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La nonviolenza e' in cammino. 986
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 986
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 9 Jul 2005 00:29:12 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 986 del 9 luglio 2005 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Londra, le stragi, la nonviolenza 2. Lorella Pica: Dal Costa Rica e dal Guatemala 3. Agnese Ginocchio: Alexander Langer, viaggiatore leggero 4. Mao Valpiana: Il carico di Alex, fra profezia e politica 5. Barbara Spinelli: Il capro espiatorio 6. Ota de Leonardis: L'eredita' di Franco Basaglia 7. Con "Qualevita", all'ascolto di Dorothy Day 8. Letture: Carlos Amorin, La guerra sporca contro i bambini 9. Letture: "Diario", Un mese nella vita di Enzo Baldoni 10. Riletture: Marcella Ferrara, Le donne di Seveso 11. Riletture: Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LONDRA, LE STRAGI, LA NONVIOLENZA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] "Durante ogni generazione, narra il testo letto dagli ebrei durante il Seder, il pasto rituale di Pesach (Pasqua), un Faraone si erge per renderci schiavi o distruggerci. Durante ogni generazione, ogni essere umano deve guadagnare di nuovo la propria liberta'". L'esercito del Faraone si e' mostrato ieri nelle metropolitane londinesi, ma da troppo tempo si mostra in ogni parte del mondo. Il Faraone d'Egitto defini' "straniero" un popolo perche' differiva in linguaggio e religione dalla maggioranza e lo dichiaro' un pericolo per la sua nazione e per il suo governo. Migranti e profughi odierni conoscono bene questa storia. Il Faraone d'Egitto teneva tutta la ricchezza del paese nelle proprie mani, e in quelle dei suoi accoliti fra cui c'erano i sacerdoti di palazzo, il cui compito era spiegare al popolo che quel ladrocinio era permesso e voluto dagli dei. E quindi oggi il Faraone dice che parla con dio, che dio lo ispira, che la guerra e' santa, che il massacro degli innocenti ha alta e nobile causa. Oggi come allora e' drogato dal suo stesso potere: non intende fermarsi. Oggi il Faraone e' un amalgama di tre elementi: un governo che cerca di controllare il mondo intero, in special modo le sue risorse petrolifere; le corporazioni economiche che hanno mutato i lavoratori in schiavi e spargono veleni sulla terra e negli oceani; e le fazioni religiose/politiche che proclamano di avere l'unica verita', quella che va bene per tutti e nel cui nome si possono compiere gli atti terroristici piu' efferati, fazioni che idolatrano la ricchezza ed il potere, che esercitano tirannia sulle scelte morali delle persone. Sulle strade irachene, il Faraone ha preso centinaia di giovani, uomini e donne, e li ha rimodellati all'interno del suo esercito, dove hanno perso la vita, o gli occhi, o le gambe e le braccia. Ha preso migliaia di iracheni nelle loro citta', e costoro hanno perso la vita, e occhi e gambe e braccia, e parenti, e case, e futuro. L'esercito del Faraone fa guerre, mette bombe, costruisce prigioni, avvelena suolo ed aria e acqua. A volte le sue armi non sono immediatamente riconoscibili: un tempo egli annegava i bambini nel Nilo, oggi purche' le corporazioni economiche non perdano un centesimo dei loro luridi guadagni li annega nei veleni, li lascia morire di aids, di fame, di abbandono. Ma le levatrici rifiutarono di annegare i neonati come il Faraone ordinava: il loro fu uno dei primi atti di disobbedienza civile che sia registrato nella storia, una risposta nonviolenta. * Disarmare il terrorismo e' infatti uno scopo che non si puo' raggiungere attraverso la guerra, per distruggere le nazioni "cattive". Mettere fine al terrorismo richiede invece un cambiamento d'attitudine nella maggior parte delle nazioni militarizzate: richiede il rigetto della violenza, e l'impegno per il cambiamento nonviolento. Mettere fine alla poverta', ricostruire la fiducia nel futuro per tutti i popoli al mondo, riconvertire le nostre economie drogate da armi, petrolio e avidita'. Cosi' come le differenze sono state manipolate per giustificare odio, terrore, violenza e guerra, noi dobbiamo maneggiarle per creare una nuova visione, che abbia la forza della profezia. Il sentiero aspetta che noi lo percorriamo, il fiume attende la nostra traversata. Per crescere e cambiare e costruire quella terra promessa in cui i corpi non giacciono spezzati sull'asfalto, macchiati di sangue, in cui le mani non sono costrette in manette e i volti sono liberi di ricevere i baci del sole, della pioggia e delle persone amate. Quella terra promessa che vive in ciascuna e ciascuno di noi. * In questi tempi terribili, di fronte all'ennesimo massacro perpetrato a Londra, sento di dover ringraziare chiunque abbia scelto la nonviolenza, chiunque abbia respinto l'odio. Possiate voi che lo avete fatto sentire e vivere la pace in ogni momento della vostra vita, e possa ciascuna e ciascuno di voi fare sagge scelte, che portino pace al mondo. Insieme possiamo discernere fra la rabbia nelle nostre menti e la saggezza nei nostri cuori, e avere il coraggio di agire giustamente. Possa ciascuna e ciascuno agire per il bene di tutte le persone, in tutte le nazioni, nel disegnare il nostro futuro collettivo come famiglia globale. Con questo ringraziamento, io proclamo che la via della nonviolenza e' piu' forte e duratura di qualsiasi altra scelta. Io vi ringrazio, perche' soffiate la vita mutevole attraverso la polvere fredda e sterile dell'odio, e perche' anch'io respiro il vostro respiro. 2. INIZIATIVE. LORELLA PICA: DAL COSTA RICA E DAL GUATEMALA [Ringraziamo Lorella Pica (per contatti: sullastrada at iol.it) per questa lettera. Lorella Pica, gia' apprezzata pubblica amministratrice, e' impegnata nell'associazione "Sulla strada", nella rivista "Adesso", in molte iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Per ulteriori informazioni e per sostenere le attivita' di solidarieta' in America Latina e in Africa dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr), tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito: www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico, "Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia: c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito: www.reteblu.org/adesso] Cari amici e care amiche, e' finita in questi giorni la nostra avventura in Costa Rica e siamo tornati in Guatemala presso la nostra missione. Siamo stati in una riserva indigena ed abbiamo vissuto con loro dei giorni bellissimi e intensi. Dapprima erano molto diffidenti ma poi hanno capito le buone intenzioni e piano piano ci siamo avvicinati sempre piu'. Quando siamo arrivati il rancho era gia' costruito ed e' bellissimo e grande. E' una costruizione fatta di foglie e legno, tipica degli indigeni Kabercar e Bribri di qui e loro sono stati veramente contenti di poterlo avere in cosi' poco tempo (quattro mesi di lavoro duro, tutto a mano). Secondo me sono degli ingegneri fantastici perche' mi sembra impossibile che questo edificio cosi' grande e imponente si regga solo con legamenti di liane e intrecci di legni. Non credevo che per loro fosse cosi' importante avere un rancho e invece mi sono resa conto che l'averlo potuto costruire e' stato un passo decisivo per la ritrovata unione di questa comunita'. Loro qui si riuniscono, parlano dei loro problemi e di come possono risolverli. Il primo giorno siamo andati subito ad una riunione con il Conai (l'organismo nazionale che dovrebbe occuparsi dei diritti degli indigeni) e con i rappresentanti delle comunita' indigene del paese. Tutto si e' concluso con un niente di fatto: tante chiacchiere, ma per il resto i problemi sono rimasti quelli che erano e loro si sono presi solo l'impegno di "fare qualcosa". I nostri amici ci dicono che sono anni che va avanti cosi'. Intanto i problemi restano e quello piu' importante del nostro villaggio e' il ponte. Il villaggio e' completamente isolato dal resto del paese a causa di un ponte che non c'e'. Per raggiungere la cittadina piu' vicina devi prendere un autobus (e avere i soldi per pagarlo) che passa alle sette del mattino a quattro chilometri dal villaggio. Poi devi percorrere alcuni chilometri fino ad un ponte che e' talmente precario che l'autobus non puoí passarci sopra e quindi si deve scendere (l'ultimo che scende si carica anche la batteria dell'autobus), percorrerlo a piedi e alla fine del ponte ti aspetta un altro autobus (su cui rimontare la batteria) e ancora altri chilometri, circa una decina, fino al paese. Come fa questa gente se per caso hanno un'emergenza? Se un ragazzino si fa male, o se li morde un serpente velenoso? Come fanno se una donna ha difficolta' a partorire? O se per caso volessero fare del commercio per risollevarsi dalla poverta' in cui vivono? Insomma, quello che abbiamo potuto fare in questi giorni e' stato andare dal sindaco e convincerlo a mandare un suo ingegnere a fare una riunione fino al villaggio e impegnarsi per la costruzione di un ponte piu' a valle di quello che c'era e che la corrente del fiume ha portato via. Ora seguiremo passo passo questa vicenda e l'idea e' quella di mandare tante e-mail al presidente del Costa Rica per denunciare l'abbandono di questa comunita'. Abbiamo fatto tante riunioni con la comunita' e abbiamo iniziato dei progetti di sviluppo: un terreno affittato dove gli uomini possono coltivare mais e fagioli; un terreno attrezzato in cui le donne possono fare un piccolo allevamento di maiali e anche produrre il gas. Le donne sono molto agguerrite e hanno tanta voglia di fare e di riscattarsi. Gli uomini sono rimbambiti dalla chicha (bevanda alcolica che qui e' molto in voga e che e' venduta da un bianco proprietario di un'azienda agricola qui vicino - anche se la legge proibisce la vendita e l'acquisto della terra delle riserve ai bianchi) pero' ce la stanno mettendo tutta anche loro. Abbiamo comprato un cavallo e una bicicletta per le emergenze e per iniziare i piccoli commerci con il paese. Tutti stracontenti, e insieme tristi per il fatto che ce ne andavamo. Pero' abbiamo lasciato un bel gruppetto di loro a seguire gli sviluppi dei progetti che abbiamo iniziato. * Ora sto in Guatemala, I nostri bambini di qui sono felicissimi di rivederci, piu' tardi andremo a San Raimundo perche' ci sara' un torneo di calcio per i maschietti, e di pallacanestro per le femminucce. E' la prima volta che la nostra scuola partecipa ad un torneo scolastico e quindi l'eccitazione e' a mille. Gli abbiamo comprato le tute e anche le bambine metteranno i pantaloni! Anche io sono emozionata e spero proprio che vincano qualche partita, ma comunque loro sono felici anche solo per il fatto che partecipano. * Ora vi saluto e vi prometto che vi "scoccero'" ancora con i miei racconti sudamericani. Grazie a tutti per averci permesso di fare queste piccole cose, un abbraccio Lorella 3. MEMORIA. AGNESE GINOCCHIO: ALEXANDER LANGER, VIAGGIATORE LEGGERO [Ringraziamo di cuore Agnese Ginocchio (per contatti: e-mail: agnese.musica at katamail.com, sito: www.agneseginocchio.it) per averci inviato il testo di questa sua canzone dedicata alla memoria di Alexander Langer nel decimo anniversario della sua scomparsa. Agnese Ginocchio, "cantautrice per la pace, la nonviolenza, contro tutte le guerre e le mafie", e' generosamente impegnata in molte iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti umani e la nonviolenza. Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bz) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000; AA. VV., Una vita piu' semplice. Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa). Si vedano comunque almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione de La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax 054330421, e-mail: unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it), ed il nuovo fascicolo edito dalla Fondazione nel maggio 2000; una nuova edizione ancora e' del 2004 (per richieste: tel. e fax 00390471977691, e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org); la Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org] Viaggiatore leggero non andare lontano io ti parlo stasera e so che ascolti da quel cielo tuo. Dai, raccontami di te costruttore di ponti e voli sognatore di altri mondi che rivivranno ancora. Rivivranno dentro me le ferite, i sogni tuoi nel silenzio della notte un volo e un canto innalzero' perche' un altro mondo si possa realizzare piu' lento, piu' profondo, piu' dolce tu parla all'animo. Viaggiatore leggero esploratore di frontiera correva veloce il tuo pensiero piu' degli anni tuoi. Profondo era il viaggio tuo ricercatore di verita' hai sentito il peso di un mondo sofferente. Hai esplorato, pianto e poi sorriso e ancora hai dato amore sguardo malinconico straziato e solo nel tuo dolore fino in fondo fino all'ultimo hai lottato ma poi sei andato dal vento portato leggiadro volato. Sognatore e costruttore di quei ponti arcobaleno viaggiatore e testimone hai unito il mondo la terra e il cielo perche' un altro mondo si possa realizzare piu' lento, piu' profondo, piu' dolce tu parla, parla all'animo. 4. MEMORIA. MAO VALPIANA: IL CARICO DI ALEX, FRA PROFEZIA E POLITICA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento apparso sul quotidiano "Liberazione" del 2 luglio 2005. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] Gli sarebbe piaciuto essere un maestro elementare, invece ha fatto il giornalista, il traduttore, l'insegnante, il politico. Alexander Langer, nato in provincia di Bolzano nel 1946 e morto a Pian dei Giullari in Toscana il 3 luglio 1995, e' stato un geniale intellettuale europeo che ha saputo varcare frontiere, saltare muri, costruire ponti. Impegnato fin da giovanissimo per la convivenza interetnica nella sua regione Alto Adige / Suedtirol, e' stato promotore di infinite iniziative per la pace fra gli uomini e con la natura. Nel movimento ecologista e pacifista Langer ha partecipato a un intenso dialogo di ricerca con la cultura della sinistra, dell'area radicale, dell'impegno cristiano e religioso, delle nuove spiritualita', di aree non conformiste e originali e di movimenti non compresi nell'arco canonico della politica. Il suo motto e' stato "piu' lentamente, piu' in profondita', con piu' dolcezza". Il suo ultimo messaggio: "Continuate in cio' che era giusto". A dieci anni dalla sua morte, che ha cercato volontariamente a Pian dei Giullari sulle colline fiorentine, viene ricordato oggi a Bolzano con il festival di Euromediterranea "Alexander Langer, 1995-2005: lentius, profundis, suavius", organizzato dalla Fondazione che porta il suo nome. Fra le varie novita' editoriali che escono in occasione del decennale, e che saranno presentate domani a Bolzano, segnalo Fare la pace (co-edizioni Cierre - Movimento Nonviolento), una consistente raccolta dei piu' significativi articoli di Alexander Langer pubblicati sul mensile "Azione nonviolenta" dal 1984 al 1995, raccolti in quattro capitoli: dal pacifismo alla nonviolenza, nonviolenza e riconciliazione, nonviolenza per la decrescita, nonviolenza e politica. La scelta nonviolenta, laica e religiosa insieme, e' decisiva nella biografia di Alexander Langer, non ideologica, ma sempre messa alla prova del confronto con la realta' piu' complessa e contraddittoria. In un suo scritto ha auspicato l'ampliamento del settore "ricerca e sviluppo" della nonviolenza: i laboratori nei quali Alex ha lavorato sono stati molti, dal Sudtirolo, nel 1968, fino alla Bosnia, nel 1995. Erano presenti in lui una vocazione innata e una naturale dimestichezza con i principi base di una personalita' nonviolenta e non a caso nel 1961 (a soli 15 anni) scelse come nome per il suo primo giornalino scolastico "Offenes Wort": Parola aperta, un titolo che oggi ci richiama con forza quell'idea religiosa di "apertura" che e' alla base del pensiero nonviolento di Aldo Capitini, il quale in quello stesso anno dava vita alla prima marcia Perugia-Assisi. Anche il secondo periodico fondato da Langer nel 1967, "Die Bruecke", "Il Ponte", portava un nome che si rifa' alla cultura nonviolenta dell'incontro e del dialogo. Non e' ancora ventenne quando con un gruppo di amici vuole farsi un'idea di come potrebbero andare le cose in Sudtirolo per un futuro di convivenza e rispetto, nella conoscenza reciproca di lingue e culture. E' nel corso di questa ricerca che Alexander Langer, con una solida formazione cristiana alle spalle ("leggo, rifletto, prego, mi impegno") inizia a entrare in contatto con le realta' organizzate della nonviolenza italiana. Si trasferisce a Firenze per gli studi universitari dal 1964 al 1967, ed e' un momento formativo di grande rinnovamento e apertura. Nella sua autobiografia Minima personalia, scrive: "Incontro Giorgio La Pira, mio professore; Ernesto Balducci, che ogni settimana tiene una lezione sul Concilio, al Cenacolo. L'incontro piu' profondo e' con don Milani e la sua scuola di Barbiana, per la quale insieme a una vecchia ebrea austro-boema, Marianne Andre, tradurro' in tedesco Lettera a una professoressa". E' in quel periodo che, pur essendo in Germania per un dottorato, prende contatto diretto con il Movimento nonviolento "per poter avere maggiori indicazioni sulla esatta situazione degli obiettori di coscienza in Italia". Gli effetti di questo contatto non si fanno attendere e nello stesso anno Alex organizza a Bolzano una dimostrazione pacifista, contro le celebrazioni del 4 novembre 1968 che ricordano il cinquantesimo anniversario della "vittoria" della prima guerra mondiale, per la quale verra' fermato e identificato in questura. La prima volta che sentii parlare di Langer, fu per via della sua "obiezione" al censimento etnico del 1981. Incuriosito e ammirato da quanto stava accadendo in Alto Adige, proprio grazie al laboratorio politico della lista inter-etnica alternativa, sono andato a Bolzano, e li' l'ho intervistato per la prima volta. Il tema era il movimento pacifista tedesco, all'epoca il piu' forte in un'Europa ancora divisa. Durante quel colloquio Alex ha voluto essere informato con precisione sulle persone e le iniziative del Movimento nonviolento, ed era felice di aver "ritrovato" "Azione nonviolenta". E' nata un'amicizia, ed e' cosi' che con lui ho fatto una lungo cammino, durato gli ultimi dieci anni della sua vita, dalla campagna Nord/Sud del 1988, al convegno "Sviluppo? Basta! A tutto c'e' un limite" del 1990, dalla Carovana Trieste-Sarajevo del 1991, al VeronaForum del 1993, e in mezzo la lunga avventura verde, dalle speranze della nascita di un grande movimento trasversale (1985) fino alle delusioni della trasformazione in piccolo partito imploso (1995). Alex e' stato anche, dal 1982, attivo compagno nella campagna di obiezione fiscale alle spese militari, e ha partecipato personalmente all'acquisto dei terreni della Verde Vigna a Comiso per impedire l'espansione della base militare che doveva ospitare i missili nucleari Cruise. Nel 1988 abbiamo partecipato a un convegno in Brasile, a Manaus. Ci interessava capire quella realta' per riportare in Italia elementi utili alla Campagna Nord-Sud che voleva far conoscere all'opinione pubblica il dramma ambientale e sociale che stava vivendo l'Amazzonia: "L'ecologia non e' un lusso dei ricchi, ma una necessita' dei poveri", fu il messaggio centrale del suo intervento. Da quel convegno prese avvio anche l'idea per la campagna del 1992 in occasione delle celebrazioni dei 500 anni dello sbarco degli europei in America, con un'altra sua intuizione: "Dare voce ai conquistati e dare voce agli obiettori di coscienza e disertori nelle file dei conquistatori". Aveva la capacita' di offrire sempre un punto di vista inusuale, per comprendere meglio la realta'. Dopo il 1989, con la caduta del Muro di Berlino, vennero gli anni difficili della prima guerra del Golfo nel 1990-'91, i fatti d'Albania, e poi la crisi jugoslava, fino all'assedio di Sarajevo e la strage di Tuzla. Fu difficile per lui coniugare tensione ideale e realismo politico ("troppa la distanza tra cio' che si proclama e cio' che si riesce a compiere"). La nonviolenza ha bisogno sia di profezia sia di politica. Alex ha saputo attraversare cariche prestigiose senza rimanere invischiato nelle sabbie mobili del potere ed ha trattato alla pari con capi di stato senza mai tradire la sua vocazione francescana. E' stato profeta e politico. 5. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: IL CAPRO ESPIATORIO [Ringraziamo Enrico Peyretti e Antonello Ronca per averci fatto pervenire questo articolo di Barbara Spinelli apparso sul quotidiano "La Stampa" il 3 luglio 2005. Barbara Spinelli e' una prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001; una selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del quotidiano (www.lastampa.it). Rene' Girard, nato ad Avignone nel 1923, pensatore poliedrico, fondamentali le sue riflessioni sulla violenza e sul sacro. Opere di Rene' Girard: Menzogna romantica e verita' romanzesca (1961), Bompiani, Milano 1965; Dostoevskij dal doppio all'unita' (1963), SE, Milano 1996; La violenza e il sacro (1972), Adelphi, Milano 1980; Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1978), Adelphi, Milano 1983; Il capro espiatorio (1982), Adelphi, Milano 1987; L'antica via degli empi (1985), Adelphi, Milano 1994; Shakespeare. Il teatro dell'invidia (1990), Adelphi, Milano 1998; La vittima e la follia. Violenza del mito e cristianesimo, Santi Quaranta, Treviso 1998; Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell'uomo contemporaneo, Cortina, Milano 1999; Vedo Satana cadere come la folgore (1999), Adelphi, Milano 2001. Opere su Rene' Girard: A. Carrara, Violenza, sacro, rivelazione biblica. Il pensiero di Rene' Girard, Vita e pensiero, Milano 1985; S. Tomelleri, Rene' Girard. La matrice sociale della violenza, Angeli, Milano 1996; Claudio Tugnoli, Girard. Dal mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001] Ci sono momenti in cui noi tutti siamo come sequestrati e portati lontano dalla verita' delle cose. Non le vediamo nella loro essenza, abbiamo gli occhi come coperti da bende. Possiamo trovare spiegazioni a quel che accade, il piu' delle volte possiamo perfino giustificare gli eventi nuovi cui assistiamo o che noi stessi abbiamo contribuito a generare. Ma spiegazioni e giustificazioni hanno sovente un ruolo strano: sono la stoffa stessa di cui e' fatta la benda. La verita' e' sequestrata in una sorta di mondo parallelo, simile a quello visibile ma inaccessibile alla coscienza, alla vigilanza. Il filosofo Raymond Aron diceva del presidente Giscard d'Estaing: "Il problema e' che quest'uomo non sa che la storia e' tragica". Qualcosa d'analogo pare accadere alle classi dirigenti d'oggi, compresi noi giornalisti: da un certo tempo - forse da quando son cominciate sia la mondializzazione sia la lotta antiterrorista nel 2001 - in Italia e in parte dell'Occidente non sappiamo che la storia che stiamo facendo e' tragica. Alcuni segni lo dicono, tuttavia. * Uno di questi segni ci e' stato mostrato nei giorni scorsi, quando i telegiornali hanno dato notizia dello sgombero di un campo nomadi nella periferia di Milano, a via Capo Rizzuto. La decisione di radere al suolo la baraccopoli rom aveva un motivo serio - il campo era abusivo e disordinato, la maggior parte degli abitanti era clandestina, i vicini erano in allarme dopo episodi di stupro attribuiti a zingari, e da tempo avevano messo fili spinati fra se' e i nomadi - ma il modo e il linguaggio in cui s'e' svolta l'operazione sono stati di una violenza singolare: inaudita, rapida, e al contempo abissalmente banale. L'operazione ha ricevuto il nome di "Blitz", lampo, mescolando come spesso accade i processi naturali con quelli bellici. E come evento del tutto naturale e' stata presentata: come se d'un tratto il cielo si fosse rannuvolato, dando spazio alla pioggia. Come una stagione che trapassa in un'altra, impercettibilmente, cancellando pero' cammin facendo baracche, vincoli umani. Restavano le parole, pesanti: catapecchie rase al suolo, villaggio cancellato, baraccopoli in macerie. E restavano le immagini, evocative se messe a raffronto con quel che s'era visto in precedenza. Era una settimana che i telegiornali mostravano il campo, collegandolo agli stupri di Milano. Si erano viste piu' volte quelle case per meta' di cartone per meta' di lamiere, raffazzonate e improbabili, qualche elettrodomestico appoggiato fuori casa accanto alla porta, i bambini che giocavano sulla terra battuta, gli adulti intervistati che facevano di tutto per prender le distanze dai presunti misfatti dei connazionali. Il tutto nell'afa dei giorni scorsi; sempre il crimine sembra svolgersi sotto qualche speciale cappa meteorologica. Poi, d'un tratto, la scena cambia. S'accende la televisione, mercoledi' 29 giugno, e si apprende che il campo non c'e' piu'. All'alba sono passate le ruspe della polizia, in quattro ore hanno liquidato quel che c'era. Sullo schermo s'accampano le macerie e gli stessi nomadi che avevano condannato gli stupri, in fuga come da un'invasore. Lamiere spezzate, catapecchie schiacciate, suppellettili alla rinfusa come pestate da zampe meccaniche, i colori delle cose non piu' distinti ma accorpati in un intruglio esplosivo come nell'ultima scena di blow-up di Antonioni. Strano come la televisione possa ferocemente condurre all'essenza delle cose, a volte, proprio quando falsifica i fatti omettendo spiegazioni. A conclusione del servizio prendeva la parola un funzionario del Comune di Milano, magari aveva parecchio da chiarire ma la camera gli dava appena il tempo di dire: "Son soddisfatto". Cosi', com'e' stata mostrata, si presenta la verita' delle cose: una vendetta contro le popolazioni civili, per presunti misfatti commessi da pochi e per placare grandi paure. Un'operazione che consiste nell'accusare interi gruppi di essere all'origine dei mali di cui soffre la societa' e di cui sono autori individui non ancora identificati. La decisione di liquidare l'oggetto fantasmatico dei nostri terrori, affinche' sia ristabilito l'ordine fin qui riconfortante: la nostra identita' nazionale o la sicurezza o la diversita' fra il dentro e il fuori. La storia dell'umanita' e' un succedersi di eventi simili - di sacrifici compiuti per fingere la soluzione di insolubili problemi - e il procedimento ha da millenni il medesimo nome: e' lo scatenarsi contro il capro espiatorio, e l'obiettivo e' il ristabilimento, non importa quanto fittizio, dello smarrito patto sociale. * Nei suoi libri sul capro espiatorio, Rene' Girard ha spiegato bene i meccanismi di questo collettivo ricostruirsi, attorno al bisogno d'accanimento sul diverso. Il sacrificio del capro e' destinato a calmare gli dei addomesticando l'aggressivita' dell'uomo: quest'ultima viene incanalata, spostandola dal primordiale linciaggio collettivo alla vittima impersonata dalla bestia. I riti sacrificali che tornano a ledere l'uomo invece dell'animale fanno apparizione nelle societa' sviluppate quando tale bisogno s'estende, come in Italia, e quando la politica chiede ai magistrati di "tener maggiormente conto, in certi momenti storici, del comune sentire del popolo" (cosi' si e' espresso in febbraio il ministro Castelli). Piu' sostanzialmente, compaiono quando gli uomini tendono a somigliarsi troppo, e spinti dall'imitazione invidiosa precipitano nella cosiddetta indifferenziazione: il capro ristabilisce la rassicurante differenza tra Noi e Loro, maggioranza-minoranza, indigeni-allogeni. Il vocabolario cerca parole nel linguaggio dell'igiene o della guerra. Si rade al suolo, si liquida, pulisce, bonifica. Il ministro dell'Interno francese Sarkozy, candidato presidenziale, ha promesso di ripulire la Courneuve, banlieue a rischio. Urge un "nettoyage au karcher" dei quartieri difficili, sostiene: una pulizia di quelle che strappano lo sporco con formidabili getti d'acqua a pressione (metodo detto karcher). Ma il culto del castigo e del linguaggio espiatori non cade dai cieli. E' alimentato dall'indifferenza-consenso con cui i riti vengono accolti, considerati normali, commentati da quelle frasi senza rimorso - "sono soddisfatto" - dette in tv. Il sacrificio del capro, per dar l'aria di servire, deve apparire legittimo alla maggioranza della comunita': in Italia e' una legittimita' fortemente condivisa. * Questo forse e' l'elemento nuovo del mondo che abitiamo da quando la globalizzazione ha messo radici, e le democrazie sono impegnate nella guerra contro il terrore. Globalizzazione e terrore hanno aumentato enormemente il bisogno di ristabilire la differenziazione e la sacrificabilita' dell'altro, dato a Satana come "parte che gli compete". Il cattolico conservatore Andrew Bacevich sostiene che Bush conduce una guerra pericolosa, che militarizza le menti della societa' (The New American Militarism: How Americans Are Seduced by War, Oxford University Press 2005, citato da Tony Judt sulla "New York Review of Books"). Cosi' in Italia, in Europa. La partecipazione alla guerra anti-terrore e l'immigrazione giustificano politiche piu' restrittive, anche perche' i due fenomeni vengono confusi. Uno stupro non puo' esser trivializzato, mai. Nelle moschee spesso si predica morte. Ma portare ordine nei quartieri o collaborare con l'antiterrorismo puo' sfociare nella logica del capro espiatorio e nella manipolazione politica della paura, come s'e' visto a via Capo Rizzuto o nell'affare della polizia parallela scoperta a Genova. E s'accorda bene con l'assenso implicito dato a una Cia che non solo viola sovranita' (tra alleati non e' violazione illogica, se il nemico e' mondiale) ma sequestra gli imam in Italia per consegnarli sistematicamente non alla giustizia Usa ma a inquisitori in Egitto (o Arabia Saudita, Giordania, Siria, Pakistan, Uzbekistan) che la tortura la praticano senza scrupolo ne' controllo. Molti diritti si sono contratti, dopo l'11 settembre. Ma arriva il momento in cui si perde l'equilibrio tra rafforzamento della disciplina e fedelta' ai principi su cui son costruite le nostre societa': il momento in cui i tabu' civilizzatori cadono, anche nelle parole, con la scusa che ogni tabu' e' un conformismo "politicamente corretto". Quel radere al suolo e quel linguaggio sono una vittoria della barbarie che si dice di combattere, non della civilta' che si pretende di difendere Si puo' discutere di dilemmi ineludibili, ma comunque urge sapere la storia che si sta facendo. La devono sapere politici e maestri, magistrati e poliziotti, giornalisti e cardinali, che discutono di dignita' dell'uomo e troppo spesso su queste cose tacciono. Che desiderano si parli delle radici cristiane d'Europa, e sembrano quasi dimenticare che proprio il cristianesimo mette fine a ogni capro espiatorio. Soprattutto deve saperlo un paese che di baraccopoli ne ha viste tante fino a pochi anni orsono, ma abitate da noi stessi. Chi l'abbia dimenticato puo' rivedere la baraccopoli di Miracolo a Milano, che De Sica giro' appena 54 anni fa. Il capitalista Mobbi fa radere al suolo il villaggio, ma non per questo si dichiara pubblicamente "contento". E anche gli scacciati hanno speranze che i rom non hanno. Una magica colomba vien loro in aiuto, e a cavallo di magiche scope gli sfollati s'allontanano nei cieli, "verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno". 6. MEMORIA. OTA DE LEONARDIS: L'EREDITA' DI FRANCO BASAGLIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 luglio 2005. Ota de Leonardis e' docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l'Universita' di Milano Bicocca ed e' membro del Consiglio scientifico nazionale del Centro per la Riforma dello Stato. A partire dalla rielaborazione dell'eredita' del welfare state, ha analizzato le nuove forme di integrazione tra sfera pubblica e attivita' privata nello sviluppo dei servizi sociali, concentrando l'attenzione sulle questioni del "terzo settore" (dal volontariato all'impresa sociale e al non profit). Tra le opere di Ota de Leonardis: (a cura di), Il sapere della crisi: per una storia della sociologia, Roma 1982; (a cura di), Curare e punire. Problemi e innovazioni nei rapporti tra psichiatria e giustizia penale, Milano 1988; Il terzo escluso. Le istituzioni come vincoli e come risorse, Milano 1990; con D. Mauri e F. Rotelli, L'impresa sociale, Milano 1994; con L. Bifulco, L'innovazione difficile. Studi sul cambiamento organizzativo nella pubblica amministrazione, Milano 1997; In un diverso welfare, Milano 1998; Le istituzioni, Roma 2001. Franco Basaglia, nato a Venezia nel 1924 e deceduto nel 1980, e' la figura di maggiore spicco della psichiatria italiana contemporanea; ha promosso la restituzione di diritti e il riconoscimento di dignita' umana ai sofferenti psichiatrici precedentemente condannati alla segregazione e a trattamenti disumani e disumanizzanti; e' stata una delle piu' grandi figure della teoria e della pratica della solidarieta' e della liberazione nel XX secolo. Opere di Franco Basaglia: vi e' una pregevole edizione in due volumi degli Scritti, Einaudi, Torino 1981-82. Tra i principali volumi da lui curati (e scritti spesso in collaborazione con la moglie Franca Ongaro Basaglia, e con altri collaboratori) sono fondamentali Che cos'e' la psichiatria, L'istituzione negata (sull'esperienza di Gorizia), Morire di classe, Crimini di pace, La maggioranza deviante, tutti editi da Einaudi; insieme a Paolo Tranchina ha curato Autobiografia di un movimento, editori vari, Firenze 1979 (sull'esperienza del movimento di psichiatria democratica); una raccolta di sue Conferenze brasiliane e' stata pubblicata dal Centro di documentazione di Pistoia nel 1984, una nuova edizione ampliata e' stata edita da Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; una recente raccolta di scritti e' L'utopia della realta'., Einaudi, Torino 2005. Opere su Franco Basaglia: assai utile il volume di Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano 2001, con ampia bibliografia; cfr; anche Nico Pitrelli, L'uomo che restitui' la parola ai matti, Editori Riuniti, Roma 2004. Un fascicolo monografico a lui dedicato e' Franco Basaglia: una teoria e una pratica per la trasformazione, "Sapere" n. 851 dell'ottobre-dicembre 1982. Si veda inoltre la collana dei "Fogli di informazione" editi dal Centro di documentazione di Pistoia. A Basaglia si ispira tutta la psichiatria democratica italiana e riferimenti a lui sono praticamente in tutte le opere che trattano delle vicende e della riflessione della psichiatria italiana contemporanea] Durante un soggiorno a Parigi un mese fa, ospite di Luc Boltanski e del suo gruppo all'Ecole des Hautes Etudes, abbiamo ripreso il tema della critica, del destino della critica sociale e artistica degli anni '60/'70 nella metamorfosi del capitalismo, tema aperto da Boltanski stesso con Eve Chiappello in Le nouvel esprit du capitalisme: il capitalismo che ha incorporato la critica, mettendo in valore le rivendicazioni della soggettivita' e gli argomenti contro l'autoritarismo (con tanti saluti alla sinistra). Volevano che tornassi a ripercorrere la storia del movimento psichiatrico italiano, della critica dei manicomi e delle rivendicazioni della soggettivita' dei matti, una storia scomoda per loro (ma anche per noi). Intanto, di qua dalle Alpi si preparava l'uscita di una nuova raccolta di scritti di Franco Basaglia (L'utopia della realta'. A cura di Franca Ongaro Basaglia. Introduzione di Maria Grazia Giannichedda, Einaudi, Torino 2005, 327 pp., 22 euro). Non credo alle coincidenze, credo alle insistenze. La critica dell'istituito - per dirla alla francese - ha in questa storia imboccato la strada della pratica, dello smontaggio pratico dell'istituzione, e si e' fatta per questa via processo istituente. Un processo sorvegliato con grandissima cura perche' conservasse della critica la memoria, le ragioni sempre attuali, e la sua intrinseca inconciliabilita' con "le soluzioni", con l'istituito appunto. Basaglia e' tutto qui, e non e' poco. * Gli operatori e i malati di questa strana storia non sono mai contenti, se si accontentassero per loro sarebbe finita, risucchiati entrambi nella disumanizzazione. Basaglia lo ha detto e ripetuto fino alla nausea, a tutti coloro che si sarebbero accontentati volentieri di ragionevoli compromessi (a cominciare dai compagni francesi che non ci pensavano proprio a "distruggere" il manicomio. Semmai si trattava, e si tratto', di introdurvi la psicoanalisi. Non si e' salvato neanche Lacan. Peccato, perche' forse nel suo cifrario c'e' qualcosa di pertinente, per ragionare sull'"uomo senza gravita'" di oggi). Tornare a scavare in questa storia, riflettere ancora su questo passaggio, sulle "istituzioni inventate" dalla critica, come le ha chiamate Franco Rotelli; e su questo non accontentarsi: e' cio' che gli amici francesi mi sollecitavano a fare, e che questo nuovo libro di Basaglia ripropone con forza. Per misurarsi tra l'altro col fatto preciso che Basaglia ha fortemente voluto la legge 180, ha voluto "istituire" appunto. Contro i radicali che non volevano leggi (il neoliberalismo dello stato minimo era gia' li', reaganismo montante) e contro i riformisti che volevano un ammodernamento tecnico del paternalismo autoritario. Era la via del diritto, e dei diritti soggettivi conquistati e praticati su una materia incongrua, la follia, "l'esperienza abnorme" come la chiamava Basaglia; era la scelta di istituire il teatro di una contraddizione insanabile, che la rendesse sopportabile senza nasconderla ("senza chiudere gli occhi", direbbe Boltanski). L'inconciliabile, appunto, istituito anche con una legge, istituito come un campo di tensioni legittimo e regolato, come un campo di riflessivita' della convivenza civile: riuscire "a non rinchiudere in una ulteriore oggettivazione l'esperienza abnorme, conservandola legata e strettamente connessa alla storia individuale e sociale" (cosi' si chiude il libro). * La consistenza di questa contraddizione, le ragioni e i modi per portarla allo scoperto, per renderla sopportabile ma non rimuovibile, costituiscono un filo rosso di tutto il libro. E costituiscono un patrimonio collettivo, che ha retto fino ad oggi e ancora regge, malgrado tutto, malgrado la forza e pervasivita' della normalizzazione di cui molti, anche protagonisti di questa storia, sono tentati di accontentarsi. Pensate ai famigliari: ricordo allora la crisi del rapporto con le famiglie, e con le associazioni di famigliari - investiti com'erano dalla contraddizione portata allo scoperto. E li ritrovo oggi, famigliari e associazioni, che non si accontentano, che vogliono tutto fuorche' l'abolizione della 180. Pensate al lavoro: c'e' ancora chi pretende pratica e costruisce opportunita' perche' i matti abbiano uno statuto lavorativo, con i tempi che corrono. Questo vuole dire, collettivamente, reggere una contraddizione tenuta scoperta, e tenuta regolata. Cercavo di spiegare agli amici francesi perche' questa storia che regge nel tempo e' a mio parere un patrimonio per tutti estremamente attuale. Un patrimonio politico. Ragionando con loro anche su analogie e differenze con la storia dell'aborto. Anche in questo caso ci sono la critica, i movimenti sociali, e una legge, dello stesso segno e degli stessi mesi (1978: il referendum, e in contemporanea l'uccisione di Aldo Moro, come ricorda Giannichedda nell'introduzione al volume). * Boltanski ha appena pubblicato un libro - inopportuno quanto fondamentale - sull'argomento (La condition foetale, Gallimard 2005: fondamentale, si', ma io ho a che fare nel frattempo con il referendum sulla legge della fecondazione assistita. Pochi dubbi, molto sconforto, e molte preoccupazioni sul futuro della legge sull'aborto). Anche in questo caso si e' trattato di legalizzare una pratica intrinsecamente tragica; di portarla allo scoperto rendendola individualmente e collettivamente sopportabile. Le analogie sono molte, e andrebbero seriamente esplorate (Basaglia preferiva, allora, le analogie con la legge Merlin che aveva abolito le "case chiuse" per l'esercizio della prostituzione. C'e' un'aria di famiglia, in questo confronto con le dimensioni tragiche del vivere sociale, con questa pretesa di portarle e sopportarle allo scoperto, non vi pare?) Non sono arrivata a dirlo agli amici francesi, ma lo dico qui: questo patrimonio politico - l'esperienza di nominare contraddizioni - e' propriamente della sinistra (anzi, del centro-sinistra, in quanto vi sia in gioco la democrazia): salvaguardarlo e' un dovere primario; investire su di esso e' forse l'ultima possibilita' che abbiamo per non essere travolti dalle contraddizioni ridotte ad antinomie, e dalle guerre che suscitano. L'abbraccio mortale della sinistra francese col lepenismo e affini sul referendum europeo sta li' a testimoniarlo. 7. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI DOROTHY DAY Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto della lezione di Dorothy Day. * "La comunita', ecco la risposta alla lunga solitudine" (Dorothy Day, in Antonio Nanni, Timonieri. Uomini e donne sulla rotta del terzo millennio. Dalle Americhe, volume primo, Emi, Bologna 1997, p. 64). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenda-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 8. LETTURE. CARLOS AMORIN: LA GUERRA SPORCA CONTRO I BAMBINI Carlos Amorin, La guerra sporca contro i bambini. Storia di Sara e Simon, Eleuthera, Milano 2004, pp. 176, euro 14. Il giornalista, scrittore e militante antifascista e per i diritti umani racconta la vicenda di Sara Mendez, militante anarchica uruguayana sequestrata illegalmente a Buenos Aires dai militari argentini nel 1976 e consegnata al regime uruguayano (sara' detenuta a Montevideo fino al 1981), e di suo figlio, sottrattole dai golpisti argentini e ritrovato solo nel 2002, 26 anni dopo, "uno dei pochi bambini desaparecidos che ha potuto ricomporre la sua biografia mutilata". Per richieste alla benemerita casa editrice libertaria: e-mail: info at eleuthera.it, sito: www.eleuthera.it 9. LETTURE. "DIARIO": UN MESE NELLA VITA DI ENZO BALDONI "Diario", Un mese nella vita di Enzo Baldoni, volume monografico di "Diario del mese", anno IV, n. 5, dicembre 2004, pp. 260, euro 5. Un volume che la testata diretta da Enrico Deaglio, della quale Enzo Baldoni era collaboratore, dedica alla figura, al sentire, all'agire, agli scritti del giornalista e volontario pacifista assassinato in Iraq; con un vastissimo e prezioso apparato iconografico. Per contattare la rivista editrice: e-mail: redazione at diario.it, sito. www.diario.it 10. RILETTURE. MARCELLA FERRARA: LE DONNE DI SEVESO Marcella Ferrara, Le donne di Seveso, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 216. Un'inchiesta condotta con grande capacita' di ascolto e acutezza di sguardo, un libro che meriterebbe di essere ristampato. 11. RILETTURE. GIOVANNA PEZZUOLI: PRIGIONIERA IN UTOPIA Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia. La condizione della donna nel pensiero degli utopisti, Edizioni Il Formichiere, Milano 1978, pp. 204. Uno studio e un'antologia che smaschera la violenza e la pervasivita' del dominio del patriarcato fin nella costruzione ideale delle piu' celebrate utopie sociali redatte (fantasticate, ma anche pianificate) da autori di sesso maschile. Una proposta e un percorso di ricerca e di disvelamento, di interpretazione, di denuncia e di lotta, che occorrerebbe riprendere, proseguire e approfondire ancora. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 986 del 9 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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