[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1042
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1042
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 3 Sep 2005 00:16:18 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1042 del 3 settembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Da Bolzano un si' al referendum brasiliano contro le armi 2. Goffredo Fofi: L'inchiesta sociale in Italia e le sue diramazioni 3. Giulia D'Agnolo Vallan: Cindy Sheehan on the road 4. Dino Frisullo: Non "casi" ma persone. L'ultimo intervento sul "Regina Pacis" (2003) 5. Maria Nadotti presenta "Shah in Shah" di Ryszard Kapuscinski 6. Le litoti di Strambotto 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. DA BOLZANO UN SI' AL REFERENDUM BRASILIANO CONTRO LE ARMI [Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci inviato il seguente comunicato. Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna] E' partita da Bolzano la campagna italiana a sostegno del si' al referendum brasiliano che il 23 ottobre sottoporra' alla popolazione il quesito: "Volete che il commercio delle armi da fuoco e munizioni venga bandito in Brasile?". Bolzanini sono i tre missionari (Ermanno e Lino Allegri e Pierluigi Sartorel) che fanno da punti di riferimento dei movimenti di base brasiliani e bolzanino e' il Centro per la pace che sta sensibilizzando l'opinione pubblica italiana affinche' sostenga le aspirazione nonviolente del popolo latinoamericano. Ora la testimonianza dei missionari bolzanini che coordinano la campagna, e' richiesta anche alla sessione dell'Onu dei popoli che si tiene a Perugia come anticipazione della marcia Perugia-Assisi di domenica prossima. * Il primo settembre a Bolzano Lino Allegri - appena tornato da Fortaleza - ha presentato i motivi profondi che rendono il primo referendum brasiliano della storia (fino ad ora in Brasile non si era mai utilizzato questo strumento di democrazia) un momento importante per tutto il popolo della pace nel mondo. "Stiamo vivendo dentro un sistema di violenza terribile" ha spiegato Lino Allegri. "Vivo in Brasile da 35 anni, ma non ho mai visto una esplosione di violenza cosi' impressionante. Nel distretto dove viviamo noi sono state uccise quattro persone in una settimana e si calcola che ogni quindici minuti ci sia un morto ammazzato da armi da fuoco. Ragazzi di dodici, tredici anni girano per i marciapiedi con le pistole in tasca che noleggiano da poliziotti che se ne approfittano in un mercato davvero squallido. E' venuta l'ora di dire finalmente si' alla messa al bando del commercio delle armi". Allegri ha spiegato che il referendum del 23 ottobre e' uno sviluppo di una campagna da tempo varata dal presidente Lula per la consegna spontanea delle armi da parte della popolazione alle autorita' che provvedono a distruggerle. "Nell'arco di pochi mesi - ha detto Allegri - sono state consegnate quattrocentomila armi per un risarcimento di cento euro per arma". Se i "si'" referendari dovessero vincere, sarebbe un fatto importantissimo che aprirebbe le porte ad una riflessione su vasta scala in America Latina sulle ragioni del disarmo. La scadenza elettorale brasiliana e' rilevante anche in relazione alle campagne in corso in Italia in favore del disarmo e contro l'export delle armi italiane. Giorgio Beretta, che partecipa alle iniziative bolzanine di questi giorni ed e' uno dei maggiori studiosi del traffico d'armi dell'Italia con i Paesi del sud del mondo, denuncia: "Siamo secondi al mondo in fatto di export di armi leggere con interessi finanziari enormi. che coinvolgono anche molte banche". * Per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano per vietare il commercio delle armi, si puo' contattare Francesco Comina in Italia (e-mail: f.comina at ladige.it) e padre Ermanno Allegri in Brasile (sito: www.adital.org.br) 2. RIFLESSIONE. GOFFREDO FOFI: L'INCHIESTA SOCIALE IN ITALIA E LE SUE DIRAMAZIONI [Da "Lo straniero", n. 62/63, agosto-settembre 2005 (sito: www.lostraniero.net). Goffredo Fofi, nato a Gubbio nel 1937, ha lavorato in campo pedagogico e sociale collaborando a rilevanti esperienze. Si e' occupato anche di critica letteraria e cinematografica. Tra le sue intraprese anche riviste come "Linea d'ombra", "La terra vista dalla luna" e "Lo straniero". Per sua iniziativa o ispirazione le Edizioni Linea d'ombra, la collana Piccola Biblioteca Morale delle Edizioni e/o, L'ancora del Mediterraneo, hanno rimesso in circolazione testi fondamentali della riflessione morale e della ricerca e testimonianza nonviolenta purtroppo sepolti dall'editoria - diciamo cosi' - maggiore. Opere di Goffredo Fofi: tra i molti suoi volumi segnaliamo particolarmente almeno L'immigrazione meridionale a Torino (1964), e Pasqua di maggio (1989). Tra le pubblicazioni degli ultimi decenni segnaliamo ad esempio: con Tony Thomas, Marlon Brando, Gremese, 1982; con Franca Faldini, Toto', Pironti, Napoli 1987; Pasqua di maggio. Un diario pessimista, Marietti, Casale Monferrato 1988; con P. Polito, L'utopia concreta di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1988; Prima il pane, e/o, Roma 1990; Storie di treno, L'Obliquo, 1990; Benche' giovani. Crescere alla fine del secolo, e/o, Roma 1993; Strana gente. 1960: un diario tra Sud e Nord, Donzelli, Roma 1993; La vera storia di Peter Pan e altre storie per film (1968-1977), e/o, Roma 1994; Piu' stelle che in cielo. Il libro degli attori e delle attrici, e/o, Roma 1995; Come in uno specchio. I grandi registi del cinema, Donzelli, Roma 1995; Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani, Donzelli, Roma 1996; con Gad Lerner e Michele Serra, Maledetti giornalisti, e/o, Roma 1997; Sotto l'Ulivo. Politica e cultura negli anni '90, Minimum Fax, 1998; Un secolo con Toto', Dante & Descartes, Napoli 1998; Le nozze coi fichi secchi, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 1999; con Gianni Volpi, Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Lindau, 1999; con Stefano Benni, Leggere, scrivere, disobbedire. Conversazione, Minimum Fax, 1999; con Franca Faldini, Toto'. L'uomo e la maschera, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2000; con Stefano Cardone, Intoccabili, Silvana, 2003; Paolo Benvenuti, Falsopiano, 2003; con Ferruccio Giromini, Santosuosso, Cooper e Castelvecchi, 2003; Alberto Sordi, Mondadori, Milano 2004; con Giovanni Da Campo e Claudio G. Fava., Simenon, l'uomo nudo, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2004; con Franca Faldini, Toto'. Storia di un buffone serissimo, Mondadori, Milano 2004; Circo equestre za-bum. Dizionario di stranezze, Cargo, 2005. Opere su Goffredo Fofi: non conosciamo volumi a lui dedicati, ma si veda almeno il ritratto che ne ha fatto Grazia Cherchi, ora alle pp. 252-255 di Eadem, Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrinelli)] Le osservazioni che seguono sono una ricostruzione "a memoria", la testimonianza di uno spettatore/lettore e non la riflessione di uno studioso. Il punto di vista e' dunque molto personale, non so quanto attendibile scientificamente. Sono state presentate al convegno tenuto a Mestre il 19 novembre scorso. * Alla caduta del fascismo, l'Italia era tutta da scoprire e da raccontare. Se ne incarico' il cinema, soprattutto, con opere egregie, e il neorealismo riusci' spesso a dare, con le sue storie di reduci, di disoccupati, di contadini, di marginali, di donne (mogli o prostitute, ma per la prima volta o quasi protagoniste di vicende socialmente significative), di bambini; piu' raramente di operai, di borghesi, di emigranti. Nell'insieme un'immagine del "popolo" attendibile piu' e quanto di quella data dalla nostra letteratura realista a cavallo tra Otto e Novecento. La letteratura segui' con qualche affanno e con dispendio di retorica. La forza dell'immagine era maggiore di quella della parola, e impose ai cineasti una sorta di spontaneita' che i letterati faticavano a trovare. Il giornalismo servi' da tramite e rimedio, e la scoperta dell'Italia comincio' per molti dalle inchieste dei quotidiani, che erano spesso lunghe e duravano molte puntate, sia nel caso dei quotidiani che dei settimanali, producendo anche negli anni cinquanta, e a maggior ragione nelle mutazioni dei sessanta, moltissimi reportages di qualita'. Piu' interessanti, infine, erano le inchieste dei giornali "borghesi" che non quelle, predeterminate sulla denuncia, di quelli di sinistra, con l'eccezione dell'"Avanti" e piu' tardi delle piccole edizioni che da questa testata prendevano il nome, dirette da Gianni Bosio. * Nell'editoria, la laica Laterza fu certo piu' presente di Einaudi, che entro' in campo molto piu' tardi, ma cui si dovette il libro chiave dei primi anni, il "Cristo" di Carlo Levi, la cui lettura fu fondamentale per molte vocazioni (fondamentale persino piu' di quella di "Fontamara", edito infine in italiano). Con la collana dei "Libri del tempo" - pamphlet, saggi e inchieste centrati sull'Italia e i suoi problemi piu' aperti, in cui pubblicarono Rossi, Calamandrei, Calogero, Battaglia eccetera - Laterza infranse a suo modo il tabu' crociano sulla sociologia, che sul piano scientifico fu aggredito a Nord da Pizzorno e a Sud, in rapporto al mondo contadino, e con molto maggior peso politico, da Rossi-Doria e dal suo gruppo, primi tra tutti Scotellaro e Marselli. Essi seppero apprendere tutto cio' che loro mancava dagli americani venuti a studiare il Sud, che i comunisti si ostinarono per anni a considerare servi o agenti della Cia - Friedman, Peck, Banfield e altri ancora (vedi "L'osservazione partecipata" di Franco Vitelli, Edisud 1989). Tornando a Einaudi, il primo tentativo di una collana di inchieste e saggi di impostazione sociologica o antropologica in ottica bensi' politica lo si deve a Raniero Panzieri, nei primi anni sessanta, con "La nuova societa'", una collana di breve durata in cui avrebbe dovuto apparire anche il mio "L'immigrazione meridionale a Torino". I "Libri del tempo" laterziani avevano spesso delle consonanze con "Il mondo", la rivista di Pannunzio su cui "inchiestavano" a loro modo, girando l'Italia per quella e altre testate, scrittori come la Ortese e Arbasino e Giovanni Russo o la dimenticata Anna Garofalo che raccolse i suoi lavori in "Cittadini si' e no" (edizioni Silva, quelle di "Se questo e' un uomo", delle "Memorie" di Serge e del primissimo Dolci) e con "L'italiana in Italia" (Laterza). La Garofalo fu certamente di modello alle giornaliste piu' giovani di lei, come la Cederna o la Tornabuoni. Le inchieste del "Mondo" narravano piu' il costume che l'economia e il lavoro, ma furono fondamentali nella perlustrazione di un paese ancora poco conosciuto, e non avevano i veli dell'ideologia. Erano accompagnate da foto altrettanto rivelatrici, scelte con accorta perizia da Ennio Flaiano. Per rimanere sul fronte giornalistico, mai piu' cosi' coinvolto nel rapporto con la letteratura, e' doveroso ricordare che per molti lettori "borghesi" e piccolo borghesi la "scoperta dell'Italia" avvenne per il tramite del piu' famoso "Viaggio in Italia" del dopoguerra, nel pieno dei cinquanta e gia' a ridosso del "boom": quello di Guido Piovene per "Epoca", poi raccolto in volume con immediato successo. E dopo "Il mondo", "L'espresso": con Cancogni, anzitutto, e una fitta schiera di giovani giornalisti che si scatenarono nella denuncia del malcostume e dei ritardi del paese, talora e poi sempre piu' spesso con un piglio effettistico e superficiale di cui risentira' soprattutto la direzione di Scalfari (e i suoi giornali fino ai nostri giorni). Piu' efficace e autenticamente "laica" se pur "borghese" fu l'azione del "Giorno" di Baldacci da Milano, con autori quali Bocca, la Cederna, Umberto Segre e tanti altri che furono dentro giorno per giorno agli anni e ai fatti del "boom". Nulla di nuovo, si dira', poiche' i giornalisti da sempre hanno "fatto inchiesta". Ma va ricordato che per vent'anni questo era stato impossibile, e va fatto il paragone con i giornali di oggi, e la loro miseria. * Sul fronte editoriale, si osserva con una certa delusione la quasi assenza di inchieste nel catalogo di Comunita', la casa editrice di Adriano Olivetti, che pure pubblico' "l'inchiesta operaia" della Weil e stimolo' un intenso lavoro sociale attraverso, per esempio, una scuola da lui finanziata, il Cepas di Roma diretta da Guido Calogero, che formava assistenti sociali e "operatori di comunita'" attorno a personaggi come Angela Zucconi, Paolo Volponi, Adriano Ossicini e altri, e pubblico' nella sua rivista "Centro sociale", diretta da Anna Maria Levi, molte inchieste importanti, per esempio su Matera, dove l'esperienza del villaggio-modello di La Martella stimolata da Olivetti produsse numerose inchieste specifiche, economiche sociali urbanistiche. Se dovessi pero' indicare la fucina, o il riferimento per inchiestatori piu' arditi, dovrei senz'altro ricordare la rivista "Nuovi argomenti" e la figura del suo primo direttore, Alberto Carocci, un letterato che teneva a pubblicare alla fine di ogni fascicolo della rivista un'inchiesta significativa. Vi uscirono - in anticipo sugli editori di libri - le inchieste di Cagnetta su Orgosolo, di Dolci su Partinico e su Palermo, di Bianciardi e Cassola sui minatori di Maremma, di De Martino sulla Lucania, e se non erro perfino le prime "Autobiografie della leggera" di Danilo Montaldi, che fu al centro di numerose iniziative di inchiesta a Cremona (e Piadena) e che, negli anni del "miracolo", scrisse un acuto saggio di prefazione alle storie di vita di "Milano, Corea" di Franco Alasia, che veniva dal lavoro con Danilo Dolci. * Proprio Montaldi fu con Nuto Revelli e piu' tardi con Bianca Guidetti Serra tra i veri iniziatori di quella "storia orale" che doveva crescere in seguito grazie a giovani studiosi di formazione anglosassone; e tra la storia orale e l'inchiesta, nel caso degli autori citati, la diversita' era scarsa, le acquisizioni di metodo comuni. A chiudere l'esperienza di "Nuovi Argomenti" fu forse l'inchiesta piu' ambiziosa di tutte, che finalmente riportava l'attenzione sulla classe operaia e sul maggior centro del potere italiano, l'"Inchiesta alla Fiat" coordinata da Giampiero Carocci, figlio di Alberto, e che coinvolse alcuni dei futuri fondatori dei "Quaderni rossi" preparandoli ai futuri lavori dell'inchiesta operaia. * C'e' una discussione che e' interessante ricordare, nata all'interno del lavoro sociale del Cepas e altrove in rapporto a interventi concreti sul campo: l'inchiesta come preparazione all'intervento ma anche, si diceva allora, come "con-ricerca" o come "inchiesta partecipata": una forma di inchiesta, insomma, che coinvolgesse direttamente gli inchiestati e che mirasse a renderli piu' coscienti delle proprie condizioni, e soprattutto li aiutasse a cercare insieme agli operatori sociali (inchiestatori ma anche assistenti sociali, secondo i modi di una professione che era, allora, ben diversa da quella di oggi). Mi colpi' molto, personalmente, avvertire a Torino, nell'ambito dei "Quaderni rossi", cosi' diverso da quello del Cepas, una stessa preoccupazione. Ridestare, conoscere, per intervenire meglio, piu' efficacemente, insieme. Voglio ricordare anche un breve articolo di Maria Calogero su "Centro sociale" che si chiamava "La piccola inchiesta non trasferibile" e consigliava in sostanza all'operatore di tenere gli occhi bene aperti sulla realta' immediata e anche minima in cui viveva e agiva, per capire i suoi meccanismi, cio' che sta dietro le apparenze. Valeva per il vicinato come per il posto di lavoro, e dal particolare al generale il passo finiva per essere breve. Anche in questo si potevano udire echi di un dibattito statunitense che accomunava gli operatori sociali piu' avanzati - diciamo di scuola deweyana: educazione, intervento sociale, democrazia, e soprattutto, democrazia "dal basso", e quel "dal basso" era diventato in Italia, in molte esperienze, una formula quasi sacra (e talvolta sembra esserlo ancora, con un eccesso di fiducia nelle virtu' del basso) ma anche di scuola sociologica alla Wright Mills, quella della "immaginazione sociologica" e della contestazione della macro e micro sociologia d'impostazione accademica. (Una versione di nuovo ideologica e di eccessiva fiducia nelle virtu' dell'inchiesta sara' nel '68 quella trentina di Gilli). * Questo apprendimento quotidiano alla "piccola inchiesta non trasferibile", alla "immaginazione sociologica" e al legame tra inchiesta e intervento e' forse l'insegnamento piu' vivo di quegli anni, in vari ambiti e campi, e se gia' negli anni del boom venne travolto da una certa euforia giornalistica (che dette pero' anche ottime inchieste utili alla comprensione della mutazione mentre essa era in atto), e se uscirono ancora buone opere letterarie legate ai temi dell'inchiesta, come "Donnarumma all'assalto" di Ottieri e certi squarci narrativi o di riflessione di Pasolini, di Bianciardi, dello stesso Calvino e di molti altri (e nel cinema ci furono esempi di commistione appassionanti, da un certo Fellini a De Seta, da Pasolini a Olmi, da Rosi a Gregoretti eccetera), tra i primi sessanta e il sessantotto decaddero molte cose e si affievolirono molte tensioni. * Una data si puo' azzardarla sulla scia degli studi di Guido Crainz sul "paese mancato" editi da Donzelli - Crainz e' forse il primo storico ad aver usato adeguatamente molti dei materiali che ho ricordato - ed e' il 1963, anno del fallimento del centrosinistra e del revanscismo di una ottusa o criminale classe dirigente cui rispondera' - piu' che "inventare il nuovo" come allora ci parve - proprio il '68. E se il libro chiave del '68 doveva essere non un testo politico della sinistra, significativamente, ma la denuncia di un prete sul classismo della nostra scuola, e' curioso anche che, ignorata a sinistra, un'inchiesta esemplare - attiva, sul campo, di comunita', per cambiare, di con-ricerca - fosse venuta anni prima proprio da don Milani, quando ancora non era stato esiliato a Barbiana, "Esperienze pastorali". * Lasciando da parte la trascurabile retorica dell'"inchiesta maoista" il '68, nel campo delle inchieste, dette perlopiu' delle denunce; lascio' cadere di fatto le ipotesi di con-ricerca, scelse di richiamare con forza l'attenzione su casi terribili di ingiustizia (i manicomi, le carceri, la droga, la scuola, gli orfanatrofi, le fabbriche, e insomma il malessere sociale del paese nelle sue forme piu' nascoste e piu' estreme), la denuncia fu spesso la premessa a interventi politici di riforma, ma la piu' grave non ha avuto ancora seguito: quella sulla Strage di Stato, e l'inchiesta "La strage di Stato" fu il punto centrale dell'ideologia di quella corrente di "contro-informazione" che ebbe corso per molti anni. Insomma, il '68 lascio' al Censis e ad altri centri studi consimili e ufficiali (o a professori universitari alla Paci o Donolo, eccetera) l'onere e il merito di indagare le mutazioni economiche e sociali in molte parti d'Italia, svolgendo spesso una funzione culturale e politica molto rilevante. * Tutto questo implicava la speranza nella vittoria della "rivoluzione" o di un riformismo eticamente radicale e, in ogni caso, la crescita della coscienza civile del paese o della sua classe dirigente, e la fiducia in nuovi meccanismi democratici. Ma, come sappiamo, sia la democrazia che la politica sono precipitati in una sorta di parodia mediatica che lascia ben poco spazio ad acquisizioni solide, a movimenti duraturi, a interventi non di facciata ma di profondita'. Con la politica e la democrazia, la decadenza piu' vistosa e' oggi quella dei media, di tutti i media; l'inchiesta e' cosi' diventata scoop, e lo scoop un fine in se', mentre la grande quantita' di tesi di laurea che sono inchieste lascia il tempo che trova, non essendo finalizzata ad alcunche'. Nella grande diffusione dell'inchiesta, giornalistica e politica e scientifica, oggi e' ben difficile che si rintraccino opere che lascino il segno. Citerei la trasmissione televisiva "Report", l'unica rimasta degna di nota e di rispetto, qualcosa da "Diario", un tempo, o rare inchieste su giornali soprattutto marginali e locali e non i maggiori, e naturalmente dei libri, a volte semplici dilatazioni o messe a punto di tesi di laurea, ma a volte animose perlustrazioni su temi scottanti attuate da giovani operatori o da gruppi legati al cosiddetto volontariato e alle sue organizzazioni piu' forti. * I titoli e gli autori di vero rilievo sono pochi, ed e' peraltro molto difficile orientarsi in una produzione tanto vasta quanto effimera e gridata. Importa l'effetto, la risonanza immediata di un "caso"; o importa, sull'altro versante, la carriera universitaria. Importa la "comunicazione" e non la conoscenza o la comprensione ai fini del cambiamento. Tra le eccezioni, e' importante segnalare una letteratura appena ora emergente, che di fronte a una valanga di "nomi" che pretendono di scoprire il paese nascosto raccontando storielle "gialle", sta faticosamente cercando di annodare o di riannodare invenzione e inchiesta, racconto e anche denuncia, ma nel senso piu' alto e ambizioso della parola. Cito i primi nomi che mi vengono in mente: Lagioia, Pascale, Braucci, eccetera. Si ricomincia, forse, cercando di tirarsi fuori dal magma nefasto della decadenza giornalistica, politica, universitaria. Una vitalita' maggiore e' riscontrabile, pur nella confusione, nel documentario cinematografico e video, indipendenti, cui molti si sono dedicati in passato e i nuovi arrivati si dedicano oggi con entusiasmo. * Il bisogno di inchiesta non puo' essere coperto dalla letteratura e dal giornalismo, e tantomeno dall'universita': esso ha bisogno di ricerche che partano dallo studio della realta' per cercare i modi di cambiarla e che leghino tra loro la conoscenza dei problemi con la volonta' di intervenirvi e con l'individuazione dei modi migliori per farlo. Su questo punto, mi pare che non si possa chiedere alla letteratura piu' di quanto non debba e possa dare (e forse neanche al giornalismo, neanche all'universita'), ma che ci si debba rivolgere a figure nuove (e finora rarissime) di militanti dentro il disordine e l'ambiguita' attuali della militanza - di militanti dell'educazione e della trasformazione, della cultura, della politica, dei movimenti. Un esempio, tra pochi o pochissimi, che cerca di impostare un discorso metodologico gia' di questo tipo, puo' essere quello delle inchieste di Alessandro Leogrande sulla Puglia (e piu' in generale sull'Adriatico) tra politica, economia legale ed economia criminale, immigrazione, marginalita'. * Per finire, mi sovviene una lettera di Aldo Capitini, del 1961 o giu' di li', nella quale egli irrideva alla mia difesa dell'inchiesta: tutti fanno inchiesta, e nessuno lavora per cambiare concretamente le cose, egli mi diceva. Quel monito e' stato per me decisivo. Anche l'inchiesta puo' essere un alibi al non fare, invece che un aiuto, come dovrebbe essere, al "ben fare". 3. AMERICA. GIULIA D'AGNOLO VALLAN: CINDY SHEEHAN ON THE ROAD [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo settembre 2005. Giulia D'Agnolo Vallan dopo la laurea in lettere e filosofia a Torino ha frequentato il Master program presso la Film and Television School della Tisch School of the Arts della New York University, citta' nella quale vive e lavora come giornalista ed operatrice culturale; collabora con varie testate ed ha curato varie rassegne cinematografiche per importanti festival del cinema. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; dal 6 agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio] Bush abbandona le vacanze e corre a Washington per occuparsi delle conseguenze dell'uragano Katrina. Sollecitato dagli appelli dei governatori degli stati colpiti dall'uragano che, in vista delle elezioni del prossimo anno, esigono di essere ritratti al fianco di un presidente attivo, ha gia' annunciato un suo viaggio nelle zone disastrate. Ma il fantasma della photo opportunity che il presidente americano rifiuta di concedere da tre settimane, per sua sfortuna, non rimarra' sepolto nella polvere texana, davanti ai cancelli sbarrati del suo ranch. Da ieri, Cindy Sheehan e' on the road. La donna che ha dato nuova visibilita' e nuova forza al movimento contro la guerra partecipera' a un tour di autobus che attraversera' i maggiori distretti congressuali e confluira' a Washington, il 21 settembre prossimo -in tempo per la grande manifestazione contro la guerra indetta, tra il 24 e il 26 del mese, dall'organizzazione ombrello United for Peace and Justice. L'obiettivo del tour e' quello di portare nel resto del paese la causa di Sheenan. Ma soprattutto, di creare una mobilitazione di forze sufficiente a scuotere l'inerzia del Congresso. In una lettera indirizzata a tutti i membri della Camera e del Senato in cui chiede che la si incontri, la signora ha infatti scritto: "Il presidente non ha voluto vedermi ma con voi non puo' fare la stessa cosa: deve prestarvi attenzione". * Intanto, da un sondaggio congiunto di "Washington Post" e "Abc News" arrivano nuovi minimi storici degli indici di gradimento di Bush: tasso di approvazione solo 45%; gli americani secondo cui la guerra non valeva la pena sono il 53%, un 68% trova il numero dei caduti inaccettabile e il 57% disapprova come il presidente sta affrontando il problema. Il 38% pensa letteralmente che si stia perdendo la guerra. Ed e' peggio ancora sul fronte del petrolio (crisi che dopo Katrina puo' solo peggiorare): il 73% degli americani pensa che in materia (e dovrebbe essere proprio la sua...) Bush stia facendo un pessimo lavoro. Con cifre cosi' c'e' da pensare che, specialmente tra i democratici, molti siano pronti a saltare sui bus di Cindy. E, in effetti, qualche giorno dopo l'inizio del suo assedio al ranch di Crawford, la vecchia volpe dei conservatori Pat Buchanan aveva predetto che sarebbe stata questione di giorni prima che un uomo politico facesse di Cindy e Casey Sheehan il suo cavallo di battaglia. Era l'immagine che bucava lo schermo nel film di Michael Moore: una mamma sola contro la Casa Bianca, roba da mezzogiorno di fuoco. E, per tornare al discorso di sopra, una photo opportunity fantastica. Probabilmente Buchanan si sta ancora grattando la testa visto che l'establishment democratico nelle scorse settimane ha fatto tutt'altro. Ma come e' possibile che una donna astuta ed eloquente come Hillary Clinton tema che una visita a Sheehan potrebbe trasformarla istantaneamente in Hanoi Jane? Certo, l'uragano e' una causa meno esplosiva. * Nel suo editoriale di domenica sul "New York Times", Frank Rich parlava di "vietnamizzazione della vacanza di Bush", non solo perche' persino il senatore repubblicano Chuck Hegel ha citato paragoni tra la guerra in Iraq e quella (persa) in Indocina. Henry Kissinger e' di nuovo nei talk show e ci vuole un politico dell'era del Vietnam come Gary Hart per avere il coraggio di dire che i democratici oggi sono dei codardi perche' non vogliono ammettere di aver sbagliato a votare per la guerra. Esattamente in questi giorni, un anno fa, al festival cinematografico di Toronto (che aprira' giovedi' 8 settembre) la cosa piu' notevole di Going Upriver (un documentario su John Kerry e il Vietnam) era la visibilissima presenza di importanti uomini politici tra le migliaia di pacifisti che assediarono la Casa Bianca in una manifestazione durata giorni e giorni. Come si vede anche nel film, fu proprio il senatore democratico William Fulbright a condurre udienze sulla guerra, trasmesse live in tv. Gia' l'anno scorso, l'invisibilta' (Kerry compreso) dei democratici al fianco dei pacifisti era accecante. Oggi e' diventata inguardabile. Queste le parole di Fulbright sulle udienze: "Secondo il nostro sistema, il Congresso, e ancora di piu' il Senato, condivide con il presidente la responsabilita' di prendere le decisioni in fatto di politica estera. Ma questa guerra e' cominciata... come una guerra del presidente in cui il Congresso, a partire dall'episodio fraudolento del golfo del Tonchino, non ha giocato un ruolo significativo". Quelle udienze furono importantissime per determinare la svolta. Togli Tonchino e metti "armi di distruzione di massa" e il discorso e' scritto. Sheehan e i suoi sostenitori lo sanno: ed e' per quello si sono inventati un sit in su ruote. 4. DIRITTI NEGATI. DINO FRISULLO: NON "CASI" MA PERSONE. L'ULTIMO INTERVENTO SUL "REGINA PACIS" (2003) [Dal sito www.stefanomencherini.org riprendiamo questo intervento di Dino Frisullo, scritto il 25 aprile 2003 sul letto d'ospedale in occasione di un convegno sui "Centri di permanenza temporanea" che si tenne a Lecce. Stefano Mencherini, dal cui sito abbiamo estratto il testo che segue, e' un giornalista free lance e regista della Rai che ha realizzato un film, "Mare nostrum", sui "Centri di permanenza temporanea" (in sigla: Cpt) ed e' impegnato per la loro abolizione. Dino Frisullo (1952-2003), impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, fondatore delle associazioni "Senzaconfine" e "Azad", per il suo impegno di solidarieta' con il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto il 6 giugno 2003 nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; Se questa e' Europa, Odradek, Roma 1999; postumo e' apparso Sherildan, La citta' del sole, Napoli 2003. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nei nn. 577 e 1008 di questo foglio] Comunque si concluda la duplice indagine giudiziaria per malversazioni e lesioni sul centro Regina Pacis, sara' ben difficile che qualcuno riproponga quest'esperienza a modello per fantasiosi premi Nobel per l'accoglienza, dopo che si sono levati i veli che ne occultavano il cinico funzionamento da istituzione totale. Non sono bastati gli anatemi di Fitto e dei politici salentini sugli antirazzisti "mistificatori, intolleranti, destabilizzatori delle strutture civili e religiose", ne' la difesa d'ufficio di Mantovano in parlamento. E non bastera' neppure il silenzio ipocrita di quella parte dell'attuale opposizione che condivide, e a quanto pare non rinnega, la responsabilita' della passata canonizzazione di mons. Ruppi e della sua creatura. Dalla meta' degli anni '90, in totale solitudine, la Rete antirazzista a livello nazionale e poche strutture in Puglia, come il Comitato diritti degli immigrati e il circolo Iqbal Masih a Lecce e gli Osservatori di Brindisi e di Bari, avanzavano dubbi sugli enfatici allarmi, le invocazioni a "solidarieta' e fermezza", le grida d'invasione e le pelose premure di mons. Ruppi sull'immigrazione. Uno strano mix, le cui ambiguita' pian piano si sono sciolte nel senso della logica custodiale e speculativa. E' stato illuminante per me scoprire, in un documento degli antirazzisti pugliesi, la presenza di don Cesare Lodeserto, per la potente Curia salentina, al convegno convocato a Parigi da mons. Lustiger... per teorizzare la gestione religiosa dei centri di detenzione in Europa e di quelli di "contenimento" oltre le frontiere comunitarie. Che e' esattamente cio' che Ruppi ha realizzato in Salento e, in parallelo, in Moldavia. Da molti punti di vista e' stata e rimane esemplare e paradigmatica l'esperienza del Regina Pacis, il primo Cpt in Italia e tuttora il piu' grande. Ma non da solo. Ha guidato l'involuzione della catena dei centri d'accoglienza pugliesi, un tempo luoghi di sperimentazione aperta e ospitale, fino a farsi gangli della logistica scientifica del concentramento e della deportazione. In un territorio militarizzato ben prima del "Piano di allerta e reazione rapida" varato in novembre nel Castello di Lecce, su coste trasformate in cimiteri marini dalle mafie e dal proibizionismo, i centri pugliesi sono stati e sono il laboratorio dell'appalto della custodia al "privato sociale", della gestione allegra delle relative convenzioni e appalti grazie allo "stato d'emergenza" (finche' poi i bubboni scoppiano, come per il centro Lorizzonte), della detenzione dei richiedenti asilo e dei nuovi arrivati in centri "spuri" d'accoglienza o d'identificazione, della successiva dispersione sul territorio italiano ed europeo di decine di migliaia di poveri cristi. Ciascuno dei quali ha fruttato pero' milioni ai suoi "tutori". Ma la sperimentazione principale, preziosa per i governi europei dopo le decisioni della Unione Europea sul "contenimento" dei profughi di guerra e sul "forced return" dei migranti, e' quella operata con le deportazioni di massa. Ricordo quando apprendemmo con orrore che nell'agosto 2001 dodici kurdi erano stati riconsegnati dal Regina Pacis, via Malpensa, ai loro torturatori turchi. Nella primavera successiva riuscimmo a fermare il rimpatrio di altri cento kurdi, ma non di sessanta srilankesi respinti nell'inferno della guerra civile. Ma quante altre vite sono passate dai centri di Lecce, Foggia, Bari e Brindisi per essere aggregate in un charter o su un traghetto e rispedite indietro, in violazione di leggi e convenzioni e spesso nel totale disprezzo del diritto alla vita? Di questi destini non decidono piu' i gestori dei centri, ridotti, cattolici o laici che siano, a passacarte del Dipartimento di Ps. Costretti, per non rinunciare alle prebende del governo, a riempire e svuotare i loro centri a comando di polizia, senza alcun rapporto con il territorio pugliese ma con l'andamento nazionale di sbarchi e rastrellamenti metropolitani, del mercato del lavoro. E, fuori, delle guerre. Questo gioco e' stato infranto. Oggi l'intera struttura dei centri pugliesi e' sotto accusa, come quelli siciliani, anche se le istituzioni pugliesi si schierano compattamente a difesa mentre la Regione Sicilia promuove un'indagine conoscitiva. Credo di poter dire che il merito e' stato della tenacia con cui, forti dell'esperienza del movimento nazionale e internazionale contro la globalizzazione economica, i Social forum e gli antirazzisti leccesi e pugliesi hanno saputo uscire dalla logica della sporadica denuncia e dell'invettiva, e mettersi in contatto vero con le persone recluse. Penso alle visite al Regina Pacis e a Lorizzonte, a Bari Palese o a Borgo Mezzanone, e prima e dopo, alla conquista degli ingressi periodici con medici e avvocati, al blocco dei rimpatri e delle ritorsioni, al sostegno a chi ha sporto denuncia ed a chi ha chiesto asilo politico, alla ricostruzione delle loro storie, alla costruzione di un rapporto di fiducia e d'amicizia che inevitabilmente si trasferisce poi alla popolazione. Per parlare solo del Regina Pacis, senza questa continuita' di relazione umana quasi sessanta pakistani del Kashmir sarebbero rimpatriati e non liberi, e quattordici maghrebini pestati non avrebbero potuto chiedere giustizia di la' dal mare. E senza la stessa tenacia, a Brindisi le famiglie dei superstiti della Kater i Radesh non avrebbero retto fino ad oggi un processo farsa, e centinaia di asilanti non sarebbero usciti da soli dalle roulotte degli aeroporti di Foggia e di Bari. Come a Trapani, dove la stessa caparbieta' ha consentito che non si perda ancora la memoria umana e giudiziaria della strage del '99. Non numeri e nemmeno "casi", ma persone. E' in loro nome che avevamo il diritto di presidiare, quella notte, il Duomo di Lecce. Nel nome di Cristo "condannato a morte per sedizione", come scrisse il Social forum barese. Di quel Cristo in cui, credenti o no, ci potremmo riconoscere tutti noi e soprattutto tutti gli esclusi, i reclusi, gli offesi. Non coloro che li offendono e li recludono. 5. LIBRI. MARIA NADOTTI PRESENTA "SHAH IN SHAH" DI RYSZARD KAPUSCINSKI [Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 18, ottobre 2001 (sito: www.lostraniero.net) riprendiamo il seguente articolo. Maria Nadotti, giornalista, saggista, traduttrice, consulente editoriale, scrive di teatro, cinema, arte e cultura per molte testate italiane e straniere, ed ha promosso varie attivita' culturali e di solidarieta'. Tra le opere di Maria Nadotti: Silenzio = morte. Gli Usa nel tempo dell'Aids, Anabasi, 1994; Nata due volte, il Saggiatore, Milano 1995; Cassandra non abita piu' qui, La Tartaruga, Milano 1996; Sesso & Genere, il Saggiatore, Milano 1996; Scrivere al buio, La Tartaruga, Milano 1998. Con traduzioni, interviste, curatele delle edizioni italiane, ha dato un utilissimo contributo a far conoscere autori ed autrici, opere e tematiche, di fondamentale importanza. Ryszard Kapuscinski e' un illustre scrittore e giornalista polacco. Riportiamo la motivazione dell'attribuzione del Premio Grinzane Cavour per la Lettura 2003 a Ryszard Kapuscinski: "Grande maestro di giornalismo, Ryszard Kapuscinski, nato a Pinsk nella Polonia orientale nel 1932, ha lavorato come corrispondente estero dell'Agenzia di stampa polacca Pap fino all'inizio degli anni '80. Viaggiatore instancabile, curioso e partecipe testimone dei destini dei diseredati in Africa e in America Latina, Kapuscinski ha scritto numerosi libri-reportage che sono diventati veri e propri classici del genere, una 'straordinaria mistura di arte e reportage', come ebbe a dire Salman Rushdie. La sua penna mette a fuoco con estrema lucidita' fin dagli anni '60 la complessita' del continente africano, registrando fenomeni politici e culturali, contraddizioni e tragedie umane, in un'epoca in cui l'Occidente guardava con preoccupazione all'Africa per l'incognita rappresentata da 300 milioni di individui in procinto di entrare nel panorama politico mondiale. Storia e drammatica quotidianita' si mescolano felicemente nelle sue pagine, in opere come Il Negus (1982), La prima guerra del football e altre guerre di poveri (1990) fino al piu' recente Ebano (2000, Premio Viareggio-Repaci), raccolta di articoli che riassumono quarant'anni di esperienza come inviato nei paesi africani. La sua e' l' Africa dei dannati della terra, vissuta con i poveri delle bidonville, i contadini della savana, i camionisti del Sahara. Kapuscinski esula da ogni forma di colore od esotismo locali: vuole andare alla radice dei fatti, individuare le leggi, vecchie e nuove che li governano. E' l'ottica che lo guida anche altrove: ad esempio in un testo di grande successo come Shah-in-Shah (1982) che narra un momento cruciale della storia dell' Iran tra la fine della monarchia sanguinaria di Reza Pahlevi e l'avvento religioso di Khomeini nel 1979. Anche il tramonto e il dissolvimento dell' Unione sovietica e' diventato con Imperium (1994), un libro di intensa ed efficace testimonianza. Perche' gli eventi, grandi o piccoli che siano, rappresentano per Kapuscinski l'occasione per vivisezionare, con il tratto felice e disinvolto dello scrittore, storia, politica e societa' di un paese. Cittadino del mondo, portavoce delle minoranze, Kapuscinski ha saputo conciliare curiosita' e responsabilita' morale, impegno e vivacita' di scrittura in nome di coloro per i quali e' data la speranza, perche', come disse una volta Walter Benjamin, non ne conoscono alcuna". Opere di Ryszard Kapuscinski: in edizione italiana cfr. La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, poi Feltrinelli; Shah-in-Shah, Feltrinelli; Il Negus, splendori e miserie di un autocrate, Feltrinelli; Imperium, Feltrinelli; Lapidarium, Feltrinelli; Ebano, Feltrinelli. Cfr. anche il libro di interviste e colloqui (a cura di Maria Nadotti), Il cinico non e' adatto a questo mestiere. Conversazioni sul buon giornalismo, e/o, Roma 2002] Iran 1980. Chiuso in una camera d'albergo a Teheran, Ryszard Kapuscinski, all'epoca inviato dell'agenzia di stampa polacca, cerca di spiegarsi cosa abbia provocato il crollo - all'apparenza repentino - del regime dispotico dell'ultimo monarca persiano e cosa abbia assicurato, proprio in quel momento, il successo del movimento rivoluzionario sciita. Sul suo tavolo ci sono un pugno di fotografie, gli appunti degli ultimi mesi e la trascrizione di una serie di conversazioni svoltesi nei due anni precedenti. Si tratta di provare a rimettere al loro posto le schegge di un discorso sul potere e sulle sue alterne vicende. Ovviamente andando al di la' delle interpretazioni ufficiali e dei comunicati stampa di regime o dei proclami rivoluzionari. Ovviamente senza accontentarsi di ricostruire la muta catena degli eventi. Shah in Shah (1982), pubblicato ora in Italia da Feltrinelli nella traduzione di Vera Verdiani, nasce cosi'. Dall'accanimento di un autore che ha dalla sua gli strumenti dello storico e del narratore, l'intuito e l'ostinazione del buon "cronista", fiuto e spericolatezza da detective professionale. Il risultato e' un'agile, luminosa lezione di storia: per ricostruire la caduta dell'ultimo monarca persiano, Reza Pahlavi, e l'ascesa dell'ayatollah Khomeini, Kapuscinski non puo' esimersi, infatti, da una riflessione piu' ampia e complessa sulle dinamiche della storia e sui mutamenti fluidi e "arbitrari" che sembrano contraddistinguerla. * Per l'autore i fatti rischiano di precipitare nel vuoto, di perdersi nell'indecifrabilita' o nell'indifferenziazione, se chi li racconta, occupato a rincorrere la notizia del giorno, non sa scoprirne e comunicarne il senso. E il senso - legato com'e' alla capacita' di chi ne scrive di riconoscere nessi, somiglianze, ripetizioni - non si da' nell'assoluto presente del singolo evento. Esso va rinvenuto a poco a poco in una catena temporale e spaziale, che coinvolge il passato e l'altrove (cio' che e' successo prima, non necessariamente in un solo luogo, non unicamente ai personaggi che oggi occupano la ribalta), e il futuro (il mondo delle previsioni, dei progetti, delle speranze, dei sogni). Storico e giornalista, giornalista perche' storico, Kapuscinski sa bene che il passaggio di informazione avviene solo se chi scrive sa ricordare, collegare, prevedere, e tuttavia lasciarsi sorprendere e "modestamente" tradurre il proprio stupore in racconto. E se il suo interrogare la realta' si accompagna a una riflessione costante sul "come" narrarla, tenendo conto del baratro geografico e culturale, che spesso separa cio' di cui egli/ella scrive dai lettori ai quali la sua scrittura e' destinata. In Iran, paese di cui non conosce la lingua, il polacco Kapuscinski sa di essere inchiodato alla propria alterita', condannato a una sorta di spaesamento. Ma proprio la non appartenenza, quel senso di disorientamento e insieme di liberta' che si produce in noi quando ci spingiamo molto lontano dal "nostro" mondo, possono - se uniti a una schietta passione per gli altri e per le loro storie - trasformarsi in un formidabile strumento di lavoro. Solo lo sguardo dell'osservatore "distante" puo' infatti appoggiarsi sulle cose con l'acuta obliquita' che e' necessaria a vedere senza perdere di vista se stessi. * "E' il potere", riflette ad esempio Kapuscinski, "a provocare la rivoluzione". E, aprendo una delle sue tipiche parentesi riflessive cariche di verita' e di humour, prosegue: "Inconsciamente, beninteso... La scelta del momento in cui cio' accade e' il piu' grande enigma della Storia. Perche' quel giorno e non un altro? Perche' e' un certo avvenimento e non un altro a far precipitare le cose? Dopotutto, in passato il governo si e' reso responsabile di abusi ben piu' gravi senza provocare la minima reazione. 'Che cosa ho fatto?', si chiede il sovrano, sgomento. 'Che cosa gli e' preso tutt'a un tratto?'. Che cosa ha fatto? Ha abusato della pazienza della gente. Ma dove sta il limite di questa pazienza? Come definirlo? Se anche si tentasse di dare una risposta, essa varierebbe a seconda dei casi. La sola cosa certa e' che i sovrani che conoscono l'esistenza di tale limite e lo sanno rispettare possono sperare di conservare a lungo il potere. Ma i sovrani di questo tipo non sono molti". E subito dopo, coniugando il buon senso con un imbattibile spirito d'osservazione, ecco la soluzione del mistero, o almeno di questo specifico mistero: "Come ha fatto lo scia' a violare tale limite e a condannarsi con le proprie mani? Attraverso un articolo di giornale. Il potere dovrebbe sapere che una negligenza verbale puo' far crollare il piu' grande degli imperi. Sembra averne coscienza, sembra vigilante, eppure a un certo punto il suo istinto di conservazione lo tradisce e, fidandosi di se stesso e sopravvalutando le proprie forze, finisce male per aver peccato díarroganza. L'8 gennaio 1978 il giornale di regime "Etelat" pubblica un articolo che attacca Khomeini. All'epoca, Khomeini stava facendo guerra allo scia' dall'estero, dove viveva in esilio. Perseguitato dal despota, espulso dal paese, Khomeini era l'idolo e la coscienza del popolo. Distruggere il suo mito significava distruggere qualcosa di sacro, mandare in frantumi le speranze degli umiliati e degli offesi. Tali erano precisamente le intenzioni di quell'articolo. Cosa bisogna scrivere per screditare un avversario? La cosa migliore e' dimostrare che non e' uno dei nostri - che e' uno straniero. A tale fine si crea la categoria della vera famiglia. Noi, voi e io, le autorita' e la nazione, siamo una vera famiglia. Noi viviamo uniti, tra i nostri. Abbiamo lo stesso tetto sulla testa, ci sediamo alla stessa tavola, sappiamo intenderci, darci una mano tra di noi. Purtroppo, non siamo soli. Tutt'intorno a noi vivono orde di sconosciuti, di immigrati, di stranieri che vogliono turbare la nostra pace e installarsi in casa nostra. Che cos'e' uno straniero? Innanzitutto e' un individuo peggiore di noi - e, al contempo, e' un individuo pericoloso. Se si accontentasse di essere peggiore e si limitasse a questo! Nient'affatto! Sconvolgera' le acque, fomentera' i disordini, distruggera'. Lo straniero e' in agguato. E' la causa delle vostre disgrazie. E da dove gli viene il suo potere? Dal fatto che dietro di se' ha forze strane (straniere). Tali forze possono essere identificate o meno; ma una cosa e' certa: sono potenti. O meglio sono potenti se le prendiamo sotto gamba. Se, invece, non smettiamo di essere vigilanti e continuiamo a lottare, avremo la meglio. Guardate Khomeini. Ecco uno straniero. Suo nonno veniva dall'India, dunque chiediamoci: quali interessi serve questo nipote di straniero?". * L'autore e' partito da una constatazione di ordine generale, paradossale e sensata: "e' il potere a provocare la rivoluzione". Vale per l'Iran del 1979, come e' valso per la Francia del 1789 o per la Russia del 1917. E' una legge storica universale. Solo che va ogni volta dimostrata. E lo storico (o quello storico del presente che dovrebbe essere il giornalista) che voglia riuscire a farlo deve saper individuare il microavvenimento che consuma una volta per tutte la pazienza di un popolo, facendo capovolgere il vaso della storia. Sono l'attenzione ai dettagli, alle minuzie apparentemente insignificanti del quotidiano a fare la differenza: Kapuscinski arriva a individuare nell'articolo di "Etelat" l'elemento scatenante della rivoluzione, perche' per mesi ha prestato molta attenzione agli umori degli uomini e delle donne della strada e non si e' mai affidato alle voci del palazzo. Lo individua, perche' se lo aspetta. E se lo aspetta perche', se da un lato conosce bene i giochi tutto sommato ripetitivi del potere, dall'altro e' strutturalmente dalla parte di chi a esso con ogni mezzo e' pronto a opporsi non appena gliene si presenti l'indiscutibile occasione. "Una nazione schernita da un despota", commenta infatti, facendo anticipatamente luce sui fondamentalismi a venire e invitandoci a guardare al di la' delle apparenze, "umiliata, ridotta al rango di oggetto, cerca un rifugio, un luogo dove riuscire a rintanarsi, murarsi, essere se stessa... Ma una nazione intera non puo' migrare, essa dunque intraprende una migrazione nel tempo invece che nello spazio. Di fronte alle afflizioni che la opprimono e alle minacce del reale, fa ritorno a un passato che le sembra un paradiso perduto. Ritrova la sicurezza in costumi cosi' vecchi, e di conseguenza cosi' sacri, che il potere non osa combatterli. Ecco come si spiega, sotto tutte le dittature, la progressiva rinascita di usanze e costumi antichi, di simboli secolari - contro la volonta' della dittatura, in opposizione ad essa... Piu' che di desiderio di rianimare l'universo dimenticato degli avi, si potrebbe parlare di ripicca politica". 6. LE LITOTI DI STRAMBOTTO Parlano ancora, sempre, gli assassini. Gli assassinati non possono piu'. Ed alla logorrea che ancor sgocciola sangue almeno io non voglio dare ascolto. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1042 del 3 settembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1041
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1043
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1041
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1043
- Indice: