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La nonviolenza e' in cammino. 1018
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1018
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 10 Aug 2005 00:22:10 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1018 del 10 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Da Aviano per la messa al bando delle armi nucleari 2. Enrico Peyretti: Al bando le armi nucleari 3. Maria G. Di Rienzo: Notizie 4. Leonardo Boff: Il dilemma di Lula 5. Marina Graziosi: Infirmitas sexus. La donna nell'immaginario penalistico (parte terza) 6. Riletture: Margarete Buber Neumann, Da Potsdam a Mosca 7. Riletture: Margarete Buber-Neumann, Prigioniera di Stalin e Hitler 8. Riletture: Margarete Buber-Neumann, Milena, l'amica di Kafka 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. DA AVIANO PER LA MESSA AL BANDO DELLE ARMI NUCLEARI [Da Mariagrazia Bonollo, dell'ufficio stampa di "Beati i costruttori di pace" (per contatti: tel. 0445812321, cell. 3482202662, e-mail: salbega at interfree.it) riceviamo e diffondiamo] Aviano, 9 agosto 2005. Si e' chiusa stamane ad Aviano la "cinque giorni" di iniziative voluta da "Beati i costruttori di pace" per chiedere, nel sessantesimo anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, la messa al bando delle armi nucleari. Davanti ai cancelli della Base Usaf di Aviano oggi alle undici circa 200 persone hanno ricordato alle 11,02, in un silenzio interrotto solo dai rintocchi di una campana, lo sgancio della seconda bomba atomica sulla citta' di Nagasaki. Dopo la testimonianza di Seiko Ikeda, sopravvissuta alla prima esplosione atomica, e' stato effettuato un collegamento telefonico proprio con la citta' di Nagasaki, dove si trovavano il sindaco di Udine e il sacerdote friulano don Pierluigi Piazza, che ha riaffermato la necessita' della memoria. Alla commemorazione davanti ai cancelli della base erano presenti anche sei rappresentanti di enti locali con i loro gonfaloni. All'iniziativa, organizzata da Beati i costruttori di pace, hanno aderito il coordinamento Veneto e Friuli Venezia Giulia di Emergency, le Acli di Pordenone, la Tavola della pace e il Coordinamento enti Locali per la pace della regione Friuli Venezia Giulia, nonche' l'assessore alla cultura e alle politiche di pace della Regione Friuli Venezia Giulia, Roberto Antonaz, che proprio ieri a Padova aveva confermato l'impegno dalla Regione Friuli Venezia Giulia per una fattiva politica di pace, orientata al disarmo nucleare sul proprio territorio. "L'impegno degli Enti locali per il disarmo nei propri territori e' stata la felice sopresa di questi giorni" commenta il presidente di Beati i costruttori di pace, don Albino Bizzotto. Infatti le iniziative di Ghedi, Padova e Aviano - tutte molto partecipate e riuscite, a parte il concerto dell'Orchestra di Piazza Vittorio rinviato per maltempo - hanno visto in prima fila non solo gruppi e associazioni, ma anche tanti enti locali. A partire dal Comune di Padova, che ha voluto patrocinare gli appuntamenti che si sono tenuti a Padova, e da quelli bresciani toccati direttamente dalla base aerea di Ghedi, che ospita 40 bombe atomiche pronte all'uso. Davanti all'aeroporto militare bresciano ha voluto essere presente con il proprio gonfalone anche il Comune di Firenze. "Come e' avvenuto con l'obiezione di coscienza dei singoli nei confronti del servizio militare - riflette don Bizzotto - cosi' credo si apra adesso una stagione nella quale anche i responsabili di enti locali, di fronte a illegalita' gravi e permanenti degli Stati che costituiscono minaccia per le loro popolazioni e territori e per gli altri popoli, dovranno scegliere la strada dell'obiezione di coscienza istituzionale. Non ha senso garantire la sicurezza e la legalita' a livello locale rimanendo senza alcuna possibilita' di decidere sull'insicurezza totale e la violenza estrema che pongono le bombe atomiche su un territorio". Fra le adesioni giunte a queste iniziative, vanno ricordate anche quelle dei presidenti delle Regioni Trentino Alto Adige, Toscana, Piemonte e Lazio; dell'assessore alla cooperazione, al perdono e alla riconciliazione dei popoli della Regione Toscana; delle Province di Milano e Cremona, del presidente della Provincia di Macerata e degli assessori alla pace delle Province di Gorizia e Biella; dei Comuni di Padova, Firenze, Ghedi, Castenedolo, Montirone, Borgosatollo, Calcinato, Gallio, Fiorano Modenese, Solesino, Fiesole, Trebaseleghe, Trezzo sull'Adda, Piove di Sacco, Montebelluna, Curatrolo, Quarrata e Meolo; dei sindaci di Agrate Brianza e Alpignano, della Consulta della pace del Comune di Brescia e del Coordinamento nazionale enti locali per la pace e i diritti umani; nonche' di 45 realta' della societa' civile organizzata. 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: AL BANDO LE ARMI NUCLEARI [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione gli appunti alla base del suo intervento al convegno "Mettere al bando le armi nucleari" svoltosi a Padova lunedi 8 agosto nell'ambito delle iniziative promosse da "Beati i costruttori di pace" nel sessantesimo anniversario di Hiroshima e Nagasaki. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Il problema maggiore, riguardo alle armi nucleari, non e' tanto di chi vuole averle, quanto di chi le ha, le ha usate, non le distrugge, non rispetta il Trattato di non proliferazione del 1970 (in sigla: Tnp). Gli "stati canaglia" sono tutti quelli che prevedono la morte-data come come uno degli strumenti della politica. La politica e' l'arte del vivere e del con-vivere, non dell'uccidere. La guerra, l'uccidere istituzionale, e' l'anti-citta', l'anti-politica. La politica e' pace, o non e' politica. Come dice qui Massimo Toschi, l'uso voluto, programmato e procurato di vittime, contro qualche avversario, e' la negazione della politica, prima ancora che della pace. Tutte le armi sono di distruzione. Pesa la differenza quantitativa e sensibile tra uccidere uno e uccidere mille. Ma non c'e' differenza qualitativa. Qui si e' ricordato il detto comune alla tradizione ebraica e islamica: "Chi uccide una vita uccide l'umanita', chi salva una vita salva l'umanita'", che e' scritta anche qui fuori, nel Municipio di Padova, sotto la lapide in onore di Giorgio Perlasca. Uccidere una vita e' tutta la "massa" possibile, per quella vita. Se e' lecito uccidere uno, e' lecito uccidere tutti. Per non uccidere tutti, bisogna non uccidere neppure uno. Siamo contro le armi nucleari, certamente, ma altrettanto contro le armi leggere, dal kalashnikov al machete, che fanno ancora piu' vittime, e sono le vere armi di distruzione di massa. Hiroshima non e' una "esagerazione" nella guerra: e' la "rivelazione" di cio' che la guerra e' sempre stata dal suo inizio storico, come istituzione nella citta'-stato, nel crescendo della violenza legalizzata, che si dimostra incontenibile, una volta che e' avviata. Se la guerra e' l'antipolitica, vogliamo la riaffermazione integra dell'art. 11 della Costituzione italiana come primo punto di una programma politico che possa meritare il voto. L'art. 11 non ripudia solo la guerra di offesa, ma la guerra come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", percio', in linea con la Carta dell'Onu, condanna la guerra come tale, e impegna a procedere verso il superamento anche della difesa militare, che e' dare la morte, vivere di morte, che non e' vivere. E' possibile la "difesa senza guerra" (abbondante bibliografia storica nel sito http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti). In Italia e' chiamata Difesa Popolare Nonviolenta, in Europa c'e' ancora la proposta di Alex Langer dei Corpi Civili di Pace. * La nonviolenza - idea non privativa, ma positiva e attiva, percio' da scrivere in parola unica - e' assai piu' del pacifismo. Il pacifismo ripudia la guerra, ma la guerra e' soltanto la forma piu' vistosa e ripugnante di violenza. Almeno altre due forme sono meno visibili, piu' accettate e subite, e ben piu' gravi. Si tratta della violenza strutturale (nelle leggi, nelle economie) e della violenza culturale (per esempio l'idea di superiorita' di alcune culture, di "civilta'" e forme politiche da imporre agli altri, il razzismo di certi giornalisti e di certi partiti). La violenza delle idee, incarnata in strutture, e' causa e giustificazione della violenza bellica. Il pacifismo coerente e' ottima cosa, ma rimane in superficie se non diventa cultura e azione nonviolenta. Percio' e' necessario che tutte le associazioni e movimenti pacifisti italiani sappiano arrivare, conservando ciascuno le sua caratteristiche, a formare una federazione nonviolenta nazionale, per esigere e imprimere nella politica il ripudio attivo di ogni violenza e la qualificazione nonviolenta dell'agire politico. Certo, la nonviolenza intera, diceva Gandhi, e' come la retta di Euclide, ma cio' che conta nei fatti e' il movimento tenace che riduca ogni forma di violenza, tendenzialmente a zero, e sviluppi al massimo la cultura e l'etica nonviolenta, la smascheratura delle strutture violente, e le tecniche nonviolente e costruttive nella gestione dei conflitti. * Percio', nostro obiettivo e volonta' politica non puo' essere altro - in nome del realismo politico - che l'abolizione (o totale riconversione) degli eserciti. Sappiamo che cio' non e' attuabile ora, a causa delle culture politiche, sia a destra che a sinistra, ancora quasi totalmente, con poche preziose eccezioni, legate al mito irreale della guerra, e a causa dell'insufficiente cultura popolare di pace. Alcune linee politiche che per altri versi possiamo condividere, ritengono la guerra, e la capacita' di farla, e la dimostrazione di saperla fare - vedi la guerra alla Serbia fatta nel '99 dal governo di centro-sinistra - come un elemento essenziale della capacita' di governo. Ma il matrimonio politica-guerra va spezzato col ripudio solenne stabilito costituzionalmente dall'art. 11. Dunque, cosa possiamo volere oggi dalla politica italiana, in progressione graduale ma orientata verso il disarmo dell'omicidio e verso la politica del conflitto nonviolento? Tre punti, almeno: 1. Una politica di difesa, ancora militare, ma esclusivamente difensiva e non offensiva. Offensive sono ovviamente le armi nucleari, che l'Italia e' forzata ad ospitare e anche a detenere in proprio in questa regione; sono le portaerei, studiate per portare la guerra in casa altrui; sono le spedizioni militari al servizio degli invasori, come in Iraq. Offensivo e' il concetto di difesa - difesa dichiarata dei privilegi, non dei diritti - proclamato nel 1991 nel Nuovo Modello di Difesa e messo in pratica da tutti i governi succedutisi da allora. Offensivo e' legarsi ad una alleanza, la Nato, dalla strategia di dominio, espansiva, interventista. Un vero passo verso il disarmo e' il "transarmo": la trasformazione degli armamenti da offensivi a strettamente difensivi. Cio' assicura maggiore sicurezza, perche' non minaccia l'eventuale avversario. 2. Spostare annualmente il 5% del bilancio militare alla alternativa "difesa non armata e nonviolenta" (Legge 230/1998, art. 8-e). Se non si programma in termini finanziari e organizzativi la pace come metodo nella gestione dei conflitti, si resta nell'aria fritta della retorica della pace. Oggi stiamo andando ancora nel vecchio senso disastroso, tanto in Italia quanto nell'Unione Europea, la quale dovrebbe scegliere la strada del transarmo e della neutralita' attiva, disarmata, solidale e nonviolenta (vedi la precisa proposta di Lidia Menapace). Politicamente, questo significa riduzione programmata delle spese militari, riconversione dell'industria bellica e degli eserciti. La difesa non armata e nonviolenta e' una possibilita' dei popoli, se sono istruiti e ne prendono coscienza. Ogni potere, anche il piu' violento, ha bisogno e dipende dall'obbedienza, pur passiva, dei dominati. Un popolo puo' smontare ogni potere ingiusto con la non-collaborazione coraggiosa, come la storia dimostra. Cio' puo' comportare anche vittime, ma sempre molte di meno della difesa armata, richiede sacrifici, ma assai piu' nobili, e evita il degrado morale che la violenza anche giustificabile sempre comporta. Un popolo ha diritto ad essere soggetto della propria difesa, e non oggetto da parte di un corpo separato e extra-democratico come e' un esercito. Dalle minacce nucleari o terroristiche esterne ci puo' difendere solo una politica di amicizia e giustizia verso tutti i popoli, che e' la maggior prevenzione possibile dell'odio violento suscitato e alimentato da ingiustizie e bellicismi. 3. Progettare la transizione dall'attuale modello di sviluppo ad alta intensita' energetica e di potenza, centrato sulle risorse in esaurimento, prelevate con la guerra, che causano un impatto ambientale insostenibile, a un modello a bassa potenza, centrato sull'uso di fonti energetiche rinnovabili, sul risparmio e l'efficienza energetica e su uno stile di vita e consumi ispirato alla semplicita' volontaria e alla maggior gioia di vivere che ne deriverebbe. Anche in questo caso, uscire dalla retorica signi fica programmare la riduzione annuale del 5% dei consumi di combustibili fossili e l'incremento, nella stessa percentuale, delle fonti alternative. Il recente lavoro di Hermann Scheer (Il solare e l'economia globale, Edizioni Ambiente, Milano 2004) e' l'esempio piu' concreto di tale possibilita'. Queste tre essenziali proposte sono state inviate a Romano Prodi, leader dell'Unione, fino dal dicembre 2004. * Oggi, qui, il ricordo e la meditazione su Hiroshima e Nagasaki - crimini di lesa umanita', svolta storica inconfrontabile col tanto enfatizzato 11 settembre, crimine di lesa maesta' - ci impegna a imparare di nuovo che la politica non puo' uccidere, perche' la violenza e' suicidio. Dare la morte per vivere e' morire alla qualita' umana. In Aldo Capitini c'e' il pensiero che la vita senza morte, sperata dalle religioni, comincia col non uccidere, col non aggiungere la morte artificiale, industriale, militare, alla morte naturale. Questo e' l'orizzonte irrinunciabile. Poi, la politica, arte del possibile, fa i passi che puo'. Ma se non sono passi ben orientati, ben diretti, sono passi perduti, passi rovinosi. 3. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: NOTIZIE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per queste notizie. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Un gruppo di donne irachene, femministe e leader di vari gruppi della societa' civile, hanno incontrato l'ambasciatore statunitense il 6 agosto scorso. Le donne stanno facendo pressione a vari livelli affinche' i diritti delle donne siano garantiti dalla nascente Costituzione irachena. La bozza corrente della stessa le priverebbe dell'eguaglianza con gli uomini in molti campi, dall'eredita' al divorzio, e cancellerebbe diritti che le donne avevano persino sotto il regime di Saddam Hussein. In sostegno alla loro azione, senatrici americane democratiche e repubblicane sono intervenute con una lettera pubblica rispetto al tentativo dei relatori della bozza di Costituzione di indebolire la norma, prevista dalle leggi transitorie, che assegna il 25% dei seggi parlamentari alle donne. * Dopo la rinuncia di Nawal El Saadawi alla candidatura per le elezioni presidenziali egiziane del 7 settembre, un'altra donna ci prova: e' l'avvocata Ashgan Ahmed al-Bukhari. * Grazie ad un "telefono amico" per le donne vittime di traffico sessuale, gestito dall'Organizzazione Internazionale per l'Immigrazione con sede centrale a Ginevra, un gruppo di donne ucraine tenute in schiavitu' come prostitute in Turchia sono state liberate il 5 agosto. Una delle donne e' riuscita ad uscire dalla cantina in cui veniva tenuta segregata con le altre, ed ha chiamato al telefono la struttura di solidarieta'. * Il 3 agosto ragazze e donne australiane di origine libanese si sono rifugiate nell'ambasciata australiana a Beirut per fuggire da matrimoni imposti. Erano state portate dall'Australia in Libano e forzate a sposarsi, dopo di che nessuno dei mariti aveva preso in considerazione le loro richieste di tornare a casa. 4. RIFLESSIONE. LEONARDO BOFF: IL DILEMMA DI LULA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2005. Leonardo Boff e' nato nel 1938 a Concordia (Brasile). Tra i suoi maestri (ha studiato in Brasile e in Germania) ha avuto Evaristo Arns, Karl Rahner e Wolfhart Pannenberg. E' tra le figure piu' rappresentative della teologia della liberazione. Opere di Leonardo Boff: Teologia della cattivita' e della liberazione, Queriniana, Brescia; Chiesa: carisma e potere, Borla, Roma; Con la liberta' del vangelo, La Piccola, Celleno (Vt); La fede nella periferia del mondo, Quando la teologia ascolta il povero, Cinquecento anni di evangelizzazione, Ecologia, mondialita', mistica, Grido della terra, grido dei poveri per un'ecologia cosmica, Come fare teologia della liberazione (in collaborazione con il fratello Clodovis Boff), Selezione di testi spirituali, Selezione di testi militanti, tutti presso la Cittadella di Assisi (che ha pubblicato anche altri volumi di Boff). Opere su Leonardo Boff: AA. VV., Il caso Boff, Emi. Luis Inacio Lula da Silva, operaio, sindacalista, prigioniero politico sotto la dittatura, leader del Partito dei Lavoratori (Pt), e' attualmente presidente del Brasile] Sono ormai trascorsi due anni e mezzo di governo del presidente Lula da Silva ed e' possibile fare un primo bilancio della sua amministrazione. In questo momento settori della dirigenza del partito al governo (Pt, Partido dos Trabalhadores) sono coinvolti in gravi accuse di corruzione. Non si tratta della solita corruzione della classe politica che si arricchisce da sola manipolando i meccanismi dello Stato e delle grandi imprese statali. Questa corruzione non punta a beneficiare personalmente i politici, bensi' ad accumulare fondi per future campagne elettorali e, come si suol dire, a occupare tutto l'apparato dello Stato per perpetuare il Pt al potere almeno per vent'anni (si parla di messicanizzazione dello Stato). Cosi' si pretende di inaugurare un altro stile di politica e di dare allo Stato un volto piu' sociale e rivolto ai milioni di diseredati della societa'. I buoni fini non giustificano i mezzi cattivi. La corruzione e' sempre anti-etica e non si giustifica mai. In questo contesto l'opposizione tenta di coinvolgere la figura del presidente, ma finora non c'e' riuscita. Crisi congiunturale a parte, bisogna ricordare sommariamente cosa significa un governo di sinistra in Brasile. L'arrivo di Lula al potere coincide con la crisi del modello neoliberista. Lula eredita dal suo predecessore F. H. Cardoso una grave crisi economica, con un esaurimento quasi totale delle riserve monetarie e una minaccia reale di inflazione generalizzata. Come diceva Lula: "Ho ereditato un Titanic che stava affondando e il mio primo compito e' stato quello di blindarlo per evitare il caos economico e avere poi la possibilita' di mantenere la mia promessa elettorale di socializzare il potere con la crescita sostenibile, la partecipazione sociale e la ridistribuzione della ricchezza". Per realizzare questo audace programma ci vuole una tappa di transizione. Questo concetto e' fondamentale se vogliamo essere giusti con il governo di Lula e capire il senso delle sue politiche economiche e sociali. Come in ogni transizione, c'e' una parte di continuita' e un'altra di innovazione. Transizione da dove? Verso dove? Da uno Stato neoliberista, altamente accentratore e senza politiche pubbliche consistenti, verso uno Stato sociale, cioe', uno Stato che si ripropone di conferire centralita' al sociale, creare simmetria fra diritti e doveri, incentivare in tutto il Paese l'ideale civico della cittadinanza attiva e di una democrazia partecipativa. * Per realizzare questo progetto il governo Lula si e' imposto la seguente strategia: sul piano della continuita', mantenere inalterato il progetto macro-economico neo-liberista e anzi radicalizzarlo con un surplus primario del bilancio federale ancora piu' alto del precedente (4,75% del Pil); sul piano dell'innovazione, inaugurare una politica sociale basata sui progetti Fame Zero e la Borsa Famiglia. Con la continuita' del progetto macro-economico il governo e' riuscito a calmare i mercati e a guadagnarsi gli applausi del Fmi e della Banca mondiale, ha potuto controllare in modo significativo l'inflazione e garantire la stabilita' monetaria. Con l'innovazione sociale ha beneficiato circa sette milioni di famiglie, il che vuol dire circa 30 milioni di persone. Per queste moltitudini che prima mangiavano a malapena e vivevano in grande miseria, questa politica pubblica ha significato una specie di ingresso nel paradiso terrestre possibile. Dove sta il problema fondamentale di questa strategia di transizione da uno Stato neoliberista verso uno Stato sociale? Nell'immensa sproporzione fra le parti. La parte del leone spetta al progetto macro-economico, che cede al sistema economico-finanziario circa 10 miliardi di dollari mensili sotto forma di pagamento dei tassi d'interesse, lasciando solo un miliardo per i progetti sociali. La domanda da porsi e': con questa ingegneria politico-sociale si puo' realizzare una transizione che raggiunga l'obiettivo di rendere lo Stato meno elitario, creare una crescita sostenibile con inclusione sociale e ridistribuzione della ricchezza? Giorno dopo giorno cresce la convinzione che questa politica economica sia inadeguata per la politica sociale. Piovono critiche e c'e' delusione nei movimenti sociali. Lula e' cosciente di questa sproporzione, si sente schiacciato e chiamato urgentemente a decidere. * Che cosa fara'? Mettera' l'accento sul progetto macro-economico neo-liberista o sul progetto social-popolare? Se opta per il progetto macro-economico dovra' sacrificare massicciamente il progetto sociale. E se opta per il progetto sociale dovra' cambiare sostanzialmente il progetto macro-economico. Ciascuna opzione avra' conseguenze non meno gravi dell'altra: o la mobilitazione per le strade di migliaia e migliaia di persone dei movimenti sociali per reclamare piu' politiche pubbliche, o le pressioni del mercato e del sistema economico-finanziario capaci di produrre una grave destabilizzazione economica. In questo momento e' difficile sapere la direzione che prendera' Lula. Forse, data la gravita' della crisi politica a causa della corruzione che getta l'ombra del sospetto su settori importanti del suo partito, decidera' di avvicinarsi di piu' alla sua base di appoggio sociale e assecondera' le sue richieste di cambiamento nell'ambito economico.I prossimi mesi saranno decisivi per Lula, anche per la prospettiva di rielezione alla fine del 2006 a cui aspira ardentemente. 5. STUDI. MARINA GRAZIOSI: INFIRMITAS SEXUS. LA DONNA NELL'IMMAGINARIO PENALISTICO (PARTE TERZA) [Dal sito di "Jura gentium. Centro di filosofia del diritto internazionale e della politica globale" (http://dex1.tsd.unifi.it/juragentium/it/) riprendiamo il seguente saggio originariamente pubblicato in "Democrazia e diritto", n. 2, 1993, pp. 99-143 (vi e' anche una traduzione spagnola - di Mary Beloff e Christian Courtis -: Infirmitas sexus. La mujer en el imaginario penal, in "Nueva Doctrina Penal", 1999/A, pp. 55-95; ristampata in A. E. C. Ruiz (a cura di), Identidad femenina y discurso juridico, Editorial Biblos, Buenos Aires 2000, pp. 135-17. Marina Graziosi insegna sociologia del diritto all'Universita' "La Sapienza" di Roma, fa parte delle esperienze di "Balena" e di "Antigone"] 4. L'internamento delle donne Le differenze di trattamento delle donne nell'esecuzione penale riguardano naturalmente la pena carceraria, la sua nascita e la sua trasformazione. Mentre per gli uomini il carcere sembra configurarsi rapidamente, alle origini della modernita' penale, come luogo di esecuzione di pena, per le donne la pratica della reclusione ha sempre funzioni non solo punitive ma anche di generico controllo sociale. La nascita del carcere in senso moderno e', come e' noto, fortemente intrecciata alla metamorfosi di quelle importanti strutture di internamento per i poveri, per i mendicanti e per i vagabondi, che nel corso del Seicento e del Settecento furono istituite un po' dovunque in Europa. E' infatti in quest'epoca che si sviluppa - dapprima in forme arbitrarie e poi sulla base delle prime severissime, se non sempre efficienti, leggi in tema di poverta' e di vagabondaggio - un imponente fenomeno di internamento di strati sociali emarginati, ambiguamente collocabile tra assistenza, beneficenza e repressione. L'ambiguita' del luogo di internamento che nel caso del recluso maschio vede definito con un processo abbastanza rapido il suo connotato di carcere come luogo di pena, o alternativamente di ospedale o di ricovero temporaneo, sembra sia stata per i minori, e in modo assai piu' evidente e rilevante per le donne, mantenuta piu' a lungo nel tempo. Se il carcere, come luogo di espiazione di una pena, o come mezzo di emendare un condannato, ha ben presto avuto alle spalle come antecedente la commissione di un vero e proprio reato e la relativa condanna, e non un semplice comportamento deviato, cio' e' accaduto prevalentemente per gli uomini adulti. Per cio' che riguarda le donne, e talvolta i minori, la storia del carcere ha infatti tempi diversi. La confusione tra funzioni penali e funzioni disciplinari dell'internamento carcerario, del resto, non solo si protrae piu' a lungo per le donne ma e' anche piu' risalente nel tempo. E' la peculiarita' della devianza delle donne, stigmatizzate prevalentemente per reati assai frequentemente attinenti alla sfera sessuale, che contribuisce a mantenere una sorta di continuita' tra il carcere e le istituzioni internanti concepite a salvaguardia dell'onore, o della salute dell'anima e del corpo. Spesso sono gli stessi luoghi che, da ricovero volontario, ritiro, conservatorio od ospedale, attraverso le razionalizzanti sistemazioni settecentesche fino alle ristrutturazioni nel corso dell'Ottocento, si trasformano in carcere. Per le donne un massiccio internamento preventivo fu praticato a lungo e in varie forme in eta' moderna, da un lato nei conventi, dall'altro in quelle istituzioni di protezione come i conservatori cui si accedeva normalmente nella prima infanzia o nell'adolescenza, quando i pericoli di "caduta" divenivano incombenti, e non necessariamente in seguito ad una mancanza o ad una infrazione alle regole ma per questioni prevalentemente di sussistenza. Gli stessi conservatori, anche nel corso dell'Ottocento e in epoca postunitaria, mantennero a lungo questa funzione preventiva, anche se, per ognuno di essi, erano previste importanti distinzioni che ne determinavano le caratteristiche e ne orientavano le funzioni di controllo sociale, in base all'origine e agli intenti per i quali erano stati fondati. Sulla base di un'articolata gerarchia si prevedeva da un lato l'internamento di donne vedove o orfane di condizione "civile" o aristocratica il cui onore era garantito dal loro stesso nome, e che tuttavia avevano bisogno di un ricovero; dall'altro lato quello di donne di condizione subalterna, oneste da distinguere dalle "pericolanti", dalle "pericolate" e ancora dalle ravvedute o pentite (50). L'ingresso nei conservatori avveniva spesso a seguito di una "supplica" che gli stessi genitori della fanciulla, o un tutore, o adulti comunque responsabili per lei, o la fanciulla stessa indirizzavano, spesso appoggiati da qualche eminente protettore, a chi sovrintendeva alla pia istituzione. Ancora diversa la situazione delle opere pie che accoglievano donne il cui onore era gia' compromesso, prostitute pentite, convertite, donne "cadute di fresco ma non esposte al pubblico", "quelle che sono in pericolo prossimo di cadere o in sospetto di gia' seguita caduta" (51). E ancora perfino donne riottose all'autorita' familiare e per questo fatte internare spesso su istanza di mariti, o di fratelli, o di sindaci e parroci (52). Talvolta le domande di internamento a scopo di riabilitazione potevano pervenire anche da luoghi in cui e' piu' chiaro il carattere carcerario: cosi' ad esempio, come scrive Laura Guidi, le domande per essere ammesse all'asilo napoletano di Santa Maria Maddalena (fondato nel 1852) per donne pentite che aveva una funzione di recupero e di riabilitazione, "provenivano in parte dalla 'sala di correzione' dell'ospedale di Santa Maria della Fede, fondato dai francesi per prostitute affette da mali venerei. Le suore addette alla sorveglianza operavano una selezione, scegliendo le ragazze piu' giovani - spesso appena entrate nell'adolescenza - e quelle che davano maggiori segni di pentimento" (53). Inoltre, "tra le donne dall'onore in pericolo o perduto si tendeva a separare quelle recuperabili ad una poverta' onesta e laboriosa da altre per le quali si presentava, prima ancora del problema del recupero, quello del controllo, appena un gradino al di sopra dei provvedimenti di polizia e della reclusione in carcere. Dai luoghi di pena, d'altra parte, si accedeva, per premio, ai conservatori per pentite e pericolate, cosi' come nelle carceri venivano trasferite, per punizione, le internate dei luoghi pii che si fossero macchiate di gravi colpe" (54). Tra le prime a sollevare in Italia il problema delle carceri femminili e' la marchesa Giulia Falletti di Barolo Colbert, che a partire dal 1814, sollecitata dall'esempio dell'inglese Elizabeth Fry che nel 1813 aveva visitato il carcere di Newgate (55) denunciandone le terribili condizioni, comincia un'opera infaticabile di carita'. Non sono solo le condizioni materiali, pure terribili, a preoccuparla, ma ancor piu' lo stato di miseria morale che rende queste donne, secondo le sue parole, delle malate nell'anima cui dovrebbe darsi un sano nutrimento spirituale. Con queste idee, la marchesa di Barolo Colbert si faceva promotrice di una serie di iniziative benefiche e assistenziali, assai apprezzate dai suoi contemporanei: tra cui la riorganizzazione del carcere delle Forzate, che essa trasformo' in un istituto di pena modello, introducendovi le suore e discutendone l'intero regolamento con le detenute; l'apertura a Borgo Dora nel marzo 1823, su sua proposta accolta dal re Carlo Felice, di una casa di lavoro e ricovero per donne distintesi in prigione per buona condotta o per donne "coupables" che fuori della prigione avessero dato segni di pentimento; l'istituzione nel 1833 del monastero delle Maddalene, destinato ad accogliere, in clausura, donne convertite e penitenti (56). Come e' ovvio, e' proprio in luoghi come questi che il confine tra funzioni penali e disciplinari dell'internamento non esiste. E che si ribadisce, soprattutto,la funzione moralizzatrice della reclusione femminile. * 5. Reclusione e separazione Negli anni '30 e '40 dell'Ottocento si apre e si diffonde anche in Italia, un largo dibattito su come trasformare e migliorare il carcere. Partendo dalla constatazione che ovunque il carcere e' un luogo malsano dove regnano la promiscuita', la violenza e la sopraffazione, la discussione, che dara' luogo ad un'ampia pubblicistica sull'argomento, verte - anche sulla base delle esperienze americane, divulgate in Europa dal rapporto di G. de Beaumont e A. de Toqueville del 1833 (57) - sul problema della sorveglianza e dell'isolamento dei detenuti. Si ritiene infatti che l'isolamento e i modi della sua realizzazione, contribuiscano in modo essenziale al pentimento e alla trasformazione morale del reo. Come praticare l'isolamento e la separazione e i modi e i tempi di attuazione di questi, e' solo una questione di metodo, da attuare attraverso una minuziosa classificazione dei diversi tipi di reclusi selezionati sulla base dell'eta', del reato commesso, del tipo di pena che essi devono scontare. Tutti questi dati - insieme a quello importantissimo del comportamento tenuto in carcere, che puo' dar luogo a premi o a punizioni - contribuiscono alla determinazione di una sorta di punteggio che costituisce appunto la base della classificazione. Anche per le donne, il criterio cui gli studiosi-riformatori del primo Ottocento sembrano volersi ad ogni costo informare, e' quello della separazione. Tuttavia, quello che sembra essere il criterio guida per l'isolamento e la classificazione delle donne, riguarda questioni strettamente connesse alla specificita' del sesso femminile. In primo luogo le donne devono essere separate dagli uomini eventualmente rinchiusi in parti diverse dello stesso carcere, per evitare qualsiasi contatto; in secondo luogo esse devono essere protette dagli abusi sessuali che possono essere commessi da guardiani e percio' preferibilmente affidate ad altre donne. In terzo luogo infine, la classificazione comprende, di fatto, solo due categorie di recluse, poiche' sono le meretrici, le donne di cattiva fama, che devono essere separate dalle altre qualsiasi reato abbiano commesso. Un punto importante poi e' quello che riguarda il destino dei figli delle detenute: in generale se ne prevede, ove non sia possibile la consegna a parenti prossimi, l'affidamento a quelle istituzioni che si occupano di fanciulli abbandonati, raramente si ipotizza che possano restare fino a una certa eta' con la madre. Anche uno dei piu' importanti studiosi di quegli anni - l'ispiratore delle riforme di Carlo Alberto di Savoia in materia penitenziaria - Carlo Ilarione Petitti di Roreto, propone come criterio base della reclusione femminile la separazione e l'affidamento delle detenute ad altre donne, sottoposte comunque alla supervisione un direttore di sesso maschile. Il suo lavoro principale, il trattato Della condizione attuale delle carceri e dei mezzi per migliorarla, pubblicato a Torino nel 1840, e' uno dei primi significativi saggi apparsi in Italia in materia penitenziaria. Ma l'opera di Petitti non si limita a questo e ad altri scritti. Egli e' anche fortemente coinvolto dagli aspetti piu' concreti del problema; infatti compira', su incarico del sovrano, una serie di ispezioni nelle carceri del regno in vista delle riforme, partecipando, in seguito, ai numerosi progetti di miglioramento e di razionalizzazione del sistema penitenziario sabaudo. L'importanza delle riforme di Carlo Alberto non e' tanto nei risultati che verranno ottenuti, quanto piuttosto nel fatto che esse costituiranno una sorta di primo nucleo da cui avranno origine le linee portanti del futuro sistema italiano (58). La presenza delle donne in carcere, anche se minoritaria, non e' ignorata da Petitti, che anzi dedichera' alla gestione del carcere femminile numerose pagine. Una preliminare e non marginale preoccupazione anche di questo riformatore, e' quella della separazione delle femmine dai maschi, siano essi custodi o detenuti, la cui continua raccomandazione ci segnala utilmente situazioni di fatto, altrimenti di non facile ricostruzione. Non e' chiaro tuttavia se la ratio dell'autore sia la tutela delle recluse dagli abusi sessuali, o un generico criterio di buon costume. Egli scrive infatti: "Nelle carceri esclusivamente destinate poi alle donne condannate osservasi ancora, che talvolta i custodi o guardiani maschi sono troppo liberi nelle relazioni loro con esse" (59). Inoltre, "In molte carceri di primo arresto o di deposito sono necessariamente sostenuti individui dei due sessi. Quantunque si tengano in stanze separate, o sia per trascuranza dei custodi, o sia per la viziosa distribuzione interna de' casamenti, la separazione non si puo' dire assoluta e frequentemente ne seguono indirette relazioni nocevoli in sommo grado ai costumi. Di fatto le finestre prospicienti, i corridoi comuni, le camere attigue, o non separate in modo che riesca impossibile il passaggio della voce, de' suoni e dei segni; le corti praticate alternativamente, la vista in esse, dalle finestre dei rispettivi quartieri, dei ditenuti d'altro sesso; la cappella comune o da insufficienti separazioni divisa, sono tanti inconvenienti frequentissimi, che scorgonsi nelle carceri, dai quali inconvenienti derivano atti di scostumatezza troppo facili ad immaginarsi" (60). Altro problema e' quello della separazione tra recluse, in particolare delle giovani dalle anziane, ma soprattutto dalle donne di malaffare. Una soluzione, per non confondere le giovani con donne corrotte, e' per Petitti la creazione di "Ergastoli per femmine di mal affare" collegati con l'"ospizio celtico". "Gli ergastoli per femmine di mal affare debbono essere collocati in vicinanza delle grandi citta', ove sogliono per lo piu' convenire molte di quelle disgraziate. Siccome la salute di esse spesso e' travagliata dai mali che derivano da una vita dissoluta, e' savio ed opportuno consiglio quello di aggregare ai detti istituti di penitenza un ospizio celtico, onde curarvi le infette. I due istituti pero' vogliono essere interamente distinti, perche' le regole correttive dell'uno per molti rispetti non sarebbero applicabili all'altro, atteso che l'umanita' languente richiede maggiori riguardi. La direzione e l'amministrazione puo' essere tuttavia cumulata, con che da chi vi presiede si osservino rispettivamente le diverse discipline stabilite. Nell'ergastolo sono praticabili tutte le regole delle carceri correttive femminili, colla sola eccezione, che il tempo della ditenzione vuol essere in certo modo lasciato all'arbitrio della direttrice, la quale scorgendo segni di ravvedimento, e mezzi d'onesto collocamento, debbe poter mettere in liberta' con annuenza della superiore autorita' politica. Nell'ospizio celtico le regole della segregazione, del silenzio, del lavoro e simili non possono praticarsi, e debbono piuttosto prevalere le norme di vita comune usate negli spedali. D'altronde in quest'ospizio possono anche accogliersi, pero' in quartieri separati, donne o fanciulle, che non siano di mala vita, e solo trovinsi infette non per propria colpa, si' che sarebbe men conveniente che quel ricovero avesse aspetto, e nome di casa di penitenza. E' inutile ripetere, che la stessa esclusione de' maschi debbe aver luogo per tali istituti, eccetto il direttore, il cappellano ed il chirurgo" (61). Egli si soffermera' ancora sul problema delle guardiane ed esporra' la sua tesi favorevole all'affidamento delle carceri femminili a delle donne. Per le carceri a cui sono destinate delle condannate Petitti suggerisce infatti che: "La direzione interna vuol essere affidata a matrone o suore di Carita', provette e bene esperte onde conoscano i femminili raggiri, con esclusione assoluta di qualsiasi maschio dalla custodia ed ingerenza nella disciplina interna. Un direttore maschio pero', uomo provetto ed esperto, quanto prudente, castigato e severo, debbe soprantendere al governo della casa, concertandosi colla matrona o suora direttrice per ogni atto d'interna disciplina e d'amministrazione, di cui dara' conto alla direzione centrale. L'alloggio del direttore vuol essere separato dalla carcere, ed al suo ingresso in essa egli debb'essere accompagnato sempre dalla direttrice, o da altra persona del sesso di questa, incaricata di supplirla. Per gli atti coattivi che fossero necessari verso le ditenute proterve, oltre alle matrone o suore incaricate della custodia e vigilanza, si dovranno avere alcune serve robuste, le quali sieno in grado di praticare tali atti, senza che occorra chiamare alcun maschio, tranne il caso di aperta ribellione, in cui si chiamera' la guardia esterna della milizia. Questa debb'essere stanziata in modo da non avere la menoma relazione di vista o di parole colle ditenute" (62). Analogamente per le minorenni si prevedono "Le stesse norme esposte nell'articolo precedente (regole pe' giovani inquisiti)... se non che si debbe avvertire, ch'esse voglionsi affidare alla continua custodia di matrone o di suore di Carita', le quali impieghino quel tempo di preventiva reclusione a cercare di volgerle ad abiti migliori di vita. L'ingresso in quelle case di arresto vuol essere vietato ai maschi, e lo stesso direttore della carcere non debbe avere facolta' d'entrarvi, che accompagnato dalle dette matrone o suore: dicasi altrettanto degli ispettori" (63). Il problema della separazione delle donne a tutela della "moralita' sessuale" tuttavia non e' nuovo. Esso sembra infatti aver sempre assillato l'organizzazione della reclusione carceraria femminile. Scrive per esempio Priori, Pratica criminale, (Venezia 1678): "Le donne prigionate siano tenute separate da gli huomini o pure con altre donne o in altro luogo, parlando de le donne honeste et in casi gravi, et non se fossero impudiche... et guardisi il Custode in pena della vita di usare con esse carnalmente non dovendosi far ingiuria al loco publico, etiam che le fossero meretrici" (64). Analogamente, un secolo prima, Paulus Ghirlandus raccomandava: "Mulier honesta in causis criminalibus, si crimen sit leve, vel de non atrocioribus, non debet personaliter detineri, neque incarcerari, sed fideiussoribus relaxari, si habet facultatem fideiubendi... si vero non haberet fideiussorem, similiter non detinetur, sed statur suae iuratoriae cautioni et relaxari. Si autem crimen esset de atrocioribus, tunc non incarceratur apud viros, sed intruditur in monasterium vel assisterium custodienda, vel apud honestas matronas conservatur" (65). E ancora nel 1931, a proposito del diritto vigente, scriveva Vincenzo Manzini: "Le donne, anche quando non subiscono l'isolamento continuo, devono essere custodite separatamente dai maschi... e quelle di 'facili costumi' sono separate dalle altre" (66). In epoca postunitaria emerse non solo la necessita' di riordinare le opere pie in generale, ma anche il problema di risolvere in qualche modo gli internamenti femminili forzati. Furono ordinate cosi' varie ispezioni a funzionari ministeriali, che ci hanno lasciato nelle loro relazioni una chiara immagine dell'eterogeneita' di questo genere di internamento. Vi si raccomanda soprattutto una separazione e classificazione delle donne internate dividendo le giovani dalle anziane, le sane dalle malate, le condannate dalle penitenti. Venne disposto anche che molte delle recluse, ove lo desiderassero e ne avessero la possibilita' materiale, uscissero e ritornassero in famiglia, anche se raramente cio' avvenne. Nei luoghi di internamento femminile, la presenza di religiose era stata sicuramente frequente, ma non generalizzata. Anche nelle carceri vere e proprie, sia per gli uomini che per le donne la presenza di religiosi aveva mantenuto, talvolta fino alle soglie dell'Ottocento, un carattere ancien regime, di occasionale sostegno morale e materiale. Era accaduto inoltre che alcuni tipi di detenuti fossero affidati a congregazioni religiose perche' provvedessero al loro sostentamento. Questa tradizionale ma saltuaria e irregolare presenza di confraternite di carita' di carattere religioso, esigeva ad un certo punto di essere ufficializzata e regolata. Estesa al nuovo regno la legge penale del 1859 (ad eccezione delle province toscane), si provvide cosi' a compilare un nuovo regolamento per tutte le Case di pena che sanci' in modo definitivo l'ingresso delle suore, insieme a quello delle guardiane, nei luoghi di pena femminili. Un esperimento in tal senso era stato gia' realizzato in Piemonte, nel carcere femminile di Pallanza, dopo la sua ristrutturazione del 1834, e dopo essere stato caldeggiato per anni da filantropi e riformatrici come la gia' ricordata Giulia di Barolo. Si tratta di un momento di svolta, di un evento apparentemente ovvio ma assai importante. Sia per gli effettivi poteri, che furono attribuiti alle suore e alle superiore, di governo delle coscienze e di mediazione fra le detenute e gli amministratori dell'istituzione, sia perche' la loro presenza - con tali poteri - si prolunghera' indefinitamente, passando indenne dal regime liberale a quello fascista fino alla attuale repubblica. Questa presenza contribuira', in modo decisivo, a conferire al carcere femminile e a perpetuare nel tempo - oltre ogni ragionevole modernizzazione - quel carattere di forzata espiazione morale e di rigenerazione attraverso la pena anche quando una simile ideologia sara' completamente tramontata (67). * Note 50. Cfr. L. Guidi, L'onore in pericolo. Carita' e reclusione femminile nell'ottocento napoletano, Liguori, Napoli 1991, p. 44. 51. S. Cavallo, Assistenza femminile e tutela dell'onore nella Torino del XVIII secolo, in "Annali della Fondazione Luigi Einaudi", XIV, Torino 1980, pp. 142-143. 52. L. Guidi, op. cit., pp. 48-49. Cfr. anche A. Groppi, "Un pezzo di mercanzia di cui il mercante fa quel che ne vuole". Carriera di un'internata tra Buon Pastore e manicomio, in Subalterni in tempo di modernizzazione. Nove studi sulla societa' romana dell'Ottocento, in "Annali della Fondazione Lelio e Lisli Basso", VII, 1983-1984, Franco Angeli, Milano 1985. 53. L. Guidi, op. cit., p. 47. 54. Ivi, p. 46. 55. Si veda, di E. Fry, Observations on the Siting, Superintendance, and Government, of Female Prisoners, Arch, London 1827. Sull'opera di Elizabeth Fry, cfr. R. P. Dobash, R. E. Dobash, S. Gutteridge, The Imprisonment of Women, Basil Blackwell, Oxford 1986, pp. 41-56 e passim. 56. Su queste iniziative riformatrici della marchesa Giulia di Barolo, cfr. P. Galli, Assistenza e internamento. Il caso di Torino: Giulia di Barolo e le donne carcerate, in La scienza e la colpa. Crimini, criminali, criminologi: un volto dell'Ottocento, a cura di Umberto Levra, Electa, Milano 1985, p. 194. Cfr. anche R. Canosa e I. Colonnello, Storia del carcere in Italia, Sapere 2000, Roma 1984, p. 102, che riporta taluni articoli del regolamento della casa di Borgo Dora: in particolare l'art. 1, che stabiliva: "Si riceveranno nella casa di ricovero solamente povere donne o zitelle giuridicamente od economicamente punite, ovvero colpevoli, ma ravvedute de' loro falli che desiderino volontariamente di darsi a stabile lavoro, ed avranno dato non dubbie prove di pentimento". Alle internate era fatto obbligo di osservare le regole della casa sotto pena di esserne espulse "e bisognando secondo il loro mancamento saranno rimesse all'autorita' competenti per essere castigate"; e l'art. 6, che attribuiva alla superiora il potere di "determinare se alcuna delle ricoverate abbia dato bastante saggio di sua perseveranza nella conversione, e di speranza di condotta savia e morigerata per l'avvenire, per poterle permettere di collocarsi in matrimonio o di stabilirsi altrimenti al servizio di qualche famiglia o nell'esercizio di qualche arte o mestiere". Cfr. inoltre T. Canonico, Cenni biografici sulla vita intima e sopra alcuni scritti inediti della Marchesa Giulia Falletti di Barolo-Colbert, Torino 1864, citato da M. Beltrani-Scalia, Sul governo e sulla riforma delle carceri in Italia, Tipografia G. Favale, Torino 1867, p. 418. 57. G. de Beaumont e A. de Toqueville, Le systeme penitentiaire aux Etats-Unis et son applications en France, suivi d'un appendice sur les colonies penales et des notes statistiques (1833), in A. de Toqueville, Oeuvres completes, Gallimard, Paris 1984. 58. Cfr. P. Casana Testore, Le riforme carcerarie in Piemonte all'epoca di Carlo Alberto, in "Annali della Fondazione Luigi Einaudi", XIV, Torino 1980, pp. 281-329. All'indomani dell'Unita' la legislazione sabauda del 1859 verra' estesa a tutta la penisola, eccettuata la Toscana in attesa che con il nuovo codice penale, promulgato poi nel 1889, venisse risolta la questione della pena di morte, prevista dal codice sardo-italiano ed esclusa invece da quello toscano. E naturalmente la gestione del carcere, parte organica della riforma penale, sara' ovviamente estesa, anche se con le opportune modifiche, anche al resto d'Italia. Cfr. anche C. Ghisalberti, La codificazione del diritto in Italia 1865-1942, Laterza, Roma-Bari 1985. 59. C. I. Petitti di Roreto, Della condizione attuale delle carceri e dei mezzi di migliorarla, G. Pomba, Torino 1840, pp. 35-37. 60. Ivi, p. 35. 61. Ivi, pp. 313-314. 62. Ivi, pp. 308-309. 63. Ivi, p. 308. 64. Citato da V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, Utet, Torino 1931, vol. I, p. 37. 65. De relaxatione carceratorum, in Repertorium per Ioan. Bap. Ziletum, Venezia 1580, p. 312. 66. Trattato cit., vol.III, p. 480. 67. Per avere un'idea del potere che le religiose hanno avuto fino ai giorni nostri all'interno delle carceri femminili, e che da solo e' valso a caratterizzarle, basterebbe leggere qualche articolo del regolamento per gli istituti di prevenzione e pena emesso nel 1931 a seguito dell'entrata in vigore, l'anno prima, del codice Rocco. Questo regolamento si segnala per alcune disposizioni non secondarie che riguardano le donne; prima di tutto il potere del medico, arbitro - quando c'e' - di molti aspetti della vita quotidiana femminile, tra cui ad esempio le punizioni (da tre a dieci giorni a pane, acqua, e pancaccio) che non possono avere esecuzione senza il suo parere favorevole (art. 154); in secondo luogo il potere delle suore e delle guardiane, attraverso cui le detenute hanno l'obbligo di passare per esporre i propri reclami, a differenza dei detenuti di sesso maschile che possono rivolgersi "direttamente" al direttore (art. 91). (Parte terza - Segue) 6. RILETTURE. MARGARETE BUBER NEUMANN: DA POTSDAM A MOSCA Margarete Buber Neumann, Da Potsdam a Mosca, Il Saggiatore, Milano 1966, pp. 496 (ma ve ne e' una nuova edizione presso Il Mulino, Bologna 2000). Le memorie di Margarete Buber-Neumann (1901-1989) dall'infanzia al 1937. Margarete Buber-Neumann e' stata una delle fondamentali testimoni della dignita' umana nel secolo dei totalitarismi (pagine splendide su di lei ha scritto Tzvetan Todorov in Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001). 7. RILETTURE. MARGARETE BUBER-NEUMANN: PRIGIONIERA DI STALIN E HITLER Margarete Buber-Neumann, Prigioniera di Stalin e Hitler, Il Mulino, Bologna 1994, 2005, pp. XVIII + 424, euro 14. Una testimonianza fondamentale. In questa edizione con un saggio introduttivo di Victor Zaslavsky che ricostruisce la figura dell'autrice "testimone del proprio secolo". 8. RILETTURE. MARGARETE BUBER-NEUMANN: MILENA, L'AMICA DI KAFKA Margarete Buber-Neumann, Milena, l'amica di Kafka, Adelphi, Milano 1986, 1999, pp. 312, lire 18.000. "La vita di Milena Jesenska' raccontata dall'amica che la conobbe nel campo di concentramento di Ravensbrueck"; un libro che vivamente raccomandiamo. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1018 del 10 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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