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La nonviolenza e' in cammino. 965
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 965
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 18 Jun 2005 01:14:15 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 965 del 18 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Letture: Mario Lopez Martinez (dir.), Enciclopedia de Paz y Conflictos 2. Ida Dominijanni: Dopo la caduta 3. Bruna Peyrot: Alle radici dell'esperienza di Porto Alegre (parte prima) 4. Gianpasquale Santomassimo presenta "Dopo il tempo del furore" di Giorgio Agosti 5. Con "Qualevita", la lezione di Martin Luther King 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. LETTURE. MARIO LOPEZ MARTINEZ (DIR.): ENCICLOPEDIA DE PAZ Y CONFLICTOS Mario Lopez Martinez (dir.), Enciclopedia de Paz y Conflictos, Instituto de la Paz y los Conflictos, Universidad de Granada, Granada 2004, 2 voll., pp. complessive LXXVI + 1.228, s.i.p. Diretta da uno dei piu' illustri studiosi della pace e della nonviolenza, docente di storia contemporanea e direttore dell'Istituto sulla pace e i conflitti dell'Universita' di Granada, e' un'opera monumentale cui hanno contribuito oltre cento studiosi tra cui molti di prestigio internazionale (tra cui, italiani o operanti in Italia, Antonino Drago, Rosa Maria Grillo, Alberto L'Abate, Mercedes Mas Sole', Giuliano Pontara). Torneremo a parlarne piu' dettagliatamente nei prossimi giorni, auspicando anche che venga presto tradotta in italiano. 2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: DOPO LA CADUTA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 giugno 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista] Quindici anni e piu' di spoliticizzazione della societa' italiana precipitano in quella cristallina cifra del 25,9% di cittadini e cittadine italiani che hanno ritenuto utile esprimersi sulla legge sulla procreazione assistita. Cifra cristallina, e sconfitta cristallina per chi, noi compresi, aveva creduto nel referendum non solo per correggere una pessima legge, ma anche per imporre all'attenzione pubblica un tema importante e i suoi importanti risvolti politici. Tecnicamente, sarebbe stato meglio attendere che la legge venisse bocciata - come prima o poi accadra' - da una pronuncia della Corte. Tatticamente, sarebbe stato meglio affidarsi al solo quesito abrogativo complessivo, quello proposto dai radicali e bocciato dalla Consulta, piu' chiaro e piu' comunicabile dei quattro quesiti parziali, troppo oscuri e troppo tecnici. Ma ormai non e' questo il punto. E non e' nemmeno l'usura dello strumento referendario, che pure c'e' e pure domanda una riforma, ma non puo' diventare un alibi - l'ennesimo alibi da ingegneria istituzionale - per non leggere piu' spietatamente il risultato. Il punto e' che la valenza generale, culturale e politica, del referendum non e' passata nell'opinione pubblica, che evidentemente l'ha vissuto come una marginale consultazione su una questione di pochi e per pochi (fatti loro), o peggio, come un sibillino regolamento di conti interno alle due coalizioni che si contendono il governo del paese. Il che vuol dire pero' che il fronte referendario non e' riuscito a comunicare nemmeno al suo elettorato di riferimento l'importanza dirimente delle poste in gioco che la materia della procreazione assistita trascinava con se': liberta' personali, laicita' dello Stato, qualita' della legiferazione, statuto della maternita', della paternita' e della famiglia, rapporto fra politica, scienza e diritto nel governo della vita. S'era gia' visto del resto negli otto anni di iter della legge: a sinistra mancava un discorso all'altezza della sfida bioetica, non subalterno al moralismo cattolico e non ossessionato dalla contrapposizione o dalla mediazione con le gerarchie vaticane. E' in questo vuoto che i fondamentalismi attecchiscono, non solo in Italia; e' in questo vuoto che le "guerre culturali" prosperano, seminando certezze sull'Embrione, la Vita, Frankenstein, e gettando nel discredito l'intera tradizione critica della modernita'. Non e' l'antico conflitto fra laici e cattolici, Repubblica e Vaticano, Peppone e Don Camillo. E' una nuova mappa delle appartenenze in cui il tradizionalismo cattolico si salda con la rivoluzione conservatrice dei teo-con: una miscela aggressiva che consente alla Cei di cantare vittoria contro "l'assioma modernizzazione-secolarizzazione", spalleggiata dai nuovi intellettuali atei che recitano cinicamente il Verbo di Dio. L'America che ha premiato Bush e' arrivata in Italia? Si direbbe di si', ma con molta convinzione in meno e molta indifferenza in piu': la' si contavano voti con le percentuali di partecipazione in salita, qui contiamo astensioni con i quorum in discesa. Il nuovo fondamentalismo germoglia nel deserto dell'apatia e del disincanto. Malgrado la convinzione spesa nella campagna referendaria dalle principali testate nazionali della carta stampata, segno inequivocabile di una rottura allarmante nel circuito di formazione dell'opinione pubblica, forse ormai irreversibilmente prigioniera dell'audience televisiva. E segno altresi' di una crisi di rappresentazione, prima che di rappresentanza, della societa', diventata imperscrutabile nei suoi umori e nelle sue oscillazioni. Quand'e' cosi', e' da un paziente lavoro culturale che la politica deve ripartire: preoccupandosi di incollare le parole all'esperienza, prima che i leader alle sigle di partito e di coalizione. 3. ESPERIENZE. BRUNA PEYROT: ALLE RADICI DELL'ESPERIENZA DI PORTO ALEGRE (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br) per averci messo a disposizione il capitolo quarto, "La sceta della politica", del suo libro La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta Edizioni, Troina (En) 2004. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004. Per richiedere il libro alla casa editrice: Citta' Aperta Edizioni, via Conte Ruggero 73, 94018 Troina (En), tel. 0935653530, fax: 0935650234. Segnaliamo ai lettori che per esigenze grafiche legate alla diffusione per via informatica del nostro foglio, i termini brasiliani sono stati semplificati abolendo tutti gli accenti all'interno delle parole e sostituendo tutti i caratteri con particolarita' grafiche non tipiche della lingua italiana; questo rende la trascrizione di quei termini non fedele ma semplicemente orientativa. I conoscitori della soave lingua portoghese-brasiliana sapranno intuire le soluzioni adeguate, con tutti gli altri ci scusiamo] Porque antes Existe terra arida Lavouras e messes E depois o caminho A nossa imagem E semelhanca (Tarso Genro, Primeira Cancao) Uniformita' e diversita' non sono solo modi diversi di uso della terra, ma anche modi di pensare e modi di vivere" (Vandana Shiva, Monoculture della mente) 1. Il contropotere dei movimenti L'abbattimento di una dittatura non porta automaticamente un ordine democratico. Tutti i cosiddetti ritorni alla democrazia in realta' non lo sono, perche' la societa' deve ridefinirsi con lunghi processi di rieducazione al dialogo, affinche' il germe autoritario, penetrato profondamente nella trama sociale delle societa' colpite da regimi autoritari oltre che nelle strutture istituzionali, possa essere estirpato. Vecchie abitudini hanno bisogno di tempo per essere estirpate, mentre le nuove stanno crescendo. Il passaggio da regime militare alla "Repubblica Nuova", in realta' di nuovo ebbe poco. La democratizzazione del Brasile non fu gestita da un leader dell'opposizione storica, ne' da un esponente dei partiti esiliati. Il presidente Sarney, fiancheggiatore della dittatura, continuo' a mantenere la sua ombra sul nuovo corso che pur si trovo' a rappresentare, un passaggio che, non essendo avvenuto con una rottura violenta, aveva mantenuto scarsa articolazione fra i bisogni della societa' civile e i suoi possibili canali di rappresentanza. Il Brasile aveva bisogno di un nuovo patto sociale, ma come arrivarci nella societa' politicamente polarizzata lasciata in eredita' dai generali? Nel 1986, Sarney lancio' il Plan Cruzado: una serie di misure economiche che congelarono prezzi e salari. Gli operai per qualche tempo recuperarono la liberta' di contrattare aumenti con gli imprenditori, i cittadini la possibilita' di denunciare agli uffici preposti gli abusi sui prezzi. Furono misure che ricevettero subito l'appoggio popolare, tanto che questo successo spiazzo' i partiti critici verso il Plan, che finirono per sostenere Sarney il quale, consolidato il potere, smenti' l'amore per le masse, liberalizzando i prezzi e comprimendo drasticamente il loro potere d'acquisto. In questo clima di incertezza riprese il corporativismo come forma di tutela degli interessi di molti strati sociali, spinti a interpellare direttamente lo Stato senza passare attraverso i canali di intermediazione di partiti e sindacati. Cio' nonostante, dopo diciannove mesi di aspri dibattiti, l'Assemblea Costituente emano', nel 1988, la nuova Costituzione che risulto' avanzata in materia di diritti individuali, stato sociale, diritto al lavoro, liberta' sindacali, culture indie e federalismo. Concesse il voto agli analfabeti e abbasso' la soglia necessaria a votare ai sedici anni. Almeno sulla carta, si delineo' un sistema di democrazia mista, partecipativa e rappresentativa che avrebbe dato i suoi frutti, come vedremo, nel decennio successivo. L'anno dopo all'entrata in vigore della Costituzione furono indette le elezioni comunali. I partiti conservatori trionfarono nelle campagne arretrate, l'opposizione nei centri urbani. Le sinistre, formate da Pt e Pdt, con il Psdb (Partido da Social Democracia Brasileira nato dalla scissione con il Pmdb) vinsero nelle citta' principali, conquistando Rio de Janeiro, Sao Paulo e Porto Alegre. La societa' civile che, come un fiume carsico, si era riorganizzata durante la dittatura con un continuo prodigarsi in comitati di quartiere, favelas, gruppi tematici, associazioni comunitarie, partiti, sindacati e comunita' ecclesiali di base, guadagno' la luce del sole. I cosiddetti "movimenti sociali" furono la novita' piu' interessante della transizione democratica. Spostando lentamente la lotta politica fuori della clandestinita', grazie alla costruzione di un appoggio popolare saldato alla battaglia giuridica di avvocati come Tarso, seppero trasformare in diritto universale gli obiettivi particolari di cui erano portatori, cambiando lo stesso modo di fare politica. I movimenti, classificabili secondo Cuevas (1) in rivendicativi, contestatari e umanitari, con forme di mobilitazione spontanea, difesero la "ricchezza delle piccole cose" (2), beni comuni come l'acqua o la coltivazione del mango, una mensa pubblica o il diritto alla casa, oppure beni immateriali come il diritto a pensare la teologia. Sovente i movimenti nacquero per reazione a un diritto mancato che scatenava la solidarieta' fra chi lo aveva patito. La lotta per la sopravvivenza diventava all'istante protesta politica, che da caso locale si estendeva a territori sempre piu' vasti, fino ad acquisire una dimensione internazionale. In queste nuove aggregazioni, si distinsero le donne. Utilizzando la loro capacita' di gestione del quotidiano, seppero trasformare i gesti del privato (battere le pentole, scrivere denunce sulle lenzuola, preparare pasti per gli indigenti...) in azioni politiche di resistenza, che pretendevano una risposta non dilazionata alle loro richieste. Un esempio fra i tanti che animarono il Brasile e' il Mst (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra), che puo' vantare illustri predecessori da almeno cinque secoli, come i Quilombos, schiavi fuggiti dalle piantagioni di canna da zucchero, i Cabanagem del Para' (3) e i Canudos, monaci guerrieri del Contestado, nome con il quale si definiva il territorio conteso fra Parana' e Santa Catarina. La distribuzione della terra e' il dramma di sempre dell'America Latina, dall'epoca della conquista spagnola e portoghese. In Brasile, terra significa poverta' per gli uni, ricchezze incalcolabili per altri. Prima la rapinarono i colonizzatori, poi la sfruttarono i latifondisti, infine i finanzieri delle multinazionali. Nel gruppo dei latifondisti si trovano le oligarchie rurali e militari che, con la legge n. 601 del 1850, promulgata da Dom Pedro II, detta "la prima Legge della Terra", avevano ottenuto titoli di possesso in cambio di una tassa al sovrano, procedimento che escluse chi non poteva pagare tale "legalizzazione". Ai latifondisti si integrarono successivamente, nel corso delle generazioni, i gruppi commerciali, finanziari e industriali che durante la dittatura ebbero la possibilita', come fece il milionario nordamericano Daniel Ludwig per la sua "Jari Agropecuaria" nello stato di Amapo', di impossessarsi del patrimonio terriero dello stato (4). Il risultato fu che piu' di 80 milioni di ettari permangono, a tutt'oggi, "terre incolte" nei latifondi. Il Mst ha raccolto la speranza di una riforma agraria - il Brasile e' uno dei pochi paesi latinoamericani in cui non si e' mai fatta - che restituisca queste terre a chi le potrebbe coltivare per la propria dignitosa sopravvivenza. Nato ufficialmente nel 1984, attraverso i suoi congressi annuali, ha lanciato parole d'ordine che, proprio come i solchi tracciati nella terra per prepararla alla semina, hanno fatto germogliare una nuova visione del mondo contadino, politicizzato e protagonista di se'. Da "occupare, resistere, produrre" del 1989 a "Per un Brasile senza latifondo" del 2000, i Sem Terra hanno costruito una grande famiglia elettiva in cui "l'insediamento, ponendosi come universo sociale, e' sede della maggior parte delle reti di relazioni interpersonali di coloro che ne fanno parte" (5). Questo mondo rurale emarginato e' riuscito a rifondarsi in una piccola societa' dentro un grande continente, elaborando nuove economie agricole che recuperano l'integrita' dei sistemi organici legati ai saperi della natura, e mantenendo viva la memoria delle lotte per la difesa della terra. Questa tradizione fu un cammino cosparso di lutti, a causa delle molte vittime dei massacri militari (6) e degli assassinii, ordinati dai proprietari dei latifondi, di molti attivisti (7). Presso i Sem Terra non vinse, tuttavia, la logica bellicista, pure presente. Fiduciosi nei "Dieci principi di democrazia della terra", enunciati da Vandana Shiva (8), hanno ottenuto un proprio sistema formativo, con quasi 2.000 scuole negli insediamenti e corsi universitari specializzati per docenti destinati alle loro zone. Il Mst, con piu' di 5.000 militanti presenti in quasi tutti gli stati della federazione brasiliana, non e' il piu' grande fra i movimenti contadini, certo pero' e' il piu' conosciuto, soprattutto dopo la marcia del 18 febbraio 1997 a Brasilia, con tre carovane partite dagli stati di Minas, Sao Paulo e Mato Grosso: quarantamila persone che chiesero al Brasile maggior giustizia sociale. Il Mst, retto da un Congresso Nazionale che si riunisce ogni cinque anni, da un Consiglio Statale che si incontra ogni anno, da un Coordinamento Nazionale di un centinaio di membri, in seduta ogni tre mesi e da una Direzione Nazionale di ventitre membri, e' impegnato in un progetto di pedagogia di massa che intende educare il popolo contadino nel momento stesso della lotta per la terra, attraverso una sperimentata metodologia di azione. Il processo delle occupazioni delle terre, infatti, segue una serie di fasi ben precise: il censimento delle famiglie espulse dalle campagne, la verifica dell'intenzione di tornarvi, l'individuazione di un latifondo che si possa espropriare con la legislazione vigente (9), l'occupazione attraverso un assentamento e poi, se il diritto di acquisizione e' riconosciuto, la sua trasformazione in accampamento stabile con case e coltivazioni. La fase dell'assentamento e' particolarmente delicata perche' si tratta di ampliare il numero degli aderenti per costruire un gruppo solido di nuove leve. E' un momento interessante che testimonia i cambiamenti nella composizione sociale del Mst. Se all'inizio, infatti, avevano aderito piccoli proprietari terrieri espropriati, in seguito arrivarono i rururbani coloro che, pur abitando in citta', accettavano di lavorare in campagna a giornata. Questo pendolarismo alla rovescia, diverso da quello che tradizionalmente aveva portato la campagna verso la citta', con l'urbanizzazione di intere fasce contadine, ha cambiato l'immaginario sociale della figura del lavoratore della terra. Dice Joao Pedro Stedile, leader del Mst, nato a Rio Grande do Sul e figlio di piccoli agricoltori di origine italiana emigrati dal Veneto: "possiamo considerare lavoratore rurale chi vive in funzione della comunita' rurale, indipendentemente dalla sua professione" (10). L'essere "attaccato alla terra come a una parte del corpo" (11) suggeri' nuove pratiche democratiche che non coincisero solo con modi di governo quotidiano delle comunita'. Presso di loro germoglio' il seme, gettato nei decenni precedenti, del movimento educativo di Paulo Freire (12), adottato trasversalmente da associazioni, sindacati, comunita' ecclesiastiche, universita' e scuole, da quanti avevano scoperto la necessita' di un'azione pedagogica che, insieme a leggere e scrivere - il Brasile era afflitto ancora dal 50% di adulti analfabeti - rafforzasse il pensiero critico e la valorizzazione di se' a fondamento di una vera cittadinanza democratica. Era un'idea che rivoluzionava il significato della cultura, fino a quel momento ancora un bene elitario e chiuso nei teatri e nelle accademie. Freire la reinventava, spazio di azione per l'uomo e la donna, con i loro vissuti personali e le loro molteplici dimensioni di socialita', compreso il recupero delle tradizioni popolari, dalla musica al teatro, dai saperi locali alle antiche forme di autogestione comunitaria: percorsi che avevano restituito radici a un'identita' collettiva spesso cancellata dai linguaggi oppressivi delle colonizzazioni. "Il Brasile e' la nostra terra", "il popolo pensa", e parole della vita quotidiana della gente: granturco, fatica, legno, fame... per "dare un nome al mondo" nel quale si era veri protagonisti (13). La prima esperienza sul campo del metodo Freire parti' nel 1963, ad Angicos nel Rio Grande do Norte, con il Pna (Programa nacional de alfabetizacao de adultos) un programma di acculturazione per adulti, lanciato dal governo di Joao Goulart, che aveva previsto la creazione di 20.000 Circoli di Cultura per due milioni di analfabeti. Nel 1963 Freire era stato anche nominato direttore del Servizio dell'educazione per gli adulti, un dipartimento creato dal ministero dell'Educazione, ideatore del Pna. Il progetto prosegui' fino al 1968, nonostante il regime militare, che cerco' in ogni modo di distruggere quella pratica educativa libertaria, foriera di ribellismi contro l'ordine costituito. La mobilitazione verso le campagne del Nordeste arido e povero, delle favelas, per le strade dei paesi e nel sertao, mitico luogo "di mezzo", coinvolse i giovani universitari che volontariamente avevano accettato la sfida dell'alfabetizzazione del loro popolo. Un'intera generazione, quella del '68, stava capovolgendo il tradizionale ruolo che il futuro le aveva preparato: governare un paese latinoamericano al servizio dei latifondisti e dei nuovi, pochi, ricchi capitalisti. Aveva scelto di girare il Brasile, nuovo mondo da scoprire, "sulla strada", sull'esempio dei viaggiatori di Jack Kerouac, metafora della ricerca anche di se stessi, nel Vecchio come del Nuovo Mondo. Prima la rete scolastica, poi la chiesa, infine i sindacati e la sinistra, nel corso dei decenni, scoprirono l'immenso valore del metodo Freire, maieutica continua e "invenzione del dialogo" (14) che riporta la vita, smontata dalle sue croste ideologiche e ingabbianti, al suo essere sempre un'interrogazione della realta'. Il metodo Freire forni' ai movimenti una metodologia partecipativa (15) che aveva permesso ai movimenti di realizzare quella profonda cultura della cittadinanza recepita dall'Assemblea Costituente. Tuttavia, una Costituzione non insegna a governare, ne' garantisce automaticamente i principi che proclama. Assicura, nel migliore dei casi, valori da realizzare attraverso una grammatica legislativa che regolamenta la societa'. Ne' bastano i partiti a garantire il procedere democratico, tanto che in, America Latina, sorsero prima della democrazia, come espressione degli interessi della classe creola. Quando l'ispirazione ideale delle Costituzioni contemporanee deve essere tradotta in pratica, si accende lo scontro fra gli antichi principi di uguaglianza, liberta' e fraternita', e i privilegi plurisecolari dei potenti. Cosi' successe in Brasile. La Costituzione del 1988, "atto di ricompensa politica e giuridica del nostro popolo, nel farsi Brasile, forse per la prima volta un Brasile dei brasiliani" (16) rappresento' l'atto fondativo della repubblica persa con la dittatura. L'articolo primo recita: "La Repubblica federale del Brasile, formata dall'unione indissolubile di Stati e Comuni e dal Distretto federale, si costituisce in Stato Democratico di Diritto e prende a suoi fondamenti: la sovranita', la cittadinanza, la dignita' della persona umana, i valori del lavoro e della libera iniziativa, il pluralismo politico" (17). Il governo Collor de Mello che per primo doveva attuarli, fu anche il primo a disattenderli: 1.779 decreti legge soppiantarono il dibattito al Congresso (18), alla fame atavica di cinque milioni di brasiliani non si rimedio', ne' si blocco' la strada alle multinazionali che continuarono a impadronirsi delle risorse del sottosuolo. Intanto, l'impegno a riattivare percorsi democratici, dopo la dittatura, indusse la generazione brasiliana nata negli anni cinquanta e formatasi alla scuola marxista, alla definitiva presa di distanza dal socialismo reale, apparso in tutta la sua drammaticita' nel 1989, con la caduta del muro di Berlino. Tarso pubblica, in quello stesso anno, Esferas da consciencia (19), dedicato al fratello perduto, del quale assume la preoccupazione etica. Tarso affronta alcuni temi cruciali: la democrazia come valore universale, la relazione fra etica e politica e lo stile dei rapporti personali in politica. Li esamina a partire da se', dalle intuizioni che improvvisamente illuminano un problema: "la risoluzione sorge quando, in un momento di dubbio, una frase, una personaggio, una situazione drammatica, orienta il nostro volere verso una direzione" (20). Tarso parla dei libri che "trasfigurano i nostri pochi gesti di grandezza" (21). Il Faust di Goethe, La condizione umana di Malraux e Memorie di un rivoluzionario di Victor Serge, lo hanno portato oltre la brutalita' della tortura e della guerra. Tarso, tuttavia, non puo' mai limitarsi a una visione interiore. Ogni pensiero, se ha radice nella sua anima, subito prende la via del farsi storia, si rende politico nel confronto con la comunita' di riferimento: la sinistra. Rispetto a questo referente, gli preme togliere la democrazia dall'ambiguo disvalore in cui spesso i militanti l'hanno confinata, considerandola semplicisticamente un valore borghese che nasconde gli interessi del capitale. La democrazia, ribadisce, comprende tre significati: e' una forma di governo, un movimento sociale e un concetto giuridico. Dentro queste tre forme, ugualmente necessarie, si possono tessere nuove alleanze, senza ricorrere a rivoluzioni e guerre civili per realizzarle e senza aver bisogno di un soggetto guida sul tipo della marxiana classe operaia. Tale questione animo' i dibattiti interni del Pt, soprattutto dopo il suo ingresso nei governi locali. La ricerca, tuttavia, che tormenta Tarso e' mossa da una motivazione piu' profonda ancora: il rapporto fra etica e politica. Il ragionamento e' rigoroso. Egli dice: quando i militanti sono in contrasto, la disputa, nonostante la precedente amicizia, sembra essere definitiva, la separazione "per sempre" fra i due gruppi o i due protagonisti e' data per scontata. Perche' succede questo? Perche' avviene, continua Tarso, la coincidenza di giudizio politico e giudizio morale, e "non a caso nella sinistra marxista, l'etica politica, prima determinata da sistemi di idee a confronto, patisce una nuova interferenza. La tensione delle relazioni personali sostituisce i principi e il rispetto dei principi diversi dal proprio" (22). Chi e' dentro il movimento socialista non puo' esimersi dal pensare le proprie relazioni, perche' contengono il futuro che si vuole costruire. Quando il giudizio politico formulato su un soggetto si sovrappone a quello morale, ne determina il destino dentro o fuori il gruppo politico di appartenenza. Questa identificazione non appartiene pero' all'utopia socialista che sa essere liberatoria solo se interpreta gli aneliti dei diseredati. Il settarismo, quando si innesta soprattutto su culture dalle tendenze autoritarie - e tutte le culture del mondo ne contengono germi - porta a non riconoscere mai nell'avversario un degno interlocutore politico, quanto piuttosto un ostacolo da eliminare sul glorioso cammino del proprio credo. Accade che la politica si rivesta dei toni salvifici della teologia, che i suoi militanti medino il divino alle masse, di cui diventano i soli salvatori e il risultato finale sia una "teologizzazione del nemico" (23) che assume il ruolo del diavolo distruttore. * Note 1. Cuevas A., Democrazia e Sviluppo, Roma, Edizioni Lavoro, 1986, p. 38. 2. Calderon F., I movimenti sociali in Alberto Cuevas (a cura di), America Latina 3. Le Istituzioni. La politica. L'economia, Roma, Edizioni Lavoro, 1998, p. 268. 3. Il nome deriva da cabana, capanna dai rami di palma, tipica del Para', la regione che si estende intorno al tratto piu' lungo del Rio delle Amazzoni e che, dal 1835 al 1840, pati' la guerra civile con l'occupazione, da parte dei ribelli, di Belem. In questa citta', una specie di "Comune di Parigi" brasiliana, il governo popolare esproprio' le ricchezze dei mercanti e distribui' cibo al popolo, finche' gli inglesi, principali destinatari del commercio del Brasile, non attuarono il blocco navale. Belem fu riconquistata dalle forze militari brasiliane, con 30.000 morti nel conflitto. 4. Stedile J. P., Frei Goergen S., Senza Terra. La lotta del Mst in Brasile, Rete Radie' Resch, 1998, p. 10. 5. Fanelli L., La scelta della terra. Studio di un insediamento rurale del Movimento Sem Terra in Brasile, Torino, Silvio Zamorani Editore, 2002, p. 107. 6. Uno particolarmente terribile avvenne il 17 aprile del 1996 a Eldorado del Carajas, quando i militari comandati dal colonnello Mario Colares Pantoja, su ordine del governatore dello stato del Para', Almir Gabriel, spararono sui contadini, uccidendone 19 e ferendone altri 30 che stazionavano sulla Rodovia Pa-150, in marcia verso la capitale, per andare a negoziare con l'Incra (Institudo nacional de colonisacao e reforma agraria), i titoli di proprieta' di alcune famiglie. Romagnoli S. (a cura di), Il massacro di Eldorado dos Carajas, Pistoia, Rete Radie' Resch, 2000. 7. Secondo la Cpt (Comissao Pastoral da Terra), la Commissione della Chiesa cattolica brasiliana, solo nel 2003 gli assassinati sono stati 44. Dal 1985 al 2002 arrivarono a 1.280, fra avvocati, sindacalisti, religiosi e contadini, coinvolti nella difesa della terra, di cui solo 121 portati in giudizio. Altri dati in Comissao Pastoral da Terra, Instituto Carioca de Criminologia, Rede Social de Justica e Direitos Humanos, agosto 2003. 8. I dieci principi possono essere cosi' riassunti: convivenza democratica per la vita di tutte le specie, ugual valore di ognuna; rispetto per le diversita' della natura e delle culture; sussistenza come diritto naturale; valore dell'economia basata sulla terra; rispetto per le economie locali; democrazia "vivente"; conoscenza "vivente"; equilibrio fra diritti e responsabilita'; globalizzazione della solidarieta'. Vandana Shiva in "Resurgence", settembre/ottobre 2002, n. 214, anche in "il girasole", mensile di politica e ecologia, settembre 2003, anno 3, n. 4. 9. Si possono occupare terreni abbandonati che, se non rivendicati dal proprietario entro un anno, per una specie di usucapione, diventano dell'occupante. La fase successiva prevede l'esproprio da parte dell'Incra entro tre anni. Lo Stato indennizza l'antico proprietario con somme che il nuovo proprietario deve restituire cosi' come i prestiti che lo stesso Stato fa ai richiedenti per le infrastrutture necessarie ad avviare la nuova attivita' agricola. La legalizzazione delle terre occupate dal Mst e' una trafila lunga e difficile, che richiede costanza e determinazione, oltre alla conoscenza degli strumenti legali messi a disposizione della legislazione vigente. Per questo motivo sono necessari gruppi di assistenza da parte di avvocati e giudici per portare a buon fine la pratica. 10. Stedile J. P., Mancano Fernandes B., Brava gente. La lunga marcia del Movimento Senza Terra del Brasile dal 1984 al 2000, Pistoia, Rete Radie' Resch, 2000, p. 111. 11. Giono J., Lettera ai contadini sulla poverta' e la fame, Milano, Ponte alla Grazie, 1997, p. 43. 12. Paulo Freire nacque a Recife nel 1921, dopo la crisi economica del 1929 soffri' la fame. Nel 1961 fondo' il Movimento di cultura popolare. Imprigionato sotto la dittatura, fu esule per cinque anni. Collaboro' alle campagne di alfabetizzazione in Cile, Svizzera e Stati Uniti. A Sao Paulo, dove nel 1989 Freire fu responsabile dell'istruzione nel governo cittadino di Luiza Erundina, attuo' le sue sperimentazioni dentro la scuola pubblica cittadina. Mori' nel 1998. 13. Freire P., La pedagogia degli oppressi, Milano, Mondadori, 1971, p. 117. 14. Brandao C. R., A educacao popular na escola cidada, Petropolis, 2002, p. 346. 15. Per un esempio di questa eredita' "tecnica", Brose M. (a cura di), Metodologia Participativa. Uma introducao a 29 instrumentos, Porto Alegre, Tomo Editorial, 2001. 16. Antunes Rocha C. L., Constitucao e ordem economica in Demian Fiocca, Eros Roberto Grau (a cura di), Debate sobre a Constituicao de 1988, Paz e Terra, Sao Paulo, 2001, p. 11. 17. Costituicao da Republica Federativa do Brasil de 5 de outubro de 1988, Atlas, Sao Paulo, 1993, p. 11. 18. Bandeira de Mello C. A., Funerais da Costituicao de 1988 in Costituicao da Republica Federativa do Brasil de 5 de outubro de 1988, Atlas, Sao Paulo, 1993, p. 39. 19. Genro T., Esferas da consciencia, Porto Alegre, Editora Tche, 1989. 20. Ivi, p. 10. 21. Ivi, p. 11. 22. Ivi, p. 35. 23. Assmann J., Potere e salvezza, Torino, Einaudi, 2002, p. 71. (Parte prima - Segue) 4. LIBRI. GIANPASQUALE SANTOMASSIMO PRESENTA "DOPO IL TEMPO DEL FURORE" DI GIORGIO AGOSTI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 giugno 2005. Gianpasquale Santomassimo e' docente di Storia della storiografia contemporanea presso il Dipartimento di storia dell'Universita' di Siena; e' membro della direzione delle riviste "Italia contemporanea" e "Passato e presente"; dirige il Laboratorio di Storia dell'Istituto Gramsci Toscano; ha studiato tematiche collegate al corporativismo fascista, alla storia della societa' italiana tra le due guerre, alla tradizione culturale del movimento comunista in Italia e alla storia della storiografia italiana e inglese del Novecento. Fra i suoi ultimi lavori un libro sulla Marcia su Roma (Giunti, Firenze 2000); la cura di un volume su La notte della democrazia italiana (Il Saggiatore, Milano 2003; una raccolta di saggi dal titolo Antifascismo e dintorni (manifestolibri, Roma 2004). Giorgio Agosti, "partigiano di Giustizia e Liberta', questore di Torino dopo la liberazione, poi dirigente industriale, testimone fino all'ultimo della Resistenza assunta come debito verso chi non c'e' piu' e lascito per il futuro"; Dal sito dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della societa' contemporanea, a lui intitolato (www.istoreto.it), riprendiamo la seguente breve scheda biografica: "Giorgio Agosti nato a Torino nel 1910, compagno di classe di Bobbio e Ginzburg al liceo D'Azeglio, fin dagli anni universitari si oppone al fascismo. Vicino a Giustizia e Liberta', durante la dittatura magistrato di fermo carattere e di giudizio indipendente, e' nel 1942 tra i fondatori del Partito d'Azione. Protagonista della Resistenza, commissario politico regionale delle formazioni GL, viene nominato dal Cln questore di Torino liberata. Nel dopoguerra diventa dirigente efficiente e innovativo della Sip, poi dell'Enel. Il suo nome rimane indissolubilmente legato, anche come promotore e organizzatore di cultura, alla citta' di Torino che, nel 1976, gli conferisce la cittadinanza onoraria. Dal 1961 vicepresidente del Centro studi Piero Gobetti, viene nominato nel 1972 presidente del Museo del Risorgimento e nel 1974 presidente dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, dal 2004 a lui intitolato. Scompare a Torino il 20 maggio 1992. Nel ricordare l'amico di una vita, Norberto Bobbio ha scritto: 'Tra le persone che ho conosciuto nella mia vita Giorgio Agosti appartiene a pieno diritto al 'nobile castello' cui ho dato il nome di 'Italia civile''"] Ha fatto bene Aldo Agosti a selezionare una parte piccola (un quinto dell'originale), eppure amplissima dei diari paterni. Depurate dei ricordi legati alla famiglia, al lavoro quotidiano e ai viaggi, queste carte restituiscono un avvincente percorso attraverso un quarantennio di storia repubblicana (Giorgio Agosti, Dopo il tempo del furore. Diario 1946-1988, a cura di Aldo Agosti, Einaudi, pp. 780, euro 22). E' raro trovare tanta, e ininterrotta, costanza di osservazione sui fatti del proprio tempo non da parte di un protagonista ma di un testimone partecipe, che intreccia ai propri giudizi quelli di amici e maestri della statura di Piero Calamandrei, Gaetano Salvemini, Ferruccio Parri, Ernesto Rossi, Franco Venturi, Aldo Garosci, Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi, Leo Valiani, Manlio Brosio, Bruno Visentini. Lo stile chiarissimo ed essenziale, di una scrittura con ogni evidenza non destinata alla pubblicazione, contribuisce a rendere piu' prezioso e autentico quello che diviene il racconto dell'Italia repubblicana da un osservatorio molto particolare. * Ma e' proprio la definizione compiuta delle caratteristiche di questo osservatorio che non e' semplice. Non e' un politico, per sua scelta, non un intellettuale di professione, se pure con qualche rimpianto e qualche "invidia per la vita interessante che e' consentita agli uomini di cultura, anche se con pochi mezzi", e con ricorrenti "malinconie senza costrutto" sul non avere fatto, in cambio della tranquillita' economica, un lavoro che gli piacesse davvero. Uomo pratico, che a distanza si rivela sorpreso nel ripensare alla "indifferenza ideologica" (salvo una "infarinatura crociana") con cui si era disposto "a far fuori i fascisti non importa come". Uomo di buone letture, non banali e talvolta ricercate, grande lettore di romanzi e soprattutto di storia, soprannominato "Paragone" durante la Resistenza per il suo abituale ricorrere alle analogie storiche, di cui il diario offre larga testimonianza. Vissuto sempre "con poche ambizioni e con ben poche illusioni, senza fedi trascendenti e con fedi immanenti sempre piu' incerte e oscillanti" (ultima annotazione, del 9 giugno 1988). Giorgio Agosti (1910-1992), magistrato, coraggioso comandante partigiano di Giustizia e Liberta' nella Resistenza, fu questore di Torino dopo la liberazione (fino al 1948, ultimo questore in carica di nomina ciellenistica), e poi dirigente industriale nella Sip piemontese e quindi nell'Enel dopo la nazionalizzazione dell'energia elettrica. Conoscitore dall'interno dei meccanismi del nuovo-vecchio Stato che si riorganizza scrive annotazioni di grande realismo sull'ambiente dei vertici della polizia: "sono rimasti cosi' fascisti nell'animo che non si accorgono di esserlo: se se ne accorgessero, avrebbero paura, perche' la loro non e' la tracotanza del gerarca il quale rialza la cresta dopo passato il primo smarrimento, ma e' abito mentale e costume morale". E' in ogni caso un uomo della classe dirigente. Ma e' proprio qui che nasce un problema, che non e' solo di Agosti. Questa parte della classe dirigente, interna o contigua all'area di governo, si vive anche come Italia di opposizione, anzi Italia "altra" e diversa rispetto a quella ufficiale. C'e' avversita', e talvolta disprezzo per l'Italia "democi'" (abbreviativo usato in tutto l'arco del diario). E' una classe dirigente di serie B? "Sono nel '63 un cittadino di seconda classe come nel '29, quando mi prendevo le prime legnate dai fascisti", annota il 24 maggio 1963. Che e' una esagerazione evidente, legata all'amarezza per la composizione dei nuovi vertici dell'Enel. Ma certamente e' una parte della classe dirigente italiana sottoutilizzata e non valorizzata rispetto alle sue capacita'. * E' quella di Agosti una Italia di "Terza forza", come si diceva all'epoca, distante e conflittuale rispetto alle due "chiese", cattolica e comunista. E' singolare tornare a registrare in Italia l'esistenza, dimenticata, di mondi paralleli, che possono convivere incontrandosi pochissime volte. Come nei carteggi dell'Italia "laica" tra le due guerre, dove tutti si conoscono tra loro e si frequentano, con rigorosa esclusione di comunisti e cattolici. Nulla di piu' lontano, qui, del fantasioso "gramsciazionismo", come si deduce anche dall'indice dei nomi. Accanto alle citazioni di politici di prima e seconda fila, alcuni dei quali usciti dalla memoria, Togliatti e' citato una sola volta, di sfuggita. Si parla sempre di "comunisti" in generale, come di massa unica. Cambieranno in parte le cose negli anni di Berlinguer (e di Diego Novelli sindaco di Torino), sullo sfondo di una visione angosciata per la dissoluzione dello stato, tra inflazione e terrorismo. Del resto la scelta "atlantica" di Agosti e' fuori discussione e costantemente ribadita, sia pure con uno sguardo molto critico sulle capacita' degli Usa di assolvere al proprio compito, e con l'intuizione, precoce e acutissima, di come l'equilibrio bipolare assuma le connotazioni di una nuova "Santa Alleanza" intenta piu' a reprimere le diversita' all'interno dei blocchi che a confliggere. E' il diario di una Italia "laica", anzi anticlericale. "Dobbiamo avere il coraggio, gloriarci anzi di essere anticlericali - scrive dopo un incontro con Ernesto Rossi del marzo 1957 -. E basta con gli scrupoli - comuni a socialisti e comunisti - di offendere il sentimento religioso del popolo italiano, e consimili balle!". E ancora, dopo un nuovo galvanizzante incontro del 21 ottobre 1959: "il merito di Rossi e' di aver riproposto in termini ottocenteschi e con brutalita' garibaldina il vero problema, che - troppo nutriti di pericoloso spirito di tolleranza (e di indifferenza) - ci sfugge: la lotta non e' contro la Democrazia cristiana ma contro la Chiesa cattolica". ("Non sappiamo odiare abbastanza un mondo che ci e' estraneo come un mondo sepolto e ne subiamo le conseguenze"). I cattolici italiani sono avvertiti ancora molti anni dopo come "corpo estraneo, cancro della nostra vita nazionale" (8 febbraio 1966). Un semplice ragionamento sui numeri indurrebbe a pensare che "corpo estraneo" rischi di diventare proprio questa Italia "ottocentesca e garibaldina", e viene il dubbio che a volte la devozione ai suoi "maggiori" prevalga in Agosti sulle sue naturali doti di moderazione e discernimento. Eppure da' ragione a La Pira contro il dogmatismo liberista di Ernesto Rossi a proposito della mobilitazione fiorentina sulle sorti della Pignone contro i licenziamenti ("sara' antieconomico ma non e' antistorico"). Papa Giovanni e' accolto come "scelta accettabile" ("non dev'essere una cima, ma un buon contadino bergamasco e' sempre preferibile a un principe romano"). Un atteggiamento di sottovalutazione che muta solo nei giorni della fine: "Il Papa e' in fin di vita e sta morendo bene. La sua fine mi ricorda quella di Salvemini... Il grande segreto di questo papa e' che e' un prete, ma anche un cristiano", dove senza saperlo Agosti anticipava un giudizio famoso di Hannah Arendt. E' certamente, come si sara' capito ampiamente, un diario "azionista". Ma, anche qui, in un mondo cosi' variegato e pieno di forti personalita', i toni sono molto personali e particolari. Non c'e' astio bensi' ragionamento, e non ci si abbandona agli improperi contro tutto e tutti che troviamo in carteggi illustri e recenti. C'e' consapevolezza dell'"astrattismo" degli azionisti, di una vocazione minoritaria, che si direbbe ancor piu' cercata che subita ("... mi convinco sempre di piu' - annotava il 31 marzo 1946 - che le famose masse indifferenziate... non verranno con noi; ma se anche venissero, sarebbe un vantaggio?"). Molto realistica e' la sottolineatura dei limiti di questo mondo di fronte alle prove concrete della politica ("sono teologi costoro, e non politici"). In particolare nella vicenda della nazionalizzazione dell'industria elettrica - dove il diario assume importanza di fonte diretta e interna agli avvenimenti -, nei resoconti dei deludenti e inconcludenti incontri con Riccardo Lombardi e Ugo La Malfa. * La parte piu' continuativa e ininterrotta dell'impegno politico e culturale di Agosti e' pero' la testimonianza della Resistenza, assunta fin da subito come debito verso chi non c'e' piu' e lascito per il futuro. Agosti sara' anche curatore di opere di Salvemini, di Calamandrei, di Livio Bianco, ma svolgera' soprattutto una funzione di animatore e di sostegno costante ("elemosiniere", in qualche caso, per il suo senso pratico e i suoi contatti) delle iniziative volte a trasmettere quel patrimonio di valori. Presidente dell'associazione Giustizia e Liberta' dal "46 al "71, e' fra i fondatori dell'Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, di cui assumera' la presidenza nel 1974, e del Centro studi Piero Gobetti, che ospita ora anche l'archivio Bobbio. Il 20 novembre 1955, annota: "Bisogna ripensare ad occhi chiusi ai volti dei nostri morti, dei torturati, dei deportati, per ritrovare l'esatta misura delle cose". Eppure c'e' pochissima retorica, grande realismo, diffidenza e fastidio per il "reducismo", gia' al suo primo affiorare. Come nota Giovanni De Luna nell'Introduzione e' proprio la "serialita'" della fonte ad essere preziosa; il riportare ogni anno puntualmente le vicende delle celebrazioni resistenziali, in tono critico e talvolta impietoso, da' l'esatta misura, fuori dei miti d'epoca o di quelli postumi, della difficolta' di tenuta e di radicamento di un antifascismo molto lacerato al suo interno. Per andare oltre il "reducismo" bisogna investire nel futuro, e di questo testimoniano anche le vicende della rivista Resistenza e del gruppo di "Nuova Resistenza", del rapporto cercato con i giovani, con lucida consapevolezza delle differenze e degli equivoci. Nel luglio 1970 deve concludere che "la nostra funzione e' veramente finita e che l'illusione di allacciare la protesta attuale (e ben giustificata) dei giovani alla nostra di trent'anni fa sia impresa irrealizzabile". * Eppure la cosa che colpisce di piu' nel Diario e' l'attenzione alle vicende internazionali, costante e in qualche caso anche soverchiante rispetto alle vicende italiane. E colpiscono soprattutto le cose che abbiamo dimenticato: l'angoscia di lunghi anni per le sorti della Francia nella crisi algerina, osservata giorno per giorno con l'incubo del fascismo che puo' tornare, con la disistima per De Gaulle e il disprezzo per gli uomini dell'Oas. E' un atteggiamento molto diffuso all'epoca, e che a pericolo scampato abbiamo rimosso completamente. La solita fisima degli antifascisti, quella del "fascismo incombente", qualcuno potra' dire oggi; eppure c'e' stata un'epoca non breve in cui la fragile democrazia italiana appariva circondata dai fascismi nel Mediterraneo, e in cui appariva naturale ad Agosti promettere rifugio a Mendes-France, a nome dei partigiani piemontesi, in caso di passaggio alla clandestinita'. Sono anche gli unici momenti in cui lo sguardo comparativo ai paesi vicini suggerisce giudizi piu' indulgenti sulla situazione italiana. L'altro tema che emerge, per l'intensita' con cui e' vissuto, e' quello di Israele. Ammirazione, fiducia, "passionale simpatia" per gli israeliani, anche perche' "sono gli unici che non hanno ne' perdonato ne' dimenticato", a differenza dei cattolici troppo inclini al perdono. Di qui anche la disistima per il mondo arabo, l'avversione per Nasser e gli altri "tiranni" che minacciano la democrazia israeliana. Qui pero' la conclusione e' amara, e dopo il primo affiorare di critiche per la "irragionevolezza" della rigida politica israeliana negli anni '70, spunta alla fine, sul comportamento nell'invasione del Libano, l'aggettivo "hitleriano". "L'Israele delle nostre speranze e' veramente morta" (7 giugno 1982). * Il gusto delle analogie che e' proprio di Agosti, quella concezione di una storia che "ripropone in forme simili attraverso i secoli i problemi essenziali della vita" si coglie soprattutto di fronte all'eruzione della protesta giovanile, che non suscita atteggiamenti di chiusura ma neppure grandi speranze o facile consenso. Di grande finezza e' l'analogia subito istituita (15 febbraio 1968) tra le agitazioni studentesche e i "movimenti ereticali del '200, che respingevano al completo le 'strutture' corrotte di quel tempo o i miti e i simboli di una societa' che sentivano estranea". Malgrado la "mancanza (e il disdegno) di solidi e organici strumenti di azione" cio' che andava colto era, come per gli eretici, la "semina convulsa e disordinata" da cui sarebbero nati "fermenti di rinnovamento che modificheranno... profondamente le 'strutture'". Ma per onesta' vanno anche fatte due osservazioni. In questo diario civile della prima repubblica, tenuto con ostinazione per decenni, si colgono a malapena le grandi trasformazioni che hanno cambiato faccia al paese, che ne hanno sconvolto la continuita' millenaria di societa' contadina che diventa industriale e poi si avvia rapidamente verso le connotazioni di societa' post-industriale. Come se vivendo giorno per giorno il dipanarsi degli eventi in cui si e' immersi se ne colgano solo gli elementi di persistenza e continuita', senza riuscire a collocarsi a distanza con uno sguardo esterno che misuri la portata del cammino percorso. L'altra notazione e' piu' amara e sconfortante. Dopo aver letto questo diario cosi' severo, critico, a volte sferzante nei confronti di una classe politica che viene in maniera motivata descritta nei suoi limiti, le sue meschinita', le sue inadeguatezze, il lettore di oggi, chiuso il libro, non puo' fare a meno di pensare che si sta parlando di una classe dirigente enormemente superiore a quella dell'Italia in cui viviamo oggi. 5. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA LEZIONE DI MARTIN LUTHER KING Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto della lezione di Martin Luther King. * "E' il male che il resistente nonviolento cerca di sconfiggere, non le persone ingannate dal male" (Martin Luther King, Pellegrinaggio alla nonviolenza, in Idem, Lettera dal carcere di Birmingham. Pellegrinaggio alla nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1993, pp. 25-26). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 965 del 18 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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