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La domenica della nonviolenza. 31
- Subject: La domenica della nonviolenza. 31
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 24 Jul 2005 11:28:33 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 31 del 24 luglio 2005 In questo numero: 1. Azioni nonviolente contro la guerra: la proposta del boicottaggio economico 2. Movimento Internazionale della Riconciliazione e Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta: Prendere le distanze 3. Jan Oberg: Altri quattro anni di governo Bush. Quali possibilita' esaltanti 4. Johan Galtung: Il boicottaggio economico come azione nonviolenta 5. Una minima bibliografia essenziale 1. EDITORIALE. AZIONI NONVIOLENTE CONTRO LA GUERRA: LA PROPOSTA DEL BOICOTTAGGIO ECONOMICO Riproponiamo di seguito alcuni recenti interventi apparsi sul nostro foglio che propongono di utilizzare lo strumento nonviolento del boicottaggio economico per opporsi alla guerra in corso. Come e' noto su questo tema e' in corso da lungo tempo un dibattito che afferisce sia a questioni di principio che a questioni di efficacia. Il boicottaggio economico e' una delle piu' conosciute tecniche della nonviolenza, ma come tutte le tecniche della nonviolenza essa puo' essere usata anche in modo violento ed a fini violenti da strutture e soggetti violenti: si pensi ai boicottaggi criminali organizzati ad esempio da organizzazioni antisemite e genocide; si pensi all'embargo decennale realizzato dall'Onu contro il popolo iracheno (ed effettualmente a sostegno della dittatura). Quanto all'efficacia, vi sono casi storici di boicottaggio che hanno ottenuti risultati opposti a quelli previsti; vi sono casi di quasi assoluta ininfluenza; e naturalmente - e felicemente - vi sono molti casi in cui questa azione nonviolenta si e' rivelata straordinariamente efficace sia come forma di lotta sia come strumento di presa di coscienza e pratica educativa: si pensi alla campagna di boicottaggio dell'industria tessile dell'impero britannico - ma anche di conquista interiore e politica dell'indipendenza e dell'autonomia, swaraj - promossa da Gandhi con l'idea luminosa del farsi da soli i vestiti col filatoio a mano, una delle idee piu' grandiose della storia della nonviolenza (una idea decisiva anche nel prefigurare un modello di sviluppo sostenibile, autocentrato e con tecnologie appropriate, una politica di pace tra le persone e con la biosfera, un progetto di societa' solidale e responsabile). Recentemente molta enfasi e' stata posta, dai movimenti del nord privilegiato e sfruttattore del mondo impegnati contro la globalizzazione, sul potere dei consumatori in quanto tali di opporsi ai crimini delle multinazionali boicottando i prodotti delle imprese che commettono delitti contro l'umanita' e la biosfera. C'e' il rischio anche in cio' di una subalternita', ma vi e' anche una consapevolezza decisiva, la rottura di una complicita'. Il motto "Voti ogni volta che vai a fare la spesa" puo' essere uno slogan narcotico se diventa il trucco con cui ci si salva a buon mercato la coscienza e si chiudono gli occhi sulle molte altre cose che occorre fare; ma e' anche un'affermazione irrinunciabile, una fondamentale presa di coscienza, una cruciale assunzione di responsabilita'. Tra i molti punti di riferimento per un'adeguata riflessione sul boicottaggio economico nonviolento, sul consumo critico e responsabile, sul commercio equo e solidale, ovviamente segnaliamo particolarmente il Centro nuovo modello di sviluppo (sito: www.cnms.it) e la Rete Lilliput (sito: www.retelilliput.org). 2. APPELLI. MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE E MOVIMENTO NONVIOLENTO DEL PIEMONTE E DELLA VALLE D'AOSTA: PRENDERE LE DISTANZE [Dal n. 820 di questo foglio. Dagli amici del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta (per contatti: via Garibaldi 13, Torino, tel. 011532824, e-mail: regis at arpnet.it) riceviamo e volentieri diffondiamo questo documento. Lo proponiamo come una utile base di riflessione e discussione, e come una qualificata proposta di iniziativa nonviolenta, pur avendo su alcuni punti di esso qualche perplessita', come e' ovvio trattandosi di un testo assai denso, articolato e complesso] Prendere le distanze Come ci si puo' e ci si deve opporre a una guerra di aggressione priva di sbocchi E' in atto, su una rete telematica internazionale del movimento per la pace, una campagna per l'astensione dall'acquisto di prodotti americani e inglesi come forma di pressione sui due paesi che hanno mosso guerra allo stato iracheno. In Italia e' stata avviata una campagna analoga promossa dalla Rete Lilliput e sostenuta da varie associazioni. * Le conseguenze della guerra irachena Gli Stati Uniti, insieme alla Gran Bretagna e a pochi altri paesi (che hanno messo a disposizione piccoli contingenti di truppe), sono impegnati in una guerra molto sanguinosa e dispendiosa in Iraq, che ha gia' causato gravissimi danni in tutto il paese (alcune citta' sono state praticamente distrutte) e ucciso, secondo una statistica pubblicata di recente nella rivista inglese "The Lancet", circa centomila civili (in gran parte vittime dei bombardamenti e delle battaglie che si svolgono nelle strade). Ai morti bisogna aggiungere i feriti, che stanno, in generale, in un rapporto da 5 a 10 volte superiore rispetto ai primi. * Le perdite americane Le perdite americane sono molto inferiori, ma ascendono tuttavia anch'esse a 1.300 morti e a una cifra da 5 a 10 volte superiore di feriti. * I falsi scopi o pretesti della guerra Lo stesso governo americano ha ammesso che le armi di distruzione di massa che sarebbero state in possesso di Saddam Hussein non esistevano affatto e che tutti i responsabili dell'attacco alle Torri Gemelle di New York provenivano da altri paesi arabi (in gran parte dall'Arabia Saudita) e non avevano nulla a che fare con l'Iraq. * Le vere ragioni sono altre Gli scopi dell'aggressione angloamericana a uno stato che era stato tenuto sotto sorveglianza per dodici anni e che non poteva certo costituire un pericolo per la popolazione degli stati aggressori erano ben diversi, e si possono suddividere, salvo ulteriori precisazioni, in due gruppi principali di fattori. * Il controllo delle risorse petrolifere Il primo e' rappresentato dalle ingenti risorse petrolifere contenute nel sottosuolo iracheno e che possono essere di importanza vitale per un paese letteralmente assetato di benzina e di altre specie di idrocarburi come gli Stati Uniti d'America. * ... e una strategia intesa ad affermare la propria supremazia su tutto il pianeta Il secondo e' di natura geopolitica e si collega alla politica americana di espansione militare in Asia e piu' in generale in tutto il mondo. Le forze aeronavali americane sono disseminate in tutti i continenti e nella maggior parte dei paesi del mondo. Esse costituiscono, nel loro insieme, una rete che permette alle forze armate e alle agenzie spionistiche americane di tenere sotto il loro controllo la maggior parte dei paesi del mondo. L'Iraq, che e' situato al centro della regione medio-orientale, presenta un interesse particolare da questo punto di vista. * La democrazia internazionale e la pace Questa politica di espansione territoriale deve essere contrastata, con mezzi esclusivamente pacifici, e cioe' nonviolenti, da tutti i paesi e in tutte le parti del mondo. E cio' per due ragioni fondamentali: che essa minaccia la liberta' e l'indipendenza politica delle nazioni e costituisce un focolaio permanente di guerre che minacciano la pace del mondo. * La necessita' di una presa di distanza Per indurre il governo americano a recedere da questa politica avventurosa e potenzialmente gravida di pericoli per tutti i paesi del mondo, puo' essere necessario, in determinate circostanze (e questa e' certamente una di esse), ricorrere a mezzi che, pur essendo del tutto non violenti, possono esercitare una certa pressione sul governo e sul popolo americano con quella che si potrebbe chiamare una "presa di distanza" da parte di tutti gli altri paesi e popoli del mondo. * ... che dovrebbe assumere la forma di un boicottaggio delle merci americane Essa dovrebbe assumere, in particolare, la forma di un'astensione la piu' larga possibile dagli acquisti di prodotti di marche americane, come pure di prodotti finanziari emessi dal tesoro americano o da ditte americane e reperibili sulle borse di tutto il mondo. * La nostra gratitudine nei confronti degli Stati Uniti Noi siamo amici degli Stati Uniti, che sono un grande paese, che ha preceduto tutti gli altri, nel corso dell'eta' moderna, sulla via delle istituzioni democratiche e repubblicane, e a cui dobbiamo, almeno in parte (poiche' non sono stati i soli a sconfiggere i demoni della follia nel corso della seconda guerra mondiale), la possibilita' di vivere in liberta' e di usufruire di tutta una serie di altri vantaggi. * ... che si trovano pero', attualmente, su una strada sbagliata Ma riteniamo che essi si trovino attualmente, in seguito agli errori commessi dal loro governo, e, in parte, anche da quelli che lo avevano preceduto, su una strada fondamentalmente sbagliata, che sfigura la loro immagine agli occhi del mondo, e ci proponiamo di aiutarli a ritrovare, al piu' presto possibile, quella giusta, o comunque compatibile con le esigenze di tutti gli altri paesi, tirando, da parte nostra, tutte le conseguenze possibili e necessarie da cio' che stanno facendo, e dando loro un esempio del modo in cui si possono usare mezzi pacifici in vista del conseguimento di obbiettivi ugualmente pacifici, nell'interesse comune di tutti i popoli del mondo. * L'impegno delle Ong umanitarie Molte organizzazioni non governative, alcune delle quali partecipano a questa campagna, sono impegnate in diverse parti del mondo, nel tentativo di portare soccorso a popolazioni decimate dalla fame, dalle malattie, dalla mancanza di mezzi e di risorse, e spesso anche dalle conseguenze delle guerre che imperversano nei loro paesi. * Il mercato delle armi Spesso queste guerre sono alimentate dalle grandi potenze industriali, che non si peritano di esportare, a fini di lucro, grandi quantita' di armi e di forniture militari in tutti gli altri paesi del mondo. Gli Stati Uniti occupano il primo posto fra questi "mercanti di morte", ma molti altri stati, come l'Inghilterra, la Francia, la Russia e (seppure in misura piu' limitata) anche il nostro paese, partecipano a questo genere di commercio che non e' meno, ma forse ancora piu' pericoloso di quello delle droghe e di altre sostanze nocive alla salute degli esseri umani. * La resistenza alle guerre di aggressione Ma ancora piu' perniciose del commercio delle armi, in quanto non colpiscono solo la vita e la salute degli esseri umani, ma minacciano direttamente anche l'indipendenza dei loro paesi d'origine, a cui essi tengono, a volte, piu' ancora che alla vita stessa, sono le guerre di aggressione condotte in prima persona dalle grandi potenze, in aperta violazione della Carta dell'Onu (come e' avvenuto per l'appunto in questa occasione), a cui esse dovrebbero attenersi strettamente, se non altro per dare l'esempio, come e piu' ancora delle piccole. * I compiti dei movimenti nonviolenti Il Movimento Internazionale della Riconciliazione e Il Movimento Nonviolento del piemonte e della Valle d'Aosta, che si propongono di limitare e di ridurre al minimo tutti gli inconvenienti che sono stati elencati in questo volantino, sentono il dovere di impegnarsi anche, e in primo luogo, negli sforzi intesi a contrastare, con mezzi esclusivamente pacifici, le azioni dirette ad assoggettare altri popoli e a privarli della loro liberta' e delle risorse materiali di cui essi possono disporre. * Un appello al popolo americano Invitiamo quindi tutti i nostri connazionali, a prescindere dalle loro affiliazioni politiche e religiose, ad aderire alla campagna a cui abbiamo dato vita, insieme ad altre associazioni italiane, e che e' stata promossa con argomenti impeccabili anche in altri paesi, con cui ci proponiamo di indurre il popolo americano, i suoi operai e i suoi studenti, i suoi intellettuali e i suoi tecnici, i suoi uomini e le sue donne, a dissociarsi dalla politica guerrafondaia del loro governo, e a fare in modo che esso ritiri al piu' presto le sue truppe dall'Iraq, lasciando che i cittadini di quel paese risolvano fra loro, in uno spirito di unita' e di concordia, e con l'aiuto disinteressato degli operatori umanitari di altri paesi, che sono al corrente delle sofferenze a cui sono stati sottoposti da molti anni a questa parte, i problemi che li riguardano. * Un elenco provvisorio delle merci da boicottare L'elenco che forniamo di alcuni dei prodotti americani e inglesi che si trovano piu' facilmente nei nostri supermercati, che e' stato redatto dal "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano (Pisa), collegato alla Rete Lilliput, ha un carattere puramente indicativo, e sara' integrato quanto prima da un repertorio piu' completo e piu' dettagliato, che potra' servire da strumento di consultazione a tutti coloro che sentono il bisogno e comprendono la necessita' di aderire a questa campagna. Essa non e' fine a se stessa e non intende colpire in nessun modo questa o quella ditta particolare, che puo', ma potrebbe anche non essere coinvolta direttamente nelle colpe del proprio governo. Essa, inoltre, avra' termine, non appena l'ultimo soldato americano avra' lasciato l'Iraq, in cui si e' stabilito, in modo del tutto illegittimo, come forza di occupazione straniera, per ritornarvi magari domani, in abiti civili, come ospite o pellegrino, dopo avere chiesto perdono a quel popolo martoriato e al governo che, come si puo' sperare, esso si sara' dato liberamente in questo frattempo (cio' che non potra' certo avvenire nelle elezioni che dovrebbero tenersi alla fine di gennaio). * Un esempio per l'avvenire La campagna irachena, con le distruzioni immani che ha operato, e con le decine di migliaia di morti e le centinaia di migliaia di feriti che ha causato nella popolazione civile, dovra' servire da esempio, per tutto l'avvenire (a cominciare, naturalmente, dagli Stati Uniti d'America e dai loro alleati, ma anche a tutti gli altri paesi e popoli del mondo), del modo in cui non ci si deve comportare nelle relazioni internazionali; e segnare, coi suoi effetti, una svolta decisiva nella storia del nostro mondo, come una soglia che non dovra' mai, in nessuna circostanza, essere oltrepassata e come un limite insuperabile alle ambizioni e alle prepotenze a cui le grandi nazioni sono state spesso, e potranno ancora essere, tentate di indulgere, e su cui dovra' vigilare, d'ora in avanti, l'attenzione costante e rigorosa di tutta l'umanita' non violenta. * Ecco la lista dei 16 prodotti che invitiamo a non acquistare Questo elenco e' stato stilato dal "Centro nuovo modello di sviluppo" (autore del libro Guida al consumo critico edito dalla Emi di Bologna) Si indicano in sequenza il prodotto, la marca e la multinazionale Banane Del Monte Fresh Del Monte Banane Dole Maionese e salse Liebig Campbell Tonno e sardine Mare Blu Heinz Sottilette e formaggi Kraft Altria (ex Philip Morris) Cereali Kellogg's Kellogg Cioccolatini M&M Mars Bibite Coca Cola Bibite Gatorade PepsiCo Carta assorbente Scottex Kimberly-Clark Carta assorbente Tenderly Georgia Pacific Anitra WC Johnson Wax Detersivo Soflan Colgate Palmolive Bagnoschiuma Badedas Sara Lee Assorbenti Lines Procter & Gamble Assorbenti Carefree Johnson & Johnson 3. RIFLESSIONE. JAN OBERG: ALTRI QUATTRO ANNI DI GOVERNO BUSH. QUALI POSSIBILITA' ESALTANTI [Dal n. 789 di questo foglio. Ringraziamo Renato Solmi (per contatti: rsolmi at tin.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione di questo testo di Jan Oberg estratto dal notiziario della Transnational Foundation for Peace and Future Research (in sigla: TFF; sito: www.transnational.org) che ne detiene i diritti di copia. Su Renato Solmi, Jan Oberg e Johan Galtung cfr. le notizie biobibliografiche contenute nella nota introduttiva al successivo articolo] Con l'aiuto di un po' di pensiero dialettico, altri quattro anni con George W. Bush al timone dell'impero americano possono finire per rivelarsi una grande opportunita' per l'emergenza di qualcosa di nuovo e di meglio. Nell'altalena incessante della crisi, c'e' (o, per dir meglio, ci sono) sia la sofferenza causata dal vecchio che i primi germi di visioni relative al nuovo che matura. E ci sara' da soffrire, non c'e' dubbio, nel corso dei prossimi quattro anni, nessuno degli argomenti che svilupperemo qui e' ignaro di questo fatto. E tuttavia chi si dispera eccessivamente per la rielezione di Bush potrebbe contribuire ad accrescere la sofferenza piuttosto che a realizzare i potenziali positivi che sono a nostra disposizione. Cerchiamo almeno di rimboccarci le maniche e di metterci subito al lavoro. * 1. Critiche e proteste che non vadano in cerca di alternative costruttive sono uno spreco di energia Una lezione da apprendere dalle guerre piu' recenti, dalla guerra contro il terrorismo e dalla rielezione di Mr. Bush, e' che non basta protestare e criticare, ma che ci deve essere anche quello che Gandhi chiamava un programma costruttivo. Vedi il comunicato n. 200 della Transnational Foundation for Peace and Future Research [intervento che abbiamo pubblicato nel fascicolo di ieri di questo notiziario - ndr-] per altre considerazioni in merito. Ci devono essere alternative bene informate elaborate da organizzazioni della societa' civile o da governi critici nei confronti della politica americana che si basino su una conoscenza oggettiva delle cose come pure su nuove idee e su nuove mete congiunte a una qualche strategia creativa in vista dell'azione. I prossimi quattro anni non possono essere dedicati a marce contro questa guerra oggi e contro quella guerra domani e alla campagna contro la globalizzazione; le energie della societa' civile debbono essere indirizzate a rispondere alla questione piu' importante di tutte: se non vogliamo questo, che cosa vogliamo invece al suo posto e che cosa dobbiamo fare per raggiungere quell'obiettivo? Saranno necessari piu' circoli di studio, corsi di lezioni, tecniche di addestramento e occasioni di dialogo che marce collettive per ottenere questo risultato. Ci sara' bisogno di cuori, e cioe' di etica, valori e speranze; ci sara' bisogno di cervelli, e cioe' di educazione, intelligenza teorica, chiarezza di concetti e programmazione razionale dell'azione; e ci sara' bisogno di muscoli, e cioe' del coraggio di pensare, di parlare e di agire in modo nonviolento, non contro gli Stati Uniti o contro qualche problema particolare, ma per i "dannati della terra" e per nuove forme di vita. * 2. Sappiamo abbastanza della natura del governo Usa per elaborare cambiamenti a partire da oggi Sappiamo ora a quali valori, a quale stile di direzione e a quali politiche basate sulla violenza potremo trovarci ad assistere d'ora in avanti. Conosciamo gli elementi fondamentali del carattere del presidente e delle sue convinzioni, fra le quali c'e' quella di stare agendo per mandato divino. La cosa positiva e' che non avremo da spendere tempo per avanzare supposizioni e fare esperienze; come sarebbe stato invece necessario se avessimo avuto a che fare con una nuova amministrazione a Washington. Alcuni credono, sperano e sentono il bisogno di dire che nel secondo mandato presidenziale di Bush potremo assistere a una maggiore quantita' di multilateralismo e a una maggiore quantita' di collaborazione. Ma nulla parla a favore di questa previsione, che e' solo un'espressione di "pensiero desiderante" ("wishful thinking", una pia illusione). Al contrario, il mandato piu' forte che egli ha ricevuto ora puo' far si' che la spericolatezza delle decisioni e la hybris del comportamento vengano ancora di piu' in primo piano nell'operato della sua amministrazione. * 3. Non sara' possibile che governi provvisti del senso della propria dignita' si schierino passivamente sotto la guida degli Usa Scrivo queste righe mentre Falluja viene distrutta, nel quattordicesimo anno della distruzione del popolo iracheno e della sua societa'. Capi di governo provvisti del senso della loro dignita' troveranno sempre piu' difficile sostenere o difendere apertamente o tacitamente la politica estera americana in generale e gli interventi e le operazioni belliche a cui potrebbe dar luogo in particolare. L'opposizione interna nei paesi europei e nel mondo arabo, per limitarci ai casi piu' significativi, mettera' molti governi alle strette e in grave imbarazzo. La mancanza patente di legittimita' e di sostegno spingera' un numero sempre maggiore di uomini politici a pensare in termini di nuove alleanze e di maggiore autonomia di decisioni e di movimenti. Controcorrenti emergeranno lentamente, ma sicuramente, nel corso di questo processo. Dove questo senso della propria dignita' non esista, si potra' verificare una crescente minaccia terroristica - e cio' finira' per imporre necessariamente un cambiamento, anche se forse solo dopo tremende sofferenze e dopo la perdita di molte vite. Cosi' ci potranno essere altre azioni di carattere militare, ma una nuova occupazione modellata sull'esempio iracheno non potra' aver luogo. * 4. L'azione preventiva prendera' il posto della reazione alle politiche di Washington La politica opportunistica e intellettualmente oziosa che consiste nello stare a vedere cio' che gli americani pensino o facciano in una determinata situazione e poi nel far prendere posizione al proprio paese in rapporto o come reazione al comportamento degli Usa dovrebbe, prima o poi, lasciare il passo a una politica molto piu' "pro-attiva": siamo disposti a sentire cio' che ci dice Washington, ma sviluppiamo le nostre vedute e le nostre decisioni politiche in vista della nostra azione futura. Il futuro verte sul dialogo che ha luogo fra di noi, e si conformera' a questo pluralismo e non a una sottomissione disciplinata. E quanto maggiore sara' il numero delle nazioni che cominciano a stare ritte sui propri piedi, e cioe' a muoversi per proprio conto, tanto maggiore sara' l'equilibrio che si verra' a formare nell'ordine globale. Cosi' nessun paese dovrebbe restare fermo ad aspettare di vedere che cosa gli Stati Uniti faranno nei confronti della Corea del Nord, dell'Iran, della Siria, o di qualche altro attore indipendente; ma ciascuno di essi, e in particolare l'Unione Europea, dovrebbe sviluppare la sua politica autonoma e impegnarsi in una gestione pacifica dei conflitti e in una diplomazia genuina e creativa. Francia e Germania non possono piu', in futuro, come hanno fatto nel caso dell'Iraq, limitarsi a dire di "no" alla guerra e mancare, d'altra parte, di ogni possibile alternativa ad essa. * 5. Questa e' un'occasione straordinaria per l'Unione Europea L'Unione Europea, in particolare, dovrebbe essere capace di cogliere questa opportunita' adesso. Non c'e' alcuna possibilita' che essa sia capace di fronteggiare gli Stati Uniti in termini militari. La sola alternativa che l'Unione Europea possa avere e' quella di "prendere insieme" i propri atti di politica estera e di sicurezza collettiva - anche se non necessariamente nella forma di una politica unitaria dominata da poche grandi potenze, ma piuttosto come un insieme di alleanze flessibili e di schemi cooperativi fra gruppi relativamente mobili di membri. L'Unione Europea potrebbe facilmente diventare molto piu' attrattiva agli occhi di attori collocati nel Medio Oriente, nell'Asia Centrale o nell'Asia propriamente detta, come altresi' nell'Africa; cio' dipendera' dalla misura in cui essa diventera' il gestore affidabile dei conflitti, dotato, se si puo' dir cosi', di una "potenza morbida", il mediatore, l'organizzazione fornita di esperti ben addestrati nella promozione del dialogo fra le parti e di migliori capacita' di analisi e di diagnosi degli avvenimenti mondiali e di ricerca dei modi piu' adatti a risolvere i conflitti. Insomma, pronta ad offrire al mondo cio' che gli Stati Uniti non sono in grado di fornire. Il vantaggio comparativo dell'Unione Europea e' potenzialmente enorme, quando la si confronti agli occhi del resto del mondo con la distruzione operata da Washington di ogni potenzialita' di un ordine mondiale basato sulle leggi e improntato a uno spirito di giustizia. Spendere molto di piu' per la ricostruzione, la riconciliazione, gli aiuti umanitari e la gestione dei conflitti civili, prima, nel mentre e dopo che gli Stati Uniti abbiano devastato il posto, sara' di aiuto a milioni di persone e fara' vedere a tutti la differenza. L'Unione europea e' forte nelle dimensioni politiche, economiche, sociali e culturali del potere, mentre gli Stati Uniti lo sono solo in quella militare e stanno declinando nelle altre quattro. Se l'Unione Europea non sfrutta questa occasione storica in cui la grande maggioranza degli abitanti del mondo cercano ansiosamente un'alternativa a quella rappresentata dall'impero americano, bisognerebbe concludere che l'Unione stessa potra' avere difficilmente un grande avvenire nell'ordinamento complessivo del mondo. Come gli Stati Uniti hanno conquistato, a suo tempo, la loro indipendenza dall'Europa, tocca ora agli europei fare la stessa cosa dal punto di vista politico e soprattutto da quello intellettuale. Ci dovrebbero essere meno cervelli americanizzati nei ministeri europei degli affari esteri nel prossimo futuro, e ci dovrebbe essere, invece, nei nostri rappresentanti, un po' piu' di autonomia intellettuale e morale e di confidenza collettiva in se medesimi, e un po' piu' di compassione verso il resto del mondo nel suo complesso. Le opportunita' oggettive appaiono migliori di quanto non siano mai state dal 1945 ad oggi. Percio' siate pure disposti a cooperare con gli Stati Uniti quando la cosa e' nell'interesse dell'Europa, ma non siate sottomessi, e cessate di credere alla figura paterna, seguendo l'esempio degli abitanti dell'Europa orientale, che hanno liberato se stessi dagli spiriti paternalistici una quindicina di anni fa. Riassumendo: cio' non e' antiamericano, e' a favore di qualunque cosa e di chiunque altro. E' sinonimo di liberazione e di capacita' di pensare con menti indigene, gettando via il giogo della sicurezza intellettuale e di altre forme di soggezione e di obbedienza. * 6. Non sono necessarie altre prove: la gestione violenta dei conflitti porta al disastro Sia sotto la presidenza di Clinton che sotto quella dei due Bush gli Stati Uniti hanno praticato una gestione violenta dei conflitti. Cio' che ne e' risultato e' una catena di fiaschi e di situazioni caotiche di pace non realizzata: le parole chiave sono la Croazia, la Bosnia, il Kossovo, la Serbia, la Macedonia, la Somalia, l'Afghanistan, e ora, come chiunque puo' constatare cosi' tristemente, l'Iraq. Persone con scarse conoscenze sul problema dei conflitti e con un alto grado di lealta' nei confronti degli Stati Uniti sostengono di solito che il bombardamento di queste aree e' avvenuto troppo tardi e che non ha avuto luogo in misura sufficiente. Altri, compresi decine di associati alla Transnational Foundation for Peace and Future Research, hanno sostenuto invece, gia' molto tempo prima che le azioni militari avessero luogo, che questi conflitti non erano del tipo che potesse essere risolto, o in cui la pace potesse emergere, da queste forme di politica militare, che, per giunta, mancavano anche di strategie coerenti per la situazione successiva ai bombardamenti, per la situazione postbellica. Ne' c'e' stata alcuna strategia decente di fuoriuscita dalla crisi che potesse beneficiare le popolazioni che vivevano in quelle aree tormentate e sconvolte. Cosi' ci troviamo in una situazione molto fortunata: nessuno che sia stato in contatto con la realta' (in contrasto con la realta' virtuale dei media) vissuta sul terreno in questi posti puo' avere il minimo dubbio sul fatto che lo stile americano di intervento militarizzato e culturalmente insensibile alla complessita' dei problemi che si pongono nella gestione dei conflitti sia stato saggiato, a quest'ora, a sufficienza perche' lo si possa giudicare disperatamente controproducente. Gli abitanti del luogo lo sanno per esperienza diretta, gli osservatori internazionali che ci sono stati lo sanno, i volontari delle organizzazioni non governative lo sanno, e alcuni diplomatici di alto livello e funzionari dell'Onu che sono stati sul terreno per un mese - tutti quanti lo sanno perfettamente. Sono solo coloro che prendono le decisioni, i consiglieri negli uffici dei primi ministri, i ministri degli affari esteri e i media che danno ancora l'impressione di non saperlo. * 7. I grandi potenziali della nonviolenza, la pace ottenuta con mezzi pacifici, ci stanno diritto davanti agli occhi Il punto 6 era una conclusione di carattere negativo. Il suo lato positivo consiste nel fatto che un enorme potenziale di natura politica, diplomatica, psicologica, sociale, ecologica e culturale dei conflitti sta nondimeno emergendo alla luce. In linea di fatto, e come e' stato sottolineato ripetutamente da Jonathan Schell nel suo libro pionieristico di oltre 400 pagine, The Unconquerable World, ci sono alcune cose che ora sappiamo a proposito della violenza. Cosi', per esempio, sappiamo che in seguito al fatto che le armi nucleari, se fossero usate, potrebbero spazzare via la razza umana parecchie volte una dopo l'altra e distruggere la terra, non possono esistere motivi politici di sorta che possano essere promossi dal loro uso. In secondo luogo, i mutamenti che hanno funzionato meglio sono stati quelli intrapresi con mezzi pacifici. Dice Schell che le rivoluzioni inglese, americana, francese, tedesca e indiana hanno dimostrato tutte quante il potere della gente di esautorare e paralizzare un regime ritirando ad esso il proprio appoggio, mentre nello stesso tempo si procedeva a costruire e a mettere in piedi istituzioni parallele. In seguito, nel corso della sua esposizione molto comprensiva e particolareggiata, Schell passa ad esaminare i casi del rovesciamento della giunta greca dei colonnelli nel 1974, la caduta del Portogallo che era l'ultimo impero europeo in Africa, la democratizzazione della Spagna a partire dal 1975, e cioe' dalla morte di Franco. Nell'America meridionale degli anni Ottanta, i generali rassegnavano il potere in Argentina, in Brasile e in Cile. La dittatura di Marcos nelle Filippine scomparve nel 1986, l'autocrazia della Corea del Sud nel 1988, il dittatore indonesiano Suharto cadde nel 1990, in Iran si sviluppo' una forte opposizione contro il dominio dei mullah, nel 2001 un periodo di oltre settant'anni di governo ininterrotto da parte del Partito rivoluzionario istituzionale messicano fu spezzato dal popolo, Milosevic cadde nell'ottobre dello stesso anno e il presidente georgiano Shevardnadze nel 2003. L'esperienza sudafricana, a cui tutti avevano predetto terribili spargimenti di sangue, passo' indenne attraverso il periodo di transizione grazie alla costruzione di una fiducia reciproca fra le parti, basata sulla riconciliazione e sulla creazione di una commissione apposita incaricata di ristabilire la verita' e di promuovere la riconciliazione stessa. Tutto questo ha funzionato, in misura maggiore o minore, e assai meglio, comunque, di quanto abbiano fatto le guerre civili e gli interventi militari - o, a maggior ragione, una guerra di carattere imperiale. Le anime sono state curate, ed e' stata data una chance alla democrazia, come pure alla pace. Cio' non e' accaduto nei luoghi che abbiamo menzionato prima a proposito delle vicende degli anni Novanta, dove l'intervento militare straniero e' stato il principale strumento impiegato per porre termine alle guerre e gettare le basi della pace. E' tempo di vedere ora che c'e' solo una misura che si possa adottare contro altri quattro anni di politiche militaristiche e imperiali del governo Bush: ed e' quella di criticarlo meno e di indirizzare l'attenzione, assai piu' di quanto si sia fatto finora, sull'efficienza e sul decoro, sul potenziale curativo e libertario, della mobilitazione della gente senza armi nelle proprie mani. Insomma, ci sono tante ragioni di speranza, se la gente, i media e coloro che dovrebbero prendere le decisioni avessero solo la capacita' di scorgerle. Una ragione fondamentale per cui non sono capaci di farlo e' la loro cieca lealta' nei confronti di un impero in procinto di sprofondare - che e' quello degli Stati Uniti d'America. L'educazione alla pace, l'educazione civica, l'addestramento delle capacita' necessarie per orientarsi negli affari internazionali e nella gestione dei conflitti civili possono benissimo rivelarsi come gli strumenti piu' potenti e piu' efficaci di cui possiamo disporre. * 8. Abbiate pazienza. Gli imperi non durano per l'eternita'. Gli Stati Uniti dispiegano la loro debolezza in Iraq Ci sono ragioni storiche generali per cui gli imperi tramontano. Alcune di esse sono: la militarizzazione dello stato; l'iperestensione territoriale, e cioe' il tentativo di controllare troppe cose in troppi luoghi diversi; la legittimita' decrescente agli occhi di chiunque altro; l'esaurimento economico; la convinzione perversa che chiunque altro dovrebbe fare le cose in un solo modo, e cioe' in quello in cui le facciamo noi, e cioe' una tolleranza sempre minore del pluralismo, e, man mano che il tempo passa, una incapacita' sempre crescente di prestare ascolto e di apprendere qualcosa da chiunque altro - e anche dai propri errori. Insomma, la stagnazione intellettuale e morale, l'inflessibilita' del carattere e della mente, l'irrigidimento, una politica monolitica, l'autoesaltazione e la megalomania - altrettanti modi di nascondersi il fatto che l'Impero non e' che un'illusione. Si puo' argomentare che gli Stati Uniti si stanno muovendo rapidamente in questa direzione di carattere generale. Se le cose stanno cosi', altri quattro anni in compagnia di George W. Bush non potranno fare altro che accelerare questo processo, e cioe' determinare la fine dell'impero in tempi piu' rapidi di quanto sarebbe stato altrimenti il caso. Cosi', mentre gli Stati Uniti sono soggetti a un indebolimento interno in seguito alla deriva verso un impero incontrollato che esaurisce le loro forze, e verso un fascismo potenziale, essi saranno anche indeboliti dall'esterno, e cioe' dal resto del mondo che tende a diventare piu' indipendente e meno timoroso e ossequiente nei confronti dell'Impero. Una delle lezioni piu' importanti che si possono trarre dagli ultimi 40 o 50 anni di guerre e' che i grandi paesi tecnologicamente potenti, col loro morale tutt'altro che solido e i bassi motivi da cui sono mossi, finiscono per perdere le guerre da loro intraprese con paesi piu' piccoli, meno sviluppati dal punto di vista tecnologico e a volte anche superiori dal punto di vista morale: cosi' gli Stati Uniti col Vietnam, l'Unione Sovietica con l'Afghanistan, la Serbia con le altre repubbliche della regione, e ora gli Stati Uniti, l'Inghilterra e altri paesi in Iraq. Gli Stati Uniti sono l'attore militare piu' forte di tutta la storia, la loro ossessione di essere minacciati e' piu' grande di quella di qualunque altro paese su tutta la terra, sono odiati da un maggior numero di persone e di paesi piu' di quanto lo siano gli altri, tendono ad isolarsi dai loro amici e a distruggere, al loro interno, cio' che rendeva gli Usa cosi' attraenti per la gente di tutto il mondo. Qualcuno deve pur trarre le sue conclusioni da tutto questo... * 9. Boicottare gli Usa economicamente Uno di questi fattori di indebolimento, che, in effetti, avrebbe un'importanza fondamentale, sarebbe rappresentato da un boicottaggio economico globale dell'economia statunitense, in primo luogo dei beni di consumo da essa prodotti, e poi, successivamente, dei beni capitali e dei flussi monetari, che assumono la forma, di volta in volta, di prestiti e di crediti, delle istituzioni economiche dominate dagli Usa, degli investimenti e delle vendite sul mercato americano, cessando di concedere prestiti agli Usa per finanziare le loro guerre, cessando di viaggiare negli Stati Uniti ecc. Proteste economiche di questo tipo sarebbero certamente molto piu' efficaci di ogni manifestazione di piazza contro la politica estera americana, e favorirebbero l'emersione di nuove relazioni economiche nella rete di scambi che avvolge il mondo come un gomitolo. Tuttavia, come nel caso di tutte le altre misure di embargo, bisognerebbe escogitare soluzioni atte a far si' che i settori piu' poveri della societa' americana non ne siano danneggiati e feriti. * Qui si puo' leggere cio' che Lester Brown, uno dei piu' importanti pensatori globali dei nostri tempi, ha scritto verso la fine di ottobre del 2004, e che e' degno di essere riportato per esteso. "Ora il rifiuto della politica estera americana si sta traducendo in un rifiuto dei prodotti che recano marchi di fabbrica statunitensi. Gli europei, in effetti, stanno tenendo una specie di referendum economico sulla politica estera americana, votando, se si puo' dir cosi', coi loro portafogli. L'effetto di questo fenomeno puo' essere visto nei rendiconti economici dei profitti che vengono resi pubblici in questi giorni da parecchie societa' americane di primo piano". "Su scala mondiale, otto dei dieci maggiori marchi di prodotti sono americani. Piu' di meta' delle vendite di ciascuno di questi prodotti hanno luogo fuori degli Stati Uniti. John Quelch, professore alla Harvard Business School, scrive: 'Un'opposizione crescente alla politica estera americana minaccia la forza a lungo termine di questi marchi'". "Il 'Financial Times' riferisce che alcuni dei marchi di prodotti di consumo piu' forti del mondo, come Coca Cola, McDonald, Gap, cominciano ad essere duramente colpiti. Le vendite di Coca Cola in Germania sono cadute del 18 per cento rispetto a un periodo simile dell'anno scorso, e la societa' e' costretta a defalcare 392 milioni di dollari per 'fare fronte alla riduzione degli attivi commerciali in quel paese'". "McDonald, una societa' che puo' vantare una crescita storica considerevole nel corso degli anni, ha visto le sue vendite pervenire quasi a una posizione di stallo in tutta l'Europa. Gap e' uscita del tutto dalla Germania, una mossa che ha contribuito a ridurre le sue vendite internazionali del 10 per cento. La caduta della partecipazione ai divertimenti del parco Disney alla periferia di Parigi ha fatto scendere le sue entrate fino al punto in cui ha dovuto essere soccorso e risarcito dalla sua societa' madre. Wal-Mart, la piu' fortunata ditta di vendita al dettaglio del mondo, si trova a fronteggiare pesanti perdite in Germania, che rappresenta la terza piu' grande economia del mondo dopo gli Stati Uniti e il Giappone". "Anche le vendite di automobili prodotte dalla General Motors e dalla Ford sono in uno stato di sofferenza in Europa. Di fronte a perdite di 236 milioni di dollari nella regione, la General Motors sta licenziando 12.000 lavoratori in Germania. La Ford, a sua volta, potrebbe seguire presto coi licenziamenti". "Non volendo alimentare il 'backlash' antiamericano, le societa' generalmente biasimano le condizioni economiche per il declino delle loro vendite, ma il Fondo Monetario Internazionale ha stimato, in settembre, che la crescita economica di quest'anno, in Germania, sarebbe stata del 2 per cento, un risultato molto migliore della sua crescita negativa dell'anno scorso. In Francia, un altro paese dove i prodotti americani stanno prendendo una sberla, la previsione della crescita e' proiettata al 2,6 per cento, a confronto dello 0,5 per cento dell'anno scorso". "Il declino nelle vendite e nei guadagni delle compagnie americane all'estero appare con la massima evidenza nei marchi di primo piano che abbiamo citato prima, ma l'accettazione dei prodotti di marca Usa e' in declino su tutta la lista. Altri marchi ben noti per cui l'approvazione dei consumatori all'estero e' in declino includono Microsoft, la Nike e Yahoo. Ma in gioco e' molto di piu' dei marchi universalmente conosciuti. Il destino economico di migliaia di compagnie americane che operano sul mercato internazionale e' influenzato da questa tendenza". "L'effetto indiretto della guerra irachena sull'economia Usa puo' diventare presto un problema di primaria importanza. Quelch condivide queste riflessioni facendo notare che 'il costo per l'economia americana potrebbe essere molto piu' grande del costo della guerra stessa...'". * Se continuato e rafforzato nel corso del tempo, il vostro boicottaggio personale dei prodotti americani potrebbe ben essere la piu' importante forma particolare di protesta contro la politica estera americana, il suo militarismo e il suo imperialismo. Ed essa costituisce un'alternativa democratica del cittadino globale al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dal momento che quell'organo non potrebbe mai decidere qualcosa in materia di sanzioni, poiche' almeno gli Stati Uniti stessi, che sono uno dei suoi cinque membri permanenti, opporrebbero il loro veto. Ma George Bush non ha modo di costringere voi e me a comprare prodotti americani. Abbiamo il potere gigantesco di esprimere la nostra solidarieta' col resto del mondo, ora e subito, con un boicottaggio economico su scala mondiale degli Stati Uniti, ma non oltre il momento in cui essi cominceranno a ritirare le loro truppe dislocate tutt'intorno al mondo e a ritirarsi dalle loro basi e dalle loro guerre. L'azione, ancora una volta, non deve essere antiamericana, ma deve essere rivolta contro la specifica distruttivita' della loro politica estera e di sicurezza, e cio' si riferisce anche alle loro armi nucleari. * Sono grato all'associato della Transnational Foundation for Peace and Future Research Johan Galtung che ha ispirato alcuni punti di questo comunicato. 4. PROPOSTE. JOHAN GALTUNG: IL BOICOTTAGGIO ECONOMICO COME AZIONE NONVIOLENTA [Dal n. 995 di questo foglio. Ringraziamo Renato Solmi (per contatti: rsolmi at tin.it) per averci messo a dsposizione nella sua traduzione questo intervento di Johan Galtung apparso in inglese nel sito della rete "Transcend" (www.transcend.org) da lui diretta, e in quello della "Transnational Foundation for Peace and Future Research" (in sigla: Tff; sito: www.transnational.org) diretta da Jan Oberg. Questa traduzione Renato Solmi, il cui rigore morale e intellettuale e' pressoche' leggendario, accompagna con la seguente Avvertenza: "La traduzione di questo testo, apparsa sulla rete 'Transcend' alla fine di giugno, e' stata curata da Renato Solmi. Qua e la' il testo originale e' stato leggermente ampliato per renderlo piu' facilmente comprensibile al lettore italiano (senza che, peraltro, queste 'esplicitazioni' del traduttore possano dare luogo a nessun equivoco). Poche note sono state aggiunte in calce a titolo di giustificazione e anche di incertezza circa la proprieta' dell'interpretazione. Ci sembra che, peraltro, la discussione di questa proposta, che si aggiunge a quella formulata da Jan Oberg alla fine dell'anno scorso, sia piu' che mai attuale ed urgente". Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale. Johan Galtung, nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu, e' a livello mondiale il piu' noto studioso di peace research e una delle piu' autorevoli figure della nonviolenza. Una bibliografia completa degli scritti di Galtung e' nel sito della rete "Transcend", il network per la pace da lui diretto, cui rinviamo: www.transcend.org Jan Oberg (per contatti: oberg at transnational.org), danese, nato nel 1951, illustre cattedratico universitario, e' uno dei piu' importanti peace-researcher a livello internazionale e una figura di riflerimento della nonviolenza in cammino. Tra le sue molte opere: Myth About Our Security, To Develop Security and Secure Development, Winning Peace, e il recente Predictable Fiasco. The Conflict with Iraq and Denmark as an Occupying Power] Si parla molto di boicottare i prodotti Usa in tutto il mondo, e, specialmente in Germania e in Francia, si ha l'impressione che la gente sia molto meno incline ad acquistare prodotti Usa dopo l'invasione illegale dell'Iraq. Puo' essere interessante osservare che non si parla di boicottare prodotti inglesi o britannici, ma se ne parla invece spesso a proposito di Israele. Lo sfondo a cui si puo' fare riferimento e' costituito dall'azione coronata da successo contro il regime di apartheid nella Repubblica sudafricana, contro la Shell tedesca nel Mare del Nord, e contro gli esperimenti nucleari francesi in Polinesia; tutti episodi che hanno fatto parte dello scenario politico degli anni Novanta. C'e' tutto lo spazio che si vuole per una reviviscenza di queste iniziative. Ci sono molte dimensioni e fattori di cui bisogna tener conto; ne daro' qui qualche esempio. Un boicottaggio completo dovrebbe coprire tutti i beni di consumo di produzione Usa, dai film al complesso Coca Cola - Mc Donald all'automobile e ai combustibili; i beni capitali di ogni genere, e in particolare gli strumenti e le attrezzature militari, i beni finanziari come i dollari, usando l'euro, lo yen ecc. per indicare i prezzi, per i contratti, per il turismo, evitando anche di servirsi delle societa' di carte di credito americane, e sbarazzandosi delle obbligazioni e delle azioni Usa, chiedendo che i governi non le acquistino e che le imprese si dissocino dalle ditte Usa, a cominciare dalle societa' piu' reprensibili da questo punto di vista. Un boicottaggio parziale dovrebbe concentrarsi su qualunque assortimento o sottogruppo delle voci sopra indicate (1). Il boicottaggio dovrebbe prendere di mira tutte le societa' statunitensi nell'ambito di tutti o di alcuni settori, o un sottogruppo, presumibilmente il peggiore. La lista dovrebbe essere pubblicata e le condizioni per essere esclusi dalla lista dovrebbero essere chiaramente enunciate e notificate. Il "boycott" potrebbe essere o non essere accompagnato da un girlcott (gioco di parole intraducibile in italiano, ma facilmente comprensibile a tutti i lettori, n.d.t.), e cioe' da un acquisto selettivo dei prodotti di societa' statunitensi che esibiscono un "record" positivo sulla base dei criteri usati (come, ad esempio, l'assenza di contratti con le istituzioni militari), o anche solo meno negativo delle altre. Il "girlcott" (e cioe' l'acquisto preferenziale) di prodotti di societa' che abbiano la loro sede principale in altri paesi potrebbe anche corrispondere allo scopo; anche se, probabilmente, la domanda in questione non avrebbe un carattere altrettanto imperativo. * Lo scopo del boicottaggio potrebbe essere quello di colpire l'impero statunitense in quanto tale, nei suoi ammazzamenti coordinati in tutto il mondo; con la sua creazione di squilibri immani fra la miseria di grandi masse e la ricchezza oscena di altri; con la manipolazione politica e il ricatto militare in luogo di una partecipazione paritetica alla politica internazionale, e con la pretesa di "essere i soli a conoscere le risposte" invece del dialogo con le altre nazioni. O lo scopo potrebbe essere piu' limitato, come quello rappresentato dal ritiro delle truppe americane dall'Iraq. Nell'un caso come nell'altro le condizioni per la cancellazione del boicottaggio dovrebbero essere chiaramente enunciate. Il meccanismo che potrebbe tradurre il boicottaggio in un mutamento di politica (da parte del governo americano) sarebbe il dilemma in cui verrebbero a trovarsi i "decision-makers" delle grandi societa' (come i membri dei consigli di amministrazione o i dirigenti operativi) fra la loro lealta' al geofascismo di Washington e i profitti delle loro societa', che potrebbero ridursi rapidamente nelle condizioni determinate dal boicottaggio. Il profitto medio di una "corporation" americana si aggira intorno al 6%, cio' che significa che anche una partecipazione relativamente modesta potrebbe avere un impatto molto sensibile. Anche un declino del 3% delle vendite di ogni singola impresa farebbe, con ogni probabilita', entrare in azione questo dilemma; per cui si puo' concludere che un boicottaggio economico di questo genere e' fattibile, e perfino, oserei dire, relativamente facile da organizzare. E chiunque vi puo' partecipare. Oltre a questo effetto squisitamente economico bisogna tener conto di un altro e forse aneora piu' importante meccanismo. Non il declino nelle vendite delle singole imprese, o anche nei grandi indicatori macroeconomici; ma il boicottaggio come espressione di un sentimento morale, il cui messaggio e' questo: "Sei sulla strada sbagliata, amico mio, e noi non ti daremo piu' il sostegno morale che sarebbe implicito nell'acquisto dei tuoi beni o dei tuoi servizi. Quando ti incamminerai su una strada migliore, tutto questo cambiera' come per incanto. Mettiamoci a sedere intorno a un tavolo e cominciamo a discutere". In altre parole, il potere risiede dalla parte dei consumatori. I fattori di produzione sono tutti nelle mani di quelli che possiedono il capitale; che si tratti delle risorse naturali, del lavoro umano, del capitale stesso, della tecnologia o delle capacita' di gestione. Tutti questi fattori scorrono, affluiscono e si ritirano, secondo le leggi della domanda e dell'offerta. Anche la manodopera ha scarse possibilita' di scelta, dal momento che la tecnologia puo' essere adoperata come un sostituto. Ma non c'e' sostituto possibile per gli acquirenti dotati di volonta' propria. * Sapendo benissimo tutto questo, va da se' che il sistema americano procedera' a difendersi, e le contromisure piu' probabili contro un eventuale boicottaggio includono: - le pressioni sui governi di altri paesi perche' mettano fuori legge il boicottaggio; una misura molto problematica perche' la liberta' di mercato e' una componente essenziale dell'ideologia neoliberale; - che le societa' danneggiate chiedano un compenso a Washington; misura altrettanto problematica dati i deficit gia' presenti nell'economia Usa e nel bilancio federale; - ridurre le spese licenziando un maggior numero di operai; misura, a sua volta, problematica perche' a questa opzione si e' gia' fatto ricorso per accrescere i profitti e le proteste collettive determinate da questo fattore si stanno estendendo fin d'ora molto rapidamente; - il boicottaggio statunitense dei prodotti di paesi che partecipano al boicottaggio; misura anch'essa problematica data la dipendenza dei consumatori Usa da prodotti stranieri (come per esempio quelli cinesi) e che potrebbe avere l'effetto di stimolare gli acquisti dei prodotti dei paesi boicottati dagli Usa (2). Cio' che e' chiaro, tuttavia, e' che i governi non possono, dato il potere militare schiacciante degli Stati Uniti, fare uso dell'arma economica che potrebbe essere a loro disposizione, e cioe' di sanzioni di carattere economico. Essi potrebbero essere bombardati, e i loro indirizzi sono relativamente chiari, in contrasto con la dispersione dei "clienti" che passano da stazioni di benzina americane o britanniche a quelle di altri paesi. * Il boicottaggio economico ha svolto un ruolo importantissimo nella strategia di lotta contro l'impero britannico promossa e attuata da Gandhi; e qualsiasi forma di boicottaggio dovrebbe ispirarsi ai principi della nonviolenza gandhiana. Lo scopo che ci si propone e' quello di ridurre e di eliminare la presa militare, economica, politica e culturale soffocante che gli Stati Uniti esercitano sul mondo, e non certo quello di uccidere bambini americani nell'atto di colpire l'economia americana. Un programma di aiuti di emergenza per tutti quelli che soffrono negli Stati Uniti per le conseguenze del boicottaggio dovrebbe essere preso in considerazione dai suoi organizzatori. Il bersaglio di questa azione e' l'Impero americano, e non gia' la Repubblica americana. Un altro scopo fondamentale e' quello di sviluppare le nostre proprie capacita' economiche e di non sottometterci alla "logica del mercato", che e', per sua natura, cosi' cieca nei confronti di effetti collaterali importanti come le iniziative di carattere locale, le reti di comunicazione e le culture locali, gli effetti esercitati sull'ambiente, ecc. Per questa ragione e' importante tenere aperti i canali di comunicazione e di dialogo, a condizione, naturalmente, che quei canali siano usati bene (e non per scopi allotri). Le visite negli Stati Uniti dovrebbero essere incoraggiate, come pure i pubblici incontri, allo scopo di far conoscere (ai nostri interlocutori) le ferite che l'impero americano infligge al resto del mondo e di mostrare come gli Stati Uniti stessi sarebbero i primi a beneficiare della sua caduta (3). * Note del traduttore 1. Non mi e' del tutto chiaro il senso del termine "subset" (combinazione, assortimento, sottogruppo?). Non credo che si tratti di una specificazione ulteriore di una di quelle categorie generali, che rischierebbe di togliere al boicottaggio gran parte della sua efficacia, ma piuttosto di una varieta' di prodotti o di servizi appartenenti a piu' d'una di esse. 2. Beninteso: da parte di altri paesi (partecipanti, a loro volta, al boicottaggio, o, quanto meno, simpatizzanti con esso; ma le due cose non dovrebbero coincidere in una "guerra" di questo genere, che dovrebbe svolgersi, almeno da parte nostra, all'insegna dei principi della nonviolenza?). 3. La divergenza apparente fra la proposta di Jan Oberg (nell'articolo "Altri quattro anni di governo Bush", apparso anche su questo foglio nel n. 789), secondo la quale il boicottaggio avrebbe dovuto dar luogo anche ad un'interruzione dei viaggi e delle visite negli Stati Uniti, e questo punto dell'argomentazione di Galtung, potrebbe trovare la sua soluzione nel senso che i viaggi e le visite di esponenti del movimento di protesta e di contestazione della politica del governo di quel paese dovrebbero essere finalizzati esclusivamente al conseguimento degli scopi che ci inducono a ricorrere all'azione di boicottaggio (che non e', evidentemente, fine a se stessa, e che dovrebbe cessare a condizioni ben determinate, come Galtung e Oberg hanno messo bene in luce nei loro scritti). 5. MATERIALI. UNA MINIMA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE - Centro nuovo modello di sviluppo, Ai figli del pianeta, Emi, Bologna 1998. - Centro nuovo modello di sviluppo, Boycott!, Macroedizioni, San Martino di Sarsina (Fo) 1992. - Centro nuovo modello di sviluppo, Geografia del supermercato mondiale, Emi, Bologna 1996. - Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al consumo critico, Emi, Bologna 1996 e piu' volte riedito. - Centro nuovo modello di sviluppo, Lettera ad un consumatore del Nord, Emi, Bologna 1990 e piu' volte riedito. - Centro nuovo modello di sviluppo, Nord/Sud. Predatori, predati e opportunisti, Emi, Bologna 1993 e piu' volte riedito. - Francesco Gesualdi del Centro nuovo modello di sviluppo, Manuale per un consumo responsabile, Feltrinelli, Milano 1999. - Francesco Gesualdi, Centro nuovo modello di sviluppo, Sobrieta', Feltrinelli, Milano 2005. - Tonino Perna, Fair trade, Bollati Boringhieri, Torino 1998. - Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. 2. Le tecniche, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 31 del 24 luglio 2005
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