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La nonviolenza e' in cammino. 1031
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1031
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 23 Aug 2005 00:23:30 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1031 del 23 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Francesco Comina: Sosteniamo la campagna per il si' al referendum brasiliano contro il commercio delle armi 2. Flavio Lotti e Grazia Bellini: Dieci cose da fare in preparazione della marcia Perugia-Assisi 3. Peregrino Valmelaina: La poesia onesta 4. Emily Wax: Una prigione al posto di un'altra 5. Elena Liotta: Cure e culture, dialogare con l'islam. La psiche femminile tra anima e terra 6. Enrico Peyretti: Fratelli avvelenati 7. Vittorio Strada ricorda Mauro Martini 8. Vivian Lamarque: Non parla 9. Riletture: Ingeborg Bachmann, Invocazione all'Orsa Maggiore 10. Riletture: Ingeborg Bachmann, Poesie 11. Riletture: Maria Teresa Mandalari, Poesia operaia tedesca del Novecento 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. APPELLI. FRANCESCO COMINA: SOSTENIAMO LA CAMPAGNA PER IL SI' AL REFERENDUM BRASILIANO CONTRO IL COMMERCIO DELLE ARMI [Ringraziamo Francesco Comina (f.comina at ladige.it) per questo intervento, ed esprimiamo naturalmente il nostro pieno sostegno alla campagna per il si' al referendum brasiliano contro il commercio delle armi (per maggiori informazioni cfr. l'articolo di Ermanno Allegri nel n. 1002 di questo notiziario). Invitiamo tutti i nostri lettori a mettersi in contatto con Francesco Comina in Italia, con Ermanno Allegri in Brasile (sito: www.adital.org.br). Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna] Cari amici, come sapete, siamo molto impegnati in questi mesi per rilanciare anche in Italia e in Europa le ragioni del referendum che si terra' in Brasile il 23 di ottobre e che chiede la fine della vendita e del commercio delle armi da fuoco. Un problema enorme anche perche' la violenza delle metropoli, dei quartieri, delle favelas, dilaga proprio perche' e' facile acquistare le armi, anche dai bambini. Per questo motivo Lula ha lanciato dapprima una campagna per la consegna spontanea delle armi che ha avuto molto successo. E ora un parlamentare del Pt ha fatto passare il referendum, gia' approvato dalla Camera. La posta in gioco e' molto alta per tutti coloro che vogliono costruire un mondo senza piu' armi. In tutto il mondo. Ma in Brasile le grandi ditte che producono armi hanno deciso di investire grandi risorse finanziarie per affossare il referendum. Per questo serve l'impegno di tutti. Come "Centro per la pace" di Bolzano abbiamo formato un gruppo di lavoro che sta pensando ad iniziative ed incontri su questo tema, per sostenere il lavoro di Ermanno Allegri, nissionario bolzanino in Brasile e referente nazionale della campagna per il "Si' al referendum contro la vendita delle armi". Ermanno e' in Brasile da oltre trent'anni ed e' una figura di primo piano nel panorama sociale ed edittoriale del paese visto che da alcuni anni e' direttore dell'agenzia di stampa "Adital" (www.adital.org.br). Come gruppo di lavoro abbiamo gia' deciso di organizzare un incontro su questo tema, dato che saranno qui a Bolzano il fratello di Ermanno, don Lino Allegri e don Pierluigi Sartorel che insieme a Ermanno condividono oltre trent'anni di Brasile in mezzo ai poveri e ai favelados, gli abitanti delle favelas. L'incontro e' stato fissato il 2 settembre a partire dalle ore 18 con una relazione informativa di don Lino Allegri, un momento conviviale e a seguire la visione del film "La citta' di Dio" (Cidade de Deus), che racconta in maniera molto cruda la violenza in una delle piu' spavenotose favelas di Rio. 2. INIZIATIVE. FLAVIO LOTTI E GRAZIA BELLINI: DIECI COSE DA FARE IN PREPARAZIONE DELLA MARCIA PERUGIA-ASSISI [Dalla Tavola della pace (per contatti: info at perlapace.it) riceviamo e diffondiamo. Flavio Lotti e Grazia Bellini sono i coordinatori nazionali della Tavola della pace, la principale rete pacifista italiana] Cari amici, vi inviamo una scheda riassuntiva delle "dieci cose da fare" in preparazione della Marcia Perugia-Assisi per la giustizia e la pace dell'11 settembre 2005 e delle iniziative collegate. La scheda riassume le diverse iniziative concrete che ogni persona o associazione puo' fare per contribuire al successo delle manifestazioni che abbiamo organizzato in vista del vertice delle Nazioni Unite di settembre. Pur consapevoli delle difficolta' connesse con il periodo estivo, crediamo sia necessario fare ogni sforzo per assicurare il piu' ampio coinvolgimento di tutti coloro che credono nelle possibilita' della pace e vogliono reagire alla grave situazione nazionale e internazionale. Potete trovare i programmi dettagliati delle iniziative sul sito: www.tavoladellapace.it Ulteriori informazioni possono essere richieste alla nostra segreteria: tel. 0755731648, fax. 0755739337, e-mail: 11settembre at perlapace.it Buon lavoro, Flavio Lotti e Grazia Bellini, coordinatori nazionali della Tavola della pace * Verso la Marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre 2005 Per realizzare questo progetto c'e' bisogno anche di te. Se condividi gli obiettivi dell'iniziativa: 1. Invia subito l'adesione alla Marcia Perugia-Assisi per la giustizia e la pace dell'11 settembre 2005 e alle iniziative ad essa collegati; 2. Coinvolgi i tuoi amici, i gruppi, le associazioni, le parrocchie, le forze politiche, i parlamentari, le comunita' degli immigrati della tua citta'; 3. Sollecita il tuo Comune (Provincia o Regione) ad aderire alla marcia e alle iniziative collegate; 4. Pubblica l'invito della Marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre e le iniziative collegate in internet; 5. Diffondi lo spot per le radio e le televisioni locali che promuovono la Marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre (richiedili alla Tavola della pace); 6. Partecipa all'incontro nazionale degli operatori della comunicazione e degli operatori di pace intitolato "Per un?informazione e una comunicazione di pace" in programma a Perugia il 7 settembre 2005; 7. Partecipa e organizza la partecipazione alla sesta Assemblea dell'Onu dei popoli, alla seconda Assemblea dell'Onu dei giovani e alla Marcia Perugia-Assisi indossando una maglietta bianca simbolo dell'impegno mondiale contro la poverta' (e' ancora possibile anche richiedere i manifesti e i volantini delle iniziative); 8. Invia le tue domande e proposte a Romano Prodi per "dare all'Italia un governo di pace"; 9. Acquista lo "zaino solidale", simbolo della Marcia Perugia-Assisi, contenente alcuni strumenti essenziali, utili per camminare sulla strada della pace e della giustizia tutto l'anno; 10. Proponi alle scuole di aderire al progetto "La mia scuola per la pace" e inserire nel proprio Pof (anno scolastico 2005-2006) un progetto di educazione alla pace e ai diritti umani (vedi il sito www.scuoledipace.it). Invita le scuole a dedicare il primo giorno del nuovo anno scolastico alla pace. Tutti i documenti del progetto sono disponibili sul sito: www.tavoladellapace.it * Per adesioni e informazioni: Tavola della pace, via della viola 1, 06122 Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail: 11settembre at perlapace.it, sito: www.tavoladellapace.it 3. DIBATTITO. PEREGRINO VALMELAINA: LA POESIA ONESTA [Come si deve scrivere un notiziario per la nonviolenza? Un altro intervento di un collaboratore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] E' quello che resta da fare ai poeti, scrisse una volta Saba, che sapeva tutto e sapeva dirlo nella lingua di tutti. E che resta da fare ai giornalisti? resta da fare, dunque direi, l'informazione onesta. * Mi diceva il cuoco che da' l'ultimo ritocco a quanto esce da questa cucina che quasi non capita giorno che non debba rinunciare a far arrivare alle mense testi anche notevoli, ma insozzati dal turpiloquio, infestati dalla propaganda, farciti di menzogne propalate sia in buona che in cattiva fede, drogati dalle esagerazioni, dal pregiudizio, dagli insulti, dalle sciocchezze, dal corrosivo veleno del disprezzo. Quando si tratta di minuzie tacitamente corregge o cassa e porta in tavola il resto poiche' anche questo fa parte dell'umile suo mestiere. Ma non di rado togliere o attenuare quelle espressioni toglie al testo alcunche' di sostanziale, e delle due l'una: o si pubblica con quel linguaggio o niente. Rumina, mastica amaro, e decide, dunque, niente. Anche perche' quel linguaggio veicola un'ideologia, e non senza motivo lo si dice linguaggio da caserma. * Mi ha sempre colpito che anche persone egregie, finanche amiche della nonviolenza, quasi non riescano a esprimere un giudizio se non offendono qualcuno. Ho sempre pensato che questa incapacita' denoti una fondamentale incertezza, un'incrinatura, un tormento e uno scacco. E mi ha sempre indignato che persone egregie, finanche amiche della nonviolenza, non esitino talora a dire e scrivere menzogne palesi, ad assumere atteggiamenti irresponsabili e fin ignobili, pensando che qualche piccolo cedimento o piaggeria al sentire dell'orda possa pur concedersi: e non sanno che da quel pertugio il male dilaga e travolge dapprima i piu' deboli, i piu' confusi, e infine tutti. * E non parlo della gran parte della sinistra che si proclama pacifista, di quella sedicente radicale, di quella che si timbra antagonista: qui il vizio totalitario e' talmente palese che sorprende piuttosto la cecita' di molti nostri compagni di cammino a fronte di certe esibizioni di maschilismo, autoritarismo, militarismo e peggio da cui nulla di buono nessuno puo' attendersi. Predico queste cose, avendo grato per pulpito questa panchina dei giardinetti, da una trentina d'anni: forse sara' anche perche' sono un povero vecchierel canuto e stanco, ma proprio per questo non posso ammettere che si dimentichi da quale passato proveniamo tutti. Quando squadristi degli anni settanta, poi divenuti artisti ammirevoli e ammirati, vengono portati sugli scudi (sugli scudi, infatti) come fulgido esempio di parola vera e maestri di verita', io ricordo le persone cui le lore truppe la testa ruppero, ed altre vittime ancora. Quando si chiude un occhio, e l'altro pure, sulle responsabilita' di chi a suo tempo incitava all'omicidio come una delle belle arti, trovando (poiche' ogni Ivan Karamazov trova il suo Smerdjakov) uditori e discepoli di lui piu' rozzi e belluini i quali sedotti dall'eloquio fiorito, e ritenendo che il miglior modo di dire fosse fare, quei deliri trasferirono dal mondo delle parole al mondo degli eventi, io non posso non pensare alle persone che non potranno parlare mai piu' poiche' il colpo del sicario le ha dirotte per sempre dalla luce del giorno e la vita che a tutti e' dolce per sempre ha loro strappato. Quando si pretende di spacciare per nostri compagni di lotta i giovin signori che han costruito le carriere loro tra proclami insensati, protervo mentire, provocazione di pestaggi e mutilazioni, e incedere finanche sui cadaveri - e insieme alla violazione delle piu' elementari regole del civile convivere dediti altresi' all'accaparramento di pubblici denari e favori in forme tanto sordide quanto esemplari, mi chiedo qual concetto si abbia delle nostre facolta' mentali, per non dire del nostro morale sentire. * Dovremmo fare i conti con tutto cio'. Poiche' soltanto se sapremo assumere posizioni politiche e morali limpide, rigorose, coerenti potremo riuscire a contrastare la violenza dispiegata da un sistema di potere dominante che ha fatto della guerra, del terrorismo, della devastazione della biosfera e della violazione della dignita' umana e finanche del diritto alla vita dei quattro quinti dell'umanita' la sua oscena cifra, macabro il suo sigillo. Un'azione per la pace, la giustizia, i diritti umani, la difesa della biosfera, ha come ineludibile premessa, come "conditio sine qua non", la scelta della nonviolenza e della nonmenzogna. E la scelta della nonviolenza e della nonmenzogna implica anche il dovere di fare i conti con le ambiguita', le contraddizioni, le insufficienze nostre, ed a maggior ragione una critica serrata e una lotta senza ipocrisie, senza coni d'ombra, contro gli errori e gli orrori del passato e del presente commessi anche dai movimenti di opposizione, di contestazione, di alternativa. Implica la ricostruzione storiografica, l'analisi concettuale, il ripudio morale e il contrasto politico rispetto alla violenza nei e dei movimenti. Sono cose su cui ha scritto parole di verita' Anna Bravo in un suo saggio di qualche mese fa che esortava a promuovere una ricerca e una riflessione finalmente non reticenti sulla violenza nei e dei movimenti degli anni settanta (diciamo: nel periodo che va grosso modo dalla strage di piazza Fontana alla strage della stazione di Bologna). Sara' un caso che quella discussione sembra essere stata chiusa prima ancora di aprirla? Sara' un caso che gran parte degli interventi abbiano sorvolato sulla questione decisiva che li' si poneva? Sara' un caso che su una seria proposta di ricerca e di riflessione di una storica di indiscutibile autorevolezza scientifica e morale si siano rovesciate cataste di insulti o sdegnosi, sprezzanti e fin irridenti silenzi da parte di molti che se dovessero fare i conti con le loro stesse parole e gesta d'antan ne avrebbero di cose di cui lavarsi la coscienza? Sara' un caso che su questa necessaria - e fin terapeutica e profilattica - proposta di ricerca e di riflessione una ben coalizzata "Santa alleanza" (che aggruma le forze della reazione, quelle del riformismo immobile, come quelle dell'eversione funzionale a che nulla cambi, i clericali di tutti i culti sacrificali e i cicisbei di tutti i salotti frivoli e giulivi e gli eterni inerpicanti postulatori a stanze dei bottoni sempre piu' interne, astratte, disumanate) sia riuscita ad imporre la censura piu' ferrea, la rimozione piu' illune? Santi numi, me ne sono accorto solo io? Sogno o son desto? * Resta la necessita' di fare i conti con un passato che ancora non passa, e di prendere una buona volta una posizione chiara sulla violenza come forma della lotta politica, una posizione che dica quella semplice cosa che va assolutamente, necessariamente, urgentemente detta, pena il condannarsi alla coazione a ripetere errori ed orrori, e non in forma di farsa ma in nuova cupa tragedia. E la cosa che va assolutamente, necessariamente, urgentemente detta a me pare che sia la seguente: che solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', che il ripudio della violenza e' l'atto politico fondamentale e fondativo che la distretta attuale esige, che la scelta della nonviolenza e' condizione necessaria, se non sufficiente, perche' un'azione collettiva, uno spazio pubblico, una politica e finanche non piu' che una mera convivenza ancora si dia. * Mi pare che questa sia la lezione grande dell'unico movimento collettivo che ha saputo restar coerente all'impegno di liberare le persone anziche' cancellarle, di inverare l'umana dignita' di tutti gli esseri umani, di opporsi sempre all'oppressione e alla menzogna: il movimento delle donne, che e' - come su questo foglio si scrive sovente - la decisiva esperienza storica e per cosi' dire la corrente calda della nonviolenza in cammino. * Fare un notiziario che su questo rifletta ed inviti a riflettere, con chiarezza di dettato, pluralita' di voci, ricerca comune ed impegno all'ascolto della parola altrui, mi pare che sia buona cosa. Ma occorre anche che esso sia tale che sappia ad un tempo ascoltare e farsi ascoltare, che trovi e si faccia trovare dalle tante e dai tanti che in questo cammino si sentono gia', e che forse sono ancora alla ricerca di un luogo in cui parlarsi e ascoltarsi, ragionare insieme per insieme agire. Manca nel panorama editoriale italiano - cosi' gremito di giornali che ripetono il sempiterno canto del pensiero unico e della propaganda che attossica e uccide - un quotidiano per la nonviolenza. E' necessario, direi; e' anche possibile? E in qualche modo e misura questo foglio riesce a prefigurarne gia' alcuni tratti, a suscitare un'attesa, a convocare a un incontro? Me lo chiedo, e lo chiedo alle signorie loro, delle quali, senza tema di smentita, mi proclamo e sono servo umilissimo. 4. MONDO. EMILY WAX: UNA PRIGIONE AL POSTO DI UN'ALTRA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo articolo di Emily Wax, apparso sul "Washington Post" del 10 agosto 2005. Emily Wax e' una prestigiosa giornalista del "Washington Post", autrice di molti importanti reportages dall'Africa] Rumbek, Sudan. Accoccolata nell'umida cella, Ding Maker ammette di aver violato la legge, commettendo adulterio. Ma non l'ha fatto per amore, dice. Come molte altre donne incarcerate per infedelta' nel Sudan, lo ha fatto perche' voleva divorziare. Da tre mesi sta seduta nella cella con altre dodici donne, sperando che il marito si senta svergognato abbastanza da ripagare la sua dote e lasciarla. "Ha abusato di me, mi picchiava, non metteva un soldo per il mio cibo, e non si e' mai preso cura dei nostri bambini malati", spiega Maker, aggiustandosi la camicia verde sul pancione: e' incinta dell'altro uomo, ma non preoccupata per questo. "Non avevo altro modo per ottenere il divorzio, prosegue, Io ero la sua seconda moglie e a lui non interessava nulla di me. Non mi importa di restare qui. Aspetto". Nel patriarcale Sudan del sud, come in molti altri paesi africani, solo gli uomini hanno il diritto di divorziare. La scappatoia per le donne sudanesi e' commettere adulterio, un crimine che fornisce istantaneamente una base per il divorzio. Ma persino cosi', la maggior parte dei mariti rifiuta di concederlo, perche' non vogliono chiedere ai propri parenti di restituire la dote (nel caso di Maker, 90 mucche) che hanno ricevuto dalla famiglia della sposa. * Tutto cio', ad ogni modo, sta cambiando. Il Sudan del sud, ora in pace dopo due decenni di guerra civile con il nord, sta redigendo una nuova Costituzione e tentando di rendere piu' moderno il codice penale. Poiche' i donatori internazionali sono riluttanti ad aiutare un'entita' che imprigiona le donne per adulterio o fuga da casa, i nuovi leader politici stanno rivedendo le tradizionali regole che riguardano matrimonio, dote e divorzio. Molte donne avevano pero' cominciato a sfidare tali regole da sole, in parte perche' durante la guerra civile sono diventate piu' indipendenti dagli uomini, in parte perche' la liberazione politica della regione ha portato nuove idee ed influenze in una rigida societa' tribale. Tutte le 24 donne detenute nella prigione di Rumbek vi si trovano perche' hanno sfidato i costumi familiari tradizionali. Piu' della meta' sono accusate di adulterio, le altre sono state incarcerate per essere fuggite con un innamorato o per non aver adempiuto ai doveri matrimoniali. Il giudice Ambrose Riny Thiik, sessantaduenne presidente della Corte Suprema del Sudan, dice che le richieste di divorzio hanno raggiunto una percentuale mai vista prima: "Nella nostra societa', la coppia sposata puo' non amarsi affatto. Ci sono moltissimi matrimoni combinati, allo scopo di creare una rete economica di relazioni familiari. Cambiando queste regole, la nostra intera societa' cambiera'". Secondo Akur Ajuoi, un'avvocata che lavora per l'Unicef, la spinta a rigettare le tradizioni dipende anche dai 21 anni di guerra fra il nord dominato dagli arabi ed il sud africano: "Mentre i loro mariti stavano lontani da casa per lunghissimi periodi, le donne hanno imparato a gestire le fattorie e le mandrie di bestiame. Ora i mariti sono tornati, e le donne vogliono maggiori diritti. Inoltre, questo e' un tempo di cambiamento, in cui le donne si stanno emancipando. Nelle nostre tradizioni c'e' del buono, e vogliamo mantenerlo, ma quelle dannose e dolorose vogliamo lasciarcele alle spalle". Ajuoi, rifugiata di guerra, ha studiato in Kenya e Sudafrica, due paesi piu' moderni, in cui le donne possono ottenere il divorzio nei tribunali. Come lei molte sudanesi istruite sono ritornate dall'esilio forzato, per ricostruire il proprio paese, con idee assai diverse da quelle dei loro nonni. Ajuoi sta ad esempio cercando di ottenere delle misure che rendano illegale per i genitori tenere i bambini fuori dalle scuole, anche se lo fanno per metterli a lavorare nei campi o con il bestiame. Dice che le leggi che riguardano le donne sono le piu' dure da cambiare, e non per il rispetto delle tradizioni: il problema sono i soldi, perche' il pagamento della dote in capi di bestiame e' il cuore dell'economia della regione: "Potrebbe essere piu' facile ottenere diritti per i bambini, piuttosto che per le donne. I bambini sono visti come un dono, mentre le donne come un valore monetario per via della dote". Il marito di Ding Maker e' un burbero e sgarbato capo regionale, si chiama Manganat Deng. Mi dice che anche se Ding si e' "comportata male" e litigava con l'altra moglie, lui non le concedera' il divorzio ne' le restituira' la dote: "Perche' questa donna mi sta facendo tali cose? Non avra' quel che chiede, dice guardandomi torvo, Noi Dinka non crediamo nel divorzio. Non lo voglio, come soluzione". I Dinka sono la tribu' di maggioranza, nel Sudan del sud, ma altre tribu' giudicano il sistema tradizionale viziato da pregiudizi contro le donne. Secondo le leggi ordinarie, una donna o un uomo che commettano adulterio devono pagare una multa, solitamente sette mucche o circa 800 dollari. Quelli che non possono pagare scontano sei mesi di prigione. Ma non ci sono uomini, nella prigione di Rumbek, per il reato di adulterio: gli uomini possiedono le mucche e la terra e possono pagare le multe. Alle donne non e' concesso avere proprieta', percio' non possono comprarsi la liberta'. Il Comandante Benjamin Jok, che dirige il carcere di Rumbek e mi dice questo, non riesce a considerare le donne in sua custodia delle criminali. "Agli uomini e' ancora concesso di prendersi quante mogli riescono a mantenere", aggiunge. Poiche' la prigione non e' adeguatamente finanziata, Jok permette alle donne di coltivare sorgo ed altro in una vicina fattoria, e di vendere cio' che producono al mercato. E' d'accordo sul fatto che molto spesso l'incarceramento di queste donne e' un'ingiustizia. Una donna anziana, Ayen Malual, si trova in prigione perche' suo figlio, un soldato, non ha pagato la dote per la propria sposa. La famiglia di lei voleva mucche, ma il soldato e' stato mandato in missione lontano da casa, e Malual non aveva capi di bestiame. "Lei amava mio figlio., mi racconta Malual, Noi tutti eravamo contenti del matrimonio. E' solo che non c'era la dote. Queste tradizioni possono rendere la vita veramente dura". * Ding Maker, che e' gia' madre di sei figli, passa le notte su un pagliericcio che copre il freddo cemento del pavimento della cella. Non ci sono bagni, percio' le donne devono uscire per andare al gabinetto. La maggior parte delle detenute dicono di essere depresse e arrabbiate, ma preferiscono stare qui piuttosto che altrove. Il mese scorso, la figlia maggiore di Maker, quindicenne, e' morta di idrofobia. Quattro guardie carcerarie hanno scortato la madre al funerale. Durante la cerimonia, suo marito ha cominciato a gridare che voleva ucciderla, e a lanciarle addosso oggetti. "Non voglio piu' stare con quell'uomo, mai piu'. La mia vita era terribile, con lui. Restero' in prigione fino a che le cose cambieranno". 5. RIFLESSIONE. ELENA LIOTTA: CURE E CULTURE, DIALOGARE CON L'ISLAM. LA PSICHE FEMMINILE TRA ANIMA E TERRA [Ringraziamo Elena Liotta (per contatti: e_liotta at yahoo.it) per averci messo a disposizione questa scaletta del suo contributo all'incontro con Fatema Mernissi svoltosi a Roma il 27 maggio 2005. Elena Liotta, nata a Buenos Aires (Argentina) il 25 settembre 1950, risiede a Orvieto, in Umbria; e' psicoterapeuta e psicologa analista, membro dell'Ordine degli Psicologi dell'Umbria, membro dell'Aipa (Associazione Italiana di Psicologia Analitica), dell'Iaap (International Association Analytical Psychology), dell'Apa (American Psychological Association), socia fondatrice del Pari Center for New Learning; oltre all'attivita' psicoterapica, svolta prevalentemente con pazienti adulti, in setting individuale, di coppia e di gruppo, ha svolto e svolge altre attivita' culturali e organizzative sempre nel campo della psicologia e della psicoanalisi; tra le sue esperienze didattiche: professoressa di Psicologia presso la "American University of Rome"; docente in corsi di formazione, e coordinatrice-organizzatrice di corsi di formazione a carattere psicologico, per servizi pubblici e istituzioni pubbliche e private; didatta presso l'Aipa, societa' analitica accreditata come scuola di specializzazione post-laurea, per la formazione in psicoterapia e per la formazione di psicologi analisti; tra le altre esperienze parallele alla professione psicoterapica e didattica: attualmente svolge il ruolo di Coordinatrice psicopedagogica e consulente dei servizi sociali per il Comune di Orvieto, e di Coordinatrice tecnico-organizzativa di ambito territoriale per la Regione Umbria nell'Ambito n. 12 di Orvieto (dodici Comuni), per la ex- Legge 285, sul sostegno all'infanzia e adolescenza e alle famiglie, occupandosi anche della formazione e monitoraggio dei nuovi servizi; e' stata assessore alle politiche sociali presso il Comune di Orvieto; dopo la prima laurea ha anche lavorato per alcuni anni in campo editoriale, redazionale e bibliografico-biblioteconomico (per "L'Espresso", "Reporter", Treccani, Istituti di ricerca e biblioteche). Autrice anche di molti saggi apparsi in riviste specializzate e in volumi collettanei, tra le opere di Elena Liotta segnaliamo particolarmente Educare al Se', Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2001; Le solitudini nella societa' globale, La Piccola Editrice, Celleno (VT) 2003; con L. Dottarelli e L. Sebastiani, Le ragioni della speranza in tempi di caos, La Piccola Editrice, Celleno (VT) 2004; Su Anima e Terra. Il valore psichico del luogo, Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2005] Nel tempo che ho a disposizione cerchero' di affrontare il tema di oggi, il dialogo con l'Islam, sperando di arricchirlo con uno sguardo interculturale e psicologico alla componente femminile. Ho raccolto quattro punti che ritengo possano rappresentare la mia posizione. * 1. Il primo punto, piu' generale, riguarda la creazione del dialogo. L'educazione e la formazione offerte dalle istituzioni scolastiche italiane non ha mai incluso lo studio di culture distanti da quella europea. Anche ora, le aperture interculturali sono lasciate alla sensibilita' di alcuni insegnanti, all'interno di qualche progetto mirato, o alla curiosita' dello studente. Questo riguarda naturalmente anche la cultura islamica. Al di la' delle mode etniche e delle fantasie di integrazione che si affacciano qua e la', soprattutto nelle grandi metropoli, le persone che oggi cercano, in Occidente, di dialogare seriamente con l'Islam, hanno tutte percorsi individuali poco convenzionali e si trovano spesso in controtendenza rispetto al loro ambiente. Inoltre, e' frequente che sia proprio la diversa visione della donna e della condizione femminile a diventare un fattore ostacolante e generatore di sospetto per quanto riguarda la conoscenza reciproca e l'incontro autentico. Per quanto riguarda il mio percorso, ho cominciato a entrare nella cultura islamica durante i primi studi universitari, passando dalla porta della filosofia e della religione. Negli anni Settanta eravamo in pochi studenti a coltivare questi interessi. Il mio dialogo, intrattenuto soprattutto con il Sufismo, continua ancora. L'incontro piu' diretto, nell'ambito della cura, e' venuto in seguito, circa vent'anni fa, dopo i miei studi psicologici e durante l'insegnamento e la consulenza di giovani stranieri in istituzioni scolastiche e accademiche internazionali. Tra essi c'erano anche giovani donne e uomini dei paesi arabi e di religione mussulmana. Da allora e anche per motivi della mia vita personale, mi sono molto interrogata sul rapporto tra cure e culture e ho da poco concluso la mia lunga escursione su questo tema con un libro intitolato Su anima e terra. Il valore psichico del luogo. Questa fase rappresenta un ulteriore ampliamento del mio dialogo con l'Islam, che ha dovuto includere le piu' recenti e complesse vicende politiche internazionali, l'incremento della migrazione, la riflessione sui fenomeni sociali e psicologici che accompagnano la globalizzazione economica e la conseguente necessita' di trovare nuovi equilibri e nuove integrazioni tra le diverse culture. Sempre in quest'ultima fase, che copre circa gli ultimi dieci anni, stanno crescendo proprio grazie alle donne, attraverso associazioni e reti di comunicazione e azione locale, le occasioni di incontro e collaborazione concreta nell'impegno per la pace, nella solidarieta' per uno sviluppo contestualizzato, nel sostegno ai diritti umani e civili, nella tutela dell'infanzia e dei deboli. I primi tentativi di dialogo con l'Islam, tra donne e tra culture, avevano sullo sfondo l'immagine monolitica della donna araba vittima, oppressa e mortificata dall'uomo. Il femminismo occidentale ha rivendicato per le donne islamiche - e di tutto il mondo - parita' di diritti sul piano umano, civile, politico, soprattutto di fronte ad alcune pratiche considerate discutibili, che vanno dall'infibulazione, all'harem, all'uso del velo. Poi, con il pensiero della differenza, e' nata una maggiore apertura alla conoscenza dall'interno, nello spirito di uno specifico Logos dell'estraneo. * 2. Un secondo punto mi avvicina al campo della cura. Non potro' soffermarmi dal punto di vista clinico sul mio contributo al numero della "Rivista di Psicologia Analitica" che ha stimolato l'organizzazione di questo convegno, Diro' soltanto, come si evince dal suo titolo "L'harem tra stereotipo e archetipo. Un luogo per l'identita' femminile", che in esso e' portante l'esigenza di uscire, sempre di piu' e sempre meglio, dagli stereotipi etnocentrici. Con questa operazione si otterrebbero infatti vari risultati: entrare con piu' chiarezza nella realta' e conoscerla meglio, quindi attenuare il sospetto, i pregiudizi e le resistenze, poi passare attraverso la condizione femminile per raggiungere un dialogo autentico su tutto il resto. Il lavoro di Fatema Mernissi e la risonanza che esso ha raggiunto a livello internazionale e' stato un passaggio cruciale su questa strada e gliene siamo grati. Il suo sforzo, e quello di altre donne del mondo arabo e islamico, ci permette - come osservava Jung - di conoscere meglio noi stessi e le caratteristiche della nostra cultura e identita'. Nella sua autobiografia Jung, che eveva viaggiato in Nord e Centro Africa, sostiene: "Abbiamo sempre bisogno di un punto esterno per poter adoperare efficacemente la leva della critica. Per esempio come potremmo renderci conto delle caratteristiche nazionali se non avessimo mai avuto l'occasione di considerare la nostra nazione dall'esterno? Considerarla dall'esterno significa considerarla dal punto di vista di un'altra nazione. Capisco l'Europa, il nostro problema piu' grande, solo quando vedo in che cosa io, come europeo, non mi adatto al mondo" (Ricordi, sogni e riflessioni, Rizzoli, Milano 1978, p. 296). La paziente Sofia, di cui parlo nel mio articolo, comincia il suo viaggio dall'harem di un suo sogno, che non mostra solo le caratteristiche banalizzate dallo stereotipo occidentale - ben individuate dalla Mernissi - le quali per secoli hanno afflitto la cultura e l'arte europea, ma anche gli elementi archetipici che condurranno la paziente, unilateralmente adattata alla figura femminile emancipata e mascolinizzata della sua societa', a realizzare una propria identita' piu' piena e creativa, recuperando il rapporto tra donne, i tempi e le sensibilita' che animano l'harem reale, conosciuto e descritto in prima persona dalla Mernissi. La stereotipia, la vignetta, della donna araba e mussulmana, alternativamente vista come l'odalisca compiacente dell'harem del sultano, o come la povera donna velata, reclusa e soggiogata, nella privazione dei suoi diritti a partecipare alla vita sociale, sta diventando anche sul piano mediatico sempre meno credibile. * 3. Eccoci ora al terzo punto. Anche la stereotipia della donna occidentale, quella cresciuta nelle societa' tecnologicamente avanzate, che appare libera/liberata, autodeterminata, potente, soddisfatta di se', piena di diritti e privilegi e altro che non sto a descrivere, comincia a incrinarsi diventando sempre meno credibile. Chi fa un lavoro di cura psicologica, si trova affollato soprattutto di donne che chiedono aiuto per sintomi e problematiche in aperto contrasto con le immagini dei mass-media che le rappresentano sempre giovani, belle e benestanti, intente alla cura del proprio corpo. Le donne e le madri comuni continuano a illudersi che la loro vita sia la piu' desiderabile, nonostante la frenesia e l'iperattivita' che le divora, nell'impossibilita' concreta di vivere i rapporti piu' cari, di coppia e di famiglia, senza piu' ne' il proprio tempo ne' altro di cio' che si definisce come "proprio" e autentico. La Mernissi argomenta bene sulle schiavitu' invisibili delle donne occidentali: il capitolo conclusivo del suo libro sull'harem, sulla schiavitu' della taglia 42 e' illuminante. Vogliamo davvero esportare questi dubbi privilegi, cosi' come sono attualmente diventati, al resto delle donne del mondo? Privilegi che viaggiano impacchettati in quella globalizzazione economica nella quale non e' facile discernere il vero diritto umano da un'esportazione di valori estranei alla cultura locale e pieni di allegati consumisti? Ho conosciuto molte donne extraeuropee dignitosamente povere, ma ricche della loro cultura, orgogliose anche degli aspetti meno comprensibili alla donna occidentale; ho conosciuto donne occidentali affascinate proprio da quegli aspetti della cultura islamica rifiutati da altre donne. Sul piano psicologico e' tutto molto piu' complesso di quanto non appaia. Sicuramente una maturazione del dialogo richiederebbe ora piu' che mai di lavorare sulla conoscenza reciproca e sulla revisione degli stereotipi e dei pregiudizi, cominciando per la donna occidentale, dalla rimozione che sembra avvolgere le sue attuali schiavitu' e reclusioni, comprese quelle autoprodotte. Detto junghianamente: potrebbe esserci stato, sul piano dell'inconscio collettivo, un fenomeno di proiezione dell'ombra da parte della donna occidentale su quella medio-orientale, nel tentativo di compensare la debolezza di entrambe, invece di farsi carico del proprio patimento e continuare ad attraversarlo, casomai apprendendo dalle altre donne e culture. Senz'altro le donne nelle societa' economicamente avvantaggiate hanno molti piu' modi e occasioni per distrarsi dalle loro delusioni e rimandare scelte piu' radicali e coraggiose. Considerare peggiore la condizioni altrui e volerla redimere e' un atteggiamento psicologico che puo' far sentire meglio, ma se si vuole anche sostenere l'altro, non va sminuita la sua forza, le sue tradizioni, i suoi valori. A meno che non lo si voglia colonizzare, portandogli i propri valori come i migliori e gli unici possibili. Ma possiamo oggi dire onestamente che i nostri lo siano? Sul piano psicologico individuale e collettivo? La parola "rispetto" viene sempre accostata all'idea del dialogo e dell'incontro con cio' che e' altro da se', non solo in ambito psicologico e psicoanalitico. L'ascolto, la consapevolezza della realta' altrui e' la premessa di qualsiasi relazione. Quando dico la psiche femminile tra anima e terra, che e' il titolo che ho dato a questo mio breve intervento, intendo affermare che prima di tutto le donne di ciascuna cultura dovrebbero giungere a rispettarsi, se stesse e l'altra da se', tenendo in considerazione sia la loro terra - dove terra e' la dimensione della realta', della storia e dei suoi limiti e potenzialita' - sia la loro anima, la loro dimensione spirituale, l'individuazione piu' profonda e interiore meno soggetta ai condizionamenti dello spazio e del tempo. * 4. Ora, il quarto e ultimo punto. Voglio aggiungere qualcosa sul rapporto tra psicoterapia e diversita' culturale, riallacciandomi alla mia paziente Sofia. A parte il lavoro con pazienti stranieri che richiede una revisione critica in costante aggiornamento della teoria psicoanalitica originaria, anche nel lavoro con i pazienti della propria cultura compaiono elementi che indicano la presenza dell'altro come straniero, con il suo mondo, i suoi luoghi, i suoi simboli. Soprattutto oggi, data la sempre maggiore circolazione di stimoli multiculturali. Il pre-giudizio e lo stereotipo interpretativo, anche silenzioso, puo' nascondersi nella mente dell'analista, depositandovi nel bene e nel male la visione di ogni determinata cultura diversa dalla propria. Questo fatto psichico puo' influenzare a livello controtransferale il rapporto analitico. L'oggetto mentale harem, nella psiche della donna Sofia e' stato cosa originale e diversa sia dall'harem nella coscienza collettiva occidentale sia da quello dell'inconscio culturale - l'anello intermedio tra inconscio personale e collettivo - che alcuni junghiani propongono per spiegare quel tessuto collettivo di emozioni, sogni, simboli, che accomuna gli appartenenti a una stessa cultura. L'immagine dell'harem e' diventata, per Sofia, un simbolo personale che intuisce tuttavia, dietro alla lettura stereotipata, un valore positivo e vitale. Come se il gioco degli opposti che anima la psiche fosse sempre ineludibile. Accettare quest'ultima posizione teorica ci garantisce dall'unilateralita', positiva o negativa, che spesso avvolge le esperienze di culture diverse, dall'infatuazione idealizzante alla paura e al disprezzo che danno luogo al razzismo e alle discriminazioni. Insieme prima a Sofia e poi a Fatema, ho incontrato anche io un luogo interiore straniero, tutto da scoprire, una terrazza proibita/privata, con le sue norme e protezioni, un luogo concluso e non solo recluso, di condivisione, rispecchiamento tra donne, di saperi e pratiche di donne, madri e bambini, un luogo di quiete, di cura di se' e della propria bellezza - senza l'angoscia della linea, delle taglie e delle mode - un luogo per tutte le donne della famiglia, anche quelle sole e anziane, un luogo in cui trova spazio l'eccedenza femminile, il suo immaginario e il suo codice comunicativo. Se avessi reagito all'harem di Sofia con le fantasie piu' spontanee relative al rapporto con il maschile dominante, con teorie centrate sulla sessualita' e la seduzione, o la competizione tra donne o chissa' che altro ancora, avrei mortificato un processo delicato ai suoi albori, togliendo a Sofia la liberta' di spogliarsi di tutto il peso che l'adattamento all'efficienza della donna moderma le aveva depositato addosso. Smontare le proprie certezze o far luce sulle inconsapevolezze personali, di gruppo - per esempio il gruppo degli psicoterapeuti oggi qui riuniti- e anche collettive, e' un altro passo di avvicinamento per qualsiasi dialogo nel quale, oltre che nutrire la relazione, soprattutto ci si arricchisce per primi, arricchendo infine anche l'altro a cui era inizialmente diretta la nostra attenzione. Si tratti di individui o di culture. Cura te ipsum, innanzitutto, dice il saggio al medico. 6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: FRATELLI AVVELENATI [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questa meditazione sul film "Non desiderare la donna d'altri" di Susanne Bier. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Solo i morti escono dalla guerra. La guerra rimane addosso e dentro i sopravvissuti, se hanno uno spazio interiore. Trattiene nei suoi artigli chi la fa (che sia per questo che si chiamano artiglieri?). Una delle piu' terribili storie sulla terribilita' della guerra e' questa raccontata da Susanne Bier, regista danese e autrice del soggetto. Soldati danesi vanno in Afghanistan per una di quelle "guerre di pace" che si fanno oggi. I nemici afghani sono dipinti come assoluti diavoli. Ma la storia e' interiore, nella moglie Sarah (Connie Nielsen) che crede morto l'amato marito Michael (Ulrich Thomsen), e in Michael che salva la pelle vendendo l'anima ai diavoli per il suo amore, a danno di un altro amore. E' la piu' terribile ed efficace delle armi: rendere il nemico nemico di se stesso, peggio che ucciderlo. Durante la scomparsa di Michael, Jannik (Nikolaj Lie Kaas), un suo fratello scapestrato, impara la responsabilita' e l'affetto. Michael ritorna, ma il suo vergognoso segreto lo fa impazzire, a riprova che chi uccide si uccide. Sconvolto dentro, vede sconvolto il proprio mondo affettivo e odia tutti, in preda al mostro segreto che lo possiede: l'odio di se'. Forse verra' la confessione disintossicante, alla moglie che non cessa di amarlo. Lei, piu' ancora delle bambine e dei vecchi, rappresenta la forza della vita, che resiste alla morte instillata nel cuore del morto vivente. Il titolo italiano enfatizza un aspetto che non e' il principale, per attirare lo spettatore superficiale col pepe dell'adulterio: vizio cretino di cambiare a scopo di commercio il titolo dato dagli autori, che qui era Brodre, Fratelli. Si tratta infatti dell'offesa della guerra alla fratellanza universale, che si riverbera nella fratellanza di questi due Michael e Jannik, avvelenata da quel veleno. 7. MEMORIA. VITTORIO STRADA RICORDA MAURO MARTINI [Dal quotidiano "Corriere della Sera" del 9 agosto 2005. Vittorio Strada (Milano 1929), illustre slavista, docente di lingua e letteratura russa all'Universita' Ca' Foscari di Venezia, ha diretto per anni l'Istituto italiano di cultura a Mosca; ha ideato la Storia della letteratura russa in sette volumi edita parzialmente da Einaudi e integralmente, in Francia, da Fayard e fondato la rivista di studi storico-culturali "Rossija/Russia", ora pubblicata a Mosca; ha curato l'edizione delle opere narrative di Michail Bulgakov (Einaudi) e Boris Pasternak (Mondadori) e presentato testi fondamentali del pensiero filosofico e politico russo moderno. Tra le opere di Vittorio Strada: Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa, Torino 1969, 1980; Le veglie della ragione. Miti e figure della letteratura russa da Dostoevskij a Pasternak, Torino 1986; Simbolo e storia. Aspetti e problemi del Novecento russo, Venezia 1988; Autoritratto autocritico. Archeologia della rivoluzione d'Ottobre, Roma 2004. Mauro Martini, nato a Venezia nel 1956 e deceduto a Firenze pochi giorni fa, giornalista, saggista, docente universitario, studioso di letterature slave, autore e curatore di testi per diversi editori, ha insegnato letteratura russa all'Universita' di Trento; dagli inizi degli anni Ottanta ha svolto un'attivita' giornalistica, pubblicistica e di ricerca sulla situazione politica, sociale e culturale dei paesi dell'Europa centro-orientale e dell'ex Unione Sovietica. Tra le opere di Mauro Martini: Le mura del Cremlino, Reverdito, Trento 1987; Oltre il disgelo, Bruno Mondadori, Milano 2002; Mauro Martini legge 'Il dottor Zivago' di Boris Pasternak, Metauro, Pesaro 2003; L'utopia spodestata. Le trasformazioni culturali della Russia dopo il crollo dell'Urss, Einaudi, Torino 2005] E' morto ieri, stroncato da una grave malattia, Mauro Martini, studioso di cultura e storia dei paesi dell'est. Nato a Venezia nel 1956, insegnava letteratura russa all'Universita' di Trento. Con l'improvvisa scomparsa di Mauro Martini, la non folta schiera degli studiosi della cultura e letteratura russa o piu' genericamente della Russia si e' impoverita, perdendo un suo membro di valore. Piu' che uno studioso accademico, Martini e' stato un "ricercatore sul campo", essendosi il suo interesse e la sua perizia esercitati soprattutto nella sfera della realta' prima sovietica e poi russa attuale, delle quali e' stato testimone e analista attento, da ultimo, come tutti quelli che condividevano il suo campo di studio, rivolto in particolare alla transizione tra le due ipostasi della Russia novecentesca: quella del lungo periodo comunista e quella, ancora gravata dall'eredita' sovietica, emersa a partire dal 1991 attraverso una svolta epocale pari, per significato storico, a quella dell'ottobre 1917, ma, naturalmente, di segno ideologico e politico inverso. Ultimamente i suoi interventi si potevano leggere, in particolare, sulle pagine del quotidiano "Il foglio": si trattava di articoli informati, equilibrati, illuminati sugli eventi politici, non sempre adeguatamente seguiti dalla grande stampa, non soltanto della Federazione russa, ma anche dell'area delle repubbliche ex sovietiche che, diventate autonome e sovrane, sono pur sempre legate, in senso geopolitico e storico, alla Russia. Gli studi di Mauro Martini avevano, pero', un orizzonte piu' ampio: si spingevano oltre la politica immediata per esplorare il retroterra culturale postsovietico russo, come dimostrano i suoi due ultimi libri, editi rispettivamente da Bruno Mondadori e da Einaudi. Il primo, del 2002, intitolato Oltre il disgelo. La letteratura russa dopo l'Urss, a suo tempo recensito sulle pagine di questo giornale, indaga quella che e' sempre stata la sfera piu' sensibile del mondo russo, quella letteraria, con una particolarissima trasformazione-deformazione nel periodo sovietico e con un ritorno a una quasi normalita' nel quindicennio postsovietico. Si tratta di due fasi distinte, ma non prive di fili di continuita', che Martini ha seguito, approfondendo poi la sua ricerca in un campo piu' ampio, sia pure centrato sempre sulla letteratura a scapito forse di altre sfere di cultura, nell'altro suo libro, uscito proprio quest'anno, L'utopia spodestata. Le trasformazioni culturali della Russia dopo il crollo dell'Urss (pp. 182, euro 15,50). Nel panorama culturale italiano, dove la Russia ha perso quel posto centrale d'attenzione che occupava quando era sovietica e troppo spesso diventa oggetto d'informazione solo quando qualche evento tragico o scandaloso la investe, mentre, in realta', essa costituisce una realta' politica, sociale, culturale tra le piu' interessanti del mondo, Mauro Martini aveva dato il suo contributo di studioso e insieme di "cronista", lasciando un buon ricordo in chi lo ha conosciuto e apprezzato. 8. POESIE E VERITA'. VIVIAN LAMARQUE: NON PARLA [Da Vivian Lamarque, Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p. 33. Vivian Lamarque e' nata a Tesero (Trento) nel 1946, ha scritto versi, fiabe, traduzioni, ed ha molto insegnato e ascoltato] Non parla e ha un gatto in braccio. Ma non approfittatene per giudicarla a prima vista. 9. RILETTURE. INGEBORG BACHMANN: INVOCAZIONE ALL'ORSA MAGGIORE Ingeborg Bachmann, Invocazione all'Orsa Maggiore, SE, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999, pp. XLII + 246, lire 15.000. A cura di Luigi Reitani (e con una commossa testimonianza di Heinrich Boell, "Sulla morte di Ingeborg Bachmann") un'antologia dei versi della poetessa ed intellettuale nata a Klagenfurt nel 1926 e scomparsa a Roma nel 1973; con testo originale a fronte e un notevole apparato critico. 10. RILETTURE. INGEBORG BACHMANN: POESIE Ingeborg Bachmann, Poesie, Tea, Milano 1996, pp. 166, lire 13.000. A cura di Maria Teresa Mandalari, con testo tedesco a fronte, una bella raccolta dei versi della grande scrittrice e pensatrice. 11. RILETTURE. MARIA TERESA MANDALARI: POESIA OPERAIA TEDESCA DEL NOVECENTO Maria Teresa Mandalari, Poesia operaia tedesca del Novecento, Feltrinelli, Milano 1974, pp. 256. Uno studio e un'antologia la cui rilettura per molti motivi raccomandiamo. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1031 del 23 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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