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La nonviolenza e' in cammino. 1050
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1050
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 11 Sep 2005 00:11:40 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1050 dell'11 settembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Aldo Capitini: La nostra marcia 2. Disarmare gli assassini. Si', si puo' 3. Normanna Albertini: Si' 4. Luciano Benini: Si' 5. Roberto Del Bianco: Si' 6. Agnese Ginocchio: Si' 7. Riccardo Orioles: Si' 8. Jean-Marie Muller: Terrorismo 9. Monica Lanfranco colloquia con Maria G. Di Rienzo sulle donne e il potere 10. Cinque meditazioni di Luca Sassetti 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. MAESTRI. ALDO CAPITINI: LA NOSTRA MARCIA [Da Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, pp. 212-213. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta at sis.it] Inoltre una marcia non e' un congresso, dove pochi parlano e molti ascoltano e non tutti capiscono; in una marcia si e' tutti uguali, il contadino e l'intellettuale, la donna lavoratrice e la studentessa... In modo particolare nella nostra marcia abbiamo alzato la parola della nonviolenza. 2. EDITORIALE. DISARMARE GLI ASSASSINI. SI', SI PUO' Il modo piu' semplice per disarmare gli assassini e' cessare di mettere a loro disposizione le armi. Basta cessare di metterle in circolazione, basta cessare di produrle. Il 23 ottobre in Brasile uno storico referendum chiedera' all'intera popolazione di decidere se cessare di mettere armi a disposizione degli assassini. Di decidere se salvare la vita a innumerevoli persone. Votando si' il popolo brasiliano puo' salvare subito molte vite, e puo' dare immensa una lezione e una speranza al mondo intero: che sia possibile un mondo in cui la vita umana valga piu' dei profitti dei mercanti di morte, che sia possibile un'umanita' che sceglie la vita, la convivenza, la gestione nonviolenta dei conflitti, la pace, anziche' la guerra, il terrore, l'uccidersi. Vinca l'umanita' oggi in Brasile, e domani ovunque. Aiutiamo le sorelle e i fratelli che in Brasile si stanno impegnando perche' l'esito del referendum sia il si' all'umana vita, il si' al disarmo, il si' alla civile convivenza, il si' alla solidarieta' tra tutti gli esseri umani. Chiediamo ancora a chi ci legge di promuovere anche qui in Italia informazione e sensibilizzazione, e di sostenere moralmente e materialmente le sorelle e i fratelli brasiliani impegnati per il si' al referendum. E ricordiamo ancora che per promuovere iniziative in Italia per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano per vietare il commercio delle armi, si puo' contattare Francesco Comina in Italia (e-mail: f.comina at ladige.it) e padre Ermanno Allegri in Brasile (e-mail: ermanno at adital.com.br, sito: www.adital.com.br); che molte utili informazioni sono reperibili nel sito www.referendosim.com.br; che il nostro foglio in queste settimane ospitera' le dichiarazioni di sostegno al si' al referendum brasiliano delle persone di volonta' buona che vorranno intervenire per esprimere una persuasa ed attiva solidarieta'. 3. 23 OTTOBRE. NORMANNA ALBERTINI: SI' [Ringraziamo Normanna Albertini (per contatti: normanna.a at libero.it) per questo intervento. Normanna Albertini e' nata a Canossa nel 1956, insegnante nella scuola elementare, vive e lavora a Castelnovo ne' Monti; e' impegnata nel gruppo di Felina (Reggio Emilia) della Rete Radie' Resch, e quindi in varie iniziative di solidarieta', di pace, per i diritti umani e per la nonviolenza; scrive da anni su "Tuttomontagna", mensile dell'Appennino reggiano. Opere di Normanna Albertini: Shemal, Chimienti Editore, Taranto-Milano 2004] Consideravo in televisione, in questi giorni, il diluvio biblico di New Orleans. C'era un morto sulla strada, militari in giro, armi, carrarmati; qualcuno dei superstiti che brindava su un balcone, a pochi metri dal cadavere. Indifferenza. O peggio: non c'era tempo per raccattare i morti, spiegava un soldato, si doveva provvedere ai vivi. Ho avuto davanti, all'improvviso, l'immagine del disfacimento di ogni senso etico, l'evidenza dolorosa della totale disumanizzazione della societa' che dovrebbe esportare la democrazia nel resto del mondo. Ho pensato a cio' che avevo udito dai vecchi alpini reduci dalla Russia, o dagli scampati ai campi di concentramento, alle loro storie di solidarieta', di sacrificio per aiutarsi l'un l'altro e sopravvivere. Al loro ripudio assoluto delle armi. Al loro pianto: "Non si riesce a far capire quello che abbiamo vissuto...". Al loro rammarico, perche' al tramonto della vita vedevano nel mondo sempre piu' violenza, sempre piu' indifferenza al dolore dell'altro. Erri De Luca, in "Alzaia", afferma che "indifferenza" non e' infischiarsene del mondo, ma e' un disturbo della percezione per cui non si riesce a distinguere la "differenza" tra realta' e messinscena. Si assiste inerti ad una violenza perche' ci si sente semplici spettatori. E conclude dicendo che l'indifferenza e' un torto contro il creato, non contro la societa', perche' inceppa il lavoro della creazione, che non si e' esaurita in sette giorni. Credo che rimanere fuori, insensibili alla miseria fisica e morale (quanto e' paurosa e devastante la miseria interiore che permea il nostro "ricco" mondo, dove buoni padri di famiglia vanno sui viali a cercare dodicenni ucraine?) che noi stessi produciamo e poi sparare su chi ci minaccia faccia sempre parte della stessa "indifferenza". * Negli stessi giorni, leggevo un manuale della Pastorale di strada dei vescovi brasiliani e, intanto, dal Brasile mi arrivava la notizia (tra le altre dei problemi di Lula con i corrotti del suo governo) del referendum contro il commercio delle armi da fuoco e munizioni che si terra' il 23 ottobre. Come non collegare l'uso delle armi da parte di comuni cittadini con la creazione di quella "massa esuberante" di emarginati - che non e' un "effetto collaterale" del capitalismo, ma e', visti i numeri, "l'effetto" conclusivo del capitalismo - e che, a New Orleans, non ha avuto possibilita' di fuga? Recita il libretto dei vescovi "Vida e Missao", scritto ad uso degli operatori tra gli homeless: "Gli abitanti della strada sono stati e sempre saranno gli esclusi dal sistema, che nessuno vuole vedere, che scomodano l'estetica della citta' e che, con le loro figure barcollanti e sporche, denunciano che viviamo in una societa' che non e' quella sognata da Dio. Frutto del sistema capitalista, storicamente sono stati considerati "massa eccedente" in conseguenza dell'esodo rurale. La sua presenza, necessaria allo sviluppo del Paese, ha permesso la realizzazione di costruzioni faraoniche. Migravano dalla campagna e si offrivano come manodopera a buon mercato alle grandi imprese. Oggi, il fenomeno "popolazione della strada" si presenta come conseguenza del rigonfiamento delle citta' che, costruite da loro, gia' non gli appartengono piu'. Nei paesaggi della citta', il popolo della strada si presenta come un disegno vivo di una realta' che ci interroga e ci disturba. Infinite volte siamo rimasti perplessi davanti ai preconcetti e alle azioni che governi e societa' pianificano per nascondere la loro verita'. Ricordiamo storie di "mendicanti che sono stati buttati nel fiume"; di "mendicanti che sono stati presi con la forza e trasportati in altre citta'"; di "mendicanti che sono morti bruciati vivi". Parallelamente a questi abusi sociali e governativi, altre soluzioni "meno violente" sono state create per rispondere all'esclusione. Sfortunatamente, nella loro maggioranza, hanno carattere di politica di compensazione. Si consumano milioni semplicemente per nascondere questo popolo, allontanandolo verso le periferie o verso altri comuni, quasi sempre con l'intento di liberarsi di loro". * Marcelo Barros, monaco benedettino e Priore del Monastero Anunciacao do Senhor nella citta' di Goias, chiede, in una lettera, di "disarmare il cuore per disarmare la nazione". In sostanza, egli afferma che la maggior parte dei crimini perpetrati con armi da fuoco accadono in famiglia o nel vicinato. Ci sono si' i morti dovuti ad assalti o sequestri, ma, secondo le statistiche, pochissime volte il fatto che il cittadino sia armato lo salva. Di solito, davanti ad un'arma, un bandito, piu' esperto, spara per primo. Le industrie di armi propongono che si disarmi il bandito, non il cittadino, ma che senso ha, se la maggioranza delle vittime non sono dovute ad assalti o rapine, ma ad episodi di violenza in ambito familiare, tra vicini di casa, colleghi di lavoro o ex innamorati? Inoltre, padre Marcelo se la prende con la stampa che bombarda continuamente i cittadini con notizie di crimini terribili, trascurando le informazioni positive, quelle che riguardano la costruzione, ogni giorno, della pace e della solidarieta'. Molti giornali parlano della violenza quotidiana come di una guerra civile non dichiarata. Cio' non e' corretto. Questo tipo di violenza e' incidentale e non schiera in battaglia un popolo contro un altro, una classe sociale o una razza in guerra per eliminarne un'altra. Chi paragona la violenza nelle citta' brasiliane ad una guerra dovrebbe ascoltare le testimonianze delle persone che vivono a Baghdad, nel Sudan, a Bogota'. Legittima poi rimedi eccezionali affermare che si vive in una situazione di guerra, legittima restrizioni delle liberta' democratiche e maggiore repressione della polizia, attentando ai diritti umani e, in pratica, non eliminando la violenza. Conclude, Marcelo Barros, ricordando una citazione di Origene, teologo del III secolo: "Quando Gesu', catturato dai suoi nemici, comando' a Pietro di rimettere la spada nel fodero, ordino' a tutti i cristiani di bandire per sempre qualsiasi forma di arma". * Anche i vescovi del Brasile sono intervenuti, il 15 agosto scorso, con una nota a favore del referendum. Scrivono, tra l'altro: "La Campagna di Fraternita' Ecumenica del 2005, sul tema Solidarieta' e Pace, ha incentivato le Chiese nel Brasile ad unirsi nella preghiera e nella promozione della cultura della pace. Un gesto concreto suggerito per la Campagna e' la partecipazione al Referendum del prossimo 23 ottobre, quando il popolo e' convocato a pronunciarsi sopra la proibizione del commercio di armi da fuoco e munizioni in tutto il territorio nazionale. Con il Referendum, siamo chiamati a contribuire attivamente nel consolidamento delle istituzioni democratiche. Sara' un'occasione storica per l'esercizio della sovranita' popolare attraverso il voto. Come vescovi della Chiesa Cattolica e cittadini, ci schieriamo a favore della proibizione del commercio delle armi da fuoco e munizioni. Invitiamo i cristiani e tutte le persone di buona volonta' a votare si' in questo referendum. Proibire il commercio e l'uso delle armi da fuoco e' un passo decisivo, ma non sufficiente. Siamo contrari ad ogni forma di violenza. Piu' che potenziare la Sicurezza Pubblica, e' indispensabile educare alla pace e alla difesa della vita, attraverso pratiche di nonviolenza attiva". * Nonostante le cattive notizie sul governo di Lula, la speranza viene comunque dal Brasile? Una piccola luce, che rincuora, dopo l'orrore e il degrado umano rivelati dal diluvio biblico di New Orleans: parola fine all'"american dream", se ancora qualcuno ci credeva! Dice ancora Erri De Luca che il vocabolo ebraico per "speranza" e' "tikva'", che significa anche "corda": una corda (speranza) accompagna in esilio i deportati d'Israele e una corda li riportera' a casa, riavvolgendosi senza spezzarsi. "Nella parola tikva' c'e' il senso di essere legato a qualcuno e qualcosa che non lascia soli. Non sempre la speranza mostra la sua fibra di canapo ritorto, resistente. Pero' e' bello sapere che essa ha quella tenacia d'origine". Amo pensare che chi spera e cammina su vie di giustizia sia legato e col-legato da questa corda, una corda che ci unisce tutti e che ci trae, a forza, fuori dall'indifferenza 4. 23 OTTOBRE. LUCIANO BENINI: SI' [Ringraziamo Luciano Benini (per contatti: luciano.benini at tin.it) per questo intervento. Luciano Benini, gia' presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir-Ifor), da sempre impegnato in molte attivita' e iniziative di pace e di solidarieta', e' una delle persone piu' prestigiose dei movimenti nonviolenti in Italia] Se fossi brasiliano, voterei a favore del referendum per proibire il commercio delle armi da fuoco. Sento gia' le obiezioni: le armi non sparano da sole, cio' che conta e' cambiare il cuore; oppure, non si puo' negare il diritto alla legittima difesa; e ancora, tanti lavoratori finirebbero senza lavoro, e cosi' via. No, le armi e il loro commercio vanno abolite, spostando progressivamente il diritto/dovere di dirimere e controllare i conflitti all'autorita' pubblica e all'Onu. Ogni arma in mano ai privati legittima il tentativo di difendere con la forza posizioni di privilegio, ruberie, situazioni di palese ingiustizia. Certo, occorre cambiare il cuore delle persone, certo, occorre eradicare le situazioni di ingiustizia che generano violenza, certo, occorre dare dignita' a chi non ce l'ha: ma non con la forza delle armi, ma con le leggi, con la condivisione della vita, con la giusta distribuzione delle risorse. So bene che Abele e' stato ucciso con una pietra, o forse con le mani nude, ma oggi le armi distruggono vite umane a migliaia, possono far saltare governi, possono consentire stragi e distruzioni. Dire no al commercio delle armi e' una scelta culturale, e' dire no alla soluzione violenta dei conflitti, e' aprire alla speranza della nonviolenza. Dal giorno dopo del referendum, che ogni brasiliano senta questo come una scelta di vita, personale e collettiva. 5. 23 OTTOBRE. ROBERTO DEL BIANCO: SI' [Ringraziamo Roberto Del Bianco (per contatti: delbia at casamia.org) per questo intervento. Roberto Del Bianco e' impegnato nell'esperienza di Peacelink ed in molte inziative di pace e di solidarieta'] Quanto vale una vita? Proviamo a immaginare una morte. Gli occhi della propria coscienza che si spengono in un colpo, e fili di anni e anni di storia del se' che svaniscono all'improvviso. Un uomo che non e' piu'. * Quanto vale una vita, nei tempi della cronaca spicciola delle morti sempre ripetute, banalizzate, e poi disperse dalle cellule della memoria oramai incapace a fissare nel proprio cuore quei frammenti di sentimento che pure erano e sono ancora dell'uomo? Quanto vale... * Ed ecco un passo al contrario pero', sussurro dai meandri dei media globalizzati. Una notizia non-notizia che si fa notizia vera, e vera di speranza. Si', quando la morte e' da altri voluta, vita assassinata dalle protesi di morte, inventate dall'uomo-caino fin dai primordi dei secoli dei secoli. Le armi che aiutano ad uccidere. Eppure... Eppure queste protesi di morte, eccola la notizia, vietate, regolamentate con maggiore efficacia, una "Campagna per il disarmo" in un Paese che non e' di quelli sulla bocca di tutti, eppure... Una notizia non-notizia che si fa notizia vera, e vera di speranza. E le statistiche in un sussulto, numeri in crescita di vite risparmiate. * Globalizziamone il contenuto, diffondiamone lo spirito. Dal Brasile, Sud America; terre di speranza di un'umanita' diversa dai binari dritti del solito qualunque Occidente banalizzato. Una notizia di speranza, chissa'... 6. 23 OTTOBRE. AGNESE GINOCCHIO: SI' [Ringraziamo Agnese Ginocchio (per contatti: e-mail: agnese.musica at katamail.com, sito: www.agneseginocchio.it) per questo intervento. Agnese Ginocchio, "cantautrice per la pace, la nonviolenza, contro tutte le guerre e le mafie", e' generosamente impegnata in molte iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti umani e la nonviolenza] Come artista e come donna che cammina e lavora dal basso per la promozione di una cultura di pace e nonviolenza e per la difesa dei diritti di ogni essere umano, particolarmente degli ultimi, dei poveri e dei meno considerati, offro il mio sostegno a favore del prossimo referendum in Brasile per la proibizione del commercio delle armi da fuoco e di ogni munizione, in quanto chiama in causa prima di tutto il sacro valore della vita stessa. Ogni arma da fuoco e' un ordigno micidiale inventato non per la difesa della vita, bensi' per la morte. Chi si attiva per la pace e la nonviolenza ogni giorno con i propri mezzi deve fare il possibile e l'impossibile, con l'aiuto della Provvidenza, per eliminare ogni radice velenosa che genera indifferenza e morte, e sostituire a questa piaga la cultura della vita, dell'amore e dei diritti di ogni persona. Le parole non bastano piu'... Ogni arma e' pura follia, stoltezza e illusione. Ogni arma e' conseguenza dell'odio, e' negazione della vita, e' ribellione verso Colui che della vita e di tutto il creato e' il sommo Fattore... Mettiamo al bando la guerra e le armi. Mettiamo al bando la miseria e la poverta'. Non c'e' tempo da perdere. Pace e sviluppo per una solidarieta' globale e una nuova umanita'. Mai piu' commercio di armi, ed invece sostegno a progetti di giustizia, pace, solidarieta', sviluppo per le popolazioni povere. Diamo voce, ali, speranza e canto alla pace. Dunque forza e sostegno al referendum in Brasile. Il mio concerto per la pace, la mia voce, la mia chitarra, stasera e il prossimo 21 settembre ad Assisi sara' dedicato anche a favore di questa campagna di solidarieta'. 7. 23 OTTOBRE. RICCARDO ORIOLES: SI' [Ringraziamo Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles at sanlibero.it) per questo intervento. Riccardo Orioles e' giornalista eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", cura attualmente in rete "Tanto per abbaiare - La Catena di San Libero", un eccellente notiziario che puo' essere richiesto gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha formato al giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete telematica vi e' anche la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999)] Armi. Per la prima volta sono diminuiti i morti per armi da fuoco in Brasile: 3.234 in meno fra il 2004 e il 2003. Il merito e' della campagna di "desarmamento" portata avanti dalle associazioni della societa' civile. Che adesso festeggiano nelle piazze di San Paolo, Rio e delle altre citta' brasiliane sventolando bandierine bianche (il simbolo della campagna) e disponendosi in folla a formare il numero magico - 3.234 - delle vite umane risparmiate. Il Brasile non e' il piu' maschilista ne' il piu' "pistolero" fra i Paesi americani. Qui il potere dell'arma non e' diventato adorazione (come in Colombia o negli Stati Uniti) ma e' qualcosa di correlato alla miseria, alla violenza, alla lotta di giungla e di favela. I piu' violenti, nelle citta', probabilmente sono proprio i poliziotti; nelle campagne i "pistoleros" dei latifondi, che corrispondono piu' o meno ai nostri vecchi "gabelloti" (che poi si svilupparono in mafiosi). Preti, suore, sindacalisti, contadini vengonno uccisi spesso, anche ai nostri giorni, da costoro. Non c'e' mai stato un Far West, qui, nel mito: la "frontiera", in Brasile, ha una storia relativamente pacifica, con molti episodi di fraternizzazione con gli indios (questa e' una societa' multietnica) e coi "cattivi" rappresentati quasi solo dai "mamelucos" (mammalucchi: il soprannome fa capire cosa la gente ne pensava) mandati periodicamente dai proprietari e dal governo ad attaccare gli insediamenti liberi e a razziare schiavi. Mancano gli eroi "virili" e sputafuoco (sceriffi, rapinatori, giudici, vaccari) che hanno sedimentato invece la mitologia d'altri Paesi. Alcune favelas del Brasile - e molte zone rurali - sono quasi un inferno permanente. Dove tuttavia le atrocita' della Lousiana non si verificano, o si verificano piu' raramente. La cultura brasiliana, povera, magica e musicale, non e' infatti - nel suo strato profondo - una cultura armata. E ora sta cominciando decisamente a muoversi nella direzione del disarmarsi, del "non e' figo ammazzare". Adesso c'e' il referendum - sempre della Campanha de Desarmamento - per proibire il commercio delle armi da fuoco, cosa che potrebbe danneggiare i nostri pacifici pacifici operai e padroni del Bresciano (la Beretta fa pistole bellissime, e ne vende sempre piu' dappertutto) ma sarebbe una buona cosa per tutti quei brasiliani che, destinati a diventare cadaveri dentro un sacco, avranno qualche probabilita' in piu' di restare invece uomini, donne e bambini vivi. Bookmark: www.referendosim.com.br 8. RIFLESSIONE. JEAN-MARIE MULLER: TERRORISMO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente brano estratto dal nuovo libro di Jean-Marie Muller, Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes (France) 2005, pp. 413, euro 12. Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005] Il terrorismo, nel suo significato etimologico, e' sia un metodo di governo, sia un tipo di azione diretta a generare "il terrore", cioe' a creare un clima di paura, di spavento e di panico improvviso in una popolazione. Correntemente, il termine terrorismo designa una tecnica di azione violenta utilizzata contro dei civili da un gruppo clandestino, per far valere delle rivendicazioni politiche. La caratteristica della strategia terroristica e' che consente, con i piu' semplici mezzi tecnici, di aggirare e mettere in scacco le dissuasioni militari dotate dei mezzi tecnici piu' sofisticati. Mentre le grandi potenze industriali pretendono di avere armi che rendono inviolabile il loro santuario nazionale, l'arma dei terroristi arriva a portare paura, violenza e morte nel cuore stesso delle loro citta'. Il terrorismo prende completamente alle spalle la difesa delle societa' moderne, cosicche' le armi piu' potenti si rivelano inutili e nulle nelle mani dei decisori politici e militari. * Il terrorismo non merita alcuna indulgenza. I suoi metodi sono criminali. Per meglio condannarlo, l'opinione dominante vuole isolare la violenza terroristica dalle altre forme di violenza: l'azione terroristica e' denunciata come il crimine della pura violenza, la cui illegittimita' non deve essere discussa, mentre, nello stesso tempo, ci si adatta ben volentieri alle altre violenze che si dicono legittime. Di fronte al terrorismo, tanto gli Stati quanto le opinioni pubbliche danno prova di una indignazione selettiva, che tende a banalizzare le altre forme di violenza. Certo, il terrorismo uccide degli innocenti, ma la guerra uccide forse solo dei colpevoli? Certo, il terrorismo e' "fuori legge", ma non e' forse del tutto illusoria la pretesa di sottomettere la violenza alle esigenze del diritto? In definitiva, dal punto di vista della nonviolenza, il giudizio etico sul terrorismo deve essere guidato dagli stessi criteri fondamentali usati per giudicare ogni forma di violenza omicida. E' importante delegittimare e decostruire le dottrine ideologiche che giustificano il terrorismo, specialmente gli integralismi religiosi. Ma il discorso che condanna il terrorismo perdera' tanta forza e coerenza se giustifica per altro verso altre forme di azione violenta che non sono meno mortifere e che possono essere ugualmente criminali. Cosi', esiste un "terrorismo di Stato" che non merita alcuna indulgenza, non piu' dell'altro. * La retorica contro il terrorismo afferma con forza che il terrorismo rinnega i valori superiori della civilta', che esigono il rispetto della vita umana. Certo. Ma, per essere precisi, difendere questi valori e' anzitutto rispettarli nella scelta dei mezzi messi in atto per difenderli. Vincere il terrorismo e' agire con la massima prudenza stando attenti a non rinnegare noi stessi le esigenze che fondano il rispetto della vita. Vincere il terrorismo e' anzitutto rifiutare di entrare nella sua stessa logica di violenza omicida. Il vettore principale del terrorismo e' l'ideologia della violenza, che giustifica il dare la morte. Difendere la civilta' e' anzitutto rifiutare di lasciarsi contaminare da questa ideologia. E cio' esige la rinuncia alle operazioni militari che implicherebbero inevitabilmente l'uccisione di innocenti, poiche', altrimenti, le democrazie rischierebbero molto di rendersi colpevoli degli stessi delitti che rimproverano ai terroristi e non farebbero altro che fertilizzare il terreno in cui si alimenta e si sviluppa il terrorismo. Dal momento che questo sfida le democrazie mirando a destabilizzarle, esse devono combatterlo con una strategia coerente con le loro esigenze e le loro regole, senza imitare in nulla le contraddizioni dei terroristi. Le democrazie devono difendersi ponendosi risolutamente sul terreno che e' il loro, quello del diritto, e devono rifiutare di lasciarsi trascinare sul terreno dell'arbitrio che nega il diritto. * Il terrorismo non e' la guerra. Al contrario, la sua strategia pone come postulato il rifiuto della guerra. Cio' che caratterizza la guerra e' la reciprocita' delle azioni decise e intraprese da ciascuno dei due avversari. Ora, per la precisione, di fronte all'azione dei terroristi, nessuna azione reciproca puo' venire intrapresa dai decisori avversi. Questi si trovano effettivamente nella incapacita' di rispondere colpo su colpo a un avversario senza volto che si nasconde. Certamente, le societa' democratiche hanno non solo il diritto, ma il dovere di difendersi con la massima fermezza contro il terrorismo. Pero', riconosciuto questo diritto e dovere di legittima difesa, la vera questione e' sapere quali sono i mezzi legittimi ed efficaci per questa difesa. La natura stessa del terrorismo esige che lo si combatta non con atti di guerra, ma con misure di polizia. Queste devono essere attuate evitando ogni deriva poliziesca e quindi rispettando scrupolosamente le regole del diritto. Entro il quadro stretto della legge, tutto deve essere fatto per scoprire le reti e smantellarle. Percio', non sono gli eserciti che devono essere mobilitati, ma i servizi segreti. I membri di quelle reti, una volta che siano chiaramente identificati, devono essere arrestati e giudicati. * Ma per vincere il terrorismo conviene sforzarsi di comprenderne le cause e gli obiettivi. L'indignazione contro quel metodo non dispensa dall'analizzare le ragioni di quell'azione, col pretesto sbagliato che cercare di comprendere il terrorismo sarebbe gia' cominciare a giustificarlo. I fatti dimostrano che l'indignazione non e' operante. Essa non permette di capire perche' degli uomini, sacrificando la loro vita, decidono di andare fino all'estremo della violenza distruttiva e omicida. Per sradicare e svellere il terrorismo, bisogna sforzarsi di capire quali sono le radici storiche, sociologiche, ideologiche e politiche che lo alimentano. Certo, il terrorismo puo' essere irrazionale e condannarsi da se' a non essere altro che un atto nichilista, animato dalla volonta' di distruggere e dalla voglia di uccidere. In questo caso, il terrorismo vuol essere essenzialmente una trasgressione compiuta nell'ignoranza del bene e del male. Pero', ci si ingannerebbe se si volesse fare del nichilismo la caratteristica di ogni atto terroristico. * In realta', come ogni strategia violenta, il terrorismo rivendica il piu' delle volte dei motivi razionali. Se il terrorismo non e' la guerra, vuole pero' essere ugualmente un mezzo che continua la politica (come e' stato detto della guerra). Esso allora possiede una sua coerenza ideologica, una sua logica strategica, e una sua razionalita' politica. Non serve a nulla negare questo con l'evidenziare la sua immoralita' intrinseca. Dopo che sara' riconosciuta la dimensione politica del terrorismo, diventera' possibile cercare la soluzione politica necessaria contro di esso. Il modo piu' efficace di combattere il terrorismo consiste nel togliere ai suoi autori le ragioni politiche che essi invocano per giustificarlo. Cosi' sara' possibile indebolire durevolmente la base popolare di cui il terrorismo ha il piu' grande bisogno. Spesso il terrorismo mette radici in un terreno fertilizzato dall'ingiustizia, l'umiliazione, la frustrazione, la miseria e la disperazione. Il solo modo per far cessare gli atti terroristici e' togliere ai loro autori le ragioni politiche invocate per giustificarlo. Dunque, per vincere il terrorismo, non e' la guerra che bisogna fare: bisogna costruire la giustizia. * Quando il terrorismo si inscrive in un conflitto politico i cui obiettivi sono chiaramente identificabili, sara' probabilmente necessario negoziare con i terroristi. Il discorso retorico dominante afferma che non si negozia con i terroristi. Ma al di la' delle parole ci sono i fatti. Ci ricordiamo quante volte i governi hanno dovuto contraddire le loro parole per riconoscere i fatti, e quindi mettere a tacere la loro indignazione per accettare la negoziazione? 9. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO COLLOQUIA CON MARIA G. DI RIENZO SULLE DONNE E IL POTERE [Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: mochena at village.it) per averci messo a disposizione questo suo colloquio con Maria G. Di Rienzo gia' apparso sul quotidiano "Liberazione" il 7 settembre 2005. Monica Lanfranco, giornalista professionista, nata a Genova il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con le testate delle donne "DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il trimestrale "Marea"; dirige il semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'"; collabora con il quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute"; e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto per l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995 ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della partoriente (La Clessidra). E' stato pubblicato recentemente il suo libro, scritto insieme a Maria G. Di Rienzo, Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici) sulla storia del movimento delle donne e sulla comunicazione. Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] In una citta' difficile come Treviso una quindicina di anni fa ha fondato, nell'indifferenza generale e non senza qualche pericolo, una associazione dal nome curioso: la panchina. Il riferimento era proprio all'oggetto in questione: le panchine di legno e ferro, sollievo nelle attese e raro spazio gratuito per la sosta e la socializzazione nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria di una delle cittadine del nord est tra le piu' razziste. Le panchine che l'allora sindaco Gentilini aveva fatto sradicare dal suolo perche' vi si sedevano gli extracomunitari: lo stesso primo cittadino che avrebbe, piu' tardi, ordinato lo sgombero con la forza degli emigrati che dormivano nel duomo, perche' secondo lui a Treviso nessuno avrebbe dovuto affittare una abitazione alle persone non italiane. La fondatrice dunque della panchina, Maria Giuseppina di Rienzo detta Giusi, da Treviso non se ne e' mai andata, nonostante tutto, e da li' lavora come formatrice sui temi della nonviolenza, sulla differenza di genere, e collabora stabilmente con la newsletter quotidiana "La nonviolenza e' in cammino" e con il sito femminista "Awakenedwomen", dove tra le altre scrive anche Starhawk, la pacifista di San Francisco che venne al G8 di Genova per insegnare ai gruppi femministi la danza con la quale le migliaia di giovani e donne da piazza Manin scesero ai muri di ferro della zona rossa. Spesso in rovente polemica anche con i movimenti su temi fondamentali come la coerenza tra fini e mezzi anche per lei, che per prima in Italia ha fatto conoscere il lavoro della Lord attraverso il libro Donne disarmanti, l'intervista si apre con l'affermazione sui mezzi e i fini. * - Monica Lanfranco: Non possiamo smantellare la casa del padrone con i suoi attrezzi: sei d'accordo? - Maria G. Di Rienzo: Si', totalmente. E credo ci risparmieremmo un bel po' di fatica, di spreco di tempo e di frustrazioni se lo tenessimo sempre presente quando progettiamo ed agiamo cambiamenti socio-politici. C'e' sempre una giustificazione per la violenza: se la usano "i nostri" e' meno grave, inevitabile, dettata dalla sofferenza o dalla giusta indignazione, sempre minore rispetto a quella subita, o addirittura non paragonabile e appartenente ad una diversa scala di valutazione. Puo' darsi che noi si sia proclamato di rigettarla, un impegno che ci terra' in cammino per il resto della vita, ma poi ci sono coloro che chiamiamo, chissa' perche', alleati ed amici che non intendono minimamente farlo, e con costoro "si media". Non e' forse la nonviolenza anche arte di composizione dei conflitti? Sono un'arrogante ambiziosa: voglio vincere un mondo decente che basi il suo agire sui diritti umani e sulle responsabilita' umane, voglio vincere relazioni equilibrate e giuste fra donne e uomini, fra comunita' e nazioni. La violenza di qualsiasi tipo non puo' darmi questo, sono oltre 6.000 anni che e' alla prova e non c'e' riuscita, perche' non puo' riuscirci. I suoi discorsi ed i suoi metodi producono invariabilmente guerra, non pace. * - Monica Lanfranco: Pur con alcune eccezioni sembra che anche le donne con le migliori intenzioni, una volta arrivate ai vertici del potere, si uniformino ad esso, diventando una fotocopia dell'agire maschile. Dove sta il problema: nella politica o nelle donne? - Maria G. Di Rienzo: In entrambe. Nella politica, tutta, che rifiuta il mainstreaming (le istanze di genere come criterio d'analisi ovunque) e la condivisione del potere, e persiste nel considerare la meta' dell'umanita' di volta in volta "categoria speciale", "risorsa", "area di interesse". E in quelle donne che piuttosto di identificarsi anche (e sottolineo l'anche) come tali si farebbero squartare e mi parlano dell'oscuramento del loro genere come "servizio" al movimento o al partito, oppure della non necessita' di nominarsi in quanto donne (femminismo? Ah si', quella roba che facevamo/facevate negli anni '70...): infatti, lottano disperatamente per essere considerate "uno dei ragazzi" e sentirsi dire che nonostante siano donne sono proprio brave e che si', nonostante siano donne si puo' votarle come segretarie, referenti, presidenti. * - Monica Lanfranco: Se sei stata attiva nella politica istituzionale (o in gruppi di donne extraistituzioni) a qualunque livello puoi raccontare i punti di forza e quelli di debolezza della tua esperienza? - Maria G. Di Rienzo: Nelle mie esperienze la forza della relazione tra donne, che si trattasse di gruppi extraistituzionali o di partiti era evidente e innegabile: stare insieme, in un gruppo di donne, liberava energie e riflessioni non rintracciabili nei gruppi misti. Le debolezze riguardavano l'identificazione del gruppo (sezione di partito composta da sole donne, forum delle donne, associazione di attiviste, eccetera) in rapporto alle altre appartenenze. Ad un certo punto la liberta' diventava paura: di urtare il marito segretario provinciale del partito, di urtare il compagno di vita che era anche compagno di partito, di alienarsi altre relazioni se si continuava a considerare fondante quella tra donne, e cosi' via. Le pressioni nei confronti dell'appartenenza al gruppo di donne erano reali, continue, da parte di chi stava all'esterno di esso: che fai li', non combinate niente, siete separatiste, dovete unirvi, secondo me state a parlare male degli uomini, eccetera eccetera. Allora spuntavano nei discorsi delle donne dei "distinguo" e delle prese di posizione su cui non si poteva piu' discutere in gruppo, non del loro "merito", non della loro concretezza: erano assunti ideologici che mascheravano la trasformazione della liberta' in paura: la responsabilita' era entrata in gioco, e a molte donne mancava ancora la capacita' non di essere responsabili "per gli altri" (in questo veniamo addestrate dall'infanzia e siamo persino abilissime) ma di essere responsabili dell'affermazione di se' che trovavano nella relazione con le altre. * - Monica Lanfranco: Quali possono essere gli alleati, e quali invece i peggiori ostacoli alla realizzazione di una diversa qualita' della politica per le donne? - Maria G. Di Rienzo: Credo ancora che le donne condividano un linguaggio e uno sguardo comune che si basa sul posizionamento di genere, che e' alle fondamenta della nostra identita' come persone, e credo che le donne impegnate in politica, soprattutto istituzionale, abbiamo oggi grande necessita' di ascolto da parte delle altre donne. Intendo proprio il cercare occasioni d'incontro per dialogare, piuttosto che per presentare un'agenda a cui la donna politica aderisca o no, o per chiedere il voto. I percorsi politici sono cambiati: molte donne (e uomini) vengono catapultate in sedi istituzionali perche' hanno un "nome" in una professione o sono note al grande pubblico grazie alla presenza televisiva. La loro candidatura si basa sulla loro "eccellenza" personale, ma non si tratta di un'eccellenza "politica", la quale esiste solo nella relazione con altri/e. Il percorso politico nel partito o nel gruppo, che forniva competenze, strumenti di comprensione della cosa pubblica, capacita' di agire e maneggiare i conflitti, nonche' cornici e chiavi di lettura (giuste e adeguate o no si rivelassero poi alla prova dei fatti), queste persone non lo fanno. Spesso le donne in politica assumono posizioni "trasversali", contrarie ai diktat del gruppo/partito di appartenenza, proprio in relazione alla liberta' femminile: questo e' un punto di forza che possiamo usare. * - Monica Lanfranco: Sei arrivata ad una posizione di primo piano nella politica, e puoi scegliere cosa fare: le tue cinque prime azioni da realizzare subito. - Maria G. Di Rienzo: Bene, facciamo della fantascienza, anzi della fantapolitica. Diciamo che sono a capo del governo? La Premier, sostenuta da coalizione, ong, societa' civile, associazioni femministe, associazioni per i diritti umani, con cui ha dialogato proficuamente in campagna elettorale, vara il programma politico-culturale "eticita' ed eguaglianza nella politica, garanzie per la liberta' di tutte e tutti". Prima azione: convoco la Ministra Pari Opportunita' e le associazioni di donne e stabiliamo programmi per il mainstreaming in tutte le istituzioni. Seconda azione: via tutte le leggi ad personam varate dalla destra in questi anni. Terza azione: misure per la lotta all'evasione fiscale (senza soldi, diceva mia nonna, non si cantano messe). Quarta azione: misure per il riordino del mercato del lavoro. Gli imprenditori vogliono sgravi, eccetera? Possiamo discuterne, se ci dicono cosa daranno in cambio ai lavoratori, al territorio ed alla comunita', perche' sono questi soggetti a permettere la loro esistenza come imprenditori, ed e' con questi soggetti che il patto sociale dev'essere sottoscritto. Quinta azione: misure per il riassesto idrogeologico della penisola, leggi di tutela ambientale, sottrazione al mercato dei beni comuni come l'acqua. Sesta azione: accidenti, me ne hai date solo cinque, non avevo mica finito... 10. SPIRITUALITA'. CINQUE MEDITAZIONI DI LUCA SASSETTI [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione i seguenti testi. Luca Sassetti e' storica firma del bel mensile di alcuni cristiani torinesi "il foglio" (www.ilfoglio.org) su cui sovente appaiono suoi contributi in versi] Canzone dell'Epifania Una stella gli apparve in oriente perche' in oriente cercavano stelle ed andarono in terra lontana perche' gia' erano pronti ad andare e raggiunser la Casa del Pane perche' tennero fede al cammino e la luce era solo un bambino perche' l'immenso si cela nel piccolo e ne ebbero gioia grandissima perche' era un bimbo l'attesa risposta e gli diedero doni profetici perche' la gioia intende il mistero e tornarono al loro paese perche' la' dove vivi e' il cammino e non tennero fede al potente perche' la forza spegne le stelle. * Voi che dormite ad occhi aperti cari antemorti e ci guardate vivere so bene che portate con voi ricordi che non abbiamo accolto segrete tristezze offese perdonate umili cadute e tacite preghiere so che liberaste il mondo da pesi che avete tenuto tutti per voi cercando di lasciarci soltanto speranza e coraggio so quanta vita e' nella vostra morte cari antenati guardate a noi che viviamo e vi portiamo in cuore che possiamo esser degni della vita. * Manda una voce Taci, o Dio, e' tuo diritto, sul mondo che ti disgusta nascondi la tua luce che abbiamo rifiutato ma trattieni il diluvio sulla terra corrotta e piena di violenza ma non tradire del tutto l'umanita' che hai fatto a immagine ambigua di te e l'hai pure amata di passione nei buoni e nei cattivi, nei poveri e nei superbi, nei puri e negli impuri, in Abele e in Caino, fino a perderti per lei taci duramente, ma manda una voce di profeta manda una voce a dire parole nude come la verita'. Ecco, noi cerchiamo invano, allo spasimo, di estrarre dall'anima abbattuta il nome vero delle cose la parola che strappi la maschera all'inganno. Noi non possiamo. Manda tu una voce che chiami assassino il potente che governa il mondo brandendo la morte senza che nessuno l'abbia eletto che uccide insieme, per arbitrio, vite umane e leggi sagge che impone disordine e minaccia anche al suo superbo paese. Manda una voce che riveli mentitori i servi fabbricanti di parole unte per cambiar nome alle infamie del padrone e chiamar giusto l'ingiusto. Manda una voce che dichiari sovrani del mondo gli infiniti poveri a cui l'economia succhia la vita ma li avverta di una sorte peggiore della fame mortale: l'invidia del malvagio, la servitu' volontaria la cattura nelle spire del ricco. Manda una voce che tolga ai buoni la pace interiore fino alla pace di tutti. Manda una voce che dica disperati piu' di tutti i ribelli violenti perche' imitatori del padrone assassino e suoi piccoli cloni e dona loro la tua ribellione alla legge padronale della violenza. Manda una voce che dimostri falsi eroi quelli capaci di morire per uccidere che trattano persone come numeri da sottrarre e distruggono insieme le vite e l'umana parola. Manda una voce che in liberta' denunci i tiranni minori calpestatori dei poveri loro affidati sgabello prestato al tiranno maggiore fino al giorno che lui li condanna giocatori del suo gioco nel ruolo del nemico necessario. Manda una voce che ammonisca i governanti gregari: l'impero vi comanda di prostituirvi nel ruolo di kapo' contro i vostri fratelli. Manda tu finalmente una voce a noi che soffriamo il vomito orrendo dell'inferno e lo scandalo sommo che minaccia il cuore: la violenza regnante al tuo posto. Una voce che avverta: tenera e tiepida e' la lava di fuoco carezzevole il terremoto che improvviso abbatte piu' del potere che vi comanda e vi vuole associare con blandizie e minacce nel servizio imperiale. Negate obbedienza e rispetto, negate fino alla fine bevete tutta la disperazione per ritrovare speranza. Piuttosto morite disubbidendo che uccidere ubbidendo. Manda, o Dio di tutte le fedi, o Dio di chi dispera in te, Dio che non devi piu' assentarti se no tradisci te stesso, manda, manda, manda una voce. * Dio Onnipotente si', tu sei onnipotente non come noi crediamo non come ti vorremmo che' della nostra micidiale potenza sei tu il piu' povero il piu' libero. Tu sei potente nel dare e ridare respiro alla vita nell'amare chi non ama nel perdonare in sovrabbondanza nel ri/cordare gli scomparsi e dimenticati nel pregare chi non ti prega nel rimanere a fianco di condannati e dannati nell'abitare ogni solitudine pur se ignorato nel far emergere la verita' dalla negazione allo splendore nel riscattare la vittima senza fare altre vittime nel persuadere i cuori di cui sciogli la pietra in sensibile carne nell'ascoltare i muti nel farti occhio dei ciechi ali degli storpi e speranza dei disperati perche' dove noi ci facciamo potenti tu sei l'impotente e quando siamo deboli ci ricordiamo di te perche' ti somigliamo e perche' la tua debolezza e' piu' forte di ogni nostra potenza. * Quando passa un aereo da guerra io lo maledico. Il pilota no, che fa il mestiere piu' infelice del mondo peggio di pubblicani e prostitute. Vorrei che gli nascessero due ali d'angelo o di gabbiano e scendesse sorridendo nel giardino di casa sua o nel cortile della scuola per far ridere i bimbi. Ma l'aereo scheletro di mostro antidiluviano che si schianti presto sulle rocce piu' brulle del mondo senza uccidere nemmeno una lucertola. E l'ingegnere che l'aveva pensato si metta a fabbricare caffettiere macchine da cucire, arnesi da falegname o, se preferisce, giostre e ottovolanti. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1050 dell'11 settembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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