La nonviolenza e' in cammino. 1013



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1013 del 5 agosto 2005

Sommario di questo numero:
1. Guenther Anders: Tesi sull'eta' atomica
2. Mao Valpiana: Introduzione a "Fare la pace" di Alexander Langer
3. La "Carta" del Movimento Nonviolento
4. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. GUENTHER ANDERS: TESI SULL'ETA' ATOMICA
[Ancora una volta ripubblichiamo questo breve ma capitale testo di Guenther
Anders. Guenther Anders e' stato forse il pensatore che con piu' rigore e
concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca
delle armi che mettono in pericolo la sopravivvenza stessa della civilta'
umana. Insieme a Hannah Arendt, ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e'
tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro
agire. Riprendiamo il testo dall'appendice all'edizione italiana del libro
di Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und
Nagasaki, apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino
1961, nella traduzione di Renato Solmi (questo maestro grande e generoso che
cogliamo l'occasione per salutare e ringraziare ancora una volta). Come li'
si specifica, queste Tesi sull'eta' atomica sono "un testo improvvisato
dall'autore dopo un dibattito sui problemi morali dell'eta' atomica
organizzato da un gruppo di studenti dell'Universita' di Berlino-Ovest, e
uscito nell'ottobre 1960 nella rivista "Das Argument - Berliner Hefte fuer
Politik und Kultur" [nota del traduttore]". Guenther Anders (pseudonimo di
Guenther Stern, "anders" significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando
le riviste su cui scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero
cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio dell'illustre psicologo
Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel 1925.
Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli Stati
Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel 1950, si
stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro la
violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei
maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e
concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca
delle armi che mettono in pericolo la sopravivvenza stessa della civilta'
umana; insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad
altre e altri, certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro
riflettere e del nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non
essere, Einaudi, Torino 1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota
di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi
Linea d'ombra, Milano 1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la
coscienza al bando); L'uomo e' antiquato, vol. I (sottotitolo:
Considerazioni sull'anima nell'era della seconda rivoluzione industriale),
Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e'
antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla distruzione della vita nell'epoca
della terza rivoluzione industriale), Bollati Boringhieri, Torino 1992,
2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea d'ombra, Milano 1990;
Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi figli di Eichmann,
Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni
Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si vedano inoltre:
Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo, Spazio Libri,
Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare, ieri,
Bollati Boringhieri, Torino 2004. In rivista testi di Anders sono stati
pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega".
Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo
Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri,
Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali
italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e
Renato Solmi]

Tesi sull'eta' atomica
*
Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e'
cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque
momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel
giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni
momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti.
Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e'
l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita'
dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine
stessa.
 *
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
"dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato
il problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e'
sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi
che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo
che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei
tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo".
Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci
apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata,
siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
*
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un
inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente
dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
*
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o
quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi
atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di
tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici
dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e
manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si
tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta
e spreco di tempo.
*
Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers
fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata
solo con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non
regge. 1) La bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui
non c'era affatto il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un
potere totalitario. 2) L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio
atomico; oggi e' un argomento suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto
da una situazione politica, che non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma
continuera' a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita'
di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione
totale, e' totalitaria per sua natura: poiche' vive del ricatto e trasforma
la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse
della liberta', l'assoluta privazione della stessa, e' il non plus ultra
dell'ipocrisia.
*
Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non
badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi',
nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed
essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli
effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale,
ma morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci
riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con
l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che
diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini".
*
Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e'
solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma
anche quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le
esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano
nell'ambito del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui,
presso di noi, poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle
generazioni", a cui appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri
vicini nel tempo. Se diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si
appicca anche al futuro, e con la nostra cadono anche le case non ancora
costruite di quelli che non sono ancora nati. E anche i nostri antenati
appartengono a questa "internazionale": poiche' con la nostra fine
perirebbero anch'essi,  per la seconda volta (se cosi' si puo' dire) e
definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa seconda morte
sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
*
Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al
pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati
alla sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe.
Raffigurarci il non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e'
gia' di per se' abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al
compito che dobbiamo assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo
nostro compito non consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di
qualcosa di particolare, in un contesto universale supposto stabile e
permanente, ma nel supporre inesistente questo contesto, e cioe' il mondo
stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa "astrazione totale" (che
corrisponderebbe, sul piano del pensiero e dell'immaginazione, alla nostra
capacita' di distruzione totale) trascende le forze della nostra
immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma poiche', come
homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre il nulla
totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra
"ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di
rappresentarci anche il nulla.
*
Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca:
"Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine di
cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a
rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi
non sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto.
*
Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso
definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che
divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra
il dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la
nostra capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico".
*
Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e
produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione.
Si puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita',
dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto
piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile
concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto",
tanto piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone
premendo un tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola
persona. Al "subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo
per provocare gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che
e' troppo grande per provocare ancora una reazione (per esempio un
meccanismo inibitorio).
 *
La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro
orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti)
e l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se
 questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra
immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua
naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo
della verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa
testimone": molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la
filosofia greca. Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e
limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto. La terra promessa degli
"escapisti" di oggi non e' la fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri
normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici
in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in
contrasto con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente
dilatati.
*
Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si
identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma
si realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non
corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado
della nostra angoscia. - Nulla di piu' falso  della frase cara alle persone
di mezza cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa
tesi ci e' inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che
noi si possa realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi
viviamo piuttosto nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine
all'angoscia. L'imperativo di allargare la nostra immaginazione significa
quindi in concreto che dobbiamo estendere e allargare la nostra paura.
Postulato: "Non aver paura della paura, abbi coraggio di aver paura. E anche
quello di far paura. Fa' paura al tuo vicino come a te stesso". Va da se'
che questa nostra angoscia deve essere di un tipo affatto speciale: 1)
Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di quelli che potrebbero
schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante, poiche' invece di
rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3) Un'angoscia
amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe
capitarci.
*
Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra
immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio'
che possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente
irrealizzabile. Non e' nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di
fare qualche passo in avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci
spaventare; il fallimento ripetuto non depone contro la ripetizione del
tentativo. Anzi, ogni nuovo insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in
guardia contro il pericolo di continuare a produrre cio' che non possiamo
immaginare.
*
Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine
delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si
puo' fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze
spaziali e temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione
e' stata pagata a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella,
che diventa ogni giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di
immaginare cio' che si produce.
*
Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo
diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui
possiamo assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che
possiamo utilizzare sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la
nostra offerta superano spesso la nostra domanda (e ci costringono a
produrre appositamente nuovi bisogni e richieste); ma la nostra offerta
trascende addirittura il nostro bisogno, consiste di cose di cui non
possiamo avere bisogno: cose troppo grandi in senso assoluto. Cosi' ci siamo
messi nella situazione paradossale di dover addomesticare i nostri stessi
prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo addomesticato finora le
forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi cosiddette "pulite",
sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi cerchiamo di
migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro effetti.
L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti
delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della
distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione,
che continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e
dimostrano che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa
hanno prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della
concorrenza - ha perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile
diventare. Distruggere meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile
neppure in seguito.
*
Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una
leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori
dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a
posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di
noi all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare
l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano
consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne
siano affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo
incompetenti nel "campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a
non "immischiarci". L'uso di questi termini e' addirittura la prova della
loro incompetenza morale: poiche' in tal modo essi mostrano di credere che
la loro posizione dia loro il monopolio e la competenza per decidere del "to
be or not to be" dell'umanita'; e di considerare l'apocalissi come un "ramo
specifico". E' vero che molti di loro si appellano alla "competenza" solo
per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola
"democrazia" ha un senso, e' proprio quello che abbiamo il diritto e il
dovere di partecipare alle decisioni che concernono la "res publica", che
vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale e non ci
riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non si
puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come
cittadini e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi
siamo la "res publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione
sulla nostra sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai.
Rinunciando a "immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere
democratico.
*
Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare
come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E'
giusto? Si' e no. Perche' no?
Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E
cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come
tale dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal
lavorare; 2) dall'azionare.
1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli
impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di
non aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo
"lavorare" intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella
fase attuale della rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane
invisibile per chi lo esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne'
deve piu' riguardarlo. Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta
moralmente neutrale: "non olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo
lavoro puo' macchiare chi lo esegue. A questo tipo dominante di prestazione
sono oggi assimilate quasi tutte le azioni affidate agli uomini. Lavoro come
mimetizzamento. Questo mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di
sentirsi colpevole, poiche' non solo non occorre rispondere del lavoro che
si fa, ma esso - in teoria - non puo' rendere colpevoli. Stando cosi' le
cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale ("ogni agire e' lavorare")
nell'altra: "ogni lavorare e' un agire".
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a
maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e'
abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello
sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal
modo pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi
schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In
questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e'
piu' un lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si
fa nulla (anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e
l'annientamento). L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora
necessario) non si accorge piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo
dell'azione e quello che la subisce non coincidono piu', poiche' la causa e
l'effetto sono dissociati, non puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in
analogia a "schizofrenia". E' chiaro che solo chi arriva a immaginare
l'effetto ha la possibilita' della verita'; la percezione non serve a nulla.
Questo genere di mimetizzamento e' senza precedenti: mentre prima i
mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima designata dell'azione, e
cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a proteggere gli
autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire all'autore
di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una vittima; in
questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione.
*
Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci
istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne
non hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie").
La loro astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento
davanti a cui non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di
menzogne; e cio' perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni.
Mentre le menzogne, finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora
si camuffano in altre guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno
l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno
gia' in se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l'espressione
"armi atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende,
poiche' da' per scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo  al punto
che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni,
presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose'
irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure
all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche'
lavori "coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza
del mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si traveste
ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se non sa
che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo
trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia'
accaduto. Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito
all'agire degli uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella
dei prodotti. Essi sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba
atomica (per il semplice fatto di esistere) e' un ricatto costante: e
nessuno potra' negare che il ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha
trovato la sua forma piu' menzognera: non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani
pulite, non c'entriamo. Assurdita' della situazione: nell'atto stesso in cui
siamo capaci dell'azione piu' enorme - la distruzione del mondo - l'"agire",
in apparenza, e' completamente scomparso. Poiche' la semplice esistenza dei
nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda consueta: che cosa dobbiamo
"fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo usarli solo come
"deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in quanto omette
che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre agito.
*
Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione
"reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire,
"agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e'
ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato
(trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del
fatto che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai
prodotti: i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere,
diventano pseudopersone.
*
Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi
principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto
nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha
toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale.
Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un esame
di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel
nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri
lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel
trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti
potremmo rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e
nell'avere solo quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che
potremmo assumerci come agire personale.
*
Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che la
subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo
dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire
subire senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita',
peraltro affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai vista.
Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la vittima
non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla di
piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore
positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima,
e' quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del
colpo.
Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara'
quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al
caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei"
di ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare
veramente occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non
potra' entrare minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e
proprie: e la schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che
odiare e colpire saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
*
Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna
aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse
potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta
probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver
ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della
catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore
degli uomini, la massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa?
Continuiamo come se non lo fossimo!".

2. MEMORIA. MAO VALPIANA: INTRODUZIONE A "FARE LA PACE" DI ALEXANDER LANGER
[Da Alexander Langer, Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta"
1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona 2005, riprendiamo
l'introduzione di Mao Valpiana (curatore del libro) dal titolo "Laboratorio
di nonviolenza", alle pp. 7-17. Per richiedere il libro (pp. 198, euro
11,50) agli editori: Cierre Edizioni, e-mail: edizioni at cierrenet.it, sito:
www.cierrenet.it; Movimento Nonviolento, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org
Mao (Massimo) Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la
redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax  0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nello scorso mese di giugno ha
promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria
italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo
autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra
richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bz) nel 1946, e si e' tolto
la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative
per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria
descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer
rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata
col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa
in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace.
Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono
state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della
convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti
1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta,
Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu'
lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The
Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier
Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli'
2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre -
Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario,
Milano 2005. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite.
La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000; AA. VV., Una
vita piu' semplice. Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo -
Altreconomia, Milano 2005. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti
gli scritti e gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma
generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi
interventi e' assai variamente dispersa). Si vedano comunque almeno i
fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di
giugno 2005; l'opuscolo di presentazione de La Fondazione Alexander Langer -
Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax
054330421, e-mail: unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it), ed il nuovo
fascicolo edito dalla Fondazione nel maggio 2000; una nuova edizione ancora
e' del 2004 (per richieste: tel. e fax 00390471977691, e-mail:
info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org); la Casa per la
nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per
informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). Indirizzi utili:
Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100
Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org,
sito: www.alexanderlanger.org]

Alex e' stato un caro amico del Movimento Nonviolento. Gli siamo
riconoscenti per i tanti stimoli che ci ha dato, per la disponibilita'
generosa, per il contributo di analisi, proposte e iniziative.
Abbiamo pensato di rendergli omaggio predisponendo l'edizione di questo
libro che contiene alcuni dei suoi molti articoli pubblicati in "Azione
nonviolenta" dal 1984 al 1995, raccolti in quattro filoni: dal pacifismo
alla nonviolenza, nonviolenza e riconciliazione, nonviolenza per la
decrescita, nonviolenza e' politica. Alcuni articoli sono nati espressamente
per "Azione nonviolenta"; altri li scriveva e poi li diffondeva in copia a
riviste amiche; qualche volta sono stati ripresi da altre pubblicazioni, ci
sono anche trascrizioni da interventi registrati, ma sempre Alex ci ha fatto
pervenire la sua gratitudine per l'ospitalita' trovata nella rivista, di cui
era un attento lettore. Ogni volta che veniva a trovarci alla Casa per la
Nonviolenza di Verona, non se ne andava senza aver acquistato un testo di
Capitini, di Gandhi o l'ultima novita' di letteratura o saggistica
nonviolenta.
Vorace lettore e prolifico scrittore. Anche questo era Alex.
Nessuno e' legittimato a servirsi dei suoi scritti di anni fa per
utilizzarli politicamente nella realta' di oggi. Alex ha deciso di non dire
piu' nulla dal 3 luglio del 1995, e va rispettato anche in questa scelta.
Non ci interessa sostenere, sarebbe arbitrario, che tutte le sue scelte
pubbliche furono improntate alla nonviolenza, ne' vogliamo iscriverlo
d'ufficio postumo al Movimento Nonviolento (anche se per alcuni anni scelse
di esserlo). Vogliamo semplicemente mettere in luce che dietro le sue prese
di posizione, anche le piu' difficili e discutibili, c'era una conoscenza e
un'adesione profonda ed esplicita alla nonviolenza specifica, incarnata
nella sua particolare ed originale esperienza personale.
C'erano in lui una vocazione innata e una naturale dimestichezza con i
principi base di una personalita' nonviolenta (istinto di giustizia,
capacita' di indignarsi, ricerca della verita', volonta' di dialogo) e non a
caso nel 1961 (a soli 15 anni) scelse come nome per il suo primo giornalino
scolastico "Parola aperta", un titolo che oggi ci richiama con forza
quell'idea religiosa di "apertura" che e' alla base del pensiero nonviolento
di Capitini, il quale in quello stesso anno dava vita alla prima Marcia
Perugia-Assisi. Anche il secondo periodico fondato da Langer nel 1967, "Il
Ponte", portava un nome che si rifa' alla cultura nonviolenta dell'incontro
e del dialogo.
La scelta nonviolenta (laica e religiosa insieme) e' decisiva nella
biografia di Alex, non ideologica, ma sempre messa alla prova del confronto
con la realta' piu' complessa e contraddittoria. In un suo scritto Alex ha
auspicato lo sviluppo del settore "ricerca e sviluppo" della nonviolenza: i
laboratori nei quali ha lavorato sono stati molti, dal Sudtirolo, nel 1968,
fino alla Bosnia, nel 1995.
Lui si e' descritto come un "portatore di speranza". Per noi e' sempre stato
semplicemente un amico della nonviolenza. Anzi, si puo' dire che Alexander
Langer abbia dato corpo all'idea capitiniana del "potere di tutti",
riuscendo ad applicare la nonviolenza, forse piu' di ogni altro, in alcuni
degli ambiti piu' difficili per farlo: la politica e le istituzioni. E'
stato detto, giustamente, che Alex era il piu' impolitico dei politici,
eppure e' stato il rappresentante istituzionale di un vasto movimento
ecologista e pacifista, che insieme a tante sconfitte ha raggiunto anche
straordinari risultati concreti. Ha saputo attraversare cariche prestigiose
senza rimanere invischiato nelle sabbie mobili del potere; ha trattato alla
pari con capi di stato senza mai tradire la sua vocazione francescana.
"Posso dire che rifuggendo drasticamente dai salotti e dalle persone che mi
cercano in funzione di qualche mio ruolo, vivo come una delle mie maggiori
ricchezze gli incontri, gia' familiari o nuovi che siano, che la vita mi
dona. Vorrei continuare ad apprezzare gli altri ed esserne apprezzato senza
secondi fini. Forse anche per questo converra' tenersi lontani da ogni
esercizio di potere" (1).
*
Non e' ancora ventenne quando con un gruppo di amici - i piu' di provenienza
cristiana, qualche non credente, ragazze e ragazzi, di madrelingua tedesca,
italiana, ladina - vuole farsi un'idea di come potrebbero andare le cose in
Sudtirolo per un futuro di convivenza e rispetto, nella conoscenza reciproca
di lingue e culture. E' nel corso di questa ricerca che Alexander Langer
(1946-1995), con una solida formazione cristiana alle spalle ("leggo,
rifletto, prego, mi impegno") inizia ad entrare in contatto con le realta'
organizzate della nonviolenza italiana.
Nella sua autobiografia, raccontando degli anni giovanili (1967), scrive:
"Comincia a far riferimento al nostro gruppo - tuttora piuttosto impolitico,
e senza legami con alcun partito - anche Lidia Menapace (2), allora
assessore provinciale (Dc) alla sanita', una delle poche persone di
madrelingua italiana pienamente convinte della necessita' di una riforma
coraggiosamente autonomistica dello statuto sudtirolese. Insieme a Lidia in
autunno faccio una tournee di buona volonta' a Roma, a Innsbruck, a Vienna.
Aiutati dal Mir (Movimento internazionale della riconciliazione) teniamo
conferenze sull'Alto Adige, ed abbiamo qualche incontro con personalita' di
rilievo, tra cui il card. Koenig di Vienna (3).
Sia al Liceo che all'Universita' sente la necessita' di fondare due
giornalini (prima "Offenes Wort", parola aperta, 1961-1963, e poi "Die
Bruecke", il ponte, 1967-1969) in cui comincia ad elaborare la sua visione
di "nuova sinistra" (1967) per arrivare all'organizzazione plurietnica nella
politica sudtirolese (1968). Tra gli interlocutori piu' solidali e
disponibili di questa esperienza, dice Alex, "troviamo l'avv. Sandro
Canestrini (4), uomo di sinistra che ha saputo capire e distinguere tra i
'dinamitardi' tirolesi e il bacillo neonazista" (5).
Si trasferisce a Firenze per gli studi universitari dal 1964 al 1967, ed e'
un momento formativo di grande rinnovamento ed apertura:
"Incontro Giorgio La Pira, mio professore; Ernesto Balducci, che ogni
settimana tiene una lezione sul Concilio, al cenacolo. Entro in contatto con
'Il Ponte' di Enriques Agnoletti (pubblichera' nel 1967 un mio lungo
articolo sul Sudtirolo), con 'Testimonianze' (che anche mi invita a
scrivere).
L'incontro piu' profondo e' con don Milani e la sua scuola di Barbiana, per
la quale insieme ad una vecchia ebrea austro-boema, Marianne Andre,
tradurro' in tedesco Lettera ad una professoressa (pubblicata nel 1970)"
(6).
E' in quel periodo che, pur essendo in Germania per un dottorato, prende
contatto diretto con il Movimento Nonviolento "per poter avere maggiori
indicazioni sulla esatta situazione degli obiettori di coscienza in Italia,
sia qui per gli amici che se ne interessano, sia per me personalmente, in
quanto il problema di anno in anno diventa piu' scottante ed a un certo
punto non sara' piu' rinviabile" (7). Riceve materiale di documentazione e
copie di "Azione nonviolenta" da distribuire; ricambia con un primo
contributo in denaro.
Gli effetti di questo contatto non si fanno attendere e nello stesso anno
Alex organizza a Bolzano, contro le celebrazioni del 4 novembre 1968 che
ricordano il cinquantesimo anniversario della "vittoria" della prima guerra
mondiale, una dimostrazione pacifista (per la quale verra' fermato e
identificato in questura) e il periodico "Die Bruecke" pubblica un articolo
per il quale Langer verra' denunciato dai Carabinieri per vilipendio alle
Forze armate, alle istituzioni costituzionali e istigazione a disobbedire
alla legge (8). Nel testo, in tedesco, intitolato "Fuenzing Jahre Sieg
1918-1968" (a cinquant'anni dalla guerra) si legge: "E' necessario che
l'opinione pubblica dell'Alto Adige sia educata fin da ora... a ripudiare
ogni celebrazione di vittoria poiche' questi tipi di vittorie sono state
ottenute attraverso la brutale forza delle armi, e non hanno nessun
significato morale. Il fatto della 'vittoria' o della 'sconfitta' che la
guerra comporta, non ci dice nulla, poiche' e' provocata da motivi privi di
un senso morale o addirittura da motivi che bisogna ripudiare. Le
celebrazioni della 'vittoria' e gli atteggiamenti contrari da parte del
gruppo sudtirolese, hanno ben precisi significati: si vuole esaltare il
potere e l'apparato del potere... Un importante passo da intraprendere
sarebbe quindi la diffusione della verita' per giungere all'opposizione del
militarismo che regna ancora nell'apparato democratico dello Stato. Il fine
ultimo resta l'eliminazione dell'esercito..." (9).
Alex non tralascia di inviare alla sede del Movimento Nonviolento a Perugia
copia degli articoli di stampa che riportano la notizia della manifestazione
e della denuncia (10).
Il suo percorso politico lo porta, nel 1970, ad aderire a Lotta Continua ed
e' probabilmente per questa scelta che alla fine non si dichiara obiettore
ma parte per il servizio militare:
"Svolgo il servizio militare tardi (a oltre 27 anni), dopo aver sperato
tanto di evitarlo (grazie ai due fratelli chiamati prima di me) ed aver
studiato tutte le possibilita' alternative (obiezione e carcere; servizio
all'estero con la legge Pedini). Quando ci vado, penso alla caserma come ad
un luogo di lotta di classe e di ricomposizione del proletariato, ed in quel
senso mi propongo di agire, tra i 'proletari in divisa'. Parto con alle
spalle una recentissima assoluzione per insufficienza di prove per
vilipendio alle forze armate, e finisco cosi' in una caserma punitiva
dell'artiglieria di montagna, a Saluzzo, con i muli, una disciplina rigida e
una speciale e dichiarata sorveglianza a mio carico.
E' il periodo della mia vita in cui sopporto la maggiore fatica fisica e mi
trovo tra contadini ed operai non per aver scelto di 'andare tra il popolo',
ma per esserci stato mandato, mio malgrado, su un piede di perfetta parita'.
Mi da' una grande soddisfazione che pochi giorni dopo il congedo (settembre
1973, dopo il golpe di Pinochet) un buon nucleo del nostro contingente si
ritrovi davanti alla caserma per una manifestazione. Saluzzo ci guarda con
stupore" (11).
L'esperienza nazionale con Lotta Continua sfocia in un rapporto ravvicinato
con il Partito Radicale (campagna referendaria del 1977) e si conclude
nell'estate del 1978; da li' riprendera' il suo lavoro politico principale
"in provincia" con due impegni elettorali con "Neue Linke - Nuova sinistra"
(1978) e poi con una piu' ampia "Lista alternativa per l'altro Sudtirolo"
(1983).
*
Incuriosito ed ammirato da quanto sentivo stesse accadendo in Alto Adige,
proprio grazie al laboratorio politico della lista interetnica alternativa,
ho frequentato alcuni incontri e convegni a Trento e Bolzano, e li', dopo
averne tanto sentito parlare anche come primo obiettore al censimento
etnico, ho conosciuto personalmente Alexander Langer e mi e' venuta la
voglia di intervistarlo per la prima volta. Il tema era il movimento
pacifista tedesco, all'epoca il piu' forte in un'Europa ancora divisa.
Durante quel colloquio Alex ha voluto essere informato con precisione sulle
persone e le iniziative del Movimento Nonviolento, ed era felice di aver
"ritrovato" "Azione nonviolenta". Proprio in quei mesi anche in Italia
iniziava il percorso verso la nascita del movimento verde e Alex insisteva e
parteggiava per un coinvolgimento diretto degli amici della nonviolenza nel
progetto che gli piaceva chiamare "ecopax", che doveva camminare sulle gambe
dell'ambientalismo e del pacifismo.
"Nel 1984 vengo invitato a tenere la relazione introduttiva alla prima
assemblea italiana di comitati e gruppi promotori di liste verdi, che si
svolge a Firenze: mi trovo cosi' investito di una funzione di battistrada e
di punto d'equilibrio che svolgo volentieri, nella prospettiva di passare
velocemente il testimone ad altri, ma che mi preoccuperebbe, se si
perpetuasse nel tempo e se prolungasse ed accentuasse troppo la mia
condizione di ostaggio.
E' la primavera del 1985, le elezioni amministrative sono imminenti, in
molte citta' e regioni ci saranno 'liste verdi'. Sulla terza pagina di un
quotidiano romano mi trovo apostrofato come 'profeta verde'. Io mi trovo a
girare l'Italia per contribuire a questa semina verde. Cerco di farlo con
argomenti ed intenti poco elettorali e molto riflessivi. Anche in questo
caso non sono stato io a 'candidarmi'. Anzi, piu' che mai mi sono sentito
ostaggio di un'accelerazione nata dalla combinazione di molte circostanze.
E' difficile far credere che Bolzano non e' la locomotiva verde d'Italia. Si
vede che la realta' inventata dai mass-media e' piu' convincente di quella
vera. Non resta che darsi da fare per non deludere troppo" (12).
Alex si da' davvero da fare, piu' e meglio di ogni altro. In questa sua arte
di creare reti e rapporti, immette sempre anche gli amici e le amiche della
nonviolenza. Ed e' cosi' che con lui abbiamo fatto una lungo cammino
insieme, durato gli ultimi dieci anni della sua vita.
Molte tappe di questo cammino sono descritte negli articoli raccolti in
questo volume, dalla campagna Nord/Sud del 1988, al convegno "Sviluppo?
Basta! A tutto c'e' un limite" del 1990, dalla Carovana Trieste-Sarajevo del
1991, al VeronaForum del 1993, e in mezzo la lunga avventura verde, dalle
speranze della nascita di un grande movimento trasversale (1985), fino alle
delusioni della trasformazione in piccolo partito schierato (1995).
Alex e' stato anche, dal 1982, un attivo compagno di strada nella campagna
di obiezione fiscale alle spese militari, solidale con gli imputati ai
processi per istigazione ("sono molto contento del nostro grande successo
sulla obiezione di coscienza alle spese militari") (13), e ha partecipato
personalmente all'acquisto dei terreni della Verde Vigna a Comiso per
impedire l'espansione della base militare che doveva ospitare i missili
nucleari Cruise. Per un'Europa libera dal nucleare, nel 1984 abbiamo
organizzato insieme una manifestazione sul Ponte Europa/Europabruecke: un
treno speciale partito da Verona raccoglieva manifestanti a Rovereto,
Trento, Bolzano, fino a Innsbruck, per chiedere la smilitarizzazione e la
denuclearizzazione. Riprendera' gli stessi temi qualche anno dopo per
proporre un manifesto comune di verdi europei "Per la costruzione di
un'Europa ecologica, pacifica, democratica, nonviolenta, solidale,
libertaria, giusta e fraterna..." (bozza purtroppo mai approvata per
divergenti valutazioni in seno al gruppo parlamentare riunito a Berlino)
(14).
Nel 1988 abbiamo partecipato insieme a un convegno in Brasile, a Manaus, sui
temi della missione, dell'ambiente, degli indios. Ci interessava capire
quella realta' per riportare in Italia elementi utili alla Campagna Nord-Sud
che voleva far conoscere all'opinione pubblica il dramma ambientale e
sociale che stava vivendo l'Amazzonia: "L'ecologia non e' un lusso dei
ricchi, ma una necessita' dei poveri" fu il messaggio centrale del suo
intervento. Da quel convegno prese avvio anche l'idea per la campagna del
1992 "Il Sud del mondo, nostro creditore" in occasione delle celebrazioni
dei 500 anni dello sbarco degli europei in America, con un'altra sua
intuizione: "Dare voce ai conquistati e dare voce agli obiettori di
coscienza e disertori nelle file dei conquistatori". Aveva la capacita' di
offrire sempre un punto di vista inusuale, per comprendere meglio la
realta'.
Voglio ricordare anche la sua presenza alle varie edizioni della marcia
Perugia-Assisi e la partecipazione generosa alla campagna "un mattone per la
pace" per acquistare la Casa per la Nonviolenza di Verona, nella quale Alex
diceva "mi sento a casa" e non dimenticava mai di rinnovare con puntualita'
l'abbonamento ad "Azione nonviolenta".
E' stato un "motorino d'avviamento" (sua l'espressione) per tante iniziative
di pace, sempre attento alla soluzioni concrete e praticabili da proporre.
"Mi sento profondamente pacifista (facitore di pace: almeno negli intenti),
e mi capita con una certa frequenza di partecipare a iniziative e incontri
per la pace. Spesso ho l'impressione che si tratti di una pace astratta, e
di un pacifismo privo di strumenti per raggiungere i suoi obiettivi. Al
momento della guerra delle Falkland-Malvine penso: se questo fosse un
conflitto italo-tedesco (-austriaco, ecc.), saprei da che parte cominciare
per contribuire a una pace concreta. Il 'gruppo misto', il ponte, il
'traditore' della propria parte che pero' non diventa un transfuga, e che si
mette insieme ai 'traditori' dell'altra parte... 'la logica dei blocchi
blocca la logica', c'e' scritto su uno striscione della manifestazione
pacifista internazionale che teniamo il lunedi' di Pasqua del 1984, sul
'ponte Europa' vicino a Innsbruck. Contro la logica dei blocchi: penso di
avere qualche esperienza in proposito grazie alla vicenda sudtirolese, e mi
piacerebbe renderla piu' fruttuosa" (15).
Poi, dopo la stagione del 1989, con la caduta del Muro di Berlino, vennero
gli anni difficili della prima guerra del Golfo nel 1990-'91, i fatti
d'Albania, e poi la crisi jugoslava, in una tragica catena dalla Croazia,
alla Serbia, alla Bosnia, fino all'assedio di Sarajevo e la strage di Tuzla.
Fu difficile per Alex coniugare tensione ideale ("La spaventosa guerra in
corso non deve farci fare tutti quanti un salto indietro, riammettendo la
guerra tra i protagonisti della storia e tra gli strumenti - seppur
estremi - della convivenza tra i popoli. Con il livello odierno di
armamenti, di affollamento demografico del mondo e di precarieta' ecologica
del pianeta comunque non ci puo' piu' essere 'guerra giusta', se mai ne
potevano esistere in passato") (16) e realismo politico ("Oggi penso che
davvero occorra un uso misurato e mirato della forza internazionale, e
quindi nel quadro dell'Onu. Per fare cosa? Non certo per appoggiare alcuni
dei contendenti contro altri, ma per fermare alcune azioni particolarmente
intollerabili e far capire che c'e' un limite, che la logica della forza non
paga") (17).
La nonviolenza ha bisogno sia di profeti che di politici. Ma essere insieme
profeti e politici e' davvero molto, molto complesso ("troppa la distanza
tra cio' che si proclama e cio' che si riesce a compiere") (18).
Alex era una bella persona.
E' stato un privilegio averlo come amico.
*
Note
1. Dall'autobiografia Minima personalia, pubblicata nel marzo 1986 sulla
rivista "Belfagor. Rassegna di varia umanita'".
2. Lidia Menapace oggi e' portavoce della Convenzione permanente di donne
contro la guerra.
3. Minima personalia, op. cit.
4. Sandro Canestrini oggi e' presidente onorario del Movimento Nonviolento.
5. Minima personalia, op. cit.
6. Minima personalia, op. cit.
7. Da una lettera del 25 gennaio 1968 a Pietro Pinna, allora co-responsabile
con Aldo Capitini del Movimento Nonviolento.
8. Articoli 290 e 415 del Codice Penale, reati per i quali verra'
prosciolto.
9. Apparso sul n. 12 di "Die Bruecke", ottobre 1968.
10. Quotidiano "Alto Adige", del 7 e del 12 novembre 1968.
11. Minima personalia, op. cit.
12. Minima personalia, op. cit.
13. Da una lettera del 16 dicembre 1989 a Sandro Canestrini, avvocato
difensore degli obiettori di coscienza.
14. Per un manifesto dei Verdi europei, marzo 1990, in Vie di pace - Frieden
Schliessen, Edizioni Arcobaleno, 1992.
15. Minima personalia, op. cit.
16. Nonviolenza obsoleta?, scritto per "Azione nonviolenta",
gennaio-febbraio 1991.
17. E' giusto intervenire militarmente?, Archivio Langer, primo aprile 1993.
18. Addio, Petra Kelly, pubblicato su "Il manifesto" del 21 ottobre 1992.

3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

4. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1013 del 5 agosto 2005

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