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Nonviolenza. Femminile plurale. 23
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 23
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 4 Aug 2005 12:39:07 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 23 del 4 agosto 2005 In questo numero: 1. Federica Giardini legge "Speculum" di Luce Irigaray 2. Wanda Tommasi: L'intelligenza dell'amore: Simone Weil e Etty Hillesum 1. RIFLESSIONE. FEDERICA GIARDINI LEGGE "SPECULUM" DI LUCE IRIGARAY [Dalla rivista "Per amore del mondo" (nel sito: www.diotimafilosofe.it) riprendiamo il testo della relazione tenuta da Federica Giardini al seminario di Diotima svoltosi presso l'Universita' di Verona il 5 novembre 1999. Federica Giardini e' docente di filosofia politica presso l'Universita' Roma Tre. Tra le opere di Federica Giardini: Relazioni. Fenomenologia e pensiero della differenza sessuale, Luca Sossella Editore, Roma 2004. Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e' tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L'oblio dell'aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996] Speculum viene pubblicato a Parigi nel 1974. E' uno dei testi maggiori del pensiero della differenza sessuale. In Europa come negli Stati Uniti, in tempi e modi diversi (1), Speculum e' stato accolto come un testo fondamentale, cioe' imprescindibile, che apre a un nuovo modo di pensare all'essere donna nella nostra tradizione di pensiero. Con Speculum Irigaray da' voce a un periodo particolarmente vivo per la filosofia, la psicoanalisi e il movimento delle donne (2). Ma in questo testo non c'e' solo l'aria del tempo, c'e' una grande scommessa. In quegli anni Irigaray era allieva dello psiconanalista Jacques Lacan e psicoanalista a sua volta, attiva nel gruppo di donne psych.et.po. (psicoanalisi e politica) fino al 1970. All'uscita di Speculum, nell'ottobre 1974, Irigaray viene sospesa dagli incarichi di insegnamento che ricopriva fino a quel momento all'universita' di Vincennes - universita' che era stata al centro del '68 e aveva dunque fama di luogo di liberta' politica. C'e' anche questo in Speculum, uno scontro per la liberta' femminile che i protagonisti del '68 non sono stati in grado di reggere (3). * Speculum si puo' dunque leggere come un atto di guerra - e' questo che vorrei mettere in luce in questa lettura, vorrei leggere quest'opera come atto di guerra. Una guerra simbolica, condotta da Irigaray con un uso magistrale del discorso, della teoria e dei suoi meccanismi, che ha avuto delle ricadute di fatto, come quell'espulsione. Si tratta di un aspetto, questo atto di guerra, che fa la grandezza del testo e insieme indica qualcosa di poco convincente, qualcosa che e' rimasto non detto. Filosofia e psicoanalisi, una psicoanalisi che nella versione lacaniana da' molta attenzione al linguaggio, sono gli assi portanti che Irigaray mette a frutto e scompiglia nel suo magnifico testo. Sui suoi rapporti con la politica delle donne Irigaray stessa fa risalire la fine della propria appartenenza al movimento e alle sue "fazioni" al 1970 (4). Dunque alcuni anni prima dell'uscita di Speculum. Per dire come si configura la guerra di Speculum citero' in particolare i due capitoli "Ogni teoria" e "Il volume senza contorno" che aprono e chiudono la seconda sezione di Speculum e che presentano in modo piu' generale gli intenti di Irigaray. Sono capitoli in cui Irigaray presenta una sorta di manifesto della guerra condotta contro il pensiero occidentale e il suo fallocentrismo, e insieme da' delle tracce per aprire a un pensiero differente sull'essere donna. * Penso che Speculum sia noto a molte di voi, ma dare un breve cenno sulla struttura dell'opera (5) mi aiuta nello sviluppo del discorso, penso che lo renda piu' chiaro. Speculum si divide in tre sezioni, la prima e' dedicata a una critica di Freud, soprattutto al suo scritto tardo sulla femminilita'. La seconda inaugurata dal capitolo di cui dicevo, "Ogni teoria", e' un excursus attraverso i momenti piu' importanti del pensiero occidentale, da Platone fino a Hegel, e sui modi in cui viene trattato il femminile, dalla donna, alla madre, alla materia, alla natura. La sezione si chiude con il capitolo "Il volume senza contorno". Infine la terza sezione e' dedicata a una lunga analisi del mito della caverna, quel mito con cui Platone nella Repubblica illustra il rapporto degli uomini con la conoscenza (6). * Dice dunque Irigaray: "Ogni teoria del 'soggetto' si trova sempre ad essere appropriata al 'maschile'" (p. 129). "E cosi' la donna non ha ancora avuto luogo" (p. 210). Sono le frasi d'inizio dei due capitoli che aprono e chiudono la seconda sezione, quella dell'excursus sui momenti del pensiero occidentale. Sono dichiarazioni nette, perentorie. Non c'e' luogo teorico, non c'e' concetto che una donna possa mettere a frutto per se', per far parlare la propria differenza. Irigaray sta facendo pulizia delle illusioni. In un'intervista su un quotidiano francese (7) Irigaray critica le donne "sapienti", quelle che pensano di poter entrare nell'ordine del sapere costituito. Bando a queste illusioni, dice, nella teoria una donna, la donna, non ha posto, o meglio ha un posto predefinito, quello che l'uomo e il suo discorso le riserva. Ed e' a quest'opera di disillusione che Speculum e' soprattutto dedicato. Ne' Freud, grande scopritore dell'inconscio, ne' i vari filosofi sono capaci di creare uno spazio di pensiero in cui la donna, una donna, possa dire liberamente la propria esperienza, darle una forma. Anzi, e di qui il titolo, il femminile, in tutte le figure che assume, la donna castrata, la madre fallica, la materia informe, la natura gratuita, l'esclusa etc., e' lo specchio, il supporto, il suolo perche' il soggetto maschile possa ritrovarsi, possa riconoscersi uguale a se stesso. Mi fermo per segnalare un paradosso: Irigaray ribadisce continuamente che la donna ha per destino il mutismo, non puo' produrre un pensiero che sia suo, che faccia riferimento a un proprio ordine, eppure, lei stessa, donna che denuncia questo mutismo, gli muove guerra, parlando, con grande finezza e maestria. Irigaray rivela dunque una trappola simbolica che si chiude sulla soggettivita' femminile, la rivela e la articola nei minimi dettagli, eppure in questo gesto di disvelamento della trappola lei e' altrove, non vi rimane chiusa dentro. Insomma, si potrebbe fare un esercizio di immaginazione: Speculum avrebbe potuto essere solo un libro di denuncia, di denuncia dell'oppressione, stavolta non solo materiale ma simbolica, relativa alla possibilita' di pensarsi di pensare la realta', e credo che sarebbe stato un testo fra gli altri (all'epoca ce ne sono stati molti altri di questo tipo) (8). La grandezza di questo testo, la sua fecondita', sta nel fatto che il grande e imponente disvelamento dei meccanismi di esclusione che regolano il pensiero occidentale viene in qualche misura smentito nel testo stesso. La trappola descritta e' una trappola in cui Irigaray non sta gia' piu'. Perche' non ci sta piu'? La lettura che voglio dare e' che questo "non esserci gia' piu'" accade in virtu' dei suoi rapporti politici con altre donne, quelli che aveva avuto fino al 1970 in modo costante (9). Reali rapporti con altre donne, rapporti che venivano elaborando un pensiero, al di la' di uno stato di guerra che registra un'oppressione. Ma di questo nel testo non si dice. E' il non detto. Insomma, voglio sottolineare come la grandezza di questo testo e' data dalla tensione tra l'atto di guerra dichiarata e qualcosa che il testo non riesce a dire, le condizioni che hanno reso possibile quell'atto (10). * Tornando al testo. Nelle pagine del capitolo "Ogni teoria" troviamo i punti della posta in gioco di questa guerra e il modo in cui l'autrice vuole condurla: "L'Altro serve a mantenere in lui decaduto l'organizzazione di un universo sempre identico a se'... un universo che sta dietro la rappresentazione (di se')... la somiglianza riprende a proliferare, in una quantita' di analogie. Il 'soggetto' allora si fa molteplice, plurale, a volte dif-forme, ma continuera' a postularsi come causa di tutti questi (suoi) miraggi... il soggetto, il modello (del) medesimo. Al confronto del quale tutto cio' che e' fuori resta sempre condizione di possibilita' dell'immagine e della riproduzione di se'" (p. 131). Insomma ci sono motivi di guerra tra una donna che cerca uno spazio di discorso e un ordine, quello maschile o fallocentrico, che glielo nega. Si tratta di una questione di vita o di morte, simbolica. La donna in posizione di questo altro del medesimo, del soggetto maschile che cerca sempre e solo se stesso, il proprio valore, diventa il rovescio della medaglia, di un'unica medaglia. E non c'e' luogo del discorso, delle teorie in cui questo non avvenga, a sentire Irigaray (11): Freud definisce la donna come castrata, dunque come qualcosa si', ma come un non-uomo; quanto alla madre e allo scompiglio che porta nella coppia attivo e passivo, visto che una qualche attivita' bisogna pur riconoscergliela, la madre sara' allora definita fallica, cioe' dotata di un'attivita' che comunque appartiene al modello maschile, e via dicendo. Con i filosofi non va meglio. Oltre a tutti i passi delle opere platoniche dove alle donne sono attribuiti gli stereotipi classici: le donne sono piu' passionali, si esprimono con minore proprieta', etc., troviamo Aristotele e come trasforma il femminile in materia, e dice che la donna tende all'uomo come il brutto tende al bello; insomma la lista e' lunga. Arrivata a Plotino Irigaray radicalizza questa verita' che va scoprendo - cioe' che non c'e' posto per una parola di donna nella teoria occidentale. Nelle pagine dedicate a Plotino Irigaray non dice niente, ci sono solo le parole del filosofo e dei punti di sospensione. Questo capitolo permette di vedere, di percepire proprio, cosa sarebbe stato il libro se Irigaray avesse effettivamente coinciso con la donna suolo muto di cui lei dice: una serie di frasi e discorsi sulla donna intervallata da espedienti grafici per segnalare che lei c'e' ma non parla, non puo' parlare. Pensate se tutto Speculum fosse stato cosi', sarebbe stata una performance, particolarmente forte, drammatica, ma non sarebbe stata un'opera, quell'opera che ha generato il lavoro teorico e che ha potenziato il lavoro politico di tante altre donne. Quanto agli elementi di apertura che pure Speculum ha, la possibilita' di leggerli e svilupparli appartiene a una posizione diversa. E' da un'altra posizione che li si potranno rendere significativi. * Tornando ancora al testo. Di fronte a questa chiusura cosi' compatta, dice Irigaray: "perche' non rinforzare, fino all'esasperazione, il malinteso?" (p. 138). "Ma come fare? poiche' le parole 'sensate' - di cui tra l'altro dispone soltanto per mimetismo - sono impotenti a tradurre cio' che e' pulsante, sospeso e sfocato... Allora... mettere ogni significato sotto sopra, dietro davanti, alto basso. Scuoterlo radicalmente, riportandovi, reintroducendovi quelle convulsioni che il suo 'corpo' patisce... Insistere inoltre e deliberatamente su quei vuoti del discorso che ricordano i luoghi della sua esclusione, spazi bianchi che con la loro silenziosa plasticita' assicurano la coesione, l'articolazione... Bisogna che per un tempo non si possa piu' prevedere da dove, verso dove, quando, come, perche'... queste cose succedono..." (p. 137). Irigaray sta qui proponendo il da farsi. Un discorso e' fatto anche di quel che non dice, di cio' che permette il dire. Altrove in Speculum Irigaray dimostra che questa condizione gli uomini l'hanno trovata nella madre, nella donna, nel femminile. Propone dunque di rintracciare quella condizione, ma non stando alla lettera di quello che gli uomini effettivamente dicono della madre, della donna, del femminile, ma piuttosto cercando i punti dove non riescono piu' a dire, si contraddicono, saltano a delle conclusioni la cui necessita' sfugge, la' dove ci sono dei vuoti. E' questa la strategia del mimetismo, che e' stata evidenziata soprattutto da una certa lettura statunitense, come strategia dello scontro con l'ordine dominante del discorso (12). Mettere in scena quello che l'altro dice di me, donna, per farne esplodere le contraddizioni. Irigaray fa riferimento alla figura dell'isterica e al modo in cui mette in scena il desiderio del padre: la messa in scena e' cosi' eccessiva che produce uno svelamento di quello che invece le convenienze sociali vogliono nascondere. Insomma, Irigaray sta proponendo una guerra all'ordine costituito del discorso che intrappola la parola di donna. E per fare questo propone di assumersi il ruolo di fattore di disordine, di perturbante che l'occidente ha attribuito al femminile. Ma stavolta si tratta di assumerlo deliberatamente per far saltare l'ordine stesso. * A questo punto vorrei tornare al paradosso di cui dicevo. Irigaray sta parlando di una guerra, questa guerra va mossa contro un ordine, assumendo deliberatamente il disordine di quell'ordine. Uno dei modi in cui lei nomina questo disordine femminile e' la figura dell'isterica, con i suoi sintomi, con la ripetizione caricaturale di "cosi' come tu mi vuoi", come eccesso. Questa figura Irigaray la riprende per delineare una figura possibile della soggettivita' femminile, in "Il volume senza contorno", come qualcosa di fluido che rifugge dall'ordine dalla formalizzazione. Ma c'e' una grande obiezione da fare. Se la donna rimane disordine, e' disordine, coincide con esso, che guerra puo' mai fare? Speculum e' il grande esempio di un conflitto agito, mirato, dove la padronanza di se', di cio' che si vuol dire, di cio' cui si mira, ha la sua parte. Troviamo infatti una frase di Irigaray, che dice: "questo sconcerto del linguaggio si presenta ben anarchico nel suo programma, ma nondimeno richiede un paziente rigore" (p. 138). In effetti, il lavoro di Irigaray e' tutt'altro che disordinato e informe, la maestria della scrittura in Speculum smentisce quel preteso disordine. Irigaray piuttosto lo assume deliberatamente e, talora, la sua maestria e' tale che la scrittura esemplifica la fluidita' di cui lei parla (13). Di nuovo, e' gia' fuori da quel disordine, e anche da quell'ordine. Altrimenti non avrebbe potuto muovergli guerra. Approfondisco allora quanto dicevo sull'atto di guerra e sulle sue condizioni. Dicevo che secondo me la dimensione simbolica dell'atto di guerra che e' Speculum e' stata resa possibile da qualcosa che nel testo non c'e', non e' detto. Che cos'e' questa cosa? Questa lettura rivela che sono i rapporti di sapere, le parole teoriche che Irigaray ha scambiato nei suoi rapporti politici con altre donne (14). Questi rapporti hanno creato lo spazio extrateorico, di esperienza, di vita, uno spazio che non e' gia' piu' selvaggio, fatto com'e' anche di parole teoriche, di conoscenze e letture, che hanno permesso a Irigaray di lottare si' contro le teorie dominanti, cercando di farle esplodere dal loro interno, ma senza esserci tutta, senza coincidere con quel che loro dicevano. C'e' dunque alle origini di Speculum la mediazione di un sapere di donne che permette a Irigaray di non essere schiacciata, ammutolita dal corpo a corpo con la teoria. Insomma, sto parlando del rapporto tra teoria e politica nel pensiero di una donna, di Irigaray, un rapporto in cui uno dei due termini, la politica, in questo grande testo, e' rimasta non detta. Mi spingo oltre, secondo me l'atto di guerra di Speculum e' stato possibile perche' l'autrice ha vissuto, sperimentato, la possibilita' di un amore delle donne per loro stesse (15). E con "amore" non intendo il compiacimento o una statica accettazione di se'. In altri termini, solo sperimentando il riconoscimento, uno scambio che rende amabili a se' e all'altra (16), e' possibile portare la guerra fuori di se', non coincidere con essa, non stare ai suoi termini, e' possibile agire lo scontro anziche' essere il terreno di quello scontro. Se non fosse stato cosi', Speculum sarebbe rimasto un grido di indignazione, doloroso quanto sterile, un "non e' vero" urlato agli autori che si arrogano la pretesa di dire la verita' sulla donna. L'amore in questo caso puo' allora essere inteso come cio' che genera la capacita' di discernimento, cio' che rende capaci di mirare la rabbia, la rivolta, sapendo insieme cio' che si vuole, cio' che vale per se'. Insomma l'amore, di se', dell'altra, e' la condizione per condurre una guerra che sia simbolica. * Tornando ancora una volta al testo, torno un po' indietro. Irigaray ha detto che la donna non ha ancora avuto luogo, ma tuttavia da' delle indicazioni di come potrebbe essere questo volume, questo luogo senza contorno. Siamo infatti al capitolo "Il volume senza contorno". "La donna non e' ne' chiusa ne' aperta. indefinita, in-finita, in essa la forma non e' completa. Non e' infinita e nemmeno una unita'... L'incompletezza della sua forma, della sua morfologia, le permette di diventare altra cosa, in ogni momento, il che non vuol dire che sia mai univocamente niente" (p. 211). E ancora: "(La/una) donna fa segno verso l'indefinibile, il non numerabile, il non formulabile, l'informalizzabile" (p. 212). Cito questi due passi, che mostrano un po' il tono generale del capitolo. Ed e' qui che mi sembra che Irigaray si sia fatta prendere la mano dalla forza d'inerzia del suo discorso e dalla contrapposizione all'ordine che vuole combattere. Il tutto fluido della soggettivita' femminile, lo scompiglio permanente, l'irriducibilita' a qualsiasi forma, mi sembrano essere piu' una definizione in negativo di quel che puo' darsi per una soggettivita' femminile, piuttosto che delle aperture a un pensiero a venire. Tanto piu' che questa avversione della donna per la forma entra in flagrante contraddizione con la possibilita' di Irigaray di frequentare autorevolmente le teorie. A prenderla alla lettera si cadrebbe in quella contraddizione di cui dicevo a proposito delle pagine su Plotino. Le aperture in Speculum ci sono, ma non in questa parte che proclama la fluidita' e l'indefinitezza femminile. Eppure e' una delle indicazioni che piu' hanno avuto ascolto, nella lettura di Speculum (17), e sta all'intelligenza pratica e politica di alcune lettrici, l'aver saputo cercare e mettere in valore dell'altro rispetto a cio' su cui l'indice di Irigaray puntava in modo insisitito. Ma questo fa parte degli sviluppi del pensiero della differenza sessuale (18). Su questi sviluppi voglio piuttosto lasciare in sospeso una questione: l'ultima parte del lavoro di Irigaray, almeno da Amo a te, quando tratta di politica, utilizza senza remore il termine di identita'. Ne e' stata fatta di strada da quell'informalizzabile di Speculum... (19). * E cosi', se e' vero che il testo non riesce a dire dell'amore che ha reso possibile quella guerra, e' anche vero che la possibilita' di muovere una guerra simbolica ha a che fare con il rapporto tra se' e se'. La possibilita' di muovere guerra riguarda i conti che ognuna riesce a fare con cio' che e' la sua singolarita', nella capacita' di accogliere quel che sfugge a un ordine possibile e di non cancellarlo. Insomma, di nuovo, c'e' un gioco tra ordine e disordine da fare, questa volta nel piu' intimo di ognuna, perche' queste due forze non si irrigidiscano in un tutto dentro e un tutto fuori e producano spostamenti e significati nuovi. Ho trovato una traccia visibile, che dice che Irigaray questo l'ha saputo fare, e' una questione di stile, e' l'espressione "Il che non vuol dire..." che lei usa molto di frequente. La capacita' di smarcarsi da una propria affermazione - anche quando ha implicato un lavoro cosi' strenuo come quello che sta dietro Speculum - e' l'indice di una leggerezza, di un gioco tra se' e se', che toglie all'altro la sola funzione della negazione. E' l'indice di quell'amore di se', fatto di accoglienza e discernimento, che permette di accogliere e mostrare nel discorso quel che e' successo senza che lo si fosse previsto, e di farne qualcosa di buono da pensare. Di nuovo, pero', questo rapporto tra se' e se', perche' non sia il delirio di una bella pensata, ha per condizione la parola dell'altra. La posizione di lettrice che mi e' disponibile oggi, dopo tante opere di donne e di Irigaray stessa, mi ha permesso di mettere in luce quel che nel testo c'e' e quel che non c'e', l'amore che e' condizione per fare guerra e, insieme, una certa solitudine necessaria, o per meglio dire, un certo saper stare in compagnia di se stesse. * Note 1. Sui tempi e i modi della ricezione statunitense di Irigaray, v. N. Schor, M. Whirtford e C. Burke, Engaging with Irigaray, Columbia University Press, New York 1994. Della particolare ripresa e rielaborazione italiana parla Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987; in Inghilterra, M. Whitford propone una lettura di Irigaray che si discosta dai luoghi comuni dell'analisi statunitense, in Luce Irigaray. Philosophy in the Feminine, Routledge, London-New York 1991. Fra le altre letture di Irigaray, segnalo E. Grosz, Sexual Subversions: Three French Feminist, Unwin Hyman, Winchester Ma 1989; R. Braidotti, Dissonanze, La Tartaruga, Milano; T. de Lauretis, The essence of the Triangle, in "Differences", summer 1989. 2. Per la contestualizzazione storica di Speculum e piu' in generale dei primi anni Settanta: Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg e Sellier, Torino 1987; C. Zamboni, La filosofia donna, Demetra, Verona 1997; "Memoria", n. 19-20, 1987, R.. Braidotti, Dissonanze, cit.; "Signs", 3, 4, summer 1978, A. Jardine, E. Menke, Shifting Scenes, Columbia University Press, New York 1990; "Ideology and consciousness",1, 1977; N. Fraser, Lee, Barky, Revaluing French Feminism, Indiana University Press, 1992; G. Stanchina, La filosofia di Luce Irigaray, Mimesis, Milano 1996; Baruch, Serrano, Women Analyze Women in France and in the United States, Harvester-Wheatsheaf, 1988; Espulsa e condannata, intervista di G. Gagliardo, "Il messaggero", 20 dicembre 1976; "Le torchon brule", sei numeri dal 71 al 73; A. Fouque, I sessi sono due, Pratiche, Parma 1999. 3. Su questo punto si sofferma di recente la discussione di I. Dominijanni su I sessi sono due di A. Fouque, "Il manifesto", 12 ottobre 1999. 4. Intervista a Baruch, Serrano, cit. 5. Della struttura di Speculum parla Irigaray in questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 55 e ss. 6. Da ampliare la descrizione generale di Speculum. 7. Intervista di R.-P. Droit, "Le Monde", 18 marzo 1977. 8. V. Burke nel suo Report from Paris, "Signs", summer 1978. 9. In questo la mia lettura rimanda e si differenzia da quella di A. Cavarero, che in Per una teoria della differenza sessuale vede la possibilita' di parlare in un linguaggio o discorso estraneo nel gesto del dire la propria estraniazione. E' una lettura che rimanda, ma implicitamente, alla dimensione politica, cosa che Cavarero non registra [aggiunta del 24 luglio 2000]. 10. Dice A. Fouque, in I sessi sono due, cit.: "mi ricordo della fascetta editoriale su ogni esemplare di Speculum di Luce Irigaray: 'Il MLF riceve le sue prime giustificazioni teoriche'. Che umiliazione, che offesa! Che bisogno avevamo di giustificazione? Quanto alla teoria, non avevamo cessato di produrla contemporaneamente all'azione, per sei anni", p. 156. 11. Questo e' quel che lei dice in Speculum, meno in Questo sesso... e in altre interviste, come ad esempio l'uso della psicoanalisi come strumento per le donne. Ma non e' un caso che non lo possa dire in Speculum: la messa in scena di un corpo a corpo, che ha fatto saltare la mediazione di un sapere di donne elaborato altrove, non le permette di dire che anche Freud non e' tutto da buttare. Ma questo avviene perche' la sua facolta' di discernimento, che pure opera grandemente in Speculum, lei l'ha ottenuta altrove, nell'amore dei rapporti politici tra donne. Questo e' avvenuto anche per l'uso che ha potuto fare di Foucault (L'ordine del discorso e' una conferenza del 1970) e di alcuni strumenti derridiani. 12. L'autrice che piu' ha sviluppato questo aspetto e' Judith Butler, in Gender Trouble. Avvicinando la strategia del mimetismo al decostruzionismo di J. Derrida, Butler ne radicalizza l'assunto, al punto che fa scomparire la donna a favore di successivi e diversi travestimenti. 13. Ad esempio, la scelta, nell'edizione francese, di non introdurre i titoli dei paragrafi nel corpo del testo, risponde a questa messa in scena della fluidita' del discorso che Irigaray vuole restituire alla scrittura di una donna. Piu' in generale, nel commentare i testi di Freud o dei filosofi la sua tecnica e' quella di insinuarsi nelle frasi, nell'ordine dell'esposizione degli autori. 14. Si segnala qui una questione interessante: Speculum e' insieme in ritardo e in anticipo rispetto a quel che avveniva, nella politica tra donne. E' in ritardo, poiche' non sa restituire quel che gia' succedeva nell'elaborazione tra donne, non riesce a dirlo. E' in anticipo perche' Speculum e' condizione perche' quell'economia del riconoscimento possa avvenire. E' forse questa la contraddittoria valenza di un'opera grande come Speculum. C'e' una circolarita' si', ma sfasata, tra quel che accade tra donne e quel che l'opera restituisce loro. Pensarla in questi termini, mi permette di capire sia l''umiliazione' di Fouque, sia la maternita' dell'opera di Irigaray. 15. Rispetto alla mia lettura dell'amore come condizione di guerra, v. L Cigarini nell'introduzione a A. Fouque, cit.: "Vivendo assieme in tante, per piu' giorni, fu possibile vivere e vedere uno spostamento d'amore verso le donne", p. 7. 16. In Quando le nostre labbra si parlano, Irigaray sviluppa il valore positivo e simbolico della relazione tra donne. Piu' in generale Questo sesso che non e' un sesso andrebbe sempre letto mentre si legge Speculum. Dice, in parte, quel che Speculum lascia in ombra. Etica... sviluppera' compiutamente la questione del riconoscimento tra donne. ma questa dimensione sara' di nuovo abbandonata a partire da Io amo a te. Al mutare di questa posizione muta il rapporto politico con altre donne. 17. Di nuovo la lettura decostruzionista di J. Butler. 18. Mi riferisco al lavoro italiano sulla pratica delle relazioni, sull'ordine simbolico della madre, che hanno ripreso, ma forse anche incoraggiato, il lavoro di Irigaray sulla genealogia. In fondo, nel capitolo "Il volume senza contorno" c'e' la sovrapposizione tra essere non-una, (essere due), essere indefinita, essere disordine. Va tenuto presente anche il lavoro di autrici che, confutando l'accusa di essenzialismo rivolta a Irigaray, l'hanno liberata da una lettura identitaria di Speculum. 19. Sebbene M. Whitford, in Philosophy in the Feminine, cit., nel capitolo "Identity and Violence", non veda discontinuita' nella scelta successiva di Irigaray di lavorare sull'identita'. 2. RIFLESSIONE. WANDA TOMMASI: L'INTELLIGENZA DELL'AMORE: SIMONE WEIL E ETTY HILLESUM [Dal sito www.diotimafilosofe.it riprendiamo il testo di questa conferenza tenuta a Orvieto nel luglio 2002 da Wanda Tommasi. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994. Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002] Vorrei mostrare come nelle due autrici che prendero' in esame, Simone Weil e Etty Hillesum, l'amore di Dio sia legato all'amore per il prossimo e come vi sia in entrambe, sia pure in modi diversi, una sovversione dell'immagine di Dio rispetto alla tradizione patriarcale. Mi e' necessaria una breve premessa, prima di addentrarmi nel confronto con i loro testi: scelgo di trattare insieme di queste due autrici, perche' le considero entrambe scrittrici mistiche e fra le piu' grandi. E' vero tuttavia che l'esperienza mistica e' presente sicuramente in Simone Weil, che ne parla sobriamente, mentre e' dubbia nel caso della Hillesum, per la quale possiamo parlare si' di esperienza vissuta di Dio, ma non di estasi mistica. E' vero anche che i loro testi propriamente "mistici" sono pochissimi: si limitano al Prologo dei Quaderni e a qualche poesia nel caso della Weil e a qualche sporadica annotazione nel caso della Hillesum. Tuttavia, per entrambe, si puo' parlare di scrittura mistica in un senso piu' ampio e non "tecnico", cioe' come scrittura che salvaguarda un vuoto, una presenza-assenza, che prende talvolta il nome di Dio, ma anche di infinitamente piccolo, di scintilla di luce, di granello di senape ecc. * In Simone Weil, l'esperienza di Dio e' strettamente legata alla relazione con l'altro, con il prossimo: l'immagine di Dio che si delinea nei testi weiliani indica anche l'orientamento dell'amore verso l'altro. Per la Weil, possiamo partire dall'esperienza mistica di Solesmes del 1938. Come Simone stessa precisa nella lettera a padre Perrin nota come Autobiografia spirituale (in Attesa di Dio, Rusconi, pp. 42-43), e' recitando una poesia di George Herbert che s'intitola Love (Amore), che lei ha un'esperienza di contatto, da persona a persona, con il Cristo. Ecco la poesia: L'Amore mi accolse; ma l'anima mia indietreggio', colpevole di polvere e peccato. Ma chiaroveggente l'Amore, vedendomi esitare Fin dal mio primo passo, mi si accosto', con dolcezza domandandomi se qualcosa mi mancava. "Un invitato" risposi "degno di essere qui". L'Amore disse: "Tu sarai quello". "Io, il malvagio, l'ingrato? Ah! mio diletto, non posso guardarti". L'Amore mi prese per mano, sorridendo rispose: "Chi fece questi occhi, se non io?" "E' vero, Signore, ma li ho insozzati; che vada la mia vergogna dove merita". "E non sai tu" disse l'Amore "chi ne prese il biasimo su di se'?" "Mio diletto, allora serviro'". "Bisogna tu sieda," disse l'Amore "che tu gusti il mio cibo". Cosi' mi sedetti e mangiai. Il tema della poesia e' quello dell'amore che accoglie: con l'accoglienza dell'amore inizia infatti il primo verso; ma l'invitato alla mensa si ritiene indegno, mancante , "colpevole di polvere e di peccato"; solo alla fine, dopo l'insistenza di Amore, l'invitato accetta di sedersi alla mensa e di mangiare, nonostante le propria indegnita'. Di questo testo, vorrei sottolineare il fatto che l'invitato e' accolto proprio nella sua "mancanza" (peccato, ingratitudine, malvagita' ecc.); e' amato nella sua singolarita' (sono amati i suoi occhi), e' amato proprio nella sua mancanza e impurita'. * Il motivo di fondo di questa poesia, cosi' importante nell'esperienza mistica di Simone Weil, e' ripreso in uno dei pochissimi testi mistici scritti da Simone, nel Prologo dei Quaderni. Anche qui troviamo il motivo dell'amore che accoglie, con una risonanza rispetto alla poesia di Herbert, che ne riproduce e ne reinterpreta originalmente le sequenze, come spesso accade nella letteratura mistica. Ma, accanto al tema dell'amore che accoglie (qualcuno - Amore o Cristo - invita chi scrive a condividere il cibo, la luce del sole, le parole scambiate in una mansarda), troviamo quello, presente nella Weil ma non nella poesia Love, dell'amore che rifiuta. Anche qui c'e' un mangiare insieme, una comunione: i due personaggi, entrambi designati al maschile, mangiarono insieme un pane che "aveva davvero il gusto del pane" e bevvero del vino "che aveva il gusto del sole e della terra dove era costruita quella citta'" (Quaderni, Adelphi, vol. I, p. 104). Nel Prologo, c'e' si' l'accoglienza dell'amore, ma alla fine c'e' la cacciata dal paradiso, dalla mansarda. Il testo si conclude con una riflessione esitante sull'amore di Dio: "So bene che non mi ama. Come potrebbe amarmi? E tuttavia in fondo a me qualcosa, un punto di me, non puo' impedirsi di pensare tremando di paura che, forse, malgrado tutto, mi ama" (Ivi, p. 105). L'amore di Dio (come quello di chiunque) non e' certo, garantito, suggerisce la fine del Prologo: e' mancanza che puo' sperimentare si' istanti di pienezza, ma, al di fuori dei brevi momenti di grazia dell'esperienza mistica, si e' ricacciati nel mondo, rigettati nella durezza della necessita'. Dio "accade" in brevi lampi di grazia, ma questo "accadere" non e' garantito, puo' ripetersi o no. In questa conclusione, che presenta il dono dell'amore di Dio sospeso fra la speranza e il timore, c'e' un accenno alla "prova" della perdita dell'amore di Dio (ribadita dalla Weil nel suo commento al "Padre nostro"): la "prova" e' il malheur, che puo' intaccare l'animo dello sventurato fino a farlo sentire abbandonato anche da Dio. La "prova" e' la perdita dell'amore di Dio, ben sintetizzata, nel finale del Prologo, nell'immagine dell'amore che rifiuta. Amore, protagonista della poesia di Herbert, viene evocato dalla Weil, alla fine del suo testo mistico, in forma dubitativa: all'esperienza dell'amore di Dio segue il dubbio, perche' Dio non puo' essere per noi uno stabile possesso; dobbiamo restare in attesa, attendere che la grazia di Dio discenda. Alla fede segue il dubbio, necessario alla fede per non trasformarsi in idolatria. * Un altro testo della Weil che vorrei brevemente prendere in esame e' una preghiera personale, scritta da Simone stessa, in cui lei chiede al Padre, nel nome di Cristo, di essere ridotta alla paralisi fisica, di diventare "paralizzata, cieca, sorda, idiota e guasta"; chiede inoltre che le sia tolta la capacita' di collegamento fra i pensieri, fino a diventare "comme un de ces idiots complets qui non seulement ne savent ni compter ni lire, maia n'ont meme jamais pu apprendre a' parler". ("Cahiers Simone Weil", 1983, n. 1, p. 55). Questa preghiera puo' essere interpretata in chiave masochistica, come alcuni interpreti della Weil hanno suggerito, ma puo' anche essere interpretata diversamente: essa si conclude infatti con un'invocazione della Weil, la quale chiede che tutte le sue doti fisiche, umane e intellettuali siano "divorate" da Dio e messe a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno. In altri termini, Simone Weil chiede, nell'ultima parte della sua preghiera personale, che sia fatta la volonta' di Dio: se questa prevede la conservazione dei suoi doni, lei chiede che la sua intelligenza, nella pienezza della sua lucidita', colleghi fra loro tutte le idee in conformita' perfetta con la volonta' divina. Chiede, in altri termini, la morte dell'io, la totale decreazione: chiede che le sue qualita' divengano impersonali, proprieta' di Dio, e che siano messe a disposizione di tutti. Certo, c'e' un fortissimo desiderio di kenosi, ma esso riguarda solo l'io e la sua volonta di potenza: e' l'io (il "moi" degli attaccamenti) cio' che la Weil chiede che diventi "paralizzato, cieco, sordo, idiota e guasto". Questa preghiera personale della Weil mostra una relazione strettissima fra l'amore di Dio e l'amore del prossimo: il desiderio di giungere all'impersonale, alla morte dell'io, fa tutt'uno con l'amore di Dio, pensato a sua volta come impersonale (esso, precisa la Weil citando il Vangelo, cade, come la pioggia, sui giusti e sugli ingiusti). Anche per questo la Weil considera l'ateismo come una forma di purificazione rispetto a un Dio che ci assiste e ci protegge quando ne abbiamo bisogno: per questo Simone non ama Teresa di Lisieux, perche' la piccola Teresa conosce solo un Dio personale, compreso in una visone che lei considera, a mio parere a torto, troppo infantile. * Quello di cui Simone Weil ci parla e' un amore che ha in se' della distanza, dell'impersonalita', sia rispetto a Dio sia rispetto al prossimo. Nei Quaderni, vediamo infatti come lei miri alla purezza dell'amore nei confronti dell'altro, depurando sostanzialmente l'amore fisico da sensualita', piacere e volutta', e affermando che la castita' e' indispensabile all'amore. Appena c'e' bisogno (dell'altro), appena c'e' desiderio, anche reciproco, c'e' oltraggio, scrive (Quaderni, vol. I, p. 117). Inoltre, sottolinea come l'amore sia spesso un mezzo per dominare l'altro, uno strumento di potenza, un modo di accrescere il proprio io. Denuncia la commistione di amore e potere, che impedisce ogni purezza nell'amare: ogni volta che un uomo pensa una donna in funzione del proprio piacere, egli in realta' non l'ama (Ivi, p. 142). La Weil non accetta la dipendenza in cui chi ama si viene a trovare dall'essere amato: questa e' per lei una situazione di mendicita', di dipendenza intollerabile (Ivi, p. 144). Di qui la necessita' di una grande distanza nell'amore, di quell'impersonalita' che, come si notava sopra, la Weil sottolinea anche nell'amore di Dio: amore puro e' per Simone quello che non vuole subordinare l'altro, che non vuole appropriarsene; e' amore per un altro di cui si desidera l'esistenza indipendente e di cui non si vuole mutare nulla. Il motivo di fondo che la Weil valorizza nell'amore e' il rispetto di chi si desidera, di chi si ama. E' evidente che Simone ha riflettutto come donna su questo tema: infatti, anche se parla della necessita' di non subordinare l'altro, in realta' sa bene che la donna e' piuttosto colei che si e' sempre subordinata all'altro per amore, che ha patito la dipendenza, che e' stata trattata come oggetto. Scrive ad esempio: "miscuglio di fraternita' dolorosa e di gelosia tra donne ugualmente sottoposte all'arbitrio della violenza maschile" (Ivi, pp. 142-143). Rispetto a questa degradazione dell'amore, in cui esso si fa strumento di dominio e di asservimento dell'altro (ma bisognerebbe dire dell'altra), Simone Weil imposta i temi dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo in assoluto parallelismo: in entrambi i casi, si tratta d'un amore che cerca il consenso dell'essere amato, che non e' mescolato con il potere, che rifiuta la forza. Tale e' l'amore di Dio, che cerca e mendica il consenso dell'essere amato, tale e' l'amore vero per l'altro, che non cerca di asservirselo, ma che resta in paziente attesa e che ne rispetta l'alterita'; cosi' e', ad esempio, nell'amore cortese, che la Weil apprezza molto e di cui lamenta l'assenza nella nostra epoca. Come l'amore di Dio rinuncia all'onnipotenza per lasciar essere il mondo, cosi' noi dobbiamo rinunciare alla nostra piccola potenza umana per lasciar essere l'altro nella sua alterita'. Amore di Dio e amore del prossimo hanno la stessa struttura. La forza di quest'intuizione di fondo, assolutamente centrale nella Weil, comporta una sovversione dell'immagine di Dio, che fa capire come Simone abbia pensato Dio proprio a partire dalla sua sensibilita' di donna. C'e' innanzitutto la sovversione dell'immagine del Dio onnipotente tramandata dalla tradizione patriarcale: Dio non e' pensato come onnipotente, ma come colui che rinuncia alla potenza per amore del mondo, fino all'impotenza sulla croce. Soprattutto in un passo dei Quaderni, Simone sovverte l'immagine tradizionale di Dio e fa capire di mettere in gioco la sua sensibilita' femminile nel pensare Dio: e' un passo in cui Dio viene paragonato a "una donna importuna che se ne sta incollata al suo amante e gli sussurra all'orecchio, per ore, senza fermarsi 'Io ti amo - Io ti amo - Io ti amo...'" (Quaderni, Adelphi, vol. III, p. 69). * Possiamo aggiungere a questo passo le immagini del Dio carnefice ne La Grecia e le intuizioni precristiane (Zeus nei confronti di Prometeo, nella rilettura weiliana del mito). C'e', nei testi della Weil, anche un Dio violentatore (nel mito di Demetra e Core). E' come se, dopo avere a lungo lottato contro gli attaccamenti e l'umiliazione che derivano dalla dipendenza, Simone Weil, a un certo punto, dopo l'esperienza mistica, smettesse di combattere contro tutto questo e l'accettasse, mirando solo a trasferire l'attaccamento da degli esseri particolari all'universo intero e a Dio. Simone scrive infatti che cio' che occorre e' un mutamento di livello: non un amore piu' grande, ma un altro amore (Quaderni, vol. I, p. 282). Sappiamo da lei cosa puo' portarci a un tale mutamento di livello: la contemplazione del limite, delle contraddizioni insolubili, la porta stretta della contraddizione come passaggio al soprannaturale. La mistica e' per lei infatti il passaggio al di la' della sfera dove bene e male si contrappongono, e questo per l'unione dell'anima con il bene assoluto. In questo, la mistica non e' diversa dalla filosofia, intesa dalla Weil come pratica, come metodo spirituale di purificazione dell'anima, come contemplazione delle contraddizioni insolubili fino a che da esse non sgorghi la luce. Qui ritroviamo di nuovo l'amore, perche' la Weil sottolinea che non c'e' conoscenza se questa non e' sorretta dall'amore. * Dunque, per concludere sulla Weil, sottolineo ancora una volta che c'e' in lei sinergia fra l'amore di Dio e l'amore del prossimo: in entrambi, c'e' rinuncia alla potenza per rispettare l'alterita' dell'altro. Ma ci sono anche dei passi che contrastano con questo parallelismo e che presentano piuttosto la forma del capovolgimento: quello che e' inaccettabile se fatto da un uomo a una donna (violenza sessuale) o a un altro uomo (uso della forza, omicidio, schiavitu') diventano desiderabili se l'autore ne e' Dio. Ho l'impressione che questi ultimi passi, per me molto inquietanti, affondino le radici nel vissuto religioso e mistico di Simone Weil, il quale ci mostra una donna che ha in parte interiorizzato il Dio della tradizione patriarcale nei suoi aspetti anche piu' crudeli, arbitrari e violenti, in contrasto con l'immagine di Dio generalmente prevalente nella Weil, quella di un Dio che rinuncia alla potenza per amore. * Anche in Etty Hillesum c'e' una sovversione dell'immagine di Dio tramandata dalla tradizione patriarcale, e tale sovversione orienta anche la sua relazione con il prossimo. Etty scopre Dio come la parte piu' riposta di se', come il silenzio interiore che le consente di dare senso alle cose drammatiche che le accadono, che le permette di non lasciarle sprofondare nell'insensatezza. In lei, Dio e' il nome del silenzio, di un "varco nell'essere" che lascia esserci l'essere: da questo punto di vista, la questione che ponevo all'inizio in forma dubitativa, cioe' se Etty Hillesum si possa o meno definire mistica, trova una risposta proprio nella relazione di Etty con l'esperienza, con l'accadere dell'essere. L'ineffabile, il mistico, non e' in realta' per Etty Dio (a Dio lei parla con grande facilita' e confidenza, al punto da dire che "saltella qua e la' con Dio come se fosse una cosa da nulla") (Diario 1941-1943, Adelphi, p. 217), ma e' l'immediato della presenza: la vita nel suo scorrere, la bellezza di un momento... Occorre del silenzio - Dio - affinche' l'essere possa venire al linguaggio, affinche', nelle circostanze drammatiche in cui lei vive, l'esistenza non sprofondi nell'insensatezza, affinche' lei possa arrivare a rispettare l'alterita' del bello senza volerlo possedere. Cosi' e' anche nell'amore (concretamente, l'amore per il suo psicoterapeuta e amante, Julius Spier, che per Etty e' propedeutico rispetto alla sua scoperta di Dio): costretta a lottare per venire a capo dentro di se' della possessivita' nei confronti di Spier e della gelosia verso la fidanzata di lui, che lo aspetta a Londra, Etty fa dello scacco del suo sogno d'amore l'occasione d'un passaggio a un livello piu' alto: "Oh, lasciar completamente libera una persona che si ama, lasciarla del tutto libera di fare la sua vita, e' la cosa piu' difficile che ci sia. Lo sto imparando per lui" (Ivi, p. 147). Etty si ritrae, rinuncia al possesso esclusivo (cioe' a consegnarsi tutta a lui), e arriva ad amare tollerando l'autonomia dell'altro: a quel punto, accetta di "perdersi per Dio o per una poesia" (ivi, p. 89), non per un uomo. Lascia del vuoto come spazio di relazione fra se' e l'altro. * La sovversione dell'immagine di Dio tradizionale in Etty e' notevole: non solo Dio non e' concepito come onnipotente, ma e' visto addirittura come impotente di fronte al dilagare di un male, la cui responsabilita' grava interamente sugli uomini. Dio e' visto come inerme, bisognoso di aiuto: nell'intuizione straordinaria di "aiutare Dio" a non assentarsi del tutto da questo mondo, cioe' dal cuore degli esseri umani induriti dalla sofferenza, Etty Hillesum sintetizza una relazione con Dio che ha tratti femminili e materni. Etty, che nella sua vita personale aveva rifiutato la maternita', si assume infine una maternita' simbolica rispetto a Dio. Dopo aver cercato a lungo riparo e contenimento (in uomini tanto piu' maturi di lei, poi in parole che la potessero ospitare e contenere), Etty, alla fine, capovolge questo suo bisogno in disponibilita' a offrirsi lei stessa come riparo, conforto e aiuto per Dio. Dev'essere riuscita davvero a ospitare Dio in se', a essere incinta di Dio, visto che e' riuscita a erodere le radici dell'odio dentro di se' e che e' arrivata ad amare i propri nemici, mettendo in pratica questo cosi' difficile insegnamento evangelico. Se il rifiuto dell'odio, nelle terribili circostanze in cui e' vissuta, l'avvicina alla santita', la maternita' simbolica rispetto a Dio attesta una relazione femminile con Dio che non e' verticale, ma circolare: benche' Dio sia colui che l'ha creata e che puo' tenerla per mano nei momenti piu' difficili, tuttavia egli non puo' esistere senza di lei. * Proponendosi di aiutare Dio, Etty suggerisce che la parte divina della creatura e' proprio quella piu' fragile, inerme, bisognosa, piena di peccati e di debolezza. E' la' che abita Dio, nella fragilita' della creatura, nella sua mancanza. Quest'immagine di Dio, che sovverte radicalmente quella tradizionale del Dio onnipotente, e' strettamente correlata alla relazione con l'altro, con il prossimo: a Westerbork, il campo di smistamento in cui fu internata prima di finire ad Auschwitz, Etty parla d'un amore per il suo prossimo, sofferente e disperato, che non e' misurato sul merito dell'oggetto amato ("la gente di Westerbork non ti offre molte occasioni di amarla", scrive nelle Lettere 1942-1943, Adelphi, p. 114), ma che e' come un "ardore elementare" che alimenta la vita. Secondo Helene Cixous, qui entra in gioco un'economia libidinale femminile, un'economia del dono, creatore di legame: Etty non teme d'impoverirsi donando, perche' il dono, che crea relazioni, innesca uno squilibrio positivo, al rialzo, un gioco che non e' a somma zero. Infatti, a Westerbork, Etty registra come ricchezza e non come impoverimento, nei libro dei conti della vita, il fatto di provare nostalgia per gli affetti da cui e' stata separata: mentre tutti gli altri vivono questa terribile situazione come una privazione violentemente imposta, lei invece vi coglie una ricchezza, perche' il fatto di essere ancora capaci d'amare e di provare nostalgia in quelle circostanze significa che si e' ricchi d'amore, di capacita' di dare (Ivi, p. 118). L'amore per gli altri che Etty pratica concretamente a Westerbork e' un amore che crea l'altro, fa cendolo esistere: e' proprio quell'attenzione creatrice, che restituisce esistenza all'altro, di cui ci parla Simone Weil. La strategia esistenziale di Etty Hillesum tiene insieme l'amore di Dio e l'amore del prossimo: Dio e' il silenzio interiore, lo spazio vuoto, la distanza dall'immersione totale nell'esistenza che le permette di non lasciar sprofondare gli avvenimenti che vive nell'insensatezza e nell'orrore, ma di dar loro senso nella scrittura, pur continuando a "esserci al cento per cento" e a viverli fino in fondo (Diario, p. 222). * C'e' una qualita' femminile nel sentire religioso di Etty Hillesum che a me sembra piu' limpida e inequivoca di quella di Simone Weil. Questa qualita' femminile si percepisce, ad esempio, nel suo non separare mai, nel proprio itinerario spirituale, sessualita' e spiritualita', corpo e spirito, ma nel farli crescere sempre insieme. Cio' si coglie nella consapevolezza dell'importanza delle pratiche femminili quotidiane, viste come un ancoramento del corpo all'esistenza che, mettendo ordine nel corpo, ordinano anche lo spirito. Si coglie anche, in Etty, nella "cura con cui ha vissuto" (l'espressione e' di Carla Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Rivolta femminile, p. 63): cura delle relazioni, delle amicizie e insieme, sempre, lavoro di scrittura per non perdere il filo di se stessa e per dare senso agli eventi. La strategia esistenziale della Hillesum ha puntato sul silenzio interiore - Dio - sia nella cura nel vivere sia nel salvare dall'insignificanza i gesti di cui il vivere e' intessuto, dal rammendare una calza all'apparecchiare la tavola, dal ritirarsi nella "cella" della preghiera al piacere di coltivare le amicizie. Cura nel vivere significa anche che niente puo' avere senso se il semplice fatto di essere vivi non ne ha: questo senso viene alla Hillesum dal mettere la vita in prospettiva, dal guardarla da un punto di silenzio, a cui lei da' il nome di Dio. E' questo silenzio la distanza che le permette di dare respiro all'esistenza, cosicche' ogni momento che ancora le resta da vivere e' percepito come un dono, tanto piu' prezioso perche' sta per esserle tolto. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 23 del 4 agosto 2005
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