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La nonviolenza e' in cammino. 1011
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1011
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 3 Aug 2005 00:19:01 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1011 del 3 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Noorzia che non si arrende. E il secondo striscione 2. Nando dalla Chiesa: La vergogna della legge S. P. 3. Una frettolosissima lettera 4. Il movimento dell'Arca 5. Deborah Sorrenti: Alcuni recenti libri pubblicati a cura del Cemiss 6. Letture: Elena Loewenthal, Eva e le altre. Letture bibliche al femminile 7. Riletture: Sergio Quinzio, Lettere agli amici di Montebello 8. Riletture: Sergio Quinzio, L'esilio e la gloria. Scritti inediti 1969-1996 9. Riletture: Sergio Quinzio, Leo Lestigi, La tenerezza di Dio 10. Riletture: "Bailamme", Sergio Quinzio in memoriam 11. Riletture: "Humanitas", Sergio Quinzio. Le domande della fede 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: NOORZIA CHE NON SI ARRENDE. E IL SECONDO STRISCIONE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Il biglietto fatto scivolare sotto la porta di casa di Mahmoud Shah e' vergato in una calligrafia nitida e aggraziata: "Se non smetti di fare campagna elettorale per Noorzia Charkhi, la tua vita e' in pericolo. Di' anche a Noorzia Charkhi di ritirare la sua candidatura. Non ti vergogni ad appendere al bazar manifesti che rappresentano le donne della tua famiglia?". Mahmoud e' un cugino di Noorzia Charkhi, una giornalista trentaseenne che lavora a Kabul. Noorzia fa parte delle 328 donne afgane che hanno presentato la loro candidatura per i 68 posti riservati alle donne nel parlamento nazionale e spera di essere eletta nella sua provincia, Logar. Le elezioni si terranno il 18 settembre 2005, e vi sono altre 237 candidate che si sono presentate per i seggi dei consigli provinciali. "Non intendo ritirarmi, ha dichiarato pubblicamente Noorzia, so che la mia vita e le vite dei miei familiari sono in pericolo, la gente che ha minacciato mio cugino e me ha gia' le mani sporche di sangue, ma voglio dimostrare che una donna e' capace di fare queste cose". Il maggior oppositore di Noorzia e' un suo lontano parente, anch'egli candidato alle elezioni. In un recente raduno tribale costui ha dichiarato che la candidatura di Noorzia e' una vergogna e che qualcuno dovrebbe ucciderla. All'epoca del regime talebano, era un potente ufficiale agli ordini del governatore della provincia, suo cognato, che oggi e' latitante. "Durante il periodo dei Talebani, racconta Noozia, costui dava la caccia alle donne per strada con la frusta in mano. In qualche modo, lo sta ancora facendo". * Il riservare delle quote alle donne nei seggi ha fornito un incentivo a sostegno delle candidature femminili, spiega Rina Amiri, una funzionaria dell'Onu che sorvegliera' il regolare svolgimento delle elezioni. "C'e' sostegno da parte di alcuni uomini, non moltissimo, ma molto di piu' di quanto ci saremmo aspettate". Ci sono pero' anche le telefonate e le lettere anonime che minacciano di morte le donne candidate qualora non si ritirino. Nella provincia di Helmland, i funzionari dell'Onu stanno investigando su missive che circolano promettendo 4.000 dollari di compenso a chiunque uccida una candidata; nella provincia di Zabol, uomini armati hanno tentato di sequestrare Zarmina Pathan, candidata alle elezioni e impiegata in un'organizzazione umanitaria locale, mentre era alla guida della sua auto. Non e' che il numero di candidate sia cosi' vasto, se si pensa che sono il 12% di chi concorre per il parlamento e l'8% di chi concorre per i consigli provinciali. Nella provincia di Paktika si era candidata una sola donna, un'insegnante di villaggio che aveva affrontato un viaggio faticoso per registrarsi nel capoluogo di provincia, e che quattro giorni dopo lo ha rifatto per cancellare la propria candidatura: un gruppo di pii religiosi aveva fatto il giro del suo villaggio spiegando che quella candidatura era inopportuna, e un bel po' di devoti avevano raccolto il messaggio ed aggredito verbalmente suo marito. Zobaida Stanekzai, una direttrice scolastica di 52 anni, dice che ha pochi dubbi sul perche' qualcuno, pochi giorni fa, abbia dato fuoco alla porta di casa sua: "Tentano di spaventarmi perche' rinunci alle elezioni. L'anno scorso, quando lavoravo alla registrazione delle donne per le elezioni presidenziali, tirarono una granata contro la mia casa. Ma la mia decisione di candidarmi e' irremovibile". * Strano, non e' vero? Molte persone continuano a dirmi che alle donne in genere queste cose non interessano, e alle musulmane meno che mai, loro si realizzano nella maternita' e siamo noi ad insistere con queste ossessioni occidentali per la parita' e la partecipazione e il voto, ed e' una vergogna (proprio come candidarsi) non rispettare la loro cultura. Che l'Afghanistan sia un caso a parte? Allora andiamo in Pakistan, dove in questi giorni 170 donne rischiano la vita per essersi candidate alle prossime elezioni. Non che costituzionalmente non possano farlo: ma due governi regionali hanno emesso un bando che vieta loro di candidarsi e di votare. Perche'? E' inopportuno, "vergognoso", scandaloso. E queste ostinate resistono. Puo' essere che anche il Pakistan sia un'eccezione. L'Arabia Saudita non e' certamente un luogo molto favorevole alla partecipazione femminile nelle decisioni pubbliche (perche' e' di questo che si tratta: il poter intervenire in decisioni che interessano le vite di tutte e tutti), e' un paese in cui, fino a pochi anni, fa per le bambine non veniva neppure redatto il certificato di nascita: le donne commercianti hanno fatto pressione per anni per poter votare ed essere elette nei consigli d'amministrazione delle camere di commercio, oggi hanno finalmente ottenuto, per la prima volta, questo diritto. In questi stessi giorni, un gruppo di donne palestinesi ed israeliane hanno dato vita alla Commissione Internazionale delle Donne. Dicono che vogliono piu' donne nei luoghi dove si prendono le decisioni, piu' donne che partecipino ai negoziati per la pace. Dicono che sono abili nel comporre le differenze, lo dimostra il loro stesso stare insieme, e sostengono che la Commissione sara' un veicolo per il cambiamento, un cambiamento nella situazione di conflitto che esse ritengono di assoluta urgenza. Bene, piu' ci guardiamo in giro, piu' sembra che alle donne queste cose interessino. Forse, piu' che di un'ingerenza occidentale, potremmo cominciare a parlare della necessita' di essere trattate, viversi e vedersi come compiuti essere umani. Credo che questo bisogno sia largamente "internazionale". * Il 19 luglio scorso c'e' stata una manifestazione nel centro di Baghdad. Erano centinaia di donne, di tutte le appartenenze, compresa una dozzina di dichiarate seguaci di Moktada al-Sadr (fondamentalista sciita), che protestavano contro l'esclusione dei loro diritti umani dalla Costituzione che viene preparata per il paese. L'articolo 14 le subordinerebbe infatti alla religione, setta o gruppo di riferimento: una donna erediterebbe o no, potrebbe scegliere il proprio marito o no, potrebbe essere data in moglie a 9 anni o no, divorzierebbe o no, si troverebbe in relazioni poligame o no, a seconda di cosa i saggi uomini della famiglia decidano (mi sorge un dubbio: visto che le famiglie irachene esistenti spesso sono "miste", ovvero il marito e' di un gruppo e la moglie di un altro, come questa legge gestira' le eventuali questioni che dovessero sorgere in ambito familiare?). Naturalmente agli uomini questa discriminazione dell'articolo 14 non si applica. Loro i diritti umani e civili li hanno incorporati e li ritengono assoluti: diventano relativi solo se devono essere riferiti alle donne "ìNon vogliamo leggi separate, leggi sunnite o leggi sciite, ha dichiarato Dohar Rouhi, presidente dell'Associazione delle donne imprenditrici e presente alla dimostrazione, Vogliamo una legge che possa essere applicata a tutte e tutti. Vogliamo giustizia per le donne". "I diritti umani delle donne devono essere garantiti dalla nuova Costituzione., ha aggiunto Hannah Edwar, una delle organizzatrici della protesta, Intendiamo incontrare il comitato costituzionale e far loro sapere come la pensiamo". Sembra che dobbiamo prenderne atto: alle donne la politica interessa. Le amiche irachene mi hanno mandato le foto della protesta. "Vogliamo uguaglianza per tutti. Vogliamo diritti umani per tutti", dice uno striscione bianco retto dalle donne a Baghdad. "Fermate la violenza contro le donne irachene", recita un altro. E guardando quest'ultima immagine all'improvviso il mio cuore ha un tuffo di gioia, e sorrido fra me, e mando a quelle due persone sconosciute un profondo pensiero d'amore. Perche' il secondo striscione lo stanno reggendo un uomo e una donna. 2. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: LA VERGOGNA DELLA LEGGE S. P. [Ringraziamo gli amici di "Italia Democratica" (per contatti: italiademocratica at tiscali.it) per averci inviato questo articolo di Nando dalla Chiesa apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 28 luglio 2005. Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di straordinaria limpidezza morale. Tra le opere di Nando dalla Chiesa segnaliamo particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto, Mondadori; La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie, Einaudi; Il giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza (a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini & Castoldi; La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini perbene, Einaudi; La legge sono io, Filema; La guerra e la pace spiegate da mio figlio, Filema. Ha inoltre curato (organizzandoli in forma di autobiografia e raccordandoli con note di grande interesse) una raccolta di scritti del padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, In nome del popolo italiano, Rizzoli. Opere su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in alcuni libri di carattere giornalistico di Pansa, Stajano, Bocca; si veda anche l'intervista contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli] Alla fine e' passata pure lei. Con il successo di pubblico (ossia di senatori e ministri e sottosegretari in aula) delle grandi occasioni, Palazzo Madama ha approvato ieri la legge ad personam piu' esplosiva tra quelle prodotte a grappoli dalla Casa delle liberta'. E' passata la legge S. P.: Salva Previti, Senza Pudore, Smonta Processi, Scaccia Pensieri, del Santo Protettore. E Senza Papa', visto che l'originario primo firmatario Edmondo Cirielli ha ritirato il suo nome dopo l'intrusione della norma Previti, benche' le burocrazie parlamentari, con qualche crudelta', ancora lo additino come il colpevole di una legge di cui si e' vergognato lui per primo. Ripetiamolo: e' una legge per abbattere i tempi della prescrizione e mandare libero Cesare Previti dai suoi guai presenti con i tribunali della Repubblica. E per mandare liberi insieme con lui - parola in aula del sottosegretario Vitali, consultare il resoconto stenografico di martedi' 26, seduta antimeridiana - altri centottantamila (180.000!) imputati all'anno. Insomma, salvarne circa un milione in cinque anni per salvarne uno una volta sola. Come senso di responsabilita', e come cultura della sicurezza, e come certezza della pena, non c'e' male davvero. E saranno coincidenze, ma se i giorni immediatamente successivi all'11 settembre il Senato era impegnato ventre a terra nell'approvazione del falso in bilancio, nei giorni immediatamente successivi alle bombe di Londra lo abbiamo ritrovato impegnato ventre a terra nell'approvazione della Salvapreviti. Anche questi sono titoli da esibire davanti alla comunita' internazionale. Due periodi da incubo globale, due leggi personali, due urgenze assolute: le leggi medesime. Ma e' questa oggi, in fondo, la cifra delle nostre istituzioni parlamentari. Ed e' bene rifletterci. * Perche', fra l'altro, questo e' avvenuto il giorno dopo che Carlo Azeglio Ciampi ha firmato la legge di riforma dell'ordinamento giudiziario. E lo ha fatto in un contesto che ora va ripassato attentamente. Diciamo subito, dunque, che il presidente della Repubblica non poteva fare altrimenti. Ma non perche' la legge di riforma fosse costituzionale. Piuttosto perche' si e' trovato davanti a una inedito dilemma. Egli ha dovuto scegliere, piu' precisamente, tra l'equilibrio politico-costituzionale del Paese (ossia la costituzionalita' della nostra vita politica e istituzionale) e la costituzionalita' di una singola legge. E responsabilmente ha scelto il primo corno del dilemma. Cio' non toglie che resti tutta intera la complessita' e la gravita' della partita che si e' aperta nelle ultime settimane intorno al Quirinale e che continua con la fragorosa approvazione di una nuova legge incostituzionale come quella di ieri. I giorni scorsi infatti sono stati segnati dagli stupefacenti attacchi della seconda e della terza carica dello Stato contro il Consiglio Superiore della Magistratura, organo a rilevanza costituzionale presieduto proprio dal presidente della Repubblica. Le ragioni sono note e sono state peraltro esplicitate dai protagonisti: aver messo, il Csm, all'ordine del giorno la discussione del nuovo testo della legge di riforma, attivita' perfettamente rientrante nelle sue attribuzioni istitutive. Domanda: la seconda e la terza carica dello Stato ignoravano forse che la legge attribuisce al Csm il compito di redigere pareri sulle norme che riguardano il funzionamento della giustizia? E' francamente impossibile crederlo. Piu' sensato pensare che entrambe abbiano agito su motivazioni e spinte di parte, temendo che il parere del Csm potesse confortare, in una qualche misura, l'ipotesi di un secondo rinvio della legge alle Camere. E che, essendo la riforma dell'ordinamento il cuore di un perverso e ferreo patto di potere interno alla maggioranza - legge Castelli contro legge Salvapreviti, appunto -, presidente del Senato e presidente della Camera non abbiano fatto altro che condurre un attacco preventivo (quasi, si starebbe per dire, sul filo della sovversione costituzionale) contro il Csm ma soprattutto contro Ciampi, che con la sua firma aveva autorizzato l'ordine del giorno contestato. * Tra l'altro vi e' una ragione di piu' per ritenere grave quanto e' accaduto. Ragione che invece e' sfuggita quasi del tutto agli osservatori e agli stati maggiori della politica. E' infatti successo che lo stesso legislatore abbia sciolto ogni dubbio circa la natura incostituzionale della legge. Come si sa, la scuola che riteneva possibile un secondo rinvio (capeggiata dall'ex presidente della Corte Costituzionale Leopoldo Elia) poggiava sulla considerazione che l'emendamento anti-Caselli era stato introdotto nella legge dopo il rinvio alle Camere. E che quindi la legge, almeno in quella sua parte, attingeva una natura "nuova e diversa" da quella precedentemente licenziata. Ebbene, subito dopo gli attacchi del presidente del Senato e del presidente della Camera verso la coppia Csm-Quirinale, il senatore Luigi Bobbio, relatore della legge in Senato e proponente dell'emendamento anti-Caselli, ha nitidamente fatto sapere con pubblica dichiarazione, proprio mentre erano in corso le valutazioni del capo dello Stato, quale fosse la ratio della innovazione legislativa. E ha testualmente spiegato: "(la norma) impedisce che un magistrato con propensione a coltivare trame investigative sconfessate dai tribunali vada alla Procura antimafia". Ora, a parte la considerazione che il lavoro di Caselli a Palermo e' stato coronato da centinaia di condanne definitive e nei casi piu' infuocati (Andreotti, Dell'Utri) da nessuna "sconfessione", tali non essendo ne' la prescrizione ne' l'insufficienza di prove ne' la condanna in primo grado; a parte questo, dicevo, la realta' si e' venuta configurando in questo modo. Presidenti di Senato e Camera attaccano il Csm (e con esso il presidente della Repubblica) mentre si accinge a giudicare della costituzionalita' della legge, passata alla Camera con voto di fiducia. Il presidente della Repubblica non puo' non porsi il problema delle conseguenze che una sua scelta (anche se pienamente legittima) puo' avere, in queste condizioni, sul quadro costituzionale complessivo, tanto piu' mentre si e' aperto un conflitto diretto con il presidente del Consiglio sulla possibile data delle nuove elezioni politiche. Mentre il capo dello Stato compie le proprie delicatissime valutazioni, il legislatore, nella persona del relatore e proponente della norma piu' contestata, invece di ammorbidire il senso della propria innovazione lo espone nella forma piu' schietta e squadrata, spiegando a distanza che quella e' una legge incostituzionale in quanto intenzionalmente "contra personam". Il presidente a sua volta non puo' non sentire la sfida, riceve la conferma che si tratta di una legge incostituzionale nella lettera e nello spirito, ma sa anche (perche' gli e' stato fatto capire) che un suo nuovo rinvio scatenerebbe il cataclisma proprio sul piano dei piu' generali equilibri dell'ordinamento costituzionale. * Ecco la questione. Puo' un capo dello Stato essere messo nella condizione di dovere scegliere tra queste due alternative? Quanto si e' deteriorato il nostro ordinamento perche' questo sia possibile? Quanto sono effettivamente salde e piu' forti del gioco politico le nostre (plurime) garanzie costituzionali? Sta sempre piu' la politica logorando le nostre istituzioni? Non sono domande oziose. E d'altra parte se per far finire un processo se ne fanno finire centoottantamila l'anno, nessuno davvero puo' stare tranquillo. 3. RIFLESSIONE. UNA FRETTOLOSISSIMA LETTERA [La seguente lettera, le cui circostanze esterne sono facilmente intuibili e comunque prescindibili, e' stata diffusa attraverso la mailing list del gruppo di lavoro tematico della Rete Lilliput sulla nonviolenza e i conflitti (per contatti: glt-nonviolenza at liste.retelilliput.org)] Nel dibattito interno di quel partito si continua sovente a non capire - o meglio: a fingere di non capire, anche da parte di persone di notevole valore che pure avrebbero la strumentazione adeguata se solo volessero farne uso, ma qui a mio parere c'e' una scelta a priori di non voler capire, di non voler riconoscere - che il concetto di nonviolenza non solo designa altra cosa dalla passivita', dall'astensione, dalla rassegnazione, dalla fuga, dalla resa e dalla vilta', ma anzi definisce e propone proprio l'esatto contrario di queste forme di complicita' effettuale con la violenza. La nonviolenza in senso proprio, nella sua peculiarita' e pienezza, e' la lotta la piu' nitida e la piu' intransigente, la piu' concreta e la piu' energica, la piu' consapevole e la piu' rischiaratrice, contro ogni violenza; la lotta che della violenza tutto combatte e rigetta, anche il riprodurla nel proprio sentire ed agire. Se non e' questo, la nonviolenza e' polvere, ombra, nulla. E non e' casuale che proprio il movimento delle donne sia l'esperienza principe, la corrente calda, l'anello forte della nonviolenza in cammino. * Cosi' come non e' casuale che e' nella storia della presa di coscienza e delle lotte del movimento operaio che sono state elaborate e praticate massivamente la gran parte delle ragioni teoriche, delle metodologie organizzative e progettuali, delle tecniche deliberative ed operative, dei programmi economici, sociali e politici della nonviolenza; e che scelte implicitamente ma inequivocabilmente nonviolente caratterizzino le parti a mio avviso piu' feconde delle analisi e delle proposte d'azione marxiane (e non solo nell'ambito della critica e della lotta contro le teorie ingenuamente insurrezionaliste e contro le azioni ferocemente ed insensatamente terroristiche). I rigurgiti di piu' arcaiche tradizioni cospirative nichiliste, le frequenti riproposizioni di disperate insorgenze luddiste (in cui certo e' presente l'esigenza di un altro modello di sviluppo, ma che finiscono in una resa al sistema di potere laddove non si prefiguri un'alternativa: si veda invece come ad esempio Gandhi in un contesto di lotte che potevano dar luogo ad esiti meramente distruttivi trovo' l'alternativa - il "programma costruttivo" - ad esempio nella proposta dell'uso condiviso, personale e massivo ad un tempo, del filatoio a mano come base per lo swaraj), le derive violentiste di ispirazione soreliana, e il progetto leninista in cui l'apparato del partito s'insedia totalitariamente sulla classe e sulla societa', non sono ne' la corrente calda, ne' l'esperienza principale della storia del movimento operaio; come non lo e' l'operazione burocratica e l'impostazione positivistica della seconda internazionale che non casualmente precipita nella catastrofe dello sciovinismo e quindi del voto a favore dei crediti di guerra allo scatenarsi del primo conflitto mondiale. La corrente calda e la tradizione luminosa del movimento operaio e dei movimenti di liberazione ad esso intrecciatisi e' nella rivendicazione intransigente e concreta della dignita' di ogni essere umano, nell'internazionalismo che unifica l'umanita' intera in una medesima solidarieta' (il programma politico rivoluzionario della Ginestra di Leopardi, prima ancora che del Manifesto del '48), nel ripudio di ogni guerra e di ogni uccisione. Tutto cio' noi qui e oggi lo chiamiamo nonviolenza. * Sarebbe bene che volendo discutere di nonviolenza tutte e tutti - e massime chi ha ruoli di rappresentanza e direzione in organizzazioni politiche - si avesse l'umilta' di informarsi del fatto che il bel termine capitiniano "nonviolenza" traduce unificandoli i due termini gandhiani di "ahimsa" e "satyagraha", che hanno un campo semantico ricchissimo e certo complesso, ma non equivocabile, banalizzabile, o peggio sfigurabile nell'esatto contrario di cio' che significano. 4. ESPERIENZE. IL MOVIMENTO DELL'ARCA [Dal sito http://digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ riprendiamo la seguente breve nota informativa sul movimento dell'Arca fondato da Lanza del Vasto. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui' Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti: digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese) www.canva.org] La nonviolenza La nonviolenza e' un modo di fare che deriva da un modo di essere. Dire no alla violenza, e' prima di tutto riconoscerla in noi stessi per cominciare un cammino di trasformazione personale. E' cercare di mettere questa nonviolenza in pratica nelle relazioni con gli altri e se possibile con tutti gli esseri viventi e con tutta la natura. Questo implica numerose applicazioni che vanno dalla pedagogia alla giustizia, dall'agricoltura all'alimentazione, dalla ricerca di altre forma di vita sociale alla preservazione della natura, dalla risoluzione dei conflitti alla comunicazione positiva tra le persone. Per ciascuno e' un cammino di coerenza e di unita' di vita tra il pensiero, il dire e l'agire. Questa maniera di agire, chiamata "forza della verita'" da Gandhi, ci fa prendere coscienza delle nostre responsabilita' e ci conduce ad un impegno personale e pubblico di fronte alle ingiustizie e alla violenza. Questa lotta assunta per riportare la giustizia deve essere fatta nel rispetto dell'avversario, con dignita' ed intellligenza creativa. * L'Arca Grazie a Gandhi, il concetto di nonviolenza si e' diffuso largamente al di fuori dell'ambito religioso che ne e' il bacino tradizionale. Tutte le religioni sono depositarie di questa ricchezza, ma l'hanno sviluppata in maniera diversa. L'Arca si sforza di collaborare con tutte queste dinamiche religiose, ma anche con tutti gli uomini di buona volonta' che non sono toccati dalle forme religiose tradizionali. L'Arca prova a vivere la nonviolenza in tutti gli aspetti della vita, sperimenta una forma di vita indirizzata verso il servizio, la condivisione, la riduzione dei bisogni, il lavoro su di se' e impegnandosi contro le diverse forme di violenze. Silenzio e preghiera, lavoro, ricerca della bellezza, canto, danza e festa sono i segni della nostra unita'. Ciascuno trova il luogo e la forma del suo impegno nel movimento o in comunita'. Nelle comunita', celibi e famiglie condividono una vita fraterna di lavoro, di servizio e di ricerca spirituale. Tutte le comunita' hanno un modo di vita semplice. Alcune scelgono una vita rurale, lavorando la terra nel massimo rispetto. Altre privilegiano l'accoglienza e la formazione. Queata vita comunitaria si costruisce con l'esercizio della nonviolenza nel quotidiano: condivisione di compiti e responsabilita', prese di decisione, riconciliazione. In questa realta' si radica la vita di preghiera e silenzio dove ciascuno e' invitato ad approfondire la propria religione e a riconoscere il valore delle altre. I Compagni e le Compagne si impegnano con i voti in questa vita fraterna, nel rispetto del cammino di ognuno. * Il movimento dell'Arca E' costituito da persone che si indirizzano ai valori dell'Arca. I suoi membri tentano di conciliare obblighi professionali e familiari con le esigenze di una ricerca di verita' e di nonviolenza. Scelgono di condurre una vita semplice con un orientamento al servizio e alla condivisione. Prendono parte secondo la loro sensibilita' a diverse azioni nonviolente. I membri dell'Arca sperimentano di vivere nel loro quotidiano una presa di coscienza personale, nuove relazioni con il prossimo e le strutture sociali, la messa in opera di una giustizia riparatrice, il rispetto di cio' che ci circonda. Non sono questi i valori sui quali edificare una societa' nonviolenta? L'Arca si vota al servizio di questa ricerca che passa anche attraverso una riconciliazione degli uomini e donne di differenti religioni. Questa societa' e' da costruire con l'aiuto di tutti. * La carta del movimento dell'Arca in Italia Nel cammino di ricerca di verita' che ognuno di noi sta compiendo, sulle orme di Gandhi e Shantidas (Lanza del Vasto), noi sentiamo che il primo passo da compiere sia quello di una conversione personale. Ci orientiamo pertanto nel sostegno e nella verifica reciproca: - a lavorare su noi stessi, cercando di far evolvere la nostra vita interiore sulla base dell'insegnamento dell'Arca, per la conoscenza, il possesso e il dono di noi stessi, dedicando un tempo della nostra giornata alla pratica spirituale (richiamo, preghiera, meditazione, yoga...); - a vivere concretamente il servizio e l'accoglienza nei confronti di chi e' solo o nel bisogno; - ad uscire dai miti sociali e scientifici cercando costantemente la verita' nelle parole e negli atti; - a ricercare la semplicita' di vita, dando dei segni distintivi di essa a livello personale, nei consumi familiari, nelle tecnologie utilizzate, nelle attivita' espressive e culturali, nei modi di vivere il tempo libero e la festa; - ad essere attivi nel lavoro manuale e a sostenere coloro che vivono di questo tipo di lavoro. * La conversione personale e' favorita e potenziata da relazioni di comunione che facilitano la condivisione delle esperienze. Attraverso lo sforzo di mettere in parole le proprie esperienze comunicandole agli altri e attraverso l'ascolto delle esperienze altrui cerchiamo di vivere l'insegnamento non come un'ideologia, ma come un lavoro spirituale, in cui la dimensione interiore si completa con quella relazionale, nella ricerca della verita' e dell'unita', rispettando le diversita', incamminandoci a vivere quella convivialita' delle differenze che sta alla base dell'ecumenismo religioso. E' per questo che pur non vivendo in comunita', riteniamo comunque fondamentale vivere uno spirito comunitario: - considerando la famiglia la prima comunita' di vita; - approfondendo la nostra tradizione religiosa con un gruppo di riferimento; - accordandoci con i responsabili dell'Arca per tutto cio' che impegna il suo nome, seguendone le indicazioni di vita; - rendendoci corresponsabili della vita dell'Arca, mediante l'aiuto reciproco, la convivialita', la partecipazione agli incontri, alle feste e alle azioni nonviolente del movimento. * Caratteristica della nonviolenza e' entrare in un cammino spirituale che lega la conversione personale a quella sociale (cioe' politica e strutturale), il che oggi per noi vuol dire anche: - cercare di risolvere i conflitti propri e con gli altri attraverso l'accordo delle parti, sforzandosi sempre di capire le ragioni dell'altro; praticando il perdono e la riconciliazione, ristabilendo una sana relazione con se stessi, con gli altri e con Dio; - difendere la giustizia con le armi della giustizia. Questo significa per noi testimoniare sempre e in prima persona la verita', non delegare alle sole istituzioni o ad altri la risoluzione dei conflitti personali o sociali, assumendoci sempre la nostra parte di responsabilita' anche quando non sembriamo direttamente coinvolti o "parti in causa"; - manifestare i valori della nonviolenza nel nostro luogo di lavoro; - rispettare la ricerca spirituale di ognuno, lavorare per l'ecumenismo attraverso un movimento specifico; - vivere le obbedienze sociali, salvo quelle a cui obiettiamo, come autodisciplina e autoeducazione. * Sentiamo che il mondo intero soffre anche a causa di strutture sociali ed economiche che opprimono l'uomo, soprattutto il piu' debole. La nonviolenza ha in se' la possibilita' di ispirare anche la costruzione delle istituzioni pubbliche e la creazione di forme di convivenza diverse da quelle dominanti, pertanto: - cerchiamo di sostenere una comunita' di riferimento e, se possibile, di partecipare in qualche modo alla sua vita; - sosteniamo l'obiezione di coscienza, sia quella al servizio militare, sia quella alle spese militari, per costruire una prima istituzione pubblica di difesa alternativa; - valorizziamo le economie produttive e commerciali su bassa scala che vogliono contrastare l'attuale economia di sfruttamento dell'uomo e della terra; - cerchiamo di individuare nel nostro contesto territoriale, le forme di ingiustizia sociale, ricercando il contributo che la nonviolenza puo' fornire per la soluzione dei conflitti e per l'evoluzione del sistema in cui siamo inseriti; - cerchiamo di impegnarci in movimenti che lavorano dal basso e per la rimozione delle cause originarie dei problemi mantenendo strettamente uniti etica e politica, testimonianza e azione pubblica, direzione e servizio. Pace forza gioia. 5. LIBRI. DEBORAH SORRENTI: ALCUNI RECENTI LIBRI PUBBLICATI A CURA DEL CEMISS [Dalla rivista "Scripta manent" (www.scriptamanent.net), anno III, n. 22, luglio 2005, riprendiamo il seguente articolo di Deborah Sorrenti. Deborah Sorrenti, studiosa di storia contemporanea, e' laureata in lettere moderne e scienze politiche; ha collaborato con l'Istituto Affari Internazionali di Roma ed ha pubblicato vari articoli riguardanti problematiche relative ai rapporti fra gli Stati. Tra le opere di Deborah Sorrenti: L'Italia nella guerra fredda. La storia dei missili Juppiter 1957-1963, Edizioni Associate, Roma 2003] Il Centro militare di studi strategici (Cemiss) continua la pubblicazione di diverse interessanti ricerche sulle tematiche relative alla sicurezza internazionale. Altri studi, nel frattempo, sono stati dati alle stampe; prima di addentrarci in una, seppur rapida, disamina di essi, evidenziamo come la finalita' di queste pubblicazioni sia di rendere fruibili a tutti argomenti di solito trattati soltanto fra gli addetti ai lavori. Infatti, la semplicita' del linguaggio utilizzato e la relativa brevita' dei testi, nonche' le tematiche di attualita', le rendono accessibili ad un pubblico decisamente molto piu' vasto. Una prima analisi e' stata gia' effettuata, su queste stesse colonne, da Mirko Altimari (cfr. nel sito www.scriptamanent.net). * Cosa pensano gli italiani sulle missioni militari Uno dei lavori di cui parliamo e' quello di Maria Luisa Maniscalco, che firma il risultato raggiunto dal gruppo di sociologi da lei coordinato in un libro dal titolo Opinione pubblica, sicurezza e difesa europea (Rubbettino, pp. 148, euro 7,50), nel quale si presenta una riflessione, peraltro suffragata da indagini campionarie, sulla coscienza collettiva che gli italiani hanno acquisito del concetto di difesa europea. Nel mutato scenario post-Guerra fredda la funzione svolta dalle forze armate e' progressivamente cambiata rivolgendosi adesso, principalmente, alla gestione dei conflitti e alla lotta contro il terrorismo. La ricerca, che si colloca in un ambito comparativo con studi simili svolti contestualmente anche in Francia e in Germania, affronta le problematiche relative al supporto reale che la cittadinanza offre al nuovo ruolo del militare, soprattutto con il fine di individuare un linguaggio comune fra cittadini e istituzioni per realizzare una migliore comunicazione che favorisca l'elaborazione di un progetto sostenuto da entrambe le parti. In particolare, ci si riferisce alle missioni di "peace-keeping" che comportano per la nazione impegnata nelle operazioni di pace anche un notevole sforzo economico, elemento centrale questo, specialmente per l'Italia, dove l'attivita' all'estero e' divenuta precipua per le forze armate, collocando il paese ai primi posti nella lista dei sostenitori delle Nazioni Unite. L'approccio utilizzato e' quello peculiare degli studi sociologici che procedono per raggiungere risultati concreti focalizzandone origini e motivazioni; per questo, gli approfondimenti analitici attuati dai ricercatori consentono di fare delle valutazioni che vanno al di la' del semplice dato. Le formule di acquisizione delle informazioni, attraverso la distribuzione di questionari e il rilevamento di interviste personali, fanno si' che il canale di comunicazione istituitosi fra il tecnico intervistatore e il soggetto indagato sia tale da offrire spazio all'espressivita' in senso piu' completo anche attraverso la presentazione di domande aperte e non soltanto di alternative di risposta predefinite. Gli esiti finali dell'analisi scientifica condotta dalla Maniscalco denotano un quadro ben chiaro: per quanto gli italiani abbiano confermato il proprio tradizionale europeismo e la consapevolezza dell'opportunita' che oggi esista un sistema di difesa integrato con gli altri paesi europei, emerge in proposito la mancanza di una cognizione sufficientemente approfondita dell'argomento, provocata dall'assenza, quasi assoluta, di informazione sui quotidiani e attraverso i mezzi di comunicazione convenzionale piu' diffusi. In conclusione, si sottolinea l'importanza di promuovere un dibattito ampio a livello nazionale affinche' i cittadini italiani diventino spettatori sempre piu' attenti dei mutamenti che stanno interessando l'evoluzione dell'integrazione europea anche nei delicati ambiti della politica estera e di sicurezza, in modo da favorire uno sviluppo piu' democratico delle istituzioni dell'Unione Europea stessa. * I cambiamenti nelle famiglie di chi sceglie l'esercito Un'analisi innovativa per il panorama italiano e' quella condotta a termine da Mario Aldo Toscano e dal suo gruppo di lavoro a proposito delle famiglie dei militari. Il libro, che si intitola Tra due culture. Le problematiche della famiglia del militare (Rubbettino, pp. 130, euro 9), presenta i risultati rilevati attraverso le interviste effettuate ai componenti delle famiglie dei militari e a loro stessi, con la finalita' scientifica di comprendere quali siano i problemi connessi con lo svolgimento di una tale professione. La specificita' dell'attivita' militare che, a causa dei numerosi trasferimenti e delle lunghe permanenze fuori casa, ha effetti diretti sulla capacita' progettuale a lungo termine del nucleo familiare e sulla sua stabilita' - in un momento storico in cui le donne non rivestono piu' solamente il ruolo di casalinghe, ma aspirano anch'esse a realizzare compiutamente le proprie ambizioni professionali - viene studiata e messa a confronto con l'evoluzione della famiglia. La ricerca si fonda sulla base del concetto stesso di famiglia come nucleo fondante della societa', specialmente in un paese come l'Italia in cui essa ha avuto, ed ha tuttora, un ruolo catalizzatore di notevole rilevanza. Nel contesto scientifico italiano, questa di Toscano e' un'indagine del tutto nuova e il riferimento agli studi compiuti all'estero e' per questo molto frequente. Una delle ricerche piu' interessanti in proposito e' stata quella condotta qualche anno fa negli Stati Uniti, da David Segal, che concentro' la sua attenzione in particolare sulle famiglie dei soldati in missione di pace per comprendere quali modifiche sostanziali richiedesse il sistema di supporto, materiale e psicologico, che le forze armate statunitensi avevano approntato per attenuare i disagi delle persone coinvolte. I problemi che si presentano in un simile contesto sono di portata piuttosto seria, si parla addirittura della necessita' di una sorta di reinserimento del militare all'interno della propria famiglia dopo un lungo periodo di assenza. Si verifica, infatti, che il nucleo parentale acquisisca un'autonomia talmente spiccata da arrivare a prescindere dalla presenza del famigliare. Le conclusioni raggiunte dallo studio mettono in risalto il forte ritardo degli apparati militari italiani nell'approntare strutture di appoggio, psicologico e non solo, per le famiglie costrette a trasferirsi frequentemente e sottolineano la necessita' di organizzare una rete di collaborazione famiglia-organi militari al fine di mitigare il piu' possibile le difficolta' generate dall'impegno professionale di un componente importante per l'equilibrio familiare. * Manager e leader nelle organizzazioni militari Un'altra interessante pubblicazione patrocinata dal Cemiss e' quella diretta da Teresa Ammendola, esperta di sociologia militare, intitolata Guidare il cambiamento: la leadership nelle Forze Armate Italiane (Rubbettino, pp. 160, euro 8,50). Lo studio si propone l'obiettivo di analizzare l'evoluzione della gestione manageriale all'interno dell'Aeronautica, dell'Esercito e della Marina italiani per comprendere quali mutamenti vi siano stati parallelamente all'evoluzione della professione militare negli ultimi anni. Il criterio scientifico e' quello della sociologia che, individuando nelle interviste i suoi strumenti, interpreta i risultati alla luce delle teorie relazionali al fine di stabilire non tanto dati e quantita', quanto piuttosto la qualita' dei rapporti umani presi in esame. Innanzitutto viene sottolineata una fondamentale differenza fra "manager" e "leader": infatti il primo organizza le persone mentre il secondo le orienta. Questa diversita' di ruolo e di funzione evidenzia come quest'ultimo debba possedere doti personali di credibilita' tali da guadagnarsi il consenso di chi e' sottoposto alla sua attenzione. Ma questo elemento non basta. Infatti i risultati di un buon lavoro di leadership sono dati dalla qualita' della relazione che si instaura fra colui che conduce e colui che viene guidato. Nel libro si trovano sviluppati i molti aspetti relativi a tale concetto, sia esplicando una panoramica sulla letteratura riguardante l'argomento, sia indagando su come lo stesso si sia evoluto all'interno delle forze armate avvicinandosi sempre piu' ai parametri civili. Oggetto della ricerca sono stati gli ufficiali di primo livello, proprio per il loro ruolo principalmente organizzativo, che si distingue da quello degli ufficiali superiori che svolgono funzioni piu' precisamente di pianificazione. Emerge come ad una visione ideale del capo, che agisce in base all'emozionalita' e all'empatia con i suoi sottoposti, se ne accosti un'altra piu' realistica e critica che sottolinea come vi sia una mancanza di indicazioni precise all'interno degli apparati per la formazione degli ufficiali. La firma alle conclusioni della ricerca e' quella di un noto sociologo militare, Fabrizio Battistelli, che individua alcuni suggerimenti, o soluzioni, alla questione esaminata, fornendo un ulteriore strumento di conoscenza alla dirigenza militare. I problemi piu' rilevanti affiorati con lo studio effettuato riguardano sostanzialmente tre ambiti: i criteri di scelta dei futuri comandanti, l'iter formativo fino alla laurea, la verifica periodica in corso di carriera. Le proposte avanzate dai ricercatori indicano dei rimedi simili a quelli applicati dalle grandi imprese: selezione dei candidati esaminando anche la propensione del singolo alla leadership, un bagaglio formativo piu' fattivamente mirato, il monitoraggio dell'esperienza acquisita durante gli anni di lavoro. Il valore di questa ricerca risiede soprattutto nell'essere innovativa, per aver individuato come campo di indagine gli stessi militari che, pur essendo in Italia circondati tradizionalmente da un certo riserbo, ora cominciano a richiedere continui e stimolanti confronti con il mondo civile al fine di cambiare e migliorare le proprie potenzialita'. * Terrorismo islamico e relazioni transnazionali Gli ultimi due libri di cui ci occupiamo trattano delle questioni sorte in seguito al grave attentato terroristico voluto da Bin Laden a New York, l'11 settembre del 2001, in seguito al quale la politica internazionale ha subito forti scossoni e inversioni di rotta. Il lavoro di Maria do Ceu Pinto si intitola Islamist and Middle Eastern Terrorism: a Threat to Europe? (Rubbettino, pp. 86, euro 7,50) e affronta la questione del terrorismo internazionale come minaccia per gli stati europei. Nel libro si spiega come le origini del terrorismo islamico siano da individuare nell'irrisolta questione palestinese che, unita a fattori economici e ambientali, e' divenuta il supporto ideologico principale su cui si fondano le azioni eversive. Inoltre l'assetto internazionale delineatosi durante gli anni Novanta ha favorito la mancanza di un controllo delle forze sul campo che hanno intrapreso una lotta serrata contro la globalizzazione in difesa della loro cultura. E' noto che il principale nemico dei terroristi siano gli Stati Uniti, ma gli europei rientrano abbondantemente nella sfera della minaccia islamica in quanto legati agli Usa politicamente ed economicamente. Cio' non basta tuttavia a spiegare l'attecchimento di un fenomeno come quello eversivo; infatti l'autrice individua nelle maglie larghe della democrazia il terreno di coltura degli affiliati a organizzazioni come al-Qaeda, che reclutano adepti anche utilizzando metodi di comunicazione attualissimi come la rete web. Dalla ricerca effettuata si evidenzia che fino all'11 settembre i paesi europei, nel loro dialogo con il Pentagono sulla sicurezza comune, non avevano dato priorita' alla questione del terrorismo islamico, perche' presi dalla necessita' di risolvere i problemi che avevano con l'attivita' eversiva interna, come in Gran Bretagna e in Spagna. Gli attacchi terroristici che si erano verificati in passato erano stati interpretati come manifestazioni di situazioni contingenti, quali la condizione politica algerina, ma, nel tempo, l'Europa e' divenuta, suo malgrado, una base organizzativa importante per il terrorismo internazionale: tutto cio' ha contribuito a far alzare l'attenzione verso il problema portando ad una partecipazione piu' attiva e all'arresto di molti terroristi e affiliati. La studiosa portoghese individua, infine, due elementi che possono contrastare maggiormente l'avanzata delle forze terroristiche: il primo riguarda la necessita' di elaborare fra i paesi europei una legislazione transnazionale che faccia da supporto ai servizi di indagine al fine di indebolire il sistema terroristico. In secondo luogo gli europei dovrebbero continuare a partecipare alla guerra al terrorismo accanto agli Usa con il ruolo che hanno mantenuto in Afghanistan. * La collaborazione tra Usa e Russia Un altro libro del Cemiss che esamina le conseguenze politiche dell'11 settembre, firmato da Domitilla Sagramoso e scritto in lingua inglese, si intitola Russia's Western Orientation after 11th September. Russiaís Enhanced co-operation with Nato and the European Union (Rubbettino, pp. 68, euro 5). In questa ricerca si evidenzia come i rapporti internazionali della Russia di Putin siano cambiati dopo gli attentati del 2001, assumendo un ritmo piu' accelerato nel perseguire l'avvicinamento all'Occidente gia' "in itinere". Vengono presi in esame i progressi realizzati su due fronti, quello della collaborazione con la Nato e quello con l'Unione europea. Infatti il passaggio piu' importante che si e' portato a compimento e' stato la creazione, nel maggio del 2002, del "Nato-Russia council" all'interno dell'organico effettivo dell'Alleanza al posto di strutture gia' esistenti che avevano una funzione solamente consultiva. La collaborazione con gli Stati Uniti e' pero' divenuta fattiva con l'intervento in Afghanistan per il quale la Russia ha fornito appoggio sia logistico sia di intelligence, mostrandosi un prezioso ponte di comunicazione con i paesi dell'area asiatica. Per quanto attiene alla cooperazione in ambito europeo, la situazione e' piu' complessa a causa delle numerose differenze fra i due sistemi, specialmente per cio' che riguarda la gestione economica. Non si puo' affermare che i fatti di New York abbiano influito in modo consistente sulle relazioni fra la Russia e l'Unione Europea, ma si puo' constatare che i rapporti di scambio nell'ambito della politica di sicurezza e difesa siano diventati piu' intensi. L'autrice si pone la domanda se e per quanto tempo il presidente russo Putin continuera' nella sua linea di apertura con l'Occidente per la quale gli e' necessario un solido sostegno all'interno del suo paese. Difatti, nel sistema politico in cui si muove ci sono forti gruppi contrari a tali azioni di avvicinamento, come la chiesa ortodossa e i politici piu' conservatori, ma e' anche vero che egli e' riuscito finora a portare avanti la sua concezione di politica internazionale perche' ha cercato di procedere rispettando gli interessi russi, evitando, cosi', forti contrasti sul piano interno. 6. LETTURE. ELENA LOEWENTHAL: EVA E .LE ALTRE. LETTURE BIBLICHE AL FEMMINILE Elena Loewenthal, Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005, pp. 336, euro 17. La finissima studiosa e saggista legge con straordinaria liberta', profondita' e dolcezza, parole, volti e gesti del testo biblico. Un libro che vivamente raccomandiamo. 7. RILETTURE. SERGIO QUINZIO: LETTERE AGLI AMICI DI MONTEBELLO Sergio Quinzio, Lettere agli amici di Montebello, Fondazione Alce Nero, Isola del Piano (Pesaro Urbino) 1997, pp. 94, lire 18.000. Il volumetto raccoglie varie lettere scritte da Sergio Quinzio a Gino Girolomoni, Piero Stefani, Theobald Kneifel, Daniele Garota, con contributi degli interlocutori e un intervento di Patrizio Flavio Quinzio. 8. RILETTURE. SERGIO QUINZIO: L'ESILIO E LA GLORIA. SCRITTI INEDITI 1969-1996 Sergio Quinzio, L'esilio e la gloria. Scritti inediti 1969-1996, "In forma di parole", Bologna 1998, pp. 144, lire 25.000. Aperta da un ricordo di Gianni Scalia e da due note dei curatori Anna Giannatiempo Quinzio e Francesco Permunian, una raccolta di estratti da lettere e appunti, impreziosita da alcune assai belle fotografie. 9. RILETTURE. SERGIO QUINZIO, LEO LESTIGI: LA TENEREZZA DI DIO Sergio Quinzio, Leo Lestigi, La tenerezza di Dio, "Liberal" - Atlantide Editoriale, Roma 1997, pp. X + 78, lire 15.000. Un'ampia intervista del 1991, inizialmente concepita come base per un'autobiografia poi non piu' realizzata; Quinzio racconta generosamente la sua vita, i suoi pensieri, le sue opere. 10. RILETTURE. "BAILAMME": SERGIO QUINZIO IN MEMORIAM "Bailamme", Sergio Quinzio in memoriam, n. 20, dicembre 1996, Cens, Melzo (Milano) 1996 (ma finito di stampare nel febbraio 1997), pp. 304, lire 35.000. Un bel volume monografico con contributi di Salvatore Natoli, Massimo Cacciari, Mario Tronti, Alessandro Barban, Pino Trotta, Fabio Milana, David Bidussa, Edoardo Benvenuto, Stefano Mistura, Luisa Muraro, Angelo Varesi, Erri De Luca, Emma Fattorini, Michele Ranchetti, Boghos Levon Zekyan, e un'ampia conversazione con Quinzio di Gabriella Caramore del 1991. Il volume reca anche in appendice (alle pp. 275-301) una utilissima bibliografia di Sergio Quinzio a cura di Anna Giannatiempo Quinzio, Nicola Baldoni, Calogero Rizzo 11. RILETTURE. "HUMANITAS": SERGIO QUINZIO. LE DOMANDE DELLA FEDE "Humanitas", Sergio Quinzio. Le domande della fede, a. LIV, n. 1, febbraio 1999, Morcelliana, Brescia 1999, pp. 176, lire 20.000. Un bel volume monografico con contributi di Maurizio Ciampa, Achille Silvestrini, Fabrizio Desideri, Claudio Ciancio, Piero Stefani, Enzo Omaggio, Massimo Iiritano, Gino Ruozzi; inoltre un inedito di Quinzio del 1995, e un'ampia intervista a Quinzio a cura di Giancarlo Burghi anch'essa del 1995. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1011 del 3 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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