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La nonviolenza e' in cammino. 966
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 966
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 19 Jun 2005 00:46:38 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 966 del 19 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Buon compleanno, Aung San Suu Kyi 2. Claudio Tognonato presenta "Le pazze. Un incontro con le Madri di Plaza de Mayo" di Daniela Padoan 3. Luciano Bonfrate: Istruzioni per non convincere nessuno 4. Barbara Mapelli: All'ascolto di giovani donne 5. Bruna Peyrot: Alle radici dell'esperienza di Porto Alegre (parte seconda) 6. Severino Vardacampi: E invece 7. Benito D'Ippolito: Le donne di Kabul 8. Con "Qualevita", la lezione di Jean Goss 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. APPELLI. BUON COMPLEANNO, AUNG SAN SUU KYI [Da "Ebo" (per contatti: burma at euro-burma.be) riceviamo e diffondiamo il seguente appello promosso da Assistenza Birmania (per contatti: assistenzabirmania at hotmail.com). Aung San Suu Kyi , figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - dure persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 1998] Cari amici, oggi, 19 giugno 2005, vorremmo celebrare insieme a voi il sessantesimo compleanno di Aung San Suu Kyi unendoci alla campagna internazionale lanciata dal gruppo americano "US Campaign for Burma". Vogliamo far sapere al governo birmano che Aung San Suu Kyi ed il popolo birmano non sono soli e che c`e` qualcuno che pensa a loro anche in Italia. Abbiamo bisogno del vostro aiuto per far si' che che la campagna abbia l`effetto sperato. Richiedeteci e poi spedite la cartolina (che possiamo inviarvi in pdf file) composta da una foto di Aung San Suu Kyi ed un breve riassunto che sintetizza la lotta per la democrazia ed i diritti umani della leader democratica in Birmania. Stampate la cartolina e piegatela a meta`; se volete aggiungete un vostro commento o augurio e spedite il tutto a: Ambasciata di Myanmar in Italia, via della Camilluccia 551, 00135 Roma. Se volete, potete mandare il vostro messaggio di auguri e sostegno ad Aung San Suu Kyi anche tramite e-mail, indirizzando sempre all`Ambasciata birmana in Italia: meroma at tiscalinet.it Per favore inoltrate questo messaggio a chiunque possa essere interessato ad aiutarci. Grazie per la vostra gentile collaborazione. Assistenza Birmania (per contatti: assistenzabirmania at hotmail.com) 2. LIBRI. CLAUDIO TOGNONATO PRESENTA "LE PAZZE. UN INCONTRO CON LE MADRI DI PLAZA DE MAYO" DI DANIELA PADOAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 giugno 2005. Claudio Tognonato, giornalista, sociologo, docente universitario, e' nato a Buenos Aires ed e' vissuto in Argentina fino al '76, quando ventiduenne e' stato costretto a lasciare il paese dall'avvento della dittatura militare; laureato in filosofia e sociologia, vive a Roma, collabora con l'Universita' di Roma Tre e ritorna frequentemente in Argentina per i corsi di filosofia che tiene all'Universita' di Buenos Aires; scrive per "Il manifesto". Daniela Padoan e' una prestigiosa giornalista e saggista femminista. Dalla bella rivista "Via Dogana" riprendiamo la seguente scheda di presentazione: "Daniela Padoan collabora con la televisione e la stampa, in particolare con "Il manifesto". Nel pensiero della differenza ha trovato un tassello mancante, degli elementi in piu' per la lettura di avvenimenti attuali e storici come la vicenda delle Madres de la Plaza de Mayo ("la lotta politica forse piu' radicale di questi decenni"), o la Shoah, che Daniela ha indagato, nel suo ultimo libro, attraverso tre conversazioni con donne sopravvissute ad Auschwitz (Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004)". Opere di Daniela Padoan: Miti e leggende del mondo antico, Sansoni scuola, Firenze 1996; Miti e leggende dei popoli del mondo, Sansoni scuola, Firenze 1998; (a cura di), Un'eredita' senza testamento, Quaderni di "Via Dogana", Milano 2001; (a cura di), Il cuore nella scrittura. Poesie e racconti delle Madres de Plaza de Mayo, Quaderni di "Via Dogana", Milano 2003; Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004; Le Pazze. Un incontro con le Madri di Plaza de Mayo, Bompiani, Milano 2005] Difficile dire quando inizia una storia, "la storia". In questo caso diremo che la storia delle Madri di Piazza di Maggio inizia all'alba del 24 marzo 1976 quando la Giunta militare, capeggiata da Jorge Videla, mise in atto cio' che sei mesi prima aveva pubblicamente promesso. Anche per questo il colpo di stato non sorprese nessuno. Anzi, alcuni furono finalmente appagati da una stupida attesa. Non sarebbero stati delusi: si apriva quel giorno la pagina piu' nera della storia argentina. "Alle due di notte, fecero irruzione nel nostro padiglione le Forze congiunte dell'Esercito, Gendarmeria penitenziaria e Polizia provinciale - racconta Julian Monteros, all'epoca detenuto nel carcere di Tucuman - Quella notte fu la piu' lunga della mia vita. Ci picchiarono fino all'alba e chi cadeva moriva. Tutta la notte fino alle otto del mattino, continuarono a colpirci dicendo che era finita la democrazia, che eravamo morti... quella notte passammo dalla categoria di prigionieri politici a desaparecidos... a partire da quel giorno fummo torturati in ogni momento, mattino, giorno, sera e notte". Era quel 24 marzo 1976 e nessuno poteva immaginare cio' che sarebbe accaduto. * Le Pazze. Un incontro con le Madri di Plaza de Mayo, di Daniela Padoan (Bompiani, pp. 423, euro 9,50) da' voce alle Madri e ad alcuni sopravissuti che testimoniano cio' che accade negli anni della dittatura militare argentina (1976-'83). Il libro e' un insieme di frammenti di vita raccolti in conversazioni tra l'autrice e le Madri, svolte durante un lasso di cinque anni. Tra di loro non poteva mancare Hebe de Bonafini, storica presidente dell'Associazione, che all'epoca era una semplice mamma, donna di casa, senza eccessive preoccupazioni politiche. Ora dopo la scomparsa dei suoi figli descrive con freddezza le ragioni strutturali che hanno scatenato il golpe. L'obiettivo della sistematica repressione era quello di imporre "un piano economico spaventoso, grazie al quale alcune persone sarebbero diventate immensamente ricche, e milioni e milioni enormemente poveri. All'inizio non capivamo cosa c'entrasse questo con la scomparsa dei nostri figli, ma poi abbiamo capito che, per applicare quel piano, era necessario far scomparire tre generazioni". Quel piano economico di cui parla Hebe de Bonafini e' quello che, dopo essere collaudato in Cile e in Argentina, sarebbe stato adottato come modello di sviluppo dal Fondo monetario internazionale. Le Madri sanno che i loro figli sono stati fatti scomparire perche' il progetto neoliberista fosse messo alla prova. * Se visitate l'Argentina, a Buenos Aires non vi scordate di andare in Piazza di Maggio, magari un giovedi', magari alle 15,30. Si', saranno li'. Come sempre sono state da quando i loro figli, mariti, fratelli sono svaniti nel nulla inghiottiti tra le ombre della notte. Sono li' e non le troverete mai ferme, le troverete che girano intorno all'obelisco con il loro fazzoletto bianco in testa. Sono anziane, sono diventate anziane su questa piazza. Alcune sono morte, ma non crediate d'incappare in un gruppo penoso di donne invecchiate che si lamentano del loro tragico destino. Le Madri di Piazza di Maggio hanno gli occhi asciutti, forse prosciugati dal tempo. Sono piene di orgoglio, di un disperato amore mai appagato, di un desiderio di giustizia che e' diventato quello dei loro figli desaparecidos. Non erano pazze. Erano state battezzate Las locas de Plaza de Mayo dalla dittatura, perche' davanti alla loro richiesta il falso cristianesimo dei militari si sentiva a disaggio. Chiedevano semplicemente dove sono. Adonde estan? ripetevano e ripetono, senza mai rassegnarsi. Non erano pazze, erano piuttosto la coscienza critica, la coscienza dolente, l'unica voce che raccoglieva e denunciava l'orrore di cio' che accadeva in quegli anni. Non potevano restare zitte e non potevano stare ferme. E' stato loro proibito di rimanere davanti alla Casa Rosada, sede del governo. Allora si sono messe a camminare in cerchio, in una fila infinita, senza soluzione di continuita'. Questa presenza continua ha sollevato rispetto e ammirazione in tutto il mondo. Ogni volta che arrivano a una manifestazione la gente applaude e canta Madres de la Plaza el pueblo las abraza dandogli il benvenuto. La Piazza e' diventata la loro piazza e se oggi e' possibile pensare al recupero etico del paese e' grazie alla loro costanza. I militari hanno voluto far scomparire un'intera generazione, hanno torturato e ucciso migliaia di persone e hanno occultato i loro corpi. Non solo non volevano lasciare tracce dei loro crimini, volevano anche distruggere il passato, annullare la storia, annientare ogni progetto di futuro. * Le Madri di Piazza di Maggio sono state uno scoglio che i militari non hanno mai superato. Una presenza permanente, puntuale, che metteva in evidenza con le fotografie ingiallite e consumate dei loro cari appese al collo che non erano desaparecidos, che erano e sarebbero rimasti li' per sempre. Sono state piu' volte caricate dalla polizia, arrestate e perfino tre di loro si sono aggiunte al destino dei loro figli e sono diventate desaparecidas. Nulla e' riuscito a fermarle, la loro intransigenza e' stata determinante, le loro richieste limpide fondono la politica e la vita. Forse questa e' la novita' di un'esperienza come quella delle madri. Scrive Daniela Padoan nella postfazione: "Non hanno scelto cio' che si e' abbattuto su di loro, ma ne hanno assunto la responsabilita', trasformandola in scelta etica, in un non poter essere altrimenti". Hanno sfidato con i loro corpi la peggiore delle dittature, non potevano fermarsi: "cio' che sentivano era, innanzitutto, l'inconciliabilita' tra il loro aver dato la vita e l'accettare la morte; e una furia indomabile, che non concede nulla al carnefice, non una lacrima, non una implorazione". Oggi, per alcuni versi, la storia e' cambiata. L'attuale presidente argentino Nestor Kirchner, nel suo primo discorso alle Nazione Unite ha voluto schierarsi e si e' dichiarato: "figlio delle Madri di Piazza di Maggio". L'Esma (Escuela de Mecanica de la Marina Argentina), il famigerato campo di concentramento della dittatura da dove partivano i prigionieri che sarebbero stati gettati vivi in mezzo al mare, e' ora un Museo della Memoria. Dei desaparecidos pero' non si sa nulla. Da allora sono scomparsi per sempre. I militari, che avevano, e probabilmente hanno, un archivio dettagliato delle persone che erano passate attraverso le loro strutture (piu' di 360 campi di concentramento in tutto il paese) non lo hanno mai reso pubblico. * Oggi soltanto un centinaio di militari e' agli arresti, ma presto i processi saranno riaperti e in Argentina si torneranno a sentire le storie dell'orrore. Senza la riapertura di questi processi non ci sara' democrazia che regga. Le Madri lo sanno da sempre, da quando hanno fatto proprio il destino dei loro figli. "Rovesciando l'insulto di chi le chiamava pazze, hanno imparato a contrapporsi al razionale, all'ordinato, al normato, rivendicando la follia del nominare la verita'... Folle, per loro, e' cio' che e' eccentrico, fuori dal centro stabilito del potere, e il loro essere eccentriche - non piu' sinonimo di confusione e disordine ma di anarchia e inventiva - le fa sentire autorizzate a pensare e mettere in pratica altri modi di cambiare il mondo". Sono loro le Madri di Piazza di Maggio, ma sopratutto sono le degne madri dei desaparecidos, sono quelle donne che con i loro corpi e la loro presenza hanno occupato il vuoto della loro assenza. 3. PAROLE. LUCIANO BONFRATE: ISTRUZIONI PER NON CONVINCERE NESSUNO Dare la baia, saltare sulla panca scandalizzare i semplici, nitrire dalla cattedra, mettere i timbri proporre comitati, pretendere prebende dir zitti tutti che adesso parlo io. Sentirsi investiti del compito sacro di raddrizzar le cianche ai cani, parlare la lingua degli angeli, essersi seduti anche solo una volta alla mensa dei padroni. 4. RIFLESSIONE. BARBARA MAPELLI: ALL'ASCOLTO DI GIOVANI DONNE [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo questo articolo apparso su "Queer", inserto del quotidiano "Liberazione", del 12 giugno 2005. Barbara Mapelli e' nata a Milano l'8 settembre 1947, sposata e madre di un figlio, svolge da anni attivita' di progettazione formativa e ricerca sociopedagogica, con particolare attenzione alle tematiche di genere; in questo ambito ha partecipato e diretto la progettazione e realizzazione di ricerche e iniziative di formazione italiane ed europee. Insegna Pedagogia della differenza di genere presso la seconda Universita' di Milano-Bicocca. Ha collaborato con il Ministero pari opportunita', divisione scuola e cultura, ha fatto parte per dieci anni del Comitato pari opportunita' del Ministero pubblica istruzione e ha diretto, dal 1987 al 2000, l'area di ricerca Genere e educazione presso il Cisem (Istituto di ricerca della Provincia di Milano). Fa parte della redazione della rivista "Adultita'" e su questa ed altre riviste specializzate ha pubblicato articoli e saggi; collabora a numerose riviste di pedagogia e ha diretto la progettazione e realizzazione di video didattici sulle tematiche oggetto delle sue ricerche. Tra le pubblicazioni di Barbara Mapelli: Immagini di cristallo. Desideri femminili e immaginario scientifico, Milano, 1991; Un futuro per le ragazze. Manuale di orientamento al femminile, Firenze,1991; Sentimenti, gesti, parole, Milano, 1992; I modelli e le virtu', Milano, 1994; Desideri e immagini di futuro, Milano, 1994; Care, carissime donne, Roma, 1995; Tra donne e uomini, Milano, 1997; Educare alla sessualita', Firenze, 1998; Il libro della cura, Torino, 1999; Scuola di relazioni, Milano, 1999; Cuore di mamma, Milano, 2000; Orientamento e identita' di genere, Firenze-Milano, 2001] Scrive Silvia Vegetti Finzi che la maternita' e' un grande rimosso della contemporaneita', intorno al quale permane un nodo irrisolto di pensieri ed emozioni. Eppure, a quel che appare, di maternita' si continua a parlare: perche' non si fanno abbastanza figli, perche' li si cura troppo o perche' li si cura troppo poco, abbandonandoli per lunghe ore davanti alla tv, perche' le mamme stanno loro troppo addosso o perche' sono troppo lontane e pensano solo al lavoro e "a fare carriera". Perche', infine, le mamme uccidono i loro figli. E a questo proposito poche, pochissime - ricordo Lea Melandri - sono state le analisi serie, fondate. Prevale un grande "rumore di fondo", come lo definirebbe Foucault, che si trasforma pero' in discorso, normativo e punitivo, dimenticando elegantemente i paradossi da cui si genera, le affermazioni che convivono - e dotate della medesima assertivita' - con le loro stesse negazioni, fino a strutturare un immaginario sociale che, troppo spesso, schiaccia e opprime le donne, le madri e le non madri, costrette a dolorose scelte, alternative tra lavoro e figli, e sospinte poi nell'inesorabile risucchio dei sensi di colpa, che paiono non lasciare soluzioni. Come osserva Marina Piazza, "cattive madri" se si occupano troppo del lavoro, "cattive lavoratrici" se si occupano troppo dei figli. Un equilibrio in tutto cio' appare spesso ricerca vana, desiderio lontano. Questo immaginario sociale potente e pesante si forma a partire da stratificazioni profonde di culture tradizionali, solo in superficie verniciate di modernita', che non sanno (non vogliono) elaborare pensiero sui cambiamenti delle biografie femminili e soffocano e frenano, con le cortine opache dei sensi di colpa, le possibilita' reali di "pensarsi" nella complessita' inedita delle loro vite da parte delle giovani donne, ma frenano anche i giovani uomini, coi loro nuovi desideri di paternita', ancora confusi, mimetici e gregari rispetto ai modelli di maternita'. * Non si avviano cosi', se non in poche e poco ascoltate sedi, vere riflessioni che contribuiscano a formare una nuova cultura della maternita', nuovi modelli e immagini, riferimenti, valori, percorsi collettivi e individuali, ma anche misure sociali, di sostegno e partecipazione concreta e civile a un evento, centrale nelle biografie dei soggetti, ma anche nello sviluppo delle societa'. E' qui che si colloca la rimozione di cui dicevo all'inizio, una rimozione che non si nutre di silenzi, ma di assordanti "rumori di fondo", di chiacchiere e giudizi senza pieta', che non offrono a nessuno gli strumenti per comprendere, lasciano spesso le donne sole, con le loro ansie quotidiane, con le consapevolezze di non corrispondere, di non riuscire ad essere "quella" madre che l'immaginario collettivo rimanda anche a loro, specchiandosi nell'immaginario di ciascuna donna rispetto alla propria personale, vissuta o prefigurata, maternita'. Allora si viene a scoprire - come e' accaduto a me con una recente ricerca svolta tra giovani donne, madri e non madri, di alcune citta' lombarde - e con poco stupore, che tutte desiderano essere madri. E ci si chiede, ma e' una domanda con poche speranze di risposta, se sia un desiderio reale o appartenga a un'immagine sociale che, ancora, da' valore a una donna soprattutto se e' madre. In realta' l'unica risposta di senso sarebbe che il dilemma e' falso, perche' come e' possibile pensare di poter distinguere i cosiddetti desideri autentici dalle immagini sociali che li generano? * E ancora, proseguendo tra le parole delle giovani donne che hanno parlato con noi, ci rendiamo sempre piu' conto che il loro desiderio e vissuto di maternita' e', soprattutto, fatto di fatica, ma anche di "onnipotenza". Vogliono fare tutto e bene, figli e lavoro. Si lamentano che i compagni e mariti sono solo in parte disponibili, ma anche in presenza di "buoni" padri prevale nella maggior parte la valutazione della necessita', considerata scontata e naturale, del mantenimento della centralita' materna, grazie anche - naturalmente - a una vasta area di complicita', timore e incompetenza maschile. Le nonne e i nonni, soprattutto le prime, sono una risorsa necessaria e centrale, cui si ricorre sovente a tempo pieno, in assenza di servizi sociali. Ma spesso, come i "buoni" padri, sono solo mani in piu', la mente resta una sola. E' lei che coordina la piccola truppa che sta intorno al bambino o alla bambina, che sceglie e interviene nella normalita' e nell'eccezionalita', nell'organizzazione quotidiana di tempi e luoghi, negli interventi straordinari, malattie, spostamenti, vacanze. Lei e' la regista, usa proprio questo termine, ironicamente, una delle nostre intervistate, riconoscendosi in questa ansia di onnipotenza, che toglie tempo anche al sonno, consuma ogni energia, non lascia risorse neppure per "pensarsi" come protagoniste di questo straordinario cambiamento, che cambia la vita e il significato dell'esistenza. Molte lo intuiscono e se ne dispiacciono, ma proseguono - non possono diversamente - a intrecciare le trame delle proprie e delle altrui incombenze quotidiane intorno al figlio o alla figlia. Chi riesce a fare dell'ironia in fondo sta abbastanza bene, in fondo e' sola, e soprattutto, stanca. Ma c'e' chi non riesce a orientarsi nei diversi messaggi che l'immaginario sociale getta addosso a una donna come una rete, chi non riesce a comporre o a convivere con le diverse immagini di se', con desideri contrastanti, con dover essere opposti che si scontrano. Sono quelle che "non ce la fanno" come l'ultima, piu' recente, giovanissima donna, accusata di aver ucciso il figlio. Se la generazione di donne a cui appartengo - ora siamo le nonne, vere o virtuali - ha fatto la scoperta della doppia presenza, ormai questo modello spiega solo in parte la vita delle "nuove" donne, impegnate non solo in una composizione continua di tempi e compiti, ma anche di riferimenti simbolici, profondamente contraddittori, che non trovano se non sintesi temporanee e inadeguate, sempre da rivedere, sempre insoddisfacenti. * Se le piu' fortunate riescono a sopravvivere, grazie a condizioni particolarmente favorevoli, alla virtu' dell'ironia - virtu' generazionale e femminile - e all'esercizio quotidiano di un'altra virtu', l'ambivalenza, che consente il mantenimento di desideri, attese di se' legate a immagini profondamente diverse, talvolta laceranti, dell'essere e divenire donne, ci sono, comunque, e sono troppe, quelle che "non ce la fanno". Non sempre sono assassine, naturalmente, molte si limitano a star male, a perdersi di vista, a non capire piu' cosa vogliono, o a mettere da parte, per lungo tempo, questo pensiero. Sole, davanti a un rimosso sociale e culturale che le nega per quello che veramente sono, o potrebbero. Dolenti, nella loro ricerca vana e sofferente di un'onnipotenza che sembra realizzare e comprendere in una figura diversa dell'essere donna. Ma non c'e' per il momento, a differenza forse del passato, un momento di condivisione, una riflessione collettiva, che inizi a denunciare, e colmare, questo rimosso. Che inizi a ricostruire nuove figure dell'immaginario soggettivo e sociale in cui trovino luogo per se' queste "nuove" donne e madri e gli uomini a loro vicini, possibili "buoni" padri. 5. ESPERIENZE. BRUNA PEYROT: ALLE RADICI DELL'ESPERIENZA DI PORTO ALEGRE (PARTE SECONDA) [Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br) per averci messo a disposizione il capitolo quarto, "La sceta della politica", del suo libro La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta Edizioni, Troina (En) 2004. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004. Per richiedere il libro alla casa editrice: Citta' Aperta Edizioni, via Conte Ruggero 73, 94018 Troina (En), tel. 0935653530, fax: 0935650234. Segnaliamo ai lettori che per esigenze grafiche legate alla diffusione per via informatica del nostro foglio, i termini brasiliani sono stati semplificati abolendo tutti gli accenti all'interno delle parole e sostituendo tutti i caratteri con particolarita' grafiche non tipiche della lingua italiana; questo rende la trascrizione di quei termini non fedele ma semplicemente orientativa. I conoscitori della soave lingua portoghese-brasiliana sapranno intuire le soluzioni adeguate, con tutti gli altri ci scusiamo] 2. La lunga marcia nelle istituzioni Gli anni Ottanta rappresentarono una svolta per la lotta democratica in molti paesi dell'America Latina. La resistenza alle dittature aveva generato movimenti sociali sotterranei che, pur nei loro ridotti spazi di sopravvivenza, maturarono nuove consapevolezze politiche, che la generazione di Lula e Tarso avevano portato con se' nella lunga marcia dentro le istituzioni, sull'esempio di Salvator Allende in Cile. Altre ancora furono le costanti che unirono il subcontinente nella scelta democratica: il governo delle municipalita', la resistenza al neoliberismo e la ricerca di alleanze. Proprio quest'ultima questione aveva sollevato polemiche nella sinistra perche' accettarle significava infrangere il mito della sua autosufficienza e l'affermarsi del "valore costitutivo e democratico di un modo di far politica e dei suoi contenuti" (24). In Brasile, i segnali di questo non facile percorso apparvero, oltre che, come abbiamo visto, con il sorgere dei movimenti sociali, anche scanditi in alcuni successi elettorali, ben prima della fine del regime militare, da parte di partiti o correnti che, almeno in parte, rappresentavano i ceti popolari. Successe in quello stato che suole anticipare le tendenze di tutta la nazione, Rio Grande do Sul, con il trabalhismo, movimento che raccolse l'attenzione verso gli svantaggiati sociali e venne definendo la politica del Ptb. Presente dagli anni di Vargas, il trabalhismo ebbe il suo leader indiscusso in Leonel Brizola, piu' volte citato nel nostro racconto, che aveva iniziato la carriera amministrativa, negli anni cinquanta, come responsabile della Segreteria delle Opere Pubbliche del governo di Ernesto Dornelles, governatore di Rio Grande do Sul. C'e' da dire che a Rio Grande do Sul, le dispute elettorali sperimentarono in anteprima le formazioni di Frentes, cioe' coalizioni di partiti. Le due grandi alleanze che si fronteggiarono prima e dopo la dittatura, con sigle diverse dovute a convergenze e scissioni furono soprattutto due: nell'area della destra, la Frente democratica popular poi Alianca Democratica popular, e nella sinistra il Ptb o sue emanazioni come il Movimento Trabalhista Renovador o la Frente de Mobilizacao Popular. Una caratteristica delle Frentes guidate da Brizola fu il loro spiccato radicalismo verbale che, fra i rimproveri del partito comunista, favori' la costante ascesa del Ptb. L'attrazione delle masse insoddisfatte non era solo frutto della veemenza di Brizola che, in realta', seppe accogliere alcune delle loro rivendicazioni. Per esempio, sindaco di Porto Alegre, attuo' un piano di intervento sulla citta' che amplio' la rete scolastica nei bairros, permettendo l'alfabetizzazione di centinaia di persone. Con il Plano de Obras miglioro' trasporti e sanita', interventi che gli meritarono il plauso anche del Manifesto aos trabalhadores e ao Povo do Rio Grande do Sul scritto dai sindacati. Nel 1959, infine, Brizola, diventato governatore di Rio Grande do Sul, continuo' la sua politica sociale. Il Ptb si era trasformato sempre di piu' in un partito socialdemocratico moderno, intenzionato a consolidare la relazione capitale e lavoro mediante un controllo politico della conflittualita' dei lavoratori, cooptati nelle sfide del rilancio dell'economia gaucha sotto la tutela dello Stato, agente di industrializzazione con l'appoggio delle forze popolari che lo avevano eletto. Con un attivismo incontenibile, Brizola intervenne in molti settori. Nella siderurgia fondo' la Acos Finos Piratini a capitale statale, poi la Acucar Gaucho S/A e, nel settore elettrico, la Construcao Eletromecanicas S/A a capitale italiano; in piu', una raffineria della Petrobras per la quale lo Stato diede terreni e incentivi, atti a creare un polo di fertilizzanti chimici. Favori' inoltre contratti per importare aziende di tecnologia per trattori, macchinari agricoli e automobili, nonche la Caixa Economica Estadual e il Banco do Rio Grande do Sul. Infine formo' - piccolo "antecedente" dell'attuale Conselho de desenvolvimento economico e social di Tarso - con le regioni di Santa Catarina e Parana', il Conselho regional de desenvolvimento e il Banco regional de desenvolvimento economico con sede a Porto Alegre. Nei settori dell'energia e delle comunicazioni l'azione statale prese una dimensione politica inquietante per il capitalismo internazionale. La statalizzazione della Compagnia di Energia Elettrica di Rio Grande do Sul, sussidiaria locale della Bond and Share e quella della Compagnia Telefonica Nazionale, sussidiaria della Itt, furono considerate un pericoloso precedente per l'economia brasiliana. La stessa inquietudine suscito' il modo di Brizola di parlare dei contadini, sempre citati come proprietari della terra, mai come servi: idea che favori' i rapporti con il Movimento dei contadini, le cui occupazioni alle fazendas Sarandi, Banhado do Colegio e Pancare' riusci' a risolvere, ma inquieto' molto i latifondisti. Brizola che nel 1961 aveva lanciato la "campagna della legalita'" fu fermato dal golpe che pose fine all'esperienza del trabalhismo, quando anche la borghesia brasiliana aveva optato chiaramente "per la condizione di socia minore dell'imperialismo" (25). Ma il trabalhismo di Brizola si conservo', soprattutto a Rio Grande do Sul, come "capitale politico rispettabile", ripreso dopo la dittatura, quando non si propose piu' come populismo, bensi' come partito, il Ptb, emulo delle grandi rappresentanze europee della socialdemocrazia. Ritroveremo Brizola, eroe solitario, nelle ultime elezioni di Rio Grande do Sul, questa volta avversario del Pt, che pur molto alimento aveva trovato nelle sue radici. Vargas e Brizola sono rimasti ancora oggi nell'immaginario politico due riferimenti imprescindibili, fra luci e ombre del loro agire. Vargas, uomo che sapeva parlare alla gente, aveva gettato le basi per uno stato sociale nella regione piu' europea del Brasile. La sua visione aveva lasciato intravedere alle classi popolari la possibilita' di poter contare. Brizola, piu' massimalista, fu il governatore ribelle di Rio Grande do Sul contro il centralismo dei paulistas, un politico di "transizione" in un'epoca in cui la vocazione del Brasile era ancora incerta fra dittatura e democrazia, fra egemonia nordamericana e autonomia regionale cooperativa del subcontinente. I leader attuali non possono che ricordare entrambi, Vargas e Brizola, l'ultimo populista e l'ultimo caudillo. Dopo il trabalhismo, altre tappe scandirono la lunga marcia nelle istituzioni della Sinistra. Nel 1974 si era verificato un insperato successo del Mdb (26), creato dalla dittatura, che aveva inserito fra le sue fila anche militanti della sinistra estrema che, come Tarso, praticavano la doppia vita, politici ufficiali e membri di organizzazioni clandestine. Con il passaggio della presidenza al generale Geisel e l'avvio dell'abertura, scatto' un momento molto importante per il paese: le prime elezioni, nel 1982, in regime di pluralismo pur istituito sin dal 1979, per eleggere i governatori e i deputati statali oltre che una parte di quelli federali. Per il Pt, ai suoi primi passi dentro le istituzioni, fu un banco di prova, nonostante il rischio di brogli, contro i quali si chiamarono i militanti a vigilare. Gli obiettivi della sua campagna privilegiarono ancora mete ideologiche, anche se non prive di effetti pratici, come la lotta a oltranza contro il regime e l'avanzamento di una societa' senza classi. Non godendo di spazi di propaganda sui mass media, il Pt non poteva che utilizzare l'unica risorsa disponibile: l'intensa militanza, modello che propose anche nell'immagine dei possibili eletti: non caudillos con pieni poteri personali, come succedeva nella maggior parte dei partiti, ma portavoce costanti della loro base. Opzione che nei decenni non fu senza conseguenze, diventando una grande risorsa e un possibile problema. Il Pt, legalizzato solo da due anni, non vinse le elezioni, con un risultato favorevole solo a Sao Paulo, a conferma della sua origine operaia. Un altro momento di valorizzazione delle istituzioni democratiche furono gli anni 1983 e 1984 con la campagna per l'elezione diretta del presidente della repubblica, che infiammo' le piazze brasiliane ancora controllate dalla dittatura. La Diretas ja' mobilito' l'opinione pubblica diffondendo l'interesse per la politica in ogni piu' piccolo centro del paese. Nel 1986 le elezioni politiche, le prime dopo il regime militare, permisero al Pt di eleggere 16 deputati federali e nel 1988, la nomina di Tancredo Neves del Ptb a presidente della repubblica, sembro' rimettere in modo la storia repubblicana. Tancredo purtroppo mori' prima di assumere l'incarico, lasciandolo a Sarney: anche se la dittatura finiva ufficialmente, non sarebbe terminata la sua lunga scia di pratiche politiche poco democratiche. Nel 1988, inizio' anche la propaganda elettorale per le comunali, le prime a cui parteciparono i partiti marxisti esclusi dal 1947. Fu una grande vittoria delle opposizioni, soprattutto nei comuni, dove il Pt avrebbe potuto finalmente dimostrare di sapersi cimentare con il governo. Nello stesso tempo, sarebbe iniziato un profondo ripensamento sul ruolo di un partito propugnatore del socialismo. Gli anni dal 1986 al 1988 furono altri momenti importanti. La convocazione dell'Assemblea Costituente, eletta il 15 marzo 1986, con l'incarico di riscrivere la Costituzione del Brasile fu la nuova parola d'ordine pronunciata da tutte le componenti della sinistra dopo la dittatura: Assemblea libera, sovrana e democratica, con l'intento di smantellare l'apparato statale della dittatura. La proposta della Costituente brasiliana non era nata dalle lotte dei lavoratori, anche se le loro rivendicazioni non le erano estranee. "La Costituente che vogliamo, non e' possibile. Quella possibile non la vogliamo" (27) fu la frase piu' pronunciata nei dibattiti del tempo, insieme alle solite domande sulla possibilita' per uno strumento "borghese" di portare al socialismo. Il 1989, infine, con l'elezione diretta del presidente della repubblica per la prima volta dopo ventinove anni, impresse un nuovo corso alla storia brasiliana. Non era cambiato il sistema sociale ne' l'equilibrio parlamentare. Sulla scena politica era apparso Luiz Inacio da Silva, per la prima volta in corsa alla presidenza della repubblica, che aveva inaugurato l'"era Lula". Le elezioni, le prime dopo ventinove anni, dovevano essere il banco di prova della democratizzazione reale: poche piattaforme politiche, 22 candidati, fra i quali Lula per il Pt e Ulysses Guimaraes per il Pmdb. Lula contava su oltre mezzo milione di iscritti al Pt, un numero considerevole per il Brasile, vista l'estraneita' alla logica clientelare che distingueva il nuovo partito, appoggiato dai comunisti di linea cinese, dai socialisti, dalla Cut, dai movimenti contadino e operaio e dal cattolicesimo progressista. Il Pt manifestava maggiore efficienza del partito di Brizola, principale avversario nell'area di sinistra, perche' entusiasmato da una militanza "totale". Il suo programma, con proposte di aumento del carico fiscale per gli abbienti, utili a finanziare opere pubbliche e politiche sociali, nonche' l'obiettivo di sestuplicare il salario minimo in un quinquennio, suono' alquanto ideologico, mentre Mario Amato, presidente della Fiesp, la Confindustria brasiliana, annunciava la fuga di 800.000 industriali dal paese in caso di vittoria di Lula. Per sua tranquillita' vinse Fernando Collor de Mello, ex governatore dello stato di Alaogas, presentato da un partito da lui stesso creato, il Prn (Partido de Reconstrucao nacional), venduto dalla rete televisiva Globo di Roberto Marinho come "implacabile moralizzatore senza macchia e senza paura" (28). Collor aveva interpretato a suo favore il diffuso malcontento della gente contro la corruzione nella vita pubblica e contro i "maragia'", gli alti funzionari statali accusati di guadagnare senza fare nulla. Dichiarando di non accettare soldi dai partiti, aveva conquistato adepti. La Globo aveva fatto il resto, in un paese in cui la meta' della popolazione non leggeva i quotidiani, il 70% non aveva finito la scuola elementare e sette milioni e mezzo di persone erano analfabete. Collor conquisto' oltre il 28% dei voti, Lula poco piu' del 16%, Brizola il 15,5% e Guimaraes il 4,4%. Al secondo turno, Collor con il 53% vinse Lula al 47%. Come Salinas in Messico, Menem in Argentina, Fujimori in Peru' e Paz Zamora in Bolivia, primi presidenti dopo il ciclo delle dittature, Collor accetto' le regole del libero mercato, dettate da Washington e dal Fmi, tanto che con il suo governo inizio' una delle recessioni piu' terribili della storia latinoamericana, con l'esplosione del debito estero, quasi 500 milioni di dollari e la liquidazione delle spese sociali. Nel 1990, congelo' per un anno i conti correnti e i libretti di risparmio. L'inflazione si fermo' temporaneamente perche' non circolava piu' denaro, per riprendere in modo vertiginoso dopo pochi mesi. Il Brasile raggiunse 32 milioni di indigenti. Collor, il "moralizzatore" non termino' il mandato, travolto dagli scandali delle tangenti ricevute in campagna elettorale. Lo sostitui' il vice Itamar Franco, che non cambio' strategia economica. Il Pt, intanto, al governo delle citta', dovette ripensare, nell'infuriare delle politiche neoliberiste, la propria strategia. La diseguaglianza fra chi ha un lavoro e chi e' costretto a soffrire la fame, fra chi prosegue gli studi e chi vive nelle strade, fra chi vota e chi non ha neppure registrato la propria nascita, non puo' essere elusa. L'inclusione sociale da un lato e le alleanze politiche dall'altro sono state i due estremi, a volte molto tesi, entro i quali si mosse la ainistra latinoamericana e il Pt brasiliano. Come cambiare davvero qualcosa in questa societa' diseguale? In nome di chi i socialisti devono governare? Per la sola parte che rappresentano? Per tutta la cittadinanza? Tarso propose "il rivendicarci rappresentanti di una amministrazione per tutta la citta' (concezione universalista), secondo un'ottica (particolare) dei lavoratori e degli altri strati popolari" (29). Le domande erano l'approdo di un percorso scadenzato, in ordine: dal ribollire sotterraneo delle pratiche democratiche durante la dittatura, poi la loro proposta in forma strutturata con la liberalizzazione e, infine, le elezioni politiche riconquistate nella Nuova Repubblica. Questo stesso percorso, quale tipo di cultura politica aveva sedimentato nella societa' brasiliana, abituata ai rapporti clientelari e alla contrapposizione frontale dei gruppi di estrema sinistra e dei movimenti sociali? In altre parole, l'accettazione della democrazia da parte dei brasiliani, dopo molti decenni di mobilitazione antiautoritaria, aveva cambiato la cultura politica del paese? In America Latina, molte democrazie si presentarono subito deboli, scosse da potenti fattori destabilizzanti, spesso agiti con il consenso di un'opinione pubblica frusrtata dalle speranze disattese di un nuovo ordine di pace: ruolo egemone delle forze armate, spesso contigue a formazioni paramilitari, come in Colombia, e poco inclini ad abbandonare la loro influenza sui governi eletti dal popolo; inflazione cronica che ne' il "piano Cavallo"(1990) in Argentina, ne' il "piano Real" in Brasile avevano potuto contenere; smantellamento dell'economia statale per pagare il debito estero; crisi di governabilita' da parte di uno stato incapace di esercitare controlli sugli oligopoli e mediare l'interesse del paese con le grandi multinazionali. Tutte queste dimensioni svuotarono la cittadinanza data dalle Costituzioni. Le democrazie restarono un semplice esercizio di voto, spesso manipolabile, in un'era mediatica in grado di influenzare i pensieri dei consumatori "globali". I passaggi post regimi autoritari sono andati verso qualche altra "cosa", imprecisa e indeterminata, di cui non si e' capito a fondo il vantaggio, denominata democrazia. Si puo' dunque comprendere il disincanto di molte fasce della popolazione che al suo avvento avevano creduto in una qualita' di vita migliore. Una ricerca, riferita alla prima meta' degli anni Novanta in Brasile, offre importanti spunti di riflessione su come si possano costruire le basi sociopolitiche di una legittimita' democratica (30) che va molto oltre il semplice atto di pattuirne le norme di base. Essa introduce un cambiamento comportamentale degli attori sociali, nel senso di riconoscere che le istituzioni democratiche sono l'unico mezzo disponibile per controllare i loro conflitti, nonostante le loro crisi di funzionalita'. In altre parole, come sostiene Norberto Bobbio, la resistenza democratica di una societa' si basa anche sulla consapevolezza che sia meglio una brutta democrazia che un regime autoritario, perche' "la democrazia e' fra tutte le forme storiche di governo, la piu' egualitaria" (31). Cio' detto, non si risolvono affatto tutti i problemi, perche' la democrazia e' un processo lungo, difficile e molto complesso, che richiede la creazione di istituzioni in grado di compiere le sue finalita', compresa la diffusione di una cultura democratica nel paese. Basti pensare alla conoscenza della Costituzione italiana che, almeno fino agli anni Sessanta, non era neppure menzionata, se non di fretta, nei libri delle scuole di ogni ordine e grado, abdicando a uno dei suoi stessi assunti: la formazione democratica. Per quanto riguarda il Brasile, la ricerca citata segnala una concomitanza di fattori alla base dell'emergere di una nuova cultura politica d'impronta democratica: il terrore di stato come esperienza profondamente negativa che ha colpito la maggioranza del popolo brasiliano; la divisione delle elite fra ipotesi autoritaria e democratica; la coincidenza dell'"apertura" del regime militare con la crisi economica e le rivolte guidate dai metalmeccanici di Sao Paulo. Queste condizioni hanno preparato azioni comunitarie e impresso nuove soggettivita', che a loro volta hanno prodotto nuova coscienza politica, orientata a scegliere, nonostante il disincanto verso l'etica di molti suoi rappresentanti, il modello democratico. Le tappe di quella che abbiamo definito la "lunga marcia nelle istituzioni", descritta in precedenza, rappresentano altrettante occasioni di consolidamento del pensiero democratico collettivo, arrivando, secondo la ricerca citata, a una percentuale di assenso oltre il 50% degli intervistati. Le grandi mobilitazioni scatenate in occasione delle elezioni, possibili perche' era finito il regime, avevano rafforzato l'idea che la democrazia fosse un valore in se', e che solo questo prerequisito avrebbe permesso altre conquiste. Nemmeno l'apatia di Sarney, ne' la corruzione di Collor de Mello, inficiarono questa convinzione profonda. Sempre la ricerca in questione, analizza ancora il favore goduto in Brasile dai partiti politici, prima espressione della costellazione democratica rappresentativa, che ottenne il massimo dell'assenso nel 1982, data delle prime elezioni dopo la dittatura e il minimo nel 1993 con l'impeachment di Collor, ma scesero sempre di poco sotto la media del 50%. Cio' significo' accettare che la natura conflittiva degli interessi nazionali fosse canalizzata nelle istituzioni esistenti attraverso la pluralita' partitica, piuttosto che con l'imposizione di una forza, compresa quella delle Forze Armate, sull'altra. Un altro dato interessante e' la scoperta dell'inscindibile relazione fra livello di scolarita' e opzione democratica, non tanto perche' chi non ha un titolo di studio sceglie la dittatura, quanto piuttosto perche' chi non ha avuto almeno qualche anno di formazione scolastica si assesta sull'indifferenza del "tanto faz", tanto e' lo stesso. In modo particolare, le donne si rivelano piu' democratiche se inserite nei processi produttivi, se restano casalinghe sono indifferenti alla forma politica di governo, come se il loro essere dimenticate nello spazio domestico le rendesse mute al discorso politico generale. Questi dati sono molto significativi nell'indicare l'efficacia della strada dell'inclusione sociale per il consolidamento dei valori e delle pratiche democratiche. Del resto non sono rimasti solo dati. A Porto Alegre si e' tentato, negli anni novanta, di irrobustirli attraverso forme di partecipazione attiva, suscitate dal governo del Pt di Olivio e Tarso. * Note 24. Di Santo D., Il Quinto Movil delle sinistre latinoamericane, "Amanecer", giugno 1997. 25. Pont R., Da critica ao populismo a' construcao do Pt, Porto Alegre, 1985, p. 35. 26. Gia' con il governo Geisel, nel febbraio 1978, dentro il Mdb gaucho si era formata Tendencia Socialista, con l'intento di intervenire sulla questione della terra e le richieste del movimento operaio. Ne fu leader Raul Pont, formatosi nel movimento studentesco del 1968. Preso e torturato nel 1971, resto' nelle prigioni del regime per due anni. Pont fu anche fondatore e, negli anni Ottanta, segretario generale del Pt di Rio Grande do Sul. Contro l'individualismo partitario e il clientelismo, la Tendencia, che stabili' contatti con altri nuclei a Sao Paulo, a Minas con Convergencia Socialista e a Rio de Janeiro con la Frente Popular Eleitoral, propose un "progetto sistematico che orienti nell'insieme i militanti". Ivi, p. 64. 27. Ivi, p. 105. 28. Di Santo D., Summa G., Rivoluzione addio. Il futuro della "nuova sinistra" latinoamericana, Roma Ediesse, 1994. Prefazione di Furio Colombo, p. 23. 29. Genro T., Esferas da consciencia, Porto Alegre, Editora Tche, 1989, p. 16. 30. Moises J. A., Os brasileiros e a democracia, Sao Paulo, Editora Atica, 1995. 31. Bobbio Norberto, Democrazia, in Angelo d'Orsi (a cura di), Alla ricerca della politica, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 5. (Parte seconda - Segue) 6. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: E INVECE Si', si vorrebbe potersi dimenticare dell'Afghanistan. Ed invece e' luogo e vicenda che almeno da un quarto di secolo deflagra ed erutta una mole immane di dolore e sciagura, e ci interroga, ci sfida, ci convoca a un impegno comune. Quanto sangue e' gia' stato sparso: dall'invasione dell'Armata rossa, la guerriglia tribale e fondamentalista, un certo Bin Laden armato e sostenuto dagli Usa contro l'Urss, poi il regime dei talebani, e dopo l'11 settembre 2001 l'inizio della guerra infinita; e sempre i signori della guerra, e sempre un patriarcato criminale; e sempiterna la coltivazione dei papaveri da oppio, la materia prima del mercato mondiale dell'eroina: l'eroina, che insieme alle armi e al traffico di esseri umani ridotti in schiavitu' o - sbranati - a pezzi di ricambio, e' l'orribile cifra, il simbolo infame di questo mondo ridotto ad inferno: la merce perfetta, il sogno del capitale se il capitale per un sia pur minimo lasso di tempo dormisse e interrompesse la cupa incessante macelleria di cui consiste l'accumulazione crescente del plusvalore in danno della biosfera e delle vite umane. L'Afghanistan, primo produttore mondiale di eroina, il piu' grosso affare dei poteri criminali transnazionali, ci riguarda tutti. Poiche' quella barbarie e' la nostra barbarie, quelle uccisioni sono le nostre uccisioni, quell'incubazione ed eruzione di mortifero veleno siamo noi a determinarla. Con il nostro stile di vita dissipatore e devastatore, con il nostro ripugnante privilegio pagato dagli altri con la paura la miseria la fame e la morte, con il nostro razzismo di onnivori rapinatori venuti dalla terra del tramonto a impestare e vampirizzare lungo i secolo gli sterminati sud ed orienti del mondo. Con la nostra indifferenza, con la nostra complicita'. Ci riguarda, l'Afghanistan. La lotta per la pace, la lotta per il disarmo, la lotta contro la mafia, la lotta contro il maschilismo, la lotta contro la fame, la lotta contro lo sfruttamento, la lotta contro l'inquinamento, la lotta contro le dittature, la lotta contro il razzismo: sono una stessa lotta. 7. PAROLE. BENITO D'IPPOLITO: LE DONNE DI KABUL [Il nostro amico Benito D'Ippolito aveva gia' scritto queste righe alcuni giorni fa, ma non aveva cuore di pubblicarle prima che Clementina Cantoni fosse salva] Tu non sapevi che le donne di Kabul negate, crivellate, avvolte in tenebre stavano rovesciando la storia. Tu parli, tu parli, tu parli e loro erano gia' la nonviolenza in cammino. 8. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA LEZIONE DI JEAN GOSS Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto della lezione di Jean Goss. * "La nonviolenza spinge l'uomo verso la propria liberta'" (Jean Goss, in Gerard Houver, Jean e Hildegard Goss. La nonviolenza e' la vita, Cittadella, Assisi 1984, p. 119). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 966 del 19 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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