[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 994
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 994
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 17 Jul 2005 00:29:04 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 994 del 17 luglio 2005 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Linguaggio 2. Giulio Girardi: Riflessioni sulla tragedia del sud-est asiatico 3. Luisa Morgantini: Un appello per Tali Fahima 4. La pace e' l'unica sicurezza 5. Pino Ferraris: La lezione di Raniero Panzieri 6. Riletture: Manuela Dviri, La guerra negli occhi 7. Riletture: Manuela Dviri, Vita nella terra di latte e miele 8. Riletture: Elena Loewenthal, L'Ebraismo spiegato ai miei figli 9. Riletture: Elena Loewenthal, Lettera agli amici non ebrei 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LINGUAGGIO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento dal sottotiolo che di seguito riportiamo: "Testo e sottotesto: ovvero, perche' non voglio piu' leggere del 'Ministro Gianna Rossi' e dell''Architetto Olga Bianchi' (e neppure di quanto sono/non sono carine)". Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] L'articolazione del linguaggio e' il ponte fra il pensiero e la realta'. Le frasi che diciamo vengono pensate in forma gia' "espressa" e non riflettono solo il mondo attorno a noi, riflettono il modo in cui lo vediamo. Le parole possono essere usate con molta violenza, come tutte e tutti sappiamo, cosi' come sappiamo che il linguaggio e' uno degli attrezzi piu' potenti inventato dalla specie umana. Gran parte della sua forza sta nel fatto che e' un attrezzo in grado di trasformarsi, di evolversi per adattarsi ai cambiamenti. Tristemente, la maggior parte dei termini usati per descrivere uomini e donne sembrano essere rimasti statici, e raramente riflettono i cambiamenti dinamici che hanno mutato le vite delle donne. Se il linguaggio, come non solo io sostengo, riflette l'attitudine, pare che si debba ancora emergere dai secoli bui. Il sessismo e il razzismo ripetono ossessivamente parole che servono a perpetuare le nozioni che essi descrivono; usare termini equi presenta una realta' totalmente differente a chi legge o chi ascolta. I bambini e le bambine, ad esempio, prendono le cose a livello letterale: vedono esattamente quello che ascoltano. Quando le persone parlano della "civilta' dell'uomo", degli "uomini di buona volonta'", dei "diritti dell'uomo", chi ascolta vede nella propria mente solo uomini, e non donne, come parte dell'equazione. Immaginate quant'e' divertente crescere in un mondo in cui gli uomini sono il centro dell'universo e l'esatto metro di misura, e la loro unicita' e' la rappresentazione del "tutto" (l'uomo della strada, l'italiano medio, e poi i padri fondatori, la fratellanza e gli oggetti fatti dall'uomo...): divertente ed eccitante prospettiva, dicevo, se sei un ragazzo. Ma meta' dell'umanita' e' composta da ragazze, che si divertono molto meno. La maggior parte del linguaggio sessista non e' neppure usata consciamente. Ci si limita a seguire le convenzioni e gli usi linguistici: l'uso del maschile come termine generico per riferirsi ad uomini e donne e' ad esempio comunemente accettato come "corretto". Se e' corretto lavorare contro le donne, allora sono d'accordo. Il maschile generico le rende infatti invisibili, triviali e minori. * I media in genere non sono piu' colpevoli di altri nel perpetuare attitudini dannose usando termini sessisti, il problema e' che amplificano il danno: si spacciano infatti per accurati, professionali, obiettivi, credibili e quasi sacrosanti, una sorta di vangelo moderno. Quante volte avete sentito qualcuno/a che per sostenere meglio delle opinioni strampalate se ne esce con "Ma l'hanno detto alla televisione!"? Il giornalismo veicola informazioni, idee, opinioni, ma ha anche il compito di descrivere la societa' a se stessa, una responsabilita' non da poco, e delle cui implicazioni non tutti quelli con le mani in pasta sono consci. Gli attivisti nonviolenti per il cambiamento sociale dovrebbero esserlo un po' di piu': ricerca, fiducia, verita', equita', ricordo, verifica, relazione, ecc. sono concetti abbastanza comuni, impliciti nella loro scelta. Perche' ho usato il condizionale? Perche' mi arrivano di continuo, ad esempio, inviti ad iniziative in cui sta scritto: "Partecipera' il giudice Caterina Vattelapesca". Caterina, amici ed amiche, e' "la" giudice, va bene? E l'avvocato Antonia e' l'avvocata Antonia. Non c'e' bisogno di arrovellarsi con i "sindachessa" e "generalessa": la sindaca, la generale, l'assessora, la ministra, la consigliera. Questo perche' la loro professione o l'incarico che ricoprono non cancellano il loro essere donne, e perche' non vi e' alcuna eccellenza implicita nel termine maschile che descrive professione o incarico: possiamo avere "il" sindaco piu' incapace della provincia, e "la" deputata piu' in gamba del collegio elettorale (e viceversa, ovviamente). L'altro giorno ho visto, su un quotidiano, una fotografia inerente il rinvio di un decollo dello Shuttle: la didascalia diceva "L'astronauta Wendy Lawrence assistito da un impiegato della Nasa". L'impiegato era un uomo, la signora Wendy Lawrence e' una donna, pero' non se ne sono accorti. Come avrebbero potuto, d'altronde? Se e' "astronauta" sara' sicuramente un maschio... e poi aveva pure i capelli corti. Su un altro giornale, pochi giorni prima, c'era la foto di due donne in burka. Il quotidiano, che aveva in precedenza speso non poco sudore per assicurarci che si andava con i carri armati in Afghanistan a "liberarle", e che aveva poi esultato mostrandoci le donne senza burka, cosi' commentava l'immagine: "Due donne in abito tradizionale". Tutte a casa, ragazze, la liberazione e' finita. Per non parlare della famosa immagine di Jose' Bove' a Porto Alegre, che saluta il pubblico con una donna indiana in sari al suo fianco: il commento spiegava che quello era il leader dei contadini eccetera e non nominava la donna presente. Quella al suo fianco, pero', non era l'addetta alle pulizie (ed anche se lo fosse stata era corretto indicare il suo nome), era una tal Vandana Shiva. A questo punto e' legittimo domandarsi: ci sono o ci fanno? Tutt'e due, purtroppo, ma almeno noi possiamo fare a meno di imitarli. * Le regole base per parlare e scrivere in modo da riflettere non un'equita' di genere che non c'e' (ne' nello status quo, ne' nei movimenti) ma la nostra volonta' di crearla, sono brevi e semplici: evitano di dare descrizioni non accurate, sprezzanti o discriminatorie nei riguardi delle donne, e faranno si' che io non cancelli il vostro prossimo comunicato ruminando tra me che se quelle sono le premesse chissa' che noia sara' il dibattito... 1. Resistete agli stereotipi, che si disegnano lungo le linee non solo del genere, ma dell'etnia, della religione, della sessualita', dell'eta' e della classe sociale; 2. Assicuratevi che in ogni iniziativa che promuovete le voci, le visioni e le prospettive di donne ed uomini siano udite in eguale misura, e se identificate un relatore con la sua professione o con il gruppo che rappresenta, fate lo stesso per una relatrice; 3. Le donne ci sono, quindi nominatele. Il maschile non e' generico, e' maschile; 4. Cominciate a riflettere sui ruoli di genere: sono creati ed assegnati agli individui dalle societa' umane, e pertanto soggetti come tutto cio' che e' umano a cambiamento, non sono scritti nel dna della nostra specie o da una divinita' in qualche libro sacro; 5. Liberatevi dall'ossessione dei ruoli sessuali. Sono nauseata dal fatto che le rarissime volte in cui il pubblico e' in maggioranza femminile o al tavolo della presidenza ci sono, che so, cinque donne ed uomo, quest'ultimo inizi il suo intervento con un ammiccamento sessuale, dicendo quant'e' contento (o "maliziosamente" preoccupato) di stare in mezzo alle donne. La situazione contraria e' assai piu' comune: avete mai sentito il commento speculare dalla donna seduta in mezzo agli uomini? No, naturalmente. Questo perche' noi donne abbiamo la (malaugurata?) tendenza a prendere gli uomini sul serio: se l'ecologista Renato Rossi ci sta parlando delle risorse idriche del pianeta, lo ascoltiamo come esperto, e non come probabile compagno di letto. E se pure ci venisse una simile, legittima, fantasia, gli diremo quant'e' affascinante dopo il convegno, non durante. Perche' all'ecologista Renata Rossi deve essere negato il medesimo rispetto? 6. Contestate e rifiutate tutto cio' che incita, permette o sorvola sulla violenza contro le donne. Suggerire di scriversi addosso "ci stiamo fottendo tua madre", come fece il creatore di una nota e briosa newsletter progressista, rivolgendosi agli iracheni che stavano per essere bombardati affinche' gli statunitensi leggessero la frase dall'alto, non e' divertente (e lo e' ancora meno se si pensa che la madre dello spiritoso ha davvero subito violenza sessuale); 7. Non c'e' nessun bisogno di rendere le donne che hanno un ruolo pubblico piu' "accettabili" aggiungendo alla loro qualifica o al loro ruolo "moglie di", "madre di", eccetera; ne' c'e' bisogno di aggiungere commenti sul loro aspetto fisico. Fare politica non e' una prerogativa maschile, e non le spoglia della loro femminilita'. Femminilita' non vuol dire timidezza, vulnerabilita' e tenerezza, cosi' come mascolinita' non vuol dire forza, coraggio e intraprendenza. Queste sono tutte qualita' umane, che una persona puo' avere oppure no. Inoltre, se non lo fate per gli uomini, non si vede perche' dovreste farlo per le donne. Gli uomini vengono usualmente descritti con la loro professione, le donne con il loro stato civile, la loro eta' o il loro aspetto: cercate invece di accordare ad entrambi i sessi lo stesso trattamento intelligente e rispettoso. * Incarnare una visione alternativa, e migliore, della societa' significa anche fare questo piccolo sforzo. Da piu' di trent'anni la maggior parte dei nostri compagni nelle lotte politiche e sociali ci dicono bonariamente che alle donne ci si pensera' "dopo la rivoluzione". Preferirei non dover aspettare altri trent'anni, e cominciare subito, grazie. 2. RIFLESSIONE. GIULIO GIRARDI: RIFLESSIONI SULLA TRAGEDIA DEL SUD-EST ASIATICO [Da "Alternative" n. 2, 2005 (nel sito: www.alternativebo.org). Giulio Girardi e' nato al Cairo nel 1926, filosofo e teologo della liberazione, durante il Concilio Vaticano II partecipo' alla stesura dello schema XIII; membro del Tribunale permanente dei popoli, particolarmente impegnato nella solidarieta' con i popoli dell'America Latina. Opere di Giulio Girardi: presso la Cittadella sono usciti: Marxismo e cristianesimo; Credenti e non credenti per un mondo nuovo; Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe; Educare: per quale societa'?; Il capitalismo contro la speranza; Cristiani per il socialismo: perche'?; presso Borla sono usciti: Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la confluenza, (a cura di) Le rose non sono borghesi, La tunica lacerata, Fede cristiana e materialismo storico, Dalla dipendenza alla pratica della liberta', Il popolo prende la parola (con J. M. Vigil), La Conquista dell'America, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Cuba dopo il crollo del comunismo; presso le Edizioni Associate: Rivoluzione popolare e occupazione del tempio; presso le Edizioni cultura della pace: Il tempio condanna il vangelo; presso Anterem: Riscoprire Gandhi; presso le Edizioni Punto Rosso: Resistenza e alternativa] Il maremoto del Sud-Est asiatico rientra purtroppo fra le tragedie da non dimenticare; sulle quali e' giusto continuare e approfondire la riflessione. Questa tragedia sta provocando infatti un'esplosione della coscienza mondiale, il cui oggetto fondamentale e' la spaccatura tra il Nord e il Sud. Essa caratterizza il presente ordine mondiale, dominato dagli egoismi e dalla competitivita'. In effetti, pur nella universalita' della tragedia e del suo impatto, non e' stato difficile osservare e denunciare il suo carattere discriminatorio. Essa ha infatti sconvolto soprattutto i paesi poveri, incapaci, per mancanza di mezzi e di tecnologia, di garantire la propria sicurezza. Essa poi ha messo in evidenza il diverso trattamento riservato ai turisti europei e agli abitanti di quei paesi, il diverso livello di mobilitazione che li ha raggiunti, salvati o abbandonati al loro destino. La globalizzazione, organizzazione del mondo come "villaggio globale", ha impresso alla tragedia locale un impatto globale. Essa ha provocato, a livello mondiale, una presa di coscienza "in tempo reale" di cio' che sta accadendo a livello locale. Ma essa ha suscitato, allo stesso tempo, una mobilitazione senza precedenti della solidarieta', per cui diventa oggi legittimo parlare di una globalizzazione della solidarieta'. L'irrompere della solidarieta' sta cambiando il senso della storia, introducendo in essa un nuovo sistema di valori imperniato appunto sull'autodeterminazione solidale, cioe' sul riconoscimento delle persone e dei popoli, di tutte le persone e di tutti i popoli come soggetti. Cio' che emerge da questa solidarieta' e' quindi un nuovo ordine mondiale. Essa e' la prova provata che il mondo nuovo e' possibile e che lo si sta costruendo. Il maremoto non produce solo distruzione, ma contribuisce alla costruzione dell'alternativa. Rimane pero' che gli oppressi e le oppresse stanno pagando un prezzo troppo alto per un'alternativa in cui probabilmente non vivranno mai, se pure vivranno. * Debito estero: cancellarlo o rinviarlo? Uno dei grandi temi che polarizzano oggi il mondo della solidarieta' con le vittime del maremoto e' quello che riguarda il debito estero dei paesi coinvolti. Nei confronti di questo tema cruciale, la solidarieta' si dibatte fra due proposte: moratoria o cancellazione del debito. Due proposte distinte, ma in definitiva convergenti. Perche' l'una e l'altra suppongono che il debito esiste, si tratta solo di mitigarne gli effetti letali. Ma il vero problema sta appunto qui, la vera risposta e' che il cosiddetto "debito" del terzo mondo non esiste, e' una costruzione ideologica. Un debito pero' esiste realmente, ed e' quello del Nord nei confronti del Sud, del mondo ricco nei confronti di quello povero. Un debito che riflette il grido degli oppressi e delle oppresse, la loro protesta talora disperata, la denuncia della espropriazione, dell'usurpazione plurisecolare che li ha dissanguati e che permette al capitalismo di celebrare il suo trionfo. Usurpazione delle materie prime, dell'ambiente, dell'acqua potabile, delle culture; del suolo, del sottosuolo e dello spazio aereo. E allora, come esaltarsi per questa esplosione di solidarieta', che e' un semplice dovere di giustizia? Che e' una parziale restituzione del maltolto? Che dovrebbe suscitare nuove dimensioni della coscienza del peccato e del pentimento? La nostra ricerca dovrebbe invece assumere un obiettivo diverso: come pagare il nostro debito storico ai paesi del Terzo Mondo? Come adempiere il dovere impellente della restituzione? * Diluvio del Sud-est asiatico e crisi di fede Riflettendo sulla tragedia che ha sconvolto e continua a sconvolgere il mondo, e' difficile evitare di interrogarsi sul ruolo di Dio in questi avvenimenti. E' difficile accontentarsi di risposte che nascondono il problema, dicendo che "Dio non c'entra", che sono in gioco soltanto le "cause seconde", l'iniziativa umana, la natura, la tecnologia. Perche' e' proprio attraverso queste cause che Dio opera nella storia. Per quanti non credono nella presenza storica di Dio,il problema non si pone: ed e' vero che "Dio non c'entra", perche' non esiste. Ma per quanti credono nell'Amore, e' difficile che questa fede non venga interrogata, che non venga scossa, forse che non entri in crisi. Essi vedono nella scelta dei poveri l'ispirazione profonda della loro fede, come anche dell'azione di Dio nella storia. Ma allora, come giustificare lo sterminio di cui sono vittime centinaia di migliaia di poveri? Certo, alcune persone si sono salvate, si considerano miracolate, sono convinte che le loro preghiere siano state esaudite. Ma le altre? Sembra difficile eludere il problema della giustizia di Dio, soffocare le domande che il flagello impone a chiunque cerchi di capire cio' che e' accaduto e accade. E' forte la tentazione di attribuire la violenza del mare alla "violenza di Dio". Il catechismo che abbiamo imparato da bambini cercava di rassicurarci: "Dio non puo' fare il male perche' non puo' volerlo, essendo bonta' infinita. Ma lo tollera per lasciare libere le creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal male". Si tratta qui a prima vista del male morale, ma e' difficile, in un mondo organizzato dall'uomo, non estendere la tolleranza di Dio alle altre forme del male, come la fame, la sete, la malattia, la solitudine, la morte. Ma forse il vangelo ci indica un'altra pista di ricerca, il grido di Gesu', "Padre, perche' mi hai abbandonato?", rivela un Gesu' che vive l'angoscia del dubbio; che vive la drammatica esperienza dell'abbandono e della solitudine; ma per il quale l'abbandono del Padre convive con la speranza e la certezza della risurrezione. Un cammino certamente difficile da percorrere: ma ne conosciamo altri? 3. APPELLI. LUISA MORGANTINI: UN APPELLO PER TALI FAHIMA [Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) per questo intervento. Luisa Morgantini, parlamentare europea e presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004. Vorremmo sottolineare una volta di piu' la necessita' di una intrransigente opposizione a tutte le uccisioni: solo con il rispetto per la vita e la dignita' altrui, e il dialogo tra diversi, e' possibile costruire la pace, la convivenza] Care tutte e tutti, vi segnalo un nuovo appello per la liberazione di Tali Fahima, la prima ebrea israeliana in detenzione amministrativa dal 9 agosto 2004, l'appello e' promosso da Jacob Katriel, docente presso l'Universita' di Haifa e membro dell'Alternative Information Center, e invita la societa' civile internazionale, i suoi rappresentanti e i movimenti di solidarieta' a firmare la petizione internazionale per la liberazione di Tali e a organizzare iniziative e campagne per la liberazione di tutti i prigionieri politici palestinesi.Invio anche una mia lettera, scritta nel dicembre dello scorso anno, che ricostruisce la storia di Tali Fahima e della sua detenzione arbitraria. Aderendo alla lettera ricevuta da Jacob Katriel vi rinnovo il mio invito a una campagna per la liberazione di Tali Fahima e di tutti i prigionieri politici palestinesi. Un abbraccio, Luisa Morgantini * Per contatti con i promotori dell'appello, disponibile in inglese: Alternative Information Center The Committee for the immediate release of Tali Fahima, e-mail: yossi at alt-info.org * Il nome di Tali Fahima e' divenuto noto in Israele. Tali, 26 anni, di madre algerina, ebrea Israeliana, dal 9 agosto scorso, e' in detenzione amministrativa (incarcerata senza accuse formali e senza condanna). Secondo i suoi difensori e' il primo caso di detenzione amministrativa di una cittadina ebrea israeliana. Cresciuta a Kiryat-Gat, una citta' d'immigrati orientali ai bordi del deserto del Negev, era impiegata come segretaria presso uno studio legale di Tel Aviv, ed e' stata licenziata per le sue attivita' politiche contro l'occupazione militare israeliana. Un tempo elettrice del Likud, il partito di Ariel Sharon, e fervente nazionalista, ha, nel tempo, cambiato le sue posizioni. Punto di svolta e' stato il documentario di Juliano Mer, I bambini di Arna (trasmesso anche da Arte il 27 settembre scorso), su un progetto educativo per i bambini di Jenin attraverso il teatro, condotto nella prima Intifadah da Arna, una donna israeliana pacifista, madre di Juliano Mer e deceduta qualche anno fa . Nel film si vede il percorso di sei palestinesi che nella prima Intifadah erano bambini, alcuni di loro morti in questa seconda Intifadah. Tali vuole conoscere Jenin, i suoi abitanti, e fare qualcosa; decide cosi' di iniziare un corso d'informatica per bambini organizzando una raccolta fondi a Jaffa. Malgrado il divieto, lo scorso anno si e' recata a Jenin, dove ha conosciuto Zakaria Zubeidi, un tempo uno dei "figli" di Arna, ed oggi capo locale delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa; tra loro e' nata un'amicizia basata sul confronto e la comprensione dei problemi dei due popoli. Come dichiara lei stessa: "Mi hanno sempre insegnato che gli arabi erano qualcosa che semplicemente non doveva esistere. Sono sempre stata di destra. Fin dall'infanzia mi hanno insegnato a odiare gli arabi, a non fidarmi di loro e a pensare che l'occupazione fosse giusta. Ho cominciato a perdere le mie illusioni prima delle elezioni, ma ho votato Likud perche' avevo ancora una paura primordiale degli attentati terroristici e perche' sapevo che Sharon era un buon guerriero". Mentre stava lavorando molto intensamente nei progetti educativi del campo profughi di Jenin, Tali venne arrestata una prima volta in marzo a causa di sue dichiarazioni rilasciate alla stampa in cui si diceva pronta a proteggere con il suo corpo Zakaria, come gesto di protesta nei confronti della prassi delle esecuzioni mirate ed extraterritoriali, costantemente applicata dall'esercito israeliano. Dopo essere stata rilasciata, venne contattata dai servizi segreti israeliani perche' collaborasse con loro in qualita' di informatrice, e dopo il suo rifiuto, il 9 agosto, mentre si recava a Jenin venne nuovamente arrestata. Da quel giorno e' in detenzione amministrativa, successivamente trasformata in detenzione penale. Tutto questo senza che fossero pronunciate accuse formali o un'effettiva condanna. Il tribunale continua a rimandare le udienze per lasciare piu' tempo di investigare su quelle che i servizi segreti interni in Israele considerano le sue attivita' illecite. E' infatti sospettata di collusione con il nemico in tempo di guerra, d'associazione a delinquere, di possesso di materiale militare e di violazione dei decreti militari che interdicono a qualunque cittadino israeliano di entrare nella "Zona A" (zona autonoma palestinese). Le sue condizioni psicologiche e fisiche stanno peggiorando, sia per lo stato di detenzione prolungata, sia per le pressioni a cui viene sottoposta per costringerla a confessare reati che non ha commesso. Il metodo e' il solito: presunte dichiarazioni di un prigioniero palestinese (rilasciate con ogni probabilita' sotto tortura), per le quali durante la sua permanenza a Jenin Tali avrebbe visto del materiale esplosivo nelle mani di combattenti palestinesi. Ma, come dichiara la sua avvocata, se anche cosi' fosse, e Tali ha fermamente smentito, questo non puo' costituire di per se' un motivo sufficiente per essere incriminata di collaborazione nell'organizzazione di attentati terroristici in Israele. Di fatto ci troviamo davanti ad un nuovo caso di manipolazione della legge e delle informazioni da parte del governo israeliano, alle spese di chiunque non si dimostri allineato con le politiche coloniali condotte dal governo di Sharon contro il popolo palestinese. Cosi' come Mordechai Vanunu, tecnico della centrale nucleare di Dimona, nel deserto del Negev in Israele, arrestato nel 1986 con l'accusa di spionaggio e tradimento dello Stato per aver denunciato all'opinione pubblica internazionale l'attivita' illegale di Israele in materia di armamenti nucleari, anche Tali Fahima e' vittima di quella che prende le forme piu' di una vendetta tribale che dell'applicazione della giustizia e del diritto; entrambi sono attaccati dal governo israeliano, che li identifica come traditori, dipingendoli nei confronti dell'opinione pubblica come una minaccia alla sicurezza ed integrita' nazionale; in questo senso il nuovo arresto di Vanunu lo scorso 12 novembre, cosi' come la detenzione amministrativa e i continui interrogatori nei confronti di Tali, testimoniano un atteggiamento persecutorio del governo israeliano nei confronti di chiunque scelga una strada diversa dal giustificare, come esigenza di sicurezza per Israele, le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale dell'esercito israeliano, con l'occupazione militare in primo luogo, la distruzione delle case, i rastrellamenti, i bombardamenti di civili. Lo sanno e lo denunciano i militari israeliani che hanno scelto di dire "no" e di denunciare pubblicamente i crimini commessi dall'esercito israeliano. Come diceva a Roma Jonathan Shapira, pilota refusnik: "Ho detto no per amore verso Israele e i miei vicini palestinesi, e vedo ogni giorno di piu' restringersi nel mio paese gli spazi di democrazia'. * Chiedere la liberta' per Tali Fahima e' un piccolo passo per la convivenza e la democrazia. Scrivete a Ariel Sharon, fax (+972 2) 670-5361, e-mail: rohm at pmo.gov.il, al Ministro della Difesa Shaul Mofaz, fax (+972 3) 691-6940, e-mail: sar at mod.gov.il ed al Ministro di Giustizia Yosef Lapid, fax: (+972 2) 628-5438, e-mail: sar at justice.gov.il, nonche' all'Ambasciata israeliana in Italia, e-mail: info-coor at roma.mfa.gov.il 4. APPELLI. LA PACE E' L'UNICA SICUREZZA [Da molti amatissimi interlocutori riceviamo il seguente appello sottoscritto da varie associazioni e persone sinceramente impegnate per la pace, e volentieri lo proponiamo ai lettori del nostro foglio. Ma pur apprezzandone l'intenzione, ci sembra che sia anche, ahinoi, l'ennesimo appello sciatto e rituale, generico e astratto, che rischia di non servire a nulla, se non a nascondere sotto coltri di retorica un non ignobile e non disutile sentimento di dolore, vergogna, fallimento che bisognerebbe invece saper riconoscere ed affrontare; o peggio: a chiudere gli occhi sulle proprie responsabilita', ambiguita', collusioni; il solito appello, ahinoi, che non dice l'unica parola che e' decisivo dire: che occorre la scelta della nonviolenza. Perche' questo e' il punto: se non si fa la scelta della nonviolenza non si da' azione per la pace, i diritti, la convivenza; se non si fa la scelta della nonviolenza non si contrasta la catastrofe in corso; se non si fa la scelta della nonviolenza si resta complici del disordine costituito. Il pacifismo generico e' ormai nulla piu' che la foglia di fico della violenza imperiale; e per dirla con le parole del nostro ruvido amico Annibale Scarpante: "le strutture e le rappresentanze che sul pacifismo generico raggranellano finanziamenti o costruiscono carriere in un rapporto di collusione e subalternita' con il sistema di potere e in accettazione e sfruttamento della condizione di privilegio, rapporto e condizione che contribuiscono a condannare all'assoggettamento alla fame e alla morte i quattro quinti dell'umanita', ebbene, tali strutture e tali rappresentanze quantunque dicano e facciano anche sovente cose buone e meritorie, dal nostro punto di vista non hanno voce in capitolo nel definire i compiti dell'ora: poiche' i compiti dell'ora in questo e non in altro si compendiano: la scelta della nonviolenza, la rottura della complicita' coi poteri che uccidono, la resistenza la piu' nitida e la piu' intransigente ad ogni violenza e ad ogni collaborazionismo, ad ogni cointeressenza con tutti i poteri che negano altrui il diritto alla vita e alla dignita'. Reticenti, elusivi su questo - et pour cause -, si rischia di esser peggio che inadeguati rispetto a cio' che si proclama, si rischia di trovarsi dalla parte sbagliata della barricata, a far da truppe di complemento e da copertura ideologica ai signori della guerra, si rischia di funger da pezzi dell'apparato del consenso al potere assassino". Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', la nonviolenza che e' scelta di lotta contro tutte le uccisioni, scelta di aiuto all'umanita' intera, conflitto ordinato al disarmo integrale, azione politica rivoluzionaria che contrasti ogni privilegio, ogni sfruttamento, ogni oppressione, per ottenere che a tutti gli esseri umani siano riconosciuti tutti i diritti umani. (severino vardacampi)] Questa volta e' toccato a Londra. La popolazione londinese, colpita da atti criminali che non hanno giustificazione alcuna, ha subito morte, orrore, paura. Siamo al loro fianco, esprimiamo loro tutta la nostra solidarieta'. Siamo tutti vittime di una guerra globale contro l'umanita' che ogni giorno, spesso nell'indifferenza generale, colpisce tante comunita' umane in tutto il mondo. E' una guerra fra potenti. E' combattuta dagli interessi forti che tirano le fila dell'ingiustizia e dello sfruttamento, dagli stati che fanno le guerre, dalle organizzazioni che, per competere con essi, utilizzano strategie terroristiche. La guerra e' loro. Nostri sono i morti innocenti, le vittime civili. Alla guerra globale bisogna reagire, se vogliamo assicurare a noi stessi e al mondo un futuro. Quattro anni di guerra condotta in nome della lotta al terrorismo, oltre a seminare distruzione, hanno aumentato in modo gigantesco l'insicurezza, la destabilizzazione, i pericoli in tutto il pianeta. Lungi dall'averli diminuiti, la guerra ha alimentato gli attacchi terroristici. Bisogna cambiare radicalmente strada, prima che sia troppo tardi. Sottrarsi al circolo vizioso nel quale guerra genera guerra e terrore e' l'unica possibilita' per garantire sicurezza a tutte e a tutti. Bisogna opporsi alla costruzione di un mondo armato, di societa' e di economie di guerra. Bisogna portare subito l'Italia fuori dal sistema della guerra. Le grandi e pacifiche manifestazioni a Edimburgo hanno ancora una volta mostrato la volonta' di lottare per una giustizia globale: questa lotta e' possibile e necessaria. E' possibile e necessario ritirare immediatamente le nostre truppe dall'Iraq, finirla con il riarmo, l'esportazione di armi e l'aumento delle spese militari, smantellare subito le basi militari straniere, ripulire il nostro territorio dalle armi nucleari e di distruzione di massa, avviare una politica estera di pace che obbedisca al dettato costituzionale: "L'Italia ripudia la guerra". E' possibile e necessario impegnarsi per la giustizia globale, ricercare la convivenza, combattere la discriminazione e il razzismo, mettere al bando l'islamofobia, chiudere i cosiddetti Centri di Permanenza Temporanea e accogliere i migranti. E' possibile e necessario affermare diritti, costruire giustizia sociale ed eguaglianza, innovare ed estendere la democrazia fondata sulla partecipazione. Le scelte del governo italiano, confermate dalle prime reazioni all'attentato di Londra, vanno nella direzione opposta. Il governo conferma la partecipazione alla guerra, alimenta l'intolleranza, aumenta la stretta contro gli immigrati, contro i musulmani, contro le lotte sociali. Annuncia il futuro ritiro di soli trecento soldati dall'Iraq ma si appresta a prendere il comando delle forze Nato in Afghanistan. Questa politica espone il nostro paese e noi tutti a gravi pericoli. Il governo stesso annuncia che siamo un paese fortemente a rischio. Gioca la carta della paura per puntellare le sue scelte di guerra. Bisogna fermarli. E possiamo fermarli con la mobilitazione popolare che il nostro paese in tante occasioni e' stata in grado di esprimere e che ha diffuso un'altra coscienza, un'altra cultura, l'urgenza di un'altra politica. C'e' bisogno di una reale alternativa, non di unita' nazionale con chi ci ha spinto sull'orlo del baratro. Invitiamo tutti e tutte a costruire insieme una grande campagna, fatta di iniziative, azioni, riflessione e dibattito perche' la paura non produca rassegnazione, ma voglia di ribellarsi e di cambiare. Diritti e convivenza, disarmo e giustizia globale. * Per aderire: adesioni at unmondodiverso.it 5. RIFLESSIONE. PINO FERRARIS: LA LEZIONE DI RANIERO PANZIERI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 luglio 2005. Se e' lecito esprimere en passant un'opinione su un punto specifico di questo per il resto assai pregevole intervento, sorprende che un militante e studioso della storia e del prestigio di Pino Ferraris esprima un giudizio entusiasta su un'esperienza per molti aspetti ancora embrionale, per altri equivoca, e complessivamente frutto di una sconfitta storica e di un arretramento politico e culturale come il cosiddetto "movimento dei movimenti" (severino vardacampi). Pino Ferraris, militante e studioso del movimento operaio, docente universitario, autore di numerose pubblicazioni, una delle figure piu' vive della sinistra critica lungo tutto il secondo Novecento. Raniero Panzieri, intellettuale e militante del movimento operaio, nato a Roma nel 1921 e deceduto a Torino nel 1964, dirigente del partito socialista, condirettore della rivista "Mondo Operaio", redattore alla Einaudi, animatore dell'esperienza dei "Quaderni rossi". Opere di Raniero Panzieri: oltre alla serie dei "Quaderni Rossi", cfr. tre raccolte di suoi scritti: La ripresa del marxismo leninismo in Italia, Sapere, Milano 1972, poi Nuove Edizioni Operaie, Roma 1977; La crisi del movimento operaio (Scritti interventi lettere, 1956-1960), Lampugnani Nigri, 1973; Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, Einaudi, Torino 1976. Opere su Raniero Panzieri: oltre agli ampi apparati critici dei volumi citati, cfr. ora Paolo Ferrero (a cura di), Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, Edizioni Punto rosso - Carta, Milano-Roma 2005] Le presentazioni del libro Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, curato da Paolo Ferrero per le Edizioni Punto rosso/Carta (prefazione di Marco Revelli, pp. 285, euro 13) di cui ha scritto Massimo Raffaeli su "Alias" del 14 maggio - sono state occasioni per ricordare la figura di Panzieri ma anche per aprire una discussione su alcuni nodi di fondo del nostro agire politico. Una discussione da riprendere e allargare. Panzieri e' stato organizzatore politico e dirigente negli aspri anni Cinquanta. Come direttore di "Mondo Operaio", la rivista ufficiale del Psi, nel 1957-'58, apri' con vigore e lucidita', dopo i fatti d'Ungheria, l'unica prospettiva di uscita a sinistra, classista e libertaria, dallo stalinismo. Conosceva sino in fondo la vischiosa resistenza delle strutture del passato, sapeva della estrema difficolta' e della grande complessita' di strutturare il nuovo. Nonostante cio' egli scelse di rompere per continuare. Panzieri fu e rimase uomo di frontiera senza cedere di un millimetro al richiamo delle comode dimore dell'ufficialita' politica, rifiutando senza la minima esitazione ogni spregiudicata estetica del sovversivismo settario. La rottura del 1963 con Mario Tronti e i compagni che lasciarono i "Quaderni Rossi" per fondare "Classe operaia" fu politicamente importante oltre che molto pesante per Raniero. * Quel dibattito rinvia a dispute antiche del movimento operaio che lo storico francese Dolleans sintetizza nelle formula del conflitto tra rivoluzione di potenza e rivoluzione di capacita'. Rivoluzione di potenza indica l'orientamento che subordina la trasformazione sociale alla potenza acquisita con la conquista del potere statale. In questa ottica l'azione sociale immediata e quotidiana e' strumentalizzata alla finalita' di produrre dominio organizzato della macchina politica. Essa prevede la sovranita' del Partito guida, la necessita' del momento autoritario. La rivoluzione di capacita' rinvia invece alla capacita' autogestionaria delle libere associazioni attraverso l'incremento delle risorse intellettuali e morali dei lavoratori e della loro forza autonoma di imporre soluzioni in proprio e dal basso dei loro problemi. Essa prevede il partito strumento al servizio delle solidarieta' di classe e la coincidenza permanente fra emancipazione sociale e liberazione politica. Le rivoluzioni di potenza hanno vinto molte volte, ci ricorda Wallerstein, hanno vinto con le loro strategie basate sulle due fasi: la conquista del potere statale per poi trasformare la societa'. Ma lo storico americano ci ricorda che i vecchi movimenti anti-sistemici "orientati allo stato" sono rimasti vittime dello stato stesso. Sono falliti nella promessa sociale e nella sfida della liberta' e sono implosi. Da quei fallimenti, secondo Wallerstein, prende avvio la vicenda che e' partita da quella che egli continua a chiamare la "rivoluzione mondiale del 1968", madre di tutti i successivi nuovi movimenti anti-sistemici, sino al piu' maturo di tutti, l'attuale movimento dei movimenti. * E' qui, sul terreno della trasformazione della politica che Raniero Panzieri ebbe intuizioni veramente profetiche. Che cosa voleva dire, in quegli anni, richiamare il tema del controllo operaio lanciato col dirompente manifesto politico dei minatori del Galles del sud nel 1912 come alternativa sia alla proprieta' capitalistica sia alla statalizzazione? Per quei minatori in lotta lo Stato era un nemico tanto quanto il padrone. I lavoratori volevano diventare capaci di dirigere la propria industria con un sistema completo di controllo operaio. "Socializzare senza statizzare", e' questa l'ultima proposta di rivoluzione delle capacita' avanzata alla vigilia di quella prima guerra mondiale che forgera' lo scheletro d'acciaio dell'esperienza novecentesca, fatta di statalismo autoritario, capitalismo organizzato e politica militarizzata. Il richiamo di Panzieri del tema del controllo operaio, l'apertura della dimensione del movimento politico di massa, l'affermazione secondo la quale il proletariato ha la possibilita' e la necessita' di educare se stesso costruendo i suoi propri istituti di democrazia riapre (nel linguaggio e nella forme del suo tempo) la perduta prospettiva della rivoluzione di capacita' e tenta di ricongiungere intransigente istanza socialista e radicalismo della liberta'. E tutto questo prima della "rivoluzione del 68", prima del crollo catastrofico del comunismo, prima dell'esaurimento del secolo socialdemocratico. * Tronti rispolvera vecchie antitesi tra movimentismo e organizzazione, tra spontaneita' e direzione, tra Consigli e Partito. Non sono piu' questi i termini del problema. Le articolazioni reticolari del far da se' solidale, le richieste di comunalismo partecipato, l'esigenza di un sindacalismo orizzontale in grado di coniugare protagonismo democratico, forza rivendicativa e capacita' di fare societa' anche negli ambiti di vita, i movimenti di pace e di difesa dell'ambiente, il ritorno embrionale di forme di economia solidale tutto questo sollecita un grande sforzo di invenzione politica. In momenti come questi occorre soprattutto chiederci:quale politica? quale partito? Paolo Farneti, che e' stato uno dei piu' acuti e stimolanti sociologi della politica, ci ha ricordato che l'esperienza storica del partito politico di massa non ci propone soltanto il modello di quel partito alternativo alla societa' civile che tendeva a inglobare e a partitizzare la societa' intiera secondo l'esperienza della socialdemocrazia tedesca di Bebel e di Kautsky e dei partiti della III internazionale. Il vecchio partito laburista, cinghia di tramissione alla rovescia che rappresentava i sindacati nel parlamento, poteva essere visto come partito complementare alle strutture date della solidarieta' operaia. E' possibile invece vedere nel partito operaio belga di Vandervelde un partito coordinatore delle solidarieta'. Era una associazione di associazioni, una federazione politica di camere sindacali, societa' di mutuo soccorso e cooperative. E' bene tener presente questa articolazione pluralistica dell'esperienza storica del partito di massa quando la posta in gioco e' un radicale ripensamento della politica. Dopo il crollo del partito burocratico di massa che inquadrava e mobilitava singoli individui collettivizzati emergono ora i fragili e arroganti partiti videocratici e personali che cercano di costruire il loro dominio sull'apatia e sull'atomizzazione di massa. Contemporaneamente il movimento dei movimenti dimostra nuova tenuta associativa, capacita' cooperativa e forti esigenze di politica reticolare e partecipata. * Oggi ci troviamo di fronte al confronto e allo scontro tra forme diverse della politica che implicano ipotesi alternative dell'agire sociale. Di questo incominciava a parlarci Raniero quarant'anni fa. Ma c'e' un'altra lezione per l'oggi che ci viene da lui. E' fondamentale ricordare il suo metodo esemplare di analisi e di controllo delle grandi transizioni sociali. Negli anni a cavallo tra la seconda meta' degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta egli indaga e contesta il passaggio verso il neocapitalismo del cosiddetto "miracolo economico". Due strumenti essenziali Panzieri ha messo in opera a questo fine: la critica dell'uso capitalistico delle macchine e l'inchiesta operaia. Sul terreno dell'analisi e del controllo della successiva grande trasformazione del post-fordismo il nostro fallimento e' totale. Il mutamento verso la societa' informazionale ci e' semplicemente caduto addosso. Come mai questa tecnologia informatica che per sua essenza intreccia tecnica e potere, non siamo riusciti a sezionarla con il bisturi di Panzieri della critica dell'uso capitalistico delle macchine? E' vero che la telematica ha un doppio volto. Essa vende computer come beni di consumo durevoli che ci rendono disinvolti consumatori di informazione. Ma questa tecnologia e' anche e soprattutto un formidabile bene strumentale che scende sul versante del lavoro come procedura che regola, come ordinatore che guida, come panopticon che sorveglia. Quando incominciammo, nei primi anni Ottanta, ad analizzare l'automazione flessibile a base elettronica nelle fabbriche vedevamo soprattutto l'informatizzazione come automazione di sostituzione del lavoro umano, come robotizzazione. Eravamo ossessionati dall'utopia capitalistica della fabbrica senza operai. In realta' lo sviluppo principale dell'informatica e' stato nella direzione della tecnologia di integrazione che ha prodotto operai senza fabbrica. Due notizie recenti danno il segno della direzione di marcia. Nelle fabbriche dell'ex Zanussi, dove venti anni fa seguivamo criticamente il processo di robotizzazione, ora si smontano i robot e si mettono di nuovo gli uomini e le donne sulle linee di produzione. La destabilizzazione del lavoro generata dall'informatizzazione ha prodotto una tale abbondanza di lavoratori flessibili e a basso costo da rendere conveniente l'utilizzazione del lavoro umano al posto del robot. Contemporaneamente, da una ricerca universitaria commissionata dal sindacato inglese, ci viene una novita' sconvolgente: si diffonde la robotizzazione diretta dell'umano. Sono migliaia gli operai con il computer da polso che vengono guidati e controllati, via satellite, nei minimi dettagli delle loro operazioni lavorative. Questa funzione della telematica come nuovo automa-autocrate del processo di produzione che ha sostituito la catena di montaggio ci ha lasciato disorientati. Non esiste una critica dell'uso capitalistico del macchinismo post-fordista. Il decentramento centralizzante dell'automazione d'integrazione informatica ha scisso cooperazione tecnica e cooperazione sociale, ha verticalizzato e concentrato il comando mentre ha frantumato e disseminato orizzontalmente macchine e operai. Si va perdendo la centralita' della fabbrica come luogo di integrazione del ciclo di produzione. Diventa molto piu' complesso quel movimento di andata e ritorno tra soggettivita' operaia e movimenti del capitale che era proprio dell'inchiesta che ci proponeva Panzieri. Quando allora si parlava di con-ricerca o di inchiesta socialista si sottintendeva una visione, non certo deterministica, ma comunque piuttosto ottimista circa il rapporto tra essere sociale e coscienza sociale. Oggi questo rapporto e' molto piu' contraddittorio. * In tempi come questi il rischio piu' grave e' quello di andare a cercare soltanto cio' che vogliamo trovare mentre e' fondamentale nell'inchiesta incontrare l'alieno, lo sconosciuto, l'imprevisto. L'intreccio sempre piu' significativo tra ambiti di vita e di lavoro richiede un ripensamento di fondo dell'inchiesta. Non c'e' piu' un punto di osservazione privilegiato della condizione operaia. Il call center, il bancario al video-terminale, il conduttore di sistemi automatici, il lavoro autonomo di seconda generazione, l'hacker creativo? Oppure le immense periferie cinesi, indiane e brasiliane che ci ricordano, su smisurata dimensione di scala, la Londra ottocentesca di Engels? Occorre rifuggire dalle semplificazioni, occorre evitare di assumere la parte per il tutto, e' necessario riaccendere i riflettori sul lavoro da ogni lato, da molte postazioni, da svariate angolature. Vi sono queste e infinite altre difficolta' nel ridefinire e rilanciare il metodo dell'inchiesta ma alla base della paralisi e dell'indifferenza verso l'inchiesta c'e' una colossale, gigantesca svalutazione economica, culturale e politica del lavoro. Solo dei visionari potrebbero negare la dilatata presenza sociologica del lavoro, tutti pero' dobbiamo constatare il crollo del valore del lavoro che, a mio avviso, ha la sua radice principale nella rottura drammatica del nesso tra lavoro e politica, tra lavoro e trasformazione sociale. Ci vuole anticonformismo, e' necessario spezzare senza pieta' il conservatorismo delle pratiche e delle idee, occorre consapevolezza piena dei mutamenti di fondo, coraggio, come diceva Raniero, di rompere radicalmente, ma rompere per continuare. Non rompere per liquidare. 6. RILETTURE. MANUELA DVIRI: LA GUERRA NEGLI OCCHI Manuela Dviri, La guerra negli occhi, Avagliano Editore, Cava de' Tirreni 2003, pp. 180, euro 12. Il "diario da Tel Aviv" di una straordinaria donna costruttrice di pace. 7. RILETTURE. MANUELA DVIRI: VITA NELLA TERRA DI LATTE E MIELE Manuela Dviri, Vita nella terra di latte e miele, Ponte alle Grazie, Milano 2004, pp. 168, euro 10. Dal lutto per la morte del figlio all'impegno per la pace, nella "storia di una donna qualunque in tempi difficili" una nitida e preziosa testimonianza che indica la via della convivenza, contro tutte le violenze, contro tutte le uccisioni. 8. RILETTURE. ELENA LOEWENTHAL: L'EBRAISMO SPIEGATO AI MIEI FIGLI Elena Loewenthal, L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002, pp. 96, euro 6,20. In stile semplice e piano, con tenerezza e commozione, una presentazione dell'ebraismo da parte di un'autorevole studiosa; una lettura per bambine e bambini, ragazze e ragazzi, ma assai giovevole anche agli adulti. 9. RILETTURE. ELENA LOEWENTHAL: LETTERA AGLI AMICI NON EBREI Elena Loewenthal, Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003, pp. 96, euro 6,20. Un libro acuto e appassionato, una lettura doverosa. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 994 del 17 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 993
- Next by Date: La domenica della nonviolenza. 30
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 993
- Next by thread: La domenica della nonviolenza. 30
- Indice: