La nonviolenza e' in cammino. 986



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 986 del 9 luglio 2005

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Londra, le stragi, la nonviolenza
2. Lorella Pica: Dal Costa Rica e dal Guatemala
3. Agnese Ginocchio: Alexander Langer, viaggiatore leggero
4. Mao Valpiana: Il carico di Alex, fra profezia e politica
5. Barbara Spinelli: Il capro espiatorio
6. Ota de Leonardis: L'eredita' di Franco Basaglia
7. Con "Qualevita", all'ascolto di Dorothy Day
8. Letture: Carlos Amorin, La guerra sporca contro i bambini
9. Letture: "Diario", Un mese nella vita di Enzo Baldoni
10. Riletture: Marcella Ferrara, Le donne di Seveso
11. Riletture: Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LONDRA, LE STRAGI, LA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

"Durante ogni generazione, narra il testo letto dagli ebrei durante il
Seder, il pasto rituale di Pesach (Pasqua), un Faraone si erge per renderci
schiavi o distruggerci. Durante ogni generazione, ogni essere umano deve
guadagnare di nuovo la propria liberta'". L'esercito del Faraone si e'
mostrato ieri nelle metropolitane londinesi, ma da troppo tempo si mostra in
ogni parte del mondo.
Il Faraone d'Egitto defini' "straniero" un popolo perche' differiva in
linguaggio e religione dalla maggioranza e lo dichiaro' un pericolo per la
sua nazione e per il suo governo. Migranti e profughi odierni conoscono bene
questa storia. Il Faraone d'Egitto teneva tutta la ricchezza del paese nelle
proprie mani, e in quelle dei suoi accoliti fra cui c'erano i sacerdoti di
palazzo, il cui compito era spiegare al popolo che quel ladrocinio era
permesso e voluto dagli dei. E quindi oggi il Faraone dice che parla con
dio, che dio lo ispira, che la guerra e' santa, che il massacro degli
innocenti ha alta e nobile causa. Oggi come allora e' drogato dal suo stesso
potere: non intende fermarsi.
Oggi il Faraone e' un amalgama di tre elementi: un governo che cerca di
controllare il mondo intero, in special modo le sue risorse petrolifere; le
corporazioni economiche che hanno mutato i lavoratori in schiavi e spargono
veleni sulla terra e negli oceani; e le fazioni religiose/politiche che
proclamano di avere l'unica verita', quella che va bene per tutti e nel cui
nome si possono compiere gli atti terroristici piu' efferati, fazioni che
idolatrano la ricchezza ed il potere, che esercitano tirannia sulle scelte
morali delle persone.
Sulle strade irachene, il Faraone ha preso centinaia di giovani, uomini e
donne, e li ha rimodellati all'interno del suo esercito, dove hanno perso la
vita, o gli occhi, o le gambe e le braccia. Ha preso migliaia di iracheni
nelle loro citta', e costoro hanno perso la vita, e occhi e gambe e braccia,
e parenti, e case, e futuro. L'esercito del Faraone fa guerre, mette bombe,
costruisce prigioni, avvelena suolo ed aria e acqua. A volte le sue armi non
sono immediatamente riconoscibili: un tempo egli annegava i bambini nel
Nilo, oggi purche' le corporazioni economiche non perdano un centesimo dei
loro luridi guadagni li annega nei veleni, li lascia morire di aids, di
fame, di abbandono.
Ma le levatrici rifiutarono di annegare i neonati come il Faraone ordinava:
il loro fu uno dei primi atti di disobbedienza civile che sia registrato
nella storia, una risposta nonviolenta.
*
Disarmare il terrorismo e' infatti uno scopo che non si puo' raggiungere
attraverso la guerra, per distruggere le nazioni "cattive". Mettere fine al
terrorismo richiede invece un cambiamento d'attitudine nella maggior parte
delle nazioni militarizzate: richiede il rigetto della violenza, e l'impegno
per il  cambiamento nonviolento. Mettere fine alla poverta', ricostruire la
fiducia nel futuro per tutti i popoli al mondo, riconvertire le nostre
economie drogate da armi, petrolio e avidita'.
Cosi' come le differenze sono state manipolate per giustificare odio,
terrore, violenza e guerra, noi dobbiamo maneggiarle per creare una nuova
visione, che abbia la forza della profezia. Il sentiero aspetta che noi lo
percorriamo, il fiume attende la nostra traversata. Per crescere e cambiare
e costruire quella terra promessa in cui i corpi non giacciono spezzati
sull'asfalto, macchiati di sangue, in cui le mani non sono costrette in
manette e i volti sono liberi di ricevere i baci del sole, della pioggia e
delle persone amate. Quella terra promessa che vive in ciascuna e ciascuno
di noi.
*
In questi tempi terribili, di fronte all'ennesimo massacro perpetrato a
Londra, sento di dover ringraziare chiunque abbia scelto la nonviolenza,
chiunque abbia respinto l'odio. Possiate voi che lo avete fatto sentire e
vivere la pace in ogni momento della vostra vita, e possa ciascuna e
ciascuno di voi fare sagge scelte, che portino pace al mondo. Insieme
possiamo discernere fra la rabbia nelle nostre menti e la saggezza nei
nostri cuori, e avere il coraggio di agire giustamente. Possa ciascuna e
ciascuno agire per il bene di tutte le persone, in tutte le nazioni, nel
disegnare il nostro futuro collettivo come famiglia globale.
Con questo ringraziamento, io proclamo che la via della nonviolenza e' piu'
forte e duratura di qualsiasi altra scelta. Io vi ringrazio, perche'
soffiate la vita mutevole attraverso la polvere fredda e sterile dell'odio,
e perche' anch'io respiro il vostro respiro.

2. INIZIATIVE. LORELLA PICA: DAL COSTA RICA E DAL GUATEMALA
[Ringraziamo Lorella Pica (per contatti: sullastrada at iol.it) per questa
lettera.
Lorella Pica, gia' apprezzata pubblica amministratrice, e' impegnata
nell'associazione "Sulla strada", nella rivista "Adesso", in molte
iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza.
Per ulteriori informazioni e per sostenere le attivita' di solidarieta' in
America Latina e in Africa dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo
11, 05012 Attigliano (Tr), tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail:
sullastrada at iol.it, sito: www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove
anche un periodico, "Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel
solco della proposta di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e
per richiederne copia: c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org,
sito: www.reteblu.org/adesso]

Cari amici e care amiche,
e' finita in questi giorni la nostra avventura in Costa Rica e siamo tornati
in Guatemala presso la nostra missione.
Siamo stati in una riserva indigena ed abbiamo vissuto con loro dei giorni
bellissimi e intensi. Dapprima erano molto diffidenti ma poi hanno capito le
buone intenzioni e piano piano ci siamo avvicinati sempre piu'.
Quando siamo arrivati il rancho era gia' costruito ed e' bellissimo e
grande. E' una costruizione fatta di foglie e legno, tipica degli indigeni
Kabercar e Bribri di qui e loro sono stati veramente contenti di poterlo
avere in cosi' poco tempo (quattro mesi di lavoro duro, tutto a mano).
Secondo me sono degli ingegneri fantastici perche' mi sembra impossibile che
questo edificio cosi' grande e imponente si regga solo con legamenti di
liane e intrecci di legni.
Non credevo che per loro fosse cosi' importante avere un rancho e invece mi
sono resa conto che l'averlo potuto costruire e' stato un passo decisivo per
la ritrovata unione di questa comunita'. Loro qui si riuniscono, parlano dei
loro problemi e di come possono risolverli.
Il primo giorno siamo andati subito ad una riunione con il Conai
(l'organismo nazionale che dovrebbe occuparsi dei diritti degli indigeni) e
con i rappresentanti delle comunita' indigene del paese. Tutto si e'
concluso con un niente di fatto: tante chiacchiere, ma per il resto i
problemi sono rimasti quelli che erano e loro si sono presi solo l'impegno
di "fare qualcosa". I nostri amici ci dicono che sono anni che va avanti
cosi'.
Intanto i problemi restano e quello piu' importante del nostro villaggio e'
il ponte. Il villaggio e' completamente isolato dal resto del paese a causa
di un ponte che non c'e'.
Per raggiungere la cittadina piu' vicina devi prendere un autobus (e avere i
soldi per pagarlo) che passa alle sette del mattino a quattro chilometri dal
villaggio. Poi devi percorrere alcuni chilometri fino ad un ponte che e'
talmente precario che l'autobus non puoí passarci sopra e quindi si deve
scendere (l'ultimo che scende si carica anche la batteria dell'autobus),
percorrerlo a piedi e alla fine del ponte ti aspetta un altro autobus (su
cui rimontare la batteria) e ancora altri chilometri, circa una decina, fino
al paese.
Come fa questa gente se per caso hanno un'emergenza? Se un ragazzino si fa
male, o se li morde un serpente velenoso? Come fanno se una donna ha
difficolta' a partorire? O se per caso volessero fare del commercio per
risollevarsi dalla poverta' in cui vivono?
Insomma, quello che abbiamo potuto fare in questi giorni e' stato andare dal
sindaco e convincerlo a mandare un suo ingegnere a fare una riunione fino al
villaggio e impegnarsi per la costruzione di un ponte piu' a valle di quello
che c'era e che la corrente del fiume ha portato via.
Ora seguiremo passo passo questa vicenda e l'idea e' quella di mandare tante
e-mail al presidente del Costa Rica per denunciare l'abbandono di questa
comunita'. Abbiamo fatto tante riunioni con la comunita' e abbiamo iniziato
dei progetti di sviluppo: un terreno affittato dove gli uomini possono
coltivare mais e fagioli; un terreno attrezzato in cui le donne possono fare
un piccolo allevamento di maiali e anche produrre il gas. Le donne sono
molto agguerrite e hanno tanta voglia di fare e di riscattarsi. Gli uomini
sono rimbambiti dalla chicha (bevanda alcolica che qui e' molto in voga e
che e' venduta da un bianco proprietario di un'azienda agricola qui vicino -
anche se la legge proibisce la vendita e l'acquisto della terra delle
riserve ai bianchi) pero' ce la stanno mettendo tutta anche loro.
Abbiamo comprato un cavallo e una bicicletta per le emergenze e per iniziare
i piccoli commerci con il paese. Tutti stracontenti, e insieme tristi per il
fatto che ce ne andavamo. Pero' abbiamo lasciato un bel gruppetto di loro a
seguire gli sviluppi dei progetti che abbiamo iniziato.
*
Ora sto in Guatemala, I nostri bambini di qui sono felicissimi di rivederci,
piu' tardi andremo a San Raimundo perche' ci sara' un torneo di calcio per i
maschietti, e di pallacanestro per le femminucce. E' la prima volta che la
nostra scuola partecipa ad un torneo scolastico e quindi l'eccitazione e' a
mille. Gli abbiamo comprato le tute e anche le bambine metteranno i
pantaloni!
Anche io sono emozionata e spero proprio che vincano qualche partita, ma
comunque loro sono felici anche solo per il fatto che partecipano.
*
Ora vi saluto e vi prometto che vi "scoccero'" ancora con i miei racconti
sudamericani.
Grazie a tutti per averci permesso di fare queste piccole cose, un abbraccio
Lorella

3. MEMORIA. AGNESE GINOCCHIO: ALEXANDER LANGER, VIAGGIATORE LEGGERO
[Ringraziamo di cuore Agnese Ginocchio (per contatti: e-mail:
agnese.musica at katamail.com, sito: www.agneseginocchio.it) per averci inviato
il testo di questa sua canzone dedicata alla memoria di Alexander Langer nel
decimo anniversario della sua scomparsa.
Agnese Ginocchio, "cantautrice per la pace, la nonviolenza, contro tutte le
guerre e le mafie", e' generosamente impegnata in molte iniziative di pace,
di solidarieta', per i diritti umani e la nonviolenza.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bz) nel 1946, e si e' tolto
la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative
per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria
descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer
rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata
col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa
in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace.
Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono
state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della
convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti
1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta,
Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu'
lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The
Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier
Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli'
2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre -
Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario,
Milano 2005. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite.
La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000; AA. VV., Una
vita piu' semplice. Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo -
Altreconomia, Milano 2005. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti
gli scritti e gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma
generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi
interventi e' assai variamente dispersa). Si vedano comunque almeno i
fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di
giugno 2005; l'opuscolo di presentazione de La Fondazione Alexander Langer -
Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax
054330421, e-mail: unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it), ed il nuovo
fascicolo edito dalla Fondazione nel maggio 2000; una nuova edizione ancora
e' del 2004 (per richieste: tel. e fax 00390471977691, e-mail:
info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org); la Casa per la
nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per
informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). Indirizzi utili:
Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100
Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org,
sito: www.alexanderlanger.org]

Viaggiatore leggero
non andare lontano
io ti parlo stasera e so
che ascolti da quel cielo tuo.
Dai, raccontami di te
costruttore di ponti e voli
sognatore di altri mondi
che rivivranno ancora.

Rivivranno dentro me  le ferite, i sogni tuoi
nel silenzio della notte un volo e un canto innalzero'
perche' un altro mondo si possa realizzare
piu' lento, piu' profondo, piu' dolce
tu parla all'animo.

Viaggiatore leggero
esploratore di frontiera
correva  veloce il tuo
pensiero piu' degli anni tuoi.
Profondo era il viaggio tuo
ricercatore di verita'
hai  sentito il  peso di un mondo sofferente.

Hai esplorato, pianto e poi sorriso e ancora  hai dato amore
sguardo malinconico straziato e solo nel tuo dolore
fino in fondo fino all'ultimo hai lottato
ma poi sei andato dal vento portato
leggiadro volato.

Sognatore e costruttore di quei ponti arcobaleno
viaggiatore e testimone hai unito il mondo la terra e il cielo
perche' un altro mondo si possa realizzare
piu' lento, piu' profondo, piu' dolce
tu parla, parla all'animo.

4. MEMORIA. MAO VALPIANA: IL CARICO DI ALEX, FRA PROFEZIA E POLITICA
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it) per averci messo a
disposizione questo suo intervento apparso sul quotidiano "Liberazione" del
2 luglio 2005. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico,
scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n.
435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario]

Gli sarebbe piaciuto essere un maestro elementare, invece ha fatto il
giornalista, il traduttore, l'insegnante, il politico. Alexander Langer,
nato in provincia di Bolzano nel 1946 e morto a Pian dei Giullari in Toscana
il 3 luglio 1995, e' stato un geniale intellettuale europeo che ha saputo
varcare frontiere, saltare muri, costruire ponti.
Impegnato fin da giovanissimo per la convivenza interetnica nella sua
regione Alto Adige / Suedtirol, e' stato promotore di infinite iniziative
per la pace fra gli uomini e con la natura. Nel movimento ecologista e
pacifista Langer ha partecipato a un intenso dialogo di ricerca con la
cultura della sinistra, dell'area radicale, dell'impegno cristiano e
religioso, delle nuove spiritualita', di aree non conformiste e originali e
di movimenti non compresi nell'arco canonico della politica. Il suo motto e'
stato "piu' lentamente, piu' in profondita', con piu' dolcezza". Il suo
ultimo messaggio: "Continuate in cio' che era giusto".
A dieci anni dalla sua morte, che ha cercato volontariamente a Pian dei
Giullari sulle colline fiorentine, viene ricordato oggi a Bolzano con il
festival di Euromediterranea "Alexander Langer, 1995-2005: lentius,
profundis, suavius", organizzato dalla Fondazione che porta il suo nome.
Fra le varie novita' editoriali che escono in occasione del decennale, e che
saranno presentate domani a Bolzano, segnalo Fare la pace (co-edizioni
Cierre - Movimento Nonviolento), una consistente raccolta dei piu'
significativi articoli di Alexander Langer pubblicati sul mensile "Azione
nonviolenta" dal 1984 al 1995, raccolti in quattro capitoli: dal pacifismo
alla nonviolenza, nonviolenza e riconciliazione, nonviolenza per la
decrescita, nonviolenza e politica.
La scelta nonviolenta, laica e religiosa insieme, e' decisiva nella
biografia di Alexander Langer, non ideologica, ma sempre messa alla prova
del confronto con la realta' piu' complessa e contraddittoria. In un suo
scritto ha auspicato l'ampliamento del settore "ricerca e sviluppo" della
nonviolenza: i laboratori nei quali Alex ha lavorato sono stati molti, dal
Sudtirolo, nel 1968, fino alla Bosnia, nel 1995.
Erano presenti in lui una vocazione innata e una naturale dimestichezza con
i principi base di una personalita' nonviolenta e non a caso nel 1961 (a
soli 15 anni) scelse come nome per il suo primo giornalino scolastico
"Offenes Wort": Parola aperta, un titolo che oggi ci richiama con forza
quell'idea religiosa di "apertura" che e' alla base del pensiero nonviolento
di Aldo Capitini, il quale in quello stesso anno dava vita alla prima marcia
Perugia-Assisi.
Anche il secondo periodico fondato da Langer nel 1967, "Die Bruecke", "Il
Ponte", portava un nome che si rifa' alla cultura nonviolenta dell'incontro
e del dialogo. Non e' ancora ventenne quando con un gruppo di amici vuole
farsi un'idea di come potrebbero andare le cose in Sudtirolo per un futuro
di convivenza e rispetto, nella conoscenza reciproca di lingue e culture. E'
nel corso di questa ricerca che Alexander Langer, con una solida formazione
cristiana alle spalle ("leggo, rifletto, prego, mi impegno") inizia a
entrare in contatto con le realta' organizzate della nonviolenza italiana.
Si trasferisce a Firenze per gli studi universitari dal 1964 al 1967, ed e'
un momento formativo di grande rinnovamento e apertura. Nella sua
autobiografia Minima personalia, scrive: "Incontro Giorgio La Pira, mio
professore; Ernesto Balducci, che ogni settimana tiene una lezione sul
Concilio, al Cenacolo. L'incontro piu' profondo e' con don Milani e la sua
scuola di Barbiana, per la quale insieme a una vecchia ebrea austro-boema,
Marianne Andre, tradurro' in tedesco Lettera a una professoressa".
E' in quel periodo che, pur essendo in Germania per un dottorato, prende
contatto diretto con il Movimento nonviolento "per poter avere maggiori
indicazioni sulla esatta situazione degli obiettori di coscienza in Italia".
Gli effetti di questo contatto non si fanno attendere e nello stesso anno
Alex organizza a Bolzano una dimostrazione pacifista, contro le celebrazioni
del 4 novembre 1968 che ricordano il cinquantesimo anniversario della
"vittoria" della prima guerra mondiale, per la quale verra' fermato e
identificato in questura.
La prima volta che sentii parlare di Langer, fu per via della sua
"obiezione" al censimento etnico del 1981. Incuriosito e ammirato da quanto
stava accadendo in Alto Adige, proprio grazie al laboratorio politico della
lista inter-etnica alternativa, sono andato a Bolzano, e li' l'ho
intervistato per la prima volta. Il tema era il movimento pacifista tedesco,
all'epoca il piu' forte in un'Europa ancora divisa. Durante quel colloquio
Alex ha voluto essere informato con precisione sulle persone e le iniziative
del Movimento nonviolento, ed era felice di aver "ritrovato" "Azione
nonviolenta".
E' nata un'amicizia, ed e' cosi' che con lui ho fatto una lungo cammino,
durato gli ultimi dieci anni della sua vita, dalla campagna Nord/Sud del
1988, al convegno "Sviluppo? Basta! A tutto c'e' un limite" del 1990, dalla
Carovana Trieste-Sarajevo del 1991, al VeronaForum del 1993, e in mezzo la
lunga avventura verde, dalle speranze della nascita di un grande movimento
trasversale (1985) fino alle delusioni della trasformazione in piccolo
partito imploso (1995).
Alex e' stato anche, dal 1982, attivo compagno nella campagna di obiezione
fiscale alle spese militari, e ha partecipato personalmente all'acquisto dei
terreni della Verde Vigna a Comiso per impedire l'espansione della base
militare che doveva ospitare i missili nucleari Cruise.
Nel 1988 abbiamo partecipato a un convegno in Brasile, a Manaus. Ci
interessava capire quella realta' per riportare in Italia elementi utili
alla Campagna Nord-Sud che voleva far conoscere all'opinione pubblica il
dramma ambientale e sociale che stava vivendo l'Amazzonia: "L'ecologia non
e' un lusso dei ricchi, ma una necessita' dei poveri", fu il messaggio
centrale del suo intervento. Da quel convegno prese avvio anche l'idea per
la campagna del 1992 in occasione delle celebrazioni dei 500 anni dello
sbarco degli europei in America, con un'altra sua intuizione: "Dare voce ai
conquistati e dare voce agli obiettori di coscienza e disertori nelle file
dei conquistatori". Aveva la capacita' di offrire sempre un punto di vista
inusuale, per comprendere meglio la realta'.
Dopo il 1989, con la caduta del Muro di Berlino, vennero gli anni difficili
della prima guerra del Golfo nel 1990-'91, i fatti d'Albania, e poi la crisi
jugoslava, fino all'assedio di Sarajevo e la strage di Tuzla. Fu difficile
per lui coniugare tensione ideale e realismo politico ("troppa la distanza
tra cio' che si proclama e cio' che si riesce a compiere"). La nonviolenza
ha bisogno sia di profezia sia di politica.
Alex ha saputo attraversare cariche prestigiose senza rimanere invischiato
nelle sabbie mobili del potere ed ha trattato alla pari con capi di stato
senza mai tradire la sua vocazione francescana. E' stato profeta e politico.

5. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: IL CAPRO ESPIATORIO
[Ringraziamo Enrico Peyretti e Antonello Ronca per averci fatto pervenire
questo articolo di Barbara Spinelli apparso sul quotidiano "La Stampa" il 3
luglio 2005.
Barbara Spinelli e' una prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere
segnaliamo particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001;
una selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del
quotidiano (www.lastampa.it).
Rene' Girard, nato ad Avignone nel 1923, pensatore poliedrico, fondamentali
le sue riflessioni sulla violenza e sul sacro. Opere di Rene' Girard:
Menzogna romantica e verita' romanzesca (1961), Bompiani, Milano 1965;
Dostoevskij dal doppio all'unita' (1963), SE, Milano 1996; La violenza e il
sacro (1972), Adelphi, Milano 1980; Delle cose nascoste sin dalla fondazione
del mondo (1978), Adelphi, Milano 1983; Il capro espiatorio (1982), Adelphi,
Milano 1987; L'antica via degli empi (1985), Adelphi, Milano 1994;
Shakespeare. Il teatro dell'invidia (1990), Adelphi, Milano 1998; La vittima
e la follia. Violenza del mito e cristianesimo, Santi Quaranta, Treviso
1998; Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell'uomo contemporaneo,
Cortina, Milano 1999; Vedo Satana cadere come la folgore (1999), Adelphi,
Milano 2001. Opere su Rene' Girard: A. Carrara, Violenza, sacro, rivelazione
biblica. Il pensiero di Rene' Girard, Vita e pensiero, Milano 1985; S.
Tomelleri, Rene' Girard. La matrice sociale della violenza, Angeli, Milano
1996; Claudio Tugnoli, Girard. Dal mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero
Padova, Padova 2001]

Ci sono momenti in cui noi tutti siamo come sequestrati e portati lontano
dalla verita' delle cose. Non le vediamo nella loro essenza, abbiamo gli
occhi come coperti da bende. Possiamo trovare spiegazioni a quel che accade,
il piu' delle volte possiamo perfino giustificare gli eventi nuovi cui
assistiamo o che noi stessi abbiamo contribuito a generare. Ma spiegazioni e
giustificazioni hanno sovente un ruolo strano: sono la stoffa stessa di cui
e' fatta la benda. La verita' e' sequestrata in una sorta di mondo
parallelo, simile a quello visibile ma inaccessibile alla coscienza, alla
vigilanza. Il filosofo Raymond Aron diceva del presidente Giscard d'Estaing:
"Il problema e' che quest'uomo non sa che la storia e' tragica". Qualcosa
d'analogo pare accadere alle classi dirigenti d'oggi, compresi noi
giornalisti: da un certo tempo - forse da quando son cominciate sia la
mondializzazione sia la lotta antiterrorista nel 2001 - in Italia e in parte
dell'Occidente non sappiamo che la storia che stiamo facendo e' tragica.
Alcuni segni lo dicono, tuttavia.
*
Uno di questi segni ci e' stato mostrato nei giorni scorsi, quando i
telegiornali hanno dato notizia dello sgombero di un campo nomadi nella
periferia di Milano, a via Capo Rizzuto. La decisione di radere al suolo la
baraccopoli rom aveva un motivo serio - il campo era abusivo e disordinato,
la maggior parte degli abitanti era clandestina, i vicini erano in allarme
dopo episodi di stupro attribuiti a zingari, e da tempo avevano messo fili
spinati fra se' e i nomadi - ma il modo e il linguaggio in cui s'e' svolta
l'operazione sono stati di una violenza singolare: inaudita, rapida, e al
contempo abissalmente banale.
L'operazione ha ricevuto il nome di "Blitz", lampo, mescolando come spesso
accade i processi naturali con quelli bellici. E come evento del tutto
naturale e' stata presentata: come se d'un tratto il cielo si fosse
rannuvolato, dando spazio alla pioggia. Come una stagione che trapassa in
un'altra, impercettibilmente, cancellando pero' cammin facendo baracche,
vincoli umani. Restavano le parole, pesanti: catapecchie rase al suolo,
villaggio cancellato, baraccopoli in macerie. E restavano le immagini,
evocative se messe a raffronto con quel che s'era visto in precedenza. Era
una settimana che i telegiornali mostravano il campo, collegandolo agli
stupri di Milano. Si erano viste piu' volte quelle case per meta' di cartone
per meta' di lamiere, raffazzonate e improbabili, qualche elettrodomestico
appoggiato fuori casa accanto alla porta, i bambini che giocavano sulla
terra battuta, gli adulti intervistati che facevano di tutto per prender le
distanze dai presunti misfatti dei connazionali. Il tutto nell'afa dei
giorni scorsi; sempre il crimine sembra svolgersi sotto qualche speciale
cappa meteorologica.
Poi, d'un tratto, la scena cambia. S'accende la televisione, mercoledi' 29
giugno, e si apprende che il campo non c'e' piu'. All'alba sono passate le
ruspe della polizia, in quattro ore hanno liquidato quel che c'era. Sullo
schermo s'accampano le macerie e gli stessi nomadi che avevano condannato
gli stupri, in fuga come da un'invasore. Lamiere spezzate, catapecchie
schiacciate, suppellettili alla rinfusa come pestate da zampe meccaniche, i
colori delle cose non piu' distinti ma accorpati in un intruglio esplosivo
come nell'ultima scena di blow-up di Antonioni. Strano come la televisione
possa ferocemente condurre all'essenza delle cose, a volte, proprio quando
falsifica i fatti omettendo spiegazioni. A conclusione del servizio prendeva
la parola un funzionario del Comune di Milano, magari aveva parecchio da
chiarire ma la camera gli dava appena il tempo di dire: "Son soddisfatto".
Cosi', com'e' stata mostrata, si presenta la verita' delle cose: una
vendetta contro le popolazioni civili, per presunti misfatti commessi da
pochi e per placare grandi paure. Un'operazione che consiste nell'accusare
interi gruppi di essere all'origine dei mali di cui soffre la societa' e di
cui sono autori individui non ancora identificati. La decisione di liquidare
l'oggetto fantasmatico dei nostri terrori, affinche' sia ristabilito
l'ordine fin qui riconfortante: la nostra identita' nazionale o la sicurezza
o la diversita' fra il dentro e il fuori. La storia dell'umanita' e' un
succedersi di eventi simili - di sacrifici compiuti per fingere la soluzione
di insolubili problemi - e il procedimento ha da millenni il medesimo nome:
e' lo scatenarsi contro il capro espiatorio, e l'obiettivo e' il
ristabilimento, non importa quanto fittizio, dello smarrito patto sociale.
*
Nei suoi libri sul capro espiatorio, Rene' Girard ha spiegato bene i
meccanismi di questo collettivo ricostruirsi, attorno al bisogno
d'accanimento sul diverso. Il sacrificio del capro e' destinato a calmare
gli dei addomesticando l'aggressivita' dell'uomo: quest'ultima viene
incanalata, spostandola dal primordiale linciaggio collettivo alla vittima
impersonata dalla bestia. I riti sacrificali che tornano a ledere l'uomo
invece dell'animale fanno apparizione nelle societa' sviluppate quando tale
bisogno s'estende, come in Italia, e quando la politica chiede ai magistrati
di "tener maggiormente conto, in certi momenti storici, del comune sentire
del popolo" (cosi' si e' espresso in febbraio il ministro Castelli). Piu'
sostanzialmente, compaiono quando gli uomini tendono a somigliarsi troppo, e
spinti dall'imitazione invidiosa precipitano nella cosiddetta
indifferenziazione: il capro ristabilisce la rassicurante differenza tra Noi
e Loro, maggioranza-minoranza, indigeni-allogeni. Il vocabolario cerca
parole nel linguaggio dell'igiene o della guerra. Si rade al suolo, si
liquida, pulisce, bonifica. Il ministro dell'Interno francese Sarkozy,
candidato presidenziale, ha promesso di ripulire la Courneuve, banlieue a
rischio. Urge un "nettoyage au karcher" dei quartieri difficili, sostiene:
una pulizia di quelle che strappano lo sporco con formidabili getti d'acqua
a pressione (metodo detto karcher).
Ma il culto del castigo e del linguaggio espiatori non cade dai cieli. E'
alimentato dall'indifferenza-consenso con cui i riti vengono accolti,
considerati normali, commentati da quelle frasi senza rimorso - "sono
soddisfatto" - dette in tv. Il sacrificio del capro, per dar l'aria di
servire, deve apparire legittimo alla maggioranza della comunita': in Italia
e' una legittimita' fortemente condivisa.
*
Questo forse e' l'elemento nuovo del mondo che abitiamo da quando la
globalizzazione ha messo radici, e le democrazie sono impegnate nella guerra
contro il terrore. Globalizzazione e terrore hanno aumentato enormemente il
bisogno di ristabilire la differenziazione e la sacrificabilita' dell'altro,
dato a Satana come "parte che gli compete". Il cattolico conservatore Andrew
Bacevich sostiene che Bush conduce una guerra pericolosa, che militarizza le
menti della societa' (The New American Militarism: How Americans Are Seduced
by War, Oxford University Press 2005, citato da Tony Judt sulla "New York
Review of Books"). Cosi' in Italia, in Europa. La partecipazione alla guerra
anti-terrore e l'immigrazione giustificano politiche piu' restrittive, anche
perche' i due fenomeni vengono confusi. Uno stupro non puo' esser
trivializzato, mai. Nelle moschee spesso si predica morte. Ma portare ordine
nei quartieri o collaborare con l'antiterrorismo puo' sfociare nella logica
del capro espiatorio e nella manipolazione politica della paura, come s'e'
visto a via Capo Rizzuto o nell'affare della polizia parallela scoperta a
Genova. E s'accorda bene con l'assenso implicito dato a una Cia che non solo
viola sovranita' (tra alleati non e' violazione illogica, se il nemico e'
mondiale) ma sequestra gli imam in Italia per consegnarli sistematicamente
non alla giustizia Usa ma a inquisitori in Egitto (o Arabia Saudita,
Giordania, Siria, Pakistan, Uzbekistan) che la tortura la praticano senza
scrupolo ne' controllo.
Molti diritti si sono contratti, dopo l'11 settembre. Ma arriva il momento
in cui si perde l'equilibrio tra rafforzamento della disciplina e fedelta'
ai principi su cui son costruite le nostre societa': il momento in cui i
tabu' civilizzatori cadono, anche nelle parole, con la scusa che ogni tabu'
e' un conformismo "politicamente corretto". Quel radere al suolo e quel
linguaggio sono una vittoria della barbarie che si dice di combattere, non
della civilta' che si pretende di difendere Si puo' discutere di dilemmi
ineludibili, ma comunque urge sapere la storia che si sta facendo. La devono
sapere politici e maestri, magistrati e poliziotti, giornalisti e cardinali,
che discutono di dignita' dell'uomo e troppo spesso su queste cose tacciono.
Che desiderano si parli delle radici cristiane d'Europa, e sembrano quasi
dimenticare che proprio il cristianesimo mette fine a ogni capro espiatorio.
Soprattutto deve saperlo un paese che di baraccopoli ne ha viste tante fino
a pochi anni orsono, ma abitate da noi stessi.
Chi l'abbia dimenticato puo' rivedere la baraccopoli di Miracolo a Milano,
che De Sica giro' appena 54 anni fa. Il capitalista Mobbi fa radere al suolo
il villaggio, ma non per questo si dichiara pubblicamente "contento". E
anche gli scacciati hanno speranze che i rom non hanno. Una magica colomba
vien loro in aiuto, e a cavallo di magiche scope gli sfollati s'allontanano
nei cieli, "verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno".

6. MEMORIA. OTA DE LEONARDIS: L'EREDITA' DI FRANCO BASAGLIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 luglio 2005.
Ota de Leonardis e' docente di sociologia dei processi culturali e
comunicativi presso l'Universita' di Milano Bicocca ed e' membro del
Consiglio scientifico nazionale del Centro per la Riforma dello Stato. A
partire dalla rielaborazione dell'eredita' del welfare state, ha analizzato
le nuove forme di integrazione tra sfera pubblica e attivita' privata nello
sviluppo dei servizi sociali, concentrando l'attenzione sulle questioni del
"terzo settore" (dal volontariato all'impresa sociale e al non profit). Tra
le opere di Ota de Leonardis: (a cura di), Il sapere della crisi: per una
storia della sociologia, Roma 1982; (a cura di), Curare e punire. Problemi e
innovazioni nei rapporti tra psichiatria e giustizia penale, Milano 1988; Il
terzo escluso. Le istituzioni come vincoli e come risorse, Milano 1990; con
D. Mauri e F. Rotelli, L'impresa sociale, Milano 1994; con L. Bifulco,
L'innovazione difficile. Studi sul cambiamento organizzativo nella pubblica
amministrazione, Milano 1997; In un diverso welfare, Milano 1998; Le
istituzioni, Roma 2001.
Franco Basaglia, nato a Venezia nel 1924 e deceduto nel 1980, e' la figura
di maggiore spicco della psichiatria italiana contemporanea; ha promosso la
restituzione di diritti e il riconoscimento di dignita' umana ai sofferenti
psichiatrici precedentemente condannati alla segregazione e a trattamenti
disumani e disumanizzanti; e' stata una delle piu' grandi figure della
teoria e della pratica della solidarieta' e della liberazione nel XX secolo.
Opere di Franco Basaglia: vi e' una pregevole edizione in due volumi degli
Scritti, Einaudi, Torino 1981-82. Tra i principali volumi da lui curati (e
scritti spesso in collaborazione con la moglie Franca Ongaro Basaglia, e con
altri collaboratori) sono fondamentali Che cos'e' la psichiatria,
L'istituzione negata (sull'esperienza di Gorizia), Morire di classe, Crimini
di pace, La maggioranza deviante, tutti editi da Einaudi; insieme a Paolo
Tranchina ha curato Autobiografia di un movimento, editori vari, Firenze
1979 (sull'esperienza del movimento di psichiatria democratica); una
raccolta di sue Conferenze brasiliane e' stata pubblicata dal Centro di
documentazione di Pistoia nel 1984, una nuova edizione ampliata e' stata
edita da Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; una recente raccolta di
scritti e' L'utopia della realta'., Einaudi, Torino 2005. Opere su Franco
Basaglia: assai utile il volume di Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio,
Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano 2001, con ampia bibliografia; cfr;
anche Nico Pitrelli, L'uomo che restitui' la parola ai matti, Editori
Riuniti, Roma 2004. Un fascicolo monografico a lui dedicato e' Franco
Basaglia: una teoria e una pratica per la trasformazione, "Sapere" n. 851
dell'ottobre-dicembre 1982. Si veda inoltre la collana dei "Fogli di
informazione" editi dal Centro di documentazione di Pistoia. A Basaglia si
ispira tutta la psichiatria democratica italiana e riferimenti a lui sono
praticamente in tutte le opere che trattano delle vicende e della
riflessione della psichiatria italiana contemporanea]

Durante un soggiorno a Parigi un mese fa, ospite di Luc Boltanski e del suo
gruppo all'Ecole des Hautes Etudes, abbiamo ripreso il tema della critica,
del destino della critica sociale e artistica degli anni '60/'70 nella
metamorfosi del capitalismo, tema aperto da Boltanski stesso con Eve
Chiappello in Le nouvel esprit du capitalisme: il capitalismo che ha
incorporato la critica, mettendo in valore le rivendicazioni della
soggettivita' e gli argomenti contro l'autoritarismo (con tanti saluti alla
sinistra). Volevano che tornassi a ripercorrere la storia del movimento
psichiatrico italiano, della critica dei manicomi e delle rivendicazioni
della soggettivita' dei matti, una storia scomoda per loro (ma anche per
noi). Intanto, di qua dalle Alpi si preparava l'uscita di una nuova raccolta
di scritti di Franco Basaglia (L'utopia della realta'. A cura di Franca
Ongaro Basaglia. Introduzione di Maria Grazia Giannichedda, Einaudi, Torino
2005, 327 pp., 22 euro). Non credo alle coincidenze, credo alle insistenze.
La critica dell'istituito - per dirla alla francese - ha in questa storia
imboccato la strada della pratica, dello smontaggio pratico
dell'istituzione, e si e' fatta per questa via processo istituente. Un
processo sorvegliato con grandissima cura perche' conservasse della critica
la memoria, le ragioni sempre attuali, e la sua intrinseca inconciliabilita'
con "le soluzioni", con l'istituito appunto. Basaglia e' tutto qui, e non e'
poco.
*
Gli operatori e i malati di questa strana storia non sono mai contenti, se
si accontentassero per loro sarebbe finita, risucchiati entrambi nella
disumanizzazione. Basaglia lo ha detto e ripetuto fino alla nausea, a tutti
coloro che si sarebbero accontentati volentieri di ragionevoli compromessi
(a cominciare dai compagni francesi che non ci pensavano proprio a
"distruggere" il manicomio. Semmai si trattava, e si tratto', di introdurvi
la psicoanalisi. Non si e' salvato neanche Lacan. Peccato, perche' forse nel
suo cifrario c'e' qualcosa di pertinente, per ragionare sull'"uomo senza
gravita'" di oggi). Tornare a scavare in questa storia, riflettere ancora su
questo passaggio, sulle "istituzioni inventate" dalla critica, come le ha
chiamate Franco Rotelli; e su questo non accontentarsi: e' cio' che gli
amici francesi mi sollecitavano a fare, e che questo nuovo libro di Basaglia
ripropone con forza. Per misurarsi tra l'altro col fatto preciso che
Basaglia ha fortemente voluto la legge 180, ha voluto "istituire" appunto.
Contro i radicali che non volevano leggi (il neoliberalismo dello stato
minimo era gia' li', reaganismo montante) e contro i riformisti che volevano
un ammodernamento tecnico del paternalismo autoritario. Era la via del
diritto, e dei diritti soggettivi conquistati e praticati su una materia
incongrua, la follia, "l'esperienza abnorme" come la chiamava Basaglia; era
la scelta di istituire il teatro di una contraddizione insanabile, che la
rendesse sopportabile senza nasconderla ("senza chiudere gli occhi", direbbe
Boltanski). L'inconciliabile, appunto, istituito anche con una legge,
istituito come un campo di tensioni legittimo e regolato, come un campo di
riflessivita' della convivenza civile: riuscire "a non rinchiudere in una
ulteriore oggettivazione l'esperienza abnorme, conservandola legata e
strettamente connessa alla storia individuale e sociale" (cosi' si chiude il
libro).
*
La consistenza di questa contraddizione, le ragioni e i modi per portarla
allo scoperto, per renderla sopportabile ma non rimuovibile, costituiscono
un filo rosso di tutto il libro. E costituiscono un patrimonio collettivo,
che ha retto fino ad oggi e ancora regge, malgrado tutto, malgrado la forza
e pervasivita' della normalizzazione di cui molti, anche protagonisti di
questa storia, sono tentati di accontentarsi. Pensate ai famigliari: ricordo
allora la crisi del rapporto con le famiglie, e con le associazioni di
famigliari - investiti com'erano dalla contraddizione portata allo scoperto.
E li ritrovo oggi, famigliari e associazioni, che non si accontentano, che
vogliono tutto fuorche' l'abolizione della 180. Pensate al lavoro: c'e'
ancora chi pretende pratica e costruisce opportunita' perche' i matti
abbiano uno statuto lavorativo, con i tempi che corrono. Questo vuole dire,
collettivamente, reggere una contraddizione tenuta scoperta, e tenuta
regolata. Cercavo di spiegare agli amici francesi perche' questa storia che
regge nel tempo e' a mio parere un patrimonio per tutti estremamente
attuale. Un patrimonio politico. Ragionando con loro anche su analogie e
differenze con la storia dell'aborto. Anche in questo caso ci sono la
critica, i movimenti sociali, e una legge, dello stesso segno e degli stessi
mesi (1978: il referendum, e in contemporanea l'uccisione di Aldo Moro, come
ricorda Giannichedda nell'introduzione al volume).
*
Boltanski ha appena pubblicato un libro - inopportuno quanto fondamentale -
sull'argomento (La condition foetale, Gallimard 2005: fondamentale, si', ma
io ho a che fare nel frattempo con il referendum sulla legge della
fecondazione assistita. Pochi dubbi, molto sconforto, e molte preoccupazioni
sul futuro della legge sull'aborto).
Anche in questo caso si e' trattato di legalizzare una pratica
intrinsecamente tragica; di portarla allo scoperto rendendola
individualmente e collettivamente sopportabile. Le analogie sono molte, e
andrebbero seriamente esplorate (Basaglia preferiva, allora, le analogie con
la legge Merlin che aveva abolito le "case chiuse" per l'esercizio della
prostituzione. C'e' un'aria di famiglia, in questo confronto con le
dimensioni tragiche del vivere sociale, con questa pretesa di portarle e
sopportarle allo scoperto, non vi pare?) Non sono arrivata a dirlo agli
amici francesi, ma lo dico qui: questo patrimonio politico - l'esperienza di
nominare contraddizioni - e' propriamente della sinistra (anzi, del
centro-sinistra, in quanto vi sia in gioco la democrazia): salvaguardarlo e'
un dovere primario; investire su di esso e' forse l'ultima possibilita' che
abbiamo per non essere travolti dalle contraddizioni ridotte ad antinomie, e
dalle guerre che suscitano. L'abbraccio mortale della sinistra francese col
lepenismo e affini sul referendum europeo sta li' a testimoniarlo.

7. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI DOROTHY DAY
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi
all'ascolto della lezione di Dorothy Day.
*
"La comunita', ecco la risposta alla lunga solitudine" (Dorothy Day, in
Antonio Nanni, Timonieri. Uomini e donne sulla rotta del terzo millennio.
Dalle Americhe, volume primo, Emi, Bologna 1997, p. 64).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenda-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

8. LETTURE. CARLOS AMORIN: LA GUERRA SPORCA CONTRO I BAMBINI
Carlos Amorin, La guerra sporca contro i bambini. Storia di Sara e Simon,
Eleuthera, Milano 2004, pp. 176, euro 14. Il giornalista, scrittore e
militante antifascista e per i diritti umani racconta la vicenda di Sara
Mendez, militante anarchica uruguayana sequestrata illegalmente a Buenos
Aires dai militari argentini nel 1976 e consegnata al regime uruguayano
(sara' detenuta a Montevideo fino al 1981), e di suo figlio, sottrattole dai
golpisti argentini e ritrovato solo nel 2002, 26 anni dopo, "uno dei pochi
bambini desaparecidos che ha potuto ricomporre la sua biografia mutilata".
Per richieste alla benemerita casa editrice libertaria: e-mail:
info at eleuthera.it, sito: www.eleuthera.it

9. LETTURE. "DIARIO": UN MESE NELLA VITA DI ENZO BALDONI
"Diario", Un mese nella vita di Enzo Baldoni, volume monografico di "Diario
del mese", anno IV, n. 5, dicembre 2004, pp. 260, euro 5. Un volume che la
testata diretta da Enrico Deaglio, della quale Enzo Baldoni era
collaboratore, dedica alla figura, al sentire, all'agire, agli scritti del
giornalista e volontario pacifista assassinato in Iraq; con un vastissimo e
prezioso apparato iconografico. Per contattare la rivista editrice: e-mail:
redazione at diario.it, sito. www.diario.it

10. RILETTURE. MARCELLA FERRARA: LE DONNE DI SEVESO
Marcella Ferrara, Le donne di Seveso, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 216.
Un'inchiesta condotta con grande capacita' di ascolto e acutezza di sguardo,
un libro che meriterebbe di essere ristampato.

11. RILETTURE. GIOVANNA PEZZUOLI: PRIGIONIERA IN UTOPIA
Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia. La condizione della donna nel
pensiero degli utopisti, Edizioni Il Formichiere, Milano 1978, pp. 204. Uno
studio e un'antologia che smaschera la violenza e la pervasivita' del
dominio del patriarcato fin nella costruzione ideale delle piu' celebrate
utopie sociali redatte (fantasticate, ma anche pianificate) da autori di
sesso maschile. Una proposta e un percorso di ricerca e di disvelamento, di
interpretazione, di denuncia e di lotta, che occorrerebbe riprendere,
proseguire e approfondire ancora.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 986 del 9 luglio 2005

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