La nonviolenza e' in cammino. 987



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 987 del 10 luglio 2005

Sommario di questo numero:
1. Niente
2. Ida Dominijanni: Tre voragini
3. Gabriele Colleoni: Fare la pace ai tempi della guerra. L'attualita' della
riflessione e dei percorsi nonviolenti di Alexander Langer
4. Antonino Drago: Universita' e pace in un periodo di concorrenza militare
5. Nicole Itano: Gli orfani dell'aids
6. Riletture: Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine
7. Riletture: Elena Gianini Belotti, Prima le donne e i bambini
8. Riletture: Armanda Guiducci, La mela e il serpente
9. Riletture: Armanda Guiducci, Donna e serva
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. NIENTE
Un impegno contro il terrorismo senza la scelta della nonviolenza e' niente.
Un impegno per la pace senza la scelta della nonviolenza e' niente.
Ma forse dovremmo dir meglio: e' peggio che niente, e' complicita' con le
stragi.

2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: TRE VORAGINI
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 luglio 2005. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale
all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista]

Si assomigliano tutte le metropoli globali sfigurate dal terrorismo e dal
terrore. Uguali gli edifici sventrati, le lamiere ammaccate, i fischi delle
ambulanze, i caschi dei pompieri. Uguali le facce sconvolte e le voci
impaurite, uguali le ferite che sanguinano e le persone che si abbracciano,
uguali gli ospedali che traboccano e i telefonini che si bloccano. Uguale il
fiume di immagini che ci raggiunge nelle case e negli uffici dagli schermi
dei televisori e dei computer. Ci stiamo assuefacendo a questa estetica
della metropoli ferita?
Londra e' ferita, wounded come New York l'11 settembre 2001, herida come
Madrid l'11 marzo 2004. 9/11, 3/11, 7/7: la cabala delle date d'inizio
millennio imperversera' anche nei titoli di oggi. Ma la ripetizione della
storia non giova ne' alla politica ne' all'immaginario. Troppo simili,
quelle voragini nel cuore delle tre capitali segnalano che dall'estate del
2001 il problema e' rimasto lo stesso e le altre voragini aperte a Baghdad e
a Kabul non sono servite a risolverlo ma solo a incistarlo. E l'immaginario
sconvolto dall'apocalissi sopra Manhattan rischia di assestarsi di fronte al
tube paralizzato di Londra: avrebbe dovuto tradursi nell'immaginazione
politica di un altro mondo possibile, che la guerra dei willings ha
bloccato. Il G8 di Genova, che stava alle spalle dell'11 settembre, e quello
di Gleneagles che fa da sfondo al 7 luglio, siglano simbolicamente questo
fallimento della politica dei grandi di fronte a un mondo che cambia e
domanda cambiamento. Tanto piu' suona sorda la ripetizione delle parole del
potere di fronte al ripetersi della strategia del terrore. "Scoveremo quei
fanatici che odiano la nostra liberta'", disse Bush sulle macerie di Ground
Zero. "Non riusciranno a distruggere i nostri valori e la nostra way of
life", dice Blair sulle macerie della sua capitale. "Siamo tutti
newyorkesi", scrisse "Le Monde"; poi siamo stati tutti madrileni e oggi
tutti londinesi, ma il seguito della vicenda ha giustamente diviso i
newyorkesi e i madrileni, e dividera' i londinesi, su come elaborare il
lutto e sanare la ferita. E Londra oggi non ha di fronte solo la strada
della revanche intrapresa da Bush con il valido aiuto di Blair: anche Madrid
fa precedente, e ne indica un'altra. Li' la ferita dell'11 marzo non servi'
a compattare il consenso alla guerra, ma viceversa a farlo saltare; non
perche' vinse il terrorismo, ma perche' perse il tentativo di Aznar di
narcotizzare l'opinione pubblica attribuendo l'attentato all'Eta e
manipolando l'informazione dall'alto. La controinformazione dal basso, le
manifestazioni contro il partito popolare e contro la guerra, l'elezione di
Zapatero non hanno portato solo al ritiro delle truppe dall'Iraq: hanno
aperto in Spagna una nuova stagione politica. La storia ha preso un altro
passo, come avviene quando l'imprevisto ha la meglio sulla ripetizione. C'e'
un imprevisto possibile, dietro la reazione calma e composta che tutti i
cronisti segnalano oggi da Londra? Neanche in Gran Bretagna la
determinazione di Blair e' mai riuscita a sopire le profonde resistenze alla
guerra dell'opinione pubblica, e se la ferita le risvegliera' l'intero
progetto di leadership europea di Blair non potra' non esserne segnato e
modificato.
Come pure ne restera' segnato e modificato, ma in senso contrario, se
prevarra' l'immaginario della paura e del terrore, e la retorica della
sicurezza e della fortezza assediata si imporra' nel vecchio continente come
si e' imposta nel nuovo, attraverso strategie di controllo, esclusione e
disumanizzazione - da Guantanamo ai dati biometrici sui passaporti -
legittimate in nome della lotta al terrorismo. 9/11, 3/11, 7/7: ancora una
volta, non e' sugli astratti valori occidentali, dall'occidente regolarmente
traditi, che il terrorismo punta; e' sempre sulla qualita' della democrazia
che la ferita si riapre e si rinnova.

3. MEMORIA. GABRIELE COLLEONI: FARE LA PACE AI TEMPI DELLA GUERRA.
L'ATTUALITA' DELLA RIFLESSIONE E DEI PERCORSI NONVIOLENTI DI ALEXANDER
LANGER
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it) per averci segnalato
questo articolo apparso sul quotidiano "L'Arena di Verona" il 6 luglio 2005.
Gabriele Colleoni e' redattore capo della sezione esteri del quotidiano
"L'Arena di Verona", amico della nonviolenza e da sempre impegnato in
iniziative di pace e di solidarieta'.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bz) nel 1946, e si e' tolto
la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative
per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria
descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer
rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata
col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa
in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace.
Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono
state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della
convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti
1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta,
Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu'
lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The
Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier
Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli'
2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre -
Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario,
Milano 2005. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite.
La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000; AA. VV., Una
vita piu' semplice. Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo -
Altreconomia, Milano 2005. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti
gli scritti e gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma
generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi
interventi e' assai variamente dispersa). Si vedano comunque almeno i
fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di
giugno 2005; l'opuscolo di presentazione de La Fondazione Alexander Langer -
Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax
054330421, e-mail: unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it), ed il nuovo
fascicolo edito dalla Fondazione nel maggio 2000; una nuova edizione ancora
e' del 2004 (per richieste: tel. e fax 00390471977691, e-mail:
info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org); la Casa per la
nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per
informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). Indirizzi utili:
Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100
Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org,
sito: www.alexanderlanger.org]

Il 3 luglio di dieci anni fa, al culmine della piu' grave crisi bellica
europea dopo il 1945 - quella dei Balcani - con un tragico gesto si
rinchiudeva nel silenzio della morte una delle voci piu' alte che per porre
fine a quella guerra fratricida aveva speso l'ultimo scorcio del suo
impegno, della sua riflessione e della sua vita. Alexander Langer,
europarlamentare verde e coscienza critica e creativa, mai conformista,
dell'arcipelago ecologista e nonviolento, si congedo' dagli amici con
l'impegnativo messaggio "continuate in cio' che e' giusto". Una settimana
dopo a Srbrenica, l'enclave sotto protezione Onu in Bosnia Erzegovina, si
sarebbe consumato la piu' spaventosa carneficina di civili di quella guerra.
Il massacro fu il macabro sigillo sulla deriva di un conflitto, che era
stato seguito con dolorosa lucidita' da quel cittadino dell'Europa e del
mondo quale Langer si era sentito fin dall'adolescenza nel suo Sudtirolo
scosso dalle bombe e dalle tensioni tra le comunita' tedesca e italiana.
"Das Bruecke/Il ponte" chiamo' la prima rivista fondata, sedicenne, a
Bolzano. In seguito, per costruire quella "cittadinanza universale" a cui
idealmente aspirava, alla lingua madre tedesca e all'italiano, avrebbe
affiancato la conoscenza di altre tre.
Nei dieci anni trascorsi da quel cupo luglio del '95, in molti hanno
raccolto - spesso al riparo del clamore delle cronache - l'imperativo
messaggio d'addio di Langer. A cominciare dalla Fondazione che ne porta il
nome e che ogni anno, con crescente autorevolezza, segnala a livello
internazionale persone ed associazioni che abbiano costruito occasioni di
dialogo e riconciliazione - dei "ponti" - nei luoghi dove si consumano i
tanti conflitti del pianeta. Ultima in ordine di tempo Irfanka Pasagic, la
psichiatra di Srbrenica, che a Tuzla, altra citta' martire della Bosnia, ha
fondato il centro Tuzlanska Amica il quale in dieci anni e' riuscito a
dare - grazie ad adozioni a distanza - una famiglia a 850 bambini, e ad
offrire uno dei pochi spazi dove donne, bambini, uomini traumatizzati dagli
orrori del conflitto, hanno ricevuto sostegno psicologico, ma anche
assistenza medica, sociale e legale.
Il segreto dell'attualita' e dell'autorevolezza, che ancora presentano le
sue riflessioni, risiede forse nel fatto che Langer, lettore e scrittore
quanto mai prolifico, definito "il piu' impolitico dei politici", rifuggi'
la tentazione di sistematizzare il suo pensiero. Il suo scrivere - fin dai
tempi del giornalismo militante - si e' sempre misurato nelle situazioni
concrete, riflettendo a partire e in relazione ad esse, seguendone il
divenire. In fondo, confesso' in una breve autobiografia sollecitatagli da
una rivista, gli sarebbe piaciuto essere un maestro elementare, a contatto
con la sfida feriale, ma fondamentale, di alimentare quella speranza
concreta di cui e' portatrice sana ogni nuova generazione.
Si ritrovo' a fare il giornalista, il traduttore, il professore, il
politico. E poi il "saltatore di muri" (etnici, culturali e politici -
celebre la sua provocatoria candidatura a segretario del Pds nel '94). E
soprattutto, il "costruttore di ponti" e il "viaggiatore leggero" tra
frontiere e popoli diversi. Sempre nel segno dell'hoffnungtraeger,
"portatore di speranza", che si era accollato la responsabilita' (e il peso)
di essere.
*
Nell'ultimo decennio della sua vita - un decennio fondamentale per l'Europa
con quel fatidico 1989 a far da spartiacque - la sua riflessione trovo'
costante ospitalita' su "Azione nonviolenta". Nella fitta trama di
interventi sul mensile fondato nel 1964 dal "padre" del movimento
nonviolento italiano, Aldo Capitini, tra il 1984 e il 1995 si e' delineata
con piu' precisione la scelta nonviolenta - laica e religiosa al tempo
stesso - che stava a fondamento etico e culturale della sua azione politica,
e piu' in generale del suo approccio alle persone e alle realta', per
complesse e contradditorie che fossero.
La raccolta antologica di quegli scritti, curata dal direttore della
rivista, Massimo Valpiana, e' stata ora pubblicata dall'editrice Cierre di
Verona con il titolo, Fare la pace. Scritti su Azione nonviolenta 1984-1995.
Nelle quattro sezioni - Dal pacifismo alla nonviolenza; Nonviolenza e
riconciliazione; Nonviolenza per la decrescita; Nonviolenza e' politica - si
dipana un percorso nel quale e' possibile trovare un metodo che ha ancora
molto da dire alle sfide del nostro tempo. E che parte dal "forte progetto
etico, politico e culturale", sollecitato da Langer in una lettera circolare
sei mesi prima della morte - un progetto "senza integralismi ed egemonie,
con la costruzione di un programma e una leadership a partire dal territorio
e dai cittadini impegnati, e non dai salotti televisivi o dalle stanze dei
partiti".
Preciso l'obiettivo: "far intravedere l'alternativa di una societa' piu'
equa e piu' sobria, compatibile con i limiti della biosfera e della
giustizia, anche tra i popoli". E la sua speranza nasceva dal constatare che
"da molte parti si trovano oggi riserve etiche da mobilitare che non devono
restare confinate nelle 'chiese' e tantomeno nelle sagrestie degli
schieramenti". Un progetto che, nonviolentemente, non doveva ne' poteva
pero' assurgere a totem o tabu' intoccabile: no, come ogni progetto andava
provato nei fatti, nei rapporti concreti, nelle dinamiche del reale. Non a
caso, uno dei motti di Langer era solve et coagula, sciogli e ricomponi.
Valeva per i "suoi" Verdi come per l'ambiziosa "Campagna Nord-Sud - Debito,
biosfera, sopravvivenza dei popoli" a cui diede vita insieme ad un movimento
culturale e religioso trasversale a forze politiche e chiese, per affrontare
la crisi del debito estero dei Paesi poveri (tuttora irrisolto) e della
distruzione ambientale e umana che esso alimentava.
Ma se "la nonviolenza ha bisogno sia di profeti che politici", riflette
Valpiana nell'introduzione, "essere insieme profeti e politici e' molto,
molto complesso" perche' e' "troppa la distanza tra cio' che si proclama e
cio' che si riesce a compiere", come Langer scrisse nel 1992 quando la verde
tedesca Petra Kelly mori' suicida. Quella sintesi Alexander Langer la
cerco', senza enfasi e senza retoriche. Cosi' questi scritti risultano una
sorta di nuovo passaggio del testimone. Perche' le tracce di un percorso -
esistenziale e politico - non vadano perse e possano, auspicabilmente,
indicare varchi da cui intraprendere altri cammini del coraggio. Per "fare
pace", se possibile, anche oggi.

4. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: UNIVERSITA' E PACE IN UN PERIODO DI
CONCORRENZA MILITARE (1)
[Riceviamo e volentieri diffondiamo la relazione svolta da Antonino Drago al
convegno tenuto a Udine il 16 aprile 2005. Tonino Drago (per contatti:
drago at unina.it), nato a Rimini nel 1938, docente universitario di storia
della fisica, da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu'
prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della
nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di
potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani
Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese
militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due
opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con
mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore,
Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997]

1. Studiare la guerra per fare la pace? Le Accademie militari
Dobbiamo tenere presente che c'e' un'Universita' per la guerra: tutte le
Accademie militari e le Scuole superiori militari (di guerra, della polizia,
ecc.) pretendono di essere al livello universitario. E non hanno problemi a
studiare la guerra, perche' sono convinte che solo cosi' i professionisti
seri possono fare la pace.
Inoltre occorre tenere presente che c'e' anche un'Universita' civile che e'
direttamente legata alla guerra. Non tanto in Italia, ma negli Stati Uniti e
nelle grandi nazioni l'Universita' viene assorbita dalla ricerca militare,
cioe' per la guerra. In Usa una gran quantita' di persone lavora alla corsa
agli armamenti (su una popolazione di 187 milioni l'1% e' dipendente del
Pentagono). Attualmente i fondi destinati allo scudo spaziale sono talmente
tanti, che chi decide di non aderire, commette una sorta di suicidio
accademico, restando in svantaggio sia nei fondi per il suo campo di
ricerca, sia per la propria carriera.
sulla rivista dei fisici americani Physics today", e' comparso un
interessante articolo: un editoriale di Charles Schwarz, che e' un noto
fisico, impegnato per la pace (2). Le sue considerazioni erano molto
sconsolanti: ci sono diversi modi di collaborare con i militari. Il primo e'
lavorare a pieno tempo per i militari; negli Usa degli anni '80 la meta'
degli scienziati lo faceva (3). C'e' poi un'altra maniera, quella di fare i
consulenti per i militari. E ce n'e' un'altra ancora: fare i consulenti per
i partiti sulle questioni militari. "Infine c'e' un altro modo (dice
Schwarz), di cui mi sono reso conto con sgomento da poco, che e' quello di
insegnare fisica all'Universita'. Io insegno a Berkeley, in California, dove
la meta' dei fisici che si laurea viene poi assunta dai militari. Allora mi
chiedo: come insegnante universitario di fisica, di chi sono al servizio, di
una cultura civile o di una cultura militare? I militari, che hanno bisogno
di molti fisici usano l'Universita' civile per risparmiare soldi; di fatto
questa mia Universita', per meta', serve ai militari. Allora, la domenica io
posso anche partecipare alle marce per la pace, ma se gli altri sei giorni
lavoro in definitiva per i militari, che senso ha la mia attivita'? Io non
ho risposta. Pero' quantomeno pongo il problema" (Ha poi pubblicato una
serie di opuscoli per mettere in guardia gli studenti dall'impiego
militare).
In effetti ci e' facile dimenticare questo studio per la guerra compiuto a
livello universitario; perche' da secoli noi abbiamo scorporato la parte
militare da quella civile della societa', dopodiche' non ci pensiamo piu'
(salvo richiamarla in tempo di guerra). E invece essa e' presente, tanto
piu' in questi tempi, come ha fatto rilevare Schwartz.
Eppure la scorporazione della parte militare dalla societa' civile non e'
stata una soluzione molto felice. Ad esempio essa cozza con il concetto di
Universitas studiorum. L'Universita' e' nata per l'universalita' degli
studi; ma gli studi sulla guerra sono stati staccati e portati dentro le
Accademie militari. Cosicche' la societa' civile non si e' piu' interessata
alla riflessione sulla guerra e su cio' che la riguarda.
E invece se la societa' civile vuole la pace, oggi deve riappropriarsi di
quella cultura bellica per sapere come superarla; quindi deve studiare la
guerra, le guerre e le loro caratteristiche. Allora si deve studiare sulla
guerra, il che gia' e' un'altra cosa che non per la guerra.
Di recente mi sono occupato di un pensiero strategico che e'
interessantissimo... Clausewitz confronta la guerra assoluta, compiuta senza
tenere conto della politica, e la guerra reale, che deve restare dentro i
condizionamenti della vita concreta, tra i quali quelli della politica. Egli
arriva a vette intellettuali che sarebbe importante recuperare.
Nell'insegnamento di fisica delle scuole superiori si tratterebbe inoltre di
insegnare ad esempio come sono fatte le armi nucleari, non come adesso,
quando i libri di fisica o non trattano il tema, o dicono che la bomba
nucleare fa un "grande scoppio". Come si vede ora siamo in un terreno su cui
si puo' arrivare da due punti di vista opposti, militare e civile.
Un ulteriore gradino e' un'Universita' che studia sulla pace. Ad esempio,
per vedere se la natura umana e' portata alla guerra, o puo' liberarsene. La
famosa Dichiarazione di Siviglia dell'Unesco (4) nega che la pace sia
un'utopia nonostante molti sostengano la tesi contraria secondo le varie
teorie psicologiche, sociologiche, socio-biologiche. Sulla pace quindi ci
sono tantissime cose da dire, considerando la pace come un oggetto di
studio.
*
2. L'Universita' come terreno di scontro con i militari: i corsi di laurea
civili per i militari
Ma dobbiamo renderci conto che su questo tema (lo studio sulla pace) i
militari italiani hanno proposto e realizzato una loro soluzione: cavalcare
ambedue le culture. Dal 1995 gli ufficiali devono tutti laurearsi in materie
civili. Le Accademie militari, le Scuole di polizia ecc. hanno istituito
corsi di laurea civili (Giurisprudenza, Scienze politiche...) alla fine dei
quali si ottengono lauree, con l'esame fatto presso l'Universita' piu'
vicina, in modo da poter far valere una laurea proprio civile.
La convenzione sottoscritta dall'Accademia militare aereonautica di Pozzuoli
con l'Universita' "Federico II" di Napoli dice con chiarezza oscena che i
cadetti si devono laureare perche' poi nella vita civile debbono assumere
posti di comando; quindi debbono avere una doppia faccia, per presentarsi
nella vita civile in posizioni di forza culturale, su guerra e pace. E' il
rilancio in forze dell'apparato militare come luogo di cultura superiore, ai
massimi livelli.
Questa attivita' dei militari, dare lauree civili, travasa professori
universitari ai militari; molti vengono chiamati ad insegnare nei corsi
civili delle Accademie: le Accademie offrono grossi vantaggi, di carriera ed
economici, ai professori universitari; basti pensare che in Italia nemmeno
sappiamo bene a quanto ammonta il bilancio per la Difesa (comunque attorno
ai venti miliardi di euro). Cosi' si crea un legame forte tra i militari e
una parte della docenza civile (e con una parte della societa' civile in
generale).
In definitiva, oggi c'e' un conflitto sulla formazione accademica sul tema
pace: i militari stanno tirando la coperta dalla parte loro, con il motivo
che la vera pace e' quella che fanno loro, al di la' dei "dilettantismi
dell'ultim'ora".
Anche nella applicazione professionale immediata degli studi per la pace, il
peacekeeping, c'e' una invasione di campo da parte dei militari.
Dal 1990 in Austria, a Stadtschlaining, c'e' un corso di peacekeeping che e'
stato organizzato da un ex ambasciatore convertito alla pace; questo corso
e' d'esempio per il mondo, sia per l'insegnamento ben direzionato, sia per i
docenti del piu' alto livello internazionale.
In Italia dal 1995 i militari hanno iniziato ad invadere la formazione al
peacekeeping. E' stato il Centro Militare Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) a
promuovere, assieme con la Scuola S. Anna di Pisa (che non ha nulla di
religioso, e' il vecchio nome di un convento-collegio), un corso post-laurea
su questo argomento (al costo di svariate migliaia di euro per il
frequentante); dove il generale Loi ha chiuso il primo corso dicendo che in
Italia il peacekeeping o e' militare o non e. Il corso, data l'influenza
politica del S. Anna e dei militari, ha preso molta importanza. Inoltre i
militari hanno aperto altri corsi di peacekeeping: ad es. la Scuola di
Guerra di Civitavecchia all'Universita' di Roma 3, proprio l'Universita'
dove e' professore A. Riccardi, l'autore degli accordi della Comunita' di S.
Egidio in Mozambico, famoso in tutto il mondo; se lui avesse cominciato un
corso di peacekeeping, questo sarebbe diventato molto importante a livello
internazionale; allora i militari hanno giocato d'anticipo: hanno preferito
l'Universita' ultima arrivata, Roma 3, all'autorevolissima Roma La Sapienza.
Fino all'anno scorso, in Italia le scuole superiori post laurea di
peacekeeping erano solo militari (5).
*
3. L'Universita' per la pace
Tutt'altro discorso e' un'Universita' per la pace. Qui si apre finalmente
una prospettiva di studio tipicamente da civili, che vogliono evitare la
guerra e quindi studiano la pace. Ma entra in campo l'annosa polemica se la
scienza e la cultura debbano essere rigorosamente avalutative o al contrario
possano legarsi a valori fondamentali. In questo caso pero' quelli che
lavorano per la pace sostengono il loro atteggiamento propositivo con un
argomento che, a mio parere, e' inconfutabile e decisivo: sui massimi temi
non ci si puo' permettere l'avalutativita', come se fossimo tutti fuori
dalla storia: oggi il tipo di difesa mette in gioco la sopravvivenza
dell'umanita', a causa di un pericolo mortale, l'uso degli arsenali bellici,
che, paradossalmente, l'umanita' stessa ha costruito. Conseguentemente
occorre studiare per fare uscire l'umanita' da questa situazione. Anzi,
questo atteggiamento intellettuale propositivo e' il migliore atteggiamento
possibile per comprendere razionalmente al piu' presto quali scelte
collettive possono assicurarci il futuro.
Nel Nord del mondo (Usa, Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, ecc.) c'e' una
tradizione, lunga un cinquantennio, di Istituti di ricerche per la pace e di
studi per la pace all'Universita', con cattedre di Ricerche per la pace e
con corsi di laurea specifici (tra i quali ricordo come uno dei piu'
importanti quello di Bradford, in Gran Bretagna). Oggi nel mondo intero
(Filippine, Hawaii, ecc.) sono molti i corsi di insegnamento su Pace,
Diritto internazionale e diritti umani, Problemi globali, Nonviolenza, ecc.
L'Onu ha istituito una Universita' per la pace in Costa Rica (Paese che per
quarant'anni ha avuto il coraggio civile di abolire l'esercito). Ogni anno
esce una guida a questi corsi nel mondo (6).
Poi il movimento per la pace e le lotte di liberazione del 1989 hanno
conquistato un avanzamento di grande importanza. Nel 1992 il segretario
generale dell'Onu B. B. Ghali, ha formulato un progetto, l'Agenda per la
pace (7), che impegna l'Onu concretamente nel mantenimento della pace nel
mondo e prevede le figure di peacemaker, peacekeeper e peacebuilder, dove le
ultime due sono anche civili. Si tratta allora di costruire la figura del
peacekeeper e peacebuilder civile nel mondo (8).
Ma di fronte alla invadenza militare italiana, che possiamo mettere in gioco
noi, che, cercando di interpretare il movimento per la pace, vogliamo
costruire una Universita' veramente per la pace e la nonviolenza?
In Italia possiamo far conto su alcuni professori universitari, che lo sono
diventati per svariati meriti scientifici e che poi si sono convertiti alla
pace o l'hanno studiata il sabato sera. Sono molto pochi, per lo piu' ormai
in pensione.
Poi ci sono tre Centri interdipartimentali per la pace: a Bologna, Bari e
Pisa. Essi, collegando informalmente i professori della stessa Universita',
servono ad organizzare solo qualche convegno o qualche iniziativa tra
persone molto indaffarate; inoltre essi subiscono le influenze politiche del
momento (adesso frenanti).
A Padova il prof. Papisca dal 1989 ha istituito una Scuola di
perfezionamento in diritti umani e dei popoli; per il tema e' parziale, la
scuola e' lunga tre anni ed e' costosa. Dal 1998 ha iniziato (assieme a
dodici Universita' europee) un corso sul monitoraggio Onu; pero' tutto
focalizzato sui diritti piu' che sulla pace (9).
Quattro anni fa, quasi miracolosamente, si e' riusciti a utilizzare la
riforma universitaria per trovare uno spiraglio ai temi della pace. La
convergenza dell'on. L. Guerzoni (delega all'Universita'), del prof. Modica
(presidente della Conferenza dei rettori italiani) e del prof. Labruna
(Presidente del Comitato universitario nazionale) ha fatto inserire la
parola "pace" nel titolo della classe di laurea n. 35: Cooperazione allo
sviluppo e alla pace. Pero' quest'ultima parola non compare mai nella
specificazione delle materie di studio; ma c'e' l'autonomia universitaria e
quindi ogni Universita' puo' interpretare quel corso di laurea come vuole.
Sono stati istituiti 21 corsi in quella classe di laurea; tra essi, sulla
base di questa piccola apertura, due corsi sono specifici per la pace: A.
L'Abate a Firenze ha costruito un corso di laurea su Operatori di pace; a
Pisa altri (tra cui G. Gallo e R. Altieri) un corso di laurea in Scienze per
la pace. Sono molti (giovani e non) coloro che si sono iscritti con
entusiasmo (sono piu' numerosi che a Scienze politiche). In gran parte le
materie sono quelle solite che sa insegnare l'Universita' (Economia,
Sociologia, Diritto, Storia, ecc.); in piu' ci sono alcune materie
qualificanti; ad es. a Firenze: "Sociologia dei conflitti e ricerca per la
pace", "Psicologia della pace", "Teoria dei conflitti", "Storia e tecniche
della nonviolenza"; a Pisa: "Metodi e tecniche della nonviolenza" e
"Strategie della Difesa popolare nonviolenta", ecc.. Nei concorsi questo
titolo di studio e' equiparato a quello di Scienze politiche. Gia' ci sono
stati i primi laureati; e quest'anno a Pisa e' incominciato il corso "+2",
svolto anche per Firenze.
Lo studio per la pace e' molto interessante. Me ne sono accorto quando ho
incominciato a ripensare le mie materie, fisica e matematica, sotto la luce
dei conflitti; quindi teorie matematiche e fisiche dei conflitti, conflitti
nelle teorie matematiche e fisiche. Sorprendentemente ne e' nata un'altra
comprensione della materia (10). Ogni materia di studio dovrebbe subire lo
stesso ripensamento, riferendo i conflitti alle sue diverse fondazioni; ne
nascerebbe un'altra visione della materia, che sarebbe quella da insegnare
per prima; invece di insegnarla scegliendo una sola fondazione, come
semplice preferenza, e somministrarla agli studenti come la verita'. Quindi
lo studio per la pace apre ad una nuova cultura, quella che accetta i
conflitti non solo nella realta', ma anche quelli intellettuali. Con cio' si
esce dalla mitica ragione unica ed universale dell'Occidente, per ricondurla
ad una attivita' umana, con i suoi limiti e soprattutto con le sue scelte
basilari, che la qualificano in piu' atteggiamenti razionali possibili, a
partire da quelli maschile e femminile (11).
*
4. Formazione superiore diffusa
In piu', il movimento per la pace ha ottenuto la notevole conquista dei
peacekeepers e peacebuilders civili dall'Agenda per la pace dell'Onu. Questi
sono impieghi veri e propri, per i quali ci vuole formazione (cosi' come si
vedeva in precedenza). Ad essa puo' provvedere l'Universita', con i corsi di
laurea per la pace, ma anche gli Enti locali,
La Provincia di Bolzano ha iniziato ad organizzare corsi professionali di
peacekeeping, perche' il peacekeeping puo' essere considerato una
professione come le altre. Il corso e' di ben 800 ore e per di piu' i
frequentanti non devono pagare. Altre Regioni l'hanno seguita: Piemonte,
Marche, Toscana, Umbria, Campania; stanno inserendosi Sardegna e Puglie
(12). La prospettiva e' la formazione di oltre 150 peacekeeper l'anno, ben
preparati; un salto di qualita' notevole.
Inoltre c'e' un'altra possibile formazione diffusa. Nel passato gli
obiettori di coscienza hanno fatto nascere il servizio civile nazionale.
Soprattutto la Caritas, i Salesiani, il Mir e in parte l'Arci hanno
organizzato corsi di formazione, anche sulla difesa alternativa, per i
serviziocivilisti. Ora la leva e' sospesa, ma il servizio civile continua e
prevede esplicitamente la formazione; per gli attuali circa 40.000
serviziocivilisti occorrerebbero alcune centinaia di formatori. Sin dal 1990
si era fatto un lavoro preparatorio su questo tema: tre corsi metodologici
presso la Fondazione Zancan 1990-'91-'92 (con la pubblicazione degli atti
degli ultimi due); corsi per formatori: Capua 1990, Firenze 1990 (con
Galtung, Muller, Ebert e Sharp; gli atti presso Fuorithema, Bologna 1994),
poi dal 1995 corso annuale all'Universita' della pace di Rovereto; Quaderni
Dpn, nn. 15, 24 e 26 (La Meridiana, Molfetta).
Ma nel 2003 l'Ufficio nazionale per il servizio civile (Unsc) ha
infaustamente deciso di affidare la formazione  ai singoli Enti. La sua
giustificazione e' che in questo modo gli Enti che avevano accumulato
esperienza formativa sugli obiettori, la riversano sul nuovo servizio
civile. Ma questo sembra utopico, anche se molti Enti, non essendo stati
abilitati alla formazione, devono chiedere ad un altro Ente di formare i
suoi serviziocivilisti; ma, si noti, a pagamento. Inoltre e' ben difficile
all'Unsc controllare se migliaia di Enti fanno la formazione, e qual e';
anche se un Ente prepara i serviziocivilisti ai compiti affidati loro,
difficilmente forma ai temi di importanza nazionale. Per di piu' cosi'
l'Unsc ha mandato a vuoto tutto il lavoro nazionale precedente ed ha evitato
che i tre milioni di euro l'anno di finanziamento facessero nascere la
figura professionale del formatore di serviziocivilisti; alla quale potrebbe
provvedere l'Universita'. Cosicche' i serviziocivilisti sono stati rinchiusi
in un ghetto formativo, mentre invece oggi ogni militare si fregia di una
laurea pesante.
Un anno fa la Corte Costituzionale (sentenza n. 228/2004) ha respinto il
ricorso delle Regioni che volevano per loro la competenza sul servizio
civile: questa competenza e' nazionale, quindi appartiene all'Unsc, perche'
il servizio civile riguarda la difesa nazionale non armata. A tale scopo nel
maggio 2004 e' stato istituito un Comitato ministeriale specifico sulla
Difesa civile non armata e nonviolenta (Dcnanv, ex lege 230/1998), che deve
proporre iniziative su questo tema, da realizzare con quattrocentomila euro
l'anno; in particolare, sulla base degli artt. 11 e 52 della Costituzione,
corsi di formazione impegnativa sulla Dcnanv. Ma alcuni Enti di servizio
civile hanno diffuso una interpretazione "casalinga" della difesa della
Patria (e quindi della Dcnanv): essa per il serviziocivilista si ridurrebbe
a sola solidarieta' civica (art. 2 della Costituzione) verso il progetto
dell'Ente che lo riceve. In questa interpretazione l'attivita' del Comitato
Dcnanv si riduce ad organo burocratico che prende qualche iniziativa
laterale.
Ma tutto e' ancora possibile (13). Vorra' l'Unsc cambiare l'attuale
formazione dei serviziocivilisti, dando importanza ai temi nazionali (e
quindi anche alla Dcnanv), da svolgere assieme alle Universita'? L'Unsc
vorra' affidare la formazione dei formatori alle Universita' per la pace, o
la vorra' fare in proprio con ricette casalinghe? Se anche la formazione
restera' privata, i formatori dei serviziocivilisti vorranno costituirsi
come associazione per porsi collettivamente davanti al volume di formazione
da impartire, o lasceranno navigare liberamente gli avventurieri? E' chiaro
che molto dipendera' dalla pressione che le Universita' per la pace
riusciranno ad esercitare (14).
*
5. Quale figura professionale per il laureato per la pace?
Ho lavorato all'Universita' di Napoli, che fu fondata da Federico II allo
scopo di avere un funzionariato non clericale; anche l'odierna Universita'
ha come prima finalita' la formazione di un funzionariato. Allora
chiediamoci: quale funzionariato per la pace preparera' l'Universita' per la
pace? La figura professionale come ad es. oggi c'e' in alcuni tribunali, i
mediatori dei conflitti? Oppure quella dei promotori della cooperazione
(ong) o delle interposizioni nonviolente all'estero (come quelle compiute da
Assopace, dalla Comunita' Papa Giovanni, dai Beati i costruttori di pace in
Jugoslavia o in Palestina)? Cioe' in funzione del territorio circostante o
in funzione di professioni essenzialmente internazionali? (15).
Ora la situazione e' selvaggia, sia perche' persone di tutti i tipi danno
corsi (a pagamento) sulla gestione, mediazione e soluzione dei conflitti;
sia perche' i militari tendono ad invadere, se non altro per avere il
controllo della situazione globale, che altrimenti potrebbe creare loro
molto fastidio; mentre chi ha lavorato per preparare la novita' sociale a
vantaggio di tutti, resta emarginato in collocazioni minoritarie, con poche
risorse a disposizione.
Soprattutto manca una normativa. Il problema ad es. e' quello di arrivare a
definire giuridicamente la figura di peacekeeper civile, che puo' oscillare
tra quella proposta dai militari e quella qualificata veramente per la pace
e che puo' essere sostenuta anche dagli Enti locali.
In mancanza di colpi di scena, lo sbocco da questa situazione verra'
soprattutto dalla spinta che dara' il movimento per la pace: ad es.
abbandonando i corsi equivoci dei militari (lasciamoli alle spie che cercano
un comodo patentino di peacekeeper) e trasformando gli studi per la pace una
chiara crescita collettiva, intellettuale, professionale e di potere
istituzionale; perche' tale puo' essere, in quanto i temi della pace visti
da un punto di vista veramente pacifico sono nuovi ed affascinanti rispetto
alla cultura tradizionale, ed aprono ad una nuova societa', che sa
affrontare i conflitti senza distruggere l'altro.
Quindi gli sbocchi professionali sono pochi e tanti, a seconda di come si
riuscira' a premere sul mercato del lavoro; di certo c'e' molto lavoro da
fare. Auguri a tutti noi.
*
Note
1. Ho gia' discusso il tema Universita' e ricerca per la pace in "La ricerca
per la pace in una societa' in transizione. Una prospettiva storica", in A.
Licata (ed.), Universita' per la pace. Il ruolo dell'Universita'
nell'analisi e nell'impegno a favore della Pace, Isig Gorizia e Universita'
di Trieste, 2001, pp. 77-95. In questo intervento sottolineo di piu' gli
aspetti di attualita'.
2. C. L. Schwarz, Physics and Military, "Physics Today", 37, 6 ottobre 1984.
3. E. L. Woollett, Physics and modern warfare: The awkward silence,
"American J. Physics", 48, febbraio 1980, pp. 105-117.
4. D. Adams (ed.), Seville statement on violence: Preparing the ground for
the constructing Peace, Unesco, 1991.
5. Alcuni nonviolenti sperano di far nascere una Accademia per la pace,
senza pensare quanti personaggi militari (oltre che quelli accademici)
sarebbero felici di fregiarsi del titolo di suo direttore.
6. M. T. Klare, Peace and World Security Studies Curriculum Guide, Univ.
Hampshire.
7. B. B. Ghali: An Agenda for Peace, UN, New York, 1992 (trad. it.: Acli,
Roma, 1992).
8. A. Drago (ed.): Pecaekeeping e peacebuilding. La difesa e la costruzione
della pace con mezzi civili, Qualevita, Sulmona 1997.
9. L'Universita' della pace di Rovereto annualmente svolgeva (con il prof.
Pontara) corsi su materie riguardanti la pace; ma e' di natura privata e
quindi non da' titoli accademici validi; in piu' recentemente un nuovo
consiglio di amministrazione ha fatto cambiare rotta. Spiccano per assenza
le Universita' pontificie e gli istituti superiori religiosi. Tra i
francescani la loro Commissione internazionale Justitia et Pax ha chiesto di
attivare un corso sulla pace nella loro Universita' a Roma (Antonianum); ma
e' stato concesso solo che un docente dia un insegnamento libero sul tema.
10. Insegnanti nonviolenti, Matematica della guerra, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1987; "Modelli logici, matematici e fisici dei conflitti e delle loro
soluzioni", in M. Zucchetti (ed.), Contro le nuove guerre. Scienziati e
scienziate contro la guerra, Odradek, Roma 2000, pp. 73-81.
11. A. Drago, Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta 1991.
12. Perche' le Regioni Veneto e Friuli non l'hanno fatto?
13. Ma purtroppo anche in peggio: ad es., affidamento della formazione ad
una agenzia esterna, magari privata.
14. Una ulteriore funzione formativa dell'Universita' potrebbe venire dal
progetto perseguito da dieci anni da una parte dei nonviolenti e dei
pacifisti: l'istituzione dei corpi europei di pace. Ma oggi l'obiettivo e'
distante tanto e forse piu' di prima, perche' l'Europa non ha nessuna
legislazione favorevole alla pace (non ha un equivalente dell'art. 11 della
Costituzione, ne' ha stabilito l'equivalenza della difesa della patria
compiuta con il servizio civile e con il servizio militare). Quindi, se
anche l'Europa istituisse questo corpo, lo potrebbe fare dipendere dai
militari, come in Italia oggi e' per la Cri.
15. All'estero esistono da decenni molti istituti di ricerca. Ma dal tempo
della guerra nel Kosovo molti di loro hanno scelto la politica del
compromesso con i rispettivi governi finanziatori; per cui ora non si sa
piu' da che parte stiano questi istituti esteri, se con i militari o con gli
obiettivi del movimento per la pace. Vedasi la mia prefazione a Jean-Marie
Muller, Vincere la guerra. Principi e metodi dell'intervento civile,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999, pp. 5-24.

5. BAMBINI. NICOLE ITANO: GLI ORFANI DELL'AIDS
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione questo testo di Nicole
Itano. Nicole Itano e' corrispondente per "WeNews", vive a Johannesburg in
Sudafrica; sta scrivendo un libro sull'aids in Africa; la storia seguente e'
parte di questo lavoro]

Otse, Botswana. La musica rimbomba da altoparlanti grandi e rovinati,
cortesia di un dj locale molto popolare. La maggioranza dei bimbi ride e
danza, ma Mmauwi Marwale, una bambina di 8 anni con il volto da folletto e
una manciata di lentiggini sul naso, se ne sta per conto suo, a guardare il
divertimento dai margini.
"Hanno suonato questa canzone al funerale di mia madre", dice Marwale,
sollevando lo sguardo dallo smalto rosa carico che le e' stato regalato da
un'amica, e che lei ha diligentemente dipinto sulle piccole unghie sporche,
"Ho pianto e pianto, ma Moetsi, lei non ha pianto". Moetsi e' la sua
sorellina di 5 anni. "E' troppo piccola", spiega Marwale con aria saggia,
nel suo inglese sconnesso, "Lei non capiva". Marwale, invece, capiva
benissimo. Sebbene non sapesse che era stato l'aids a portarsi via i suoi
genitori, ricordava la morte del padre e la malattia della madre.
I G8 riuniti questa settimana a Gleneagles, Scozia, il gruppo delle otto
nazioni maggiormente industrializzate, dicono che avranno l'Africa e l'aids
in cima all'agenda: leader occidentali ed africani discuteranno come
finanziare piani ambiziosi per aiutare il continente. Ma la storia di Mmauwi
Marwale dimostra che le buone intenzioni spesso non riescono ad aiutare le
famiglie colpite dall'aids.
*
Il Botswana, con un introito pro capite di circa 8.000 dollari, e' la
nazione piu' ricca dell'Africa. L'aids sta tuttavia minacciando la sua
prosperita': gli indicatori di sviluppo, quali l'aspettativa di vita, stanno
crollando. Le donne incinte positive al virus hiv raggiungono la scioccante
percentuale del 38%. Questo grande ed arido paese ha una popolazione non
molto vasta ed omogenea etnicamente; ha un governo che ha usato i guadagni
provenienti dalle ricche miniere di diamanti per costruire scuole ed
ospedali e provvedere altri servizi sociali. Ci sono generose distribuzioni
di cibo per i malati e i disabili, per gli orfani e gli anziani. C'e'
un'assistenza sanitaria nazionale di base per tutti i cittadini e, dal 2002,
la fornitura gratuita delle medicine anti-aids alle persone affette.
Le medicine sono arrivate troppo tardi per i genitori di Marwale, che sono
morti oltre tre anni fa, e per i genitori di molti altri bambini che
frequentano il Centro per orfani "Dula Sentle" che significa "Stare bene" in
lingua setswana.
La marea degli "orfani dell'aids" ha scosso il paese, ma ci sono ancora
persone che rifiutano di fare gli esami medici, o che rifiutano di ammettere
di essere stati infettati da questa malattia mortale. Nonostante il relativo
benessere del Botswana, la poverta' e la disoccupazione sono diffuse. La
famiglia di Marwale e' fra le piu' povere di Otse, la citta' in cui la
famiglia si e' trasferita per vivere con una nonna, dopo la morte del padre.
La nonna e' una donna piccola, con il volto scavato dal tempo e dal sole.
Quando ha denaro, si alza molto presto al mattino per cominciare a bere. Un
boccale della tradizionale forte birra di sorgo costa un pula, circa trenta
centesimi di dollaro. La casa della nonna, dove Marwale e la sua sorellina
hanno vissuto assieme alla sorellastra piu' anziana Phena ed al figlio di
lei, consiste di un'unica stanza di cemento priva di elettricita' e di acqua
corrente. La cucina e' un blocco di ruggine situato all'esterno. La maggior
parte del cibo per la famiglia viene dalle forniture che Marwale e Moetsi
ricevono dal governo.
Dopo il trasferimento ad Otse, Marwale ha tentato il piu' possibile di non
vivere in questa casa. La lasciava all'alba per andare a scuola con gli
altri bimbi del vicinato, vestita nell'uniforme arancione, e spesso non
tornava se non a notte fonda. Anche quando ha cominciato a frequentare "Dula
Sentle", i cui operatori rimandano i bambini a casa prima del tramonto,
Marwale spesso spariva da qualche parte. Non era una brava scolara, ed aveva
problemi a restare ferma e seduta in classe, ma parla inglese molto meglio
dei suoi coetanei, anche perche' a "Dula Sentle" ci sono i suoi migliori
amici, cosi' lei dice, ovvero i volontari stranieri della cooperazione
internazionale. Qualche volta, Marwale ha chiesto loro perche' non poteva
vivere al Centro. Non voleva tornare a casa, perche' la sorella maggiore la
picchiava e la nonna era sempre ubriaca. La nonna diceva di lei che era
selvaggia, non rispettosa, e non che non aiutava in casa.
*
All"inizio del 2004, la sorellastra Phena ha cominciato a lottare con la
nonna per la custodia delle due bambine. Voleva portarle in casa di suo
padre a Ramotswa, una citta' vicina, al confine con il Sudafrica. La contesa
ando' avanti per mesi. Ci furono incontri con l'assistente sociale, al
consiglio del villaggio, e fra i membri della famiglia.
Brenda Fonteyn, una donna della citta' che ha fondato "Dula Sentle" con il
proprio marito, voleva che le bambine restassero ad Otse, dove almeno
avevano due pasti caldi al giorno, e lo staff del Centro per gli orfani che
si curava di loro. Brenda ha gia' visto numerose lotte del genere per la
custodia dei bambini, e si sta chiedendo se le forniture di cibo per gli
orfani siano davvero una buona idea. "L'unica cosa per cui litigavano, per
quello che ho potuto capire, erano le provviste fornite dal governo",
sospira Brenda, che ha tentato di intervenire in favore delle bambine. Ad
Otse, disse, Marwale e Moetsi erano al sicuro anche quando restavano da
sole. Brenda temeva che a Ramotswa, una citta' di circa 20.000 abitanti e
piena di bar, sobborghi malfamati e bande giovanili, nessuno le avrebbe
seguite, assicurandosi che andassero a scuola e mangiassero. Se Marwale
avesse mantenuto l'abitudine di andarsene in giro, laggiu' avrebbe potuto
avere problemi.
In dicembre, le bambine andarono a Ramotswa per le festivita' natalizie, e
non ritornarono quando ricomincio' la scuola. Per mesi, nessuno ad Otse
seppe nulla di loro. La loro nonna aveva lasciato il villaggio per occuparsi
dei suoi campi, in cui pianta grano e sorgo. Nessuna notizia giungeva.
Finalmente, in maggio, un vicino di casa che era andato in visita
all'ospedale di Ramotswa le riporto' ad Otse. Le bimbe parevano in salute.
Nella casa c'era da mangiare, una stufa e le mura erano abbastanza spesse da
tener fuori la pioggia. Ma Marwale racconto' che era lei a dover cucinare e
a dover prendersi cura del vecchio padre cieco della sorellastra. Marwale e
Moetsi dormivano sul pavimento, dividendosi un unico lenzuolo, e Phena, che
le aveva portate la', non si vedeva mai. "Voglio vivere ad Otse, ha detto
Marwale, Voglio andare a Dula Sentle". Almeno per il momento, e' stata
esaudita.
*
Per maggiori informazioni:
- Dula Sentle: www.dulasentle.org.bw
- African Comprehensive hiv/aids Partnerships: www.achap.org
- Unaids: www.unaids.org

6. RILETTURE. ELENA GIANINI BELOTTI: DALLA PARTE DELLE BAMBINE
Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 1973,
1982, pp. 200. "L'influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del
ruolo femminile nei primi anni di vita", un testo di riferimento.

7. RILETTURE. ELENA GIANINI BELOTTI: PRIMA LE DONNE E I BAMBINI
Elena Gianini Belotti, Prima le donne e i bambini, Rizzoli, Milano 1980,
1983, pp. 224. Uno dei libri piu' intensi e struggenti di Elena Gianini
Belotti. Una lucida denuncia dell'oppressione maschilista, un'indagine in
profondita' della violenza di cui consiste, delle lacerazioni e sofferenze
che produce.

8. RILETTURE. ARMANDA GUIDUCCI: LA MELA E IL SERPENTE
Armanda Guiducci, La mela e il serpente, Rizzoli, Milano 1974, 1988; pp.
312. "Autoanalisi di una donna", forse il libro piu' bello e piu' conosciuto
della grande, acuta, profonda pensatrice e saggista.

9. RILETTURE. ARMANDA GUIDUCCI: DONNA E SERVA
Armanda Guiducci, Donna e serva, Rizzoli, Milano 1983, pp. 296. Il lavoro
domestico come obbligo per le donne. Come nasce e come si manifesta questa
perdurante schiavitu'? Un libro che e' un esempio di ricerca che combina
saperi multidisciplinari (dalla storiografia alla sociologia, alle altre
scienze umane, ai saperi delle donne e dei soggetti oppressi che ancora
l'accademia non sa rubricare e mummificare nell'inerzia delle categorie
istituzionali), sapienza, autoanalisi personale e collettiva, e si fa
giudizio, coscienza e denuncia efficace e maieutica, momento di lotta e di
liberazione.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 987 del 10 luglio 2005

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