La nonviolenza e' in cammino. 1012



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1012 del 4 agosto 2005

Sommario di questo numero:
1. Una immodesta proposta
2. Enrico Peyretti: Un'idea feconda
3. Carol Gilligan: Un paradigma di connessione
4. Ali Rashid: Tra nord e sud
5. Le donne di "Via campesina" contro il neoliberismo
6. A Verona lanterne sull'Adige a sessant'anni da Hiroshima
7. Guglielmo Ragozzino: Breve un profilo di Rossana Rossanda
8. Omero Dellistorti: Breve un commento ad un profilo breve
9. Francesca Di Donato presenta "Le donne e la giustizia" di Susan Moller
Okin
10. Ida Dominijanni: Il volto, il velo, la galera
11. Un codice etico per viaggiatori
12. Riletture: Tahar Ben Jelloun, Le pareti della solitudine
13. Riletture: Tahar Ben Jelloun, L'estrema solitudine
14. Riletture: Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia
15. Riletture: Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. UNA IMMODESTA PROPOSTA
Forse se ci adoperassimo per far cessare la guerra, per abolire gli
eserciti, per cessare di produrre armi, per ripudiare la violenza, staremmo
tutti piu' sicuri.
Forse se la smettessimo di rapinare i popoli del sud del mondo, di
vampirizzare persone e ridurle a sfruttati e sfruttate, a fame e miseria; se
la smettessimo di devastare la biosfera: allora vi sarebbe certo meno
disprezzo, meno odio e meno paura.
Forse se prendessimo sul serio le cose ragionevoli che tutti sovente
diciamo, e invece di limitarci a dirle le facessimo pure, saremmo tutti piu'
felici, e salveremmo il mondo.
*
Forse, se rispettassimo e aiutassimo le altre persone, e ci prendessimo
insieme cura dell'unico mondo di tutti...

2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UN'IDEA FECONDA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione queste sue aforistiche meditazioni apparse su "Rocca"
(per contatti con la bella rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi:
www.rocca.cittadella.org) nel fascicolo del 15 agosto - primo settembre 2005
(cosi' datato, ma di fatto gia' pubblicato). Enrico Peyretti e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la
vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione
aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi
sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

Arrivo o cammino - La ragione intuitiva non e' meno intelligente
(intus-legens) della ragione dimostrativa. Questa cerca l'evidenza che
obbliga all'assenso e ad essa si inchina. Quella cerca una consonanza che
possa persuadere, una visione che sappia attrarre. Il discorso propositivo
non e' meno istruttivo del discorso dimostrativo. Questo conduce ad un
termine, che e' l'assenso. Quello invita ad un cammino.
*
Casa - Quando rientri a casa la sera tardi, pregustando il letto, sappi che
molti, nella tua citta', non hanno una casa a cui tornare. Un dormitorio,
forse. Altrimenti, stanchi come te, girano per le strade cercando un angolo
riparato dove passare la notte. A Milano sono 4.000 (quattromila). Pensaci,
nel gesto tranquillo di girare la chiave nella porta. E chiediamoci se
abitiamo citta' umane.
*
Delitto - La guerra e' il delitto perfetto. Anzi, di piu'. L'autore del
delitto perfetto resta non scoperto e percio' impunito. L'autore della
guerra e' scopertissimo, anche perche' si esibisce e si gloria del suo
delitto. Resta impunito perche' la guerra si fa legge sopra ogni legge, e
perche' non manca mai chi teorizzando identifica il fatto col valore,
l'imposizione violenta con il diritto, e convince le vittime (uccisori e
uccisi) alla rassegnazione. Contro la guerra c'e' la legge non scritta,
ascoltata continuamente da Antigone, e la legge scritta nei cuori, che
risuona anche dai cuori spaccati. La guerra non vince mai.
*
Domanda - Una risposta, per quanto illuminante, non deve mai chiudere la
domanda, perche' da quella sorgente potrebbero zampillare altre luci.
*
Litigio - Barnaba era "uomo buono e pieno di Spirito santo e di fede" (Atti
degli apostoli 11, 24), eppure, dopo avere lavorato insieme nella missione,
ebbe con Paolo "un grosso litigio, cose' che si separarono" (15, 39).
*
Occhi - Se ci guardiamo negli occhi, accade qualcosa di piu' del vederci,
parlarci, scriverci.
*
Potenza - Mi preoccupa una fede acritica nel potere tecnologico in quanto
tale. Bisognera' riprendere un serio esame critico del ruolo della tecnica
nell'epoca moderna e post-moderna. Come i piu' in questa parte minoritaria
del mondo, io godo tante comodita' tecniche e vivo grazie a tante nuove
tecniche curative, ma non porta alla saggezza l'unica mitologia rimasta,
quella (volgarizzata nella volgare pubblicita') che identifica il progresso
umano con le ultime frenetiche trovate tecnologiche, dagli apparati
tascabili a quelli spaziali, quasi l'unica eredita' che noi adulti
consegniamo ai giovani, nella scuoletta (soltanto berlusconiana?) delle "tre
i". L'idea di infinito che ci e' rimasta e' quella individuata nella
crescente potenza materiale del superhomo faber, non nel cammino
interminabile dello spirito. Eppure, l'astensionismo sulla fecondazione
artificiale sembra attribuibile anche al crescente timore verso
un'incontrollata potenza scientifica.
*
Pregare - Perche' pregare Dio? Perche' Dio prega noi. Ma cosa e' pregare?
Pregare i potenti e' prosternarsi e sottomettersi in cambio di briciole di
potere. Pregare Dio e' ascoltare e parlare, stare in presenza e in
relazione. Come nei momenti piu' belli, tra noi, belli anche quando non sono
felici.
*
Scrittura - La tua scrittura e' efficace non se si diffonde in migliaia di
copie, ma se un solo lettore e' incoraggiato a pensare in silenzio,
concordando o discordando da te, sulla silenziosa parola scritta. La
scrittura e' silenzio parlante, altrimenti e' rumore vuoto.
*
Se non viene - Se il Regno non viene, se non e' gia' in mezzo a noi come
piccolo seme nascosto, allora c'e' solo questo mondo, assoluto, senza
alternativa ne' uscita. Converrebbe arruolarsi al suo servizio.
*
Un'idea feconda - La nonviolenza non e' (soltanto) il non fare violenza. E'
cercare e imparare i mezzi diversi dalla violenza per affrontare
efficacemente, per la giustizia, i conflitti nei quali solitamente si usa la
violenza. Non e' un'ideologia, nel senso negativo di schema astratto
sovrapposto alla realta', che impedisce di capirla e di agirvi. E' un'idea
feconda, perche' ha mosso e muove la realta' verso la riduzione e
liberazione dalla violenza, che e' sempre offesa e dolore, e si riproduce
all'infinito. Senza la ricerca appassionata e pratica della nonviolenza
positiva, c'e' solo la rassegnazione, l'adattamento, la complicita' (almeno
passiva) alla violenza.

3. MAESTRE. CAROL GILLIGAN: UN PARADIGMA DI CONNESSIONE
[Dall'intervento di Carol Gilligan, "Da Con voce di donna a La nascita del
piacere: un percorso intellettuale", in Bianca Beccalli, Chiara Martucci (a
cura di), Con voci diverse. Un confronto sul pensiero di Carol Gilligan, La
Tartaruga, Milano 2005, estraiamo i seguenti due frammenti rispettivamente
dalle pp. 67 e 70; ma l'intero testo della Gilligan (alle pp. 53-70)
andrebbe letto, come anche l'intero libro (il volume, aperto da una
prefazione di Bianca Beccalli, comprende anche contributi di Silvia Vegetti
Finzi, Eva Cantarella, Claudia Zanardi, Bianca Beccalli e Luca Beretta,
Carmen Leccardi, Barbara Mapelli, Tiziana Vettor). Carol Gilligan, docente
di psicologia alla New York University, e' una delle piu' influenti
pensatrici femministe contemporanee. Tra le opere di Carol Gilligan: Con
voce di donna, 1982, tr. it. Feltrinelli, Milano 1987; La nascita del
piacere, 2002, tr. it. Einaudi, Torino 2003]

Noi siamo, come donne e uomini, esseri responsabili e relazionali, nati
all'interno di una relazione e capaci di comunicare con gli altri. Gli studi
sui traumi dimostrano cosa succede quando le connessioni vengono spezzate.
*
All'interno di un paradigma di connessione, diventa facile vedere che voce e
relazione sono terreno fertile per amore e democrazia.

4. RIFLESSIONE. ALI RASHID: TRA NORD E SUD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 luglio 2005. Ali Rashid (per contatti:
alirashid at tin.it) e' il primo segretario della delegazione palestinese in
Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli
aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area
mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto
osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per
rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della
grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente
nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori
riviste di cultura e politica]

Non e' stato mai facile o lineare il rapporto tra l'occidente colonialista e
postcolonialista con un vasto mondo visto come terra di conquista o zona di
interessi vitali, serbatoio di materie prime, mano d'opera a basso costo,
avamposto per un dominio militare ed economico. Una visione che si era
consolidata ancora di piu' durante la guerra fredda, esportando la' le
guerre reali tra est e ovest. La meta' del secolo scorso ha visto il mondo
arabo, l'Africa, l'America del sud, pullulare di movimenti rivoluzionari che
avevano l'ambizioni di cambiare il mondo nel solco della giustizia e della
convivenza pacifica tra i popoli; era una stagione entusiasmante che fu
sconfitta per un difetto di autonomia e per la spietata repressione
effettuata da regimi dittatoriale, nella loro maggioranza amici
dell'occidente.
L'occidente democratico, anche dopo le grande conquiste sul piano della
democrazia e dei diritti politici e sociali per i propri cittadini,
continuava a rapportarsi con il non-occidente, come nel passato, in termine
di rapporti economici e di dominio. Per molti anni i regimi dittatoriali e i
movimenti reazionari di matrice religiosa islamica erano i suoi
interlocutori privilegiati. Il fondamentalismo islamico militare e' piu'
figlio della devastazione culturale prodotta dalle mire neocolonialiste di
ieri e delle mire egemoniche e di rinnovato dominio americane di oggi, che
non una naturale evoluzione dell'Islam. E se dovesse continuare l'ascesa dei
neoconservatori in America e dei loro corrispettivi europei rischiamo di
trovarci di fronte a un'Americastan e un'Europastan che detengono la
maggiore parte degli armi di distruzione di massa.
*
Oggi ci dicono che la guerra e' contro l'Occidente in quanto tale e contro
il suo modello di vita, anche se Bin Laden ha fatto la sua fortuna con
questo Occidente e grazie al suo modello e alle sue politiche.
Dal "Corriere della sera" ci rammentano ogni giorno che l'occidente e' in
guerra e deve comportarsi di conseguenza, dando cosi' sfogo al peggio che
anima un certo occidente in declino; l'altra faccia della barbarie che
esprime Bin Laden.
E' in corso una campagna di disinformazione e di incitamento all'odio che
mette a repentaglio le radici dello stato di diritto e la parte nobile della
cultura occidentale, una campagna che ferisce e crea inaspettati nemici...
In questa guerra tra barbarie, le civilta', tutte le civilta', si trovano
scacciate: la stragrande maggioranza dei popoli, delle donne e degli uomini
d'occidente e d'oriente che hanno rifiutato e rifiutano la guerra e il
terrorismo, sono chiamati oggi in prima persona a trovare le forme
organizzative per far pesare la loro volonta' su una politica ufficiale che
dimostra ogni giorno la sua incapacita' intrinseca a svolgere il suo compito
naturale, a dare rappresentanza al desiderio genuino di pace che anima la
gente, tutta la gente. E' una "banalita'" che diventa sempre piu' difficile
spiegare.
Il governo statunitense da' segni quotidiani del fallimento della sua
guerra. Ha intimato ai suoi alleati di fare in fretta a scrivere la nuova
costituzione con la partecipazione di chi e' stato bollato, a torto o a
ragione, di terrorismo fino a oggi, e temo che questo dialogo si avvarra',
un domani, della partecipare anche di qualche rappresentate di Bin Laden. Se
un giorno (come ci viene puntalmente promesso) l'esercito Usa lascera'
Baghdad, vedremo insieme quanta democrazia e liberta' hanno portato i
liberatori e i detentori della civilta' occidentale.

5. INCONTRI. LE DONNE DI "VIA CAMPESINA" CONTRO IL NEOLIBERISMO
[Dalla redazione di "A Sud" (per contatti: redazione at asud.net) riceviamo e
diffondiamo]

Questo lunedi' e' stato inaugurato a Juan Dolio, Santo Domingo, Repubblica
Domenicana, l'Incontro nternazionale per i diritti umani e la riunione della
Commissione internazionale delle donne di "Via campesina", organizzato dalla
Conferacion Nacional de Mujeres del Campo (Conamuca) di questo paese.
Nell'incontro che durera' sei giorni (dal primo al 6 agosto) si proclama con
fermezza l'universalita' dei diritti umani che sono individuali, collettivi,
dei popoli e non del capitale.
Centinaia di delegate di 15 paesi di  Africa, Europa, America e Asia,
trattano inoltre i temi della violenza contro le donne e della sovranita'
alimentare visti dalla prospettiva di ogni paese.
Nel discorso inaugurale, Juana Ferre, segretaria generale della Conamuca, ha
sottolineato la necessita' e l'importanza che le organizzazioni contadine
facciano sentire la loro voce e chiariscano fermamente la loro posizione
riguardo gli accordi commerciali che, come il Trattato di libero commercio,
ipotecheranno il loro futuro.
Le delegate che partecipano all'incontro, che rappresentano milioni di
persone che hanno fatto dell'agricoltura e del rispetto il loro modo di
vita, sono alla ricerca di azioni comuni per fronteggiare insieme le
estorsioni del neoliberismo, le imposizioni dell'Organizzazione Mondiale del
Commercio, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e delle
istituzioni del sistema economico internazionale le cui politiche mettono a
rischio non solo la vita nelle campagne ma anche quella dell'intero pianeta
e dell'umanita'.
*
"Via campesina" e' un movimento internazionale che coordina le
organizzazioni contadine di piccoli e medi agricoltori, donne e comunita'
indigene di Africa, Europa, America e Asia.
"Via campesina" si e' impegnata per la costruzione di un mondo fondato sulla
giustizia e l'ugualianza. Ugualmente, lotta contro il patriarcato, adottando
politiche e proposte per l'ugualianza tra i sessi, la difesa della
diversita' e dei diritti delle donne contadine, il cui accesso
all'ugualianza costituisce una priorita' in accordo con le proposte di
dignita' del movimento.

6. INIZIATIVE. A VERONA LANTERNE SULL'ADIGE A 60 ANNI DA HIROSHIMA
[Da Bruno Fini, dell'Associazione per la pace di Verona (per contatti:
bruno.fini at aliceposta.it) riceviamo e volentieri diffondiamo]

Il 6 agosto 1945 una bomba atomica a fissione di uranio, per la prima volta
venne sganciata su una citta', Hiroshima, in Giappone. La potenza esplosiva
era pari a 12.500 tonnellate di tritolo. Circa 75.000 persone vennero uccise
all'istante. Tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, fu sganciata una bomba
atomica a fissione di plutonio sulla citta' di Nagasaki e uccise circa
100.000 persone. Le due citta' subirono distruzioni enormi, con effetti
sulle popolazioni devastanti e prolungati nel tempo.
Riteniamo necessario ravvivare nell'oggi la memoria di quei giorni: una vera
cultura della pace puo' radicarsi solo attraverso un processo di conoscenza
e di maturazione, che eviti la rimozione e contrasti l'ignoranza da parte
delle nuove generazioni.
"Ogni anno, il 6 agosto, i sette fiumi di Hiroshima vengono riempiti di
lanterne. Ognuna porta il nome di qualche caro perso a causa della bomba...
Le lanterne accese formano come fiumi di fuoco e galleggiano per tutta
Hiroshima. La corrente che trasportava i cadaveri , ora porta le lanterne
verso il mare, lentamente. Mii-chian scrive 'papa'' su una e 'rondine' su
un'altra e le fa galleggiare" (da: Il lampo di Hiroshima, Perosini Editore).
Vi invitiamo alla manifestazione che la sera del prossimo 6 agosto evochera'
la memoria delle stragi di Hiroshima e Nagasaki per onorare la memoria di
tutte le vittime della seconda guerra mondiale e chiedere con forza
l'eliminazione dal pianeta di tutte le armi di distruzione di massa.
*
Programma: sabato 6 agosto 2005, ore 21
Incontro presso l'Arsenale, corteo fino alla sponda sinistra dell'Adige nei
pressi del ponte di Castelvecchio.
Lettura di testi di memoria e di impegno per la pace. Preghiere
interconfessionali.
Posa sulle acque del fiume di lanterne con messaggi di pace.
Canti del coro A.Li.Ve.  di Verona e del Kirari Kids di Nagahama (Giappone),
insieme i ragazzi canteranno brani scelti per l'occasione.
Il fiume sara' solcato intanto da canoe che accompagneranno le lanterne.
*
Pax Christi,  Associazione per la Pace, in collaborazione con: Associazione
Aribandus, Cestim, Comunita' dei Giovani, Donne in nero, Mlal, Movimento
Nonviolento, Rete Lilliput, Associazione Facciamo la Pace (S. Giovanni
Lupatoto), Associazione Locomotiva Fumante (Sommacampagna), Associazione
Cittadini del mondo (Zevio).

7. PROFILI. GUGLIELMO RAGOZZINO: BREVE UN PROFILO DI ROSSANA ROSSANDA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 luglio 2005.
Guglielmo Ragozzino e' giornalista del "Manifesto" e collaboratore di "Le
monde diplomatique".
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un
viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani,
Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986,
Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine
secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve.
Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine,
Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro
intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e
proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in
articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

In otto ore di riprese Rossana Rossanda ha raccontato i suoi rapporti con il
secolo breve. Martedi' sera, tardi, dopo Verdone e Montesano "I due
carabinieri", e' andata in onda in un programma (diretto da Rosario M.
Montesanti) di quaranta minuti. Bello e commovente, va subito detto, anche
se "Il manifesto", il quotidiano comunista che Rossanda ha fondato insieme a
Pintor, Parlato e poche altre persone e ha diretto a lungo, e' sparito, con
tutti noi dentro. Siccome Rossanda e' assai severa con noi, quasi come con
se stessa, abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo, per una volta felici
di essere poco "notiziabili". Il racconto e' quello di una vita che in ogni
ora vale la pena di essere vissuta. Senza compiacimenti, il tono e' pacato,
anche se la prima parola che dice e' "sradicata", traduzione italiana di
molta filosofia. C'e' il racconto di un solo schiaffo, davvero fragoroso, al
culmine di un episodio di forte tensione, rievocato pero' anch'esso con
grande misura.
La storia comincia a Pola che allora faceva parte dell'Italia. I genitori di
Rossana e di Marina (che "nascendo mi ha provocato una tremenda gelosia")
parlavano in tedesco, se volevano che le figlie non capissero i discorsi dei
grandi. Erano ungheresi di origine, il padre un giurista, faceva il notaio.
La crisi del '29 raggiunge anche Pola: la famiglia si disperde e le bambine
finirono a Venezia, da certi parenti ricchi. Un periodo di grande felicita'.
A scuola i professori, nel ricordo, sono antifascisti, l'obbligo di vestirsi
in divisa da piccola italiana e cosi' via e' rispettato senza particolari
problemi, mentre l'unica delusione e' la ridicola figura del re che si
presenta senza corona ai bambini delle scuole schierati lungo il canale. Ma
non e' Rossana a dire "ridicola". L'avvenimento maggiore e' la scoperta
della lettura. Il primo libro e' I miserabili, e il primo personaggio amato
e' Jean Valjean. Ma e' la sua presunzione di ragazzina "che legge i libri"
che Rossana confessa. La famiglia si riunisce a Milano, citta' che "si
presta alla vita difficile". In effetti la vita e' difficile per tutti, a
Milano, negli anni di guerra. Liceo Manzoni professori a-fascisti. Rossana
capisce. Nel suo riesame impietoso Rossana non coglie alcun bagliore di
interesse per il mondo neppure in quegli anni di scuola. Di se' sa che dopo
la laurea si occupera' di scienze umane. Avviene pero' il passaggio: la
compagna di banco, Giorgina, e' ebrea. Ci sono le leggi razziali. La
scuola - la vita - la caccia via. Nessuno vuole spiegarle perche'. Con
misura, nascondendolo quasi nel raccontare, Rossana ha preso coscienza.
La guerra precipita. Molti sono sfollati. Rossana torna a Venezia e finisce
a Padova all'Universita', dove insegnano Concetto Marchesi, Manara
Valgimigli, Diego Valeri. Ma e' solo l'ultima sosta, prima di entrare nella
vita: nella politica, nella societa'. Torna a Milano e studia con il severo
filosofo Antonio Banfi. In un intervallo tra una lezione e l'altra, gli
chiede come si diventa comunisti. Banfi, naturalmente, le indica alcuni
libri. Li legga e torni, le dice. I libri sono, nota puntigliosamente
Rossana, Harold Laski, Il 18 brumaio di Marx, Stato e rivoluzione di Lenin e
"quel che trova di Hermann Hesse". Il fatto che tutto intorno ci siano
tedeschi rende un po' surreale il dialogo. Ma Rossana commenta cosi': "La
vera politica si fa quando non puoi farne a meno". E qui c'e' la scena dello
schiaffo.
Su indicazione di Banfi, ormai Rossana fa la staffetta tra Milano e Como.
"Era facile fare la staffetta. Tutti andavano e venivano in quei tempi".
Riaffiorano nomi: il valigiaio di Val di Lanzo, Remo Mentasti, Claudia
Maffioli, Pino Binda. Una ragazza, senza nome, la tradisce. Poi si pente e
telefona a casa di Rossana per avvertire che arriveranno tedeschi e
fascisti; infine avverte anche Rossana. "Le mollai uno schiaffo, partito per
conto suo". Corre a casa dove, nella stanza sua e di Marina, ci sono i
cassetti pieni di roba scottante. Ma arriva tardi. Il padre ha gia' bruciato
tutto. "Perche' non me lo hai detto?", "Perche' me lo avresti impedito". E'
la traumatica rottura tra padre e figlia.
Rossana racconta la fine della guerra con tre immagini, una dal vivo e due
viste in fotografia: la folla furiosa che guarda il corpo di Mussolini
appeso in Piazzale Loreto, i corpi accatastati come foglie a Buchenwald;
Hiroshima e Nagasaki. La guerra, ci suggerisce, la si conosce davvero dopo
che e' finita. Rossana e' sbrigativa: impossibile non diventare comunisti.
La naturalita' della scelta, spiegata come un dover essere ragionevole,
tranquillo, inevitabile e' la parte piu' intensa del racconto. "Nel '45, in
autunno, la vita ricomincia. Io faccio il lavoro di fabbrica, in una
federazione, Milano, che e' operaia e contadina". E Rossana cita antichi
nomi: Borletti, Vanzetti, Alfa "allora era in citta'". E spiega: "non ho mai
pensato di fare la rivoluzione"; sapevamo di essere nel campo americano. "Ma
abbiamo seppellito le armi".
Arriva il '48. La vittoria elettorale e' sicura. Si teme che un colpo di
stato e la guerra civile ce la toglieranno di mano. Le armi devono servire a
questo. Invece niente. Sconfitta. Comincia il lavoro lungo.
Il partito sposta Rossana alla Casa della cultura. Vuole che vada "a caccia
di intellettuali". "Ma ci andavo solo la sera; di giorno il lavoro operaio".
Il partito la vuole a Roma e poi nel comitato centrale "che era come
diventare vescovi". "Nel '64 compio 40 anni e conosco Karol". Intanto si
prepara il '68. "Mi sentivo la madre dei sessantottini che volevano, al
contrario di noi, tutto e subito". "Noi facciamo il 'Manifesto' mensile,
anche se Berlinguer lo sconsiglia. Quando nell'anniversario dei carri, esce
l'editoriale 'Praga e' sola', il partito ci radia". E noi voltiamo pagina.
C'e' ancora molto da fare.

8. MEMORIA. OMERO DELLISTORTI: BREVE UN COMMENTO AD UN PROFILO BREVE
[Ringraziamo di cuore il nostro collaboratore Omero Dellistorti per questo
intervento]

Quando finalmente lessi "Praga e' sola" ero gia' nel "Manifesto" che
all'epoca era un gruppo politico impegnato in un difficile processo di
unificazione con la sinistra socialista (e, a monte, azionista) guidata da
Vittorio Foa, unificazione che fini' come tutte quelle nella nuova sinistra
degli anni settanta: lacerazioni, traumi e contumelie, cannibalismi e
ruggini che solo il tempo, artefice sovrano, ha saputo poi domare e
ricomporre.
E nel "Manifesto" ero entrato perche' due cose mi avevano convinto su tutte:
il sostegno all'opposizione di sinistra che si batteva contro i regimi
totalitari delle societa' postrivoluzionarie nei paesi cosiddetti "del
socialismo reale"; l'opposizione alle pratiche autoritarie nel dibattito e
nella presa delle decisioni: due cose che erano una sola, perche' come
scrissero una volta i surrealisti rivoluzionari non si puo' difendere la
liberta' altrove se non la si difende anche qui, e non la si puo' difendere
qui se non la si difende anche altrove. Senza usare il lessico della
nonviolenza, nel "Manifesto" allora se ne faceva esperienza teorica e
pratica.
Lessi con gioia concentrata e famelica, rapita e rapace, la collezione del
"Manifesto" mensile, ormai un po' ingiallita, nella sede del partito da esso
figliato (il "Pdup per il comunismo", dal nome quasi impronunciabile, ed in
cui divenni - come si diceva allora con formula scandalosamente ipocrita e
insieme sarcasticamente ossimorica - "rivoluzionario di professione"); la
sede della federazione provinciale che poi divenne anche, per lunghi e non
facili anni, la mia abitazione a riunioni finite (ma forse sarebbe meglio
dire accampamento, ci si contentava allora di poco).
Mi capita non di rado, oggi, di essere in disaccordo con quanto scrive la
Rossanda. E me ne cruccio (ma non e' cosi' grave: di solito almeno su
qualcosa sono in disaccordo con tutti oltre che con me stesso). Mi pare ad
esempio che non abbia colto come la nonviolenza sia l'inveramento ed il
salto di qualita' concettuale, linguistico ed operativo oggi necessario
dell'esperienza dei movimenti di liberazione che nel marxismo trovarono un
nutrimento.
A un secolo e mezzo dal Manifesto del '48, in un mondo per tanti versi
mutato anche grazie alla lotta di chi impugno' quello smilzo libretto come
un formidabile strumento di liberazione del pensiero e del mondo da antiche
e recenti catene, e che ha conosciuto tragedie ed orrori commessi anche in
nome di quel programma di liberazione, ma che ha conosciuto anche
consapevolezze e lotte ulteriori un secolo e mezzo fa dal moro e dall'angelo
suo amico non sentite centrali (e penso al movimento delle donne - cuore
della nonviolenza in cammino -, penso alla coscienza ecologista), o si fa la
scelta della nonviolenza, o vi e' il rischio che sia travolta e annichilita
anche la corrente calda della tradizione del movimento operaio, del pensiero
socialista, della rivoluzione per abolire l'alienazione e a tutte e tutti
riconoscere il diritto a una vita dignitosa, a ciascuna e ciascuno chiedendo
secondo le sue capacita' e a ciascuno e ciascuna offrendo secondo i bisogni
suoi.
Socialismo o barbarie, fu un nostro antico motto, oggi esso si traduce
nell'ancor piu' apocalittica divisa: o nonviolenza o non esistenza.
Resta, la Rossanda, la maestra grande cui non sapremmo giammai rinunciare.
Ma quanto ci sarebbe grato se anche la sua voce e la sua penna dedicassero
piu' attenzione a cio' che diciamo quando diciamo nonviolenza. E poi che
continui pure a sferzarci, dacche' sa farlo cosi' bene.

9. LIBRI. FRANCESCA DI DONATO PRESENTA "LE DONNE E LA GIUSTIZIA" DI SUSAN
MOLLER OKIN
[Dal sito www.swif.uniba.it riprendiamo la seguente recensione del libro di
Susan Moller Okin, Justice, Gender and the Family. New York, Basic Books,
1989, traduzione italiana a cura di G. Palombella e M. C. Pievatolo: Le
donne e la giustizia. La famiglia come problema politico, Dedalo, Bari 1999.
Francesca Di Donato lavora in ambito universitario su temi di scienze della
politica e di filosofia politica; e' redattrice del "Bollettino telematico
di filosofia politica", collabora al progetto "HyperJournal", un software
open source per l'Open Publishing nelle scienze umane e sociali; il suo
principale interesse di ricerca e' la filosofia politica di Kant; dal 2000
al 2003 si e' inoltre occupata in particolare di teoria femminista; dal 2004
si occupa del problema della liberta' dell'informazione. Tra le opere di
Francesca Di Donato: La teoria femminista: una bibliografia, in "Bollettino
telematico di filosofia politica", 2000-2004; Nei limiti della ragione. Il
problema della famiglia in Kant, Plus-Methexis, Pisa 2004; Verso uno
European Citation Index for the Humanities. Cosa possono fare i ricercatori
per la comunicazione scientifica, in "Bollettino telematico di filosofia
politica", novembre 2004; I media telematici come strumento per la
comunicazione del sapere, in "Bollettino telematico di filosofia politica",
maggio 2005; Conoscenza e pubblicita' del sapere. Le condizioni della
repubblica scientifica a partire dall'Architettonica della ragion pura di
Kant, in "Bollettino telematico di filosofia politica", giugno 2005.
Susan Moller Okin, illustre pensatrice femminista americana, e' docente di
scienze politiche alla Stanford University. Tra le opere di Susan Moller
Okin: Le donne e la giustizia. La famiglia come problema politico, Dedalo,
Bari 1999.
Maria Chiara Pievatolo e' docente associata di filosofia politica
all'Universita' di Pisa. E' curatrice del Bollettino telematico di filosofia
politica e della collana Methexis. Tra le opere di Maria Chiara Pievatolo:
La giustizia degli invisibili. L'identificazione del soggetto morale, a
ripartire da Kant, Carocci, Roma 1999; I padroni del discorso. Platone e la
liberta' della conoscenza, Plus, Pisa 2003]

In Le donne e la giustizia, Susan Moller Okin affronta il problema
dell'ingiustizia che deriva dalla divisione sessuale del lavoro, e che
riguarda tutte le donne americane e - verrebbe voglia di aggiungere -
europee . L'impostazione che la Okin segue e' volta a mostrare, come avviene
in buona parte della tradizione femminista occidentale di questi ultimi
decenni, l'infondatezza delle ragioni che hanno sanzionato il persistere di
questa ingiustizia. Nell'affrontare la questione, l'aspetto sul quale la
Okin incentra la sua analisi riguarda la costruzione della struttura sociale
in base al genere, inteso come "l'istituzionalizzazione, profondamente
radicata e difesa, della differenza sessuale" (p. 19).
La tesi centrale attorno alla quale la Okin fa ruotare la sua analisi, come
viene a ragione messo in evidenza dal sottotitolo della traduzione italiana
dell'opera - la famiglia come problema politico -, e' che la distribuzione
diseguale del lavoro non retribuito entro la famiglia, sfera domestica e
protetta dalla privacy, si basa su alcuni presupposti ingiustificati. Essi,
prendendo forza dal loro essere stati costruiti in quella che puo' essere
definita una societa' strutturata secondo il genere, ignorano quanto "il
personale" sia "politico".
*
Il percorso di metodo che la studiosa statunitense segue, articolando il
discorso intrapreso in Women in Western Political Thought (Princeton,
Princeton University Press, 1979-1992), vuole in primo luogo mostrare quanto
nelle teorie contemporanee sulla giustizia - come in quelle passate in cui
si teorizzava un sistema patriarcale che riconosce come "individuo" il capo
famiglia maschio - la questione della giustizia all'interno della famiglia
sia data per scontata e dunque non esaminata.
In secondo luogo, la Okin osserva come questo avvenga anche attraverso l'uso
di un linguaggio che definisce - fornendone esempi interessanti nel corso di
tutta la trattazione - falsamente neutrale rispetto al genere. Questo
linguaggio produce la fuorviante e dannosa illusione di potere applicare
queste stesse teorie all'umanita' intera, quando in realta' esse hanno
omesso e dato per scontato un ambito, quello familiare, che invece avrebbe
dovuto essere, anch'esso, oggetto di giustizia.
Cosi', ella analizza recenti teorie politiche influenti, in particolare
quelle di Rawls, Ackerman, Walzer, Unger, MacIntyre e Nozick, per mettere in
rilievo come la giustizia non venga applicata alla famiglia e allo stesso
tempo come, nonostante le teorie femministe che hanno agito nella direzione
opposta, resti forte "la pretesa che la 'natura' della differenza sessuale"
fondi famiglie "naturalmente e necessariamente ingiuste" (p. 47).
*
Alla conseguente domanda "che cosa e' giusto?", la studiosa risponde
analizzando quegli stessi modelli teorici da un punto di vista femminista.
Assumendo come compito di una teoria della giustizia l'applicabilita' di
tale teoria all'umanita' tutta - e non solo ad una sua parte -, la Okin
ritiene indispensabile che la famiglia, in quanto radice dello sviluppo
morale e luogo dove si raggiunge la coscienza di se stessi, venga esaminata
senza ignorare il genere.
Se ci si propone di porre il problema della giustizia anche all'interno
della sfera domestica, la principale difficolta' da risolvere e' la
dicotomia tra pubblico, dunque politico, e privato. La sua tesi, infatti,
vuol mostrare come i legami tra gli aspetti - domestici e no - della vita,
siano capillari.
"Il personale e' politico", afferma la Okin, riproponendo il celebre
principio femminista, come dimostrano quattro elementi tra loro connessi.
In primo luogo la centralita' del potere nella vita familiare, aspetto
scarsamente considerato dalle teorie della giustizia esaminate dalla Okin,
la cui importanza e' invece dall'autrice resa manifesta attraverso la
lettura dei dati sulla violenza contro le donne nei paesi industrializzati e
in quelli del terzo mondo.
Un secondo aspetto e' il fatto che la sfera domestica sia definita in base a
decisioni politiche. Questa circostanza sposta i termini della questione dal
se lo stato interviene a quanto lo fa: non si tratta di chiedersi se lo
stato debba intervenire, perche' gia' la delimitazione dei confini della
sfera domestica e' una forma di intervento, ma piuttosto in che misura debba
farlo.
In terzo luogo, la famiglia, sfera domestica in cui la donna e' il genitore
primario e nella quale avviene una considerevole parte della nostra
socializzazione, e' innegabilmente politica perche' e' la sede in cui
diventiamo se' dotati di genere.
Infine, la divisione del lavoro nella famiglia strutturata secondo il genere
pervade le altre sfere elevando, contro le donne, barriere pratiche e
psicologiche.
Dunque quelle che vengono viste come sfere separate "sono in realta' parti,
strettamente connesse, di un ciclo ricorsivo di disuguaglianza tra i sessi"
(p. 217).
Ed e' proprio lo stretto legame tra le due sfere a non rendere facile la
transizione fra i due ambiti, nell'uno e nell'altro senso, e a rendere la
diseguaglianza ricorsiva.
*
A questo punto, "se l'istituzione in cui siamo socializzati primariamente e'
permeata di dominazione, che speranza c'e'", si chiede la Okin, "di liberare
dalla dominazione le societa' in cui siamo socializzati?" (p. 195).
L'uguaglianza tra i sessi non puo' avvenire spontaneamente, e a questo scopo
e' indispensabile realizzare cambiamenti giuridici, politici e sociali.
Cosi', nell'ultimo capitolo, la Okin fornisce proposte concrete volte al
superamento dell'istituzione della famiglia e della societa' basate sul
genere, conscia delle difficolta' cui va incontro, ma forte della
convinzione che una famiglia senza genere possa contribuire all'uguaglianza
d'opportunita' per le donne e per i bambini, e crei un ambiente piu'
favorevole alla formazione di cittadini di una societa' giusta.
In questo modo la studiosa introduce una prospettiva degli studi
anglosassoni sul gender che apre, a quella parte che dialoga del femminismo
dell'Europa continentale, nuovi argomenti e basi di partenza - o
prosecuzione -. Proponendosi la costruzione di una teoria della giustizia in
senso femminista, cioe' umanista, che contribuisca ad interrompere la
ricorsivita' del processo che vede la societa' permeata dal genere, la Okin
cerca di spezzare questo ciclo in due modi tra loro connessi: in primo luogo
mettendo in luce le comuni carenze delle teorie piu' importanti dopo averle
analizzate e, per la parte che le interessa, confutate; in secondo luogo
prendendo le mosse da quelle stesse teorie per offrire proposte di
cambiamenti politici che potrebbero attenuare l'attuale ingiustizia rispetto
al genere.
Le sue proposte pratiche, che vanno da un'adeguata diffusione di servizi di
asili nido e di custodia diurna dei bambini, a una serie di riforme che
prevedono una ridefinizione del ruolo materno e di quello paterno,
potrebbero risultare molto utili per gli studi sull'attuazione della parita'
di opportunita' nell'Unione Europea.
*
L'analisi della Okin ci spinge a riflettere sulla necessita', per la teoria
femminista europea, di pensare in termini che vadano oltre la divisione tra
differenza e gender, se, come si legge nella Postfazione di M. C. Pievatolo
(p. 256), "l'aspetto fondamentale della liberta' come autonomia non e'
fiorire lungo una linea di sviluppo determinata, secondo una qualche
classificazione teoretica - aristotelica o, piu' modestamente, rawlsiana -,
ma poter andare oltre la propria immagine sociale".
*
Indice del libro
Presentazione di Gianluigi Palombella.  Prefazione. Capitolo primo:
Introduzione. La giustizia e il genere; La costruzione del genere; Teorie
della giustizia e oblio del genere; Il genere come questione di giustizia.
Capitolo secondo: La famiglia: oltre la giustizia; La giustizia e
l'idealizzazione della famiglia; La famiglia ingiusta come necessita'
naturale e sociale. Capitolo terzo: Quali tradizioni? Quali
interpretazioni?; Razionalita' e giustizia nel contesto della tradizione;
Quali tradizioni?; Quali interpretazioni?; Tradizioni e interpretazioni
condivise: il problema della dominazione. Capitolo quarto: Libertarismo:
matriarcato, schiavitò e distopia; La teoria della giustizia del titolo
valido; La riproduzione e la teoria del titolo legittimo; Il paradosso della
teoria del titolo legittimo di Nozick. Capitolo quinto: Giustizia come
equita': per chi?; Giustizia per tutti?; La famiglia semi-invisibile; Il
genere, la famiglia e lo sviluppo del senso di giustizia; La teoria della
giustizia di Rawls come strumento di critica femminista. Capitolo sesto: La
giustizia di sfera in sfera: sfidando la dicotomia pubblico/domestico; La
giustizia e le sue sfere distinte; Smascherando il mito della famiglia
benevola; Il personale e' politico. Capitolo settimo: Conclusione: verso una
giustizia umanista; Allontanandosi dal genere; Proteggere i vulnerabili.
Postfazione di Maria Chiara Pievatolo: Spunti per un approfondimento
critico.
*
Links
- Una scheda su biografia e bibliografia di Susan Moller Okin:
http://lgxserver.uniba.it/lei/filpol/schedaok.htm
- Una scheda di Women in Wetern Political Thought di Susan Moller Okin:
www.pinn.net/~sunshine/book-sum/okin.html
- Pagina di Susan Moller Okin alla Stanford University:
www.stanford.edu/group/polisci/Faculty/okin_info.html
- Postfazione di M. C. Pievatolo all'edizione italiana di Le donne e la
giustizia:
www.geocities.com/Athens/Delphi/4293/okin.html
- Articolo di Susan Moller Okin, Recognizing Women's Rights as Human Rights,
"APA Newsletters", vol. 97, number 2:
www.udel.edu/apa/publications/texts/newsletters/law/recognizing.html
- Articolo di Susan Moller Okin, Is Multiculturalism Bad for Women, "The
Boston Review", ott-nov. 1997:
http://ethics.acusd.edu/gender_theory.html
- Sito dell'universita' di Trieste in cui si trovano l'articolo di Susan
Moller Okin Multiculturalismo e femminismo, e la scheda informativa di M. C.
Pievatolo:
http://dll04.univ.trieste.it/nove/comunismi/coper.htm
*
Bibliografia
Okin, S. M., Women in Western Political Thought, Princeton, Princeton
University Press, 1979, 1992.

10. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL VOLTO, IL VELO, LA GALERA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 agosto 2005. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale
all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista]

Ci sono norme che hanno un altissimo valore simbolico anche se nella pratica
soccorre il buon senso di non applicarle.
La norma del pacchetto Pisanu che consente di mettere in galera fino a due
anni una donna con addosso il burqa o il chador e' una di queste, e a nulla
serve limitarsi a sperare, come ha fatto qualcuno, che non possa essere
applicata a chi si copre per motivi religiosi: nell'immaginario razzista che
monta in queste tormentate settimane, essa viene gia' applicata e con
soddisfazione. Le istanze "femministe" di chi dall'11 settembre perora la
"liberazione" delle donne da veli, chador e burqa a colpi di leggi o di
bombe gettano la maschera piu' eclatantemente in Italia che altrove.
Altrove, ad esempio in Francia, il divieto di portare il velo nelle scuole
e' stato accompagnato da un amplissimo dibattito pubblico e sostenuto da
tutt'altre argomentazioni. Si tratta pur sempre a mio avviso, come gia' mi
e' capitato di scrivere su questa colonna, di un cattivo divieto, e di
cattive argomentazioni: la laicita' intesa come neutralizzazione,
l'uguaglianza fra i sessi intesa come omologazione, la liberta' intesa come
dettato normativo con effetti liberticidi. Ma il Rapporto della Commissione
Stasi che ha ispirato la legge francese merita comunque di essere letto come
esempio illuminante dei paradossi in cui puo' cacciarsi l'universalismo
occidentale; e la discussione che ne e' seguita nell'opinione pubblica
francese ha meritato comunque di essere seguita come esempio illuminante
delle ragioni a difesa, a correzione o contro di esso.
*
Nell'Italia berlusconiana tutto e' piu' semplice e piu' elementare: una
legge penale e via. Due anni di galera e la questione e' risolta. Le donne
velate vanno "liberate" con la repressione: la galera vera, della legge
penale occidentale, al posto della galera simbolica, della religione e del
patriarcato islamico, dell'abito.
Qualcosa di minaccioso - un codice sessuale intraducibile nel linguaggio
occidentale dell'ostentazione del corpo - si cela dietro il velo, e questo
e' a ben leggere il messaggio "velato" della legge francese. Quel qualcosa
diventa minacciosissimo - un'arma, una bomba, un kamikaze - nella norma
italiana, che li', nel viso femminile velato, trova modo di incarnare e
incardinare il fantasma assoluto del pericolo incombente. E il delirio di
onnipotenza del controllo assoluto: un kamikaze a viso scoperto non si
puo' - purtroppo - riconoscere e arrestare preventivamente, una donna velata
si'. Li' sta l'ignoto, li' sta la preda, li' sta la presa.
Di nuovo troviamo donne, corpi femminili, come posta in gioco del cosiddetto
scontro di civilta'. Il passaggio all'incivilta' e' questione di poco.
Piccole norme paradossali apparentemente con scarse possibilita' di essere
applicate. All'immaginario bastano minuscoli slittamenti per scavarsi delle
autostrade.

11. MATERIALI. UN CODICE ETICO PER VIAGGIATORI
[Dal caro amico Daniele Dal Bon (per contatti: daniele.dalbon at lillinet.org)
riceviamo e  diffondiamo questo "Codice etico per viaggiatori" a cura del
Centro per il turismo responsabile S. Anselmo, Usa]

1. Viaggia con spirito di umilta' e con genuino desiderio di incontrare la
gente del luogo.
2. Sii consapevole dei sentimenti degli altri: evita comportamenti offensivi
e, in particolare, usa rispetto nel fotografare.
3. Abituati ad ascoltare e ad osservare, non assumere l'atteggiamento di chi
conosce gia' tutte le risposte.
4. Renditi conto che gli altri possono avere concezioni del tempo e processi
mentali differenti - non inferiori - da quelli della tua cultura.
5. Scopri la ricchezza di un altro modo di vivere senza cercare a tutti i
costi l'esotico.
6. Impara i costumi locali e rispettali.
7. Ricorda che sei uno dei tanti visitatori. Non attenderti privilegi
speciali.
8. Quando contratti con i mercanti, ricorda che anche il piu' povero tra
loro preferisce rinunciare al profitto che alla propria dignita'.
9. Mantieni le promesse fatte in viaggio. Se non sei in grado di mantenerle,
non farle.
10. Riservati uno spazio di riflessione quotidiana sulle esperienza fatte,
per approfondire la comprensione della realta'.
11. Chiediti se il tuo arricchimento, in viaggio, va a scapito di qualcuno.
12. Sii consapevole del perche' ti muovi. Se cerchi "una casa lontano da
casa", perche'  viaggi?

12. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: LE PARETI DELLA SOLITUDINE
Tahar Ben Jelloun, Le pareti della solitudine, Einaudi, Torino 1990, 1997,
pp. XXII + 122, lire 12.000. Elaborando in forma poetica il portato delle
sue esperienze di lavoro come psicologo in un consultorio psichiatrico
parigino impegnato nell'assistenza a immigrati nordafricani, in questo libro
scritto nel 1975 e pubblicato nel 1976, attraverso il personaggio di Momo
l'autore descrive la condizione fatta ai migranti da una societa' solcata da
un razzismo feroce. Con una prefazione all'edizione italiana (1990) che si
apre con queste parole: "Espressione della maledizione e della miseria, il
razzismo oggi si permette di non cercare nemmeno piu' delle
giustificazioni... Nell'Europa del 1990 il razzismo ha l'aria di star bene".

13. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: L'ESTREMA SOLITUDINE
Tahar Ben Jelloun, L'estrema solitudine, Milvia, Torino 1988, Bompiani,
Milano 1999, pp. 224, lire 18.000. Scritto come tesi di dottorato in
psichiatria sociale nel 1975 e pubblicato nel 1977, questo libro fondato
sull'esperienza condotta per alcuni anni dall'autore come terapeuta in un
consultorio psichiatrico assistendo persone immigrate, e' una lettura
sconvolgente e necessaria: per cogliere quanta nascosta sofferenza possa
esservi in persone che avrebbero bisogno di ascolto e di aiuto, e all'aiuto
e all'ascolto avrebbero diritto. Anche qui trovando ragioni per lottare
contro ogni razzismo, contro ogni denegazione di umanita'. All'edizione
italiana del '99 Tahar Ben Jelloun ha premesso alcune toccanti riflessioni
sul nostro paese, che si concludono con queste parole benedicenti: "Che
l'Italia non sia il paese che suscitera' e alimentera' questa desolazione
che ho chiamato 'estrema solitudine'. Che resti un paese accogliente,
ospitale e generoso, che poi significa: profondamente mediterraneo".

14. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: IL RAZZISMO SPIEGATO A MIA FIGLIA
Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, Milano 1998,
1999, pp. 96, lire 10.000. Scritto nel 1997 (e via via arricchito di altri
materiali in successive edizioni) un colloquio tenero e gentile, a cui tutte
e tutti siamo invitati.

15. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: L'ISLAM SPIEGATO AI NOSTRI FIGLI
Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli, Bompiani, Milano 2001,
pp. 110, euro 6,20. Un agile, piacevole libriccino del grande poeta,
romanziere, saggista e giornalista marocchino e parigino (che oggi e' una
delle voci maggiori della lingua e della letteratura francese che piu'
amiamo), la cui lettura potrebbe essere ben utile a tanti intellettuali e
politici nostrani, come una medicina per guarire dai piu' cupi deliri.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1012 del 4 agosto 2005

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