione della storia e ora sottovoce la sta raccontando. I segni che traccia e cancella continuamente sono i personaggi che escono dalla casa o si muovono nel bosco. Ogni volta che si spostano Sasha li cancella per disegnarli nuovamente nella nuova collocazione. Sasha ha capito perfettamente la storia, e' dentro al lavoro quanto gli altri, semplicemente sta procedendo secondo una logica diversa da quella dell'insegnante. E lei, che pure e' davvero un'ottima insegnante, presa dall'impegno di tenere a bada venticinque bambini, e forse dalla stanchezza, si sta perdendo un fatto meraviglioso e potente dal punto di vista educativo. Glielo faccio notare e quasi si commuove: "Chissa' se mai qualcuno gli ha raccontato una favola prima che arrivasse qui...". Vedo spesso, nella scuola, questa fatica degli adulti di decentrarsi, di ammettere che un bambino o un ragazzo proceda secondo una strada diversa da quella prefigurata. Mi pare che l'errore della maestra stia nel "subito". L'insegnante "ha visto subito", cioe' si e' tolta la possibilita' di guardare davvero. Ancora Marianella - e' la regola numero uno: "Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte piu' effimera della ricerca". * Trasformare le ferite Si raccontano storie per farsi compagnia, per superare le attese, per sciogliere nodi, per colmare distanze. Si raccontano storie - purche' qualcuno le ascolti - per sopportare un'assenza amata, o la mancanza di una soluzione. "Quello che non ha una spiegazione ha pero' una storia", ha detto qualcuno che non so. "One by One", uno ad uno, e' l'associazione che promuove il dialogo tra sopravvissuti dei lager nazisti, e i loro figli e nipoti, ed ex-nazisti, e i loro figli e nipoti. L'orrore ha radici profonde, travalica le generazioni. In questi incontri, che a Berlino annualmente si ripetono, tutto quello che fanno, queste persone insieme, e' raccontarsi la loro storia personale, mettere in comune la sofferenza in un cammino di liberazione che trasforma le ferite senza negarle o cancellarle. Esperienze come queste sono un'alternativa possibile, praticata, meravigliosa, durissima, alla vendetta e alla lacerazione. Ritorna nei percorsi di verita' e riconciliazione come in "Parents' circle", l'associazione che riunisce i parenti delle vittime israeliane e palestinesi, o nel libro La storia dell'altro, che giustappone la storia del conflitto mediorientale nelle due versioni, di giovani israeliani e di coetanei palestinesi, o in molto altro ancora... E' l'opposto di qualunque muro e non ha niente di rassicurante perche' e' fragile, continuamente minato dal ribollire della violenza. Da' l'idea di una giustizia che per un attimo mette da parte pesi e misure e percorre la via del dialogo. * La partecipazione che vorrei "Ascoltare e parlare, mai l'uno senza l'altro", mi ricorda un amico il motto dei Cos di Aldo Capitini, che ha un corollario di grande saggezza: "Chi puo' parlare ascolta con piu' attenzione". I Cos, Centri di orientamento sociale, corrispondevano nel pensiero capitiniano all'antidoto contro l'inevitabile distanziamento dei partiti e delle istituzioni democratiche dalla gente. E' commovente rileggere oggi gli argomenti in discussione: si va dal prezzo del latte ai dogmi del cattolicesimo, dalla difficolta' di trovare, alla bisogna, un idraulico, alle modalita' di riapertura delle scuole o del teatro comunale, all'obiezione di coscienza. "Patate e ideali", raccomandava Capitini. Assistiamo ora ad una ripresa di attenzione delle istituzioni verso la partecipazione: agende 21, bilanci partecipati, piani di zona... Assemblee di tanti generi per sostenere, confermare, rimpolpare la legittimita' di scelte gia' prese o - qualche volta - per suggerirne di altre. Alcuni percorsi li vedo dall'interno. Si considera un successo che la sala sia piena e la gente prenda parte al dibattito. Se si teme un flop si sceglie una sala piu' piccola. Se si parla di giovani ci si incontra di mattina, coartando classi scolastiche per assicurarsi di riempire le sedie. Poca importanza alla qualita' del processo, alla rappresentativita' delle persone riunite, alla competenza con cui si interviene. Ho visto rappresentanti sindacali forzati nel gruppo sull'aggregazione giovanile perche' quello sull'occupazione era gia' troppo numeroso e educatori discutere di politiche del lavoro di cui non avevano conoscenza. C'e' sempre la scusa delle competenze diffuse, naturali, trasversali. Intanto un gruppo di ragazzi inventava un servizio di informazione e si dispiaceva di scoprire che gli Informagiovani esistono gia', e da tempo. "Ma se avete inventato tutto, cosa volete da noi?", sembravano dirci. Poi il tempo scade e i gruppi devono sciogliersi, a qualunque punto siano arrivati. Resta il dubbio intorno ad una partecipazione senza competenza, che non sa cio' di cui si parla e, dunque, ha poco margine per portare un'aggiunta. E il dubbio e' anche sulla partecipazione forzata, coartata appunto, perche' se un'istituzione apre le sue porte, non e' affatto detto che i cittadini si mettano in fila per entrare - e' molto piu' probabile, e scoraggiante, incontrare laghi di passivita', assenza di richieste -, e se e' l'istituzione a spingerli dentro probabilmente non sara' poi veramente interessata ad ascoltarli, ne' loro ad esprimersi. * L'urgenza del dialogo, dove il conflitto non c'e' Parla, Pontara, di "disposizione al dialogo" come attenzione nonviolenta da praticare nelle situazioni di conflitto. Ma se davvero il dialogo e' "ascoltare e parlare", bisognera' reclamarne l'urgenza dove il conflitto non c'e' e al suo posto regna l'indifferenza. In una cultura televisiva dove la comunicazione procede da una sola direzione lasciando poco piu' che la possibilita' di assistere, si spaccia per rivoluzionario tutto cio' che ribalta questo modello senza modificarlo. Avviene allora che si inventino spazi nei quali tutti possano dirsi artisti o opinionisti o altro, e che l'accento non vada posto su che cosa viene detto o su chi e' stato ad ascoltare, ma sul fatto che si e' avuta la possibilita' di prendere la parola. Come dire: stavolta tocca a me. Che poi le parole cadano nel vuoto, questo e' del tutto indifferente. Penso a volte: siamo troppo mediamente benestanti, mediamente comodi, mediamente foderati di fronte alla sofferenza nostra o altrui, siamo troppo al sicuro da una qualunque urgenza perche' nascano idee, politica, curiosita', arte davvero. 4. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: QUALCHE NOTIZIA D'OTTOBRE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] L'Unicef, in collaborazione con il governo turco, sta conducendo dal 2003 un programma chiamato "Haydi Kizlar Okula" ("Su' ragazze, andiamo a scuola"). Il programma ha portato a tutt'oggi 120.000 bambine ad accedere all'istruzione scolastica. La frequenza scolastica e' obbligatoria, in Turchia, sino al compimento dei 14 anni, eppure mezzo milione di ragazze ancora non vanno a scuola, principalmente per l'erroneo convincimento che l'Islam proibisca l'istruzione delle femmine. Gli imam turchi sono stati di grande aiuto alla campagna. * Un giudice spagnolo ha ordinato ad un Imam di studiare la Costituzione del paese e la Dichiarazione universale dei diritti umani. (fonte: "Daily Telegraph", primo ottobre 2005). Mohamed Kamal Mustafa, che ha scritto un libro in cui si insegna agli uomini musulmani come battere le mogli senza lasciar loro addosso cicatrici o lividi, e' stato multato ed ha ricevuto una sentenza a 15 mesi di carcere lo scorso anno, perche' riconosciuto colpevole di incitare alla violenza contro le donne. * Le donne australiane che cercano aiuto perche' subiscono violenza domestica non lo trovano: secondo il rapporto dell'"Istituto australiano per la salute ed il welfare" circa 100.000 donne si sono rivolte alle agenzie pubbliche durante il 2003 e il 2004, e circa un terzo di esse stava cercando di fuggire da situazioni di violenza domestica. Piu' della meta' di queste ultime, oltre 15.000 donne, sono state ignorate dai servizi pubblici. * E' morta a 84 anni Constance Baker Motley, la prima donna afroamericana a diventare giudice federale nel 1966. Nota avvocata per i diritti civili, lotto' contro la segregazione razziale nel sud degli Usa e condusse la battaglia legale che porto' all'ammissione di uno studente nero all'Universita' del Mississippi nel 1962. Nata a New Haven, Connecticut, nel 1921, Motley era la nona di 12 tra fratelli e sorelle. La sua famiglia non poteva permettersi di mandarla al college e fu un attivista bianco a pagare i suoi studi, dopo averla sentita tenere un discorso pubblico quando aveva 18 anni. Motley credeva nel progresso sociale: "Qualcosa che pensiamo impossibile ora, non sara' impossibile fra dieci anni". 5. RAZZISMO. SHERIF EL SEBAIE INTERVISTA ELHAM AGID [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 settembre 2005. Sherif El Sebaie, nato al Cairo, vive a Torino; parla correntemente italiano, francese, inglese, greco e arabo; piu' volte insignito di onorificenze dalle autorita' politiche, diplomatiche, religiose e militari dei governi francese, italiano ed egiziano, vicepresidente del Rotaract Susa (distretto Rotary 2030), dal 2005 e' segretario del "Coordinamento immigrati" di Torino; opinionista, collaboratore de "Il Manifesto", redattore di "Aljazira.it", ha collaborato con "La Stampa", "La Repubblica" e Radio radicale; insegna arabo in un corso presso il Politecnico di Torino; nel 2004 ha curato una mostra sull'Islam e il Cristianesimo ortodosso e pubblicato il libro Al Ka'bah. Elham Agid e' la madre della bambina aggredita giorni fa a Biella da giovanissimi razzisti] Alla fine sono stati identificati: i tre ragazzini di Biella che l'altro ieri hanno aggredito una tredicenne italo-marocchina incidendole una svastica sul braccio sono stati denunciati al Tribunale per i minorenni di Torino e alla Procura di Biella. Le accuse: lesioni personali lievi, violenza privata e atti discriminatori verso stranieri. Abbiamo intervistato la madre, la signora Elham Agid, visibilmente agitata e preoccupata per il futuro dei suoi figli. - Sherif El Sebaie: Signora Elham, da quanto tempo vivete a Tollegno? - Elham Agid: Ci siamo trasferiti qua nel novembre del 2004, dopo la morte di mio marito. Dovevo cercare lavoro e dalle nostre parti non ce n'era molto, anche se sono laureata in lettere arabe. Ma il mio titolo non e' riconosciuto in Italia e ci vogliono almeno due anni per l'equipollenza... - Sherif El Sebaie: E come sopravvive ora? - Elham Agid: Lavoro presso una cooperativa, la Casa del Riposo, dove si occupano degli anziani. - Sherif El Sebaie: Come e' stata accolta nella cittadina? - Elham Agid: Bene, qui ho trovato molti amici. Il Comune e il sindaco hanno fatto di tutto: mi hanno anche dato una casa popolare, per fortuna. - Sherif El Sebaie: E' la sua unica figlia? - Elham Agid: Oriana e' la piu' piccola, ha anche due fratelli gemelli di 14 anni. - Sherif El Sebaie: Si chiama Oriana? - Si'. Mio marito ci teneva, anche se avrei voluto chiamarla Miriam. E infatti a casa la chiamo cosi'. - Sherif El Sebaie: E nessuno di loro e' mai stato vittima di episodi simili di razzismo? - Elham Agid: No. Io me li tengo stretti. Sono tutti casa e scuola e quando usciamo lo facciamo sempre insieme. - Sherif El Sebaie: Che cosa e' successo esattamente quel giorno? - Elham Agid: Mia figlia e' uscita per buttare la spazzatura, verso le 7,15, prima di andare a scuola. E loro l'aspettavano li'. L'hanno picchiata, le hanno dato pugni in faccia, l'hanno spinta e fatta cadere per terra. Ora ha un ginocchio verde, graffi sul viso per non parlare del "tatuaggio" che le hanno inciso sul braccio, quella svastica... - Sherif El Sebaie: E' tornata a casa piangendo? - Elham Agid: No, voleva proteggermi. L'hanno minacciata. Si e' sciolta i capelli per nascondere i graffi. In classe non e' riuscita a trattenere le lacrime e sono stati gli insegnanti a scoprire quanto e' accaduto e a chiamarmi. - Sherif El Sebaie: E adesso come sta? - Elham Agid: E' sotto shock. Ha parlato solo con i carabinieri, e ora non parla piu'. Dorme spaventata e si sveglia piangendo. - Sherif El Sebaie: Secondo lei, le accuse generali ai musulmani in questo periodo hanno contribuito a questo episodio? - Elham Agid: Cosa vuole che le dica? Spero di no... - Sherif El Sebaie: E' vero che vorrebbe rimandare i figli in Marocco? - Elham Agid: Con il clima che si e' creato, ci ho pensato per un attimo. Ma loro sono cittadini italiani, come lo era loro padre e come lo sono io. - Sherif El Sebaie: Qualcuno si e' messo in contatto con lei? - Elham Agid: Mi ha chiamato un rappresentante della Islamic Anti Defamation League. Poi sono venuti il Sindaco e il Presidente della Provincia. Mi hanno detto che ho tutto il loro appoggio, che potevo mettermi in contatto quando avevo bisogno. Che quelli che hanno fatto questo a mia figlia avrebbero pagato. - Sherif El Sebaie: Lei pensa che dovrebbero pagare? - Elham Agid: Sono solo dei ragazzini. Io spero solo che non lo facciano a nessun altro. Soffriamo tutti. Allah perdona, e lo fa con tutti. Potrei farlo anch'io: spero di avere questa forza. 6. AUTOGESTIONE. BENJAMIN DANGL INTERVISTA CELIA MARTINEZ [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista. Benjamin Dangl, giornalista, ha viaggiato e lavorato in Argentina dal 2001; e' l'editore di www.UpsideDownWorld.org, un giornale online che si occupa di attivismo e politica in America Latina, e di www.TowardFreedom.com Celia Martinez e' operaia della fabbrica tessile autogestita Brukman a Buenos Aires] Il 18 dicembre 2001, 52 operai della fabbrica tessile Brukman, in maggioranza donne, si rifiutarono di continuare a lavorare sino a che i dirigenti non avessero pagato loro gli stipendi arretrati. Piegata dai debiti e dalla crescente bancarotta, la proprieta' aveva "saltato" due paghe. Fu chiesto ai lavoratori di tornare ai propri posti, ma le macchine per cucire rimasero silenziose. Jacobo Brukman, uno dei proprietari della fabbrica, disse loro: "Se pensate di saper dirigere questo posto meglio di me, allora vi daro' le chiavi". Ma invece di dare le chiavi agli operai, Brukman fuggi' dall'edificio. I lavoratori, che in maggioranza non avevano neppure i due pesos necessari a prendere l'autobus per tornare a casa, restarono nella fabbrica e misero striscioni alle finestre su cui stava scritto: "Vogliamo i nostri salari". Il giorno seguente, cominciarono ad affluire alla fabbrica dimostranti che sostenevano i lavoratori. Durante una conversazione telefonica, i proprietari Brukman offrirono agli operai di prendersi due completi di vestiario a testa al posto degli stipendi. I lavoratori rifiutarono e iniziarono un presidio permanente sulla strada davanti all'edificio. Poco dopo, un cliente della fabbrica Brukman li contatto' per una consistente ordinazione di pantaloncini "bermuda". I lavoratori li produssero, e usarono la maggior parte del denaro proveniente dalla commessa per pagare i conti del gas e dell'elettricita' della fabbrica. Da questo momento in poi cominciarono a gestirla completamente, organizzando i contratti, i salari, il lavoro manageriale. Cio' che era cominciato come una semplice domanda per gli stipendi arretrati e' diventato una strenua lotta per il controllo della fabbrica Brukman. Spinti dalla necessita' di sopravvivere e mantenere le proprie famiglie, gli operai hanno tentato con tutti i mezzi legali di ottenere la proprieta' della fabbrica che gestiscono, avendo contro politici, giudici e poliziotti in assetto antisommossa. Le differenze politiche tra i lavoratori stessi minacciarono piu' volte di dividerli e di indebolire la lotta: pure, quattro anni piu' tardi, stanno ancora gestendo la fabbrica. Il loro esempio e' diventato un simbolo e un'ispirazione per i lavoratori e gli attivisti in Argentina e nel mondo intero. Celia Martinez, operaia alla Brukman, e' stata parte di questa lotta dall'inizio. * - Benjamin Dangl: I lavoratori della Brukman hanno attraversato un'esperienza molto significativa. All'inizio chiedevate solo i salari arretrati, ora la fabbrica e' in autogestione. Com'e' andata? - Celia Martinez: Da principio volevamo solo che i capi parlassero con noi degli stipendi. Poi, dopo il 19/20 dicembre, quanto l'economia crollo', i dimostranti invasero le strade ed il presidente De la Rua fu costretto a lasciare l'incarico, vedemmo cosa stava accadendo nel paese: tre governi si erano formati e sciolti in poche settimane. La sinistra era tutta in strada, e si univa. Io credo che la sinistra abbia sostenuto bene la protesta e che il Pts (Partito socialista dei lavoratori) abbia lavorato duramente per farla conoscere a tutto il mondo. E' sempre stata la sinistra a sostenerci piu' di tutti gli altri. Direi che noi lavoratori della Brukman siamo stati degli opportunisti: ci siamo lasciati circondare da persone che ci davano coraggio, che ci dicevano di continuare a lottare. Cosi' abbiamo speso quasi tutto il nostro tempo a mettere la fabbrica sotto il controllo dei lavoratori senza nessun riconoscimento legale ed abbiamo lottato a lungo contro il governo. Ora spero che riusciremo ad unire tutte le fabbriche che sono state recuperate dai lavoratori e a creare un forte movimento in cui aiutarci gli uni con gli altri. Ma adesso abbiamo visto l'attacco alla Zanon (una fabbrica di ceramiche, fuori Buenos Aires, anch'essa gestita dai lavoratori). La moglie di un compagno e' stata picchiata, le hanno tagliato tutta la faccia e la parte superiore del corpo. Percio' non so cosa dobbiamo aspettarci in futuro. Vorremmo riuscire a lavorare e a guadagnarci un salario. Non e' facile per queste fabbriche recuperate entrare nel mercato. Ci stanno riuscendo quelle metallurgiche, ma noi tessili non stiamo andando altrettanto bene. A stento abbiamo ordinazioni, e i nostri passati clienti non rispondono. Temiamo che sia per via dei prodotti cinesi. La stessa cosa era accaduta negli anni '90, quando Menem era presidente: le piu' grandi fabbriche tessili andarono a produrre in altri paesi, dove la manodopera costava meno. * - Benjamin Dangl: Com'e' organizzata, ora, la Brukman? Tenete assemblee settimanali? Ognuno ha diritto di voto e riceve lo stesso salario? - Celia Martinez: Si', prendiamo gli stessi soldi per lo stesso lavoro, e ogni persona ha un voto. Le assemblee sono settimanali o quindicinali, dipende dalle necessita' che ci sono. Succede che ci riuniamo anche tre volte in una settimana, se abbiamo bisogno di discutere. Abbiamo una commissione direttiva, con un presidente e un segretario, eccetera. All'inizio avevamo solo una commissione interna. * - Benjamin Dangl: Cosa discutete, durante le assemblee? - Celia Martinez: Di cose che hanno a che fare con il lavoro, di cosa ci serve, dei problemi legali e dei problemi con le macchine. * - Benjamin Dangl: Qual e' il segreto di una cooperativa di successo? - Celia Martinez: Non e' ancora una cooperativa di successo, percio' non posso darti la ricetta. Ma penso che la ricetta comprenda un bel po' di democrazia e di coscienza di classe. * - Benjamin Dangl: In un'intervista, la tua collega di lavoro Matilda Adorno ha raccontato delle prime assemblee che facevate subito dopo aver preso in gestione la fabbrica. Lei dice che "Per molti di noi era difficile capire come vivere insieme, come trattarsi con rispetto. Adesso abbiamo imparato come si sta nelle scarpe di un altro e abbiamo fatto la pace. Durante le assemblee saremmo capaci di cavarci gli occhi, voglio dire che non abbiamo paura di sostenere ciascuno con molta forza i nostri punti di vista, ma dopo si beve il mate insieme". Puoi dire qualcosa di piu' di questa esperienza? - Celia Martinez: All'inizio pensavamo che tutti i compagni erano uguali, e si tentava di vedere con questi occhi, credendo che ognuno avesse gli stessi scopi. Ma a volte non e' proprio cosi'. Inoltre, devi abituarti a parlare in assemblea di cosa ti preoccupa, di cosa vuoi, e devi imparare ad esprimere la tua posizione: la posizione del tuo lavoro politico e la tua posizione umana. Queste sono cose importanti di cui parlare insieme. La discussione puo' essere accesa, ma quando l'assemblea e' finita, e' finita anche la discussione. * - Benjamin Dangl: Qual e' il problema piu' grande per le fabbriche recuperate che funzionano come cooperative? - Celia Martinez: Riuscire a entrare nel mercato. E' molto difficile. Un capitalista puo' perdere migliaia di dollari, noi no, perche' non abbiamo la stessa forza economica alle spalle. Viviamo alla giornata. * - Benjamin Dangl: In una tua intervista pubblicata su www.LaVaca.org hai detto che il tuo orientamento politico e' stato mutato da questa esperienza. Puoi spiegarmelo? - Celia Martinez: Io ero una peronista, come mio marito ed i miei figli. Ma quando prendemmo la fabbrica, andai dai peronisti della mia comunita' per avere aiuto. Andai da un senatore peronista che viveva vicino a casa mia, per avere aiuto e consiglio, perche' veramente non sapevo cosa fare. Lui non mi rispose mai, la sinistra invece si', e mi aiuto' a continuare a lottare. Penso che di tutte le lotte di questi anni, la nostra alla Brukman sia diventata esemplare. E' famosa in tutto il mondo, giornalisti da ogni dove vengono a parlare con noi. I peronisti avrebbero voluto far tornare il nostro vecchio padrone, di modo che noi finissimo per essere di nuovo schiavi. * - Benjamin Dangl: Io ero qui in Argentina, nel 2002, e ho visto il crescere di una coscienza sociale e politica straordinaria: assemblee, dimostrazioni, autogestione delle fabbriche. Molto e' cambiato, ora. La gente di Buenos Aires non sostiene le proteste ed il movimento delle fabbriche recuperate con la stessa forza di allora. Cosa e' successo? - Celia Martinez: La situazione politica del paese e' cambiata. Molta gente ha fiducia nel presidente Kirchner, perche' sembra un po' di sinistra, sembra un presidente che sta con il popolo, ma io non credo sia vero. Per esempio, sono convinta che continuera' a pagare il Fondo Monetario Internazionale. Almeno, pero', c'e' un po' piu' di lavoro. La classe media si sta riprendendo, ed erano i suoi membri a stare per strada perche' avevano perso tutti i loro soldi nella bancarotta delle infrastrutture economiche del paese. Ora non e' piu' cosi'. La loro situazione economica sta migliorando. 7. LIBRI. MARIA ANTONIETTA SARACINO: LE PAROLE, IL DOLORE. LETTERATURA SUDAFRICANA OGGI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 ottobre 2005. Maria Antonietta Saracino, anglista, insegna all'Universita' di Roma "La Sapienza"; si occupa di letterature anglofone di Africa, Caraibi, India e di multiculturalismo. Ha curato numerosi testi, tra cui Altri lati del mondo (Roma, 1994), ha tradotto e curato testi di Bessie Head (Sudafrica), Miriam Makeba (Sudafrica), la narrativa africana di Doris Lessing e Joseph Conrad, testi di Edward Said, di poeti africani contemporanei, di Aphra Behn; ha curato Africapoesia, all'interno del festival Romapoesia del 1999; ha pubblicato saggi sulle principali aree delle letterature post-coloniali anglofone, collabora regolarmente con le pagine culturali de "Il manifesto" e con i programmi culturali di Radio3] Quando, nel 1991, dopo oltre un quarto di secolo passato in una cella del carcere di massima sicurezza di Robben Island - l'isola-prigione al largo di Cape Town - Nelson Mandela venne rimesso in liberta', furono in tanti nel mondo che, assistendo commossi all'evento, si domandarono non senza preoccupazione se quell'avvenimento tanto atteso non avrebbe portato con se', oltre a una comprensibile gioia, una scia di sangue lunga almeno quanto quella che per decenni l'aveva preceduto. Era infatti gia' chiaro a tutti quanto non fosse semplice la gestione di un passaggio storico epocale quale era la fine dell'apartheid - di quella separazione (tale e' infatti il significato del termine in afrikaans) che dal 1947 in poi aveva modificato, fino a stravolgerlo del tutto, l'assetto umano, geografico, storico, politico, ma anche economico, culturale e - non ultimo - letterario di una intera nazione, la piu' grande, prospera e ricca del continente africano, e tuttavia la piu' tormentata e in balia di dinamiche opposte tra loro. Non a caso fra gli altri appare necessario nominare l'aspetto letterario. Perche' in Sudafrica piu' che altrove gli intellettuali - in patria, ma assai di piu' in esilio - sono stati motore e forma del processo di quel cambiamento politico. Messi in prigione, al bando, in esilio per i lunghi decenni in cui ha imperato l'apartheid, sono stati loro i portabandiera di quella "coscienziosa consapevolezza" della quale tante volte aveva parlato Nadine Gordimer, rivendicando il fatto che proprio per il dovere di essere "piu' che uno scrittore", l'intellettuale sudafricano non avesse potuto per decenni disgiungere il proprio ruolo culturale da quello politico; come non avesse potuto mai abdicare al ruolo di coscienza critica, civile, della societa' alla quale apparteneva. * E' certo anche grazie alla presenza dei tanti intellettuali rientrati in patria dopo anni di esilio, che il nuovo parlamento - con Mandela prima, e con Thabo Mbeki poi - ha potuto prendere l'avvio cosi' come ha fatto, con lo straordinario processo di ricomposizione della memoria storica attraverso l'operato del Truth and Reconciliation Committee, di quel "Tribunale per la verita' e la riconciliazione" che nel corso di due anni e mezzo e sotto la guida morale dell'arcivescovo Desmond Tutu ha messo di fronte l'uno all'altro, volontariamente, vittime e carnefici, in un vero e proprio "bagno di verita'" come non se n'era mai visti di uguali nella storia e come difficilmente se ne vedranno. Di questa straordinaria operazione rimane traccia nei documenti della Commissione, ma anche in un bellissimo testo, Under My Skull, della poetessa e giornalista afrikaner Antjie Krog, che apparira' in traduzione italiana nel 2006 e da cui e' stato liberamente tratto il film In My Country, con Juliette Binoche nei panni di Krog medesima. Under My Skull e' uno scritto importante perche' dimostra come la nuova storia del Sudafrica abbia bisogno non solo di essere tradotta in parole, ma anche fermata tra le pagine di testi nei quali molti generi letterari diversi offrono la propria voce alla ricostruzione di vicende che sono al tempo stesso individuali e collettive, generi che vanno dal documento storico al memoir privato, dalla poesia alla cronaca, alla storia orale. Ecco di nuovo la storia, quella con la s maiuscola, fare da ossatura al discorso letterario, e la coscienziosa consapevolezza - che prima dello spartiacque rappresentato dalla liberazione di Mandela imponeva agli scrittori il ruolo di rigorosi testimoni, di portavoce di una situazione di violenza e sofferenza estreme - oggi, per quello stesso amore di verita', fa emergere tanto gli inevitabili scheletri del recente passato quanto le debolezze e le contraddizioni dell'ancor fragile presente in opere assai diverse tra loro per costruzione narrativa e uso del linguaggio: opere intrise di una consapevolezza della storia dalla quale i singoli autori, che raccontano dal punto di vista di testimoni oculari, ancora non possono distaccarsi - ma al tempo stesso nuove, perche' nuova e diversa e' l'emozione che li sottende. Seppure le ferite siano ancora dolorose, oggi gli autori scrivono da individui liberi, che non debbono scegliere che cosa raccontare; che non vogliono nascondere o dimenticare il passato, ma che anzi lo rielaborano narrativamente, forse anche per potersene liberare. * Cosi' fa Achmat Dangor, musulmano, meticcio, classe 1948, in Frutto amaro (traduzione di Valeria Bastia, Frassinelli, pp. 336, euro 18) mettendo al centro del suo romanzo una storia non infrequente nel Sudafrica dell'apartheid, ossia lo stupro di donne nere, in detenzione, da parte dei loro carcerieri boeri. La storia qui parte dal presente, dal giorno in cui il nero Silas si imbatte casualmente, tra i banchi di un supermercato, in una figura del passato, il boero Du Boise, che venti anni prima, da militare, durante una retata di presunti dissidenti politici aveva violentato la sua giovane moglie, Lydia, davanti agli occhi del marito, ammanettato al furgone che li trasportava. Esito di quella violenza e' il giovane Michael, che la coppia accetta e cresce come figlio di entrambi, nel segreto condiviso di una vita fatta di apparente equilibrio. Ma l'incontro casuale di Silas restituisce un passato che non si puo' piu' ignorare, il cui fantasma non potra' che sconvolgere le vite dei tre protagonisti, quella di Lydia, in particolare, che negli anni aveva taciuto, per mantenere il diritto alla privatezza del suo dolore; per non esserne espropriata, racconta, condividendolo con il marito o con la comunita' di appartenenza. Ragione per la quale aveva scelto di non apparire davanti alla Commissione per la verita' e la riconciliazione, quando avrebbe avuto la possibilita' di accusare il suo violentatore di un tempo. Un dolore che sceglie di portare da sola, perche', dice Dangor "solo le donne, esseri dotati di utero, possono portare sulle proprie spalle il fardello della muta tragedia della storia". * E il tema del dolore delle donne, nel Sudafrica di oggi, investe prepotente, da una diversa angolatura, Da madre a madre di Sindiwe Magona (traduzione di Rosaria Contestabile, Goree, pp. 285, euro 16). Un romanzo in forma di lettera, ma al tempo stesso anche di diario e di racconto orale. A scrivere la lettera, diretta a un'altra donna come lei, ma bianca, e americana, e' Mandisa, il cui figlio Mxolisi, poco piu' che adolescente, e' in carcere per aver ucciso la figlia della donna americana alla quale si rivolge, una studentessa bianca che nel 1993 si trovava in Sudafrica come volontaria, per aiutare la comunita' locale ad organizzare le prime elezioni democratiche. Non una boera, dunque, ne' una figlia del Sudafrica ricco. Solo una bianca, contro la quale si dirige, al grido di "Un colonizzatore, una pallottola!", l'improvviso indiscriminato attacco di rabbia di un gruppo di giovani neri. Un episodio realmente accaduto, per il quale i protagonisti sono tuttora condannati. E dunque la lettera, lo sfogo accorato della madre dell'assassino, non cerca perdono o impossibili giustificazioni. Il fatto e' accaduto e nessuno lo puo' contestare. Quel che Sindiwe Magona fa raccontare alla sua protagonista, e' il contesto nel quale l'episodio e' maturato. Sono gli ultimi durissimi trent'anni di apartheid, con i trasferimenti forzati dei neri fuori dalle citta', lo stravolgimento delle culture, delle abitudini, l'assenza della scuola e della legalita'. Sono la poverta', materiale e morale, la paura, la fatica del vivere. Un racconto che mostra come la grande storia altro non sia che il prodotto di milioni di singole storie individuali, che nessuno racconta, e come a pagare piu' di tutti, in modi diversi, siano sempre le figure socialmente piu' deboli: le donne e i bambini. * E di bambini - ma in una prospettiva del tutto diversa da quella che ci si potrebbe aspettare - parla Tredici centesimi, di K. Sello Duiker (traduzione di Sara Fruner, Cargo, pp. 158, euro 10), romanzo breve ma durissimo, che colpisce il lettore come un pugno nello stomaco. L'io narrante, Azure, nero ma con l'anomalia di due intensi occhi azzurri, da cui il nome, ha tredici anni, e' solo al mondo, vive per strada, nei sobborghi di Cape Town, per mangiare si arrangia o fruga nella spazzatura, e come altri nella sua situazione, per sopravvivere si prostituisce. Con uomini bianchi, benestanti, che lo accolgono per qualche ora nelle loro case eleganti, e ne usano il giovane corpo in cambio di cibo e pochi spiccioli, e che mettono alla porta subito dopo. Un bambino cresciuto in fretta, che vive tra prostitute e spacciatori - l'unico spaccato sul mondo degli adulti che gli sia dato conoscere - e che sogna: sogni terribili che al risveglio si sforza di far diventare realta', sogni nutriti di vendetta, di fuoco e di mare. Caratterizzato da un ritmo incalzante, da una struttura narrativa mossa, nel suo sovrapporre sogno e realta', presente e passato, il romanzo e' tanto intenso che si stenta a credere che non sia autobiografico: un dato, questo, che forse non conosceremo mai, perche' nel gennaio del 2005, non ancora trentenne e subito dopo aver vinto proprio con questo libro un importante premio letterario, Sello Duiker si e' suicidato. Un'altra delle morti che - insieme a quelle per aids, piaga endemica in tutta l'Africa subsahariana e della quale troppo poco si parla - ha recentemente colpito la giovane letteratura africana, portandosi via alcuni dei suoi talenti piu' promettenti. * Se Tredici centesimi si chiude con la visione, dall'alto di un promontorio che sovrasta Cape Town, della sottile linea di confine tra cielo e mare, con Il cielo di Cape Town, della sudafricana bianca Patricia Schonstein Pinnock (traduzione di Flavia e Costanza Rodota', Editrice Pisani, pp. 205, euro 13) la prospettiva su questa citta', la piu' bella e complessa del Sudafrica, certamente la piu' ricca, e' riproposta dal basso, da quello stesso mare sul quale la citta' si affaccia; dal punto in cui lo sguardo si innalza ad abbracciare e contenere lo Skyline (questo il titolo originale del romanzo) ossia il profilo di un gigantesco grattacielo che segna la linea di confine tra la citta' ricca e prospera, e uno dei suoi quartieri piu' poveri e degradati. » in questa parte della citta' che si riversa, nell'onda di speranze e aspettative apertasi con la fine dell'apartheid, una folla di personaggi provenienti da luoghi diversi dell'Africa, dal Mozambico come dal Rwanda, dal Sudan come dalla Nigeria, clandestini in fuga dalla guerra e dalla miseria, spinti da un solo miraggio: arrivare nel paese di Nelson Mandela, il nuovo re dell'Africa, dicono, dove tutto per forza deve essere bello, dove troveranno cibo e rifugio, lontano dalle guerre, dalla polizia, dal dolore. E man mano che arrivano e si presentano, con il loro bagaglio di speranze e di racconti, vediamo lo Skyline - prontamente ribattezzato "il crocevia dell'Africa" - popolarsi di una umanita' ferita ma anche piena di speranza e di un certo ottimismo. E i racconti dei singoli personaggi, come tessere di un disegno che sembra ricomporre tutto un continente, arrivano accompagnati e trasposti in forma visiva nelle tele del mozambicano Sebastiao, che alla pittura affida il compito di liberarlo dal pesante grumo di dolore che si porta dentro. * A questo miraggio di un nuovo Sudafrica prospero e sicuro, promanazione diretta e in certo modo indolore della fine dell'apartheid, avevano creduto in molti, che avevano immaginato che la transizione e la ricostruzione del nuovo sistema politico e sociale avrebbe avuto tempi piu' brevi di quanto non sia avvenuto. Un senso di delusione di speranze troppo a lungo tenute a freno, che serpeggia in tutta la letteratura sudafricana di anni recenti, come testimoniano tutte le narrative delle quali qui si parla, esempio infinitesimale, rispetto a quanto si puo' leggere in lingua originale. E se nel Cielo di Cape Town la delusione, che pure esiste, e' sempre accostata alla necessita' di dar voce alle cause della attuale situazione che il paese vive, nella saggistica non e' cosi', come si legge nelle pagine durissime di Noi siamo i poveri. Lotte comunitarie nel nuovo apartheid (traduzione di Marina Impallomeni, DeriveApprodi, pp.190, euro 15) del sociologo sudafricano di origine indiana e attivista politico Ashwin Desai, apparso in italiano con la prefazione di Naomi Klein e Franco Barchiesi. Klein presenta questo saggio come "uno dei libri migliori su globalizzazione e resistenza", qualita' che deriva dal fatto che il testo nasce dalle storie umane dei singoli personaggi, che compongono la township di Chatsworth a Durban. Una raccolta di storie orali dunque, accompagnata da dati e cifre, nel tentativo di capire perche' nel Sudafrica di oggi l'Anc non sia stata in grado di risolvere, per il paese, almeno alcuni dei bisogni piu' urgenti, quali il bisogno di acqua, medicine, elettricita' e terra. Delusione ancora piu' grande, perche', sostiene Desai, "l'intera lotta di liberazione si era fondata sulla creazione di una fede quasi religiosa verso un ristretto gruppo di dirigenti che avevano fatto credere a milioni di persone che tutto si sarebbe risolto una volta che Nelson Mandela e l'Anc fossero arrivati al potere". * Dunque, a undici anni dalle prime elezioni democratiche, il Sudafrica e' ancora un paese fortemente in bilico tra un presente che non ha ancora visto realizzarsi gran parte delle aspettative promesse, e un passato - recente e lontano - che sull'oggi ancora grava pesantemente. Un "prima" che ci si vorrebbe lasciare alle spalle, ma che non si puo' ne' si deve cancellare, proprio per non correre il rischio che gli errori del passato tornino a ripetersi. Di questo tormentato e ambiguo rapporto con il passato parla Verranno dal mare, del cinquantasettenne Zakes Mda, certamente il piu' interessante tra gli scrittori neri dell'ultima generazione. Si tratta di una narrativa potente, magistralmente tradotta in italiano da Maria Baiocchi (e/o, pp. 343, euro 15) che su un ricco tessuto metaforico costruisce un racconto che lega presente e passato, procedendo a ritroso, quasi all'inizio della espropriazione da parte dei bianchi ("in nome di Vittoria, Regina d'Inghilterra") dei ricchi e fertili territori del Capo, appartenenti agli xhosa, che da allora non avrebbero piu' avuto pace, ne' cibo di cui nutrirsi. E racconta di come tale strategia di accerchiamento fosse falsamente sostenuta dalle parole di una profetessa-bambina, che nel 1856 aveva annunciato al popolo xhosa che i loro antenati sarebbero tornati dal mare, per salvarli dai bianchi e dalla carestia, a patto che essi uccidessero tutto il bestiame e bruciassero i raccolti. A crederle furono purtroppo in molti, costretti da allora ad abbandonare le terre nelle mani dei bianchi e a scendere nelle miniere consumando per loro le proprie gia' stremate esistenze. Cosi' che Verranno dal mare, grazie anche a un sapiente impasto linguistico di inglese e xhosa, usa abilmente la storia del passato per spiegare e narrare le difficolta' del presente. * Postilla Non c'e' probabilmente da stupirsi (ma certo non da rallegrarsi) che a guidare la lista dei libri piu' venduti nelle librerie di Johannesburg o di Cape Town non siano i testi di narrativa che rendono la nuova letteratura sudafricana fra le piu' interessanti del continente, ma i bestseller globali che si ritrovano in cima alle classifiche di New York o di Roma o di Tokyo. Secondo dati resi pubblici da Nielsen BookScan, i due titoli che in questo 2005 hanno sbaragliato qualsiasi concorrenza in Sudafrica sono infatti il sesto tomo della saga di J. K. Rowling, Harry Potter e il principe mezzosangue, e Il Codice Da Vinci di Dan Brown. Il primo ha battuto qualsiasi record locale, vendendo il giorno stesso del suo lancio in libreria, il 16 luglio, ben quarantamila copie, mentre il secondo detiene un primato assoluto, visto che dalla sua uscita, lo scorso aprile, ha addirittura superato le centomila copie: cifre stratosferiche in un paese dove, sempre secondo Nielsen BookScan, un titolo acquisisce uno status di bestseller quando supera le tremila copie. A mitigare la malinconia per queste letture cosi' omologate, si puo' pero' citare il duraturo successo dell'autobiografia di Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta' (pubblicata in Italia da Feltrinelli nel '97). ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 32 del 6 ottobre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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