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La nonviolenza e' in cammino. 1032
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1032
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 24 Aug 2005 00:33:59 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1032 del 24 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Marjorie Cohn: Perche Bush non puo' rispondere a Cindy Sheehan 2. Kamala Sarup: Nepal, guerra e aids 3. Renato Briganti intervista Arturo Paoli 4. Vittorio Strada ricorda Irina Alberti 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. MARJORIE COHN: PERCHE' BUSH NON PUO' RISPONDERE A CINDY SHEEHAN [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Marjorie Cohn. Marjorie Cohn e' docente di diritto, presidente della Lega nazionale statunitense degli avvocati, rappresentante statunitense nell'Associazione americana dei giuristi. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; dal 6 agosto staziona con una tenda a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush sta trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli] Cindy Sheehan sta ancora aspettando che Bush risponda alla sua domanda: "per quale nobile causa mio figlio e' morto?". La sua protesta e' cominciata con un piccolo capannello di persone, 13 giorni fa. Si e' estesa a centinaia di persone che stazionano con lei a Crawford, e con decine di migliaia che hanno partecipato alle 1.627 veglie di solidarieta' tenutesi in tutto il paese. Perche' Bush non poteva semplicemente invitare Cindy a prendere il te' quando e' arrivata a Crawford? Con un breve incontro personale avrebbe potuto tentare di smorzare una situazione che e' diventata fonte di profondo imbarazzo per lui, e che puo' far deragliare la sua agenda politica. Bush non parla con Cindy perche' non puo' risponderle. Non c'e' risposta alla domanda di Cindy. Non c'e' alcuna nobile causa per cui suo figlio sia morto. E Bush lo sa. * Gli scopi di questa guerra non sono difficili da scoprire. Erano gia' stati tracciati nel 1992, nella "Defense Policy Guidance" di Paul Wolfowitz, e poi di nuovo nel manifesto dei neoconservatori "The Project for a New American Century's Rebuilding America's Defenses", nel settembre 2000. Molto prima dell'11 settembre, i neocons proclamarono che gli Usa avrebbero dovuto esercitare il proprio ruolo di unica superpotenza mondiale, assicurandosi l'accesso alle cospicue riserve petrolifere del Medio Oriente. Per raggiungere questo scopo, gli Usa avrebbero dovuto invadere l'Iraq e stabilire in esso basi militari permanenti. Se Bush dovesse dare una risposta onesta a Cindy Sheehan, sarebbe questa. Ma per quanto vera, non suona molto nobile. Non soddisferebbe Cindy, cosi' come non soddisferebbe la maggior parte del popolo americano. * Durante gli anni passati, Bush e i suoi favoriti hanno inventato una storia il cui brogliaccio muta di continuo. In primo luogo, ci furono le armi di distruzione di massa e le armi nucleari. Nonostante tutte le ispezioni avessero accertato che l'Iraq non possedeva tali armi, Bush, Cheney, Rumsfeld, Powell, Rice, e Bolton mentirono. Bush aggiunse di aver "trovato la pistola ancora fumante", ovvero sostenne che l'Iraq stava tentando di acquistare uranio dalla Nigeria. Era una bugia, perche' l'ambasciatore Joe Wilson, che ando' in Nigeria ad investigare sulla questione, riferi' a Cheney che la cosa non era mai avvenuta. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu non riteneva che l'Iraq fosse una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionali. Nonostante le dichiarazioni e le minacce di Bush, il Consiglio rifiuto' di approvare una guerra contro l'Iraq. Gli ispettori dell'Onu chiesero piu' tempo per condurre le proprie indagini, ma Bush era impaziente. Dopo aver invaso il paese, le forze della coalizione cercarono le armi proibite. Ma non ce n'erano, per cui non furono trovate. Messo di fronte alla necessita' di spiegare al popolo americano perche' i nostri figli e le nostre figlie morivano in Iraq, Bush cambio' il soggetto alla storia: si trattava di salvare gli iracheni dalle camere di tortura di Saddam Hussein. Poi emersero le foto grottesche e orribili, dalla prigione di Abu Ghraib fuori Baghdad. Contenevano immagini di personale militare statunitense che torturava iracheni. Bush smise di parlare della torture di Saddam. Piu' di recente, la scusa di Bush e' stata: "dovevamo portare la democrazia al popolo iracheno". Il 28 giugno 2004 il presidente ha cerimoniosamente salutato il "trasferimento di sovranita'" agli iracheni, con 138.000 soldati americani che restano pero' in Iraq a proteggere "gli interessi" Usa. L'economia irachena e' ancora controllata da leggi stabilite prima di questo "trasferimento di sovranita'": gli Usa mantengono il controllo sull'accesso straniero al petrolio iracheno, hanno privatizzato le risorse irachene, e controllano la "ricostruzione" di questo paese stremato. Per mesi, Bush si e' vantato che il 15 agosto 2005 gli iracheni si sarebbero messi d'accordo su una nuova Costituzione. Ma questa data di scadenza e' arrivata e passata, e le controversie fra sciiti, sunniti e curdi rispetto al federalismo sono arrivate ad un momento di aspro confronto. L'amministrazione Bush ammette che non ci sara' uno stato federale, ma "una qualche forma di repubblica islamica" ("Washington Post", 14 agosto 2005) e tanto basti per le promesse di Bush su un Iraq democratico. Le negoziazioni sulla Costituzione sembrano distanti anni luce dalla vita della maggior parte degli iracheni. Quando il giornalista Robert Fisk ha chiesto ad un amico iracheno della Costituzione, costui ha replicato: "Sicuro, e' importante. Ma la mia famiglia vive nel timore dei rapimenti. E io stesso ho paura di dire a mio padre che lavoro per i giornalisti. E siamo in sei ed abbiamo l'elettricita' un'ora al giorno, e non possiamo neppure conservare il cibo in frigorifero. Federalismo? Il federalismo non si mangia, e non lo puoi usare per far andare l'auto, e certamente non fara' funzionare il mio frigorifero". Fisk ha riportato che 1.100 corpi di civili sono stati portati all'obitorio di Baghdad nel solo luglio. Il giornale medico "The Lancet" scriveva nell'ottobre 2004 che almeno 100.000 iracheni erano morti nei primi 18 mesi dopo l'invasione del paese. * Ecco, sfortunatamente per Bush, il quadro iracheno non e' molto bello da vedere. Il presidente sa che se parlasse con Cindy Sheehan, lei gli chiederebbe di ritirare immediatamente le truppe dall'Iraq. Bush non ha invece alcuna intenzione di farlo. Gli Usa stanno costruendo proprio a Baghdad la piu' grande stazione della Cia al mondo, e la ditta Halliburton sta alacremente mettendo in piedi 14 basi militari permanenti in Iraq. George Bush sa che non puo' rispondere alla domanda di Cindy Sheehan. Non c'e' alcun nobile motivo per questa guerra in Iraq. 2. MONDO. KAMALA SARUP: NEPAL, GUERRA E AIDS [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Kamala Sarup. Kamala Sarup vive in Nepal ed e' un'attivista per i diritti delle donne, scrive per varie pubblicazioni in tutto il mondo e in diverse lingue incluso il nepalese, l'inglese e l'hindi] Negli ultimi quattro anni, Nira Magar di Rolpa ha fatto la prostituta. Precedentemente, lavorava nella fattoria della sua famiglia. Un giorno, un gruppo di guerriglieri maoisti venne alla fattoria, e le chiese di unirsi a loro per essere addestrata alle armi. Il giorno successivo, sua madre la mando' con un paesano a Katmandu, temendo che i maoisti tornassero a cercarla. A Katmandu, dice semplicemente Nira: "Ho deciso di vendere il mio corpo per la mia famiglia". Nira viene pagata circa 7 euro da ogni cliente. Samjhana Shrestha ha oggi 28 anni. Fu la nonna a mandarla a Katmandu, tre anni fa, dopo che il resto della famiglia era stato ucciso, nel tentativo di tenerla lontana dal terrore che e' parte della vita quotidiana nelle zone rurali del Nepal. "Sono stata picchiata, stuprata, forzata a seguire i maoisti. Cinque uomini mi hanno violentato. Mio marito e' morto. Non ho una casa. Dove posso avere aiuto per il mio bambino che deve nascere?". La guerriglia maoista ha avuto inizio nel 1996. Da allora, fra "cessate il fuoco" proclamati e ritirati, la cifra standard dei cadaveri giornalieri e' di dodici persone. Le organizzazioni per i diritti umani stimano che dal 1996 siano state uccise quasi 6.000 persone dal governo e circa 3.000 dai guerriglieri. Nel conflitto fra le due parti, hanno perso la vita altre 10.000 persone. Il governo ha identificato una trentina di distretti nepalesi come fulcri dell'attivita' dei guerriglieri, ma sono in realta' 35 sui 75 totali i distretti in cui i maoisti amministrano direttamente il territorio. Con l'escalation degli omicidi, dei bombardamenti e di altre forme di violenza, sono migliaia le donne che si riversano nelle aree urbane e semiurbane come Katmandu, Biratnagar, Nepalgunj, Bhairahawa, Pokhara, Kailali e Surkhet, cercando di avere un futuro. La guerra ha ridotto la vita delle donne ad una paralisi totale. Di giorno vengono tormentate dalle forze governative che cercano maoisti, di notte vengono tormentate dai maoisti che cercano i fedeli al governo. Ishu Maharjan, a cui i maoisti hanno ucciso il marito, dice: "Vai fuori dal tuo villaggio, e ti sospettano di essere una simpatizzante dei guerriglieri. Ci torni, e i guerriglieri ti sospettano di essere una spia del governo". Violenze brutali e selvagge, inflitte alle donne da ambo le parti, hanno generato una migrazione interna verso le aree urbane, in cui le donne sono delle profughe nella loro stessa nazione. "Le donne nepalesi non sostengono la guerra, continua Ishu, Il conflitto non permette di vivere ne' di lavorare. Vogliamo la pace, e vogliamo lavorare liberamente nelle nostre fattorie. Smettete di combattere, e dateci riso, medicine, case e mucche per cominciare da capo". * Il decennio di conflitto ha richiesto un prezzo altissimo alle donne, esposte all'abuso sessuale, rapite ed usate come schiave, a volte contagiate di proposito con l'aids. Migrazioni, prostituzione e sesso non sicuro sono una miscela mortale in Nepal, in cui la meta' dei sieropositivi sono tossicodipendenti. Le donne e le ragazze non hanno alternative a portata di mano, e cio' che il governo offre loro e' l'arresto quando le trova nei bordelli. In genere le prostitute usano e chiedono si usino i preservativi, sono i clienti a volere sesso non protetto. Le donne dicono che i clienti (uomini d'affari, impiegati statali, poliziotti, soldati, studenti) offrono loro piu' denaro per tali pratiche. La situazione in Nepal, a questo proposito, richiede particolare attenzione perche' a causa della guerra il paese non e' in grado di predisporre adeguate misure di prevenzione. Il governo sta spendendo la maggior parte del denaro in armamenti e non pensa affatto a programmi capillari che riguardino la salute, sebbene un programma nazionale sia stato varato nel 1995, con il coinvolgimento di organizzazioni nn governative. Intanto le persone continuano a morire, decine di migliaia sono state costrette a spostarsi e innumerevoli infrastrutture sono state distrutte. Le donne hanno il peggio, da questa situazione, soprattutto quelle sieropositive: la presenza di strutture mediche si e' cosi' ridotta a causa del conflitto che la maggior parte delle donne non hanno accesso alle cure sanitarie. L'abuso sessuale di donne da parte dei guerriglieri maoisti, della polizia e dell'esercito governativo contribuisce alla diffusione dell'aids. Gli stupri non vengono perseguiti legalmente, e si danno in un clima di impunita' che ha dell'incredibile; dopo aver subito lo shock emotivo della perdita dei mariti, dei figli, dei fratelli, ed il contraccolpo economico di tali perdite, queste ulteriori violenze risultano ancora piu' crudeli. Secondo l'Unaids, in Nepal si registrano trenta nuovi casi di aids al giorno. 182 persone al mese muoiono a causa dell'infezione. Entro il 2010, a meno di interventi massicci atti ad arrestare il diffondersi del virus, esso sara' la maggior causa di morte nel paese. Poverta', diseguaglianza di genere, bassi livelli di istruzione, stigma sociale e discriminazione sono i fattori principali che rendono le donne vulnerabili all'hiv. Una donna sieropositiva deve fronteggiare molti problemi: l'accesso ai servizi sanitari, la possibilita' di curarsi e di avere informazioni, sono opportunita' drasticamente limitate. Al momento ci sono circa cento ong che lavorano nell'area hiv/aids, ma il coordinamento con le istituzioni nazionali e' carente, e riduce molto l'efficacia degli interventi. * Le leggi nepalesi, inoltre, rimangono discriminatorie. Sfortunatamente, il governo non riesce a capire quanto importante e' sostenere le vittime di violenza sessuale. Il programma "Smobilitazione, disarmo e reintegrazione" dovrebbe contenere la protezione dei diritti umani delle donne come parte integrante. Dovrebbe essere noto che in contesto di guerra lo stupro ed altre forme di violenza sessuale sono considerate crimini di guerra. Il governo dovrebbe prendere misure atte a rinforzare la capacita' delle forze dell'ordine e del sistema giudiziario di occuparsi dei casi di violenza sessuale, e dovrebbe lavorare con le organizzazioni e le esperte in grado di valutare le procedure adottate in base alla loro efficacia e sensibilita', nonche' alla protezione delle vittime. Le istituzioni e le ong dovrebbero sostenere appropriati programmi culturali, psicologici e sociali per coloro che hanno sofferto di violenza sessuale ed assicurarsi che le donne siano incluse in ogni fase della pianificazione per la pace, la smobilitazione, la reintegrazione e la ricostruzione. I gruppi maggiormente vulnerabili in Nepal, collegati alla prostituzione, alla tossicodipendenza e alle migrazioni, sono a rischio a causa dell'instabilita' economica, sociale e politica. Mettere i servizi sociali in cima all'agenda politica puo' servire a mantenere la coesione sociale; investire in salute puo' ridurre i rischi del conflitto e mitigarne l'impatto: la salute dei cittadini e delle cittadine va ad aggiungere senso al concetto di "prevenzione del conflitto" tanto quanto lo sviluppo socio-economico. L'istruzione e la consapevolezza sono altri due potenti strumenti, e infine non si deve dimenticare che nessun programma diretto a contrastare l'aids avra' successo o sara' sostenibile fino a che le donne saranno finanziariamente dipendenti e non potranno controllare cio' che accade ai loro corpi. Naramaya Tamang, che ha 30 anni, e' stata ferita accidentalmente mentre tornava dal mercato, in uno scontro a fuoco fra esercito e guerriglieri nel villaggio di Chisapani. Dalle ferite e' guarita. Oggi soffre per l'hiv. "Le donne nepalesi vogliono la pace, mi dice, Sanno che la guerra peggiora le cose per tutti, in molti modi. Serve solo ai politici e a chi sulla guerra fa i soldi". 3. MAESTRI. RENATO BRIGANTI INTERVISTA ARTURO PAOLI [Dal quotidiano "Liberazione" del 14 agosto 2005. Renato Briganti, docente universitario di economia, e' impegnato in Mani tese e nella Rete Lilliput. Arturo Paoli, religioso, costruttore di pace, saggista, e' una delle figure piu' vive della solidarieta' operosa e della nonviolenza in cammino; su di lui dal sito www.giovaniemissione.it riprendiamo la seguente scheda: "Arturo Paoli e' nato a Lucca nel 1912. Si laurea in lettere classiche a Pisa ed e' ordinato sacerdote nel 1940. Tra il '43 e il '44 partecipa alla Resistenza. Nel 1949 viene nominato assistente nazionale della Giac (Gioventu' Cattolica) mentre era alla presidenza Carlo Carretto. Assistente nazionale dell'Azione Cattolica negli anni '50, fu costretto alle dimissioni per le sue posizioni in contrasto con la gerarchia. Autore di numerose opere che potrebbero andare sotto il titolo di "spiritualita' della relazione", ha scritto fra gli anni '80 e i '90 la sua puntuale "Lettera dall'America Latina" ai lettori di "Nigrizia" (www.nigrizia.it). Nel 1954 riceve l'ordine di imbarcarsi come cappellano su una nave argentina destinata agli emigranti. Durante questi viaggi conosce i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld ed entra nella loro congregazione. Terminato il noviziato svolge il lavoro di magazziniere nel porto di Orano (Algeria) e poi nelle miniere di Monterangiu in Sardegna. Nel 1960 si reca in America Latina per avviare una nuova fondazione: qui vive con i boscaioli della foresta argentina. Quando il clima politico peronista si fa pesante, subisce una campagna denigratoria: il suo nome e' nell'elenco di quelli che devono essere soppressi. Nel 1974 si trasferisce in Venezuela; anche qui il suo lavoro e' di impegno pastorale e di promozione sociale. Nel 1983 comincia a soggiornare in Brasile, dove, dopo la dittatura militare, prende vita una chiesa che e' tra le piu' vive dell'America Latina. In Brasile ha fondato "Afa" (Associazione fraternita' alleanza), che e' una comunita' di laici impegnati in alcuni progetti di aiuto alle famiglie delle favelas: progetto Latte, Educazione, Salute, Donna, Informatizzazione. Nel 1999 lo Stato d'Israele gli conferisce la nomina a "Giusto tra le Nazioni" per aver aiutato e salvato alcuni ebrei nel 1944 all'epoca delle persecuzioni naziste. Il suo nome sara' scritto per sempre nel muro d'onore del Giardino dei Giusti dello Yad Vashem a Gerusalemme. Attualmente vive a Foz de Iguacu, nel barrio di Boa Esperanza. Da quarant'anni Arturo Paoli condivide la sua vita con i poveri, senza per questo rinunciare all'attivita' di conferenziere e animatore: collabora con diverse riviste ("Rocca", "Nigrizia", "Il Regno", "Jesus") e ha scritto una trentina di opere". Tra le opere di Arturo Paoli: Gesu' amore, 1960, Borla 1970; Dialogo della liberazione, 1969; La costruzione del Regno, Cittadella, Assisi 1971; Conversione, Cittadella, Assisi 1974; Il grido della terra,1976; Camminando si apre cammino, Gribaudi, Torino 1977; Cercando liberta', Gribaudi, Torino 1980; Tentando fraternita', Gribaudi, Torino 1981; Facendo verita', Gribaudi, Torino 1984; Le palme cantano speranza, Morcelliana, Brescia 1984; Testimoni della speranza, Morcelliana, Brescia 1989; Il silenzio, pienezza della parola, Cittadella, Assisi 1991, 1994, 2002; La radice dell'uomo, Morcelliana, Brescia; Camminando s'apre cammino, Cittadella, Assisi 1994; Il sacerdote e la donna, Marsilio, Venezia 1996; Progetto Gesu': una societa' fraterna, Cittadella, Assisi 1997; Quel che muore, quel che nasce, Sperling & Kupfer, Milano 2001; Un incontro difficile, Cittadella, Assisi 2001; con Remo Cacitti e Bruno Maggioni, La poverta', In dialogo, 2001; La gioia di essere liberi, Edizioni Messaggero di Padova, Padova 2002; Della mistica discorde, La meridiana, Molfetta (Ba) 2002] - Renato Briganti: Arturo, hai vissuto quasi 45 anni in quelle che Eduardo Galeano chiama "le vene aperte dell'America Latina", nelle aree piu' povere, in mezzo agli emarginati dal mercato globale. Dal tuo osservatorio privilegiato che visione hai dell'attuale situazione mondiale? - Arturo Paoli: Da quando sono arrivato in America Latina la situazione e' piuttosto peggiorata, anche perche' ci sono stati molti tentativi di cambiamento, con progetti di societa' differenti, in Argentina, Cile, Nicaragua, eccetera. Tutti falliti, perche' gli Stati Uniti hanno le mani sull'America Latina e non permetteranno mai la nascita di stati contrari al loro modello, e contrastanti coi loro interessi. Le speranze, quindi, in America latina sono rientrate. Il cammino della globalizzazione non fa altro che incrementare la miseria e la decadenza del popolo. C'e' sempre meno la capacita' di reagire, di pensare. La situazione insomma, vista in modo panoramico, generale, si e' degradata rispetto al 1960, quando sono arrivato io. Ad esempio, l'Argentina era un paese prospero dove non c'erano vaste zone di miseria come oggi. Storicamente la repressione sanguinosa e violenta da parte dei militari ha creato in tutta l'America Latina un senso di scoraggiamento abbastanza forte nella gente. Anche la chiesa, che all'inizio aveva accompagnato e sostenuto le rivolte popolari, oggi ha dimenticato la ricerca di una societa' giusta. Oggi vive osservando. Mentre avanzano le sette religiose che alienano il popolo e svuotano la gente della speranza di una societa' differente. * - Renato Briganti: In questi anni i movimenti di tutto il mondo si sono dati appuntamento a Porto Alegre (e a Bombay) per il Social Forum. Momento importante per passare dalla protesta alla proposta. Cosa ne pensi? - Arturo Paoli: Ho molta speranza in questi movimenti perche' preparano a un futuro. Finche' vige questa globalizzazione, e finche' non e' arrivata al suo termine, e al suo collasso, i progetti dei movimenti restano apparentemente al livello di utopie. Penso pero' che siano necessari, perche' creano la coscienza che siamo in una societa' anormale, patologica, ammalata come una persona con un tumore. Quella di oggi e' una vivacita' solo apparente, montata dai mass media, ma di fatto la societa' e' gia' morta. E lo e' perche' ha rovesciato una delle leggi che la societa' liberale aveva affermato con forza, e cioe' la subordinazione dell'economia alla politica. Oggi si e' rovesciato il rapporto e si e' subordinata la politica all'economia, che diventa cosi' dominante, prepotente, assoluta. Questo avviene un po' per esigenza intrinseca della moneta e del mercato, e un po' anche per l'avidita' umana, per la quale non e' mai troppo, si ha sempre bisogno di accumulare. Non si puo' costruire una societa' giusta su questi presupposti, sulla prevalenza del consumo, dell'accumulazione e di tutte le esigenze del mercato, negazione radicale, ontologica, di quello che e' la societa'. Sono manifestazioni di egoismo feroce. In fondo ricordano lo stato totalitario di Hitler, che ha bisogno di sopprimere l'altro per sopravvivere. Non e' cambiato nulla, solo che la crudelta' che prima era personificata in un uomo politico, oggi e' un essere astratto e crudele che si chiama mercato. E che non e' inferiore ai tiranni che hanno dominato l'Europa nel secolo scorso. Con un calcolo molto esatto, sono convinto che il mercato procura piu' morti che Hitler e Stalin messi insieme. L'Occidente e' andato sempre peggio, seguendo questo suo metodo di creare grandi astrazioni totalitarie, riassunte in un essere concreto o astratto. Ora gli Stati Uniti hanno trovato questa astrazione per cui non c'e' piu' un uomo cattivo e responsabile, oggi responsabile e' il "mercato". Andatelo pure a trovare e ammazzatelo! Ma alla fine cadra' sopra se stesso, come l'idolo coi piedi di terracotta. Le impostazioni totalitarie cambiano solo rompendosi la testa. Illudersi di correggerle sarebbe come aver chiesto ad Hitler di riformare in modo liberale il paese. Queste impostazioni non cambiano, sono sbagliate in partenza, non hanno fondamenta e devono crollare. Sono formazioni patologiche, sono il delirio dell'egoismo umano. Passeremo per enormi sofferenze, ma alla fine questo sistema "deve" crollare. Prepararci ad una societa' differente e' importante. Prepararci ad un'altra realta' politica e sociale aiuta ad anticipare quello che succedera'. Questa coscienza andrebbe diffusa, invece ci lasciamo ingannare dalle apparenze e dai piaceri alimentati dalla societa' consumista. Viviamo una narcosi collettiva, e ci accontentiamo della soddisfazione effimera della foga consumistica. Oggi non e' generalizzata la coscienza di vivere una grande peste, un grande contagio, come la peste di Milano, come le grandi pesti storiche. Anzi, la nostra situazione e' peggiore, perche' non ce ne accorgiamo. Certi analisti cercano di attenuare questa lettura, ma il mercato, questo essere sordo, cieco, muto, domina la situazione, e noi siamo stati trasportati da un progetto politico che ci consentiva di pensare sul passato e sul futuro, al nulla. C'e' stata una interruzione. A un certo punto la politica e' finita. E' finita la ricerca di una societa' piu' giusta, la ricerca di una partecipazione cosciente del popolo. La gente oggi adora i "sacerdoti del mercato", ripone speranza in loro. Questo e' il guaio serio: non esiste la politica. E' per questo che anche quelli che fanno politica sono disorientati. Anche le sinistre non sanno dove mettere i piedi perche' vorrebbero fare politica, ma sono state sradicate. Democrazia oggi e' una parola incomprensibile, ha perduto il suo senso, perche' c'e' stato un trapianto su un altro fondamento. L'esigenza della politica e' fondamentale, la ricerca della organizzazione della societa' perche' tutti gli esseri viventi possano soddisfare le loro esigenze e' un fatto umano inevitabile. Io vivo con gli altri, in mezzo agli altri. * - Renato Briganti: Che importanza dai tu alla memoria? Cosa vorresti dire alle persone che non hanno vissuto gli anni bui del passato, ai ragazzi che non hanno avuto neanche i nonni per farsi raccontare cosa sono state la shoa e le leggi razziali? - Arturo Paoli: Tutti gli anni, il 27 gennaio si celebra la giornata mondiale della memoria, ma la gente in fondo resta insensibile, come agli spettacoli dell'orrore che vede in tv. La gente resta estranea, resta tutto sommato tranquilla, perche' tanto c'e' assenza di responsabilita'. Si puo' provare un momento di stupore, ma in fondo "che ci posso fare io? ". Perche' di fatto non abbiamo nessuna partecipazione alla societa'. Oggi la societa' viene presentata come una grande fiera, ognuno cerca di soddisfarsi il piu' possibile. La gente non e' chiamata a scegliere e a riflettere su certi valori, su certe conquiste, su come cambiare. Questo mondo non vuol cambiare, pensa di stare bene cosi'. Certo, c'e' il ricordare, ma non ci sono valori in antitesi con gli errori commessi. Oggi la preoccupazione e' conservare il nostro stato di benessere. Perche' preoccuparci della societa'? I ricordi potevano aiutare se fossimo rimasti sul piano politico, per ragionare su cosa pensare e cosa votare. Ma oggi la societa' consumista soffoca la partecipazione e distrugge la responsabilita'. Pensare alla dittatura, a come abbiamo fatto a cadere cosi' in basso, sarebbe interessante se ci fosse la responsabilita' nel prendere decisioni. I ricordi del passato sono di interesse solo per una elite. Il popolo non e' interessato, perche' oggi e' chiamato a godere e basta! A consumare e a comprare. Se ha le cose, bene, se no ruba o si arrangia. Il tema unico e' consumare. Non serve alla gente ricordare gli errori commessi e le atrocita'. Se si dovesse costruire una casa, anaalizzando le esperienze del passato, si sceglierebbero i materiali migliori. Ma oggi non si sta costruendo. * - Renato Briganti: E' un'analisi molto lucida, ma molto amara. - Arturo Paoli: Si tratta di attendere, non c'e' un rimedio diretto. Bisogna pensare ad un mondo diverso, non rinunciare a progettare una societa' migliore. Pensare ad una societa' diversa ti aiuta a vivere. E non dobbiamo giudicarla un'utopia, dobbiamo credere che sara' possibile, anche per anticipare il crollo della societa' attuale. * - Renato Briganti: Giorni fa mi parlavi di Ernesto Guevara e del suo essere secondo te un uomo interiore. Hai scritto molto sul suo rapporto con la cara amica Maria Rosa. Che opinione hai di lui e che attualita' vedi oggi della sua figura? - Arturo Paoli: Ho conosciuto Maria Rosa, sua "madre spirituale" (era piu' anziana di lui), attraverso una profonda amicizia. Ne ho scritto anche in un libro dal titolo Salutatemi Maria Rosa. E' stata lei che ha accompagnato il suo formarsi, che ha conosciuto da molto vicino la sua indole di persona che realmente cercava la giustizia e un mondo migliore. Era convinto che la societa' in cui viveva fosse una societa' opprimente. Aveva bisogno di cercare altro. Aveva un grande ideale della giustizia, e lo dimostra la sua vita. Alla fine, raggiungere il potere non gli ha fatto dimenticare (come succede a molti) che dietro di lui esistevano dei poveri e degli assetati di giustizia, che non avevano ottenuto la tutela dei propri diritti. Non importa che si sia dimostrata politicamente sbagliata la scelta di andare in guerra in Bolivia, quello che conta e' vedere qual e' stata la sua intenzione, la sua ispirazione. Non e' un caso che tra tanti eroi nella storia i giovani hanno scelto lui, perche' istintivamente o intuitivamente hanno visto in lui qualcosa di diverso, una umanita' piu' giusta, piu' ricca. Non e' ricordato come uno che ha preso le armi, anzi il fatto che abbia "anche" preso le armi non definisce la sua personalita'. E' ricordato soprattutto perche' voleva con tutte le sue forze un mondo piu' giusto, piu' umano. La gioventu' ha sentito sempre un certo fascino provenire da lui. Nel suo discorso di Algeri ha avuto coraggio, perche' ha dichiarato al mondo comunista, che si era impegnato a realizzare la giustizia, che lui non vedeva questa realizzazione, e che non erano garantiti i diritti di tutti. Questa testimonianza per me e' di grande valore, davanti ad un mondo che pareva trionfare. * - Renato Briganti: Come vedi l'uomo globale oggi e che responsabilita' ha verso se stesso, verso l'altro e verso il pianeta in cui vive? - Arturo Paoli: Un sociologo che amo molto, Bauman, ha scritto "La solitudine dell'uomo globale", libro che in principio non riuscivo a capire bene, ma che dopo ho apprezzato molto. La societa' consumistica ha bisogno dell'uomo solo. Infatti ha paura dell'amicizia, delle riunioni. L'uomo per poter essere docile ed obbediente alle esigenze del mercato, del consumismo, ha bisogno di non pensare, di non riflettere, di non ragionare con gli altri; quindi deve essere solo. Come dicevo e' importante il punto di partenza, l'inserimento della societa' in una dimensione che non e' piu' quella della ricerca della liberta' o della giustizia, della convivenza pacifica o delle ricerche e dei valori scoperti nel grande disegno democratico. Tutto e' cancellato. Storicamente siamo chiamati a partecipare ad un grande spettacolo, alla grande fiera della tecnica. Oggi compri una macchina fotografica, ma appena arrivi a casa e' gia' vecchia e non ti piace piu', e ne vuoi una piu' moderna, ma poi ce n'e' gia' un'altra che ti pare molto meglio, eccetera. Il cammino verso l'infinito, che prima aveva come contenuto la ricerca della perfezione dell'uomo, ora e' trasportato sul piano della produzione infinita. Ed e' un cammino il piu' materialista che si possa immaginare. La societa' non e' mai stata cosi' materialista come oggi. Lo sguardo e' rivolto solo agli oggetti, che saranno sempre piu' perfetti. Oggi si ricerca la liberazione dalla fatica, dallo sforzo, dall'applicazione intellettuale, dalla ricerca personale, perche' ti viene tutto offerto. Per quale motivo affaticarsi ad aprire una scatoletta, se oggi ne offrono una che si apre da sola. Tutto questo ti trasporta in mondi in cui non c'e' bisogno che tu pensi, anzi, meno pensi e meglio e', piu' sei passivo e meglio e'; infine, piu' sei solo e meglio e'! * - Renato Briganti: Tu parli spesso dell'etica che ha sostituito la filosofia. Cosa intendi dire? - Arturo Paoli: Intendo dire che si e' abbandonato il concetto per dirigersi ad osservare il fenomeno. Questo non vuol dire abbandonare del tutto le idee, ma scoprirle nell'esperienza fenomenologica, in quello che vedi. E' un calare il tuo pensiero nella realta'. Cercare di rimettere la vita personale e la vita sociale, dalla via in cui si e' spostata (quella dell'attenzione unicamente rivolta alla tecnica, alla rapidita'), sul sentiero invece del pensiero e soprattutto della responsabilita'. Facendoci scoprire che siamo arrivati a queste conseguenze perche' l'uomo ha desistito dalla sua responsabilita', magari scoraggiato da avvenimenti negativi, tragici. I pensatori accorgendosi di queste conseguenze sono tornati, e aiutano l'uomo a ritrovare il sentiero e a scoprirsi come "responsabile". Questo e' stato il passaggio: non pensare piu' astrattamente. La filosofia si e' spostata dalla pura logica, dalla pura razionalita', alla vera saggezza. Capire che il pensiero mi e' stato dato per aiutare me stesso e gli altri a vivere in maniera piu' realisticamente vera, e anche piu' felice. Oggi e' generale, e' comune, ed e' anche una conseguenza della scoperta reale e pratica dell'importanza del corpo, del fatto che l'uomo non e' unicamente pensiero, anzi che il pensiero e' molte volte tradito dalle pulsioni che vengono dal corpo. L'uomo non pensa solo con la testa, con la ragione, ma pensa con la sua sensibilita', con il suo corpo, che e' la parte piu' importante dell'uomo. * - Renato Briganti: Hai trascorso gli ultimi 15 anni in Brasile a Fos do Iguazu' e conosci da vicino l'esperienza che sta con fatica portando avanti Lula. Cosa ne pensi dei primi due anni di governo e del programma "Fame zero"? - Arturo Paoli: Ho molta stima di Lula. Vedo cose positive e negative. Quello che di bene sta facendo sono le sue relazioni internazionali con gli altri Stati latinoamericani, come l'Argentina, l'Uruguay, il Cile. Perche' quello e' un lavoro importante da fare. E' impossibile arginare il dominio economico degli Stati Uniti sull'America Latina se gli Stati latinoamericani non si uniscono, come e' successo in Europa. Evidentemente e' piu' difficile, ma si deve cominciare ad andare su questa strada. All'interno ci sono invece molti fattori contrari a Lula: il primo e' il problema enorme della struttura coloniale della proprieta' fondiaria e della riforma agraria. Solo un dittatore, con la forza e facendo molte vittime, potrebbe cambiare questa situazione. Quindi questa e' la prima contrarieta', la resistenza dei proprietari terrieri. Una riforma agraria si potrebbe realizzare solo con un atto di forza che e' impossibile per Lula, per la struttura interna del Paese e per la sua stessa personalita'. In secondo luogo la chiesa e' rimasta molto indifferente, non dico contraria, ma indifferente davanti a Lula. La struttura gerarchica della chiesa brasiliana e' stata ridefinita con un disegno molto rigido. La chiesa brasiliana era stata forse l'unica, obbedendo al Concilio, ad aver fatto la scelta dei poveri, e questo ha dato fastidio alle autorita' politiche. Poi la chiesa si e' allineata al potere politico e in pochi anni e' stata cambiata la gerarchia (sono bastati 10-15 anni per sostituire tutti), che ora e' formata in gran parte da vescovi stranieri o da vescovi "spiritualisti". Non spirituali, ma spiritualisti: che pensano alla fede solo come dogma, come verita' astratta, e non nelle sue conseguenze nella vita, nella giustizia, nella fraternita', nel cambiamento del mondo, insomma "nel regno di Dio" per dirla con le parole del Vangelo. Questa nuova gerarchia rimane completamente fuori, anche dal progetto tipicamente evangelico che e' "Fame zero". Se c'e' un valore evangelico e' proprio quello li' (il pane a tutti). Non e' stato recepito, non e' stato aiutato nella maniera piu' assoluta. Neanche i media, poi, sono con Lula, non lo appoggiano, anzi cercano di creare diffidenza nella gente, piuttosto che fiducia. Non credo quindi che Lula possa far molto all'interno del Brasile, e infatti non si vedono cambi sostanziali. Ci sono delle iniziative che speriamo possano cambiare un po' le cose, come la grande marcia del Movimento Sem Terra. Pero', purtroppo, non credo che Lula sara' rieletto. Percio' nel breve spazio della sua presidenza non puo' fare grandi rinnovamenti. Penso comunque che la sua presidenza abbia rappresentato e rappresenti una alternativa, chissa' che col tempo non abbia il suo risultato. Il Pt (Partido dos trabajadores) pero' non ha messo in campo delle strutture di formazione del popolo, che non ha partecipato coscientemente a questo cambiamento di rotta del governo. Ha dato solo il voto in un momento di euforia. * - Renato Briganti: Io ti ho conosciuto mentre collaboravamo col Movimento Sem Terra. Che fase sta vivendo ora e a che punto e' la riforma agraria? - Arturo Paoli: Nel mese di maggio c'e' stata una grande marcia del Mst (Movimento Sem Terra), ma non l'ho seguita direttamente. Mi pare pero' che non abbiano curato sufficientemente l'aspetto fondamentale, cioe' la formazione di quelli che conquistano la terra. Si tratta del passaggio dalla proprieta' privata individuale a quella collettiva della terra, e necessita di una formazione costante, di una grande capacita' di saper stare insieme. O anche della religione come fraternita', come appello a convivere, a capire l'importanza della comunita'. Questo si puo' ottenere solo con una formazione continua, con incontri periodici, ed elevando il grado di istruzione di tutti. Il pericolo costante in queste esperienze e' ricadere nell'individualismo, che e' una malattia che ritorna, come un'erbaccia che una volta tagliata rinasce. Quindi c'e' bisogno di una vigilanza continua. In questo il Mst e' un po' indietro. I semterra si aspettavano da Lula maggiore appoggio, speravano che con lui iniziasse un'epoca di riconoscimento dei valori che il loro movimento rappresenta. Invece Lula e' un po' stretto dalle circostanze, e sulla riforma agraria ha potuto fare poco. Non penso che sia mancanza di buona volonta', e' la situazione strutturale del Brasile che impedisce il cambiamento. * - Renato Briganti: Perche' secondo te oggi c'e' bisogno di "tenerezza"? - Arturo Paoli: Il mondo e' inaridito e insensibile, "materializzato", concentrato sui prodotti e polarizzato sugli oggetti della propaganda. Cosi' quando l'uomo rientra in se stesso, si accorge che quello che manca oggi e' proprio l'essere compreso, amare, essere amato. Per questo credo che oggi ci sia bisogno di tenerezza. * Appendice: un breve profilo di Arturo Paoli Un prete in cerca della giustizia: 93 anni, 45 vissuti con i poveri in America latina. Nato a Lucca nel 1912, Arturo Paoli diviene sacerdote nel 1940; tra il '43 e il '44 partecipa alla Resistenza. Dopo dieci anni entra nella congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesu', ispirata a padre Charles de Foucauld. Nel 1959 si stabilisce in America Latina: da' vita a una nuova fondazione in Argentina; organizza una cooperativa agricola in Venezuela. Infine, nel 1985 si trasferisce in Brasile. Per oltre quarant'anni Arturo Paoli condivide la sua vita con i poveri, senza per questo rinunciare all'attivita' di conferenziere e animatore: collabora con diverse riviste ("Rocca", il periodico della Pro Civitate Christiana di Assisi, "Nigrizia", "Il Regno", "Jesus") e ha scritto una trentina di opere. Tra i suoi libri: Gesu', amore (1960), Dialogo della liberazione (1969), Il grido della terra (1976), Facendo verita' (1984). Nel 1944 ha ricevuto il titolo di ´Giusto tra le nazioni" dall'ambasciata d'Israele a Brasilia per aver salvato la vita a un ebreo nel 1944. 4. MEMORIA. VITTORIO STRADA RICORDA IRINA ALBERTI [Dal sito www.irinaalberti.it riprendiamo il seguente testo di Vittorio Strada apparso sul "Corriere della Sera" del 12 dicembre 2001, accompagnato dalla seguente prsentazione: "il brano pubblicato e' tratto dall'intervento che Strada tiene oggi a Palazzo della Cancelleria di Roma nell'ambito della giornata di studi dedicata a Irina Alberti a un anno dalla sua morte. Numerosi i partecipanti fra i quali padre Georges Cottier, Anatoli Krasikov, Arrigo Levi, Pierluigi Battista, Gad Lerner e Paolo Mieli che introdurra' la tavola rotonda. Nel corso dei lavori ai quali assistera' il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, verra' consegnato il premio Irina Alberti a Barbara Spinelli per il saggio Il sonno della memoria, edito da Mondadori". Vittorio Strada (Milano 1929), illustre slavista, docente di lingua e letteratura russa all'Universita' Ca' Foscari di Venezia, ha diretto per anni l'Istituto italiano di cultura a Mosca; ha ideato la Storia della letteratura russa in sette volumi edita parzialmente da Einaudi e integralmente, in Francia, da Fayard e fondato la rivista di studi storico-culturali "Rossija/Russia", ora pubblicata a Mosca; ha curato l'edizione delle opere narrative di Michail Bulgakov (Einaudi) e Boris Pasternak (Mondadori) e presentato testi fondamentali del pensiero filosofico e politico russo moderno. Tra le opere di Vittorio Strada: Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa, Torino 1969, 1980; Le veglie della ragione. Miti e figure della letteratura russa da Dostoevskij a Pasternak, Torino 1986; Simbolo e storia. Aspetti e problemi del Novecento russo, Venezia 1988; Autoritratto autocritico. Archeologia della rivoluzione d'Ottobre, Roma 2004. Su Irina Alberti dal sito www.irinaalberti.it riprendiamo ampi stralci della breve notizia biografica: "Irina Ilovajskaja Alberti era nata il 5 dicembre 1924 a Belgrado da una famiglia di emigrati russi sfuggiti alla rivoluzione del 1917. Trascorse la prima giovinezza tra la cattolica Dubrovnik e l'ortodossa Belgrado vivendo fin da adolescente l'esperienza del rapporto tra la Chiesa occidentale ed orientale. Dopo una serie di incredibili peripezie, tra una minaccia di deportazione ad Auschwitz e quella di un rimpatrio forzato in Unione Sovietica, Irina Alberti alla fine della seconda guerra mondiale divenne italiana sposando il diplomatico Edgardo Giorgi Alberti. Segui' il marito a Praga dove era stato nominato addetto culturale dell'ambasciata, successivamente espulso in quanto aveva preso le difese dell'indipendenza del popolo cecoslovacco. Successivamente collaboro' a Radio Liberty. Nel 1975 preparo' e organizzo' l'arrivo in Occidente di Alexander Solzenicyn, espulso dal regime sovietico. Divenne la portavoce di Solzenicyn e rimase tre anni con lui negli Stati Uniti incominciando a organizzare il mondo dei dissidenti che si trovavano in Occidente. Negli anni '80 viene chiamata a Parigi a dirigere la rivista "Ruskaja Misl" ("La Pensee Russe") punto di riferimento dell'emigrazione russa da sempre. Dirigera' il giornale fino al momento della morte... Tramite il giornale aiuta e organizza l'assistenza alle famiglie di prigionieri nei Gulag, aiuta e accoglie a Parigi i fuoriusciti dell'Est. "La Pensee Russe" ha rappresentato la fucina dei dissidenti: Heller, Pliutch, Bukovskij, Maximov, Sinjasvkij, Ginzburg, Natalia Gorbaneskja; fondamentale il rapporto con Andrej Sakarov e con sua moglie Elena Bonner. Dura per anni la lotta per strappare Sakarov all'esilio. "La Pensee Russe" era diffuso clandestinamente in Unione Sovietica e i suoi lettori affrontavano grandi rischi pur di procurarsene una copia... Con la caduta del comunismo Irina Alberti pote' entrare in Russia... partecipando, attivamente alla creazione di una societa' civile e di una opinione pubblica democratica nella realta' di quel paese. Nata e cresciuta nella fede russo-ortodossa, Irina Alberti si era convertita al cattolicesimo in eta' adulta. Con l'ascesa al pontificato di Giovanni Paolo II, che divenne un punto di riferimento imprescindibile sotto il profilo esistenziale e politico per chiunque si dedicava alle battaglie per l'Est Europa, Irina Alberti profuse ogni energia nel dialogo tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa, e dopo la caduta dell'Unione Sovietica comincio' a dirigere una radio di Mosca a cui collaborano cattolici e ortodossi. Mise al servizio di Giovanni Paolo II la sua esperienza per quanto riguardava tutto il rapporto con la Chiesa Orientale e la cultura russa. Ha collaborato in tutto il mondo ad alcuni tra i piu' autorevoli quotidiani, settimanali, mensili. La sua vita ha avuto al centro il peso opprimente dei totalitarismi nazifascista e comunista. Anche dopo la caduta del comunismo nel ribadire la condanna assoluta del nazifascismo ha tentato di condurre l'esame del comunismo fino a rivelarne definitivamente tutta la valenza negativa, a determinare una ricerca storica che conducesse nei confronti del comunismo un'analisi di accertamento delle responsabilita', come era avvenuto per l'altro totalitarismo. Il tentativo di Irina Alberti e' stato quello di favorire inoltre il superamento dell'ingiustizia sociale e la trasformazione delle societa' pur nell'ottica di stimolare la riscoperta dei valori fondamentali di stabilita' e conservazione. Irina Alberti ha affrontato concretamente lo strano miscuglio che la fine del secolo e l'inizio del nuovo comporta tra l'accresciuto sviluppo della tecnologia (che vede moltiplicato il suo ruolo dal processo di globalizzazione) e il risveglio del sentimento religioso e la sua capacita' di attrazione senza limiti, indubbiamente determinata da una parte dalla persistenza di un'ingiustizia sempre piu' dura e dall'altra dall'esigenza della ricerca di una nuova dimensione spirituale dopo il travaglio delle ideologie degli ultimi secoli... Irina Alberti e' morta il 4 aprile 2000 a Francoforte nel pieno della sua attivita' a seguito di un attacco cardiaco"] Ricordare Irina Alberti non significa soltanto rievocare la sua figura, che e' cara a chi la ha conosciuta e ancora piu' a che ha goduto della sua amicizia, ma significa andare oltre il ricordo personale per entrare nell'ambito ampio della realta' in cui essa ha operato, profondendo la sua energia intellettuale e morale. Dire che questa grande realta' e' stata la Russia costituirebbe ancora una limitazione, per quanto vasto possa essere questo spazio di civilta' tra Europa e Asia come campo di studio e di analisi: si puo' dire con piu' precisione che la realta' entro la quale Irina Alberti ha vissuto con tutta la sua partecipazione e' stata piu' che la Russia in quanto tale la Russia in quanto membro del mondo e il mondo in quanto orizzonte della Russia. Cio' che interessava Irina Alberti e che costituiva l'oggetto della sua riflessione e azione era il destino della Russia come parte essenziale dei destini generali, come problema particolare ma fondamentale all'interno di quel sistema organico di problemeni che costituisce l'attualita' mondiale, il nostro presente come punto da cui defluisce un passato destinato ormai all'analisi storica e affluisce un futuro passibile soltanto di incerte prognosi. Giornalista di vocazione, come dimostra la lunga direzione del periodico "Ruskaja Mysl" ("La pensee russe"), edito a Parigi, che sotto la sua guida e' stato una voce libera per i lettori russi dentro e fuori la Russia, Irina Alberti e' andata al di la' di questa professione per farsi mediatrice preziosa tra l'occidente e quella parte estrema e decisiva dell'Oriente europeo che e' la Russia. Una mediatrice autorevole tanto da godere, da una parte, nel mondo postsovietico e prima in quello "dissidente", della fiducia di un Solzenicyn e di un Sacharov e del rispetto delle nuove sfere politiche democratiche russe, e dall'altra parte, da essere accolta come interlocutrice da Giovanni Paolo II che dai colloqui con lei traeva conforto per il suo atteggiamento verso quel mondo, complesso anche in senso religioso, che e' la Russia attuale. La religiosita' e' stata la base fondamentale della vita attiva di Irina Alberti. Una religiosita' ricca e libera che conferiva alla sua fede, radicata nella confessione cattolica, una facolta' rara di apertura al cristianesimo orientale, ortodosso, non in nome di un ecumenismo astratto ma per il sentimento vivo dell'unita' profonda, anche se storicamente lacerata, del Verbo di Cristo e per la consapevolezza vissuta della verita' che il cristianesimo ortodosso porta con se' non come alternativa o opposizione alle altre confessioni cristiane ma come loro completamento e integrazione, come un momento di una realta' superiore che aspetta di essere ricomposta nella luce dello spirito, fermo restando il rispetto delle diversita' ecclesiali. Raramente, d'altro lato, in una persona di fede ferma e inconcussa come era quella di Irina Alberti, si poteva trovare una laicita' di pensiero cosi' criticamente aperta alla realta'. Leggendo cio' che periodicamente essa scriveva nel suo giornale e negli interventi che faceva in varie sedi, colpiva l'quilibrio delle sue analisi e dei suoi giudizi che si fondavano sempre su una conoscenza diretta di un mondo ancora cosi' poco familiare e oggetto di cattiva informazione come quello russo. Cattolica, la sua propensione era per valori politici che si possono definire di un riformismo socialista e cristiano, pur nell'affermazione costante di indipendenza rispetto ad ogni affiliazione di partito. Questa vastita' di orizzonte conferiva a Irina Alberti la capacita' di orientarsi nella realta' politica europea occidentale e orientale secondo i criteri di una visione democratico-liberale moderna, autocritica verso se stessa. Qui sono radicati i principi che la hanno guidata nella sue lunga e attiva resistenza al totalitarismo nazista e comunista. Irina Alberti e' stata contemporanea di una Russia senza precedenti, di un fase della storia che ha visto la patria di Tolstoj e di Dostoevskij vivera le piu' soprendenti e catastrofiche trasformazioni: da impero autocratico a repubblica democratica. Dove va ora la Russia? Si puo' almeno dire che essa non sta compiendo, ne' deve compiere, un transito per giungere a diventare "come noi", ma che, sul terreno comune dello sviluppo democratico, sta percorrendo un suo proprio arduo cammino per diventare se stessa come nazione dopo le tragiche esperienze dello scorso secolo, un cammino pieno di rischi e di incognite ma anche di possibilita' e di speranza. Un cammino che Irina Alberti, italiana non meno che russa, e autenticamente europea, ha osservato al suo inizio e che noi continuiamo a seguire con trepidazione e attenzione, sentendo il vuoto lasciato da lei come persona amica e come mente lucida e appassionata. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1032 del 24 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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