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La nonviolenza e' in cammino. 998
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 998
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 21 Jul 2005 00:31:48 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 998 del 21 luglio 2005 Sommario di questo numero: 1. Pax Christi: Violenze e nonviolenza a Verona 2. Documento dell'assemblea delle donne del primo forum sociale mediterraneo 3. Patricia Lombroso intervista Ben Scotch 4. Eman Ahmed Khammas: Religioni e aiuti umanitari, un incrocio pericoloso 5. Ida Dominijanni: Per la critica del multiculturalismo repressivo 6. Il 23 luglio a Firenze assemblea nazionale della "Campagna Control Arms" 7. Claudio Cardelli: Vita e pensiero di Albert Schweitzer 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PAX CHRISTI: VIOLENZE E NONVIOLENZA A VERONA [Da Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato di Pax Christi di Verona. Sergio Paronetto insegna presso l'Istituto Tecnico "Luigi Einaudi" di Verona dove coordina alcune attivita' di educazione alla pace e ai diritti umani. Tra il 1971 e il 1973 e' in Ecuador a svolgere il servizio civile alternativo del militare con un gruppo di volontari di Cooperazione internazionale (Coopi). L'obiezione di coscienza al servizio militare gli viene suggerita dalla testimonianza di Primo Mazzolari, di Lorenzo Milani e di Martin Luther King. In Ecuador opera prima nella selva amazzonica presso gli indigeni shuar e poi sulla Cordigliera assieme al vescovo degli idios (quechua) Leonidas Proano con cui collabora in programmi di alfabetizzazione secondo il metodo del pedagogista Paulo Freire. Negli anni '80 e' consigliere comunale a Verona, agisce nel Comitato veronese per la pace e il disarmo e in gruppi promotori delle assemblee in Arena suscitate dall'Appello dei Beati i costruttori di pace. In esse incontra o reincontra Alessandro Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Perez Esquivel, Beyers Naude' e tanti testimoni di pace. Negli anni '90 aderisce a Pax Christi (che aveva gia' conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale fa parte. E' membro del Gruppo per il pluralismo e il dialogo e, ultimamente, del Sinodo diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto, La nonviolenza dei volti. Forza di liberazione, Editrice Monti, Saronno (Va) 2004] Sulla base delle notizie apparse su "l'Arena" di oggi [18 luglio - ndr], ci sembra doveroso esprimere la nostra fraterna solidarieta' ai cinque giovani aggrediti e feriti da una trentina di assalitori appartenenti all'area dell'estrema destra. Simili criminali episodi, che si aggiungono ad altri promossi in questi anni da gruppi politici orientati all'esclusione pregiudiziale di "stranieri" o di "diversi" (a volte in modo blasfemo, citando valori cristiani) rischiano anche di provocare ulteriori violenze e di alimentare un clima di insicurezza gia' agitato a causa della paura del terrorismo. Stiamo diventando una societa' che prepara "scontri di incivilta'"? Sono in gioco la qualita' della convivenza umana, lo stato di diritto e il futuro della democrazia. Siamo convinti che pace, democrazia e diritti umani camminino sempre insieme. Per questo motivo, - riteniamo pericolosa ogni forma di assuefazione o di indifferenza verso simili episodi; - pensiamo che ciascuno debba sempre fare bene il suo dovere secondo le sue funzioni e responsabilita' (enti locali, magistratura, forze dell'ordine, societa' sportive, scuole, famiglie, associazioni e comunita'); - rinnoviamo il nostro impegno perche' si diffondano luoghi e momenti di dialogo e si manifestino concreti segni di "riconciliazione nella verita' e nella giustizia"; - invitiamo tutti, soprattutto chi e' solidale con le vittime delle violenze, ad accompagnare la doverosa e ferma indignazione con azioni sempre nonviolente, le piu' limpide e democratiche, le piu' adatte e credibili per affermare un altro modo di lottare per le proprie idee e per costruire relazioni libere, giuste e fraterne. 2. DOCUMENTAZIONE. DOCUMENTO DELL'ASSEMBLEA DELLE DONNE DEL PRIMO FORUM SOCIALE MEDITERRANEO [Da piu' interlocutrici riceviamo e diffondiamo il seguente documento dell'assemblea delle donne del primo Forum sociale mediterraneo, tenutasi a Barcellona il 17 giugno 2005. Ci sembra necessario mettere in rilievo due preoccupanti vuoti di questo documento: manca una esplicita condanna del terrorismo - di ogni terrorismo, comunque si camuffi; e manca una esplicita proposta della nonviolenza. Se non abbiamo letto male, le parole "terrorismo" e "nonviolenza" in questo documento (come in molti altri prodotti dai movimenti pacifisti, solidali e cosiddetti "altermondialisti") non compaiono, e invece devono comparire, perche' occorre dire con chiarezza "no al terrorismo" e "si' alla nonviolenza". Si dira': ma sono implicite nell'insieme del ragionamento; sia pure (e lo diciamo con beneficio d'inventario: l'impressione e' che si continui sciaguratamente a "mediare" con settori del cosiddetto "movimento dei movimenti" subalterni a - e complici o addirittura fautori di - ideologie violentiste, autoritarie, militariste e patriarcali), ma i documenti servono proprio per esplicitare l'implicito: e cio' che oggi va reso esplicito senza alcuna reticenza o ambiguita' e' che non si da' lotta per la pace e i diritti di tutte e tutti senza il ripudio di ogni violenza, senza la condanna di ogni terrorismo - di stato, di gruppo, individuale; militare, economico, politico, culturale -; non si da' lotta per la pace e i diritti di tutte e tutti senza la scelta della nonviolenza. Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare e liberare l'umanita' (e questo ci sembra essere anche uno degli insegnamenti piu' grandi dell'esperienza storica del movimento delle donne, nonviolenza in cammino)] Le donne nell'area mediterranea sono vittime di violenza, di poverta', della tratta delle persone, di guerre e delle violazioni sistematiche dei diritti umani. Nel Mediterraneo le donne sono vittime della dominazione di tre poteri: patriarcato, neoliberismo e integralismo. Questi poteri dominanti si sostengono e si autoalimentano per mantenere le donne in condizioni di vita indegne e con meno diritti degli uomini nella stessa societa'. Il Mediterraneo e' un teatro di guerre, che generano violenze, stupri, detenzioni arbitrarie, assassinii e condizioni di vita e mancanza di diritti inaccettabili, in particolare per le donne. Molte donne delle rive meridionali del Mediterraneo non hanno potuto partecipare a questo incontro perche' non hanno ottenuto il visto. Per questa ragione chiediamo che il diritto alla libera circolazione delle persone sia in primo piano nelle lotte dei movimenti sociali del Forum sociale Mediterraneo. * Noi, riunite nella assemblea delle donne nel primo Forum sociale Mediterraneo, venute da tutte le sponde di questo mare, denunciamo: - la militarizzazione dell'area e i programmi neocoloniali di controllo delle risorse naturali; - la violazione sistematica dei diritti umani delle donne e la violenza contro le donne; - l'aumento degli integralismi e delle correnti politiche che negano l'uguaglianza dei diritti delle donne o che li fanno retrocedere; - l'esistenza di codici di famiglia che istituzionalizzano la subordinazione delle donne agli uomini, e la persistenza della tolleranza per i cosiddetti "delitti d'onore"; - la mercificazione dei nostri corpi e l'esistenza di reti di tratta di donne e bambine; - la schiavitu', il lavoro forzato e le mutilazioni sessuali imposte a donne e bambine; - l'aumento della poverta' e la precarizzazione delle nostre vite, la mancanza o la violazione dei nostri diritti sociali, e la mancanza del libero accesso all'educazione e alla salute; - le "leggi di mercato" del neoliberismo, che precarizzano le donne e le espropriano dei loro diritti economici, sociali e culturali; - gli accordi bilaterali tra governi nell'area mediterranea che applicano regole sfavorevoli alle donne; - la costruzione di un'Europa come fortezza, che nega i diritti economici, sociali, culturali e politici alle donne migranti; - le negoziazioni in corso tra Europa e partiti islamisti detti "moderati"; - la persecuzione di donne per il loro orientamento sessuale. * Noi, riunite nella assemblea delle donne nel primo Forum sociale Mediterraneo, venute da tutte le sponde di questo mare, esigiamo: - il riconoscimento e l'appoggio dei movimenti sociali alla resistenza delle donne e alle loro lotte; - l'applicazione immediata e senza riserve da parte dei governi e delle istituzioni internazionali di tutti gli strumenti che implicano l'uguaglianza di diritti per le donne; - la libera circolazione e residenza delle donne nel Mediterraneo; - il diritto a vivere in societa' democratiche e laiche; - che il diritto s'asilo sia concesso a tutte le donne vittime di violenza sessuale. * Noi, riunite nella assemblea delle donne nel primo Forum sociale Mediterraneo, venute da tutte le sponde di questo mare, appoggiamo: - le donne irachene che resistono all'occupazione imperialista degli Usa e dei loro alleati; - le donne palestinesi e israeliane che lavorano insieme per la risoluzione del conflitto e contro l'occupazione dei territori palestinesi; - tutte le donne che lavorano per la risoluzione dei conflitti in aree militarizzate e quelle che lottano per i diritti culturali e contro governi autoritari; - le donne che lottano contro i codici di famiglia patriarcali; - le donne che lottano per il diritto di decidere del proprio corpo e della propria sessualita' e per il riconoscimento del diritto all'accesso all'aborto libero e gratuito. * Per un lavoro comune, per una comunicazione e una solidarieta' efficace nel Mediterraneo, proponiamo: - la creazione di un sito web della rete delle donne per continuare la discussione e per coordinare le lotte; - un giorno di azioni comuni contro le violenze alle donne, il 25 di novembre di ogni anno. Nel 2005 questo giorno sara' dedicato alle donne irachene che sono arbitrariamente imprigionate, per le quali chiediamo la liberazione immediata. * Noi, donne del Mediterraneo, vogliamo e lottiamo per un Mediterraneo di pace, demilitarizzato, liberato dalla violenza, con uguali diritti sociali, la democrazia e l'uguaglianza tra gli uomini e le donne. * Proposte dell'assemblea delle donne per il documento dell'assemblea dei movimenti sociali al primo Forum sociale Mediterraneo. - Esigiamo l'abolizione dei codici di famiglia che istituzionalizzano la subordinazione delle donne e denunciamo la loro applicazione in alcuni paesi dell'Europa in funzione di accordi bilaterali esistenti. - Denunciamo i crimini detti "d'onore" che continuano ad essere praticati e socialmente accettati malgrado le leggi che li condannano, cosi' come la tratta delle donne e bambine e le mutilazioni genitali. - Rifiutiamo tutti i fondamentalismi che negano o riducono i diritti delle donne ed esigiamo di vivere in societa' democratiche e laiche. - Esigiamo l'asilo politico per le donne vittime della violenza sessista. - Riconosciamo ed appoggiamo le resistenze e le lotte delle donne contro il patriarcato e le sue violenze come parte integrante e necessaria del cammino per la costruzione di un altro mondo possibile. * Proposte d'azione - Ci impegnamo per una giornata di azione globale contro le violenze alle donne per il 25 novembre in tutti i paesi dell'area del Mediterraneo. Proponiamo che il 25 novembre 2005 sia dedicato in particolare alle donne irachene incarcerate arbitrariamente per le quali esigiamo la liberazione immediata. 3. INIZIATIVE. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA BEN SCOTCH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005. Patricia Lombroso e' corrispondente da New York del quotidiano; ha pubblicato in volume una raccolta di sue interviste a Noam Chomsky dal 1975 al 2003: Noam Chomsky, Dal Vietnam all'Iraq. Colloqui con Patricia Lombroso, Manifestolibri, Roma 2003. Ben Scotch, giurista, e' l'estensore del testo della risoluzione per la fine immediata del conflitto in Iraq votata dalle citta' del Vermont] "Non possiamo attendere altri otto anni, come avvenne per il Vietnam, perche' il fronte d'opposizione alla guerra criminale di Bush all'Iraq trovi un appoggio al Congresso. L'opinione pubblica pacifista e' una maggioranza assoluta totalmente sconnessa dai vertici politici, siano essi democratici e repubblicani. Il salto qualitativo effettuato in Vermont con la risoluzione per l'immediato ritiro delle truppe va esteso subito a tutto il paese, per battere la guerra preventiva". Da Burlington, nello stato del Vermont, Ben Scotch, giurista e autore del testo della risoluzione per la fine immediata del conflitto in Iraq votata dalle citta' del Vermont, parla col "Manifesto" dell'iniziativa. - Patricia Lombroso: Perche' quest'urgenza di sollecitare in tutte le citta' d'America la promozione di iniziative di "democrazia diretta" e risoluzioni municipali e statali per la fine del conflitto? - Ben Scotch: Perche' ora, con questa guerra decisa "preventivamente" da Bush e dalla sua gang al potere attraverso un'accurata propaganda e l'uso dei media, a differenza di vent'anni fa, il rischio e' che un altro Iraq puo' avvenire ovunque nel mondo ed in qualsiasi momento. A differenza che ai tempi del Vietnam, oggi il contesto storico non presenta un deterrente efficace come l'Unione Sovietica. A livello di politica interna la nostra democrazia e' sull'orlo della bancarotta. Il potere della elite politica congressuale e' inesistente dal punto di vista della rappresentativita'. Soltanto il 5% dei politici viene eletto in ottemperanza ai principi e alle norme elettorali. Il divario fra realta' sociale e politica odierna non e' piu' quella dei tempi di Johnson ne' di Nixon. Oggi - diversamente da allora - i media forniscono al pubblico americano l'immagine di una guerra astratta: nelle cittadine del Montana e a Peoria in Illinois le famiglie che hanno perso i figli in guerra non sanno perche' sia avvenuto. - Patricia Lombroso: I sondaggi parlano del 62% della popolazione contraria alla guerra. E' possibile far cessare la guerra preventiva di Bush? - Ben Scotch: Il fronte d'opposizione alla guerra e' decisamente piu' visibile ora di quando, tre mesi fa, lo stato del Vermont approvo' all'unanimita' mediante il sistema della "democrazia diretta" la risoluzione che chiedeva l'immediato ritiro delle truppe dall'Iraq e la fine della guerra. La mozione e' stata approvata in varie modalita' in 185 citta' impegnate per la pace in tutti gli Stati Uniti. Il fronte d'opposizione si e' esteso alle famiglie dei soldati in guerra o morti in Iraq. Ma siamo ben lungi da un'opposizione attiva che riesca a incidere efficacemente per la fine di questa criminale guerra preventiva di Bush. Sono soltanto 125 i membri del Congresso che esigono che Bush risponda sull'Iraq, disposti a contraddire il presidente. Cio' premesso, uno degli obiettivi della risoluzione del Vermont, lo stato piu' progressista e piu' penalizzato per il numero di soldati e membri della Guardia Nazionale morti in Iraq, era quello di rendere legittima, a livello statale e federale, la partecipazione attiva dei cittadini elettori ad un dibattito pubblico sulla guerra. - Patricia Lombroso: Questa iniziativa di partecipazione attiva puo' estendersi alle citta' dell'America profonda? - Ben Scotch: L'argomento della Guardia nazionale impiegata nella guerra in Iraq, sottratta agli impieghi di protezione statale per incendi, uragani, attacchi terroristici, viene compreso in qualsiasi municipalita' americana, anche a Peoria, dall'americano medio che culturalmente associa "patriottismo" con "militarismo". Infatti manifestazioni di protesta, di reduci, di famiglie di soldati morti o al fronte, esprimono a viva voce l'opposizione alla guerra. Ma e' necessario un salto qualitativo che riesca, con una mobilitazione continua, a sollecitare i propri rappresentanti al Congresso. - Patricia Lombroso: Questo salto qualitativo puo' provenire dalle file dei democratici? - Ben Scotch: Howard Dean, l'unico candidato contrario alla guerra, e' ora alla direzione del partito democratico. Le idee programmatiche di Dean sono progressiste e genuine. Il suo tentativo e' di spostare l'asse programmatico del partito verso l'opposizione alla continuazione di questa guerra. Ma non ritengo che i politici democratici cambieranno strategia, ne' posizione. Per i prossimi due anni, non prevedo cambiamenti radicali nelle elezioni di medio termine del 2006. Nessun politico, per opportunismo, osera' affrontare il problema della guerra, se non obbligato dalla mobilitazione di base, in tutti gli stati del paese. E' una sfida da verificare. 4. MONDO. EMAN AHMED KHAMMAS: RELIGIONI E AIUTI UMANITARI, UN INCROCIO PERICOLOSO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Eman Ahmed Khammas, pubblicato da "Women Human Rights Net" nel giugno 2005. Eman Ahmed Khammas e' una prestigiosa intellettuale, giornalista ed attivista per i diritti umani, direttrice dell'Occupation Watch Center che denuncia e documenta i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani nell'Iraq sotto occupazione militare] Nel 2002 George Bush stabili' con un ordinanza esecutiva, avendo fallito il tentativo di ottenerlo per via legislativa, l'Ufficio della Casa Bianca per le Iniziative comunitarie e basate sulla fede, nonche' l'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid). Quest'ordinanza permette piu' facilmente al governo statunitense di finanziare organismi religiosi per il loro lavoro nei paesi in via di sviluppo, inclusi gli aiuti umanitari. Oggi il 25% degli associati all'Usaid sono gruppi basati sulla fede e 385 milioni di dollari sono stati stanziati nel budget del 2005 per le iniziative "comunitarie e basate sulla fede" (www.ncrp.org/BushFaithBasedBudget.asp). Il rapporto del Comitato nazionale per la filantropia responsabile (Ncrp) intitolato "Finanziare le guerre culturali: filantropia, chiesa e stato" attesta che praticamente tutte le organizzazioni finanziate dall'Ufficio della Casa Bianca hanno come parte della loro missione questi tre elementi: "la salvezza personale, l'infallibilita' della Bibbia e l'impegno al proselitismo religioso" (www.ncrp.org/ncrpstore/GSC341.htm). L'iniziativa basata sulla fede lanciata dal presidente Usa solleva delle preoccupazioni per la manifesta alleanza e sponsorizzazione del governo rispetto ai valori cristiani e missionari. Da' anche credibilita' a coloro che sostengono che la guerra al terrorismo e' in realta' una crociata religiosa. Inoltre, pone una questione critica per la societa' civile, gli stati e l'opinione pubblica: alle organizzazioni basate sulla fede deve essere permesso di fare proseliti mentre provvedono aiuto allo sviluppo o aiuto umanitario? * Dopo la guerra in Iraq e dopo l'onda dello tsunami, le organizzazioni cristiane furono fra le prime a recarsi nei paesi devastati. Molti hanno descritto i gruppi basati sulla fede mentre si ammassavano al confine tra l'Iraq e la Giordania come un secondo esercito che si preparava alla "battaglia per le anime" degli iracheni. Sebbene i media possano aver aggiunto i loro stereotipi, il modus operandi di alcuni operatori umanitari cristiani ha spinto gruppi cristiani e non a condannare la linea dura dell'evangelizzazione. Il proselitismo aggressivo dei missionari cristiani in Sri Lanka, Iraq ed Indonesia ha fornito alle forze fondamentaliste di quei paesi una "giustificazione" per il loro contrattacco e, in alcuni casi, ha alimentato la violenza contro le popolazioni native cristiane. * Al centro di questa tempesta c'e' il reverendo Franklin Graham, alla testa di Samaritan's Purse (La Borsa del Samaritano: www.samaritanspurse.org) un'organizzazione basata sulla fede che ha ricevuto piu' di 13 milioni di dollari dal governo Usa. Con un bilancio totale annuale di 220 milioni di dollari, Samaritan's Purse e' attiva in circa cento paesi del mondo, inclusi Indonesia, Iraq e Sri Lanka. La dichiarata missione di Samaritan's Purse e' di aiutare coloro che sono in difficolta' "con lo scopo di condividere l'amore di Dio attraverso suo figlio Gesu' Cristo". Graham, fondamentalista della destra religiosa, ha dichiarato l'Islam una "religione malvagia" e gli hindu "schiavi del potere di Satana". Samaritan's Purse non e' nuova a simili controversie ed ha una storia di proselitismo aggressivo. Nel 2003 invio' doni di natale ai bambini nei paesi in via di sviluppo farcendo le scatole di letteratura evangelica; nel 1991, durante la Guerra del Golfo, invio' copie in arabo del Vangelo in Arabia Saudita, non solo infrangendo le leggi del paese, ma sfidando l'alleanza fra i due paesi. Dopo un terremoto nelle campagne del Salvador, i membri dell'organizzazione insisterono per tenere sessioni di preghiera prima di aiutare i terremotati e di insegnare loro a costruire i rifugi d'emergenza. Samaritan's Purse non e' la sola organizzazione che ha usato la disperazione delle comunita' dopo guerre e disastri ambientali come piattaforma per il proselitismo. In un commento allo tsunami in Asia, K. P. Yohannan, presidente di Gospel For Asia (Vangelo per l'Asia), un gruppo texano, ha detto: "Questa (la devastazione dello tsunami) e' una delle piu' grandi opportunita' che Dio ci ha dato per condividere il suo amore con le persone" (www.christianitytoday.com/ct/2005/102/21.0.html). Un'altra organizzazione che mischia aggressivi messaggi religiosi e aiuto umanitario e' la Southern Baptist Convention (Sbc), che aveva 800 volontari in Iraq il cui scopo era distribuire pacchi di cibo ornati da un versetto in arabo: "La grazia e la verita' si sono realizzate in Gesu'". Albert Mohler della Sbc sostiene che il Dio e la salvezza offerti dall'Islam sono falsi e che "Il cristiano deve guardare l'Iraq e vedere persone che hanno disperatamente bisogno del Vangelo". Sebbene i commenti di Graham e Mohler possono essere facilmente accantonati come un incitamento all'odio che incontra i sentimenti di pochi, il fatto e' che entrambi questi individui e le organizzazioni che rappresentano non sono esattamente ai margini della societa' americana. La Sbc e' la piu' grande aggregazione protestante negli Usa e Mohler e' riconosciuto come "l'intellettuale in carica del movimento evangelico" ed e' stato inserito dal "Time Magazine" fra i 50 "leader del futuro". Franklin Graham ha una stretta relazione personale con George Bush, ed e' stato invitato a dirigere preghiere e a dire il sermone di Pasqua, con la presenza del presidente, al Pentagono. * All'inizio di quest'anno, in Indonesia, World Help (altro gruppo missionario statunitense) pianifico' di portate via i bambini orfani dalla provincia di Banda Aceh, una fortezza dell'Islam conservatore, per trasferirli in un orfanotrofio cristiano a Giakarta. Prima che il governo indonesiano intervenisse e mettesse fine ai loro piani, l'appello per la raccolta di fondi sul loro sito web attestava la necessita' di "piantare i principi cristiani prima possibile" nei bambini musulmani. A propria difesa, World Help paragona il proprio lavoro a quello di Madre Teresa, che mise bambini hindu orfani in case cattoliche a Calcutta, e ottenne un Premio Nobel per la Pace. Tuttavia, essi omettono di sottolineare le differenze. Madre Teresa non era una missionaria a breve termine che arrivava in un paese, portava via i bambini, e se ne andava. Sebbene anche Madre Teresa sia stata accusata di avere come scopo le conversioni religiose, non era vista come qualcuno venuto da fuori, con poca conoscenze della cultura del paese. Adotto' l'India come proprio paese e visse la' circa 70 anni, era sensibile alle varie religioni e culture del paese, ed aveva fiducia nelle persone con cui lavorava. Il fatto che la maggior parte delle organizzazioni che mischiano aiuto umanitario e religione siano nate negli Usa infiamma maggiormente le opinioni nei paesi musulmani. E' stato stimato che un missionario su due e' americano, e uno su tre e' un evangelico. Persino la Chiesa di Scientology fa parte di quello che viene chiamato "Lo squadrone di Dio". La loro presenza a Banda Aceh, la regione piu' duramente colpita dallo tsunami, consisteva in tendoni che recavano la scritta "Penanganan" (che significa Centro antitrauma) dove volontari ministri del culto davano consigli per combattere il dolore, facevano massaggi e insegnavano il credo di Ron Hubbard, il fondatore di Scientology. Sebbene il gruppo sostenga che non stava cercando conversioni, un sito web associato alla Chiesa lancio' un appello per la raccolta di fondi il cui scopo era stampare e distribuire i testi di Hubbard nelle aree colpite dallo tsunami. * Anche le organizzazioni dell'Islam militante hanno colto l'opportunita' del reclutamento. Il "Fronte dei Difensori dell'Islam", un gruppo noto per le aggressioni ai bar di Giakarta durante il ramadan, mando' 3.000 propri volontari nella zona di Banda Aceh, per lavorare con i profughi e fornire guida spirituale. Un membro del gruppo, Hilmy Bakar Almascaty, dichiaro': "Stiamo addestrando le persone a diventare membri dei Difensori dell'Islam. Penso che ad Aceh l'idea sia benvenuta". I Laskar Mujaheddin, un gruppo esplicitamente ed inestricabilmente legato ad Al Qaeda, mando' nella stessa zona 250 persone, alcune delle quali furono trasportate la' dall'esercito indonesiano. Stabilirono avamposti attorno all'aeroporto e ai campi delle organizzazioni umanitarie, con il segno distintivo (o meglio l'avvertimento) che recitava: "Legge islamica in vigore". * Molti gruppi basati sulla fede che provvedono aiuti umanitari condannano i proselitismi e la maggior parte di essi ha sottoscritto un codice di comportamento redatto dalla Croce Rossa/Mezzaluna Rossa Internazionale. Esso dichiara categoricamente che "L'imperativo umanitario viene per primo" e "L'aiuto non verra' usato per dare forza a punti di vista politici o religiosi". Per esempio, il Church World Service (il braccio umanitario del Consiglio Mondiale delle Chiese), firmatario del codice suddetto, assicura che il proprio lavoro "non si basa su alcuna forma di proselitismo". La Caritas Internationalis (un raggruppamento di 162 organizzazioni umanitarie cattoliche) e' molto attenta nel tenere distinte le attivita' missionarie da quelle umanitarie. Secondo il suo Segretario Generale, coloro che "mescolano le due cose stanno giocando un gioco pericoloso, soprattutto con il clima che c'e' oggi al mondo. Noi facciamo quel che facciamo perche' siamo cristiani, non perche' vogliamo che gli altri diventino come noi" (www.caritas.org). Attiva in Indonesia, la Caritas preferisce lavorare tramite le Ong locali e le moschee. E' vero che l'evangelizzazione dalla mano pesante non e' la norma. Tuttavia, le azioni e le dichiarazioni di coloro che danno cibo in cambio di un prezzo religioso hanno un impatto negativo sulle altre organizzazioni basate sulla fede e coinvolte nel lavoro umanitario. Una situazione del genere si verifico' nel 2001 in Afghanistan, dopo che i Talebani arrestarono le americane Heather Mercer e Dayna Curry per proselitismo e successivamente espulsero tutte le organizzazioni umanitarie cristiane dal paese. Molti legano la crescita dell'evangelismo cristiano allo "stratega" missionario Luis Bush ed al suo "10/40 Window Movement" (Movimento della finestra 10/40), chiamato anche la Resistance Belt (Cintura della resistenza). La finestra si riferisce alla regione del mondo che si situa fra 10 e 40 gradi a nord dell'equatore, dal Senegal occidentale alla Cina dell'est. Quest'area rettangolare "include la maggioranza mondiale dei musulmani, degli hindu e dei buddisti, miliardi di anime spiritualmente impoverite" (www.ad2000.org/1040broc.htm). * In Sri Lanka, dove il 74% della popolazione e' buddista, lo zelo evangelizzatore dei missionari si e' scontrato con l'equivalente fervore fanatico dei monaci buddisti. Gia' prima dello tsunami, in un periodo di circa 6 mesi si sono registrati piu' di 50 attacchi violenti a cristiani; 146 luoghi di culto cristiani sono stati chiusi dai buddisti radicali fra il dicembre 2003 ed il marzo 2004; e, nel novembre 2003, l'ufficio di World Vision, un gruppo cristiano dedito al lavoro umanitario, presente in Sri Lanka dal 1977, fu incendiato con bottiglie molotov. Infine, nel luglio 2004, il partito nazionalista buddista Jathika Hela Urumaya (Jhu) presento' in parlamento la legge di "Proibizione delle conversioni forzate". Il flusso di ulteriori missionari dopo lo tsunami ha solo alimentato la violenza anti-cristiana che gia' montava nel paese. Sebbene la Corte Suprema dello Sri Lanka abbia gia' dichiarato due articoli della legge anticostituzionali, essa e' stata ripresentata nel maggio 2005. Secondo questa legge: "Nessuna persona convertira' o tentera' di convertire, direttamente o con altri mezzi, qualcuno da una religione ad un'altra tramite l'uso della forza, allettamenti o mezzi fraudolenti, ne' alcuno aiutera' o permettera' tali conversioni". Le sanzioni prevedono multe e fino a sette anni di prigione. Chi critica la legge dice che, oltre a contravvenire alla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici e alla Carta dei Diritti Umani dell'Onu, il dettato e' cosi' vago da rendere difficile discernere quando qualcuno si sta impegnando in conversioni "non etiche". La legge non e' ancora passata in parlamento, ma gia' un numero considerevole di gruppi cristiani ha smesso di fornire servizi sociali, temendo che tale lavoro venga considerato "allettamento". Le leggi anti-conversione dello Sri Lanka trovano ispirazione nella legislazione similare in vigore nella provincia indiana di Tamil Nadu nel 2002, poi decaduta dopo l'elezione del Congresso Nazionale Indiano nel 2004. La legge, oltre ad imporre multe e prigionia per coloro che operavano conversioni, richiedeva che la persona desiderosa di cambiare religione presentasse una richiesta scritta a funzionari del governo e fosse almeno in possesso di diploma di istruzione secondaria. Secondo alcuni, la legge aveva la funzione principale di prevenire i Dalits (intoccabili) e le classi povere dalla conversione religiosa (non solo al cristianesimo, ma anche all'islam e al buddismo) e lo scopo di proteggere la maggioranza politica nata hindu e quindi l'ideologia nazionalista hindu. Coloro che vogliono leggi del genere in Sri Lanka accusano i missionari cristiani di insensibilita' culturale, e di usare programmi sociali e forniture di materiali per incentivare la conversione dei buddisti. Essi argomentano che come la Chiesa Ortodossa Greca si identifica con la storia etnica e culturale dell'Europa orientale, cosi' il buddismo e' troppo strettamente legato all'identita' nazionale dello Sri Lanka. I missionari cristiani, convertendo buddisti, starebbero quindi minando l'eredita' culturale della nazione. La maggior parte di chi sostiene questa opinione punta il dito sui missionari americani della Antioch Community Church (Waco, Texas). Heather Mercer e Dayna Curry, le statunitensi arrestate in Afghanistan, appartenevano a questa chiesa. Pur preferendo identificarsi come operatori umanitari e non come missionari, i membri della Antioch hanno messo in scena pezzi teatrali su Gesu', hanno fatto disegnare ai bambini la sua figura, ed hanno tentato di guarire malati e handicappati con la preghiera pubblica. Le loro azioni hanno fatto arrabbiare anche i cristiani locali, ad esempio un sacerdote che aveva assistito alle loro sessioni di preghiera. Il gruppo tuttavia nego' di star tentando di convertire le persone, ma ribadi' che il loro lavoro missionario era inseparabile dall'aiuto umanitario. Coloro che protestano contro le leggi anti-conversione credono che le conversioni religiose siano una forma di protesta politico-sociale e che i missionari siano presi di mira come capri espiatori per "coprire le inadeguatezze del buddismo istituzionale nel rispondere ai bisogni delle comunita' dello Sri Lanka. Storicamente, il tempio buddista si situava al centro della vita dei villaggi, provvedendo istruzione, agendo come guida morale e componendo le dispute. Di fronte al declino dei templi, le associazioni caritatevoli cristiane guadagnano terreno, perche' stanno rispondendo piu' efficacemente delle istituzioni buddiste ai bisogni dei poveri nelle comunita'" (www.christianresponse.org). * Comprendendo la delicatezza della situazione, la rappresentante speciale dell'Onu per la liberta' di religione, Asma Jahangir, ha visitato lo Sri Lanka nel maggio 2005 per incontrarsi con funzionari del governo e gruppi religiosi. Asma Jahangir non ha ancora presentato il suo rapporto. La violenza contro i cristiani, che prenda la forma di una reazione al proselitismo o che testimoni conflitti settari interni, non ha smorzato lo sforzo degli evangelisti cristiani: la "finestra 10/40" non e' importante solo per i missionari, sembra che essa sia un punto focale della corrente politica estera statunitense. * Nel giro di tre anni e mezzo la Casa Bianca ha attaccato l'Afghanistan e l'Iraq, paesi al centro della suddetta "finestra", ed ha poi provveduto a finanziare e sostenere le missioni cristiane in questi paesi. Cio' viene interpretato come politica religiosa ed imperialismo culturale e contribuisce ad accrescere il risentimento nei confronti degli Usa. Inoltre, la teoria dello "scontro di civilta'" sta avanzando. La teoria suggerisce che i conflitti riguardanti l'identita' nazionale, la cultura e la religione stiano rimpiazzando le vecchie tensioni basate su ideologie laiche ed economiche. C'e' chi descrive lo scontro come "l'Islam contro l'Occidente", ma potrebbe essere descritto, visto il clima corrente, come "Il Cristianesimo Occidentale contro Tutto il Resto". * Nessuno nega che i missionari abbiano dato milioni di dollari in aiuti umanitari e speso incalcolabili ore di volontariato nei paesi in via di sviluppo. Tradizionalmente, i missionari arrivano in questi paesi e provvedono servizi sociali, in special modo nei campi della salute e dell'istruzione, ove i governi locali siano impossibilitati a farlo. I gruppi che combinano la proclamazione cristiana con la compassione cristiana stanno pero' facendo un disservizio agli ammirevoli sforzi umanitari di coloro che credono nel seguire l'esempio di Cristo quale solidale guaritore e provveditore di cibo, senza che questo debba essere per forza collegato al suo messaggio salvifico. Coloro che si impegnano nel proselitismo sono spesso privi di conscenze adeguate, missionari a breve scadenza che non hanno alcuna familiarita' con i costumi o la cultura della regione in cui si trovano. Anche se le loro intenzioni possono essere le migliori, lo sciovinismo religioso, accoppiato all'insensibilita' sociale e politica ed a metodologie non appropriate, spesso indebolisce il messaggio che essi tentano di comunicare. L'attivismo missionario precedente era "olistico", e diffondeva le virtu' del duro lavoro, una combinazione chiamata "Bibbia e aratro". Gli evangelizzatori di oggi stanno, al massimo, creando una nuova specie di "cristiani di riso" (termine sprezzante con cui vengono indicati coloro che accettano il cristianesimo per fame, anziche' per genuina convinzione), i quali vanno alle "moschee di Gesu'" e lo pregano assieme a Rama e a Krishna. Nei casi peggiori stanno contribuendo a rendere piu' profonde le linee di divisione religiosa in paesi che sono gia' violentemente divisi da lotte settarie e di fede. 5. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: PER LA CRITICA DEL MULTICULTURALISMO REPRESSIVO [dal quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista] Dopo l'avvento dei kamikaze britannici (ma non e' piu' certo che fossero davvero attentatori suicidi) scopriamo improvvisamente fette di umanita' prima ignote o rimosse, ai margini e al centro delle nostre citta' e metropoli europee. Banlieue parigine come Auberville dove i giovani musulmani parlano un francese di 400 parole, come ha raccontato Anna Maria Merlo sul "Manifesto" di domenica. Sobborghi inglesi come Beeston Hill dove vivevano i terroristi del 7 luglio, con meta' abitanti asiatici e un quarto africani, scontri fra bande ogni sera e ristori a base di pizza, kebab e moussaka mescolati (Marco Imarisio, "Corsera" di mercoledi'). Pub di Nantes in cui i maschi occidentali non fanno che bere e mettere le mani addosso alle ragazze, e la giovane barista francese, stufa, decide di convertirsi all'Islam (Gabriele Romagnoli, "Repubblica" di domenica). Quartieri bolognesi di ordinaria normalita' in cui gli immigrati musulmani di seconda e terza generazione, non jihadisti ma moderati, che cercano di "costruire un ponte" fra fede islamica e cittadinanza italiana, vivono stretti fra l'offensiva dei loro fratelli radicali e la campagna sulla sicurezza del nostro governo (Paolo Rumiz, sempre su "Repubblica" di domenica). Realizziamo improvvisamente che quello della societa' multiculturale era un obiettivo, o un ideale, astratto dalle biografie reali e dalle narrazioni soggettive, e che un'idea per cosi' dire "ludica" delle differenze ha fatto velo sui conflitti ruvidi che esse scatenano e sul lavoro della relazione che esse comportano se le si vuole mettere davvero a contatto e non semplicemente affiancare, o ghettizzare, o tollerare. Di crisi del multiculturalismo americano e europeo si era gia' parlato (anche su queste colonne) dopo le reazioni della societa' americana all'11 settembre, poi in occasione degli assassini di Pym Fortuyn e Theo Van Gogh in Olanda, e a proposito della legge sul velo in Francia: tre segnali di inadeguatezza sia del modello pluralistico angloamericano e olandese, sia del modello assimilazionista francese. Dopo i fatti di Londra l'argomento ritorna: ad esempio nell'intervista rilasciata a Stefano Liberti da Oliver Roy, studioso francese del radicalismo islamico, sul "Manifesto" di mercoledi' scorso, e nel testo di Robert Leiken, studioso di immigrazione e sicurezza nazionale dell'establishment americano, tratto da "Foreign Affairs" e pubblicato fra i "Documenti" del "Corsera" giovedi' con il titolo Come l'Europa fa crescere i terroristi. Ma ovviamente la diagnosi della crisi si presta a piegature molto diverse. Roy auspica una convergenza fra i paesi europei su un nuovo modo di impostare il rapporto con le nuove generazioni di ex-immigrati, oltre i limiti dei due modelli precedenti. Leiken traccia invece una linea di demarcazione fra gli Stati Uniti, paese di antiche tradizioni dove il modello multiculturale dimostrerebbe di tenere, e l'Europa, dove al contrario starebbe franando. Secondo Leiken la demarcazione ha origini storiche e politiche: negli Stati Uniti, paese tutto costruito su una lunga immigrazione, gli islamici si sono integrati spargendosi e diasporandosi sul territorio, mentre in Europa, terra di immigrazione solo dopo la seconda guerra mondiale, sono stati poco accettati e ridotti in enclave omogenee e chiuse; negli Stati Uniti il "metodo misto" di "separare la religione dalla politica senza porre un muro tra di esse" fa si' che gli immigrati si integrino via via mantenendo una relativa autonomia culturale, mentre in Europa il multiculturalismo, un tempo bandiera del liberalismo, sta diventando una copertura del terrorismo, il laicismo e l'islamismo radicale crescono come due opposti estremismi (e il cristianesimo declina). Morale: mentre la marea migratoria monta, l'Europa, incapace altresi' di pensare la lotta al terrorismo nei termini di una guerra, non sa far fronte alla radicalizzazione delle comunita' di ex immigrati, che diventano il luogo di incubazione e reclutamento di jihadisti muniti di regolare passaporto e pronti a salire sugli aerei diretti nei cieli americani. Anche per questa via dunque l'"Atlantic divide" si approfondisce. O viene artatamente approfondito, con un'analisi disposta a fare molti sconti al melting-pot americano, in realta' non meno delle societa' europee attraversato da linee di frattura identitarie e neocomunitariste. Meglio Slavoj Zizek, che nella sua critica al multiculturalismo tiene unite le due sponde dell'Atlantico. Di qua e di la', sotto la bandiera progressista multiculturale e' cresciuta una tolleranza indifferente, in cui tutti siamo disposti ad accettare l'altro finche' la sua alterita' non ci interroga e non ci domanda di cambiare qualche cosa di noi. Oltre questo limite scattano a catena ghetti, kamikaze e dispositivi di sicurezza illiberali. 6. INCONTRI. IL 23 LUGLIO A FIRENZE ASSEMBLEA NAZIONALE DELLA "CAMPAGNA CONTROL ARMS" [Da Francesco Vignarca (per contatti: francesco at vignarca.net) riceviamo e diffondiamo. Francesco Vignarca e' un apprezzato studioso ed attivista per la pace impegnato anche come coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo (per contatti: e-mail: segreteria at disarmo.org, sito: www.disarmo.org). Opere di Francesco Vignarca: Li chiamano ancora mercenari, Altreconomia, Milano 2004; Mercenari S.p.A., Rizzoli, Milano 2004 (seconda edizione rivista e ampliata del testo precedente)] Il coordinamento italiano della "Campagna Control Arms" ha deciso di convocare un'assemblea con tutte le realta' che hanno aderito alla campagna, per programmare le iniziative di azione per il prossimo anno. E' stato deciso di incontrarci sabato 23 luglio a Firenze presso la sede dell'Arci in piazza dei Ciompi 11, dalle ore 10 alle 17,30. Sono invitate tutte le associazioni aderenti e i referenti dei coordinamenti locali che si sono attivati in questo periodo e che si vorranno attivare in futuro. Presto manderemo in rete l'ordine dei lavori della giornata, nel frattempo invitiamo a comunicarci la vostra presenza. * Per ulteriori informazioni: tel. 3355769531, e-mail: controlarms at disarmo.org, sito: www.disarmo.org Per informazioni sulle adesioni: www.disarmo.org/controlarms/articles/art_10184.html Per informazioni sulle modalita' di sostegno: www.disarmo.org/controlarms/articles/art_10372.html 7. PROFILI. CLAUDIO CARDELLI: VITA E PENSIERO DI ALBERT SCHWEITZER [Da "Azione nonviolenta" di aprile 1996 (disponibile anche nel sito: www.nonviolenti.org). Claudio Cardelli, prestigioso amico della nonviolenza, gia' collaboratore di Aldo Capitini, benemerito studioso e divulgatore della riflessione nonviolenta. Opere di Claudio Cardelli: Nonviolenza e civilta' contemporanea, D'Anna, Messina-Firenze 1981. Segnaliamo anche le schede su vari pensatori e correnti di pensiero pubblicate su "Azione nonviolenta" negli ultimi anni. Cfr. anche il suo contributo in AA. VV., Periferie della memoria, Anppia-Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999. Albert Schweitzer, nato il 14 gennaio 1875, insigne filantropo, e' stato filosofo e teologo, pastore evangelico, organista, studioso insigne di Bach, medico a Lambarene' nell'ospedale da lui fondato nella foresta africana, promotore dell'impegno contro le armi atomiche; ha pubblicato opere di teologia, filosofia e musica; premio Nobel per la pace nel 1952; e' scomparso il 4 settembre 1965. Tra le opere di Albert Schweitzer: I popoli devono sapere, Einaudi; La mia vita e il mio pensiero, Comunita'; I grandi pensatori dell'India, Astrolabio-Ubaldini; Rispetto per la vita, Claudiana; Storie africane, Il Saggiatore. Opere su Albert Schweitzer: un punto di partenza e' Enrico Sermonti, Schweitzer e la coscienza del terzo mondo, Cremonese] In una nuova storiografia che celebri non i conquistatori di territori (Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone), ma i benefattori dell'umanita', Albert Schweitzer, premio Nobel per la pace nel 1952, ha un posto di grande rilievo. Nato nel 1985, a Kaysersberg in Alsazia (a quel tempo appartenente alla Germania) da un pastore protestante, studio' teologia, filosofia e teoria della musica all'Universita' di Strasburgo. Conseguito il dottorato in teologia e filosofia, fu per alcuni anni rettore del Seminario teologico di Strasburgo e si dedico' allo studio delle origini del Cristianesimo (Storia dell'indagine sulla vita di Gesu', 1906). Fin da bambino aveva imparato a suonare l'organo e non trascur' mai lo studio della musica, in particolare di quella bachiana, nella quale raggiunse fama internazionale come interprete e come studioso. A Bach dedico' un'ampia monografia, la cui prima edizione fu pubblicata in francese nel 1905 (la seconda, notevolmente ampliata, in tedesco nel 1908). Tutto faceva presagire che il giovane professore, gia' docente di scienze neotestamentarie all'Universita' di Strasburgo, proseguisse nella prestigiosa carriera di studioso e musicista, ma intorno al 1905 la sua vita prese un altro orientamento: Schweitzer maturo' la decisione di dedicarsi agli indigeni dell'Africa equatoriale e si iscrisse alla Facolta' di medicina, con grande meraviglia dei colleghi che lo giudicarono "pazzo". Conseguita la laurea in medicina e compiuto un corso di specializzazione in malattie tropicali, nel marzo del 1913 si imbarco' per l'Africa con la moglie Helene Bresslau e si stabili' a Lambarene', sperduto villaggio del Gabon (Africa equatoriale francese), sulle rive del fiume Ogoue', dove costrui' le prime capanne del suo ospedale. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, Schweitzer e la moglie, essendo cittadini tedeschi in territorio soggetto alla Francia, furono custoditi come prigionieri in Africa fino al 1917, poi trasferiti in campi di concentramento in Francia. Alla fine della guerra, Schweitzer raccolse fondi con la propria attivita' di concertista e di conferenziere, e nel 1924 pote' tornare a Lambarene', dove riedifico' l'ospedale e visse sino alla morte (avvenuta il 4 settembre 1965), compiendo di tanto in tanto qualche viaggio in Europa per tenere concerti d'organo e conferenze. * Rispetto per la vita Fin dagli anni della prima guerra mondiale, ebbe profonda coscienza della crisi di valori che travagliava la civilta' occidentale e trovo' la via di salvezza nell'etica del "rispetto per la vita", che sintetizza la tradizione cristiana con il pensiero indiano, al quale dedico' uno studio accurato: I grandi pensatori dell'India (trad. it. Ubaldini Editore, Roma 1983). Racconta egli stesso, nella propria autobiografia, come giunse all'intuizione del principio fondamentale dell'etica: "Risalivamo lentamente la corrente, cercando con fatica la via - era la stagione secca - fra i banchi di sabbia. Sedevo assorto sul ponte della chiatta, lambiccandomi il cervello alla ricerca del concetto elementare e universale dell'etica che non avevo trovato in nessuna filosofia. Ricoprivo di frasi slegate un foglio dopo l'altro, soltanto per non distrarmi dal problema. La sera del terzo giorno, al tramonto, proprio mentre passavamo in mezzo a un branco di ippopotami, mi balzo' d'improvviso in mente, senza che me l'aspettassi, l'espressione 'rispetto per la vita'" (La mia vita e il mio pensiero, Edizioni di Comunita', Milano 1977, p. 141). E' interessante notare che l'etica di Schweitzer non si limita ai rapporti fra gli uomini, ma si estende a tutte le creature viventi, in una prospettiva universale che puo' richiamarsi alla filosofia indiana e a S. Francesco. "Il grande errore di ogni etica e' stato finora quello di credere di dover occuparsi soltanto del rapporto dell'uomo con líuomo. In realta' invece e' in gioco il suo atteggiamento verso il mondo e verso tutta la vita che entra nel suo raggio d'azione. Egli e' morale soltanto quando considera sacra la vita in quanto tale, quella della pianta e dell'animale come quella dell'uomo, e da' il suo aiuto alla vita che ne ha bisogno. Soltanto l'etica universale basata sul senso della responsabilita', allargata all'infinito, verso tutto cio' che vive, trova giustificazione nel pensiero. L'etica del rapporto fra uomo e uomo non e' qualcosa a se' stante, ma solo un aspetto particolare che deriva da quell'atteggiamento generale. L'etica del rispetto per la vita comprende dunque in se' tutto cio' che puo' essere definito come amore, dedizione, partecipazione nel dolore, nella gioia e nella fatica" (op. cit., p. 143). * Contro i test nucleari Un uomo come Schweitzer non poteva certo restare indifferente ai problemi e ai pericoli delle esperienze e delle armi atomiche: nell'aprile del 1958 furono diffuse dalla radio di Oslo tre sue conversazioni nelle quali chiedeva alle grandi potenze di sospendere gli esperimenti nucleari e di rinunciare alle armi atomiche. Riportiamo di seguito un brano, ancor oggi attuale, dal primo appello: "E' veramente inconcepibile la disinvoltura con cui i fautori degli esperimenti nucleari ignorano le previsioni dei biologi e dei medici circa le sventure che colpiranno le generazioni future a causa degli effetti della radioattivita' sugli esseri umani che vivono oggi. Noi non possiamo addossarci la responsabilita' di lasciar nascere un giorno - per aver ignorato il pericolo che li minaccia - migliaia di bambini con le piu' gravi tare fisiche e intellettuali. Solo chi non immagina neppure che cosa sia la nascita di un mostro, chi non ha mai udito i vagiti di una tale creatura ne' ha mai visto l'orrore della madre, puo' aver l'ardire di affermare che la continuazione degli esperimenti nucleari e' un rischio che in fondo vale la pena di affrontare. Il noto biologo francese Jean Rostand, studioso di genetica, chiama la continuazione degli esperimenti un delitto verso il futuro, un crimine nell'avvenire" (I popoli devono sapere, Einaudi, Torino 1958, p. 14). * Le Edizioni di Comunita' hanno pubblicato alcuni volumi del grande filantropo, fra i quali un'ottima antologia del suo pensiero, tradotta dall'edizione americana: Rispetto per la vita, Milano 1977, pp. 291. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 998 del 21 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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