La domenica della nonviolenza. 33



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 33 del 7 agosto 2005

In questo numero:
1. Lidia Menapace: Fuori la guerra dalla nostra storia
2. Guenther Anders: Comandamenti dell'era atomica
3. Assia Djebar: Tutte le mattine
4. Michele Boato, Giannozzo Pucci, Gianni Tamino, Mao Valpiana: Un invito il
10 settembre a Firenze
5. Dopo Hiroshima: una minima bibliografia essenziale

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: FUORI LA GUERRA DALLA NOSTRA STORIA
[Dal sito delle Donne in nero di Varese (www.donneinnerovarese.org)
riprendiamo il seguente articolo di Lidia Menapace, originariamente
pubblicato sul quotidiano "Liberazione del 23 dicembre 2003. Lidia Menapace
(per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it ) e' nata a Novara nel 1924,
partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico,
pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto";
e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei
movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior
parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in
quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

"A predicar la pace e a bandir la guerra, la pace tra gli oppressi, la
guerra agli oppressor", cosi' diceva la canzone anarchica, e gli oppositori
germanici della prima guerra mondiale cantavano un inno che si intitolava
Krieg dem Kriege!, "Guerra alla guerra". L'opposizione alla guerra e la
condanna del militarismo accompagnano strutturalmente le vicende del
movimento operaio e del proletariato dalla fine del secolo XIX e per il XX.
Sembrando dire che alla guerra ci si deve opporre (non e' mai considerata
uno strumento come un altro da usare per primi, per scelta): ma non si dice
come, persino - sembra - con altre guerre.
In altro territorio culturale, nella chiesa cattolica, continua sotterranea
la pressione perche' la guerra venga condannata e si torni ai tempi del
primo cristianesimo, che rifiutava le armi e la violenza, e si ribalti la
storia della cristianita', che - dopo Costantino - invece aveva elaborato la
teoria della guerra giusta e ben presto con le crociate quella della guerra
santa, in cui i combattenti "caduti" nell'uccidere i nemici venivano detti
"martiri" e andavano subito in paradiso (nulla di nuovo sotto il sole!).
Si faceva strada nello stesso giro d'anni (dopo la prima guerra mondiale, la
famosa "inutile strage") un pensiero politico volto alla formazione di
strutture capaci di risolvere i conflitti senza far ricorso alle armi: la
Societa' delle Nazioni, con sede a Ginevra, osteggiata da Mussolini perche'
gli inflisse sanzioni economiche per l'aggressione all'Etiopia e che Hitler
attacco' violando le sanzioni decise contro l'Italia, uno dei funesti passi
di alleanza tra i due dittatori.
Per la chiesa cattolica tuttavia nemmeno la condanna della Pacem in terris
(la guerra e' qualcosa "omnino alienum a ratione", qualcosa del tutto fuori
di testa, una pura follia) basto'. Il Concilio Vaticano Secondo ammise
ancora, a bassa voce e di straforo, il concetto di guerra giusta, su
pressione dei vescovi nordamericani che appoggiavano gli Usa in Vietnam.
Idea della "guerra giusta" che il cardinal Ruini ancora ha enunciato
all'inizio della guerra contro l'Iraq, ribadendo che quella era illegale
(non approvata dalle Nazioni Unite) ma che il Vaticano non era "pacifista".
Smentito piu' volte dal papa che invece inopinatamente ha richiamato i
cristiani alla nonviolenza e per la giornata mondiale della pace ha emesso
un importante documento di condanna della guerra "senza se e senza ma" (che
forse avra' buona stampa e scarsa efficacia come gia' il suo appassionato
appello alla vigilia della guerra in Iraq, disobbedito dai governi di tutti
i paesi "cattolici" d'Europa  -Ungheria, Polonia, Italia, Spagna,
Portogallo -, gli stessi che avrebbero voluto mettere le "radici cristiane"
nella Costituzione europea con stomachevole ipocrisia).
*
Cose che non si cancellano
Questa e' ormai preistoria: la guerra e' solo orrore e non puo' piu' essere
definita giusta in nessun caso, ne' puo' avere una valenza positiva per
chiunque voglia, nella terribile pericolosa crisi capitalistica "finale",
introdurre processi di alterita' rivoluzionaria.
Tale e' la mia opinione, suffragata anche dall'ascolto politico che il
discorso sull'azione nonviolenta riceve e conserva.
Che cosa e' accaduto? Sono accadute cose che non si cancellano: la seconda
guerra mondiale ha impresso nei popoli e per un po' anche nei governanti un
sentimento di ripulsa, rigetto, indignazione che ha portato agli articoli
delle costituzioni postbelliche che appunto "ripudiano la guerra" di
aggressione preventiva, e anche quella "di risoluzione delle controversie
internazionali" (guerre di risposta o difensive), e alla costruzione di
strutture internazionali di prevenzione, direzione, mediazione, governo dei
conflitti e conservazione della pace, appunto le Nazioni Unite.
Naturalmente il processo e' insidiato dalla perdita di memoria e da potenti
forze interessate alla guerra, e in piu' dal fatto che le strutture
internazionali sono incrostate dal potere dei vincitori: la pace non si puo'
fondare sulla vittoria, ma sulla giustizia. Lo si vide nella crisi dopo la
prima guerra mondiale quando l'oppressione tremenda esercitata sulla
Germania vinta fu un potente acceleratore della crisi politica e sociale da
cui ebbe morte la repubblica di Weimar e vita il nazismo; e dopo la seconda
quando le potenze vittoriose posero se stesse come membri permanenti dotati
di diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell'Onu.
Anche il fatto che a differenza della Societa' delle Nazioni ospitata in un
paese neutrale, la Svizzera, l'Onu e' sul suolo degli Usa e dipende dai
finanziamenti americani vulnera profondamente l'istituzione, e bisognera'
appunto scrostarla dai residuati bellici (il diritto di veto, i membri
permanenti, il prevalere del consiglio sull'assemblea, e l'amministrazione
della giustizia da parte dei vincitori come fu a Norimberga).
*
Gli orrori possono ripetersi
Il fatto e' che dopo Auschwitz e Hiroshima si sa che dottrine violente
provocano tremende forme di sterminio, e che se non si risanano le fonti
strutturali tali orrori possono ripetersi, persino da parte di chi ne fu
vittima, e l'uso di armi di sterminio dice che anche i vincitori che hanno
"ragione" possono abusare del loro potere. Poiche' a nessuna violazione
della legge o accumulo di "colpe" e risposta accettabile la tirannia, e a
nessuna violazione di diritto e' risarcimento una atomica: questi strumenti
sono diventati non agibili inefficaci irragionevoli e disumani.
Mettersi in gara di armamenti e' follia pura, pensare di gareggiare
militarmente con gli Usa significa esporsi alla sconfitta piu' distruttiva
oppure diventare come gli Usa per vincerli. In ogni caso una politica di
violenza militare non serve contro il neoliberismo, anzi ne e' alleata.
E' dunque storicamente necessario, col senso stringente che ha questa
parola, cercare e trovare altre strade per frenare, lottare, togliere gli
squilibri, le oppressioni, le violazioni del diritto, e soprattutto per
avviare la costruzione dell'"altro" mondo possibile che molti e molte vedono
possibile, credono possibile, si impegnano per rendere possibile.
Per avviare un processo che metta la guerra fuori dalla storia, come abbiamo
cominciato a gridare al tempo della prima guerra del Golfo, sono importanti
molte cose, anche superare gli automatismi mentali che rinviano alla guerra,
alle armi, alle pratiche belliche appena si profila un conflitto. Ricordo
che una volta - alcuni anni dopo la fine della seconda guerra mondiale - ad
Einstein fu chiesto con che armi si sarebbe combattuta la terza, e anche lui
cadde negli automatismi e rispose: "La terza non so, ma la quarta con le
fionde", una risposta terribile, arresa, quasi conquistata dalla
ineluttabilita' della guerra: la ragione suggerisce invece di rispondere che
la terza non deve poter avvenire, perche' si viva senza paura nemmeno delle
fionde.
Se dunque decidiamo di non volere nessun ricorso alla guerra, bisogna fare
alcune operazioni: una molto semplice, priva di costi e usabile in ogni
momento e' disinquinare il linguaggio, soprattutto quello politico, dal
simbolico militare e bellico.
Basta dunque col parlare di "tattica, strategia, schieramento, alzare la
guardia, abbassare la guardia, scendere in campo, tenere le posizioni, fare
battaglie, occupare casematte, fare guerra di movimento, guerra di
posizione": se ci si bada, si vedra' che il nostro parlare e' tutto
intessuto di parole di guerra e - come si sa - le parole agiscono sulle
nostre connessioni cerebrali e ci riempiono di un immaginario tutto di
guerra come se la guerra fosse l'unica attivita': non si ha idea quanto il
piccolo sforzo di usare altre metafore e provare a "tessere, costruire,
cucinare, coltivare, mietere, foggiare" giovi ad estendere un poverissimo
lessico e ad allargare gli orizzonti. Invece di obiettivi ci sono mete,
invece di battaglie lotte o gare, invece di duelli confronti, invece di
strategie buone pratiche e via dicendo: si possono inventare giochi in
proposito, o fischiare chiunque usi ternini di guerra. E' certo che molti
politici non arriverebbero al termine della prima frase: se non parlano di
tattica, strategia e schieramento non sanno che dire.
La cosa piu' importante e' pero' addestrarsi all'uso di altri strumenti, di
altri mezzi (non "armi"), strumenti che siano coerenti con il fine della
pace scelto: la pratica, la tradizione, la cultura dell'azione nonviolenta
elaborata ormai da tempo e consolidata nelle lotte del movimento operaio e
delle donne puo' estendersi e farci fare un passo davvero oltre la
priestoria delle umane forme di convivenza. Il salto e' di inimitabile
portata, una vera rivoluzione copernicana, un mutamento di orizzonti,
percorsi, relazioni. Se ne puo' e deve parlare a lungo, non sono cose che si
improvvisano e pongono molte domande alle quali le risposte possono essere
elaborate insieme da molti e molte e anche risultare molto differenziate.
L'azione nonviolenta non e' uniforme, non e' in uniforme, e' creativa,
imprevedibile, mutevole, conta sulla sorpresa, usa l'intelligenza e la
solidarieta' individuale e collettiva, e' intransigente dal punto di vista
etico e comprensiva verso le difficolta' di ciascuno.
*
Una rivoluzione culturale vera
Affrontare dunque una scelta di azione nonviolenta e addestrarsi ad essa e'
una rivoluzione culturale vera e una innovazione teorica nel pensiero della
sinistra marxista assolutamente rilevante. Si potrebbe ripetere la famosa
frase di Marx che tutto cio' pone fine alla prestoria dell'umanita' e avvia
la storia umana. Non e' una esagerazione, essere nonviolenti non e'
"spontaneo"; anche le persone piu' miti, magari addirittura timide o
paurose, "spontaneamente" producono scenari storico-politici infestati
dall'infezione del militarismo. Che della guerra e del suo volto
imperialista e' il brodo di coltura, l'humus, l'alimento.
Oggi i militari sono anche colti, hanno molti soldi e pochi controlli, sono
committenti pregiati e privilegiati da molti istituti di ricerca e dai
dipartimenti universitari perche' chiedono la preparazione di tecnologie
costose, ma molto facili da progettare perche' non prevedono riuso, sono
destinate ad essere usate una volta scoppiando, uccidendo dall'alto,
deperiscono rapidamente, non debbono tenere conto dei danni alla salute ne'
all'ambiente, rappresentano lo spreco piu' irrazionale e il dispendio di
energie e risorse piu' disumano. Come dicevamo nel 1995 a Pechino a
conclusione della quarta conferenza mondiale dell'Onu sulla condizione delle
donne sul pianeta: "Le spese militari sono la principale causa della
poverta' nel mondo e in cambio non danno nemmeno sicurezza". Infatti trovano
posto in un universo tetro, di gare distruttive e in una spirale nella quale
la guerra fomenta il terrorismo che la sostiene e induce i governi a
distogliere risorse da impegni di pace (scuola cultura sanita' servizi
lavoro casa) per fornire armi e salari a chi e' addetto alla "sicurezza". E
produce anche restrizioni di liberta' appunto per una "sicurezza" che non
puo' ne' garantire ne' agire.
Qualsiasi azione capace di interrompere questa follia e' utile, purche' non
sia contaminata dalla stessa follia: se la rivoluzione e' il movimento reale
che muta lo stato delle cose presenti, essa e' innanzitutto mutazione dei
criteri, mezzi, metodi dell'assetto che si intende rivoluzionare: non sara'
mai possibile costruire un "altro" mondo con i materiali sanguinolenti di
questo.

2. DOCUMENTI. GUENTHER ANDERS: COMANDAMENTI DELL'ERA ATOMICA
[Dalla corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di
Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea
d'ombra, Milano 1992, ivi alle pp. 38-50, nella traduzione di Renato Solmi,
riprendiamo il seguente testo allegato alla lettera 4 (di Anders a Eatherly,
del 2 luglio 1959), precedentemente apparso nella "Frankfurter Allgemeine
Zeitung" del 13 luglio 1957. Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern,
"anders" significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su
cui scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a
Breslavia nel 1902, figlio dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo
di Husserl e si laureo' in filosofia nel 1925. Costretto all'esilio
dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di
disparati mestieri. Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E'
scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e
particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi
contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e
tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che
mettono in pericolo la sopravivvenza stessa della civilta' umana; insieme a
Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo)
e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del
nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino
1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude
Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra,
Milano 1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al
bando); L'uomo e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima
nell'era della seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963,
poi Bollati Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II
(sottotitolo: Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza
rivoluzione industriale), Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso
sulle tre guerre mondiali, Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un
eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze
1995; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace,
San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro,
Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia
della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino
2004. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su
"Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr.
ora la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione.
Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli
saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi,
Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani che sono stati in
corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato Solmi]

Il tuo primo pensiero dopo il risveglio sia: "Atomo". Poiche' non devi
cominciare un solo giorno nell'illusione che quello che ti circonda sia un
mondo stabile. Quello che ti circonda e' qualcosa che domani potrebbe essere
gia' semplicemente "stato"; e noi, tu e io e tutti i nostri contemporanei,
siamo piu' "caduchi" di tutti quelli che finora sono stati considerati tali.
Poiche' la nostra caducita' non significa solo il nostro essere "mortali"; e
neppure che ciascuno di noi puo' essere ucciso. Questo era vero anche in
passato. Ma significa che possiamo essere uccisi in blocco, che possiamo
essere uccisi come "umanita'". Dove "umanita'" non e' solo l'umanita'
attuale, quella che si estende e si distribuisce attraverso le regioni
terrestri; ma e' anche quella che si estende attraverso le regioni del
tempo: poiche', se l'umanita' attuale sara' uccisa, si estinguera' con lei
anche l'umanita' passata, e anche quella futura. La porta davanti alla quale
ci troviamo reca quindi la scritta: "Nulla sara' stato", e sull'altro verso
le parole: "Il tempo e' stato solo un interludio". Ma, in questo caso, il
tempo non sara' stato un interludio fra due eternita' (come speravano i
nostri antenati), ma un interludio fra due nulla: fra il nulla di cio' che,
nessuno potendolo ricordare, "sara' stato" come se non fosse mai stato, e il
nulla di cio' che non potra' mai essere. E poiche' non ci sara' nessuno per
distinguere i due nulla, essi si confonderanno in un nulla unico. Ecco
quindi la nuova, apocalittica forma di caducita' che e' la nostra, e accanto
alla quale tutto cio' che ha avuto finora questo nome e' diventato
un'inezia. - E perche' questo non ti sfugga, il tuo primo pensiero dopo il
risveglio sia: "Atomo".
*
La possibilita' dell'apocalisse
E questo sia il tuo secondo pensiero dopo il risveglio: "La possibilita'
dell'apocalisse e' opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo".
No, non lo sappiamo; e non lo sanno nemmeno quelli che dispongono e decidono
di essa; poiche' anch'essi sono come noi; anch'essi sono noi; anch'essi sono
radicalmente incompetenti. E' vero che questa incompetenza non e' colpa
loro, ma e' piuttosto l'effetto di una circostanza che non si puo'
attribuire a nessuno di loro ne' di noi: la sproporzione continuamente
crescente fra la nostra facolta' produttiva e la nostra facolta'
immaginativa, fra cio' che possiamo produrre e cio' che possiamo immaginare.
Poiche', nel corso dell'epoca tecnica, il rapporto tradizionale tra fantasia
e azione si e' rovesciato. Se era naturale, per i nostri antenati,
considerare la fantasia "esorbitante", esuberante, eccessiva, e cioe' tale
che superava e trascendeva l'ambito del reale, oggi i poteri della nostra
fantasia (e i limiti della nostra sensibilita' e della nostra
responsabilita') sono inferiori a quelli della nostra prassi; per cui si
puo' dire che oggi la nostra fantasia non e' all'altezza degli effetti che
possiamo produrre. Non e' solo la nostra ragione a essere kantianamente
limitata e finita, ma anche la nostra immaginazione e - a maggior ragione -
la nostra sensibilita'. Possiamo pentirci, tutt'al piu', dell'uccisione di
un uomo: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla nostra sensibilita';
possiamo rappresentarci, tutt'al piu', l'uccisione di dieci uomini: e' tutto
cio' che si puo' chiedere alla nostra immaginazione; ma ammazzare centomila
persone non presenta piu' alcuna difficolta'. E cio' non solo per ragioni
tecniche; e non solo perche' l'azione si e' ridotta a semplice
collaborazione e partecipazione, a un "azionare" che rende invisibile
l'effetto, ma anche e proprio per una ragione di ordine morale: e cioe'
perche' la strage in massa trascende di gran lunga la sfera di quelle azioni
che siamo in grado di rappresentarci concretamente e a cui possiamo reagire
sentimentalmente; e la cui esecuzione potrebbe essere inibita
dall'immaginazione o dai sentimenti. - Le tue verita' successive dovrebbero
quindi essere queste: "L'inibizione diminuisce progressivamente con
l'ingrandirsi oltre misura dell'azione"; e "L'uomo e' minore (piu' piccolo)
di se stesso". Questa e' la formula della nostra attuale schizofrenia, e
cioe' del fatto che le nostre varie facolta' operano separatamente, come
entita' isolate e prive di coordinazione che hanno perso il contatto fra
loro.
Ma non e' per formulare nozioni definitive e fatalmente disfattistiche su
noi stessi che devi formulare queste verita': ma, al contrario, per
inorridire della finitezza e per vedere in essa uno scandalo; per sciogliere
e allentare quei limiti irrigiditi e trasformarli in barriere da superare;
per revocare e abolire la schizofrenia. Naturalmente, finche' ti e' concesso
di sopravvivere, puoi anche metterti a sedere, rinunciare ad ogni speranza e
rassegnarti alla tua schizofrenia. Ma se non sei disposto a questo, devi
cercare di raggiungere te stesso, di portarti alla tua propria altezza. E
cio' significa (questo e' il tuo compito) che devi cercare di colmare
l'abisso fra le due facolta': la facolta' produttiva e la facolta'
riproduttiva; che devi livellare la differenza di altezza che le separa; o,
in altri termini, che devi sforzarti di allargare l'ambito limitato della
tua immaginazione (e quello ancora piu' ristretto del tuo sentimento),
finche' sentimento ed immaginazione arrivino ad apprendere e a concepire
l'enormita' che sei stato in grado di produrre; finche' tu possa accettare o
respingere cio' che hai inteso. Insomma, il tuo compito consiste
nell'allargare la tua fantasia morale.
*
Non aver paura di aver paura
Il tuo compito successivo e' quello di allargare il tuo senso del tempo.
Poiche' decisivo per la nostra situazione attuale non e' solo (cio' che
ormai sanno tutti) che lo spazio terrestre si e' contratto, e che tutti i
luoghi che si potevano considerare lontani fino a ieri sono ormai localita'
viciniori; ma che anche lo spazio temporale si e' contratto, e che tutti i
punti del nostro sistema temporale si sono avvicinati; che i futuri che
potevano sembrare fino a ieri a distanza irraggiungibile, confinano ormai
direttamente col nostro presente; che li abbiamo trasformati in comunita'
attigue. Cio' vale sia per il mondo orientale che per quello occidentale.
Per il mondo orientale, poiche' il futuro vi e' pianificato in una misura
senza precedenti; e il futuro pianificato non e' piu' un futuro "in grembo
agli dei", ma un prodotto in fabbricazione: che, per il fatto di essere
previsto, e' gia' visto come parte integrante dello spazio in cui ci si
trova. In altri termini: poiche' tutto cio' che si fa, lo si fa per quel
prodotto futuro, esso getta gia' la sua ombra sul presente, appartiene gia',
in un senso pragmatico, al presente stesso. E cio' vale, in secondo luogo
(ed e' il caso che ci riguarda), per gli uomini del mondo occidentale
attuale; poiche' questo, anche senza proporselo direttamente, opera gia' sui
futuri piu' remoti: decidendo, ad esempio, della salute o della
degenerazione, e forse dell'esistenza o dell'inesistenza dei suoi nipoti. E
non importa che esso, o, piuttosto, che noi, si miri consapevolmente a
questo risultato: poiche' cio' che conta, da un punto di vista morale, e'
soltanto il fatto. E dal momento che il fatto - l'"azione a distanza" non
pianificata - ci e' noto, continuando ad agire come se non sapessimo quello
che facciamo commettiamo un delitto colposo.
E il tuo pensiero successivo dopo il risveglio sia: "Non esser vile, abbi il
coraggio di aver paura! Astringiti a fornire quel tanto di paura che
corrisponde alla grandezza del pericolo apocalittico!" Anche e proprio la
paura fa parte dei sentimenti che siamo incapaci o riluttanti a fornire; e
dire che abbiamo gia' paura, che ne abbiamo anche troppa, e che viviamo,
anzi, nell'"epoca della paura", e' una frase priva di senso, che, se non e'
diffusa ad arte col preciso intento di ingannare, e' pur sempre uno
strumento ideale per impedire l'avvento di una paura veramente adeguata
all'enormita' del pericolo, e per renderci indolenti e passivi. - E' vero
piuttosto il contrario: che viviamo in un'epoca refrattaria all'angoscia e
assistiamo quindi passivamente all'evoluzione in corso. Percio' vi e' tutta
una serie di ragioni (a prescindere dai limiti della nostra capacita' di
sentire), che non e' possibile enumerare qui (1). Ma non possiamo fare a
meno di menzionarne una, a cui gli eventi del recente passato conferiscono
un'attualita' e un'importanza particolare. Si tratta della mania delle
competenze, e cioe' della persuasione, inculcata in noi dalla divisione del
lavoro, che ogni problema rientri in un determinato ambito giuridico in cui
non abbiamo il diritto di interferire e di dire la nostra. Cosi', per
esempio, il problema atomico rientra nella competenza dei politici e dei
militari. E questo "non aver diritto" si trasforma subito e automaticamente
in "non aver bisogno". In altri termini: non c'e' bisogno che mi occupi dei
problemi di cui non sono tenuto e autorizzato ad occuparmi. E posso fare a
meno di aver paura, poiche' la paura stessa viene "sbrigata" in un altro
ressort. Percio' ripeti dopo il tuo risveglio: "Res nostra agitur". Il che
significa due cose: 1) che la cosa ci riguarda perche' ci puo' colpire; e 2)
che la pretesa di alcuni a una competenza di carattere esclusivo e'
infondata, perche' siamo tutti, in quanto uomini, ugualmente incompetenti.
Credere che in puncto "fine del mondo" possa aver luogo una competenza
maggiore o minore, e che quelli che (in seguito a una divisione casuale del
lavoro, delle responsabilita' e dei compiti) sono diventati politici o
militari, e che si occupano della fabbricazione e dell'"impiego" della bomba
piu' attivamente o piu' direttamente di noi, siano percio' piu' "competenti"
di noi, e' una follia pura e semplice. Chi cerca di farcelo credere (che si
tratti di questi pretesi competenti o di altri) dimostra solo la sua
incompetenza morale. Ma la nostra situazione morale finisce per diventare
intollerabile quando quei pretesi competenti (che sono incapaci di vedere i
problemi se non in termini tattici) pretendono di insegnarci che non abbiamo
nemmeno il diritto di aver paura, e tanto meno di porci problemi morali: dal
momento che la coscienza morale implica una responsabilita', e la
responsabilita' e' affar loro, affare dei competenti; con la nostra paura,
con la nostra angoscia morale, invaderemmo - secondo loro - un campo di loro
competenza. In conclusione: devi rifiutarti di riconoscere un ceto
privilegiato, un "clero dell'apocalisse": un gruppo che si arroghi una
competenza esclusiva per la catastrofe che sarebbe la catastrofe di tutti.
Se ci e' lecito variare il detto rankiano ("ugualmente vicini a Dio"),
potremmo dire che "ognuno di noi e' ugualmente vicino alla fine possibile".
E percio' ognuno di noi ha lo stesso diritto, e lo stesso dovere, di elevare
ad alta voce il suo monito. A cominciare da te.
*
Contro la discussione di carattere tattico
Non solo la nostra immaginazione, la nostra sensibilita' e la nostra
responsabilita' vengono meno di fronte alla "cosa": ma non siamo neppure in
grado di pensarla. Poiche' sotto qualunque categoria cercassimo di
sussumerla, la penseremmo in modo sbagliato: per il semplice fatto di
ridurla sotto una determinata categoria o classe di concetti, ne faremmo un
oggetto fra gli altri e la minimizzeremmo. Anche se puo' esistere in molti
esemplari, e' unica nel suo genere, non appartiene a nessuna specie: e',
quindi, un monstrum. Disgraziatamente e' proprio questa ("mostruosa")
inclassificabilita' a portarci a trascurare la cosa, o a dimenticarla
addirittura. Tendiamo a considerare come inesistente tutto cio' che non
siamo in grado di classificare. Ma nella misura in cui si parla della cosa
(cio' che peraltro non avviene ancora nella conversazione quotidiana fra gli
uomini), tendiamo a classificarla (poiche' e' la soluzione piu' comoda e
meno inquietante) come un'arma, o piu' in generale come un mezzo. Ma essa
non e' un mezzo, poiche' e' essenziale alla natura del mezzo risolversi
nello scopo raggiunto e scomparire, come la via nella meta. Il che non
accade in questo caso. Poiche' anzi l'effetto inevitabile (e perfino
l'effetto consapevolmente ricercato) della cosa e' maggiore di ogni scopo
pensabile; poiche' questo, per forza di cose, scompare e si annulla
nell'effetto. Scompare e si annulla insieme al mondo in cui c'erano ancora
"fini e mezzi". Ed e' chiaro che una cosa che distrugge, con la sua sola
esistenza, lo schema "fini e mezzi", non puo' essere un mezzo. Percio' la
tua massima successiva sia: "Nessuno mi fara' credere che la bomba sia un
mezzo". E dal momento che non e' un mezzo come i milioni di mezzi che
compongono il nostro mondo, non puoi tollerare che sia prodotta come se si
trattasse di un frigorifero, di un dentifricio e nemmeno di una pistola, per
costruire la quale nessuno ci interpella. - E come non devi credere a quelli
che la chiamano un "mezzo", non devi credere nemmeno ai persuasori piu'
sottili che sostengono che la cosa serve esclusivamente alla "dissuasione",
ed e' prodotta, cioe', solo allo scopo di non essere usata. Poiche' non si
sono mai visti oggetti il cui impiego si esaurisse nel loro non essere
usati; o, tutt'al piu', vi sono stati oggetti che, in determinati casi, non
furono usati (e cioe' quando la minaccia del loro uso, spesso gia' avvenuto,
si era gia' rivelata sufficiente). Del resto, non dobbiamo mai dimenticare
che la cosa e' gia' stata "usata" realmente (e senza giustificazione
adeguata) a Hiroshima e Nagasaki. Infine, non dovresti permettere che
l'oggetto il cui effetto supera ogni immaginazione sia classificato in modo
falso con un'etichetta sciocca e minimizzante. Quando l'esplosione di una
bomba H e' definita ufficialmente "azione Opa" o "azione nonnino", non e'
solo una manifestazione di cattivo gusto, ma anche un inganno consapevole.
Inoltre devi opporti e ribellarti tutte le volte che la cosa (la cui
semplice presenza e' gia' una forma di uso) e' discussa da un punto di vista
puramente "tattico". Questo tipo di discussione e' assolutamente inadeguato,
poiche' l'idea di potersi servire tatticamente delle armi atomiche
presuppone l'esistenza di una situazione politica indipendente dal fatto
stesso della loro esistenza. Ma questa e' una supposizione affatto irreale,
poiche' la situazione politica (l'espressione "era atomica" e' perfettamente
giustificata) e' definita dal fatto delle armi atomiche. Non sono le armi
atomiche a presentarsi, fra le altre cose, sulla scena politica, ma sono gli
avvenimenti politici a svolgersi all'interno della situazione atomica; e la
maggior parte delle azioni politiche sono passi intrapresi all'interno di
questa situazione. I tentativi di utilizzare la possibilita' della fine del
mondo come una pedina sullo scacchiere della politica internazionale,
indipendentemente o meno dalla loro astuzia, sono segni di accecamento.
L'epoca delle astuzie e' finita. Percio' devi farti un principio di sabotare
tutte le analisi in cui i tuoi contemporanei cercano di esaminare il fatto
del pericolo atomico da un punto di vista puramente tattico, e di portare la
discussione sul punto essenziale: sulla minaccia che pesa sull'umanita' di
un'apocalisse provocata da lei stessa; e fallo anche a costo di essere
deriso come persona priva di realismo politico. In realta', ad essere poco
realisti, sono proprio i puri tattici, che vedono le armi atomiche solo come
mezzi, e che non capiscono che i fini che cercano o pretendono di
raggiungere mediante la loro tattica, sono completamente svuotati di
significato dall'uso (anzi, dalla semplice possibilita' dell'uso) di questi
mezzi.
*
La decisione e' gia' stata presa
Non lasciarti ingannare da chi sostiene che ci troveremmo ancora (e ci
troveremo forse sempre) nello stadio sperimentale, nello stadio delle
esperienze di laboratorio. Poiche' questa e' solo una frase. E non solo
perche' abbiamo gia' gettato delle bombe (cio' che molti stranamente
dimenticano), e l'epoca "in cui si fa sul serio" e' quindi gia' cominciata
da un pezzo; ma anche perche' (ed e' la ragione piu' importante) non e'
possibile parlare, in questo caso, di esperimenti. La tua ultima massima
sara', quindi, questa: "Per quanto felice possa essere l'esito degli
esperimenti, e' lo sperimentare stesso che fallisce". E fallisce perche' si
puo' parlare di esperimenti solo dove l'evento sperimentale non esce e non
spezza l'ambito isolato e circoscritto del laboratorio; condizione che non
si ritrova in questo caso. Poiche' fa proprio parte dell'essenza della cosa,
e dell'effetto ricercato della maggior parte degli esperimenti attuali,
accrescere il piu' possibile la forza esplosiva e il fall-out radioattivo
dell'arma; e cioe', per quanto contraddittoria possa essere la formula,
provare fino a che punto si possa superare ogni limite sperimentale. Cio'
che e' prodotto dai cosiddetti "esperimenti" non rientra piu', quindi, nella
classe degli effetti sperimentali, ma nello spazio reale, nell'ambito della
storia (dove si trovano, ad esempio, i pescatori giapponesi contagiati dal
fall-out) e perfino della storia futura, poiche' e' il futuro stesso ad
essere investito (ad esempio la salute delle prossime generazioni), e si
puo' quindi dire che il futuro, secondo la formula filosofica del libro di
Jungk, "e' gia' cominciato". E'  quindi del tutto illusoria e ingannevole
l'affermazione a cui si ricorre cosi' volentieri, che l'impiego della cosa
non e' stato ancora deciso. - E' vero, invece, che la decisione e' gia'
avvenuta attraverso i cosiddetti esperimenti. Fa quindi parte dei tuoi
doveri denunciare e distruggere l'apparenza che noi si viva ancora nella
"preistoria" atomica: e chiamare per nome cio' che e'.
*
Siamo manipolati dai nostri apparecchi
Ma tutti questi postulati e questi divieti si possono condensare in un solo
comandamento: "Abbi solo quelle cose le cui massime potrebbero diventare le
tue massime e quindi le massime di una legislazione universale".
E' un postulato che puo' lasciare interdetti: l'espressione "massime delle
cose" puo' sembrare, a tutta prima, paradossale. Ma solo perche' strano e
paradossale e' il fatto stesso designato dall'espressione. Cio' che vogliamo
dire e' solo che, vivendo in un mondo di apparecchi, siamo soggetti al
trattamento dei nostri apparecchi (e sempre in un modo determinato dalla
natura degli apparecchi). Ma poiche', d'altra parte, siamo gli utenti di
questi apparecchi, e trattiamo il nostro prossimo per mezzo di essi, finiamo
per trattare il nostro prossimo, anziche' secondo i nostri principi, secondo
i modi di operare degli apparecchi, e cioe', in certo qual modo, secondo le
loro massime. Il postulato esige che ci rendiamo conto di queste massime
come se fossero le nostre (dal momento che lo sono effettivamente e di
fatto); che la nostra coscienza morale, anziche' dedicarsi all'esame di se
stessa (che e' ormai un lusso privo di conseguenze), si dedichi a quello
degli "impulsi nascosti" e dei "principi" dei nostri apparecchi. Esaminando
scrupolosamente la propria anima alla maniera tradizionale, un ministro
atomico non vi troverebbe, probabilmente, nulla di particolarmente
peccaminoso; ma esaminando la "vita intima" dei suoi aggeggi, vi troverebbe
niente meno che l'erostratismo, e un erostratismo su scala cosmica; poiche'
erostratico e' il modo in cui le armi atomiche trattano l'umanita'. Solo
quando ci saremo abituati a questa nuova forma di azione morale ("l'analisi
del cuore degli apparecchi"), avremo qualche motivo di sperare che, dovendo
decidere del nostro essere o non-essere, sapremo decidere per la
conservazione del nostro essere.
*
Impossibilita' di non-potere
Il tuo principio successivo sia: "Non credere che quando saremo riusciti a
compiere il primo passo, la cessazione dei cosiddetti esperimenti, il
pericolo si possa considerare passato, e che noi si possa dormire sugli
allori". Poiche' la fine degli esperimenti non significa ancora quella della
produzione di bombe e tanto meno la distruzione delle bombe e dei tipi che
sono gia' stati sperimentati e che sono pronti per l'uso. Vi possono essere
varie ragioni per una cessazione degli esperimenti: uno stato vi si puo'
risolvere, ad esempio, perche' ogni ulteriore esperimento sarebbe superfluo,
dal momento che la produzione dei tipi sperimentati o la riserva di bombe
esistenti bastano gia' per ogni eventualita'; insomma, perche' sarebbe
assurdo e antieconomico uccidere l'umanita' piu' di una volta.
Non credere nemmeno che avremmo diritto di stare tranquilli una volta che
fossimo riusciti ad eseguire il secondo passo (l'arresto della produzione di
bombe A e H), o che potremmo metterci a sedere dopo il terzo passo (la
distruzione di tutte le riserve). Anche in un mondo completamente "pulito"
(e cioe' in un mondo dove non ci fossero piu' bombe A o H, e dove quindi,
apparentemente, non "avremmo" bombe), continueremmo, tuttavia, ad averle,
poiche' sapremmo come fare per produrle. Nella nostra epoca contrassegnata
dalla riproduzione meccanica non si puo' dire che un oggetto possibile non
esista, poiche' cio' che conta non sono gli oggetti fisici reali, ma i loro
tipi, i loro "modelli". Anche dopo aver eliminato tutti gli oggetti fisici
che hanno a che fare con la produzione delle bombe A o H, l'umanita'
potrebbe cadere vittima dei loro disegni. Si potrebbe concludere, allora,
che bisogna distruggere questi ultimi. Ma anche questo e' impossibile,
poiche' i modelli sono indistruttibili come le idee di Platone; in un certo
senso sono addirittura la loro realizzazione diabolica. Insomma, anche se ci
riuscisse di distruggere fisicamente i fatali apparecchi e i loro "modelli",
e di salvare cosi' la nostra generazione: anche questa sarebbe solo una
pausa, sarebbe solo una dilazione. La produzione potrebbe essere ripresa
ogni giorno, il terrore rimane, e dovrebbe restare, quindi, anche la tua
paura. D'ora in poi l'umanita' dovra' vivere, per tutta l'eternita', sotto
l'ombra minacciosa del mostro. Il pericolo apocalittico non si lascia
eliminare una volta per tutte, con un atto solo, ma solo con una serie
indefinita di atti quotidiani. Dobbiamo comprendere, insomma (e questa
comprensione finisce di mostrarci il carattere fatale della nostra
situazione), che la nostra lotta contro la permanenza fisica degli ordigni e
la loro costruzione, sperimentazione ed accumulazione rimane, in definitiva,
insufficiente. Poiche' la meta che dobbiamo raggiungere non puo' consistere
nel non-avere la cosa, ma solo nel non adoperarla mai, anche se non possiamo
fare in modo di non averla; nel non adoperarla mai, anche se non ci sara'
mai un giorno in cui non potremmo adoperarla.
Ecco quindi il tuo compito: far capire all'umanita' che nessuna misura
fisica, nessuna distruzione di oggetti materiali potra' mai rappresentare
una garanzia assoluta e definitiva, e che dobbiamo, invece, essere
fermamente decisi a non compiere mai quel passo, anche se sara', in un certo
senso, sempre possibile. Se non riusciamo - si', tu, tu ed io - a infondere
questa coscienza e questa convinzione nell'umanita', siamo perduti.
*
Note
1. Cfr. Guenther Anders, Die Antiquierheit des Menschen, C. H. Beksche
Verlagsbuchhandlung, pp. 264 sgg.

3. POESIA E VERITA'. ASSIA DJEBAR: TUTTE LE MATTINE
[Da Poeti algerini, Guanda, Parma 1966, pp. 125-127. Assia Djebar e' una
illustre intellettuale algerina impegnata per i diritti umani, scrittrice,
storica, antropologa, docente universitaria, cineasta. Opere di Assia
Djebar: cfr. almeno Donne d'Algeri nei loro appartamenti, Giunti, Firenze
1988; Lontano da Medina. Figlie d'Ismaele, Giunti, Firenze 1993, 2001;
L'amore, la guerra, Ibis, 1995; Vaste est la prison, Albin Michel, Paris
1995; Bianco d'Algeria, Il Saggiatore, Milano 1998; Nel cuore della notte
algerina, Giunti, Firenze 1998; Ombra sultana, Baldini & Castoldi, Milano
1999; Le notti di Strasburgo, Il Saggiatore, Milano 2000; Figlie d'Ismaele
nel vento e nella tempesta, Giunti, Firenze 2000; La donna senza sepoltura,
Il Saggiatore, Milano 2002. Opere su Assia Djebar: cfr. il libro-intervista
di Renate Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano
1997]

Io ti cerco fra i cadaveri
tutte le mattine
proprio vicino a casa nostra
ogni notte morta l'ombra si colma di corpi
sotto il ponte
proprio vicino a casa nostra
mi si dice
un uomo e' qualcosa che le guardie portano via
e non ritrovano
Io ti cerco fra i cadaveri
tutte le mattine

Tutti uno solo e l'aurora
compagna ogni volta soffocata
tutti volto moltiplicato
che il tempo non potra' seppellire
il loro silenzio la tua assenza si rassomigliano
io attendo per un giorno l'incontro
sotto il ponte
fra gli allori
Mi si dice
non muore un uomo il cui sangue resta
nel tuo cuore e in quello degli altri
che non conosci
Io ti cerco fra i cadaveri
tutte le mattine

Io ti cerco fra i cadaveri
i loro occhi spenti mi rispondono
soli schiacciati al suolo
Io ti cerco io ti ricordo
il nostro campo futuro si semina
senza aratura ma la loro carne e' l'offerta
Io ti attendo io ti riconosco
sotto il ponte
fra gli allori

Io mi dico
arde la sola disperazione
io sono la vita il cielo la pianura del dolore
il tuo fertile sangue domani
domani gia' la morte feconda

Tutte le mattine
proprio vicino a casa nostra
io ti cerco fra i cadaveri

4. INCONTRI. MICHELE BOATO, GIANNOZZO PUCCI, GIANNI TAMINO, MAO VALPIANA: UN
INVITO IL 10 SETTEMBRE A FIRENZE
[Dagli amici carissimi dell'Ecoistituto del Veneto (per contatti:
ecoveneto at tin.it) riceviamo e diffondiamo questo invito di Michele Boato,
Giannozzo Pucci, Gianni Tamino, Mao Valpiana.
Michele Boato e' nato nel 1947, docente di economia, impegnato contro la
nocivita' dell'industria chimica dalla fine degli anni '60, e' impegnato da
sempre nei movimenti pacifisti, ecologisti, nonviolenti. Animatore di
numerose esperienze didattiche e di impegno civile, direttore della storica
rivista "Smog e dintorni", impegnato nell'Ecoistituto del Veneto "Alexander
Langer", aniamtore del bellissimo periodico "Gaia". Ha promosso la prima
Universita' Verde in Italia. Parlamentare nel 1987 (e dimessosi per
rotazione un anno dopo), ha promosso e fatto votare importanti leggi contro
l'inquinamento. Con significative campagne nonviolente ottiene la
pedonalizzazione del centro storico di Mestre, contrasta i fanghi
industriali di Marghera. E' impegnato nella campagna "Meno rifiuti". E'
stato anche presidente della FederConsumatori. E' una delle figure più
significative dell'impegno ecopacifista e nonviolento, che ha saputo unire
ampiezza di analisi e concretezza di risultati, ed un costante atteggiamento
di attenzione alle persone rispettandone e valorizzandone dignita' e
sensibilita'. Tra le opere di Michele Boato: ha curato diverse pubblicazioni
soprattutto in forma di strumenti di lavoro; cfr. ad esempio: Conserva la
carta, puoi salvare un albero (con Mario Breda); Ecologia a scuola; Dopo
Chernobyl (con Angelo Fodde); Adriatico, una catastrofe annunciata; tutti
nei "libri verdi", Mestre; nella collana "tam tam libri" ha curato: Invece
della tv rinverdire la scuola (con Marco Scacchetti); Erre magica: riparare
riusare riciclare (con Angelo Favalli); In laguna (con Marina Stevenato);
Verdi tra governo e opposizione (con Giovanna Ricoveri).
Giannozzo Pucci, amico della nonviolenza, saggista, tra i fondatori in
Italia del movimento ambientalista ed antinucleare e del movimento per
l'agricoltura organica, ha fondato ed e' presidente dell'Associazione di
solidarieta' per la campagna italiana, ha promosso l'esperienza della
Fierucola, e' presidente dell'Associazione internazionale "Fioretta Mazzei".
Consigliere comunale di Firenze dal 1990, e' stato per sei anni presidente
della Commissione urbanistica; ha collaborato a vari giornali e riviste;
cura la collana editoriale dei "Quaderni d'Ontignano", ed anima attualmente
la Libreria Editrice Fiorentina, la prestigiosa casa editrice che ha
pubblicato le opere di Giorgio La Pira e Lorenzo Milani.
Gianni Tamino e' docente universitario, gia' parlamentare europeo, amico
della nonviolenza, acuto studioso di questioni ambientali.
Mao (Massimo) Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la
redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax  0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nello scorso mese di giugno ha
promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria
italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo
autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra
richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario]

La rete ecologista, a cui partecipano le riviste "Gaia", "Ecologist",
"Azione Nonviolenta", "Tra Terra e Cielo", "Aam Terra Nuova",
"Altreconomia", "Natura e Societa'", "Tera e Aqua", "x Fare + verde", "La
Fierucola del Pane", "BioAgricoltura Notizie", "Donna e Donna", "Territorio
Veneto", e molte associazioni locali e nazionali, come, Mountain Wilderness,
Pro Natura, Movimento Nonviolento, Fare Verde, Comitato Nazionale del
Paesaggio, gli Ecoistituti del Piemonte, Veneto, Reggio Emilia, delle
Tecnologie Appropriate, della Valle del Ticino, Terremutanti di Milano, Gaia
Club Valdelsa Senese, Movimento dei Consumatori, Fondazione Icu - Istituto
Consumatori Utenti, Codacons Siena, Movimento Verde di Sardegna,
VeneziAmbiente, Comitati Ambiente di Reggio Emilia, Coordinamento Comitati
Antenne Sinistra Piave (Treviso), Comitato Parco Cansiglio, invita tutte le
persone interessate a partecipare sabato 10 settembre a Firenze dalle ore 10
alle ore 18 presso l'Auditorium dell'Istituto Stensen in viale don Minzoni
25/a all'incontro nazionale sul tema: "Dov'e' l'ecologia nei programmi di
governo? L'ecologia guidi l'economia, la politica guidi l'economia.
Contributi ad un programma politico che metta l'ecologia tra i valori
fondamentali". Idee e proposte nell'ipotesi di governare l'Italia con una
coalizione che metta l'ecologia tra i valori fondamentali.
*
Interventi previsti:
- Il Tao dell'Ecologia: Edward Goldsmith.
- Programma politico e rivoluzione ecologica: Michele Boato, direttore
rivista "Gaia"; Giannozzo Pucci, direttore rivista "Ecologist Italia".
- Le frontiere della scienza alla fine dello sviluppo: Livio Giuliani,
fisico direttore Ispesl Veneto.
- Economia: Francuccio Gesualdi, "Centro Nuovo Modello di Sviluppo" di
Vecchiano (Pisa).
- Agricoltura, artigianato, animali: Gino Girolomoni direttore rivista "Il
Mediterraneo"; Marco Chiletti, Associazione di Solidarieta' per la Campagna
Italiana; Sergio Paderi, "La Fierucola del Pane", Firenze.
- Alimentazione e consumi: Gianni Tamino, docente di biologia
all'Universita' di Padova; Anna Ciaperoni, Fondazione Icu - Istituto
Consumatori Utenti; Giulio Labbro Francia, Movimento dei Consumatori;
Cristina Romieri, Associazione vegetariana.
- Cambiamenti climatici ed energia; Nanni Salio, direttore Ecoistituto del
Piemonte; Giuseppe Onufrio, fisico Issi; Gianfranco Zavalloni, direttore
Ecoistituto Tecnologie Appropriate, Cesena.
- Mobilita' sostenibile: Maria Rosa Vittadini, docente all'Universita' di
Venezia; Carlo Giacomini, Ecoistituto del Veneto; Helmut Moroder, Cipra;
Gisela Stief, "Ecologist italia".
- Nord/Sud Est/Ovest: una politica di giustizia fra i popoli: Mao Valpiana,
direttore di "Azione Nonviolenta"; Giuliana Martirani, docente di geografia
all'Universita' di Napoli; Alex Zanotelli, missionario comboniano; Elena
Buccoliero, Movimento Nonviolento.
- Natura e paesaggio: Walter Giuliano, direttore rivista "Natura e
societa'"; Carlo Alberto Pinelli, regista naturalista presidente Mountain
Wilderness; Carlo Ripa di Meana, Comitato nazionale per il Paesaggio; Toio
de Savorgnani, forestale e alpinista.
- Materie prime, rifiuti e acqua: Paolo Stevanato, Ecoistituto del Veneto;
Attilio Tornavacca, Scuola Agraria del Parco di Monza.
- Salute, igiene e categorie deboli: Alessandra Cecchetto, ginecologa;
Serena Betti, Il Melograno, Verona; Ernesto Bugio, "Ecologist Italia";
Verena Schmit, direttrice rivista "Donna e Donna".
- Democrazia della Terra: Pinuccia Montanari, assessore Comune di Reggio
Emilia; Corrado Poli, docente Universita' di Bergamo.
*
Se siete interessati potete collaborare,facendo circolare l'invito e
inviando adesioni e/o contributi scritti a: info at ecoistituto-italia.org
All'incontro c'e' spazio per molti interventi non programmati di 5 minuti e
sono invitati anche interlocutori politici nazionali.
Alle ore 20 di sabato 10 settembre inizia una serata conviviale per i molti
che si fermano a Firenze, per recarsi domenica 11 alla marcia
Perugia-Assisi.
A presto.
Michele Boato, Giannozzo Pucci, Gianni Tamino, Mao Valpiana

5. MATERIALI. DOPO HIROSHIMA: UNA MINIMA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
- Svetlana Aleksievic, Preghiera per Cernobyl', Edizioni e/o, Roma 2002,
2004.
- Guenther Anders, Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961.
- Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la
coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, Linea d'ombra, Milano 1992.
- Murray Bookchin, L'ecologia della liberta', Edizioni Antistato, Milano
1984, Eleuthera, Milano 1986, 1988.
- Adriano Buzzati-Traverso, Morte nucleare in Italia, Laterza, Roma-Bari
1982.
- Barry Commoner, Far pace col pianeta, Garzanti, Milano 1990.
- Friedrich Duerrenmatt, I fisici, Einaudi, Torino 1972, 1975.
- Franco Fornari, Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano
1970.
- Heinrich Jaenecke, L'apocalisse atomica, Edizioni cultura della pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1991.
- Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi, Torino 1958, 1982.
- Robert Jungk, La grande macchina, Einaudi, Torino 1968.
- Robert Jungk, L'uomo del millennio, Einaudi, Torino 1975.
- Robert Jungk, Lo stato atomico, Einaudi, Torino 1978, 1980.
- Robert Jungk, L'onda pacifista, Garzanti, Milano 1984.
- Dario Paccino, L'imbroglio ecologico, Einaudi, Torino 1972.
- Dario Paccino, La trappola della scienza, La Salamandra, Milano 1979.
- Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002.
- Bertrand Russell, Autobiografia, 3 voll., Longanesi, Milano 1969-1971.
- Vandana Shiva, Terra madre, Utet, Torino 2002.
- Naomi Shohno, L'eredita' di Hiroshima, Cittadella Editrice, Assisi 1988.
- Enzo Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Garzanti, Milano 1984, 1992.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 33 del 7 agosto 2005