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La nonviolenza e' in cammino. 1015
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1015
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 7 Aug 2005 00:18:16 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1015 del 7 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Il "Cos in rete" di agosto 2. Una petizione popolare contro i "Centri di permanenza temporanea", per i diritti umani di tutti gli esseri umani 3. Guliana Sgrena: Senza testimoni 4. Chiara Zamboni: Bellezza e differenza sessuale 5. Rossana Rossanda presenta "Dare l'anima" di Adriano Prosperi 6. Daniela Padoan presenta "Il ballo" di Irene Nemirovsky 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI. Il "COS IN RETE" DI AGOSTO [Dagli amici dell'associazione nazionale "Amici di Aldo Capitini" (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo] Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento del "C.O.S. in rete", sito: www.cosinrete.it Nello spirito del C.O.S. (Centro di orientamento sociale) di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo, tra cui: Le radici cristiane inascoltate; Spinoza e Capitini; Le madri degli eroi; Controllo dal basso in Vaticano; Europa e Yugoslavia; I senza patria; I treni dell'indifferenza; Il futuro della sinistra; Tienamen ieri e oggi; La liberta' di peccare; L'Istat, Ruini e Capitini; Pera e Capitini; Galli contro l'Europa; Le nostre attese; ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. * Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti mandando i contributi all'indirizzo e-mail: capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del C.O.S.: http://cos.splinder.com * Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in: www.aldocapitini.it 2. DIRITTI. UNA PETIZIONE POPOLARE CONTRO I "CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA", PER I DIRITTI UMANI DI TUTTI GLI ESSERI UMANI [Da "Mare Nostrum Newsletter" n. 7 del 25 luglio 2005 (notiziario curato da Alessio Di Florio, per contatti: ahimsashalom at yahoo.it) riprendiamo il seguente appello] Dopo anni in cui i salentini hanno dimostrato cosa significasse vivere e sostenere l'accoglienza degli immigrati che sono sbarcati in gran numero sulle nostre coste per piu' di dieci anni, sono arrivati gli affari attraverso i fondi pubblici e privati (milioni e milioni di euro) che sono stati equamente spartiti tra le realta' del cosiddetto "non profit" che si erano assunte l'onere di gestire concretamente le politiche dell'accoglienza dei profughi nel Salento. Allora nacquero due centri, la Fondazione "Regina Pacis" e il centro "L'orizzonte" del Ctm di Lecce, a Squinzano, su una proprieta' della Provincia. Nei primi tempi i due centri si connotarono come luoghi di vera accoglienza. Poi, quando il business e certi giochi politici aumentarono vertiginosamente, chissa' perche' la Fondazione "Regina Pacis" e il centro "L'orizzonte" cambiarono radicalmente. La chiusura di entrambi i centri dopo che persino si era parlato di Nobel per l'accoglienza, i cinque processi a cui e' sottoposto non solo il direttore del "Regina Pacis", le sconvolgenti e incredibili violenze che sarebbero avvenute ai danni degli immigrati internati nel Cpt della Curia di Lecce (di cui ricordiamo l'unica colpa: scappare da guerre e carestie), ci inducono a chiedere al presidente della Provincia di farsi portatore quanto prima di un'iniziativa tesa a far nascere a Squinzano, sull'area dove sorgeva il centro del Ctm, un centro polivalente di studio e lavoro contro razzismi e xenofobia gestito da Ong e associazioni oneste e trasparenti. Al primo cittadino di Melendugno chiediamo invece di fare quanto nei suoi poteri per ottenere la restituzione immediata dell'area di proprieta' della Curia arcivescovile di Lecce, per inadempienza rispetto agli accordi che anni fa permisero la donazione. Tutto cio' perche' gran parte della societa' civile salentina (e pugliese) ha diritto di ritornare a vedere e a godere delle splendide marine di San Foca, chiudendo anche visivamente una pagina nerissima, una vera e propria vergogna, che si e' consumata con le attivita' della Fondazione "Regina Pacis". Nel caso impedimenti di vario genere ne impedissero la restituzione, allora chiediamo, anche come credenti, che la Curia si adoperi da subito per abbattere reticolati e mura, sbarre e recinti, facendo nascere un centro polivalente, e completamente gratuito, dove i bambini del mondo (ma anche i nostri figli insieme a quelli dei turisti e degli immigrati) possano giocare, fare sport, conoscersi e crescere in pace con la consapevolezza che senza la solidarieta' verso i piu' deboli (che in questo caso sono fratelli e sorelle che scappano da guerre, persecuzioni e fame) non si puo' pensare a un mondo senza guerre preventive, senza terrorismo e violenza etnica o religiosa, senza razzismo e, come recita anche la nostra Costituzione, con la massima tutela dei diritti umani e civili degli immigrati e di tutti noi. * Primi firmatari: Mario Fiorella, magistrato; Luigi Santoro, docente Universita' di Lecce; don Angelo Cassano, parroco a Bari; Antonella Mangia, impiegata; don Alessandro Santoro, parroco a Firenze; Luigi Calo', assessore Provincia di Lecce; Bledar Torozi, Consulta immigrati provincia di Lecce; Stefano Mencherini, giornalista indipendente e regista Rai; don Andrea Gallo, fondatore Comunita' San Benedetto, Genova; Silverio Tomeo, insegnante; Donato Margarito, consigliere provinciale; Ruggero Vantaggiato, giornalista; e tutti coloro che stanno facendo dal 24 giugno lo sciopero della fame per la liberta' di informazione e la tutela dei diritti umani e civili degli immigrati * Per informazioni: www.peacelink.it, www.stefanomencherini.org, www.meltingpot.org 3. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: SENZA TESTIMONI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 agosto 2005. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004. Steven Vincent, giornalista e saggista americano, e' stato assassinato alcuni giorni fa in Iraq] Bassora, nel sud dell'Iraq, sembrava una citta' tutto sommato sotto controllo, delle truppe inglesi. Persino accessibile ai giornalisti stranieri, soprattutto se iraniani, vista la vicinanza del confine e la presenza di "consiglieri" degli ayatollah. Non si parla piu' dei morti di Baghdad - se non per dare delle cifre decontestualizzate -, figuriamoci se era il caso di scoprire quelli della capitale del sud. Finche' l'assassinio di Steven Vincent, giornalista free lance americano che aveva gia' scritto un libro sull'Iraq (dal titolo: In the red zone: a journey into the soul of Iraq) e ne stava preparando uno su Bassora, ha dato il nome a uno dei tanti morti. E il pretesto per cercare cosa c'e' dietro. Mentre scriviamo, del suo assassinio - esecutori, mandanti - avvenuto martedi' sera mentre si trovava con Nour Weidi, la sua traduttrice - ferita gravemente - non si sa nulla. Steven Vincent aveva pero' denunciato fatti gravissimi che succedono a Bassora in un articolo pubblicato dal "New York Times" soltanto quattro giorni fa, il 31 luglio 2005. Dall'atteggiamento delle truppe di occupazione britanniche - era stato embedded per dieci giorni - alla persecuzione dei sunniti-baathisti da parte della polizia religiosa. Le truppe britanniche, secondo Steven, agiscono solo nell'ottica della "exit strategy", vale a dire: addestrare la polizia locale a controllare il territorio per potersene andare, poco importa se le forze dell'ordine irachene non rispettano i diritti dei cittadini e agiscono non in nome dello stato ma della moschea. Un ufficiale di polizia aveva riferito a Steven che il 75 per cento dei poliziotti sono seguaci del leader sciita radicale Muqtada al Sadr, e "se un ayatollah schiocca le dita, migliaia di poliziotti ubbidiranno" secondo un giornalista. Nessuno dei testimoni di Vincent naturalmente vuole rivelare il proprio nome, conscio del rischio che corre. Per non parlare delle universita', dove guardiani religiosi autonomi controllano l'abbigliamento e il trucco delle studentesse, se in regola con l'ordine islamico. Questa non e' una novita', purtroppo. La denuncia piu' grave fatta dal giornalista americano sul "New York Times" riguarda pero' la "macchina della morte", una Toyota bianca che porta in giro per la citta' poliziotti che, nel tempo libero, all'ordine dei leader religiosi, danno la caccia agli ex membri del partito Baath. Sono questi poliziotti gli autori di centinaia di assassinii di ex-baathisti. Una caccia agli ex del regime di Saddam che e' stata anche rivendicata dagli uomini di Muqtada. Caccia agli ex-baathisti che coinvolge, in questa come in altre situazioni, anche le brigate al Badr dello Sciiri (Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq), addestrate in Iran dai Guardiani della rivoluzione. Per questa situazione Steven Vincent ha chiamato in causa direttamente le truppe di occupazione, in questo caso britanniche, che preferiscono chiudere gli occhi. Come dovrebbero fare anche i giornalisti, perche' se vanno in giro, vedono e scrivono, vengono rapiti o, peggio, assassinati. 45 giornalisti e 20 loro collaboratori sono stati uccisi in Iraq dal marzo del 2003. In Iraq nessuno vuole testimoni, ne' gli occupanti ne' gli occupati che dicono di voler combattere gli occupanti. E chi vorrebbe gridare al mondo le proprie sofferenze non ha la forza e i mezzi per farlo. 4. RIFLESSIONE. CHIARA ZAMBONI: BELLEZZA E DIFFERENZA SESSUALE [Dalla rivista "Per amore del mondo" (nel sito: www.diotimafilosofe.it) riprendiamo il seguente articolo. Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997] Simone Weil descrive nei Quaderni la relazione tra l'anima, la fisica e la storia. Queste sue riflessioni sono particolarmente interessanti per accedere a un concetto non soggettivo dei sentimenti. Lei fa riferimento ad alcune leggi della fisica. In particolare la legge di gravita', la legge che riguarda il movimento dei fluidi, e cosi' via. Tali leggi funzionano da modello, per comprendere le leggi dell'anima e quelle della storia. Ad esempio, se qualcuno riceve un'offesa, egli si sente costretto a fare un male equivalente contro un'altra persona. Cio' e' descritto perfettamente dalla legge della pressione dei fluidi. Altrettanto avviene nel corso della storia: un popolo che viene ferito nel suo orgoglio deve necessariamente vendircarsi di cio'. Sin qui quel che ne dice Simone Weil e sin qui le sue leggi dell'anima. Io sviluppo ulteriormente questa idea. Se i sentimenti dell'anima obbediscono alle leggi della fisica, essi sono dunque sia personali che impersonali. I sentimenti rappresentano segni della posizione dell'"io" in rapporto al mondo e alla sua storia. Essi sono quindi segnali sia dell'io che della trasformazione del mondo. Noi abitiamo infatti il mondo. Il mondo non e' come un grosso oggetto fuori di noi. Quel che noi sperimentiamo e' al medesimo tempo una esperienza del mondo. Cio' vale anche per l'esperienza dei sentimenti. Tutto cio' ci conduce ad una posizione ermeneutica in relazione a questi segnali. Si tratta di una posizione ermeneutica nella quale i sentimenti sono coinvolti e giocano un loro ruolo assieme all'intelligenza e alla storia del mondo. Questa e' una via del pensiero, nella quale e' valorizzata la pratica di partire da se'. Noi siamo infatti nel mondo e leggiamo i segni del mondo dal suo interno. Noi non consideriamo le cose dall'alto. Non siamo certo uccelli che volano sulla terra. Non abbiamo uno sguardo di sorvolo sul mondo. Al contrario noi abitiamo questo mondo con il nostro corpo e i nostri sentimenti. I sentimenti sono nella nostra esperienza del mondo come la luce di un faro nella notte. Nel senso che ci orientano. * Nell'esperienza delle donne si puo' osservare una relazione tra i sentimenti dell'anima e il mondo, che porta con se' una particolare qualita'. Essa e' una relazione piu' stretta di quella vissuta dagli uomini. Perche'? La differenza tra donne e uomini e' evidente. Essa ha la propria origine in una diversa relazione con la madre. Sia le bambine come i bambini amano la madre. Le donne hanno in piu' come caratteristica quella di appartenere allo stesso genere della madre. Gli uomini appartengono a un genere diverso. Da qui deriva che la loro esperienza non e' simmetrica. Cio' ha molte conseguenze per quanto riguarda la loro esperienza del corpo e della lingua, per quanto riguarda la relazione con se stessi e con gli altri, e cosi' via. Una conseguenza osservabile e' sicuramente questa. Le donne vengono fortemente coinvolte dai sentimenti. Il "continuum" con la madre ha l'effetto, che la passione rappresenta un ponte necessario per sperimentare il mondo. Io ho descritto in questo modo tale situazione: le donne sperimentano un materialismo dell'anima. Che significa? Questa espressione si differenzia parecchio dall'idea che si trova ripetuta nella cultura maschile. La cultura maschile tradizionale ha descritto le donne o come angeli o come persone, che amano solo il fare. O come esseri spirituali o come esseri legati al corpo, agli interessi e al fare. La contrapposizione tra Maria e Marta nel vangelo e' molto conosciuta. Ci sono molti altri esempi possibili per illustrare questa contrapposizione. Ma tale contrapposizione e' falsa. In realta' molte donne cercano nella vita il senso della vita e nella prassi un orientamento spirituale. In tale contesto i sentimenti dell'anima rappresentano la luce, che ci guida. Noi possiamo interrogare i nostri ricordi a questo proposito. Nella nostra vita ci sono stati dei fatti, che hanno attirato in modo particolare la nostra attenzione. La nostra consapevolezza non ha ancora preso atto di essi, che gia' in questi fatti e' coinvolta la nostra anima con il suo corteo di sentimenti. A volte un fatto e' coinvolgente soltanto per noi, mentre rimane uno eguale agli altri per chi ci sta vicino. Questo non e' importante. E' importante invece che quel fatto ci tenga avvinti a se'. Il sentimento che proviamo indica che relazione abbiamo con quel fatto. Esso mostra una direzione del mondo, che noi causiamo e anche viviamo in modo passivo. * Porto un esempio. Molti anni fa io ero a Venezia. Era una bella giornata, e calda. Avevo partecipato a un seminario sulla politica. Mi ero allontanata un momento e mi trovavo in una piccola piazza assolata e solitaria. Il luogo, la luce e le ombre, i due gatti stesi al sole, tutto era bello. La percezione della bellezza divenne sempre piu' forte. Essa mi dava la sensazione precisa della verita'. Tutto cio' era reale. Capii improvvisamente che o la politica accoglieva esattamente questo nella sua prassi o era superflua, ai margini della realta'. Anche piu' avanti ho sempre avuto fiducia nell'esperienza di questo sentimento e vi sono rimasta fedele. Per me e' evidente che l'esperienza di un sentimento puo' avere un peso in politica solo se noi troviamo le mediazioni giuste per esprimerle simbolicamente nel linguaggio della politica. Cio' richiede inventiva e la capacita' di ascoltare e comprendere gli altri. * Il passaggio alla lingua non rappresenta una traduzione dell'esperienza. Si tratta invece di una metamorfosi. Se noi parliamo, vogliamo che gli altri ci capiscano. Parlando, ci troviamo in una comunita' linguistica. Se noi esprimiamo agli altri la nostra consapevolezza del mondo, gettiamo un ponte politico tra la nostra esperienza e l'ordine simbolico. C'e' di piu': il passaggio alla lingua porta con se' il fatto che la lingua puo' indicarci soltanto una determinata direzione del mondo. E' impossibile mostrare il mondo nella sua interezza. La lingua non coincide con l'essere. Essa mostra un profilo del mondo. In genere si scommette sul fatto che questo profilo sia il migliore per significare l'intero mondo. Si tratta in questo caso di una scommessa che noi possiamo vincere o perdere, ma la scommessa viene guidata comunque dal sentimento. Il che significa: se perdiamo la scommessa, allora la lingua non ci rida' tanto l'essere, bensi' solo un'opinione superflua. La mancanza sta nella nostra incapacita' di comprendere e dimostrare, non certo nel sentimento che ci guida. * In Diotima - che e' la comunita' filosofica femminile con la quale lavoro - l'abbiamo chiamata una scommessa simbolica. O anche: un taglio simbolico. Noi infatti mostriamo con le parole il miglior profilo e tagliamo via il resto. Fare in questo modo non ha nulla di astratto, perche' appunto e' il sentimento a guidarci. In altre parole: io posso anche perdere la scommessa che la politica abbia bisogno della bellezza per essere reale, ma la mia scommessa non e' astratta, in quanto l'esperienza che ho fatto della bellezza a Venezia tanti anni fa mi ha indicato questo. Ed e' essa a guidarmi. E' possibile che io sia incapace di dimostrare questo nell'ordine simbolico della lingua. Ma questa resta solo una mia incapacita', in quanto la percezione della bellezza e il suo significato, da dimostrare, rimangono. La prassi risulta dunque un laboratorio, nel quale noi scopriamo una direzione del mondo. Posso portare un ulteriore esempio per spiegarmi. In Europa il patriarcato e' giunto alla sua conclusione. Allora perche' le donne continuano a scegliere per se' la seconda posizione in un contesto? Non ce ne sarebbe piu' la necessita'. Esse non amano la visibilita'. Noi siamo donne e in Diotima la ricerca inizia con l'analisi della nostra esperienza. Noi descriviamo i nostri sentimenti in relazione al fatto in esame. Noi parliamo di questo fatto senza sensi di colpa e senza illusioni. Riflettiamo insieme su questa situazione senza espressioni del tipo "Noi dobbiamo desiderare la prima posizione simbolica" o "Dobbiamo fare un progetto". E' necessario avere fiducia: se noi abbiamo ben capito il fatto in questione, allora le parole che vengono dal prendere consapevolezza di noi e delle altre ci indicano la vera posizione simbolica che abbiamo in rapporto a quel fatto. E le parole trasformano la nostra relazione con la realta'. Se le donne scelgono di frequente la posizione simbolica seconda, la soluzione di cio' non e' il rovesciamento nel contrario, cioe' nell'obbligo a stare nella prima posizione simbolica. Questo sarebbe solo un progetto della volonta'. Noi abbiamo scoperto la soluzione all'interno della nostra prassi. E' questa: io posso facilmente accettare la visibilita' in un determinato contesto, se io sono in relazione con un'altra donna. Allora in tale contesto io non sono ne' visibile ne' invisibile, ne' nella prima posizione ne' nella seconda: io sono semplicemente li' con un'altra donna. Noi vi siamo assieme. * Questa e' una vera e propria scoperta nella prassi. Paradossalmente e' la scoperta di una particolare esperienza, che io avevo gia' vissuto. Quando questo avviene, si ha una coincidenza tra scoperta ed esperienza. Nel momento di questa coincidenza si prova una assoluta felicita' e non c'e' tensione verso qualcosa in questo. Non c'e' volonta'. Perche' la si scopre come qualche cosa di gia' appartenente al mondo. Qualcosa di reale e non di immaginario. Tale scoperta puo' divenire politica, se noi riusciamo a mostrarla come la via giusta per andare oltre la nostra societa' di individui isolati atomisticamente. Allora la direzione della relazione a due e' contrapposta alla direzione di una visibilita' individualistica. Tale prassi non sta in contrapposizione alla teoria. Perche'? Per il fatto che la prassi e' un processo nel quale la teoria e' una scommessa simbolica. In questo modo la teoria e' un momento della prassi. Naturalmente un momento molto importante in quanto la consapevolezza, che noi otteniamo con le parole, trasforma la prassi stessa. E anche: e' impossibile attribuire a tale prassi il nome di etica. Essa infatti non mostra nessun comportamento da seguire secondo regole e con intenzione con altri. Oltre al fatto che e' del tutto estranea al dominio delle virta' e dei valori. L'esperienza dei sentimenti e la capacita' di esprimerli non sono sempre atti piacevoli e armonici. Essi risultano anche duri. L'attenzione alla forza d'attrazione di un fatto piccolo, ma per noi importante, porta con se' come conseguenza che la nostra anima si trova ad accogliere il bene come il male, la gioia come il dolore. La forza d'attrazione di un fatto ha infatti efficacia sulla nostra anima prima che possiamo esprimere un giudizio qualsiasi. * Max Weber differenza il dominio dei valori e delle decisioni politiche dal dominio della conoscenza razionale. Si legga a questo proposito Politik als Beruf, Wissenschaft als Beruf. E' chiaro che per Max Weber i valori e l'essere sono separabili. Inoltre e' evidente che il neokantismo di Max Weber accoglie soltanto la conoscenza fondata sulla razionalita'. Nessuna conoscenza dell'essere e' possibile in tale contesto. La sua posizione e' radicalmente diversa dalla posizione che io sviluppo qui. La nostra esperienza e' guidata dai sentimenti, che gettano un ponte con l'essere. Questo ponte e' posto prima di ogni giudizio fondato sul bene e sul male e sulla razionalita'. Sono dell'idea che nella posizione di Max Weber giochi un ruolo la sua differenza maschile. Il "continuum" con la madre, che le donne vivono, mostra la relazione stretta tra diversi piani che non sono percio' separabili come invece li separa Weber. Anche la filosofia di Heidegger e' diversa, nonostante alcune somiglianze. La vicinanza sta in questo: Heidegger scrive che la contrapposizione tra teoria e prassi e tra ontologia e etica si e' formata tardi. Originariamente esse erano inseparabili e non separate. Questo per quanto riguarda la vicinanza. Ma egli scrive anche che la relazione tra lingua ed essere avviene in un evento. I sentimenti in rapporto all'essere possono venire ad espressione solo nell'unicita' di un evento. * Al contrario noi sappiamo che i sentimenti sempre rappresentano una luce, che ci orienta. Essi giocano sempre il loro gioco e non solo in un evento singolare e isolato. Finora ho descritto la situazione che le donne sperimentano, senza far riferimento ai problemi nei quali si imbattono. Ripeto qui i punti piu' importanti che ho sviluppato. Il primo punto e' questo: i sentimenti ci orientano in rapporto al mondo. Il secondo punto: la relazione necessaria con la lingua opera un taglio nell'esperienza, che in genere viene orientato dal sentimento, ma che e' al medesimo tempo una scommessa simbolica. Cio' significa: noi rischiamo e vinciamo o perdiamo. Detto altrimenti, noi corriamo il pericolo di esprimere opinioni superflue. Di non toccare nessuna verita'. * Dove si collocano allora i problemi per le donne? Essi si collocano proprio nel passaggio alla lingua. Posso spiegarmi con un esempio. Conosco alcune donne, che non amano la scommessa simbolica con il suo rischio. Perche'? Esse sono cosi' fortemente legate ai sentimenti, che avvertono l'agire della lingua come un tradimento nei confronti della loro fedelta' nei confronti dei sentimenti. La lingua taglia via una parte dell'esperienza e esse non lo accettano. Esse fanno propria l'espressione linguistica solo in quei casi nei quali avvertono una perfetta coincidenza tra parole ed essere e se possono sperimentare una immediatezza della lingua. Questa immediatezza della lingua e' pero' un'illusione. La lingua e' in realta' sempre una mediazione e una metamorfosi dell'esperienza. L'illusione della coincidenza tra lingua e mondo risulta palese, nei casi in cui essa vuole ottenere determinati effetti e al contrario ne raggiunge altri. E ne viene molta sofferenza. Io credo che queste donne non accettino la dimensione politica della lingua. Se noi chiamiamo politica una esperienza in cui avvengono alcune cose. Il primo effetto e' questo: prima trattavamo la nostra esperienza soltanto come personale, poi sappiamo che essa ha precise connessioni con gli avvenimenti del mondo. Prima l'esperienza veniva vissuta come interna, poi viene vissuta come appartenente anche al mondo. Queste trasformazioni non sono facili per quelle donne, che amano soprattutto l'intimita'. Il secondo effetto: lo sguardo pubblico e sociale che la lingua ci obbliga a gettare sull'esperienza personale trasforma il sentimento in rapporto alla realta'. Il riconoscimento pubblico, che la lingua produce, ci mostra che c'e' gioco tra noi e la realta'. C'e' gioco tra i fatti personali e impersonali. La lingua adopera la sua infinita risorsa di senso per rendere possibile tale gioco. Alcune donne sperimentano la tensione tra il personale e l'impersonale con leggerezza. Esse ritengono che nella dimensione politica della lingua c'e' gioco tra loro e un altro piano della realta' altrettanto importante. In tale dimensione del gioco esse vivono una via di sperimentazione in rapporto a se stesse e al mondo. Per altre donne la lingua non apre un piano comune tra se' e gli altri. Queste donne si identificano completamente nelle loro emozioni. E si identificano completamente con la lingua, che deve dire completamente in parole le emozioni. Percio', a causa di tali identificazioni, la lingua non ha spazio di gioco. E percio' i sentimenti sono onnicomprensivi, invadenti e troppo forti. Non orientano nessuno. Queste donne vivono una costrizione interiore a riempire lo spazio tra se' e cio' che esse nominano. O la loro sensazione coincide esattamente con una prassi nominata oppure esse si sentono non credibili. Non autentiche. Se esse si sentono non credibili, ritengono allora di adoparare la politica. E la politica e' per loro non uno strumento, bensi' uno scopo. Entrambi i gruppi di donne amano la politica come scopo e non come mezzo, ma la posizione e' diversa. Io comprendo bene entrambe le posizioni in quanto mi identifico a volte con la prima posizione e a volte con la seconda posizione. 5. LIBRI. ROSSANA ROSSANDA PRESENTA "DARE L'ANIMA" DI ADRIANO PROSPERI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 luglio 2005. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste. Adriano Prosperi , nato a Cerretto Guidi (Firenze) il 21 agosto del 1939, docente di storia moderna all'Universita' di Pisa, ha insegnato nelle Universita' di Bologna e della Calabria; collabora a riviste storiche tra le quali "Quaderni storici", "Critica storica", "Annali dell'Istituto italo-germanico in Trento" e "Studi storici"; si e' occupato nei suoi studi di Storia della Chiesa e della vita religiosa nell'eta' della Riforma e della Controriforma; negli ultimi anni ha rivolto un'attenzione particolare alle strategie di disciplinamento delle coscienze e di regolazione dei comportamenti collettivi, messe in atto dalle istituzioni ecclesiastiche nell'Italia post-tridentina. Tra le opere di Adriano Prosperi: Tra evangelismo e Controriforma: Gian Matteo Giberti (1495-1543), Roma 1969; (con Carlo Ginzburg), Giochi di pazienza, Torino 1975; Tribunali della coscienza: inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996; L'eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000; Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent'anni, Torino 2000; Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Torino 2001; L'Inquisizione romana. Letture e ricerche, Roma 2003; Dare l'anima, Torino 2005] Ecco un libro dal quale non si riesce a staccarsi: Dare l'anima. Storia di un infanticidio, di Adriano Prosperi (Einaudi, pp. 373, euro 24). Lo studioso stava lavorando sulle schede delle confraternite che accompagnavano i condannati a morte perche' cristianamente accettassero la morte, ma non era riuscito neppur lui a staccarsi da un processo che gli era venuto fra le mani: nella Bologna papalina del 1709 era stata giustiziata Lucia Cremonini per aver ucciso il figlio appena nato. Dalle carte risulta che Lucia, 25 anni, frequentava la chiesa, era una ragazza onesta, faceva la serva nelle case della citta' come sua madre, con la quale viveva in una stanzetta ad affitto. Una sera di carnevale era stata trascinata in un vicolo da un giovane prete che la svergino', la possedette un paio di volte, la accompagno' a mangiare e poi trovando chiusa la porta di casa la mando' a dormire da una conoscente e usci' di scena. Una squallida stretta tra due indigenti, lei di qualche voce amica e lui di sesso, che neppure si sono detti il nome. Per lui nessuna conseguenza, per lei la rovina. Poverissima Lucia avrebbe potuto godere di una caritatevole dote che la citta' assegnava alle piu' spossessate per maritarsi; per questo le nubili erano tenute a dichiararsi al comune se si scoprivano incinte, nel qual caso perdevano con l'onore anche questi pochi quattrini. Lucia Cremonini nega alle occhiute vicine di essere gravida, partoriri' sola, nel terrore, in piedi, e davanti alla cosa che le e' uscita dal ventre e significa per lei l'infamia, afferra un coltello, glielo ficca in gola, la mette in una sporta e ricade sfinita sul letto. Dove la trova il notaro allertato dalle vicine. Sulle prime Lucia non ammette, la creatura deve avere sbattuto il capo cadendo, ma la ferita e il coltello parlano da se'. La madre viene chiamata, giura di non aver saputo nulla e la maledice. Lucia e' arrestata. Segue il processo e lei ammette tutto, rassegnata, come trasognata. La madre non sara' sentita, il prete neanche cercato. Un anno dopo le viene notificata la condanna: verra' impiccata l'indomani mattina 22 gennaio 1710 in piazza San Petronio. Lucia non getta un grido. Da quel momento e' presa in carico dalla confraternita di Santa Maria della Morte: la conducono in una casa patrizia, la circondano, la fanno scaldare al caminetto, la accudiscono e le parlano con pieta'. A quel tepore Lucia si scioglie, piange, accetta di confessarsi e si avviera' al patibolo in modo esemplare, con coraggio e chiedendo perdono alla folla. Le ore che l'hanno separata dalla forca sono state probabilmente le sole in cui e' stata trattata con gentilezza in vita. Il suo corpo finira' esposto in una pubblica lezione di anatomia, punto alto del carnevale. * Questo e' quanto Prosperi ha trovato nei documenti, Lucia Cremonini non avendo lasciato altre tracce in terra: come egli scrive, un cono crudele di luce per un momento ha illuminato una vita che sarebbe sprofondata nell'oscurita'. Lo storico e' colpito dalla figura di assassina muta e alla fine capace di dignita'; essa non si lascia dimenticare in mezzo ai molti uomini e alle poche donne, spuma della societa' che solo la punizione fa emergere, che erano state assistite dai confortatori. Ma come e' stata vissuta da lei la vicenda? Prosperi collutta con le carte dando loro spessore con quel che conosce dei costumi, delle pratiche, delle culture e delle istituzioni del tempo, ma di Lucia esse non restituiscono che il profilo sociale: per essere donna, serva, senza marito ne' padre e' in assoluto il soggetto piu' debole. Una famiglia, specie se abbiente, l'avrebbe coperta essendo d'uso proteggersi da nascite inopportune. Sola e poverissima non ha scampo: e' una infanticida, corpo femminile colpevole e piu' severamente sorvegliato e punito da quando stato e chiesa sono a Bologna una cosa sola. C'e' il fatto e c'e' il contesto, ma Lucia resta inafferrabile, agita piu' che agente. Gli storici conoscono questo limite delle biografie. Prosperi ne scrive con rara partecipazione e pieta'. * Ma che cosa e' in quel caso il contesto? Non piu' che un frammento limitato nel tempo e nel luogo del tentativo millenario di dare regole al nascere e al morire. Mistero cui culture e istituzioni non hanno cessato di rispondere in modo diverso; quello che e' venuto convergendo nella sorte di Lucia, rimanda indietro nei secoli nella discussione fra chiese e chiese, pensatori e pensatori. La ricerca di Prosperi riflette questa irrequietudine, dilatandosi in cerchi sempre piu' larghi. Che cosa era alle soglie del XVIII secolo un corpo concepito? Chi lo concepisce? Contro le evidenze della gestazione e del parto la primazia del generare e' stata a lungo rivendicata dal maschio che la pone nel suo seme. L'ostinazione, suppone Winnicott, dall'intollerabilita' per il sesso maschile di essere assente o secondario nella generazione che significa non solo riproduzione della specie ma trasmissione del nome, dello statuto, della proprieta', un prolungamento di se' oltre la morte. Protagonista non puo' essere che il seme virile, caldo e travolgente che immette un principio vitale nel corpo della donna, passivo e freddo. Esso lo riceve finche' il frutto non matura e a quel punto se ne separa. La donna e' la terra. Come questa passivita' si coniughi con l'abilita' sessuale nello stesso tempo attribuita al femminile si spiega soltanto per influenza diabolica. * Quando dal `400 in poi alcuni studiosi fra cui Leonardo e poi la medicina attenta a stare sotto le ali della chiesa, riconosceranno indiscutibilmente nel corpo materno la fabbrica del vivente avanzeranno le loro scoperte con prudenza, rischiando l'eresia. E' come la rivoluzione copernicana, annota Prosperi, ma piu' difficile da ammettere della caduta del sistema tolemaico: e' la virilita' che si trova spossessata e con essa la gerarchia sociale. Non ne vediamo le tracce ancora oggi? Barbara Duden insiste sull'occhio medico nel separare dal corpo della donna quello della creatura che essa porta; da quel momento il corpo femminile diventa luogo pubblico da legiferare. Ma viene ancora piu' da lontano il lavorio delle religioni, specie monoteiste, nel ritenerlo secondario, venuto dopo e perfino dotato di anima molti giorni dopo il feto maschile e per 40 giorni impuro dopo il parto. Che la donna non possa amministrare i sacramenti per la chiesa cattolica e' il marchio di questa inferiorita'. Il medioevo e' stato piu' mite, quando alla chiesa si unisce lo stato nascente, il potere pubblico di controllo diventa piu' rigido. Il cesareo nasce per strapparle il feto ancora vivo se lei muore, e se si deve scegliere fra la vita sua e quella della madre e' lei che va sacrificata. * E poi il corpo finisce con la morte? Nella esperienza e' evidente il suo disfarsi. Il dogma cristiano piu' difficile da rappresentarsi e' che esso stesso resuscitera' come l'anima. Ma che cos'e' l'anima? E' quello che vivifica il corpo, e' quello che lo rende unico e individuale, la mente che intende, la persona? Anche su questo si sono scontrati chiese e pensatori, nonche' la medicina che piu' o meno segretamente cercava di localizzarla in qualche parte del corpo. E poi chi immette l'anima nel feto e a quale punto del suo sviluppo? E che ne succede quando il corpo si disfa? Per lungo tempo l'immissione dipendera' dal seme maschile, veicolo del divino, ma su quando si discutera' anche fra papato e papato - assai recente e' la rigidita' del cattolicesimo che afferma l'anima essere presente fin dall'embrione. E' invece di tutto il cristianesimo la certezza che l'anima non muore con il corpo, a parte alcuni eretici: Cristo ci ha salvato dalla morte, del corpo e dell'anima nel segno del battesimo. Ma quanti si salveranno? Non tutti, pensa Agostino nella sua visione pessimista dell'umanita', tanto e' stato terribile il peccato originale che la grazia potra' salvare un numero ristretto di eletti. Soltanto la grazia, dunque per predestinazione. Ma come puo' consentirlo un Dio giusto? La vicenda arrovella per secoli. E non solo i dotti: il rapporto con i morti e' problematico per tutto l'animo popolare, che teme nel morto l'infelicita' e l'invidia e ricorre al rituale della sepoltura religiosa per toglierselo da torno. Ma che succede ai bimbi non nati o nati e non battezzati, moltissimi in quei tempi sotto il profilo sanitario calamitosi? Per Agostino a loro spetta l'inferno, per altri piu' pietosi un limbo dove in eterno saranno privi della visione di Dio. Lucia Cremonini e' colpevole non solo di avere ucciso il figlio ma di non averlo battezzato, impedendogli la seconda nascita. * Non e' tutto. Sulla scena della nascita, tutta fatta di presenze femminili e affidata all'arte della levatrice si annidano i sospetti: la levatrice, la sola che sa tutto della sessualita', della gravidanza e del parto puo' usare questi suoi saperi in accordo con il demonio. Molte levatrici finiranno al rogo come streghe; sono un'immagine stessa della strega: donne vecchie, provate, sole. E' un guaio per la chiesa e per i genitori che il battesimo per chi morira' piccolissimo sia nelle loro mani - ne approfittano alcuni disinvolti conventi che per denaro contante dichiarano di richiamare in vita il morticino il tempo necessario per battezzarlo. Va detto che in questa confusione il Sant'Uffizio sembra, come anche di fronte a papi tremendi come Sisto V, un piu' ragionevole mediatore. Insomma, i lacci che si sono annodati attorno all'infelice Lucia Cremonini sono secolari, intrecciati e per gran parte irrisolti. Lo abbiamo visto nella recente discussione sulla legge 40. E non solo. Se e' vero, conclude Prosperi, che al massimo dell'individualismo si registra quel massimo di omologazione nei costumi e nei consumi di cui e' parte la voglia di clonazione, tentativo di sottrarsi al mistero con la ripetitivita' della tecnica. 6. LIBRI. DANIELA PADOAN PRESENTA "IL BALLO" DI IRENE NEMIROVSKY [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 luglio 2005. Daniela Padoan e' una prestigiosa giornalista e saggista femminista. Dalla bella rivista "Via Dogana" riprendiamo la seguente scheda di presentazione: "Daniela Padoan collabora con la televisione e la stampa, in particolare con "Il manifesto". Nel pensiero della differenza ha trovato un tassello mancante, degli elementi in piu' per la lettura di avvenimenti attuali e storici come la vicenda delle Madres de la Plaza de Mayo ("la lotta politica forse piu' radicale di questi decenni"), o la Shoah, che Daniela ha indagato, nel suo ultimo libro, attraverso tre conversazioni con donne sopravvissute ad Auschwitz (Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004)". Opere di Daniela Padoan: Miti e leggende del mondo antico, Sansoni scuola, Firenze 1996; Miti e leggende dei popoli del mondo, Sansoni scuola, Firenze 1998; (a cura di), Un'eredita' senza testamento, Quaderni di "Via Dogana", Milano 2001; (a cura di), Il cuore nella scrittura. Poesie e racconti delle Madres de Plaza de Mayo, Quaderni di "Via Dogana", Milano 2003; Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004; Le Pazze. Un incontro con le Madri di Plaza de Mayo, Bompiani, Milano 2005. Irene Nemirovsky, nata a Kiev nel 1903, emigrata a Parigi con la famiglia dopo la rivoluzione d'ottobre, scrittrice, nella sua opera narrativa acuta osservatrice della societa', mori' ad Auschwitz nel 1942. Tra le opere di Irene Nemirovsky: Le mosche d'autunno, Feltrinelli, Milano 1989; David Golder, Feltrinelli, Milano 1992; Un bambino prodigio, La Giuntina, Firenze 1995; Il ballo, Adelphi, Milano 2005; e' di prossima pubblicazione in Italia, Suite francaise, il romanzo postumo salvato dalle figlie scampate alla Shoah] Nel decennio che segui' la Rivoluzione d'Ottobre, Parigi ospito' numerosi intellettuali russi in esilio, come Vladimir Nabokov, Nina Berberova e Marina Cvetaeva. Fra questi, Irene Nemirovsky, ebrea di origine ucraina, nata a Kiev nel 1903 e destinata a morire, non ancora quarantenne, ad Auschwitz. Dopo un soggiorno in Finlandia e in Svezia, la famiglia Nemirovsky si trasferi' in Francia, dove il padre, ricco finanziere rovinato dai rovesci della storia, riusci' a ristabilire i propri affari. La giovane Irene, che parlava il russo, il polacco, l'inglese, il finnico e l'yiddish, studio' letteratura alla Sorbona e inizio' a pubblicare novelle sotto pseudonimo. Appena ventiseienne, diede alle stampe il suo primo romanzo David Golden, in cui ritraeva impietosamente il milieu ebraico degli affari. L'anno successivo, andando piu' a fondo sullo stesso tema, scrisse Il ballo (da poco pubblicato per Adelphi, traduzione di Margherita Belardetti, pp. 83, euro 7), un piccolo gioiello di ferocia in cui la rivalita' tra madre e figlia, l'ipocrisia sociale e la ricchezza da parvenu della famiglia danno origine a una folgorante vendetta adolescenziale. Quando i tedeschi, tra il maggio e il giugno del 1940, invasero la Francia, Irene, che nel frattempo si era sposata con un banchiere ebreo e che con lui si era fatta battezzare, venne abbandonata da quasi tutti coloro che prima avevano ricercato la sua compagnia e ammirato il suo lavoro: come molte altre intellettuali assimilate, di fronte al montare del nazismo era tornata ad essere semplicemente un'ebrea. Nell'ottobre di quello stesso anno, con l'introduzione delle leggi razziali, fu costretta a portare la stella gialla e le fu vietato di pubblicare opere con il proprio nome, mentre il marito dovette cessare di esercitare la sua professione. Angustiata dalle difficolta' economiche e dalla preoccupazione per l'incolumita' delle sue due bambine, Irene si trasferi' in un villaggio della Borgogna dove, nel luglio 1942, venne arrestata dalla gendarmeria francese, internata nel campo di Pithiviers e deportata ad Auschwitz. A nulla valsero le suppliche del suo editore, Albin Michel, all'ambasciatore tedesco a Parigi e al maresciallo Petain, capo del regime fantoccio di Vichy, ne' le proteste del marito, che pochi mesi piu' tardi segui' la sua stessa sorte. Le due figlie, Denise ed Elisabeth, riuscirono a salvarsi, nascoste di convento in convento da una donna cattolica; in una valigia gelosamente conservata durante i continui spostamenti, insieme alle foto di famiglia c'era il taccuino che conteneva gli scritti della madre, vergato con una grafia sempre piu' minuta man mano che la carta si faceva introvabile. Si trattava dei primi due libri che avrebbero dovuto comporre l'affresco in cinque parti di un paese invaso e di una societa' disgregata, pubblicati in Francia nel 2004 con il titolo di Suite francaise (la traduzione italiana, sempre per Adelphi, uscira' a settembre) e accolti come un evento letterario, tanto da ottenere, a titolo postumo, il Prix Renaudot. * Alla luce degli eventi che si sarebbero rapidamente succeduti, "Il ballo" assume toni profetici. Scritto l'anno prima del grande crollo in Borsa e quattro anni prima dell'avvento del nazismo, e' il romanzo di un massacro, in cui, anche se non accade quasi nulla, niente si salva. Resta un vuoto assordante: quello degli invitati che non arrivano, devastando ogni sogno di ascesa mondana, e quello di un'insanabile frattura familiare, tanto piu' tragica nel suo essere ammantata di vacuita'. La protagonista, Antoinette, e' una ragazzina di quattordici anni, lunga e magra, il volto smunto, apparentemente sottomessa al dispotismo capriccioso di una madre che non vuole essere spodestata dal territorio della giovinezza. Il padre, Alfred Kampf, si e' sollevato da un'esistenza di stenti, dopo aver lavorato come impiegato e prima ancora come usciere in livrea blu alla Banca di Parigi, grazie a un geniale colpo in Borsa. La madre, Rosine, esacerbata da anni di vita matrimoniale "passata a rammendare i calzini" in un appartamentino buio dietro all'Opera-Comique vede finalmente possibile la sua rivincita e, dopo aver spinto il marito a trasferirsi in un grande appartamento bianco dai mobili dorati, si fa tingere i capelli di un bell'oro splendente. D'improvviso tornano i desideri soffocati in una non voluta maturita', e la donna, che vede la propria bellezza sparire, specularmente alla figlia si strugge nell'attesa di un amante giovane e focoso, e di tutti quei lussi che la poverta' le ha negato. L'occasione, quasi il timbro apposto a suggellare il raggiunto successo, viatico ai sogni romantici e mondani, e' una sontuosa festa da ballo. Duecento inviti da spedire. La madre, il padre e la figlia seduti al tavolo del salone a scrivere gli indirizzi sui cartoncini, sentendosi spiati dai domestici, davanti ai quali il padre si sforza di non togliersi la giacca, la madre di non alzare la voce, la figlia di non piangere: per il decoro, di cui proprio i camerieri - piu' che i signori Kampf, che ora, davanti alla servitu', si danno del voi - sono i cerimonieri. La lista degli invitati, piena di cancellature e che, per errore, contiene anche l'indirizzo del tappezziere, sembra presa dalla cerchia in cui e' cresciuto il singolare imbroglione immortalato da Thomas Mann nelle Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull: una signora non piu' invitata in societa' da quando e' stata coinvolta "in quella faccenda... sai, le famose partouze del Bois de Boulogne, due anni fa"; la signora d'Arrachon, vista da qualcuno, anni prima, in una casa chiusa di Marsiglia, "ma il matrimonio l'ha ripulita, riceve gente assai distinta"; Abraham e Rebecca Birnbaum, che dopo aver comprato il titolo sono diventati il conte e la contessa du Poirier; e, infine, la signorina Isabelle, una vecchia e malevola zitella cugina dei Kampf, invitata solo perche' il resto della famiglia possa rodersi venendo a sapere del successo avuto da Rosine in societa'. Che i piu' presentabili tra gli invitati diano forfait e' gia' messo nel conto: "Ci vuole metodo, mia cara: per il primo ricevimento gente a non finire, soltanto al secondo o al terzo si fa una cernita" assicura Kampf, che ha dovuto imparare dai suoi trascorsi. "Se qualcuno non viene, lo inviterai di nuovo la prossima volta, e poi ancora la volta dopo... Per farsi strada bisogna seguire i precetti del Vangelo: se ti danno uno schiaffo, tu porgi l'altra guancia. Il bel mondo e' la migliore scuola di umilta' cristiana". Antoinette non ha mai partecipato a un ballo, ma le immagini dei corpi allacciati nelle danze, della musica sfrenata, del fruscio degli abiti, delle parole d'amore bisbigliate nei salottini appartati eccitano la sua immaginazione adolescenziale. Quando scopre che la madre ha previsto di mandarla a letto, come sempre, alle nove, la implora di lasciarla prender parte alla festa, almeno per un'ora, ma il rifiuto di Rosine e' irrevocabile: "Sappi, mia cara, che io comincio soltanto adesso a vivere, capisci, io, e che non ho intenzione di avere tra i piedi una figlia da marito". Mai Antoinette aveva visto negli occhi della madre quello sguardo freddo di donna, di nemica. E dentro di se' sente crescere un odio disperato, rivolto contro la madre, contro tutti gli innamorati che passeggiano abbracciati al crepuscolo, contro quelle gioie sensuali che non conosce ma di cui le sue membra impuberi chiedono dolorosamente soddisfazione: "Un odio da zitella a quattordici anni?". Proprio mentre la sua istitutrice amoreggia sul ponte Alexandre III, Antoinette, non vista, anziche' spedire gli inviti li getta nella Senna. Il giorno della festa, la madre, "rutilante, scintillante come un reliquiario", attendera' inutilmente gli ospiti. Un'attesa terribile, come di un vetro in cui si propaghi lentamente un'incrinatura, fino a crollare in un fragore di schegge; e la figlia ad assistere, muta, non vista, al via vai imbarazzato dei camerieri, allo sciogliersi del ghiaccio nei secchielli da champagne, al continuo attaccare le danze dei musicisti per ogni squillo dei fornitori alla porta di servizio, al disfarsi dell'acconciatura materna, fino al prorompere del reciproco risentimento dei coniugi Kampf, in un fiotto di insulti rabbiosi. Solo allora Antoinette uscira' dal suo nascondiglio, per andare, silenziosa, ad abbracciare la madre. "Povera mamma...". &Ah, mi resti solo tu, bambina mia...". * Un finale che ricorda un altro crudele rituale mancato di accettazione e di ascesa sociale, in una disperata ricerca dello stigma dell'aristocrazia, quando la vecchia maitresse di Le confessioni di Max Tivoli di Andrew Sean Greer, nel 1914, invita a un ballo i suoi antichi clienti, tutti arricchiti in Borsa grazie alla frequentazione del suo salotto, dove era facile captare informazioni riservate sui titoli. Aveva comprato una elegante dimora bianca per la quale aveva speso fino all'ultimo soldo, e non per la pace dei suoi ultimi anni, ma proprio al solo scopo di dare "un ricevimento con un Vanderbilt, e vederlo voltarsi verso di me e dirmi: 'Signora, e' stato un piacere'". Ma al ricevimento arrivano gli uomini, senza le mogli, mentre inutilmente l'orchestra attacca il Danubio blu perche' le coppie si lancino nelle danze. Balli, entrambi, falliti, sul baratro delle due guerre; a fare da specchio ai balli riusciti, resi sabba del grottesco da un vorticare di abiti rossi, perle, cappelli a cilindro, denti d'oro occhieggianti da ghigni rapaci di industriali e militari immortalati nei quadri del dadaista Georg Grosz, costretto a lasciare l'Austria all'ascesa del nazismo. Balli che mettono in scena quello "spirito piccolo borghese di cui Hitler e' stato la piu' pura incarnazione", come dira' Hermann Broch (viennese di origine ebraica, anch'egli costretto all'esilio dall'avvento del nazismo) parlando della dissoluzione di una borghesia che, affondando profondamente nella colpa etica, rese possibile la catastrofe. Apolitici, indifferenti, incolpevoli. Persino chi, di li' a poco, sarebbe finito tra le vittime. In questo e' lo splendore lucido della Nemirovsky, e il suo lascito. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1015 del 7 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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