La nonviolenza e' in cammino. 1049



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1049 del 10 settembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Osvaldo Caffianchi: Tra Perugia e Assisi
2. Il 23 ottobre in Brasile si' alla vita delle persone, si' al divieto di
uccidere, si' all'abolizione del mercato delle armi
3. Maria G. Di Rienzo: Si'
4. Giulio Girardi: Si'
5. Dacia Maraini: Si'
6. Giovanni Sarubbi: Si'
7. Tiziana Plebani: Si'
8. Enrico Peyretti: Cento anni di satyagraha
9. Augusto Illuminati: Ascoltando Hannah Arendt
10. Francesco Comina: "La sposa siriana". Un film
11. Enzo Di Mauro presenta "La vita davanti a se'" di Emile Ajar (Romain
Gary)
12. Benito D'Ippolito: Per Sergio Endrigo
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. OSVALDO CAFFIANCHI: TRA PERUGIA E ASSISI
[In vista della marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre il nostro
collaboratore Osvaldo Caffianchi ha voluto scrivere queste poche righe]

Tra Perugia e Assisi lunga e' la strada, la parola
un dono fragrante, tesa una mano
unisce persone, trattiene pensieri, ricorda
il futuro. Da schiudere ancora.
E tu non uccidere piu'.

Tra Perugia e Assisi traendo lor passi
Aldo e Chiara e Francesco
e Virginia la maestra britanna
van ragionando
come sconfiggere il fascismo ancora.
E tu non uccidere piu'.

2. UMANITA'. IL 23 OTTOBRE IN BRASILE SI' ALLA VITA DELLE PERSONE, SI' AL
DIVIETO DI UCCIDERE, SI' ALL'ABOLIZIONE DEL MERCATO DELLE ARMI

Il 23 ottobre in Brasile si svolgera' il primo referendum nella storia di
quell'immenso paese: la popolazione tutta sara' chiamata a decidere se vuole
proibire il commercio delle armi da fuoco.
E' la prima volta nella storia, per quanto ne sappiamo, che si chiede a un
popolo intero di pronunciarsi per farla finita col mercato degli strumenti
di morte, per farla finita con le armi, per farla finita con le uccisioni,
per salvare le vite di tutti.
E' un referendum che riguarda l'umanita' intera. E' finalmente un passo
concreto nella direzione giusta.
Dobbiamo sostenere le sorelle e i fratelli brasiliani impegnati nella
campagna affinche' il 23 ottobre vinca il si' alla vita e alla dignita'
umana, il si' alla fine del commercio delle armi.
A chi ci legge chiediamo di promuovere anche qui in Italia informazione e
sensibilizzazione, e di sostenere moralmente e materialmente le sorelle e i
fratelli brasiliani impegnati affinche' il 23 ottobre vinca l'umanita'.
Per promuovere iniziative in Italia per sostenere la campagna per il "si'"
al referendum brasiliano per vietare il commercio delle armi, si puo'
contattare Francesco Comina in Italia (e-mail: f.comina at ladige.it) e padre
Ermanno Allegri in Brasile (e-mail: ermanno at adital.com.br, sito:
www.adital.com.br).
Molte utili informazioni sono reperibili nel sito www.referendosim.com.br
Il nostro foglio sara' anche, in queste settimane, una tribuna aperta alle
dichiarazioni di sostegno al si' al referendum brasiliano. Tutte le persone
di volonta' buona, di retto sentire, di viva speranza, tutte le persone che
non si sono arrese al male e alla morte, sono invitate ad intervenire.

3. 23 OTTOBRE. MARIA G. DI RIENZO: SI'
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

Mutare il piombo in oro e' mestiere d'alchimista
Fra fumi ed alambicchi, sta ben fuori di vista.
Attenta, che e' meta utopica, o malriposta brama
e credere nelle favole nuoce alla buona fama".
Mi ammonisce lo scettico che non v'e' speranza alcuna:
rinunci tu alle armi? Tira giu' anche la luna!
Ma io che sono strega, e strega di Tessaglia,
la luna la lavoro come una sciarpa a maglia.
Dubbioso, su' la testa, il momento e' arrivato:
un'umanita' felice il piombo in oro ha mutato.
Non e' l'oro dei potenti, e' il biondo del grano,
e' chioma di fanciulla, e' sole nella mano.
Sia esecrato per sempre il piombo dei fucili,
dolci sian ritessuti dell'oro tutti i fili.
Possa, il 23 ottobre, far festa il mondo intero:
che' gli alchimisti di pace han sempre detto il vero.

4. 23 OTTOBRE. GIULIO GIRARDI: SI'
[Ringraziamo Giulio Girardi (per contatti: g.girardi at agora.it) per questo
intervento. Giulio Girardi e' nato al Cairo nel 1926, filosofo e teologo
della liberazione, durante il Concilio Vaticano II partecipo' alla stesura
dello schema XIII; membro del Tribunale permanente dei popoli,
particolarmente impegnato nella solidarieta' con i popoli dell'America
Latina. Opere di Giulio Girardi: presso la Cittadella sono usciti: Marxismo
e cristianesimo; Credenti e non credenti per un mondo nuovo; Cristianesimo,
liberazione umana, lotta di classe; Educare: per quale societa'?; Il
capitalismo contro la speranza; Cristiani per il socialismo: perche'?;
presso Borla sono usciti: Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la
confluenza, (a cura di) Le rose non sono borghesi, La tunica lacerata, Fede
cristiana e materialismo storico, Dalla dipendenza alla pratica della
liberta', Il popolo prende la parola (con J. M. Vigil), La Conquista
dell'America, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Cuba dopo il crollo
del comunismo; presso le Edizioni Associate: Rivoluzione popolare e
occupazione del tempio; presso le Edizioni cultura della pace: Il tempio
condanna il vangelo; presso Anterem: Riscoprire Gandhi; presso le Edizioni
Punto Rosso: Resistenza e alternativa]

Viviamo in un mondo che affoga ogni giorno di piu' nel sangue degli
innocenti, dei bambini, delle donne; sangue che gronda soprattutto dal
fragore delle armi scatenate dai piu' forti contro i piu' deboli, contro i
bambini, contro le donne; armi che sono strumenti di dominio dell'uomo
sull'uomo, dell'uomo sulla donna, dei popoli sui popoli, del diritto della
forza sulla forza del diritto, del denaro sull'integrita' della natura.
A questo fragore tenta di  contrapporsi la ribellione degli esclusi, della
solidarieta', della speranza di vita e di pace.
La costruzione della pace passa per la distruzione delle armi. Perche' un
mondo diverso e' possibile solo se e' possibile liberare l'umanita'
dall'incubo delle armi e della morte.
Ogni arma distrutta avvicina i popoli, avvicina l'umanita', a un nuovo
futuro.
Per questo il nuovo Brasile, con la scelta del disarmo e della nonviolenza,
annuncia al Brasile di domani, all' umanita' di domani, che un mondo diverso
e' possibile, che la storia non e' finita, che una nuova storia sta
incominciando.

5. 23 OTTOBRE. DACIA MARAINI: SI'
[Ringraziamo Dacia Maraini (per contatti: marainid at mclink.it) per questo
intervento. Dacia Maraini, nata a Firenze nel 1936, scrittrice,
intellettuale femminista, e' una delle figure piu' prestigiose della cultura
democratica italiana. Tra le opere di Dacia Maraini: L'eta' del malessere
(1963); Crudelta' all'aria aperta (1966); Memorie di una ladra (1973); Donne
mie (1974); Fare teatro (1974); Donne in guerra (1975); (con Piera Degli
Esposti), Storia di Piera (1980); Isolina (1985); La lunga vita di Marianna
Ucria (1990); Bagheria (1993)]

Il possesso delle armi porta prima o poi a utilizzarle.
Per questo e' utile per la comunita' non concedere il permesso di usare armi
ai cittadini. Nei paesi dove il permesso viene esteso ai comuni cittadini,
come succede negli Stati Uniti, si e' visto come poi vengono usate queste
armi: per delitti privati, stragi di innocenti perpetrate da gente
impazzita, o assalti di criminali, come sta succedendo in questi giorni a
New Orleans dopo il disastro dell'inondazione. Percio' diciamo che bisogna
abolire il commercio delle armi da fuoco che e' gia' troppo esteso.
Le armi non parlano, uccidono. Noi siamo per il dialogo.

6. 23 OTTOBRE. GIOVANNI SARUBBI: SI'
[Ringraziamo Giovanni Sarubbi (per contatti: gsarubb at tin.it) per questo
intervento. Giovanni Sarubbi, amico della nonviolenza, promotore del dialogo
interreligioso, giornalista, saggista, editore, dirige l'eccellente rivista
e sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org)]

"Chi semina vento raccoglie tempesta", dice un vecchio proverbio che
applicato al commercio delle armi potrebbe senz'altro essere riformulato con
"Chi vende armi diffonde la morte e la guerra".
Hanno senz'altro ragione quindi tutti quei brasiliani che si stanno battendo
per vincere il referendum per l'abolizione del commercio delle armi in
Brasile che si terra' il prossimo 23 ottobre.
Benissimo ha fatto il Governo Lula ad impegnarsi su un obiettivo di
civilta'. Ogni 13 minuti in Brasile muore qualcuno ucciso da un'arma da
fuoco, 108 morti e 53 feriti al giorno. Nel solo 2003 circa quarantamila
brasiliani sono stati uccisi da armi leggere. Ancora piu' drammatico il dato
che riguarda l'intero mondo con un morto ogni minuto, 525.600 omicidi in un
anno. E questo senza considerare i morti delle cinquanta guerre attualmente
in corso in tutto il mondo. Guerre che interessano soprattutto le zone dove
piu' forte e violento e' lo sfruttamento delle risorse da parte delle
societa' multinazionali occidentali, che le creano e le sostengono per
continuare a mantenere il proprio dominio mettendo poveri contro poveri.
E sono omicidi sia quelli che si commettono durante un raptus di follia, sia
quelli che si commettono in grande stile durante le guerre. E se i
responsabili diretti degli omicidi sono coloro che li commettono, chi
produce, progetta e vende armi e' anch'esso corresponsabile degli omicidi
che con quelle armi vengono commessi.
Abolire la produzione delle armi ed impedirne la vendita e' quindi il
terreno privilegiato di impegno di chiunque voglia essere "costruttore di
pace".
*
Il sogno di un mondo senz'armi e senza gli omicidi che con le armi si fanno,
e' vecchio quanto il mondo. Ed e' un sogno che appartiene al popolo che
soffre, al popolo che e' angariato dalla schiavitu' di chi crede di avere il
potere assoluto sia sugli esseri viventi che sull'intero universo. Il
profeta Isaia proclama questo sogno gia' all'inizio del suo libro: "ed essi
trasformeranno le loro spade in vomeri d'aratro, e le loro lance, in falci;
una nazione non alzera' piu' la spada contro un'altra, e non impareranno
piu' la guerra" (Is 2, 4).
E' il sogno che abbiamo inserito sul nostro sito www.ildialogo.org come idea
guida di tutto cio' che facciamo. Sempre Isaia proporra' al popolo ebreo
schiavo a Babilonia la pratica della nonviolenza per uscire dalla situazione
nella quale si trovava, e lo fa ricorrendo all'immagine del "servo
sofferente", quello che "Non gridera' ne' alzera' il tono, non fara' udire
in piazza la sua voce, non spezzera' una canna incrinata, non spegnera' uno
stoppino dalla fiamma smorta. Proclamera' il diritto con fermezza; non
verra' meno e non si abbattera', finche' non avra' stabilito il diritto
sulla terra" (Is 42, 2-4). Servo sofferente che non e' una sola persona ma
tutto il popolo che comprende di dover prendere sulle proprie spalle il
proprio destino se vuole avere una discendenza.
Ed i popoli che scelgono la strada del disarmo e della nonviolenza sono
quelli che, come dice sempre Isaia, avranno "una discendenza e vivranno a
lungo". E non c'e' bisogno di avere una grande cultura per comprendere che
dalla morte e dalla sua diffusione non potra' venire nulla di buono per
l'umanita' e per quei popoli che la morte diffondono.
"L'uomo di pace avra' una discendenza", dice il salmo 37.
*
Ma il referendum che si fara' in Brasile, ci riguarda come italiani non
soltanto da un punto di vista astratto, di adesione ad un sogno. L'Italia,
infatti, e' il secondo paese produttore di armi leggere al mondo. E' piu'
che probabile che molti dei morti ammazzati del Brasile siano stati uccisi
da armi o proiettili fabbricati in qualcuna delle fabbriche italiane o di
fabbriche italiane di armi che hanno la loro sede in Brasile. E' probabile
che quelle armi e quelle munizioni siano state prodotte da persone a cui e'
stato insegnato per tutta la vita che produrre armi non comporta alcuna
responsabilita' diretta nell'uso che di quelle armi poi verra' fatto.
Molte volte mi sono sentito rispondere dai delegati sindacali, anche di
sinistra, di fabbriche che avevano al loro interno produzioni militari
insieme a quelle civili che era impossibile la riconversione e che, in
definitiva, bisognava tutelare il lavoro e "la pagnotta" degli operai che
non stavano facendo altro che portare a casa uno stipendio per dare da
mangiare alla  propria famiglia. E queste affermazioni sono la base di tutte
le tragedie che hanno attraversato tutti i secoli della storia umana perche'
pongono le basi per la negazione della vita.
Il referendum brasiliano ci dice dunque che in Italia dovremo affrontare
seriamente la questione della produzione di armi. C'e' bisogno che anche in
Italia ci sia un salto di qualita' nella richiesta di disarmo generalizzato
e di riconversione delle industrie belliche e armiere in industrie di pace.
Ed in questo impegno per il disarmo il referendum brasiliano ci dice non
solo che una strada diversa e' possibile, ma che quel referendum e' parte
integrante del nostro impegno.
*
Ed e' ancora piu' importante che quel referendum vinca anche rispetto a
quello che abbiamo visto succedere a New Orleans dopo l'uragano Katrina:
quando le armi di tutti i tipi diventano la base di tutti i rapporti
sociali, come succede negli Usa, muore l'umanita', si produce una societa'
violenta ed incapace di solidarieta' anche in situazioni drammatiche come
quelle che derivano da un disastro ambientale come un uragano, uno tsunami,
un terremoto, e si dimostra inequivocabilmente che le armi corrispondono ad
insicurezza, e quante piu' armi ci sono in circolazione in un paese maggiore
e' la sua insicurezza.
Vinca dunque il si' in Brasile anche per dare un esempio al mondo e a chi di
questo mondo ritiene di essere il padrone.

7. 23 OTTOBRE. TIZIANA PLEBANI: SI'
[Ringraziamo Tiziana Plebani (per contatti: tiplebani at libero.it) per questo
intervento. Tiziana Plebani, prestigiosa intelletuale, bibliotecaria e
storica, e' attiva nella Rete di donne per la pace di Mestre e Venezia; tra
le sue opere: Il genere dei libri, Angeli, Milano 2001; Corpi e storia,
Viella, Roma 2002]

Sosteniamo la campagna per il disarmo in Brasile: non si tratta di una delle
solite iniziative generiche. Qui si tratta di prendere atto di un processo
di civilizzazione e di attenzione alla vita - "mobilitazione per la vita",
viene infatti definita - che ha preso il via tra la popolazione, in diverse
citta', sostenuta da scuole, istituzioni, gruppi religiosi, movimenti della
societa' civile, promossa dal presidente Lula e che ha come fine il
referendum del 23 ottobre prossimo.
Sostenere tale campagna equivale quindi a dare piu' forza al decisivo
momento storico in Brasile di costuzione di una democrazia diretta, aiutando
anche con la diffusione delle loro scelte e della loro volonta': "la nostra
opportunita' di partecipare direttamente a una decisione che significa
rispetto per la nostra vita" (dal documento della campagna leggibile nel
sito: www.referendosim.com.br).

8. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: CENTO ANNI DI SATYAGRAHA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con
altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio",
che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi
"Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi
per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della
rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn.
791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti:
www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef. Altri volumi sono stati
pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche
come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra
essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce
della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da
altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin
Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo
Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un
acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara,
Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il
mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi,
Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra
gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio
Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di
Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare
Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre:
Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una
importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro,
Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma
Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna.
Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di
Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock,
Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione
e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una
interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi,
Anterem]

Nel 1906 - precisamente l'11 settembre 1906 - Gandhi creo' e lancio' il
termine "satyagraha" per dire la lotta nonviolenta che conduceva in
Sudafrica contro la politica razzista. Si avvicina il 2006. E' il caso di
pensare per tempo ad una bella campagna di informazione sull'idea, la
realta', la storia di satyagraha.
Il libro di Gandhi Una guerra senza violenza, scritto nel 1923, col titolo
Satyagraha in Sudafrica, racconta quelle lotte e quella maturazione dal
concetto di resistenza passiva a quello di nonviolenza attiva con la forza
dell'anima e della verita'.
Ora il libro compare per la prima volta in italiano: Gandhi, Una guerra
senza violenza, La nascita della nonviolenza moderna, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze 2005, pp. 307, euro 16,00. (Il titolo dell'edizione
italiana puo' essere discutibile, ma andiamo alla sostanza).
Si legga l'accuratissima presentazione di Rocco Altieri (direttore della
rivista "Quaderni Satyagraha": sito: pdpace at interfree.it , tel
050-54.25.73), e poi naturalmente tutto il libro, che definirei il romanzo
dell'infanzia della nonviolenza, nata ben vitale, oggi arzilla centenaria,
"antica come le montagne" e giovane come il futuro.
Certo, ha i suoi problemi: non e' una ricetta magica ma una ricerca pratica,
pero' fondata su realissime esperienze e possibilita'.
Non e' senza prezzo, ma guadagna sempre e non perde mai in dignita' umana,
che la guerra perde sempre.
La violenza e' cresciuta terribilmente, in questi cento anni. Anche la
nonviolenza, ma la sua forza-senza-violenza deve svilupparsi ancora e
ancora.
E prepariamo adeguatamente, interiormente e pubblicamente, l'11 settembre -
giorno fatidico, evidentemente - del 2006: che non sia solo la commerazione
del crimine del 2001, ne' solo del precedente crimine del 1973, ne' solo un
pacifismo generico che non fa la guerra preventiva ma quella "umanitaria",
che non esclude del tutto la violenza dai mezzi della politica, ma che sia
la festa e l'impegno per la nonviolenza attiva, personale e politica,
culturale e filosofica, economica e ambientale, nelle religioni,
nell'educazione, nell'agricoltura, nella medicina, nel muoversi sul
territorio, eccetera, perche' la nonviolenza e' l'unico "varco della storia"
(Capitini), unica possibilita' di un futuro umano.
Non potrebbe essere questa l'occasione anche per vedere se e' possibile
trovare - come fece Gandhi - un termine italiano che esprima meglio il
carattere positivo e non negativo dell'idea?

9. RIFLESSIONE. AUGUSTO ILLUMINATI: ASCOLTANDO HANNAH ARENDT
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 maggio 1999.
Augusto Illuminati, nato a Perugia nel 1937, e' docente di filosofia
politica all'Universita' di Urbino; tra le sue molte opere segnaliamo
particolarmente Sociologia e classi sociali, Einaudi, Torino 1967, 1977;
Kant politico, La Nuova Italia, Firenze 1971; Lavoro e rivoluzione,
Mazzotta, Milano 1974; Rousseau e la fondazione dei valori borghesi, Il
Saggiatore, Milano 1977; Classi sociali e crisi capitalistica, Mazzotta,
Milano 1977; Gli inganni di Sarastro, Einaudi, Torino 1980; La citta' e il
desiderio, Manifestolibri, Roma 1992; Esercizi politici. Quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

La ristampa delle Origini del totalitarismo (Edizioni di Comunita', prima
edizione americana 1951, ampliata e, come vedremo, sostanzialmente
modificata con l'aggiunta del capitolo "Ideologia e terrore" nel 1958,
aggiornata nel 1966 e in questo testo tradotta in italiano nel 1967 e piu'
volte ristampata, con l'introduzione, nel 1989, di Alberto Martinelli) ci
consente una riflessione sulla ricezione italiana dell'opera e alcuni
approfondimenti sulla sua logica interna, grazie soprattutto allo splendido
saggio di Simona Forti, raro esempio di una presa in carico non apologetica
dell'oggetto studiato e prefato. E' inoltre evidente l'attualita' dei
contenuti del libro, specialmente se lo mettiamo in rapporto alle tragiche
vicende balcaniche.
*
Primo punto. La ricezione. Ahime', questo e' il capitolo piu' amaro di
un'autocritica eventuale della sinistra culturale italiana (se ci fosse
ancora, cosa che gia' prima della recente deriva bellica non era piu').
L'accoppiamento nella comune categoria di totalitarismo del nazismo
(distinto da ogni altro autoritarismo, fascismo compreso) e dello stalinismo
(ben separato dal leninismo e, almeno fino alla Rivoluzione Culturale, dal
maoismo) fu scambiato, anche dalle componenti non staliniane, per
equiparazione di fascismo e comunismo, dunque per un episodio ideologico di
guerra fredda. In base a questo equivoco venne rimosso tutto il pensiero di
Arendt, abbandonato a pessime compagnie liberaldemocratiche (fino agli esiti
estremi di Brzezinski e Fisichella) o nel migliore dei casi confuso con
Aron, Talmon e Popper, e bisognera' aspettare gli anni '80 perche' il caso
venga riaperto, per fortuna con una mole quantitativamente e
qualitativamente eccellente di traduzioni e interpretazioni che oggi fanno
del nostro il paese forse all'avanguardia nella lettura dell'autrice.
Eppure non bisognava certo aspettare Vita activa per cogliere i tratti
essenziali di un discorso che nelle Origini del totalitarismo si presentava
gia' completo e arricchito da un'inappuntabile documentazione storica.
Ottusita' e pregiudizio, oppressiva egemonia della dialettica, forse
"totalitaria" difficolta' di pensare con la propria testa fuori dalla ferrea
logica del presunto decorso storico. Incapacita' di restare al livello di
problemi della sinistra anni '20 cui in qualche modo Arendt era appartenuta
e continuo' ad appartenere nella rete di scambi intellettuali, parentali e
amicali (Guenther Stern-Anders, Walter Benjamin, Bertolt Brecht, Heinrich
Bluecher) complementare alle referenze filosofiche primarie (Martin
Heidegger e Karl Jaspers).
Con la naturale conseguenza di non misurarsi a tempo con le contraddizioni e
i limiti del pensiero arendtiano, cio' che e' divenuto possibile solo ora,
dopo una prima assimilazione. La revisione di una pseudo-ortodossia
arendtiana e uno sviluppo creativo del suo nucleo di pensiero costituisce
invece il maggior pregio del saggio interpretativo di Forti.
*
Veniamo cosi' al secondo punto. La prefatrice parte dall'inserimento (1958)
nel libro del nuovo capitolo su Ideologia e terrore (in origine un saggio
del 1953 sulla "Review of Politics"), osservando che vi si puo' ravvisare
una sorta di "metafisica" del totalitarismo non riconducibile, come le
pagine precedenti, al semplice intrecciarsi dei fenomeni analizzati nel
corso dell'opera, come se esistesse un'essenza del totalitarismo che si
dispiega nel corso del tempo fino ai suoi esiti estremi; posizione altrove
formalmente respinta da Arendt, per cui esistono solo "elementi" che si
cristallizzano nel totalitarismo e non esiste nessuna essenza prima che sia
venuta alla luce. Questa piegatura essenzialista, che la avvicina, malgrado
le dure polemiche, a Eric Voegelin e anticipa gli sviluppi di Claude Lefort,
Philippe Lacoue-Labarthe e Jean-Luc Nancy, non a caso implica anche il
concetto di "male radicale", di cui il "lager" sarebbe la rivelazione
suprema.
Indubbiamente Arendt cade a volte nella tentazione di rinvenire nel
totalitarismo non solo l'interazione di determinate manifestazioni storiche
europee (l'antisemitismo, l'imperialismo e il pan-movimentismo nel contesto
dell'atomizzazione sociale conseguente alla rivoluzione industriale) ma la
nefasta combinazione di determinismo dialettico e soggettivismo metafisico -
insomma una versione politica dello heideggeriano dominio della tecnica come
ultimo risultato della metafisica, del vedere calcolante platonico e della
presentificazione dell'essere. Il male radicale consisterebbe allora nella
volonta' di costruire una nuova natura dell'uomo dalla quale estirpare ogni
tratto non sussumibile sotto una legge universale. Nell'ideologia e nella
sua ferrea logica si tenta di rendere il sistema concettuale impermeabile
alla confutazione da parte del reale, cosi' come nel meccanismo politico
corrispondente l'uomo viene drasticamente spogliato delle differenze plurali
degli uomini. Ma l'uomo privato dell'imprevedibilita' e' qualitativamente
"superfluo", quindi destinabile all'eliminazione concreta.
*
Proprio per l'esistenza di queste tendenze e aporie e' importante la svolta
maturata nel 1961 in occasione del processo Eichmann e che si esprime nei
celebri servizi giornalistici sul "New Yorker" e nel libro Eichmann in
Jerusalem (1963), il cui sottotitolo suonava: A Report on the Banality of
Evil, ispirando giustamente la traduzione italiana (La banalita' del male,
Feltrinelli). Una discreta cronaca di quegli eventi e della susseguente
polemica e' nella biografia (a volte sciattamente tradotta) di Alois Prinz,
Professione filosofa. Vita di Hannah Arendt, Donzelli, che per il resto poco
aggiunge alle ricerche di Elisabeth Young-Bruehl. Forti osserva che a
partire di qui si avvia una riflessione complementare a quella della sua
opera prima, quasi l'autrice si accorgesse che non e' piu' sufficiente
guardare dall'esterno il rapporto fra totalitarismo, metafisica e politica,
decostruendone i vincoli soffocanti. Davanti alla corte israeliana non c'e'
un sistema, ma una singola persona che va giudicata per quello che e',
indagando il funzionamento soggettivo dei docili funzionari di un regime. Se
il totalitarismo veniva paradossalmente considerato come l'inveramento di
una certa tendenza della filosofia, Eichmann dovrebbe essere l'inveramento
di alcune deformazioni professionali di un filosofo (per quanto scarsamente
dotato!). Viene in primo piano quello che si potrebbe chiamare il risvolto
"etico" del problema (del resto anticipato dalle riflessioni sulla
psicologia, singolarmente affine pur nella contrapposizione oggettiva dei
ruoli, delle vittime e dei carnefici nel lager). In Eichmann anzi viene al
pettine la bancarotta novecentesca dell'etica intesa come lunga e
deresponsabilizzante relazione di comando e obbedienza, sulla scia di una
triplice tradizione: aristotelica (e oggi communitarian) di etica sociale,
cristiana di morale di codice, e kantiana di morale delle massime
trascendenti.
*
Hannah Arendt contrappone a questo collasso una concezione del giudizio
morale ispirato piu' alla terza che alla seconda Critica kantiana, cioe'
quella di un giudizio riflettente (analogo a quello estetico), non
determinante ne' trascendentale. Non l'applicazione di una legge universale
al caso particolare o l'adeguamento ai valori sociali correnti, piuttosto la
tendenza a non attenersi al gia' giudicato pur di riuscire a convivere con
se stessi dopo aver compiuto determinati atti. Come dire: Eichmann e' un
(banale) mostro, perche', seguendo le indicazioni di giuristi e filosofi, si
e' scaricato da ogni responsabilita' obbedendo a un ordine formalmente
legittimo, senza aver il coraggio di pensare con la propria testa, e
riuscendo a vivere tranquillo dopo avere obbedito e agito in tal modo.
Diventa cosi' il modello di ogni deresponsabilizzazione burocratica, indica
un funesto e diffuso comportamento post-totalitario e forse neo-totalitario.
Il pilota di Hiroshima (prima di pentirsi ed essere quindi giudicato
"pazzo"), lo sganciatore di bombe intelligenti, l'operatore della sedia
elettrica, lo smistatore di treni per profughi.
L'alternativa (variabile da individuo a individuo e di tempo e in tempo) e'
una pratica del giudicare e un esercizio della disobbedienza civile, cosi'
come viene applicata negli anni '70 statunitensi alla lotta per i diritti
civili e contro la guerra nel Vietnam. Si tratta di una nuova decostruzione,
che nega la virtu' come habitus insegnabile e la ripropone socraticamente
come perenne interrogazione nelle situazioni di conflitto, resistenza
deliberata a ogni conformismo di un ethos collettivo, a ogni socializzazione
globalizzante. Se vi aggiungiamo la radicata diffidenza di Arendt per ogni
esaltazione totalizzante dei "diritti umani" (cioe' della nuda vita) contro
le ingiustizie politiche e sociali, abbiamo di che meditare anche nelle
presenti circostanze.

10. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: "LA SPOSA SIRIANA". UN FILM
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci
messo a disposizione il seguente articolo gia' pubblicato sul quotidiano
"L'Adige". Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento,
e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967,
laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie
riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta',
La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le
periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a
AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna]

La sposa si alza, avanza, supera la prima barriera, passa il confine, rompe
i divieti, fa a pezzi il filo spinato della burocrazia, copre di bianco il
grigio del cemento, alza una brezza leggera sulle divise inaridite dei
soldati e libera. Libera tutti.
La sposa siriana e' un film semplicemente bello. Geniale nella sua
compostezza. E' una telecamera doppia piazzata sulle brulle alture del
Golan, terra israeliana al confine con la Siria.
Dentro ci sono due occhi, uno del regista israeliano Eran Riklis e l'altro
della sceneggiatrice palestinese Suha Arraf. Questi occhi vedono insieme la
guerra disumana del sistema e l'umanita' della vita che scorre. E' il
miglior modo di parlare di pace, e' la lezione piu' saggia che si possa dare
al conflitto. Non combatterlo, non ucciderlo, non negarlo. Lasciare che si
riveli, che mostri le sue derive, che faccia rimbalzare dentro i propri
bunker, l'assurdita' delle sue leggi, delle sue regole, delle sue carte. Non
invischiarsi, non impattarci, non brandire l'arma del contraddittorio. E' la
nonviolenza degli inermi che annulla l'arroganza e la prepotenza degli
armati.
La sposa aspetta il suo sposo seduta su una sedia al di qua del confine. Ha
le lacrime agli occhi perche' la legge ordina ai transfughi israeliani verso
la Siria, di non poter piu' tornare indietro. E lei si sposa con la star
della televisione siriana in un matrimonio combinato  dove non c'e' mai
stato un contatto, prima di quella attesa estenuante al confine arido,
soffocato dal sole. Eppure lei c'e'. Con tutta la sua famiglia, perfino con
il fratello "straniero", abbandonato dal padre che non sa piu' nemmeno
abbracciarlo. Tutti al confine per accompagnarla nel viaggio verso un
altrove che non ammette ritorno. La volontaria francese fa la spola fra i
militari israeliani e siriani che non vogliono confermarle il visto. Il
sistema tenta, ostinatamente, di bloccare l'unione, di rompere
preventivamente il vincolo, di impedire l'amore fra i due popoli. Non c'e'
storia. Il matrimonio non s'ha da fare.
Ed ecco il miracolo dell'uomo, la vittoria della leggerezza e del coraggio
femminile. La sposa inaspettatamente si alza dalla sedia e comincia a
camminare mentre il cancello si apre per far passare una macchina
dell'esercito. Il velo bianco procede verso la frontiera siriana senza
trovare ostacoli.
Tutto si ferma, tutto si adagia, tutto si calma.
Alla fine esplode la bellezza del film: l'ultimo sguardo della sposa oramai
prossima al cancello che non potra' mai piu' riaprirsi e' rivolto alla
sorella incapsulata in una storia familiare chiusa, asfittica, possessiva.
Il marito le ha impedito di studiare alll'universita' perche' e' una
possibilita' non conforme alla cultura del posto (che diranno i vicini
dell'uomo lasciato solo a casa mentre la sua donna va lontano a studiare?).
Ma ora che la figlia e' grande, ora che non ci sono piu' scuse per non
lasciarla andare, prende su di se' il coraggio dalla sorella minore che sta
superando tutte le frontiere e comincia anche lei a camminare oltre i
confini interni alla sua stessa cultura, alla sua stessa tradizione, alla
sua stessa vita. E sorride. E cammina.
E' il doppio tragitto verso la liberta', verso la pace. Due donne, una sposa
che cerca la confluenza con l'altro e una moglie che cerca la confluenza con
le proprie aspirazioni e con il proprio futuro.
Un bel film. Una speranza di armonia nella terra del Dio frantumato e
lacerato dove la tradizione fa a pugni con la modernita'. Dove la
responsabilita' per l'altro non esclude affatto la responsabilita' verso il
proprio se'. E' la vita che passa sui confini arbitrari delle nazioni.

11. LIBRI. ENZO DI MAURO PRESENTA "LA VITA DAVANTI A SE'" DI EMILE AJAR
(ROMAIN GARY)
[Da "Alias" (supplemente culturale del quotidiano "Il manifesto") n. 31 del
6 agosto 2005.
Enzo Di Mauro (Paterno', Catania 1955) e' critico letterario, poeta,
traduttore, saggista. Tra le opere di Enzo Di Mauro segnaliamo
particolarmente: con G. Pontiggia (a cura di), La parola innamorata. I poeti
nuovi 1976-1978, Feltrinelli, Milano 1978.
Romain Gary, scrittore francese di origine lituana, e' stato un rigoroso
combattente antifascista (1914-1980). Tra le opere di Romain Gary segnaliamo
particolarmente: Education europeenne, 1945; La promesse de l'aube, 1959,
Chien blanc, 1970. Opere su Romain Gary: cfr. Tzvetan Todorov, Memoria del
male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001. Dal sito della casa
editrice Neri Pozza riprendiamo la seguente scheda: "Romain Gary (pseudonimo
di Romain Kacev) nacque nel 1914 in Lituania, figlio naturale di un'attrice,
ebrea russa fuggita dalla rivoluzione, e di Ivan Mosjoukine, la piu' celebre
vedette, insieme a Rodolfo Valentino, del cinema muto. A trent'anni, Gary e'
un eroe di guerra (gli viene conferita la Legion d'honneur), scrive un libro
di racconti, Education europeenne, che Sartre giudica il miglior testo sulla
Resistenza, gli si aprono le porte della diplomazia. Nel 1956, vince il
Goncourt con Les racines du ciel . Nel 1960 pubblica uno dei suoi capolavori
La promesse de l'aube. Nel '62 sposa Jean Seberg, l'attrice americana di
Bonjour tristesse, l'interprete di A bout de souffle. Nel 1975 pubblica, con
lo pseudonimo di Emile Ajar, La vita davanti a se' che, nello stesso anno,
vince il Prix Goncourt"]

La vie devant soi fu pubblicato in Francia nel 1975 a firma di un giovane e
ignoto scrittore che si faceva chiamare Emile Ajar. Era evidentemente uno
pseudonimo dietro il quale poteva forse, cosi' si mormoro', nascondersi un
certo Paul Pavlovitch, nipote di un autore celebre e ormai superato, Romain
Gary: un romanziere legato al passato senza piu' niente da dire, a
differenza di Ajar, considerato invece fin da subito una voce originale,
potente, nemmeno piu' una promessa delle lettere francesi. Nel 1974 era
apparso Cocco mio, un breve romanzo comico-filosofico dal gusto acre e dissa
crante. Ma gia' La vita davanti a se', che Rizzoli pubblico' nel 1976 nella
traduzione di Giovanni Bogliolo e che ora viene riproposto da Neri Pozza
(Biblioteca, pp. 214, euro 11,50), vinse il Goncourt, il prestigioso premio
che lo scrittore rifiuto'. Il colpo di scena si produsse qualche mese dopo
la tragica morte di Gary - l'ultima opera del giovane romanziere, L'angoscia
del re Salomone, era uscita nel medesimo anno, il 1980 - quando venne alla
luce Vie et mort d'Emile Ajar. L'autore era Gary. Ajar era Gary.
*
La domanda che sta alla base del romanzo e' la seguente: cosa significa
stare nel bene? Forse il bene si puo' abitare come l'adolescente Mohammed,
detto Momo', abita l'appartamento al sesto piano di un caseggiato di
Belleville, un sobborgo di Parigi nella banlieue, dove "c'erano molti altri
ebrei, arabi e negri". E' una vecchia ebrea polacca, ex deportata ad
Auschwitz ed ex prostituta, a gestire un ricovero per "figli di puttane"
abbandonati. Lo gestisce in assoluta perdita con la cura che ognuno
metterebbe nella cosa piu' cara che possiede. Il romanzo - la cui voce
narrante e' quella di Momo' - si stringe attorno al rapporto tra Madame Rosa
e il quattordicenne, una grande storia d'amore e di dedizione in uno
scenario che il mondo visibile definirebbe sordido, criminale, degradato. Il
ragazzo descrive le proprie scoperte, i tremori, i sentimenti con il timbro
di chi la dice come la pensa, da ferito, da corrucciato. Ma e' il confronto
con il passato di Madame Rosa che lo fa crescere. "Gli ebrei - pensa - sono
molto tenaci soprattutto quando sono stati sterminati, e' la gente che
ricorda di piu'". E' lo sgomento di scendere in cantina, nel "cantuccio
ebreo", nella seconda residenza della donna, dove correre quando si ha paura
e si fanno brutti sogni, che lo rende sapiente. Egli impara - via via che
l'anziana ebrea si deteriora - di avere "tutta la vita davanti ma non me ne
sarei fatto certo una malattia". Il romanzo di Ajar-Gary e' degno del
miglior Truffaut, di Zero in condotta di Vigo e del Grande Meaulnes.
*
In pochi, tra gli scrittori del Novecento, hanno assaporato e quindi nutrito
cosi tanti elementi costitutivi del secolo - li si direbbe emblemi in grado
di demolire esistenze e di edificare letteratura - al pari di Romain Gary.
Proprio a cominciare dalla data e dal luogo di nascita, avvenuta nel 1914 a
Tiflis, in Georgia (il suo cognome faceva Kacewgary), come a dire guerra ed
esilio, una diaspora integrale benche' vissuta, piu' tardi, nel mondo
privilegiato della diplomazia, tra Bulgaria e Francia (dove era approdato a
quattordici anni, prima a Nizza e poi a Parigi), tra Brasile e Stati Uniti,
in un intreccio non banale di mondanita' e dolore. Ma, prima, ci furono la
lotta di Liberazione dal nazifascismo, l'eroismo militare da aviatore in
Libia e in Normandia, il conferimento della Legion d'Onore, l'irriducibile
vocazione alla liberta', l'impegno a non dimenticare i morti, i deportati,
gli ebrei innanzitutto, un'ostinazione che non fece in modo di conoscere la
vergogna dell'adattamento. Conobbe invece l'arte - della quale, potendo, si
farebbe a meno - del proprio declinare, del sentirsi mancare a se stessi e
al tempo che si abita, della solitudine e, per crudele e ingiusto
contrappasso, dell'oblio altrui. Viaggio' molto, e non solo per lavoro,
scrisse sceneggiature (tra cui Le radici del cielo di John Huston - tratto
dal suo romanzo omonimo del 1956, vincitore del pemio Goncourt -, Lady L di
Peter Ustinov e Il giorno piu' lungo) e diresse, nel 1968, il film Gli
uccelli vanno a morire in Peru'. C'era stato il matrimonio, nel 1962, con
l'attrice americana Jean Seberg (ventiquattro anni lei e il doppio esatto
lui), a cui seguirono lo stordimento della separazione e, a chiudere, i due
suicidi: quello della donna, l'ex adolescente di Bonjour tristesse e poi
interprete di A' bout de souffle, nel 1979 (fu trovata nuda, ubriaca e
intossicata in automobile), e il colpo di pistola sparato dallo scrittore
contro la propria testa, il 13 dicembre dell'anno successivo, nel suo
appartamento di rue du Bac. Prima di ammazzarsi, Gary esegui' alcuni gesti
degni di un uomo civile: si reco' in un negozio di place Vendome per
acquistare una vestaglia del medesimo colore del sangue, mise in ordine ogni
cosa e scrisse il biglietto che in simili circostanze andava scritto
(diceva: "Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono
pregati di rivolgersi altrove").
Gary apparteneva a una generazione che non ha saputo perdonare.
Politicamente inflessibile, egli non perdono' mai gli sterminatori
nazifascisti, coloro i quali egli considero' i piu' radicali nemici
dell'Europa e dell'idea stessa di umanesimo.
Nei suoi libri - ne scrisse una trentina, tra romanzi, saggi, quaderni di
viaggio - trovo' sempre la maniera di riportare alla luce quegli incubi,
quei criminali che erano soliti piombare all'alba nelle case per separare e
annientare famiglie intere. E' del 1945 il memorabile romanzo di esordio
L'education europeenne, che l'anno dopo Mondadori avrebbe tradotto, con
molto successo, col titolo Formiche a Stalingrado. E' la storia della
formazione politica e morale di un adolescente orfano che sceglie di
combattere nelle file della Resistenza polacca, quando ancora (lo ripeteva
spesso e con amarezza, nei suoi articoli, Luigi Pintor) il nome della citta'
sovietica significava piu' di qualcosa nel cuore e nella mente degli uomini.
La Resistenza come educazione europea.
Eppure, quasi tutti i romanzi di Gary hanno a che fare con una resistenza.
Le radici del cielo, ambientato in Africa, denuncia la ferocia dei
cacciatori di elefanti. In La promessa dell'alba, del 1956, la fermezza del
ricordo si vota a ricostruire le movenze della madre appena morta. Cosi'
Cane bianco (1970) smaschera non solo la bestialita' razzista, ma la cecita'
borghese che si rifiuta di vedere e di capire in tempo. Biglietto scaduto
(1975) - ma qui siamo agli sgoccioli, prima del testamentario Gli aquiloni,
apparso l'anno della morte - e' un libro dedicato alla paura dell'impotenza
e della malattia, tra i piu' impietosi che mai siano stati scritti.
Un lungo racconto del 1977, Chiaro di donna (stampato per la prima volta in
italiano dalla ticinese Casagrande), diventato in seguito un film diretto da
Costa-Gavras, e' l'estremo tentativo dell'apolide di trovare una patria
nella figura femminile. C'e' una frase di Michel, il protagonista, che vale
la pena riportare alla memoria: "In generale, trovo che si faccia troppo
onore alla morte". Gary ricordava sempre, ed era orgoglioso di una vita
spesa a ricordare. Non perdonava. Egli dice: il dolore non manca mai
d'intelligenza, la sbadataggine si'. Non perdono', alla fine, neppure se
stesso.

12. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: PER SERGIO ENDRIGO
[Amava i bambini, la vita, il mondo, l'umanita'. Ripudiava l'oppressione e
la menzogna. "Con le armi della poesia" lotto' per un'umanita' migliore, per
un mondo vivibile. Con Sergio Endrigo scompare un amico della nonviolenza.
Che molto abbiamo ascoltato, e che ameremo ancora]

E sempre mi ha commosso Sergio Endrigo
per il sussiego e la malinconia
per il garbo soave - mai un rigo
di troppo o un sovrattono o un'aritmia

nel canto senza botole ne' intrigo
nel verso che si scioglie in melodia
come nell'andaluso Federigo
tristezza dolce e amara bonomia

nel dire esatto che primo e' l'amore
e quella lotta contro la violenza
che sempre si rinnova e dentro il cuore

e nel mondo che e' specchio di coscienza
e grave pondo, e gioia nel dolore
e ombra delle idee, e incontro e assenza.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1049 del 10 settembre 2005

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