La nonviolenza e' in cammino. 1042



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1042 del 3 settembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Da Bolzano un si' al referendum brasiliano contro le armi
2. Goffredo Fofi: L'inchiesta sociale in Italia e le sue diramazioni
3. Giulia D'Agnolo Vallan: Cindy Sheehan on the road
4. Dino Frisullo: Non "casi" ma persone. L'ultimo intervento sul "Regina
Pacis" (2003)
5. Maria Nadotti presenta "Shah in Shah" di Ryszard Kapuscinski
6. Le litoti di Strambotto
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. DA BOLZANO UN SI' AL REFERENDUM BRASILIANO CONTRO LE ARMI
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci
inviato il seguente comunicato. Francesco Comina, giornalista e saggista,
pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a
Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar,
collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler,
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il
sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al
libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento
Nonviolento, Torino-Verona; e a AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna]

E' partita da Bolzano la campagna italiana a sostegno del si' al referendum
brasiliano che il 23 ottobre sottoporra' alla popolazione il quesito:
"Volete che il commercio delle armi da fuoco e munizioni venga bandito in
Brasile?".
Bolzanini sono i tre missionari (Ermanno e Lino Allegri e Pierluigi
Sartorel) che fanno da punti di riferimento dei movimenti di base brasiliani
e bolzanino e' il Centro per la pace che sta sensibilizzando l'opinione
pubblica italiana affinche' sostenga le aspirazione nonviolente del popolo
latinoamericano. Ora la testimonianza dei missionari bolzanini che
coordinano la campagna, e' richiesta anche alla sessione dell'Onu dei popoli
che si tiene a Perugia come anticipazione della marcia Perugia-Assisi di
domenica prossima.
*
Il primo settembre a Bolzano Lino Allegri - appena tornato da Fortaleza - ha
presentato i motivi profondi che rendono il primo referendum brasiliano
della storia (fino ad ora in Brasile non si era mai utilizzato questo
strumento di democrazia) un momento importante per tutto il popolo della
pace nel mondo.
"Stiamo vivendo dentro un sistema di violenza terribile" ha spiegato Lino
Allegri. "Vivo in Brasile da 35 anni, ma non ho mai visto una esplosione di
violenza cosi' impressionante. Nel distretto dove viviamo noi sono state
uccise quattro persone in una settimana e si calcola che ogni quindici
minuti ci sia un morto ammazzato da armi da fuoco. Ragazzi di dodici,
tredici anni girano per i marciapiedi con le pistole in tasca che noleggiano
da poliziotti che se ne approfittano in un mercato davvero squallido. E'
venuta l'ora di dire finalmente si' alla messa al bando del commercio delle
armi".
Allegri ha spiegato che il referendum del 23 ottobre e' uno sviluppo di una
campagna da tempo varata dal presidente Lula per la consegna spontanea delle
armi da parte della popolazione alle autorita' che provvedono a
distruggerle. "Nell'arco di pochi mesi - ha detto Allegri - sono state
consegnate quattrocentomila armi per un risarcimento di cento euro per
arma".
Se i "si'" referendari dovessero vincere, sarebbe un fatto importantissimo
che aprirebbe le porte ad una riflessione su vasta scala in America Latina
sulle ragioni del disarmo.
La scadenza elettorale brasiliana e' rilevante anche in relazione alle
campagne in corso in Italia in favore del disarmo e contro l'export delle
armi italiane. Giorgio Beretta, che partecipa alle iniziative bolzanine di
questi giorni ed e' uno dei maggiori studiosi del traffico d'armi
dell'Italia con i Paesi del sud del mondo, denuncia: "Siamo secondi al mondo
in fatto di export di armi leggere con interessi finanziari enormi. che
coinvolgono anche molte banche".
*
Per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano per vietare
il commercio delle armi, si puo' contattare Francesco Comina in Italia
(e-mail: f.comina at ladige.it) e padre Ermanno Allegri in Brasile (sito:
www.adital.org.br)

2. RIFLESSIONE. GOFFREDO FOFI: L'INCHIESTA SOCIALE IN ITALIA E LE SUE
DIRAMAZIONI
[Da "Lo straniero", n. 62/63, agosto-settembre 2005 (sito:
www.lostraniero.net). Goffredo Fofi, nato a Gubbio nel 1937, ha lavorato in
campo pedagogico e sociale collaborando a rilevanti esperienze. Si e'
occupato anche di critica letteraria e cinematografica. Tra le sue
intraprese anche riviste come "Linea d'ombra", "La terra vista dalla luna" e
"Lo straniero". Per sua iniziativa o ispirazione le Edizioni Linea d'ombra,
la collana Piccola Biblioteca Morale delle Edizioni e/o, L'ancora del
Mediterraneo, hanno rimesso in circolazione testi fondamentali della
riflessione morale e della ricerca e testimonianza nonviolenta purtroppo
sepolti dall'editoria - diciamo cosi' - maggiore. Opere di Goffredo Fofi:
tra i molti suoi volumi segnaliamo particolarmente almeno L'immigrazione
meridionale a Torino (1964), e Pasqua di maggio (1989). Tra le pubblicazioni
degli ultimi decenni segnaliamo ad esempio: con Tony Thomas, Marlon Brando,
Gremese, 1982; con Franca Faldini, Toto', Pironti, Napoli 1987; Pasqua di
maggio. Un diario pessimista, Marietti, Casale Monferrato 1988; con P.
Polito, L'utopia concreta di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1988; Prima il
pane, e/o, Roma 1990; Storie di treno, L'Obliquo, 1990; Benche' giovani.
Crescere alla fine del secolo, e/o, Roma 1993; Strana gente. 1960: un diario
tra Sud e Nord, Donzelli, Roma 1993; La vera storia di Peter Pan  e altre
storie per film (1968-1977), e/o, Roma 1994; Piu' stelle che in cielo. Il
libro degli attori e delle attrici, e/o, Roma 1995; Come in uno specchio. I
grandi registi del cinema, Donzelli, Roma 1995; Strade maestre. Ritratti di
scrittori italiani, Donzelli, Roma 1996; con Gad Lerner e Michele Serra,
Maledetti giornalisti, e/o, Roma 1997; Sotto l'Ulivo. Politica e cultura
negli anni '90, Minimum Fax, 1998; Un secolo con Toto', Dante & Descartes,
Napoli 1998; Le nozze coi fichi secchi, L'ancora del Mediterraneo, Napoli
1999; con Gianni Volpi, Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Lindau, 1999;
con Stefano Benni, Leggere, scrivere, disobbedire. Conversazione, Minimum
Fax, 1999; con Franca Faldini, Toto'. L'uomo e la maschera, L'ancora del
Mediterraneo, Napoli 2000; con Stefano Cardone, Intoccabili, Silvana, 2003;
Paolo Benvenuti, Falsopiano, 2003; con Ferruccio Giromini, Santosuosso,
Cooper e Castelvecchi, 2003; Alberto Sordi, Mondadori, Milano 2004; con
Giovanni Da Campo e Claudio G. Fava., Simenon, l'uomo nudo, L'ancora del
Mediterraneo, Napoli 2004;  con Franca Faldini, Toto'. Storia di un buffone
serissimo, Mondadori, Milano 2004; Circo equestre za-bum. Dizionario di
stranezze, Cargo, 2005. Opere su Goffredo Fofi: non conosciamo volumi a lui
dedicati, ma si veda almeno il ritratto che ne ha fatto Grazia Cherchi, ora
alle pp. 252-255 di Eadem, Scompartimento per lettori e taciturni,
Feltrinelli)]

Le osservazioni che seguono sono una ricostruzione "a memoria", la
testimonianza di uno spettatore/lettore e non la riflessione di uno
studioso. Il punto di vista e' dunque molto personale, non so quanto
attendibile scientificamente. Sono state presentate al convegno tenuto a
Mestre il 19 novembre scorso.
*
Alla caduta del fascismo, l'Italia era tutta da scoprire e da raccontare.
Se ne incarico' il cinema, soprattutto, con opere egregie, e il neorealismo
riusci' spesso a dare, con le sue storie di reduci, di disoccupati, di
contadini, di marginali, di donne (mogli o prostitute, ma per la prima volta
o quasi protagoniste di vicende socialmente significative), di bambini; piu'
raramente di operai, di borghesi, di emigranti. Nell'insieme un'immagine del
"popolo" attendibile piu' e quanto di quella data dalla nostra letteratura
realista a cavallo tra Otto e Novecento.
La letteratura segui' con qualche affanno e con dispendio di retorica. La
forza dell'immagine era maggiore di quella della parola, e impose ai
cineasti una sorta di spontaneita' che i letterati faticavano a trovare.
Il giornalismo servi' da tramite e rimedio, e la scoperta dell'Italia
comincio' per molti dalle inchieste dei quotidiani, che erano spesso lunghe
e duravano molte puntate, sia nel caso dei quotidiani che dei settimanali,
producendo anche negli anni cinquanta, e a maggior ragione nelle mutazioni
dei sessanta, moltissimi reportages di qualita'. Piu' interessanti, infine,
erano le inchieste dei giornali "borghesi" che non quelle, predeterminate
sulla denuncia, di quelli di sinistra, con l'eccezione dell'"Avanti" e piu'
tardi delle piccole edizioni che da questa testata prendevano il nome,
dirette da Gianni Bosio.
*
Nell'editoria, la laica Laterza fu certo piu' presente di Einaudi, che
entro' in campo molto piu' tardi, ma cui si dovette il libro chiave dei
primi anni, il "Cristo" di Carlo Levi, la cui lettura fu fondamentale per
molte vocazioni (fondamentale persino piu' di quella di "Fontamara", edito
infine in italiano). Con la collana dei "Libri del tempo" - pamphlet, saggi
e inchieste centrati sull'Italia e i suoi problemi piu' aperti, in cui
pubblicarono Rossi, Calamandrei, Calogero, Battaglia eccetera - Laterza
infranse a suo modo il tabu' crociano sulla sociologia, che sul piano
scientifico fu aggredito a Nord da Pizzorno e a Sud, in rapporto al mondo
contadino, e con molto maggior peso politico, da Rossi-Doria e dal suo
gruppo, primi tra tutti Scotellaro e Marselli. Essi seppero apprendere tutto
cio' che loro mancava dagli americani venuti a studiare il Sud, che i
comunisti si ostinarono per anni a considerare servi o agenti della Cia -
Friedman, Peck, Banfield e altri ancora (vedi "L'osservazione partecipata"
di Franco Vitelli, Edisud 1989). Tornando a Einaudi, il primo tentativo di
una collana di inchieste e saggi di impostazione sociologica o antropologica
in ottica bensi' politica lo si deve a Raniero Panzieri, nei primi anni
sessanta, con "La nuova societa'", una collana di breve durata in cui
avrebbe dovuto apparire anche il mio "L'immigrazione meridionale a Torino".
I "Libri del tempo" laterziani avevano spesso delle consonanze con "Il
mondo", la rivista di Pannunzio su cui "inchiestavano" a loro modo, girando
l'Italia per quella e altre testate, scrittori come la Ortese e Arbasino e
Giovanni Russo o la dimenticata Anna Garofalo che raccolse i suoi lavori in
"Cittadini si' e no" (edizioni Silva, quelle di "Se questo e' un uomo",
delle "Memorie" di Serge e del primissimo Dolci) e con "L'italiana in
Italia" (Laterza). La Garofalo fu certamente di modello alle giornaliste
piu' giovani di lei, come la Cederna o la Tornabuoni. Le inchieste del
"Mondo" narravano piu' il costume che l'economia e il lavoro, ma furono
fondamentali nella perlustrazione di un paese ancora poco conosciuto, e non
avevano i veli dell'ideologia. Erano accompagnate da foto altrettanto
rivelatrici, scelte con accorta perizia da Ennio Flaiano.
Per rimanere sul fronte giornalistico, mai piu' cosi' coinvolto nel rapporto
con la letteratura, e' doveroso ricordare che per molti lettori "borghesi" e
piccolo borghesi la "scoperta dell'Italia" avvenne per il tramite del piu'
famoso "Viaggio in Italia" del dopoguerra, nel pieno dei cinquanta e gia' a
ridosso del "boom": quello di Guido Piovene per "Epoca", poi raccolto in
volume con immediato successo.
E dopo "Il mondo", "L'espresso": con Cancogni, anzitutto, e una fitta
schiera di giovani giornalisti che si scatenarono nella denuncia del
malcostume e dei ritardi del paese, talora e poi sempre piu' spesso con un
piglio effettistico e superficiale di cui risentira' soprattutto la
direzione di Scalfari (e i suoi giornali fino ai nostri giorni).
Piu' efficace e autenticamente "laica" se pur "borghese" fu l'azione del
"Giorno" di Baldacci da Milano, con autori quali Bocca, la Cederna, Umberto
Segre e tanti altri che furono dentro giorno per giorno agli anni e ai fatti
del "boom". Nulla di nuovo, si dira', poiche' i giornalisti da sempre hanno
"fatto inchiesta". Ma va ricordato che per vent'anni questo era stato
impossibile, e va fatto il paragone con i giornali di oggi, e la loro
miseria.
*
Sul fronte editoriale, si osserva con una certa delusione la quasi assenza
di inchieste nel catalogo di Comunita', la casa editrice di Adriano
Olivetti, che pure pubblico' "l'inchiesta operaia" della Weil e stimolo' un
intenso lavoro sociale attraverso, per esempio, una scuola da lui
finanziata, il Cepas di Roma diretta da Guido Calogero, che formava
assistenti sociali e "operatori di comunita'" attorno a personaggi come
Angela Zucconi, Paolo Volponi, Adriano Ossicini e altri, e pubblico' nella
sua rivista "Centro sociale", diretta da Anna Maria Levi, molte inchieste
importanti, per esempio su Matera, dove l'esperienza del villaggio-modello
di La Martella stimolata da Olivetti produsse numerose inchieste specifiche,
economiche sociali urbanistiche.
Se dovessi pero' indicare la fucina, o il riferimento per inchiestatori piu'
arditi, dovrei senz'altro ricordare la rivista "Nuovi argomenti" e la figura
del suo primo direttore, Alberto Carocci, un letterato che teneva a
pubblicare alla fine di ogni fascicolo della rivista un'inchiesta
significativa. Vi uscirono - in anticipo sugli editori di libri - le
inchieste di Cagnetta su Orgosolo, di Dolci su Partinico e su Palermo, di
Bianciardi e Cassola sui minatori di Maremma, di De Martino sulla Lucania, e
se non erro perfino le prime "Autobiografie della leggera" di Danilo
Montaldi, che fu al centro di numerose iniziative di inchiesta a Cremona (e
Piadena) e che, negli anni del "miracolo", scrisse un acuto saggio di
prefazione alle storie di vita di "Milano, Corea" di Franco Alasia, che
veniva dal lavoro con Danilo Dolci.
*
Proprio Montaldi fu con Nuto Revelli e piu' tardi con Bianca Guidetti Serra
tra i veri iniziatori di quella "storia orale" che doveva crescere in
seguito grazie a giovani studiosi di formazione anglosassone; e tra la
storia orale e l'inchiesta, nel caso degli autori citati, la diversita' era
scarsa, le acquisizioni di metodo comuni. A chiudere l'esperienza di "Nuovi
Argomenti" fu forse l'inchiesta piu' ambiziosa di tutte, che finalmente
riportava l'attenzione sulla classe operaia e sul maggior centro del potere
italiano, l'"Inchiesta alla Fiat" coordinata da Giampiero Carocci, figlio di
Alberto, e che coinvolse alcuni dei futuri fondatori dei "Quaderni rossi"
preparandoli ai futuri lavori dell'inchiesta operaia.
*
C'e' una discussione che e' interessante ricordare, nata all'interno del
lavoro sociale del Cepas e altrove in rapporto a interventi concreti sul
campo: l'inchiesta come preparazione all'intervento ma anche, si diceva
allora, come "con-ricerca" o come "inchiesta partecipata": una forma di
inchiesta, insomma, che coinvolgesse direttamente gli inchiestati e che
mirasse a renderli piu' coscienti delle proprie condizioni, e soprattutto li
aiutasse a cercare insieme agli operatori sociali (inchiestatori ma anche
assistenti sociali, secondo i modi di una professione che era, allora, ben
diversa da quella di oggi).
Mi colpi' molto, personalmente, avvertire a Torino, nell'ambito dei
"Quaderni rossi", cosi' diverso da quello del Cepas, una stessa
preoccupazione. Ridestare, conoscere, per intervenire meglio, piu'
efficacemente, insieme.
Voglio ricordare anche un breve articolo di Maria Calogero su "Centro
sociale" che si chiamava "La piccola inchiesta non trasferibile" e
consigliava in sostanza all'operatore di tenere gli occhi bene aperti sulla
realta' immediata e anche minima in cui viveva e agiva, per capire i suoi
meccanismi, cio' che sta dietro le apparenze. Valeva per il vicinato come
per il posto di lavoro, e dal particolare al generale il passo finiva per
essere breve. Anche in questo si potevano udire echi di un dibattito
statunitense che accomunava gli operatori sociali piu' avanzati - diciamo di
scuola deweyana: educazione, intervento sociale, democrazia, e soprattutto,
democrazia "dal basso", e quel "dal basso" era diventato in Italia, in molte
esperienze, una formula quasi sacra (e talvolta sembra esserlo ancora, con
un eccesso di fiducia nelle virtu' del basso) ma anche di scuola sociologica
alla Wright Mills, quella della "immaginazione sociologica" e della
contestazione della macro e micro sociologia d'impostazione accademica. (Una
versione di nuovo ideologica e di eccessiva fiducia nelle virtu'
dell'inchiesta sara' nel '68 quella trentina di Gilli).
*
Questo apprendimento quotidiano alla "piccola inchiesta non trasferibile",
alla "immaginazione sociologica" e al legame tra inchiesta e intervento e'
forse l'insegnamento piu' vivo di quegli anni, in vari ambiti e campi, e se
gia' negli anni del boom venne travolto da una certa euforia giornalistica
(che dette pero' anche ottime inchieste utili alla comprensione della
mutazione mentre essa era in atto), e se uscirono ancora buone opere
letterarie legate ai temi dell'inchiesta, come "Donnarumma all'assalto" di
Ottieri e certi squarci narrativi o di riflessione di Pasolini, di
Bianciardi, dello stesso Calvino e di molti altri (e nel cinema ci furono
esempi di commistione appassionanti, da un certo Fellini a De Seta, da
Pasolini a Olmi, da Rosi a Gregoretti eccetera), tra i primi sessanta e il
sessantotto decaddero molte cose e si affievolirono molte tensioni.
*
Una data si puo' azzardarla sulla scia degli studi di Guido Crainz sul
"paese mancato" editi da Donzelli - Crainz e' forse il primo storico ad aver
usato adeguatamente molti dei materiali che ho ricordato - ed e' il 1963,
anno del fallimento del centrosinistra e del revanscismo di una ottusa o
criminale classe dirigente cui rispondera' - piu' che "inventare il nuovo"
come allora ci parve - proprio il '68. E se il libro chiave del '68 doveva
essere non un testo politico della sinistra, significativamente, ma la
denuncia di un prete sul classismo della nostra scuola, e' curioso anche
che, ignorata a sinistra, un'inchiesta esemplare - attiva, sul campo, di
comunita', per cambiare, di con-ricerca - fosse venuta anni prima proprio da
don Milani, quando ancora non era stato esiliato a Barbiana, "Esperienze
pastorali".
*
Lasciando da parte la trascurabile retorica dell'"inchiesta maoista" il '68,
nel campo delle inchieste, dette perlopiu' delle denunce; lascio' cadere di
fatto le ipotesi di con-ricerca, scelse di richiamare con forza l'attenzione
su casi terribili di ingiustizia (i manicomi, le carceri, la droga, la
scuola, gli orfanatrofi, le fabbriche, e insomma il malessere sociale del
paese nelle sue forme piu' nascoste e piu' estreme), la denuncia fu spesso
la premessa a interventi politici di riforma, ma la piu' grave non ha avuto
ancora seguito: quella sulla Strage di Stato, e l'inchiesta "La strage di
Stato" fu il punto centrale dell'ideologia di quella corrente di
"contro-informazione" che ebbe corso per molti anni. Insomma, il '68 lascio'
al Censis e ad altri centri studi consimili e ufficiali (o a professori
universitari alla Paci o Donolo, eccetera) l'onere e il merito di indagare
le mutazioni economiche e sociali in molte parti d'Italia, svolgendo spesso
una funzione culturale e politica molto rilevante.
*
Tutto questo implicava la speranza nella vittoria della "rivoluzione" o di
un riformismo eticamente radicale e, in ogni caso, la crescita della
coscienza civile del paese o della sua classe dirigente, e la fiducia in
nuovi meccanismi democratici. Ma, come sappiamo, sia la democrazia che la
politica sono precipitati in una sorta di parodia mediatica che lascia ben
poco spazio ad acquisizioni solide, a movimenti duraturi, a interventi non
di facciata ma di profondita'. Con la politica e la democrazia, la decadenza
piu' vistosa e' oggi quella dei media, di tutti i media; l'inchiesta e'
cosi' diventata scoop, e lo scoop un fine in se', mentre la grande quantita'
di tesi di laurea che sono inchieste lascia il tempo che trova, non essendo
finalizzata ad alcunche'. Nella grande diffusione dell'inchiesta,
giornalistica e politica e scientifica, oggi e' ben difficile che si
rintraccino opere che lascino il segno. Citerei la trasmissione televisiva
"Report", l'unica rimasta degna di nota e di rispetto, qualcosa da "Diario",
un tempo, o rare inchieste su giornali soprattutto marginali e locali e non
i maggiori, e naturalmente dei libri, a volte semplici dilatazioni o messe a
punto di tesi di laurea, ma a volte animose perlustrazioni su temi scottanti
attuate da giovani operatori o da gruppi legati al cosiddetto volontariato e
alle sue organizzazioni piu' forti.
*
I titoli e gli autori di vero rilievo sono pochi, ed e' peraltro molto
difficile orientarsi in una produzione tanto vasta quanto effimera e
gridata. Importa l'effetto, la risonanza immediata di un "caso"; o importa,
sull'altro versante, la carriera universitaria. Importa la "comunicazione" e
non la conoscenza o la comprensione ai fini del cambiamento. Tra le
eccezioni, e' importante segnalare una letteratura appena ora emergente, che
di fronte a una valanga di "nomi" che pretendono di scoprire il paese
nascosto raccontando storielle "gialle", sta faticosamente cercando di
annodare o di riannodare invenzione e inchiesta, racconto e anche denuncia,
ma nel senso piu' alto e ambizioso della parola. Cito i primi nomi che mi
vengono in mente: Lagioia, Pascale, Braucci, eccetera. Si ricomincia, forse,
cercando di tirarsi fuori dal magma nefasto della decadenza giornalistica,
politica, universitaria. Una vitalita' maggiore e' riscontrabile, pur nella
confusione, nel documentario cinematografico e video, indipendenti, cui
molti si sono dedicati in passato e i nuovi arrivati si dedicano oggi con
entusiasmo.
*
Il bisogno di inchiesta non puo' essere coperto dalla letteratura e dal
giornalismo, e tantomeno dall'universita': esso ha bisogno di ricerche che
partano dallo studio della realta' per cercare i modi di cambiarla e che
leghino tra loro la conoscenza dei problemi con la volonta' di intervenirvi
e con l'individuazione dei modi migliori per farlo. Su questo punto, mi pare
che non si possa chiedere alla letteratura piu' di quanto non debba e possa
dare (e forse neanche al giornalismo, neanche all'universita'), ma che ci si
debba rivolgere a figure nuove (e finora rarissime) di militanti dentro il
disordine e l'ambiguita' attuali della militanza - di militanti
dell'educazione e della trasformazione, della cultura, della politica, dei
movimenti. Un esempio, tra pochi o pochissimi, che cerca di impostare un
discorso metodologico gia' di questo tipo, puo' essere quello delle
inchieste di Alessandro Leogrande sulla Puglia (e piu' in generale
sull'Adriatico) tra politica, economia legale ed economia criminale,
immigrazione, marginalita'.
*
Per finire, mi sovviene una lettera di Aldo Capitini, del 1961 o giu' di
li', nella quale egli irrideva alla mia difesa dell'inchiesta: tutti fanno
inchiesta, e nessuno lavora per cambiare concretamente le cose, egli mi
diceva. Quel monito e' stato per me decisivo. Anche l'inchiesta puo' essere
un alibi al non fare, invece che un aiuto, come dovrebbe essere, al "ben
fare".

3. AMERICA. GIULIA D'AGNOLO VALLAN: CINDY SHEEHAN ON THE ROAD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo settembre 2005.
Giulia D'Agnolo Vallan dopo la laurea in lettere e filosofia a Torino ha
frequentato il Master program presso la Film and Television School della
Tisch School of the Arts della New York University, citta' nella quale vive
e lavora come giornalista ed operatrice culturale; collabora con varie
testate ed ha curato varie rassegne cinematografiche per importanti festival
del cinema.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; dal 6 agosto e' stata
accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo
le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte
di suo figlio]

Bush abbandona le vacanze e corre a Washington per occuparsi delle
conseguenze dell'uragano Katrina. Sollecitato dagli appelli dei governatori
degli stati colpiti dall'uragano che, in vista delle elezioni del prossimo
anno, esigono di essere ritratti al fianco di un presidente attivo, ha gia'
annunciato un suo viaggio nelle zone disastrate. Ma il fantasma della photo
opportunity che il presidente americano rifiuta di concedere da tre
settimane, per sua sfortuna, non rimarra' sepolto nella polvere texana,
davanti ai cancelli sbarrati del suo ranch. Da ieri, Cindy Sheehan e' on the
road. La donna che ha dato nuova visibilita' e nuova forza al movimento
contro la guerra partecipera' a un tour di autobus che attraversera' i
maggiori distretti congressuali e confluira' a Washington, il 21 settembre
prossimo -in tempo per la grande manifestazione contro la guerra indetta,
tra il 24 e il 26 del mese, dall'organizzazione ombrello United for Peace
and Justice. L'obiettivo del tour e' quello di portare nel resto del paese
la causa di Sheenan. Ma soprattutto, di creare una mobilitazione di forze
sufficiente a scuotere l'inerzia del Congresso. In una lettera indirizzata a
tutti i membri della Camera e del Senato in cui chiede che la si incontri,
la signora ha infatti scritto: "Il presidente non ha voluto vedermi ma con
voi non puo' fare la stessa cosa: deve prestarvi attenzione".
*
Intanto, da un sondaggio congiunto di "Washington Post" e "Abc News"
arrivano nuovi minimi storici degli indici di gradimento di Bush: tasso di
approvazione solo 45%; gli americani secondo cui la guerra non valeva la
pena sono il 53%, un 68% trova il numero dei caduti inaccettabile e il 57%
disapprova come il presidente sta affrontando il problema. Il 38% pensa
letteralmente che si stia perdendo la guerra. Ed e' peggio ancora sul fronte
del petrolio (crisi che dopo Katrina puo' solo peggiorare): il 73% degli
americani pensa che in materia (e dovrebbe essere proprio la sua...) Bush
stia facendo un pessimo lavoro. Con cifre cosi' c'e' da pensare che,
specialmente tra i democratici, molti siano pronti a saltare sui bus di
Cindy. E, in effetti, qualche giorno dopo l'inizio del suo assedio al ranch
di Crawford, la vecchia volpe dei conservatori Pat Buchanan aveva predetto
che sarebbe stata questione di giorni prima che un uomo politico facesse di
Cindy e Casey Sheehan il suo cavallo di battaglia. Era l'immagine che bucava
lo schermo nel film di Michael Moore: una mamma sola contro la Casa Bianca,
roba da mezzogiorno di fuoco. E, per tornare al discorso di sopra, una photo
opportunity fantastica. Probabilmente Buchanan si sta ancora grattando la
testa visto che l'establishment democratico nelle scorse settimane ha fatto
tutt'altro. Ma come e' possibile che una donna astuta ed eloquente come
Hillary Clinton tema che una visita a Sheehan potrebbe trasformarla
istantaneamente in Hanoi Jane? Certo, l'uragano e' una causa meno esplosiva.
*
Nel suo editoriale di domenica sul "New York Times", Frank Rich parlava di
"vietnamizzazione della vacanza di Bush", non solo perche' persino il
senatore repubblicano Chuck Hegel ha citato paragoni tra la guerra in Iraq e
quella (persa) in Indocina. Henry Kissinger e' di nuovo nei talk show e ci
vuole un politico dell'era del Vietnam come Gary Hart per avere il coraggio
di dire che i democratici oggi sono dei codardi perche' non vogliono
ammettere di aver sbagliato a votare per la guerra. Esattamente in questi
giorni, un anno fa, al festival cinematografico di Toronto (che aprira'
giovedi' 8 settembre) la cosa piu' notevole di Going Upriver (un
documentario su John Kerry e il Vietnam) era la visibilissima presenza di
importanti uomini politici tra le migliaia di pacifisti che assediarono la
Casa Bianca in una manifestazione durata giorni e giorni. Come si vede anche
nel film, fu proprio il senatore democratico William Fulbright a condurre
udienze sulla guerra, trasmesse live in tv. Gia' l'anno scorso,
l'invisibilta' (Kerry compreso) dei democratici al fianco dei pacifisti era
accecante. Oggi e' diventata inguardabile. Queste le parole di Fulbright
sulle udienze: "Secondo il nostro sistema, il Congresso, e ancora di piu' il
Senato, condivide con il presidente la responsabilita' di prendere le
decisioni in fatto di politica estera. Ma questa guerra e' cominciata...
come una guerra del presidente in cui il Congresso, a partire dall'episodio
fraudolento del golfo del Tonchino, non ha giocato un ruolo significativo".
Quelle udienze furono importantissime per determinare la svolta. Togli
Tonchino e metti "armi di distruzione di massa" e il discorso e' scritto.
Sheehan e i suoi sostenitori lo sanno: ed e' per quello si sono inventati un
sit in su ruote.

4. DIRITTI NEGATI. DINO FRISULLO: NON "CASI" MA PERSONE. L'ULTIMO INTERVENTO
SUL "REGINA PACIS" (2003)
[Dal sito www.stefanomencherini.org riprendiamo questo intervento di Dino
Frisullo, scritto il 25 aprile 2003 sul letto d'ospedale in occasione di un
convegno sui "Centri di permanenza temporanea" che si tenne a Lecce.
Stefano Mencherini, dal cui sito abbiamo estratto il testo che segue, e' un
giornalista free lance e regista della Rai che ha realizzato un film, "Mare
nostrum", sui "Centri di permanenza temporanea" (in sigla: Cpt) ed e'
impegnato per la loro abolizione.
Dino Frisullo (1952-2003), impegnato nel movimento antirazzista e per i
diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, fondatore delle
associazioni "Senzaconfine" e "Azad", per il suo impegno di solidarieta' con
il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto il 6 giugno 2003
nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno. Tra le opere di Dino
Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; Se questa e'
Europa, Odradek, Roma 1999; postumo e' apparso Sherildan, La citta' del
sole, Napoli 2003. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nei
nn. 577 e 1008 di questo foglio]

Comunque si concluda la duplice indagine giudiziaria per malversazioni e
lesioni sul centro Regina Pacis, sara' ben difficile che qualcuno riproponga
quest'esperienza a modello per fantasiosi premi Nobel per l'accoglienza,
dopo che si sono levati i veli che ne occultavano il cinico funzionamento da
istituzione totale. Non sono bastati gli anatemi di Fitto e dei politici
salentini sugli antirazzisti "mistificatori, intolleranti, destabilizzatori
delle strutture civili e religiose", ne' la difesa d'ufficio di Mantovano in
parlamento. E non bastera' neppure il silenzio ipocrita di quella parte
dell'attuale opposizione che condivide, e a quanto pare non rinnega, la
responsabilita' della passata canonizzazione di mons. Ruppi e della sua
creatura. Dalla meta' degli anni '90, in totale solitudine, la Rete
antirazzista a livello nazionale e poche strutture in Puglia, come il
Comitato diritti degli immigrati e il circolo Iqbal Masih a Lecce e gli
Osservatori di Brindisi e di Bari, avanzavano dubbi sugli enfatici allarmi,
le invocazioni a "solidarieta' e fermezza", le grida d'invasione e le pelose
premure di mons. Ruppi sull'immigrazione. Uno strano mix, le cui ambiguita'
pian piano si sono sciolte nel senso della logica custodiale e speculativa.
E' stato illuminante per me scoprire, in un documento degli antirazzisti
pugliesi, la presenza di don Cesare Lodeserto, per la potente Curia
salentina, al convegno convocato a Parigi da mons. Lustiger... per
teorizzare la gestione religiosa dei centri di detenzione in Europa e di
quelli di "contenimento" oltre le frontiere comunitarie. Che e' esattamente
cio' che Ruppi ha realizzato in Salento e, in parallelo, in Moldavia.
Da molti punti di vista e' stata e rimane esemplare e paradigmatica
l'esperienza del Regina Pacis, il primo Cpt in Italia e tuttora il piu'
grande. Ma non da solo. Ha guidato l'involuzione della catena dei centri
d'accoglienza pugliesi, un tempo luoghi di sperimentazione aperta e
ospitale, fino a farsi gangli della logistica scientifica del concentramento
e della deportazione.
In un territorio militarizzato ben prima del "Piano di allerta e reazione
rapida" varato in novembre nel Castello di Lecce, su coste trasformate in
cimiteri marini dalle mafie e dal proibizionismo, i centri pugliesi sono
stati e sono il laboratorio dell'appalto della custodia al "privato
sociale", della gestione allegra delle relative convenzioni e appalti grazie
allo "stato d'emergenza" (finche' poi i bubboni scoppiano, come per il
centro Lorizzonte), della detenzione dei richiedenti asilo e dei nuovi
arrivati in centri "spuri" d'accoglienza o d'identificazione, della
successiva dispersione sul territorio italiano ed europeo di decine di
migliaia di poveri cristi. Ciascuno dei quali ha fruttato pero' milioni ai
suoi "tutori".
Ma la sperimentazione principale, preziosa per i governi europei dopo le
decisioni della Unione Europea sul "contenimento" dei profughi di guerra e
sul "forced return" dei migranti, e' quella operata con le deportazioni di
massa. Ricordo quando apprendemmo con orrore che nell'agosto 2001 dodici
kurdi erano stati riconsegnati dal Regina Pacis, via Malpensa, ai loro
torturatori turchi. Nella primavera successiva riuscimmo a fermare il
rimpatrio di altri cento kurdi, ma non di sessanta srilankesi respinti
nell'inferno della guerra civile.
Ma quante altre vite sono passate dai centri di Lecce, Foggia, Bari e
Brindisi per essere aggregate in un charter o su un traghetto e rispedite
indietro, in violazione di leggi e convenzioni e spesso nel totale disprezzo
del diritto alla vita? Di questi destini non decidono piu' i gestori dei
centri, ridotti, cattolici o laici che siano, a passacarte del Dipartimento
di Ps. Costretti, per non rinunciare alle prebende del governo, a riempire e
svuotare i loro centri a comando di polizia, senza alcun rapporto con il
territorio pugliese ma con l'andamento nazionale di sbarchi e rastrellamenti
metropolitani, del mercato del lavoro. E, fuori, delle guerre.
Questo gioco e' stato infranto. Oggi l'intera struttura dei centri pugliesi
e' sotto accusa, come quelli siciliani, anche se le istituzioni pugliesi si
schierano compattamente a difesa mentre la Regione Sicilia promuove
un'indagine conoscitiva. Credo di poter dire che il merito e' stato della
tenacia con cui, forti dell'esperienza del movimento nazionale e
internazionale contro la globalizzazione economica, i Social forum e gli
antirazzisti leccesi e pugliesi hanno saputo uscire dalla logica della
sporadica denuncia e dell'invettiva, e mettersi in contatto vero con le
persone recluse.
Penso alle visite al Regina Pacis e a Lorizzonte, a Bari Palese o a Borgo
Mezzanone, e prima e dopo, alla conquista degli ingressi periodici con
medici e avvocati, al blocco dei rimpatri e delle ritorsioni, al sostegno a
chi ha sporto denuncia ed a chi ha chiesto asilo politico, alla
ricostruzione delle loro storie, alla costruzione di un rapporto di fiducia
e d'amicizia che inevitabilmente si trasferisce poi alla popolazione. Per
parlare solo del Regina Pacis, senza questa continuita' di relazione umana
quasi sessanta pakistani del Kashmir sarebbero rimpatriati e non liberi, e
quattordici maghrebini pestati non avrebbero potuto chiedere giustizia di
la' dal mare. E senza la stessa tenacia, a Brindisi le famiglie dei
superstiti della Kater i Radesh non avrebbero retto fino ad oggi un processo
farsa, e centinaia di asilanti non sarebbero usciti da soli dalle roulotte
degli aeroporti di Foggia e di Bari. Come a Trapani, dove la stessa
caparbieta' ha consentito che non si perda ancora la memoria umana e
giudiziaria della strage del '99.
Non numeri e nemmeno "casi", ma persone. E' in loro nome che avevamo il
diritto di presidiare, quella notte, il Duomo di Lecce. Nel nome di Cristo
"condannato a morte per sedizione", come scrisse il Social forum barese. Di
quel Cristo in cui, credenti o no, ci potremmo riconoscere tutti noi e
soprattutto tutti gli esclusi, i reclusi, gli offesi. Non coloro che li
offendono e li recludono.

5. LIBRI. MARIA NADOTTI PRESENTA "SHAH IN SHAH" DI RYSZARD KAPUSCINSKI
[Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 18, ottobre
2001 (sito: www.lostraniero.net) riprendiamo il seguente articolo.
Maria Nadotti, giornalista, saggista, traduttrice, consulente editoriale,
scrive di teatro, cinema, arte e cultura per molte testate italiane e
straniere, ed ha promosso varie attivita' culturali e di solidarieta'. Tra
le opere di Maria Nadotti: Silenzio = morte. Gli Usa nel tempo dell'Aids,
Anabasi, 1994; Nata due volte, il Saggiatore, Milano 1995; Cassandra non
abita piu' qui, La Tartaruga, Milano 1996; Sesso & Genere, il Saggiatore,
Milano 1996; Scrivere al buio, La Tartaruga, Milano 1998. Con traduzioni,
interviste, curatele delle edizioni italiane, ha dato un utilissimo
contributo a far conoscere autori ed autrici, opere e tematiche, di
fondamentale importanza.
Ryszard Kapuscinski e' un illustre scrittore e giornalista polacco.
Riportiamo la motivazione dell'attribuzione del Premio Grinzane Cavour per
la Lettura 2003 a Ryszard Kapuscinski: "Grande maestro di giornalismo,
Ryszard Kapuscinski, nato a Pinsk nella Polonia orientale nel 1932, ha
lavorato come corrispondente estero dell'Agenzia di stampa polacca Pap fino
all'inizio degli anni '80. Viaggiatore instancabile, curioso e partecipe
testimone dei destini dei diseredati in Africa e in America Latina,
Kapuscinski ha scritto numerosi libri-reportage che sono diventati veri e
propri classici del genere, una 'straordinaria mistura di arte e reportage',
come ebbe a dire Salman Rushdie. La sua penna mette a fuoco con estrema
lucidita' fin dagli anni '60 la complessita' del continente africano,
registrando fenomeni politici e culturali, contraddizioni e tragedie umane,
in un'epoca in cui l'Occidente guardava con preoccupazione all'Africa per
l'incognita rappresentata da 300 milioni di individui in procinto di entrare
nel panorama politico mondiale. Storia e drammatica quotidianita' si
mescolano felicemente nelle sue pagine, in opere come Il Negus (1982), La
prima guerra del football e altre guerre di poveri (1990) fino al piu'
recente Ebano (2000, Premio Viareggio-Repaci), raccolta di articoli che
riassumono quarant'anni di esperienza come inviato nei paesi africani. La
sua e' l' Africa dei dannati della terra, vissuta con i poveri delle
bidonville, i contadini della savana, i camionisti del Sahara. Kapuscinski
esula da ogni forma di colore od esotismo locali: vuole andare alla radice
dei fatti, individuare le leggi, vecchie e nuove che li governano. E'
l'ottica che lo guida anche altrove: ad esempio in un testo di grande
successo come Shah-in-Shah (1982) che narra un momento cruciale della storia
dell' Iran tra la fine della monarchia sanguinaria di Reza Pahlevi e
l'avvento religioso di Khomeini nel 1979. Anche il tramonto e il
dissolvimento dell' Unione sovietica e' diventato con Imperium (1994), un
libro di intensa ed efficace testimonianza. Perche' gli eventi, grandi o
piccoli che siano, rappresentano per Kapuscinski l'occasione per
vivisezionare, con il tratto felice e disinvolto dello scrittore, storia,
politica e societa' di un paese. Cittadino del mondo, portavoce delle
minoranze, Kapuscinski ha saputo conciliare curiosita' e responsabilita'
morale, impegno e vivacita' di scrittura in nome di coloro per i quali e'
data la speranza, perche', come disse una volta Walter Benjamin, non ne
conoscono alcuna". Opere di Ryszard Kapuscinski: in edizione italiana cfr.
La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, poi
Feltrinelli; Shah-in-Shah, Feltrinelli; Il Negus, splendori e miserie di un
autocrate, Feltrinelli; Imperium, Feltrinelli; Lapidarium, Feltrinelli;
Ebano, Feltrinelli. Cfr. anche il libro di interviste e colloqui (a cura di
Maria Nadotti), Il cinico non e' adatto a questo mestiere. Conversazioni sul
buon giornalismo, e/o, Roma 2002]

Iran 1980. Chiuso in una camera d'albergo a Teheran, Ryszard Kapuscinski,
all'epoca inviato dell'agenzia di stampa polacca, cerca di spiegarsi cosa
abbia provocato il crollo - all'apparenza repentino - del regime dispotico
dell'ultimo monarca persiano e cosa abbia assicurato, proprio in quel
momento, il successo del movimento rivoluzionario sciita. Sul suo tavolo ci
sono un pugno di fotografie, gli appunti degli ultimi mesi e la trascrizione
di una serie di conversazioni svoltesi nei due anni precedenti. Si tratta di
provare a rimettere al loro posto le schegge di un discorso sul potere e
sulle sue alterne vicende. Ovviamente andando al di la' delle
interpretazioni ufficiali e dei comunicati stampa di regime o dei proclami
rivoluzionari. Ovviamente senza accontentarsi di ricostruire la muta catena
degli eventi. Shah in Shah (1982), pubblicato ora in Italia da Feltrinelli
nella traduzione di Vera Verdiani, nasce cosi'. Dall'accanimento di un
autore che ha dalla sua gli strumenti dello storico e del narratore,
l'intuito e l'ostinazione del buon "cronista", fiuto e spericolatezza da
detective professionale. Il risultato e' un'agile, luminosa lezione di
storia: per ricostruire la caduta dell'ultimo monarca persiano, Reza
Pahlavi, e l'ascesa dell'ayatollah Khomeini, Kapuscinski non puo' esimersi,
infatti, da una riflessione piu' ampia e complessa sulle dinamiche della
storia e sui mutamenti fluidi e "arbitrari" che sembrano
contraddistinguerla.
*
Per l'autore i fatti rischiano di precipitare nel vuoto, di perdersi
nell'indecifrabilita' o nell'indifferenziazione, se chi li racconta,
occupato a rincorrere la notizia del giorno, non sa scoprirne e comunicarne
il senso. E il senso - legato com'e' alla capacita' di chi ne scrive di
riconoscere nessi, somiglianze, ripetizioni - non si da' nell'assoluto
presente del singolo evento. Esso va rinvenuto a poco a poco in una catena
temporale e spaziale, che coinvolge il passato e l'altrove (cio' che e'
successo prima, non necessariamente in un solo luogo, non unicamente ai
personaggi che oggi occupano la ribalta), e il futuro (il mondo delle
previsioni, dei progetti, delle speranze, dei sogni).
Storico e giornalista, giornalista perche' storico, Kapuscinski sa bene che
il passaggio di informazione avviene solo se chi scrive sa ricordare,
collegare, prevedere, e tuttavia lasciarsi sorprendere e "modestamente"
tradurre il proprio stupore in racconto. E se il suo interrogare la realta'
si accompagna a una riflessione costante sul "come" narrarla, tenendo conto
del baratro geografico e culturale, che spesso separa cio' di cui egli/ella
scrive dai lettori ai quali la sua scrittura e' destinata.
In Iran, paese di cui non conosce la lingua, il polacco Kapuscinski sa di
essere inchiodato alla propria alterita', condannato a una sorta di
spaesamento. Ma proprio la non appartenenza, quel senso di disorientamento e
insieme di liberta' che si produce in noi quando ci spingiamo molto lontano
dal "nostro" mondo, possono - se uniti a una schietta passione per gli altri
e per le loro storie - trasformarsi in un formidabile strumento di lavoro.
Solo lo sguardo dell'osservatore "distante" puo' infatti appoggiarsi sulle
cose con l'acuta obliquita' che e' necessaria a vedere senza perdere di
vista se stessi.
*
"E' il potere", riflette ad esempio Kapuscinski, "a provocare la
rivoluzione". E, aprendo una delle sue tipiche parentesi riflessive cariche
di verita' e di humour, prosegue: "Inconsciamente, beninteso... La scelta
del momento in cui cio' accade e' il piu' grande enigma della Storia.
Perche' quel giorno e non un altro? Perche' e' un certo avvenimento e non un
altro a far precipitare le cose? Dopotutto, in passato il governo si e' reso
responsabile di abusi ben piu' gravi senza provocare la minima reazione.
'Che cosa ho fatto?', si chiede il sovrano, sgomento. 'Che cosa gli e' preso
tutt'a un tratto?'. Che cosa ha fatto? Ha abusato della pazienza della
gente. Ma dove sta il limite di questa pazienza? Come definirlo? Se anche si
tentasse di dare una risposta, essa varierebbe a seconda dei casi. La sola
cosa certa e' che i sovrani che conoscono l'esistenza di tale limite e lo
sanno rispettare possono sperare di conservare a lungo il potere. Ma i
sovrani di questo tipo non sono molti".
E subito dopo, coniugando il buon senso con un imbattibile spirito
d'osservazione, ecco la soluzione del mistero, o almeno di questo specifico
mistero: "Come ha fatto lo scia' a violare tale limite e a condannarsi con
le proprie mani? Attraverso un articolo di giornale. Il potere dovrebbe
sapere che una negligenza verbale puo' far crollare il piu' grande degli
imperi. Sembra averne coscienza, sembra vigilante, eppure a un certo punto
il suo istinto di conservazione lo tradisce e, fidandosi di se stesso e
sopravvalutando le proprie forze, finisce male per aver peccato díarroganza.
L'8 gennaio 1978 il giornale di regime "Etelat" pubblica un articolo che
attacca Khomeini. All'epoca, Khomeini stava facendo guerra allo scia'
dall'estero, dove viveva in esilio. Perseguitato dal despota, espulso dal
paese, Khomeini era l'idolo e la coscienza del popolo. Distruggere il suo
mito significava distruggere qualcosa di sacro, mandare in frantumi le
speranze degli umiliati e degli offesi. Tali erano precisamente le
intenzioni di quell'articolo.
Cosa bisogna scrivere per screditare un avversario? La cosa migliore e'
dimostrare che non e' uno dei nostri - che e' uno straniero. A tale fine si
crea la categoria della vera famiglia. Noi, voi e io, le autorita' e la
nazione, siamo una vera famiglia. Noi viviamo uniti, tra i nostri. Abbiamo
lo stesso tetto sulla testa, ci sediamo alla stessa tavola, sappiamo
intenderci, darci una mano tra di noi. Purtroppo, non siamo soli.
Tutt'intorno a noi vivono orde di sconosciuti, di immigrati, di stranieri
che vogliono turbare la nostra pace e installarsi in casa nostra. Che cos'e'
uno straniero? Innanzitutto e' un individuo peggiore di noi - e, al
contempo, e' un individuo pericoloso. Se si accontentasse di essere peggiore
e si limitasse a questo! Nient'affatto! Sconvolgera' le acque, fomentera' i
disordini, distruggera'. Lo straniero e' in agguato. E' la causa delle
vostre disgrazie. E da dove gli viene il suo potere? Dal fatto che dietro di
se' ha forze strane (straniere). Tali forze possono essere identificate o
meno; ma una cosa e' certa: sono potenti. O meglio sono potenti se le
prendiamo sotto gamba. Se, invece, non smettiamo di essere vigilanti e
continuiamo a lottare, avremo la meglio. Guardate Khomeini. Ecco uno
straniero. Suo nonno veniva dall'India, dunque chiediamoci: quali interessi
serve questo nipote di straniero?".
*
L'autore e' partito da una constatazione di ordine generale, paradossale e
sensata: "e' il potere a provocare la rivoluzione". Vale per l'Iran del
1979, come e' valso per la Francia del 1789 o per la Russia del 1917. E' una
legge storica universale. Solo che va ogni volta dimostrata. E lo storico (o
quello storico del presente che dovrebbe essere il giornalista) che voglia
riuscire a farlo deve saper individuare il microavvenimento che consuma una
volta per tutte la pazienza di un popolo, facendo capovolgere il vaso della
storia. Sono l'attenzione ai dettagli, alle minuzie apparentemente
insignificanti del quotidiano a fare la differenza: Kapuscinski arriva a
individuare nell'articolo di "Etelat" l'elemento scatenante della
rivoluzione, perche' per mesi ha prestato molta attenzione agli umori degli
uomini e delle donne della strada e non si e' mai affidato alle voci del
palazzo. Lo individua, perche' se lo aspetta. E se lo aspetta perche', se da
un lato conosce bene i giochi tutto sommato ripetitivi del potere,
dall'altro e' strutturalmente dalla parte di chi a esso con ogni mezzo e'
pronto a opporsi non appena gliene si presenti l'indiscutibile occasione.
"Una nazione schernita da un despota", commenta infatti, facendo
anticipatamente luce sui fondamentalismi a venire e invitandoci a guardare
al di la' delle apparenze, "umiliata, ridotta al rango di oggetto, cerca un
rifugio, un luogo dove riuscire a rintanarsi, murarsi, essere se stessa...
Ma una nazione intera non puo' migrare, essa dunque intraprende una
migrazione nel tempo invece che nello spazio. Di fronte alle afflizioni che
la opprimono e alle minacce del reale, fa ritorno a un passato che le sembra
un paradiso perduto. Ritrova la sicurezza in costumi cosi' vecchi, e di
conseguenza cosi' sacri, che il potere non osa combatterli. Ecco come si
spiega, sotto tutte le dittature, la progressiva rinascita di usanze e
costumi antichi, di simboli secolari - contro la volonta' della dittatura,
in opposizione ad essa... Piu' che di desiderio di rianimare l'universo
dimenticato degli avi, si potrebbe parlare di ripicca politica".

6. LE LITOTI DI STRAMBOTTO

Parlano ancora, sempre, gli assassini. Gli assassinati non possono piu'. Ed
alla logorrea che ancor sgocciola sangue almeno io non voglio dare ascolto.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1042 del 3 settembre 2005

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