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La nonviolenza e' in cammino. 996
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 996
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 19 Jul 2005 00:17:52 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 996 del 19 luglio 2005 Sommario di questo numero: 1. Non piu' 2. Enrico Peyretti: Fidarsi e' meglio 3. Giulio Vittorangeli: Culture della nonviolenza e della liberazione 4. Maria Grazia Giannichedda: Una notizia biobibliografica su Franca Ongaro Basaglia 5. Claudio Giusti: Dieci anni dopo 6. Gino Bianco: La lezione di Andrea Caffi 7. Per la riconversione dell'industria bellica in Lombardia 8. Una campagna di "Equality Now" in Etiopia contro i rapimenti, gli stupri e le connivenze 9. Teologia femminista, una bibliografia minima 10. Riletture: Laura Boella, Cuori pensanti 11. Riletture: Laura Boella, Le imperdonabili 12. Riletture: Wanda Tommasi, I filosofi e le donne 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. NON PIU' Non si da' piu' resistenza all'oppressione senza la scelta della nonviolenza. Non si da' piu' esperienza di liberazione senza la scelta della nonviolenza. Questo il movimento delle donne, il movimento operaio, i movimenti per la democrazia e i diritti umani, i movimenti socialisti e libertari, il movimento ambientalista, i movimenti per la pace, e tutte le grandi tradizioni sia religiose che laiche di affermazione della dignita' umana, lo hanno sempre intimamente sentito, e lo hanno altresi' praticato nelle loro esperienze piu' luminose e aggettanti. E' merito del movimento delle donne di essere l'unica esperienza storica di liberazione che sempre ha saputo affermare questa coerenza tra i mezzi e i fini, che sempre ha saputo tener ferma questa scelta senza di cui tutto e' perduto, tutto. Chi ancora si attarda a pensare che sia lecito far uso delle armi, delle ingiustizie, dello sfruttamento, della negazione dell'altrui diritto e dignita', in una parola: della violenza, non ha ancora capito che un unico destino di vita o di morte attende l'umanita' intera, e che solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. Nessun equivoco e nessuna ambiguita' sono piu' possibili. Solo la lotta nonviolenta puo' impedire la catastrofe, solo la scelta nonviolenta puo' salvarci tutti. 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: FIDARSI E' MEGLIO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Grande allarme per il terrorismo, a dieci giorni dagli attentati di Londra. Molto meno allarme per le tante decine di vittime quotidiane in Iraq, per gli attentati frutto della guerra. Si calcola che per noi il rischio di esser presi in un attentato e' enormemente minore del rischio quotidiano di un incidente d'auto. In verita', il fatto grave, piu' del rischio, e' l'offesa alla fiducia pubblica, che ci viene inflitta da ogni simile agguato. Infatti, si vive in societa', invece che nascosti in un bosco o asserragliati in un castello, perche' si ha una sufficiente fiducia nell'umanita', anche negli sconosciuti, pur sapendo che ci sono tra noi anche pazzi e malvagi, anche persone decise ad uccidere a caso per motivi loro. Quando il "nemico" non arriva da fuori, ma sorge e colpisce tra noi, l'offesa e la paura sono massime. Alcuni di noi cadono morti, ma tutti cadiamo nella schiavitu' della paura. E' ferita al cuore la socialita' stessa della nostra natura. Dovremmo forse uscire di casa con l'elmetto, il giubbotto antiproiettile, e l'arma a spalla? Le societa' armate sono piu' insicure e producono piu' omicidi di quelle disarmate. Dopo ogni attentato, si rafforzano le misure di sorveglianza, ma sappiamo tutti molto bene che e' impossibile prevenire ed evitare del tutto il pericolo. A pochi giorni dai fatti di Londra, ho partecipato ad un convegno (sulla riconversione dell'industria bellica), nella sede di un importante ente pubblico. Dovendo uscire prima della fine, mi sono trovato a vagare per le sale, deserte a quell'ora, in cerca dell'uscita. Sono capitato davanti all'ufficio del presidente: porta aperta, grande scrivania, nessuno presente. All'entrata il poliziotto non aveva perquisito la mia borsa piena di carte. Va bene che ho una faccia onesta (io spero), ma se fossi stato un bombarolo avrei potuto far saltare l'ufficio del presidente. Del resto, si racconta che un giornalista inglese anni fa dimostro' di poter arrivare indisturbato fino agli appartamenti della regina. Non sto protestando per la mancata sorveglianza. Dico, rovesciando il vecchio arcigno proverbio: "Non fidarsi e' bene. Fidarsi e' meglio". Se diamo la precedenza al fidarsi (ovviamente, con la normale prudenza), corriamo un rischio piccolo e guadagniamo una normalita' di vita e di rapporti umani. Se diamo la precedenza al non fidarsi, finiremo per agire come i marines, armati ma terrorizzati (chi li ha messi in quella disperazione?), che spararono assurdamente a Nicola Calipari, e a tanti altri allo stesso modo. Se non ci fidiamo, abbiamo gia' dato la vittoria al terrore, cioe' alla paura con cui il terrorista (chiunque egli sia) vuole dominare gli animi e piegarli ai suoi fini, e abbiamo gia' collaborato con lui a guastare gravemente la vita sociale facendo di ogni prossimo un sospetto, e portando alle stelle solitudine e disperazione in ciascuno. Al contrario, se ci fidiamo degli altri, con normale attenzione, abbiamo frustrato il potere del terrore. Prendiamo pure le misure necessarie, facciamo correttamente le dovute indagini, ma non riconosciamo ai violenti il potere universale che vogliono. Chi accentua l'allarme sociale e promette misure forti e definitive, promette l'impossibile, ma intanto sta incassando per se' e per il proprio millantato potere protettivo il frutto del terrore. Sembra un protettore, ma e' un partecipante al gioco del terrore. * La minaccia di uccidere e' grave violenza. Minacciare una eccezionale contro-violenza aggrava le cose. Proteggere le vite e l'ordine pubblico e' necessario e giusto, ma puo' avvenire meglio se tutti abbiamo piu' coraggio che paura, se pensiamo che morire di attentato e' (relativamente) possibile, ma vivere agguerriti e' peggio. Vivere male, incanagliti, lividi di odio, puo' essere peggio che morire. Se la paura di morire diventa paura di vivere con gli altri, specialmente con gli stranieri, finiremo per obbedire a chi ci terrorizza, accettando i suoi modi, regole e condizioni. Tanti poteri duri sono nati dall'imporre paura e promettere protezione. Lo stesso Stato teorizzato da Hobbes, modello ancora influente sul pensiero politico corrente (che non si discosta da Weber, per il quale il monopolio della violenza legittima e' l'essenza dello Stato), tiene l'ordine col terrore. Lo Stato-Leviatano "dispone di tanta potenza e di tanta forza a lui conferite, che col terrore da esse suscitato e' in grado di modellare le volonta' di tutti i singoli in funzione della pace" (Hobbes, Leviatano, 1651, cap. XVII). Lo Stato che ottiene sottomissione e pace incutendo terrore si definisce da se' "Stato terrorista". Esso ha tanto piu' spazio quanto meno i cittadini sono capaci di vivere insieme rispettandosi. Invece, davanti all'aggressione alla vita sociale, deve crescere la socialita' per libera scelta e non per paura. Quella "violenza legittima" deve essere disconosciuta e superata per poter meglio delegittimare ogni altra violenza (cfr. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004, p. 25). * Se accettiamo il gioco del terrorista, dovremo diventare, come societa', piu' feroci di lui, perche' questa e' la legge della guerra. Percio' fa molto male chi pensa il terrorismo in termini di guerra invece che di criminalita'. Morire di violenza, o veder morire cosi' altri tra noi, e' brutto, ma vivere affidati alla contro-violenza non e' meno brutto. La vita civile e', nell'immediato, piu' debole della vita criminale. Ma proprio in cio' e' superiore e piu' felice. O diventare tutti peggiori, o tutti piu' coraggiosi. Come ogni potere, anche il potere del terrorista non sta in lui, ma in chi glielo riconosce per paura, cadendo nel suo tranello. Se rendiamo inutile la sua violenza, perche' puo' uccidere alcuni, ma non sottomettere tutti al terrore; se gli resistiamo con l'unione costruttiva piu' forte della singolarita' distruttiva, allora creiamo anche la migliore possibilita' di ricuperare alla vita sociale e cooperativa il terrorizzatore frustrato. Cosi' fu abbastanza domato il terrorismo in Italia negli anni settanta-ottanta. 3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: CULTURE DELLA NONVIOLENZA E DELLA LIBERAZIONE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Nel numero 989 di questo foglio e' riproposto l'interessante testo "Contro la guerra, la nonviolenza", in cui si dice testualmente che "gli amici della nonviolenza riconoscono agli oppressi il diritto di legittima difesa; ovviamente gli amici della nonviolenza hanno la capacita' di ricostruire i rapporti di causa ed effetto che producono l'oppressione e la violenza, e si battono in primo luogo contro le cause e le condizioni strutturali che producono ingiustizia, sopraffazione, sofferenza, violenza". Naturalmente sottoscrivo quanto espresso, ma come lo traduciamo concretamente nella realta' di questo martoriato mondo, mi sembra cosa di qualche difficolta'. Lo stesso Alex Langer, pacifista e nonviolento in senso stretto ed integrale, alla Capitini, si era convinto che per fermare l'orrore che avveniva nella Bosnia, fosse necessario l'intervento armato della Nato. Ecco l'interrogativo: e' comunque compatibile con la prospettiva nonviolenta una strategia violenta, dal momento che la cultura della nonviolenza ha affermato in modo definitivo l'esigenza della coerenza tra i mezzi ed il fine? Vi sarebbe pertanto un contrasto insuperabile tra movimenti di liberazione e movimenti per la pace, come anche tra le culture che li ispirano. Contrasto che bloccherebbe la solidarieta' internazionale con i movimenti di liberazione: come infatti, chiedono molti, essere solidali nel Terzo Mondo con i movimenti che praticano la lotta armata, quando in Europa ci si batte per il disarmo totale? Non credo sia possibile rispondere a questa domanda ad un livello generale, quindi astratto. O peggio ancora nel conforto dei nostri comodi salotti, giudicando e condannando la violenza, quasi fosse segno di scarsa sensibilita' umana. Non solo, si corre il rischio di avere la pretesa di giudicare con maggiore oggettivita' dei militanti locali le strade da percorrere; finendo con riproporre, pur con le migliori intenzioni, un nuovo episodio di arroganza eurocentrica. Personalmente credo che la risposta all'interrogativo, si possa trovare solo nel concreto; cioe' in rapporto ad una lotta determinata, ed al progetto che essa persegue, cosi' come e' stato nella lotta e nel progetto della rivoluzione popolare sandinista del Nicaragua vittoriosa il 19 luglio 1979; che mi sembra essere stato un caso concreto di incontro tra cultura della nonviolenza e cultura della liberazione. Su quell'esperienza Giulio Girardi ha scritto pagine interessantissime ed umanamente commoventi; di come l'opzione per gli oppressi poteva fondare una nuova alleanza tra avversari storici, come erano prevalentemente stati per mezzo secolo i cristiani ed i marxisti. Cito, per tutti, il suo libro Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la confluenza, Borla, Roma 1986. * Diciamo subito che il rapporto tra cultura della nonviolenza e cultura della liberazione dei popoli (cosi' bene rappresentato negli anni '80 dall'esperienza di fede dei cristiani impegnati nelle lotte rivoluzionarie del Centroamerica), puo' essere inteso ed interpretato come contrapposizione delle due culture, oppure cogliendole entrambe tese a spezzare il dominio dell'ingiustizia e della violenza nella storia. Nel primo caso, attraverso questa contrapposizione si paralizzano mutuamente. La cultura della nonviolenza, definita essenzialmente, in senso strategico, come alternativa alla lotta armata, si presenta come contrapposta alla cultura della liberazione, in particolare alla teoria marxista. Finendo con il diventare un'arma ideologica della conservazione che occulta la violenza del sistema in cui viviamo; mentre, ai giorni nostri, la violenza si presenta sempre come difesa di valori quali la liberta', la democrazia, la razionalita' economica, ecc.; nascosta nelle strutture economiche e politiche che caratterizzano la nostra societa'. Separata dalla prospettiva nonviolenta, la cultura della liberazione rischia di perdere di vista nella teoria e soprattutto nella pratica il carattere alternativo del suo progetto di liberazione, che appunto puo' essere definito solo in antitesi al sistema imperniato sulla violenza. Dall'altro lato la prospettiva nonviolenta, dissociata dalla cultura della liberazione, rischia di eclissare il suo obiettivo di trasformazione globale e strutturale, e di rimanere prigioniera del moralismo. Nel secondo caso, di incontro tra le due culture, la cultura della nonviolenza non e' solo strategica, ma un'alternativa di cultura e di civilta', che inevitabilmente si trova a doversi schierare nel conflitto Nord-Sud, imperi-popoli. In questo caso la prospettiva nonviolenta e' elaborata dal punto di vista dei popoli oppressi che stanno emergendo come soggetti storici, stanno prendendo coscienza del loro diritto non solo alla vita, ma alla liberta' ed all'iniziativa storica. L'esperienza del Nicaragua sandinista (oggi tristemente dimenticata e rimossa), con la scelta rivoluzionaria dei cristiani, ha rappresentato un tentativo assai significativo di articolare la cultura della liberazione e della nonviolenza: "Mi pare cioe' di cogliervi operante, forse per la prima volta nella storia delle rivoluzioni, la consapevolezza che la nonviolenza e' una dimensione essenziale di una rivoluzione autentica. Questa consapevolezza incide sul rinnovamento del marxismo, della concezione della storia, della politica, della nuova societa', e della stessa rivoluzione. Essa infine crea le condizioni di quella confluenza tra marxismo e cristianesimo, che e' una delle caratteristiche piu' innovative di quella rivoluzione" (Giulio Girardi). Su tutto questo, ad iniziare dalla sensibilita' nonviolenta del sandisimo, sara' opportuno ritornare. 4. PROFILI. MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA: UNA NOTIZIA BIOBIBLIOGRAFICA SU FRANCA ONGARO BASAGLIA [Da Franco Basaglia, L'utopia della realta', Einaudi, Torino 2005, pp. LVI-LVII. Maria Grazia Giannichedda, acutissima sociologa, e' stata una delle principali collaboratrici degli indimenticabili Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia, la cui lotta per una psichiatria democratica e per la dignita' umana di tutti gli esseri umani tuttora prosegue] Franca Ongaro e' nata nel 1928 a Venezia dove ha fatto studi classici. Comincia a scrivere letteratura infantile e i suoi racconti escono sul "Corriere dei Piccoli" tra il 1959 e il 1963 insieme con una riduzione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse, illustrata da Hugo Pratt, e del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott. Ma sono gli anni di lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si sta raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, a determinare la direzione dei suoi interessi e del suo impegno. Nella seconda meta' degli anni '60 scrive diversi saggi con Franco Basaglia e con altri componenti del gruppo goriziano e due suoi testi - "Commento a E. Goffman. La carriera morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e finalita' comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la psichiatria (1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la traduzione italiana dei testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico, editi da Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971 con saggi introduttivi di Franco Basaglia e Franca Ongaro, che traduce e introduce anche il lavoro di Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni '70 Franca Ongaro e' coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia, da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), da Crimini di pace (1975) fino alle Condotte perturbate. Nel 1981 e 1982 cura per Einaudi la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca Ongaro e' anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla bioetica, la condizione della donna, le pratiche di trasformazione delle istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia. Le parole della medicina (Einaudi, Torino 1979), raccolta delle voci di sociologia della medicina scritte per l'Enciclopedia Einaudi; Una voce. Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, Milano 1982) che include la voce "Donna" dell'Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? (Emme Edizioni, Milano 1982); Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui medesimo (Editori Riuniti, Roma 1987). Tra i saggi, Eutanasia, in "Democrazia e Diritto", nn. 4-5 (1988); Epidemiologia dell'istituzione psichiatrica. Sul pensiero di Giulio Maccacaro, in Conoscenze scientifiche, saperi popolari e societa' umana alle soglie del Duemila. Attualita' del pensiero di Giulio Maccacaro, Cooperativa Medicina Democratica, Milano 1997; Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso, in Roberta Dameno e Massimiliano Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella societa' contemporanea, Angelo Guerrini, Milano 2001. Dal 1984 al 1991 e' stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente, e in questa veste e' stata leader della battaglia parlamentare e culturale per l'applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, tra l'altro come autrice del disegno di legge di attuazione della "legge 180" che diventera', negli anni successivi, testo base del primo Progetto obiettivo salute mentale (1989) e di diverse disposizioni regionali. Nel luglio 2000 ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and Mental Health, e nell'aprile 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in Scienze politiche. E' morta nella sua casa di Venezia il 13 gennaio 2005. 5. RIFLESSIONE. CLAUDIO GIUSTI: DIECI ANNI DOPO [Da: Claudio Giusti (per contatti: giusticlaudio at aliceposta.it) riceviamo e diffondiamo. Claudio Giusti e' impegnato nel "Comitato 3 luglio 1849" per i diritti umani, contro la pena di morte"] E' accaduta una cosa incredibile, addirittura unica: un Procuratore ha riaperto un caso di omicidio a dieci anni dalla chiusura definitiva. La persona che venne condannata, Larry Griffin, si e' sempre testardamente proclamata innocente e lo ha fatto per tutti i gradi di giudizio. Ora c'e' la possibilita' di dimostrare la sua innocenza perche' e' stata rintracciata una delle due persone che furono vittime della sparatoria. Questa, che venne ferita leggermente mentre l'altra mori', ha affermato senza ombra di dubbio che Griffin (da lui al tempo conosciuto personalmente) non era nemmeno presente al fatto e quindi non puo' essere colpevole di omicidio di primo grado. Gli osservatori sono unanimi nel ritenere che, se Griffin venisse processato oggi, sarebbe dichiarato innocente. Purtroppo pero' lo Stato del Missouri lo ha ucciso il 21 giugno di dieci anni fa. 6. PROFILI. GINO BIANCO: LA LEZIONE DI ANDREA CAFFI [Dal sito www.unacitta.it riprendiamo l'introduzione di Gino Bianco alla raccolta di saggi di Andrea Caffi, Critica della violenza, Edizioni e/o, Roma 1995. Gino Bianco, giornalista e storico, studioso del movimento operaio e di figure e vicende della tradizione socialista e libertaria, redattore negli anni '60 a Milano della rivista "Critica Sociale", e' stato corrispondente da Londra dell'"Avanti!" e successivamente del "Giornale nuovo", ed inviato speciale del giornale radio della Rai; ha collaborato con saggi di storia contemporanea a "Movimento operaio e socialista", a "Tempo presente", alla rivista londinese "Survey"; e' direttore responsabile della bella rivista forlivese "Una citta'" (sito: www.unacitta.it). Opere di Gino Bianco: con Gaetano Perillo, I partiti operai in Liguria nel primo dopoguerra, Istituto storico per la Resistenza in Liguria, Firenze 1965; La tradizione socialista in Inghilterra, Einaudi, Torino 1970; Tra bolscevismo e fascismo, La Nuova Italia, Firenze 1976; Un socialista "irregolare": Andrea Caffi, intellettuale e politico d'avanguardia, Lerici, Cosenza 1977; Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede, Piero Lacaita Editore, Manduria-Roma-Bari 1999. Andrea Caffi, nato a Pietroburgo nel 1886 e deceduto a Parigi nel 1955, intellettuale e militante, una delle figure piu' limpide ed affascinanti (e ingiustamente dimenticate) dell'impegno e della riflessione socialista ed antitotalitaria europea del Novecento. Opere di Andrea Caffi: cfr. per un avvio il recente volumetto Critica della violenza, Edizioni e/o, Roma 1995. Opere su Andrea Caffi: Gino Bianco, Un socialista "irregolare": Andrea Caffi, Lerici, Cosenza 1977; Giampiero Landi (a cura di), Andrea Caffi, un socialista libertario, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1996] Nato a Pietroburgo nel 1886, cospiratore nella Russia zarista, studente universitario a Berlino, fuoriuscito sovversivo in Italia e in Francia, dalla sua partecipazione alla rivoluzione russa del 1905 alla lotta contro il fascismo negli anni tra le due guerre, alla Resistenza europea, Caffi e' stato fino alla sua morte, avvenuta a Parigi nel 1955, partecipe di tutti gli eventi del secolo. In un tempo in cui l'ideologia, la retorica e la violenza avevano dominato il pensiero e l'azione politica, gli scritti e la vita di Caffi forniscono, con rara forza e coerenza, l'esempio di un radicale rifiuto delle degenerazioni cui e' andato incontro il movimento socialista nella duplice versione del leninismo e del riformismo socialdemocratico. Critico del totalitarismo comunista non meno che della socialdemocrazia, Caffi denuncio' le corresponsabilita' dello stalinismo e della sinistra occidentale nel declino degli ideali socialisti. Il rifiuto del bolscevismo e del totalitarismo, la critica radicale all'idea dello Stato-nazione, e una concezione per molti versi originale del socialismo libertario, hanno caratterizzato l'impegno culturale e politico di Caffi. Il suo federalismo, tuttavia, si coniugava con il riconoscimento delle identita' nazionali e con il senso del radicamento, una condizione - come diceva Simone Weil - che risponde alla necessita' di riconoscersi in un passato, nel bisogno di una identita' collettiva. Critico degli elementi autodistruttivi del capitalismo e della cosiddetta economia di mercato, era attento - e i suoi scritti lo testimoniano -agli effetti devastanti della "meccanizzazione" del mondo contemporaneo, ai processi di desacralizzazione della societa' provocati dalla "modernizzazione", dalla cultura di massa e dalla mercificazione del prodotto culturale. La pubblicita' e i mezzi di comunicazione di massa hanno inoltre contribuito - ripeteva Caffi - a modificare la nostra percezione, a corrompere qualita' e critica, a falsificare la realta'. La sua fu una critica radicale e ribelle della cosiddetta modernita' che lo avvicina a Hannah Arendt e a Walter Benjamin, e che si espresse in una tenace resistenza alla dilagante rozzezza, al nichilismo e alle forze disgregatrici che minacciano l'umanita' moderna. Era un intellettuale scomodo, impermeabile a sistemi e ideologie, un inquieto demistificatore del progresso e delle contraddizioni del mondo contemporaneo. * Aveva un fortissimo senso della storia e attraverso la memoria riusciva a dare colore e immediatezza al presente, ma la sua opera, ricca di straordinarie intuizioni, di spunti di analisi, di interpretazioni originali, rimase frammentaria. Fu in un certo senso un testimone dell'impossibilita', per l'uomo del nostro tempo, di formulare un pensiero sistematico. Caffi mette in questione stereotipi e idee fatte, solleva interrogativi imbarazzanti, pone in luce con rigore e al di la' di ogni facile astrazione o ideologia la complessita' del reale. Aron ha spiegato nell'Oppio degli intellettuali come aveva gia' dimostrato Julien Benda nel Tradimento dei chierici che l'intellettuale del nostro tempo mente o si sbaglia il piu' delle volte volontariamente, giacche' per la maggioranza degli intellettuali, degli uomini politici, degli stessi ricercatori scientifici ed economici, la parola e la ricerca servono non tanto per esprimere la verita' ma per imporre il proprio punto di vista o quello degli interessi che egli rappresenta. E per imporlo tutti i mezzi sono buoni, compresa la deformazione dei fatti, la manipolazione dei dati e le campagne di disinformazione. L'esperienza di Caffi conferma in qualche modo che nel mondo contemporaneo e' possibile restare uomini davvero liberi solo se non ci si "integra", in altre parole, solo se si e' di una coerenza eccezionale. Caffi richiama a una considerazione severa e realistica della funzione e dei limiti della politica. Intuiva che entro le societa' tecnologiche e nei rapporti internazionali le disuguaglianze e le gerarchie stavano diventando qualcosa di sempre piu' completo. Avvertiva cioe' che i fenomeni politici della nostra epoca sono resi piu' complessi da un mutamento di scala senza precedenti, dall'interdipendenza globale dei fenomeni, dal rovesciamento - come diceva Paul Valery - nell'ordine d'importanza, d'urgenza e di valori dei problemi che la politica vorrebbe affrontare. I suoi scritti sulla condizione operaia nella fabbrica, sullo sradicamento del proletariato industriale e delle grandi masse urbane mettono in luce che non esiste una sola cultura popolare, ma diverse culture a seconda delle tradizioni ed esperienze di vita associata, delle diverse capacita' di lavoro (operai specializzati e no), delle diverse religioni e nazioni (o etnie) di provenienza. * Caffi delinea inoltre una concezione della politica che non sia solo comando o esercizio del potere ma al contrario resistenza al comando ed educazione all'autogoverno. Sottolinea al tempo stesso l'irriducibilita' dello spirito umano alle forze brute del potere e agli automatismi dell'organizzazione del lavoro, e l'importanza del mito nelle aspettative e nei comportamenti degli uomini. Nell'eta' dei totalitarismi e del nichilismo, il socialismo avrebbe dovuto trovare il suo terreno d'intesa piu' congeniale nel rifiuto del darwinismo sociale e nella riduzione della violenza. "Il nome del socialismo" osserva Caffi, "e' stato trascinato in tante poco edificanti peripezie (nazionalsocialismo, Mosca patria del socialismo, socialismo della Falange spagnola, della Repubblica Sociale Italiana e del regime di Vichy, senza dimenticare Noske, De Man, ecc.) che si puo' dire 'mitridatizzato' contro ogni discredito". Diceva di sentirsi - nonostante tutte le delusioni del secolo - un socialista libertario per spirito di conservazione, intendendo per conservazione la difesa dell'uomo, della cultura e della storia. Il suo antiprogressismo significa soprattutto rottura con il falso nuovo e rifiuto dei falsi messia. Ma c'era in lui anche qualcosa d'altro: il socialismo inteso come civilta', la piu' alta che l'umanita' avesse espresso, il convincimento che la giustizia non meno della liberta' fossero esigenze insopprimibili dello spirito umano. 7. INIZIATIVE: PER LA RICONVERSIONE DELL'INDUSTRIA BELLICA IN LOMBARDIA [Da "Disarmo Lombardia" (per contatti: e-mail: info at disarmolombardia.org, o anche appello.riconversione at disarmolombardia.org, sito: www.disarmolombardia.org) riceviamo e diffondiamo] La raccolta di firme a sostegno della legge di iniziativa popolare per il rilancio della riconversione dell'industria bellica in Lombardia ha superato le 4.500 firme. L'obiettivo affinche' la proposta di legge sia valida e' di cinquemila firme. L'obiettivo della campagna e' di arrivare a diecimila firme; questo obiettivo va raggiunto entro la meta' di settembre. Chiediamo quindi a gruppi, associazioni e singoli che condividono l'obiettivo di rilanciare l'attivita' dell'Agenzia regionale per la riconversione dell'industria bellica di dare una mano alla campagna nella raccolta delle firme e comunque nella diffusione di questa iniziativa. Cerchiamo anche volontari per gestire il tavolo per la raccolta delle firme alla Festa nazionale de "l'Unita'" che si terra a Milano, a partire da fine agosto. * Segnaliamo inoltre che alla campagna hanno aderito anche i Comuni di:Cinisello Balsamo, Besana in Brianza e Lurate Caccivio. Ricordiamo inoltre che alla campagna ha aderito il Coordinamento provinciale milanese per la pace "La Pace in Comune", di cui fanno parte la Provincia di Milano e i Comuni di Agrate Brianza, Bresso, Brugherio, Carugate, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Cormano, Corsico, Cusano Milanino, Garbagnate Milanese, Lainate, Melegnano, Melzo, Monza, Opera, Pero, Pieve Emanuele, Pogliano Milanese, Pregnana Milanese, Rho, San Donato Milanese, Sedriano, Senago, Sesto San Giovanni, Trezzo sull'Adda, Vaprio d'Adda, Vimodrone. Prossimamente sara' possibile recarsi a firmare per la legge di iniziativa popolare anche presso questi Comuni. * Per segnalare iniziative, disponibilita' a collaborare con la campagna o richiedere informazioni, e-mail: info at disarmolombardia.org, sito: www.disarmolombardia.org 8. DIRITTI. UNA CAMPAGNA DI "EQUALITY NOW" IN ETIOPIA CONTRO I RAPIMENTI, GLI STUPRI E LE CONNIVENZE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci inviato nella sua traduzione il seguente appello di "Equality Now"] Il 9 maggio 2005 e' entrato in vigore il nuovo codice penale etiope. In esso e' stata rimossa l'esenzione per i delitti di rapimento e stupro qualora fosse un marito a commetterli a danno della moglie. Rapimento e stupro sono crimini per la legge etiope, ma gli articoli 558 e 599 del vecchio codice penale (1957) stabilivano che se essi venivano commessi all'interno del matrimonio, il criminale non dovesse risponderne. "Equality Now" lancio' la campagna per la riforma del Codice nel 2002, chiedendo al governo etiope di onorare le disposizioni relative all'eguaglianza fra i sessi scritte nella Costituzione del paese e nelle leggi internazionali, e quindi di abolire questa eccezione legale. * La campagna mise in luce il caso di Woineshet Zebene Negash: nel 2003, all'eta' di 13 anni era stata rapita e stuprata da Aberew Jemma Negussie, che l'aveva portata via dal villaggio in cui viveva con la madre e i nonni, nella zona sudorientale dell'Etiopia. Due giorni dopo la ragazza fu soccorsa e Aberew Jemma Negussie fu arrestato. Dopo essere stato rilasciato su cauzione, Aberew Jemma Negussie rapi' Woineshet di nuovo, e la tenne prigioniera per piu' di un mese. La ragazza riusci' a fuggire, ma non prima che lui l'avesse costretta a firmare un certificato di matrimonio. E' una "pratica tradizionale", in Etiopia, che una ragazza venga rapita da un gruppo di giovani: dopo di che viene stuprata da quello che intende sposarla, e che puo' essere qualcuno che lei conosce o un totale sconosciuto. Dopo di cio', gli anziani del villaggio del violentatore si scusano con la famiglia della ragazza, e chiedono ai suoi genitori se acconsentono al matrimonio. La famiglia da' sovente il proprio consenso, perche' per un uomo e' socialmente inaccettabile sposare una ragazza non piu' vergine. In alcuni casi, il rapitore tiene la ragazza nascosta, e continua a violentarla fino a che non rimane incinta: in questo caso, la famiglia di lei sente di non aver altra opzione che acconsentire al matrimonio. Sebbene casi di rapimento e stupro vengano denunciati alle autorita' etiopi, i procedimenti legali sono rari, e rarissime le condanne. Nel caso di Woineshet Zebene Negash, il suo rapitore fu condannato il 22 luglio 2003 a 10 anni di carcere, ed i suoi quattro complici ad 8, rendendo questo processo il primo in cui anche i complici venivano condannati. Tuttavia, solo quattro mesi piu' tardi, L'Alta Corte della zona di Arsi cancello' in appello il verdetto del Tribunale di primo grado, ed il 4 dicembre 2003 i cinque uomini vennero rilasciati. A Woineshet Zebene Negash non fu notificato l'appello del dicembre 2003, ne' le fu data l'opportunita' di presentarsi. Il giudice Biyo Ube che presiedeva la Corte motivo' il suo rovesciamento della sentenza precedente con la frase "L'evidenza suggerisce che l'atto fosse consensuale", senza pero' citare alcuna particolare evidenza che contestasse i fatti del rapimento e dello stupro che avevano portato i cinque uomini in prigione. Il giudice Ube, come disse anche al "Washington Post" il 7 giugno 2004, non credeva che Woineshet fosse stata rapita e stuprata perche' non c'erano rapporti medici che potevano stabilire se era stata una "vergine fresca" prima del fatto, e quindi perche' "Nessuno vuole stuprare una che non e' vergine". Il pubblico ministero Tolcha fece eco all'opinione del giudice: "Penso che Woineshet fosse una di quelle che ti dicono: 'Per favore, stuprami'". Il codice penale etiope nel definire il crimine dello stupro non menziona la verginita', ne' limita in alcun modo il perseguire il crimine solo qualora esso venga commesso su vergini. L'Associazione delle Avvocate Etiopi, che aveva fornito assistenza legale a Woineshet, presento' un nuovo appello per tentare di raddrizzare l'ingiustizia. L'appello arrivo' alla Corte Suprema di Addis Abeba nel dicembre 2004, ma essa stabili' che non vi era materia sufficiente per riaprire il processo. Un nuovo appello che metteva in luce le gravi irregolarita' della sentenza fu presentato due giorni dopo, ed il caso verra' discusso dalla Corte Suprema di Oromia questo mese. * L'articolo 25 della Costituzione della Repubblica Federale d'Etiopia proclama l'eguaglianza di ogni cittadino/cittadina davanti alla legge senza alcuna discriminazione, e l'articolo 35 proclama l'eguaglianza delle donne anche nel matrimonio, nonche' il loro diritto di essere libere da pratiche tradizionali dolorose o dannose. Inoltre, l'Etiopia ha firmato la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione verso le donne (Cedaw), che stabilisce la protezione legale dei diritti delle donne su una base uguale a quella degli uomini, e l'eguaglianza di donne ed uomini di fronte alla legge. "Equality Now" sta conducendo una campagna di pressione diretta al ministro della giustizia, affinche' la legge contro il rapimento e lo stupro venga adeguatamente applicata, anche attraverso l'istruzione al proposito dei funzionari di polizia, ed affinche' il caso di Woineshet ottenga giustizia. * Sedi dell'associazione "Equality Now": - Equality Now Africa Regional Office, P.O. Box 2018, KNH 00202, Nairobi, Kenya - Equality Now, P.O. Box 20646, Columbus Circle Station, New York NY 10023, Usa - Equality Now, P.O. Box 48822, London WC2N 6ZW, United Kingdom Per contatti e-mail: info at equalitynow.org 9. MATERIALI. TEOLOGIA FEMMINISTA, UNA BIBLIOGRAFIA MINIMA [Dal sito www.teologhe.org riprendiamo la seguente breve bibliografia] - AA. VV., "Concilium", n. 6/1985, Donne: invisibili nella teologia e nella chiesa, Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 5/1987, Donne, lavoro e poverta', Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 6/1989, Maternita': esperienza, istituzione, teologia, Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 6/1991, La donna ha una natura speciale?, Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 1/1996, Teologie femministe nei diversi contesti, Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 3/1998, Le scritture sacre delle donne, Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 3/1999, La non ordinazione delle donne e la politica del potere, Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 4/2000, Il lato luminoso della fede, Queriniana, Brescia. - AA. VV., "Concilium", n. 5/2000, Nel potere della sapienza: spiritualita' femministe di lotta, Queriniana, Brescia. - AA. VV. (a cura di Luce Irigaray), Il respiro delle donne. Luce Irigaray presenta il credo al femminile, Il Saggiatore, Milano 1997. - AA. VV., La bibbia delle donne, (tre volumi), Claudiana Editrice, Torino 1996-1999. - AA. VV., Le figlie di Abramo. Donne sessualita' e religione, Edizioni Angelo Guerini, Milano 1998. - AA. VV., Maschio e femmina li creo'. L'immagine femminile nelle religioni e nelle scritture, Gabrielli Editore, 1998. - AA. VV., Riletture bibliche al femminile. 27 saggi di interpretazione biblica femminista, Claudiana Editrice, Torino 1994. - Baldissone Giusi, Il nome delle donne. Modelli letterari e metamorfosi storiche tra Lucrezia, Beatrice e le muse di Montale, Franco Angeli Editore, Milano 2005. - Balsamo Gian, Rachele accucciata sugli dei. Il fallo e la legge. Biblioteca del Vascello, Roma 1995. - Beretta Gemma, Ipazia d'Alessandria, Editori Riuniti, Roma 1993. - Bolen Jean S., Le dee contro le donne, Astrolabio, Roma. - Bonanate Maria Pia, Donne che cambiano il mondo, Mondadori, Milano 2004. - Braekeman Lyn, La serpentessa che voleva farsi amare. Piccole storie irriverenti di spiritualita' al femminile, Piemme, Casale Monferrato. - Buehrig Marga, Donne invisibili e Dio patriarcale. Introduzione alla teologia femminista, Claudiana, Torino 1989. - Ceresa Ivana (a cura di), Donne e divino, Scuola di cultura contemporanea, 1992. - Cifatte Caterina, Dalla parte di Gezabele e delle donne trasgressive della Bibbia, in "Tempi di fraternita'" n. 8/2001; Vivere il divino in spirito e verita', "Tempi di fraternita'", n.9/2001. - Currot Phillis, Il sentiero della Dea, Sonzogno. - Dahr Lambert Jean, Il cerchio sacro, Frassinelli. - Daly Mary, Al di la' di Dio Padre, Editori Riuniti, Roma 1990. - De Boer Esther, Maria Maddalena, Oltre il mito alla ricerca della sua identita', Claudiana, Torino 2000. - Diotima, La sapienza del partire da se', Liguori, Napoli. - Dolto Francoise, La liberta' d'amare, Rizzoli, Milano. - Dolto Francoise, Psicoanalisi del Vangelo, Rizzoli, Milano. - Drewermann Eugen, Il messaggio delle donne. Il sapere dell'amore, Queriniana, Brescia 1997 terza edizione. - Eisler Riane, Il piacere e' sacro. 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Cristianesimo e violenza contro le donne, Claudiana, Torino 2000. - Green Elizabeth, Perche' la donna pastore, Il volto femminile del ministero nelle chiese, Claudiana, Torino 1996. - Green Elizabeth, Teologia femminista, Claudiana, Torino 1998. - Hopkins Julie M., Verso una cristologia femminista, Queriniana, Brescia 1996. - Hunt Mary E., Gibellini Rosino, La sfida del femminismo alla teologia, Queriniana, Brescia 1985. - Irigaray Luce, Il respiro delle donne. Luce Irigaray presenta il credo al femminile, Il Saggiatore, Milano 1997. - Irigaray Luce, Sessi e genealogie, La tartaruga, Milano 1989. - Jacobelli Maria Caterina, Il risus Paschalis. Il fondamento teologico del piacere sessuale, Queriniana, Brescia 1991 terza edizione. - Johnson Elizabeth A., Colei che e'. Il mistero di Dio nel discorso teologico femminista, Queriniana, Brescia 1999. - La Bibbia delle donne, a cura di Carlo A. Newson e Sharon H. 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WANDA TOMMASI: I FILOSOFI E LE DONNE Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, pp. 272, euro 18,07. Una rilettura - e uno smascheramento - della storia della filosofia occidentale alla luce del pensiero della differenza. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 996 del 19 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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