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Nonviolenza. Femminile plurale. 16
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 16
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Jun 2005 12:11:29 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 16 del 16 giugno 2005 In questo numero: 1. Dieci anni dopo la conferenza di Pechino, un rapporto alternativo sulla situazione italiana (parte prima) 2. Letture: Franca Rossi, Di chi e' la scuola? La partecipazione responsabile dei bambini 3. Letture: Bianca Maria Varisco, Portfolio 1. DOCUMENTI. DIECI ANNI DOPO LA CONFERENZA DI PECHINO, UN RAPPORTO ALTERNATIVO SULLA SITUAZIONE ITALIANA (PARTE PRIMA) [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente documento] "Dieci anni dopo la Conferenza di Pechino", documento alternativo a quello del governo italiano sull'attuazione della Piattaforma di Pechino in Italia, elaborato nel corso dell'assemblea del 2 ottobre 2004 presso la Casa internazionale della donna * Il presente documento, definito Shadow Report, in quanto alternativo a quello del governo italiano sulla attuazione della Piattaforma di Pechino in Italia, e' stato elaborato in seguito a una decisione in tal senso assunta dall'assemblea del 2 ottobre 2004, che si e' svolta alla Casa internazionale delle donne, ed e' stata promossa da: Arcidonna, Candelaria, Casa Internazionale delle donne, Caucus delle donne - Comitato romano, Cooperativa Generi e Generazioni, Coordinamento italiano della lobby europea delle donne, Paese delle donne, Associazione Zora Neale Huston, "con l'obiettivo di dar vita a un rapporto 'ombra' sulla situazione italiana e su quella mondiale, vista con gli occhi delle donne italiane". Il presente documento, corredato da autorevoli e rappresentative firme, e' stato inviato alla Commission on the Status of Women (Csw) in relazione alle iniziative Onu (New York, marzo 2005) sull'applicazione della Piattaforma di Pechino a dieci anni dalla Conferenza, alla Commissione incaricata del monitoraggio e dell'assemblea preparatoria per le regioni dell'Europa e del Nord America (Ginevra 14-15 dicembre) e alla conferenza immediatamente precedente delle Ong (Ginevra, 12-13 dicembre). Questo "Shadow Report" si compone di una premessa di carattere internazionale, di una prima parte di analisi critica su alcune scelte politiche del governo italiano e di una seconda parte che affronta i temi scelti come principali dalla Conferenza delle Ong di Ginevra: Women in the Economy, Institutional Mechanisms to Promote Gender Equality, Trafficking of Women in the Context of Migratory Movements. * Rapporto ombra sulla situazione italiana a dieci anni dalla Conferenza Onu sulle donne (Pechino 1995) 1.Premessa "La difficile situazione nazionale e internazionale non e' riuscita a farci dimenticare le idee delle donne su una nuova possibile convivenza globale, emerse nel Forum e nella IV Conferenza Onu sulle donne di Pechino nel 1995. Infatti, nonostante gli anni duemila abbiano distrutto molta parte delle speranze emerse nel corso degli anni novanta, quelle idee risultano tuttora valide e degne di essere realizzate e migliorate, soprattutto se vogliamo porre una fine al regime di odio e paura che sembra essersi impossessato del nostro pianeta. Non si puo' infatti trascurare il fatto che gli eventi accaduti negli ultimi tre anni, dalla caduta delle Twin Towers alle guerra dell'Afghanistan e dell'Iraq, alle ripetute stragi terroristiche degli ultimi mesi, hanno mutato radicalmente lo scenario mondiale, trasformando in "guerra di civilta'", quella che negli anni novanta chiamavamo globalizzazione. Infatti, il mutamento delle forme della politica internazionale ha costretto molte di noi, in poco tempo, ad avere una nuova consapevolezza dei diversi livelli in cui "si fa politica" anche in un paese come l'Italia". Situazione non facile poiche' la consapevolezza politica, di cui parlava il testo d'invito, e' un dato contraddittorio. Infatti oggi, a differenza degli anni '90, il movimento femminista transnazionale si presenta in maniera segmentata e non riesce a far percepire i collegamenti e gli incroci tra la soggettivita' femminile e il governo del mondo. I Social forum mondiali spesso usufruiscono degli interventi delle donne - da Arundhati Roy a Vandana Shiva a Shirin Ebadi - ma le piu' famose appaiono avulse dal contesto politico delle donne. Non e' quindi incomprensibile come anche all'interno delle Nazioni Unite, che dal canto loro stanno subendo una necessaria trasformazione, le donne stiano attraversando un periodo molto complesso, che penalizza il percorso del "Pechino + 10", cioe' la verifica internazionale dell'applicazione della Piattaforma di Pechino nelle diverse regioni del mondo. In questo contesto di assenza di un movimento femminista transnazionale, e di difficolta' delle strategie promosse dalle donne, che erano state sviluppate all'interno delle istituzioni globali nel decennio precedente, occorre far sentire la voce autonoma delle donne ai vari livelli in cui si determinano le regole della convivenza nel nostro pianeta. A partire dai negoziati per il governo del territorio, fino alla discussione sui modelli di Welfare necessari alla nostra contemporaneita', che toccano temi quali le migrazioni, le nuove reti di solidarieta' globale e le nuove forme di cooperazione tra Nord e Sud del mondo. Anche se la guerra e' tornata ad assumere una legittimazione come strumento di governo del mondo e ci fa vedere le donne come copie senza anima di una umanita' priva di senso: al tempo stesso aguzzine e vittime di violenza, soldatesse e crocerossine dedite ai bambini e all'assistenza. Anche se in Italia membri del Governo in carica insistono nel considerare le donne un oggetto di tutela, relegandole all'interno della famiglia patriarcale. Noi donne italiane, noi femministe abbiamo voluto essere presenti nel contesto internazionale non solo per denunciare le menzogne di un governo del mondo iniquo. Siamo consapevoli che il passaggio di civilta' che il pianeta ha dinanzi non potra' fare a meno del dialogo tra le infinite differenze che donne e uomini di luoghi e generazioni diverse incarnano, ma soprattutto non potra' fare a meno del pensiero critico della nostra differenza sessuale. * Parte prima: Gli impegni disattesi I. Le istituzioni non ascoltano le donne e promuovono controriforme inique Tutte le piu' recenti analisi statistiche (Cfr. Istat, "Come cambia la vita delle donne", 2004) confermano la crescita della soggettivita' delle donne italiane, che sempre piu' si affermano in tutti i campi della vita sociale e culturale, anche se, dal punto di vista delle condizioni materiali di vita, si registrano forti peggioramenti, le cui cause vanno ricercate nelle culture e nelle politiche dell'attuale governo. Il documento del governo sull'applicazione della Piattaforma di Pechino in Italia, invece, evita ogni riferimento alla realta' delle donne nel nostro paese e si limita a un elenco di leggi e provvedimenti che riguardano sostanzialmente l'attivita' del precedente governo di centro-sinistra - che pero' non viene neppure nominato. Tra questi, la Direttiva Prodi-Finocchiaro del 1997, la legge 125/1991 e il D. L.196/2000 sulle consigliere di parita', la legge sulla conciliazione tra lavoro e famiglia n. 53/2000 e il Testo unico sulla maternita' e sulla paternita'. Probabilmente vi e' un grande imbarazzo da parte delle istituzioni nazionali, poiche' vi e' una sorta di rimosso rispetto al ruolo politico delle donne. In riferimento al mainstreaming delle tematiche di genere nelle istituzioni, infatti, il rapporto, della cui stesura la Ministra per le pari opportunita' e' la prima responsabile, non dice nulla. Non parla delle politiche considerate positive da questa maggioranza, ne' tantomeno si citano quelle a nostro avviso molto negative, portate avanti da altri ministri di questo stesso governo, come se la cosa non riguardasse la Ministra per le pari opportunita'. Non esiste neppure un riferimento alla legge Bossi-Fini: mentre si sostiene l'impegno a svolgere politiche antidiscriminatorie, non si dice che questa legge colpisce gravemente i diritti delle donne immigrate ed i suoi effetti danneggiano irreparabilmente l'attivita' di quante/i lavorano da anni contro la tratta della prostituzione. Non si fa riferimento al Libro bianco sul welfare, che contiene alcune affermazioni pericolose per la libera scelta delle donne, come quella sul "baratro demografico" italiano da cui deriverebbe la necessita' di incentivare la natalita' attraverso una politica demografica fatta sopra le teste e i corpi delle donne. Non viene citata la legge sulla fecondazione assistita, in cui per la prima volta, dopo l'approvazione della legge sull'aborto nel 1977, si torna a parlare dell'embrione come di un individuo dotato dei diritti di cittadinanza a scapito del corpo delle donne. Quella legge infatti segna il culmine di una mancanza di considerazione del protagonismo delle donne sui temi della convivenza civile e della maternita'. Essa e' costantemente oggetto di importanti critiche, espresse in primo luogo dai movimenti delle donne, ma anche da vari ambienti, laici e religiosi. Il fatto che la legge determini discriminazioni tra le donne e soffochi la liberta' di ricerca e' inaccettabile poiche' fa dell'Italia un paese di retroguardia nel contesto europeo. In modo analogo vanno le cosiddette riforme di questo governo realizzate nel campo della Pubblica Istruzione e del Lavoro. Per quanto riguarda la Pubblica Istruzione le riforme del Ministro Letizia Moratti in materia sia di scuola che di universita', sono destinate a penalizzare le giovani generazioni, ragazzi e ragazze. Infatti a causa dell'anticipo dell'eta' di scelta dell'indirizzo di studi o di formazione professionale, non sono liberi di scegliere in base ai propri desideri e risentono in misura maggiore dell'influenza della famiglia. Per quanto riguarda il prolungamento della precarieta' per l'accesso all'insegnamento universitario, la popolazione femminile soprattutto ne e' molto colpita, poiche' questo settore e' tradizionalmente importante per l'impiego femminile. Per ultimo i tagli alla scuola a tempo pieno hanno comportato enormi problemi, in particolare alle donne che lavorano. Per quel che riguarda il lavoro, non c'e' collegamento tra le politiche dell'occupazione femminile e la nuova legge 30/2003 (cosiddetta Legge Biagi). Infatti le conseguenze del lavoro precario e la giungla contrattuale rendono sempre piu' difficile il lavoro anche per le donne, sempre ricattabili a causa della maternita'. "La famiglia esiste per permettere alle donne di avere dei figli e di avere un uomo che le difenda". Questa affermazione fatta dal Ministro Rocco Buttiglione al Parlamento Europeo il 5 ottobre 2004 , ben riassume la cultura di questo governo e lo scarto che esiste con il Paese reale. * II. Gender no streaming Nelle politiche del governo italiano l'approccio di gender mainstreaming e' pressoche' assente. Nonostante sia stato puntualmente fatto presente da parte delle donne dei sindacati come l'insieme dei provvedimenti sopraelencati abbiano effetti negativi sulle lavoratrici, il Ministro non ha esercitato alcun ruolo di mainstreaming, ma anche le istanze parlamentari hanno trascurato di essere presenti in questo campo. Sebbene il regolamento dei Fondi strutturali dell'Unione Europea richieda che si integrino l'ottica di genere e le pari opportunita' tra uomini e donne trasversalmente in tutta la programmazione 2000-2006, l'implementazione italiana e' a dir poco carente. Dagli esiti dell'applicazione della politica di pari opportunita' e del mainstreaming di genere negli interventi Fse 2000-2003 (analisi dei risultati della valutazione di mid term) si evince che le pari opportunita' tra uomini e donne sono state trattate sostanzialmente solo nei progetti finanziati nell'asse specifico E (il 10% di cui il Review governativo si vanta), mentre, tra i beneficiari dei progetti finanziati negli altri assi, le donne risultano svantaggiate sia a livello quantitativo che a livello qualitativo: sono in numero inferiore agli uomini; le donne sono state destinatarie soprattutto di azioni di formazione di base e pochissimo di alta formazione; le azioni di formazione di base spesso non sono state unite a misure di accompagnamento adeguate, o non sono state esse stesse adeguate alla domanda di lavoro per cui si registra un alto tasso di abbandoni da parte delle beneficiarie. Questa disattenzione alla tematica del Gender Mainstreaming ha causato danni piu' evidenti nelle relazioni internazionali. In quel contesto infatti gli anni immediatamente successivi a Pechino avevano fatto registrare notevoli miglioramenti. Tali miglioramenti erano visibili sia nel contesto istituzionale, in particolare nell'allargamento della presenza in sede Nazioni Unite su tematiche specifiche come quelle della tratta, e nella cooperazione allo sviluppo che era stata molto attiva per quanto riguarda la condizione delle donne in situazioni di conflitto. Attualmente l'incapacita' da parte del Ministero delle Pari Opportunita' di dialogare con le istituzioni della politica estera e con la societa' civile sulle tematiche che riguardano il contesto della globalizzazione rende piu' difficile mantenere vive le buone esperienze avviate, soprattutto nel campo della cooperazione allo sviluppo. I programmi istituzionali di cooperazione allo sviluppo dedicati alle donne sono infatti diminuiti a favore delle azioni a sostegno dei minori, e c'e' una tendenza da parte della Direzione per la cooperazione allo sviluppo a confondere le giovani donne nella categoria neutra di minori. Questa tendenza sottrae di fatto peso specifico alle analisi e alle strategie definite nell'ambito della Piattaforma di Pechino e costituisce un forte impedimento per l'Italia a continuare con coerenza l'azione avviata in sede multilaterale. L'unica prospettiva positiva deriva dalle amministrazioni locali e regionali, che in alcuni casi sono molto interessate alla valorizzazione delle esperienze delle donne sul loro territorio, e intervengono a sostegno delle donne vittime di violenza e soprattutto nelle aree del bacino mediterraneo, dove lo scambio di esperienze e' reso piu' facile dalla vicinanza territoriale. Non esistono tuttavia linee guida a favore delle donne nel settore della cooperazione decentrata. * III. La soppressione della "Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita'" La Commissione nazionale per le pari opportunita' tra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio, istituita nel 1984 e definita per legge nel 1990, e' stata abrogata nell'agosto 2003 da un decreto legislativo, pubblicato in gazzetta ufficiale il 22 agosto 2003. Al suo posto vi e' ora una Commissione presso il Dipartimento Pari Opportunita', presieduta dalla Ministra stessa, composta da 25 componenti, da cui sono state cancellate le rappresentanti femminili dei partiti politici. Il passaggio da un organismo autonomo a un organismo subordinato all'esecutivo azzera gli stessi elementi fondanti della Commissione: la trasversalita', il pluralismo, l'essere sensore delle istanze delle donne nella nostra societa', il ruolo di iniziativa e di impulso alle politiche di pari opportunita' e soprattutto l'autonomia. La Commissione - nella sua storia ventennale - e' stata un luogo di democrazia, di partecipazione, di coordinamento delle commissioni regionali, di dialogo con le aggregazioni di donne presenti nella societa', di promozione di politiche, autonoma e propositiva rispetto al governo, al Ministero delle pari opportunita', al Parlamento. Questi principi hanno rappresentato in questi anni i punti di forza delle politiche di pari opportunita' e di questi principi la Commissione nazionale si e' fatta garante. La Commissione nazionale assolveva la funzione essenziale di raccogliere e mettere in rete le istanze delle forze femminili attive nella societa', con quel ruolo di iniziativa e di proposta autonoma che la Commissione ha sempre rivendicato nella sua storia ventennale. E quella, altrettanto essenziale, della diffusione della cultura delle pari opportunita', non in modo rituale e formale, ma in modo vivo e dialettico, perche' nel nostro Paese non c'e' ancora un'accettazione sociale condivisa dell'importanza strategica delle politiche di pari opportunita'. Dunque la sua abrogazione e l'istituzione di una commissione appiattita sull'esecutivo toglie forza non solo alle istituzioni, ma anche e soprattutto alle donne che lavorano per la cultura delle pari opportunita' in molteplici forme, istituzionali e non, con scarso coordinamento, ma in modo vivo e propositivo. La preparazione della Conferenza Onu di Pechino segno' l'avvicinamento delle donne immigrate alle donne italiane ed alle istituzioni per la promozione delle pari opportunita'. Nel 1997 per la prima volta una donna immigrata era entrata a far parte della Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita', il che aveva favorito l'inserimento delle donne immigrate anche nelle Commissioni e Consulte regionali per le pari opportunita'. Con la riforma della Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita' le donne immigrate sono state escluse, interrompendo un'esperienza positiva di partecipazione delle donne immigrate nelle istituzioni italiane a livello nazionale. Solo a livello regionale alcune esperienze continuano. In questo momento, a livello nazionale, l'Ufficio Antidiscriminazione, istituito dal decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215, in attuazione della direttiva 2000/43/Ce per la parita' di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, potrebbe riaprire un'opportunita' di collaborazione tra l'associazionismo immigrato in genere, anche quello delle donne, con un'istituzione italiana. * Parte seconda: I principali temi delle prossime conferenze europee di Ginevra 1. Women in economy In sintesi A una crescita dell'occupazione femminile, della presenza femminile nel mercato del lavoro, nell'istruzione - in particolare a livello universitario, anche se non ancora sufficiente nelle facolta' scientifiche-tecnologiche - della partecipazione alle attivita' culturali; a una crescita contestuale delle contraddizioni - al conseguimento di capacita' professionali non corrisponde un adeguato inserimento nel mondo del lavoro; permangono squilibri nelle carriere e nelle retribuzioni, la crescita dell'occupazione femminile e' concentrata soprattutto nel Centro-Nord - non corrispondono reali politiche di sostegno da parte del governo, ne' un adeguato intervento rispetto alle contraddizioni segnalate. Anzi, l'allarme sulla denatalita' e le ridicole politiche che ne conseguono (bonus per il secondo figlio), se da una parte confliggono con la nuova liberta' e soggettivita' femminile, dall'altra tendono a risospingerla indietro, ai vecchi ruoli familiari, a sovraccaricarla di tutte le responsabilita' del lavoro di cura. Non vi sono politiche infatti volte a corresponsabilizzare donne e uomini: gli asili aziendali riguardano solo le lavoratrici madri e le esigenze delle aziende, non le responsabilita' della coppia ne' la crescita educativa dei bambini. La percentuale dei lavoratori padri che richiedono i congedi parentali per attivita' di cura supera di poco l'1%, e inoltre riguarda periodi limitati di astensione dal lavoro e purche' sia garantita la massima retribuzione possibile. Non sono state messe in atto politiche tese a determinare quelle condizioni di lavoro, di reddito e di servizi che possono permettere alle giovani di costruire liberamente il proprio percorso di vita; vengono perseguite invece politiche ideologiche che considerano la famiglia tradizionale quale attore sociale primario nella programmazione delle politiche sociali. La famiglia e' vista cioe' come puro destinatario di agevolazioni fiscali, trasferimenti monetari, facilitazioni all'acquisto della casa in una logica del tutto assistenziale, in cui scompare la soggettivita' e l'autonomia dei singoli in quanto persone titolari di diritti individuali esigibili. * In dettaglio La crescita dell'occupazione femminile Negli ultimi cinque anni si e' avuto un aumento di un milione e 622 mila posti di lavoro, di cui due terzi sono andati alle donne, accompagnato da un'importante crescita dell'istruzione femminile - in particolare a livello universitario, anche se non ancora sufficiente nelle facolta' scientifiche-tecnologiche - e della preparazione professionale delle donne, che a tutti i livelli si rivelano le vere protagoniste della piu' generale qualificazione delle competenze registrata negli ultimi anni. Le donne sono piu' istruite degli uomini, meglio formate, e tuttavia meno riconosciute sia nelle qualifiche che nelle retribuzioni (con stipendi che arrivano ad essere inferiori fino al 35% rispetto a quelle degli uomini soprattutto nelle qualifiche piu' alte). Nonostante i progressi registrati negli ultimi decenni, grazie ai quali le donne sono entrate ormai a pieno titolo nel tessuto produttivo del Paese, sono ancora troppo poche le donne che lavorano. Il tasso di occupazione che si attesta nel 2003 al 42,7 (fonte Istat) e il tasso di attivita' femminile in Italia del 48%, a fronte di una media europea del 60,8, sono ancora lontani dall'obiettivo di piena occupazione della Conferenza europea di Lisbona del 55% a medio termine del 2005 e del 60% del 2010. Va anche sottolineato che la crescita dell'occupazione femminile e' concentrata soprattutto nel Centro-Nord, dove si registra un tasso di occupazione del 51,5 %, mentre al Sud si attesta al 27,1%. Il tasso di disoccupazione e' del 6,5% al Centro-Nord e del 25,3% al Sud. Permangono i fenomeni di abbandono del lavoro dopo il primo figlio (da un'indagine Istat del 2003 su un campione di 50.000 neomamme, il 20% ha abbandonato il lavoro dopo la nascita del bambino) e si moltiplicano le imposizioni da parte dei datori di lavoro alle giovani assunte di rinunciare dichiaratamente alla maternita'. Questi dati sintetici non mostrano pero' appieno come in Italia, dal Nord al Sud, le donne (soprattutto le giovani) percepiscono il lavoro professionale come elemento fondante per l'autodeterminazione e per la liberta', non quindi "un di piu'" o "un optional" alternativo alla famiglia o ai figli. Sinteticamente si puo' affermare che oggi e' in atto per le donne una transizione dal "lavoro necessitato al lavoro come parte della propria identita'". Non e' un caso che sta scomparendo la figura della "casalinga". Una donna che non lavora per alcun periodi si dichiara generalmente disoccupata e questo avviene sempre piu' anche nel Mezzogiorno. Il lavoro diventa dunque per le donne una parte fondamentale della propria identita' personale, che e' forse piu' complessa di quella degli uomini - il valore della differenza - e che comprende, oltre al lavoro, un sistema di relazioni affettive quali la famiglia, i figli, ma anche le relazioni culturali, amicali e di impegno sociale. A questi mutamenti e ai nuovi bisogni espressi dalle donne non corrispondono reali politiche di sostegno da parte del governo, ne' la dovuta attenzione da parte del Ministro per le pari opportunita'. Il Nap (Piano di azione nazionale) 2003-2005 e il Libro bianco sul welfare non hanno dato risposte a questi bisogni, nonostante le critiche e le proposte avanzate dai sindacati confederali e dalle donne. * La conciliazione L'occupazione femminile e' fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, ma il modello di societa' proposto attualmente assegna alle sole donne il lavoro di cura nella famiglia (che rimane per il governo quella fondata sul matrimonio, anche se di fatto aumentano le convivenze, le separazioni e i divorzi). Alle donne si offrono forme di lavoro sempre piu' atipiche da sconfinare nella precarieta', e la conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro diventa sempre piu' difficile, se non impossibile. Da un'indagine Istat risulta che tuttora il 52,4% delle donne occupate e con un figli in eta' inferiore a 5 anni dichiara di lavorare piu' di 60 ore settimanali sommando il lavoro familiare e quello professionale, contro il 21,7% degli uomini nella stessa condizione. La condivisione dei lavori di cura all'interno della coppia e' invece il presupposto culturale indispensabile se si vuole arrivare all'affermazione di una diversa qualita' del lavoro e della vita e di una reale parita' fra uomini e donne in tutti i campi della vita sociale, dal lavoro alla rappresentanza nei luoghi elettivi delle istituzioni. E' del tutto evidente, infatti, che se la cura, sia degli anziani, sia dei bambini, rimane solo in capo alla donna, la parita' nel mondo del lavoro non si otterra' mai. Il rapporto del governo afferma che la legislazione degli ultimi anni non solo ha di fatto favorito l'incremento dell'occupazione femminile, ma ha anche fornito gli strumenti per conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro. Con la legge 53/2000 sui congedi parentali, con il testo unico sulla maternita', ma anche con altri importanti atti legislativi dei governi precedenti, si era cominciato ad affermare una cultura che portava alla redistribuzione dei ruoli fra uomini e donne nel lavoro e nella famiglia e a rendere la parola "conciliazione" non piu' declinata esclusivamente al femminile, ma anche al maschile.. Dopo l'entrata in vigore della legge, vi era stato un generale aumento dell'utilizzo del congedo parentale: l'aumento, paragonando il 1999 con il 2001, si era registrato sia per le donne che per gli uomini. Per questi ultimi l'aumento sembra comunque incidere di piu' (dallo 0,3% del totale di un vasto campione di dipendenti pubblici maschi all'1,2%), anche se cio' e' almeno in parte dovuto al basso punto di partenza di tale dato. Tra uomini e donne restavano sostanziali differenze nelle modalita' di fruizione dei congedi, rilevabili in particolare dal numero di giornate fruite e dalla presenza o meno di retribuzione durante l'astensione (in relazione a un campione di piu' di mezzo milione di dipendenti pubblici, mentre 7 uomini su 10 fruivano al massimo di 30 giorni di congedo, e per lo piu' retribuiti per intero, 6 donne su 10 utilizzavano piu' di 30 giorni e l'82,6% del totale delle madri utilizzava giornate retribuite solo al 30% o non retribuite affatto). Comunque, il disegno che si e' cercato di portare avanti nella precedente legislatura per una parita' reale fra uomini e donne nel mercato del lavoro e nella societa' registra oggi una preoccupante battuta di arresto, essendo cambiati, come abbiamo gia' detto, i presupposti culturali delle politiche dell'attuale governo. Anche il "libro bianco" del Ministro del Welfare lo comprova: esso sembra prestare grande attenzione all'incremento dell'occupazione femminile e al tema delle pari opportunita' fra uomini e donne, che cita in abbondanza in tutti i capitoli, ma per rilanciare il tema dei provvedimenti da prendere per facilitare la conciliazione fra lavoro e famiglia, ribadisce l'impegno del governo a promuovere "politiche sociali di sostegno alle donne sposate che lavorano per dare loro la possibilita' di meglio conciliare l'attivita' lavorativa con gli impegni familiari". Per quanto riguarda il prelievo fiscale sui redditi di lavoro asserisce di seguito che va prestata particolare attenzione, affinche' non disincentivi "il lavoro femminile anche quando aggiuntivo all'interno di un dato nucleo familiare". Anche qui evidentemente con quell' "aggiuntivo" si ripropone il modello sociale per cui il lavoro della donna ha un valore inferiore a quello del marito. * Precarieta' Se e' vero che l'aumento dell'occupazione femminile e' il fenomeno piu' rilevante di questi ultimi anni, occorre evidenziare nello scenario generale non solo la quantita', ma anche la qualita' della partecipazione femminile italiana al mercato del lavoro e le prospettive, in relazione alla recente legge di riforma del mercato del lavoro e alla grave crisi economica che sta attraversando il nostro Paese. Quello che il governo propone non riguarda solo il mercato del lavoro, ma l'introduzione di una cultura dove il lavoro diventa "merce"; si sostanzia in tal modo quell'operazione delineata nel Libro Bianco, che trova conferma non solo nella riduzione delle tutele per trovare e per vivere serenamente il lavoro, ma nella piu' ampia strategia di attacco alla dimensione dei diritti e della cittadinanza. Vi sono una sistematicita' e una coerenza di fondo che legano il decreto attuativo della legge 30/2003 sulla riforma del mercato del lavoro, la legge 30/2002 (189/2002) Bossi-Fini sull'immigrazione, la riforma della scuola e dell'universita' della Ministra Moratti, la proposta di riforma fiscale e la controriforma previdenziale, l'attacco al welfare nazionale e locale. E' l'egoismo sociale, e' un'idea di competizione povera e al contempo selvaggia, e' il principio del superamento di ogni corpo democratico intermedio a partire dal sindacato confederale. Da un'attenta lettura del "Libro Bianco" sul mercato del lavoro, della legge 30/2003 (nominata Legge Biagi) che ne rappresenta la coerente traduzione normativa, del decreto 276 attuativo e relative circolari applicative, e del "Libro bianco sul welfare", emerge un modello di sviluppo che non e' favorevole alle politiche di pari opportunita' e all'avanzamento delle donne nelle carriere. La relazione di accompagno della legge 30/2003 (legge Biagi) la definisce come "una legge per l'inclusione sociale delle donne". Vi si afferma inoltre che "l'adozione di misure che agevolano l'accesso al lavoro a tempo parziale e ad altri contratti a orario modulato rappresenta una importante strategia di azioni positive finalizzate, attraverso la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alla lotta contro le discriminazioni indirette nei confronti delle donne". Si ribadisce quindi che part-time e orari di lavoro anomali sono soprattutto adatti alle donne occupate con impegni familiari, avvalorando cosi' una realta' in cui queste forme di orario determinano una segregazione femminile, precaria e senza prospettive. Il 17,3% delle donne occupate lavora a part-time (3,2% invece e' la percentuale degli uomini). Il 30% dichiara di farlo per scelta, soprattutto per conciliare lavoro e famiglia, il 27,1% per impossibilita' di trovare un lavoro full-time (42,3% per gli uomini). Anche nel lavoro a tempo determinato le lavoratrici prevalgono (12,2% di donne contro l'8,2% di uomini). Anche qui e' elevato il tasso di "non scelta" pari al 40,8%. Vi e' inoltre un aumento considerevole delle occupate in orari non standard ( dal 1993 al 2003 l'incremento e' stato del 16,9%, mentre per gli uomini si registra un decremento del 3,1%). In realta' le norme contenute nel provvedimento puntano ad una frantumazione del mondo del lavoro, ad una disarticolazione delle forme della rappresentanza, alla individualizzazione del rapporto di lavoro, allo snaturamento, attraverso gli enti bilaterali, della stessa funzione del sindacato. Le circa quaranta forme di contratto avranno meno tutele e saranno senza un reale diritto alla retribuzione in caso di malattia e infortunio, senza una copertura previdenziale dignitosa. In sostanza il lavoro diventa "merce" e la lavoratrice (e il lavoratore) dovra' essere sempre a disposizione dell'impresa. Incerti sono inoltre i diritti legati alla maternita'. Sicuramente aumentera' la precarieta' e di conseguenza aumenteranno i ricatti e le molestie sessuali. Saranno inoltre pesanti le ricadute sulla previdenza e sul futuro pensionistico delle nuove generazioni. Prendiamo ad esempio il part-time. Il decreto introduce nuovi assetti normativi che dovrebbero incrementarne il ricorso, riducendo i vincoli e gli oneri del datore di lavoro, ma rendendo la vita impossibile alle lavoratrici e ai lavoratori, che scelgono questa tipologia lavorativa proprio per conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro. Infatti le modifiche all'attuale normativa ampliano il ricorso e l'incertezza della durata del lavoro supplementare e flessibilizzano la distribuzione dell'orario concordato, riducendo gli spazi di contrattazione e di volontarieta'. Vi e' poi il "lavoro intermittente". Esso e' caratterizzato in via essenziale dall'incertezza della prestazione, che dipende esclusivamente dall'atto della chiamata al lavoro da parte del datore di lavoro e solo in via secondaria dalla disponibilita' del lavoratore a farvi fronte. Il lavoro a intermittenza e' immediatamente disponibile per i lavoratori con piu' di 45 anni espulsi dal ciclo lavorativo o iscritti in mobilita' e al collocamento, o per i disoccupati con meno di 25 anni, confermando che per gli svantaggiati questo governo e' particolarmente premuroso. Persistono difficolta' interpretative rispetto alla proporzionalita' di molti istituti. Ad esempio non e' chiaro nel caso dei periodi di maternita' e di congedi parentali, cosa significa la proporzione temporale nella fruizione. Infatti il congedo per maternita' e' definito per legge come "astensione obbligatoria", il congedo parentale e' invece un'astensione facoltativa. Ci auguriamo che il legislatore non abbia inteso prendere come riferimento il criterio delle ore prestate nell'anno precedente, perche' questo di fatto lederebbe i diritti legati alla tutela della maternita' e della paternita'. Altra forma di contratto "innovativa" e' il lavoro ripartito, conosciuto anche con il termine "job sharing". Esso prevede che si puo' lavorare in coppia sulla base di un unico rapporto di lavoro. Ciascun lavoratore stabilisce con l'altro la quantita' di lavoro che svolgera', e sara' retribuito in conseguenza. Il testo non cita la maternita': sara' una dimenticanza o in quel caso si applica la legge integralmente per entrambi? Il venir meno della disponibilita' di uno dei lavoratori a proseguire il rapporto determina automaticamente il licenziamento anche dell'altro, a meno che il datore di lavoro offra al lavoratore rimasto di restare in azienda con un "normale" rapporto di lavoro, anche a part-time. L'impedimento di entrambi i lavoratori autorizza il datore di lavoro a sciogliere il vincolo contrattuale per entrambi. Il paradosso e' che questo insieme di norme che irrigidiscono la flessibilita', cosi' decantata dalla legge Biagi, non sembrano avere prodotto un risultato apprezzabile. Il lavoro a tempo parziale e' diffuso soprattutto fra le donne, ma occorre ricordare che prima dell'introduzione della suddetta legge il part-time era un contratto di lavoro "tipico", con le stesse tutele del lavoro a tempo pieno. Dalle ultime rilevazioni sulle forze di lavoro risulta che nel secondo trimestre del 2004 vi e' un aumento dell'1,7% dell'occupazione a tempo pieno, una diminuzione dello 0,4% di quella part-time rispetto al secondo trimestre del 2003. E' del tutto evidente che e' difficile fare un'analisi compiuta di questi dati che peraltro non sono disaggregati per genere, ma si puo' pensare che il nuovo part-time non e' gradito dalle donne. * La previdenza A proposito della cosiddetta riforma previdenziale recentemente approvata (legge 243 del 23 agosto 2004) e' utile sottolineare come essa sia sostanzialmente contro le donne. L'eliminazione della flessibilita' dell'eta' pensionabile prevista nel sistema contributivo (57 -65 anni di eta') ed il reinserimento di un'eta' pensionabile fissa ed obbligatoria (60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini) e' cosa che ovviamente colpisce i diritti di tutti perche' il diverso modo di calcolo della pensione previsto nel sistema contributivo era ed e' strettamente interconnesso alla libera scelta delle lavoratrici e dei lavoratori di poter andare in pensione a determinate eta', con la consapevolezza di percepire un determinato trattamento. Per quanto riguarda la specificita' di genere tale norma significa che le lavoratrici dovranno lavorare almeno tre anni in piu' rispetto a prima, fermo restando il fatto che per poter andare in pensione a tale eta' dovranno avere anche gli altri requisiti di legge e cioe' almeno 5 anni di contributi e un importo di pensione pari ad almeno 1,2 volte l'importo dell'assegno sociale. Ricordiamo che nel sistema contributivo l'eta' pensionabile flessibile ha anche significato la parificazione dei requisiti per il diritto alla pensione tra uomini e donne, cosa che ha permesso il superamento di vecchie e sterili polemiche che, purtroppo, si ripropongono ogni volta che ci sono da recuperare nuove entrate previdenziali in merito alla presunta necessita', in nome di una parita' assoluta, di prevedere l'innalzamento dell'eta' pensionabile obbligatoria delle donne, eguagliandola a quella degli uomini. E' previsto che la totalizzazione (cumulo) dei contributi sia possibile anche per coloro che raggiungono il diritto alla pensione nel singolo fondo, gestione o cassa previdenziale, solo se si hanno almeno 65 anni di eta' o si raggiungano i 40 anni di contribuzione, indipendentemente dall'eta' anagrafica, e sempreche' ogni periodo contributivo versato presso ogni singolo fondo sia stato di durata almeno pari a 5 anni. La norma e' penalizzante per le lavoratrici, che maturando il diritto alla pensione di vecchiaia a 60 anni, dovrebbero comunque attendere i 65 per poter usufruire della totalizzazione e quindi per poter percepire un unico trattamento di pensione, corrispondente al cumulo di tutti i periodi contributivi versati o accreditati. La norma dovrebbe essere modificata facendo riferimento per il diritto alla totalizzazione al raggiungimento dell'eta' pensionabile prevista nel sistema pubblico obbligatorio. La modifica delle norme sul diritto alla pensione di anzianita' prevede, a decorrere dal primo gennaio 2008, per tutti i lavoratori un innalzamento secco di almeno tre anni di eta' (in alcuni casi diventano anche cinque) per poter maturare l'accesso al trattamento pensionistico. Nel 2008 saranno infatti necessari, oltre ai 35 anni di contribuzione, 60 anni di eta', che diventeranno 61 nel 2010 e 62 nel 2014. Cio' significa che di fatto per le lavoratrici la pensione di anzianita' viene cancellata, dal momento che l'eta' prevista per il diritto alla pensione di anzianita' coincide con l'eta' prevista per il diritto alla pensione di vecchiaia (a meno che nella mente del governo non rimanga sempre il sottile pensiero di poter prima o poi procedere all'elevazione dell'eta' pensionabile obbligatoria per le lavoratrici). Ne' e' da prendere in alcuna considerazione la possibilita' che viene concessa, in via sperimentale e comunque fino al 2015, alle sole donne di poter continuare ad andare in pensione di anzianita' con i vecchi requisiti di 57 anni di eta' e 35 di contribuzione, alla condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo: si tratta di una misura ridicola, pericolosa e soprattutto estremamente penalizzante per le lavoratrici, alle quali verrebbe semplicemente riconosciuto il diritto ad andare in pensione prima, in cambio di un trattamento pesantemente ridotto. Non sono questi gli sconti che debbono essere fatti alle lavoratrici: si tratta, infatti, di misure false e demagogiche, che non salvaguardano assolutamente i diritti acquisiti. * Lavoratrici Immigrate (donne immigrate) Per quanto riguarda le donne immigrate - importante risorsa sia per le famiglie (poiche' le lavoratrici immigrate impegnate come ausiliarie famigliari permettono alle donne italiane la conciliazione lavoro-famiglia), sia per l'economia del paese - l'utilizzo del linguaggio di genere e' improprio. La segregazione orizzontale e verticale, oppure il soffitto di cristallo, non riguardano il loro mondo del lavoro. L'unico linguaggio possibile e' "segregazione, segregazione, e segregazione". Il soffitto di cristallo diventa di cemento e la mobilita' all'interno del mercato del lavoro e' impossibile. Le lavoratrici immigrate, in maggioranza diplomate o laureate, arrivano in Italia con una professionalita' ed esperienza di lavoro che non sono mai riconosciute e sono costrette a lavorare, salvo poche eccezioni, nel settore dell'assistenza alle persone ed alle famiglie o come donne di pulizia. Con la legge 30/2002, n. 189, la nuova legge sull'immigrazione chiamata Bossi-Fini, l'ingresso per lavoro e' vincolato alla stipulazione del "contratto di soggiorno per lavoro" ed i lavoratori immigrati da cittadini stranieri diventano soltanto forza lavoro. L'ingresso regolare per le donne diventa impossibile perche' le famiglie italiane preferiscono l'assunzione diretta e difficilmente assumono una lavoratrice senza conoscerla. La legge Bossi-Fini ha introdotto modifiche restrittive, alcune delle piu' importanti riguardano la possibilita' di ingresso e permesso di soggiorno per lavoro solo a seguito di un contratto di soggiorno per lavoro e, in caso di perdita di lavoro, la possibilita' di iscrizione nelle liste di collocamento per sei mesi. Il ricongiungimento familiare ha subito importanti restrizioni in particolare nel caso dell'ingresso dei genitori e figli maggiorenni. Pur avendo parita' di trattamento in ambito previdenziale, sono penalizzate in caso di prestazioni di natura non contributiva, ovvero le prestazioni assistenziali (assegni di maternita' e invalidita' civile, ad esempio, solo con carta di soggiorno). Questi aspetti evidenziano come oggi le donne immigrate regolari in Italia siano in una condizione di precarieta' e disagio. Il testo unico sull'immigrazione del 1998 aveva lo scopo di affermare quei diritti di cittadinanza sociale che devono essere l'obiettivo di una seria politica dell'immigrazione in Italia; con la Bossi-Fini si e' tornati indietro perche' quei diritti non sono garantiti come lo erano in precedenza. Per quanto riguarda le donne richiedenti asilo in Italia, le rifugiate, sono penalizzate dalla mancanza di una legge organica sul diritto di asilo. Inoltre, occorre ricordare che l'Italia insieme alla maggiore parte dei paesi dell'Unione Europea non ha ancora ratificato la Convenzione Onu per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie del 1990. Cosi' si arriva con il visto per turismo e alla sua scadenza si passa alla clandestinita' e conseguente precarieta'. Il pericolo di finire in un Cpt (Centri di Permanenza Temporanea) e' reale. In questi centri si riuniscono tutti gli immigrati irregolari; molti avrebbero diritto alla richiesta d'asilo; molte donne, vittime della tratta, alla protezione sociale, e cosi' via. L'impossibilita' da parte delle organizzazioni di volontariato di portare loro assistenza fa si' che siano espulsi dall'Italia indipendentemente dai loro diritti. La mancanza di garanzie reali rende l'accesso al credito impossibile. Non e' possibile nemmeno fare un finanziamento per l'acquisto di un bene di consumo. L'unica possibilita' di credito per le immigrate in questo momento e' attraverso due progetti pilota per il microcredito alle donne immigrate. Uno in programma nella Provincia di Roma, promosso dalla Fondazione Risorsa Donna di Roma e Compagnia San Paolo di Torino, in collaborazione con la Banca San Paolo Imi, che offre alle donne immigrate la possibilita' di avviare una microimpresa oppure di qualificarsi professionalmente, attraverso un percorso formativo che garantisca un sbocco occupazionale. L'altro nella citta' di Torino, promosso dalla Associazione Alma Mater, in collaborazione con le banche etiche Mag 2, Mag 4 e Agemi, offre alle donne immigrate microcredito per soddisfare molteplici bisogni. * Politiche sociali e sanitarie Salute riproduttiva Secondo l'organizzazione dei servizi sanitari della Repubblica Italiana, i consultori sono il presidio territoriale deputato alla prevenzione della salute delle donne. Relativamente ai servizi di prevenzione rivolti alla donna, l'Oms definiva il consultorio un ambulatorio di primo livello che si occupa di salute riproduttiva e di prevenzione dei tumori femminili Tuttavia essi sono in progressiva smobilitazione. I consultori dovevano essere potenziati fino a realizzarne uno per ogni 15.000 abitanti. Ma questo disegno non e' mai stato portato a compimento, non c'e' un censimento di quanti essi siano attualmente. L'Italia e' il secondo paese dopo il Brasile per il numero di tagli cesarei; non sono in atto politiche tese a ridurre il fenomeno e a informare le donne sui rischi connessi. Rispetto all'interruzione volontaria di gravidanza, non vengono messe in atto quelle "procedure piu' avanzate per le donne" (Legge 194/1978, art. 15): gli aborti medici con RU486 (Mefegyn), i cui vantaggi rispetto a quelli chirurgici sono ampiamente dimostrati a livello clinico, psicologico ed economico, sono ampiamente realizzati in altri paesi europei (650.000 in Europa), ma in Italia non sono di fatto consentiti. I medici italiani che praticano il servizio di Ivg secondo la legge194/78 intendono fare una petizione alla ditta Exelgyn, al Ministero della Sanita', alla Commissione del Farmaco, affinche' in Italia venga commercializzato il prodotto RU486 come negli altri paesi europei. * Asili nido La legge 285/1997 e la legge 265/2000 consentono e promuovono una nuova tipologia dei servizi per la prima infanzia, che prevede servizi gestiti dalle famiglie o da associazioni, micro-asili, flessibilita' negli orari, ecc. Alcune Regioni hanno gia' legiferato in questo senso e svariate sono le iniziative dei Comuni. Sono in atto alcuni cambiamenti che occorre monitorare con attenzione, in modo che si mantengano gli standard di qualita' cui non possiamo, ne' vogliamo rinunciare. Compito delle amministrazioni pubbliche e' soprattutto quello di fissare e mantenere il controllo su tali standard, quando non sono piu' in grado di provvedere direttamente all'erogazione dei servizi. Rispetto agli asili nido aziendali - alcuni, ma ancora molto pochi, sono stati aperti -, il problema e' estremamente controverso. Infatti da un lato si teme che si ritorni ad una logica di tutela dell'azienda, come era prima degli anni settanta, quando aziende illuminate, come ad esempio Olivetti o Pirelli, fornivano alcuni servizi ai propri dipendenti, per permettere a padri e madri la permanenza nei luoghi di lavoro. Poiche' in Italia e' stato privilegiato, giustamente, nell'ultimo trentennio un sistema territoriale nel quale l'attenzione si e' fortemente concentrata sulle esigenze educative dei bambini e delle bambine, si paventa il rischio che i nidi aziendali assumano una funzione di parcheggio, che siano collegati solo alle lavoratrici madri - e non ai lavoratori padri - e che siano soprattutto funzionali alle esigenze delle aziende. Dall'altro lato, e' innegabile che ci sia un estremo bisogno di asili nido, soprattutto se si considera il fatto che la copertura di posti e' attualmente ferma al 6%, anche se la richiesta di copertura dell'Unione Europea per l'anno 2010 e' al 33%. * 2. Institutional mechanism to promote gender equality Presenza delle donne nelle istituzioni: Riforme elettorali e Statuti Regionali In Italia il problema della rappresentanza delle donne nelle istituzioni pubbliche, e in particolare nella gestione politica, e' ormai irrinviabile. Siamo al 73simo posto in una graduatoria di 183 Stati, con 71 donne alla Camera (11,05% del totale dei membri) e 26 al Senato (8,01%). I dati dimostrano inequivocabilmente come le donne italiane siano in condizione di svantaggio rispetto a quelle degli altri paesi europei e del resto del mondo. Il governo e la sua Ministra dovrebbero interrogarsi sul fallimento totale della loro azione e sul non raggiungimento degli obiettivi definiti nella piattaforma di Pechino. Quali sono stati gli interventi legislativi che ha messo in atto il governo italiano dopo la modifica degli art. 51 (all'articolo 51, primo comma, della Costituzione, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunita' tra donne e uomini") e 117 comma settimo della Costituzione? Nessuna campagna di sensibilizzazione significativa sulle pari opportunita' e' stata svolta dalla Ministra; l'unico intervento legislativo e' stato fatto per le elezioni del parlamento europeo con la legge 6 aprile 2004 dove all'art. 3 comma primo si afferma: "nell'insieme delle liste circoscrizionali nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in misura superiore ai due terzi". La norma introdotta e' molto blanda. Nessun modifica e' stata introdotta sulla legge elettorale nazionale e nessun intervento e' stato promosso dal governo nazionale sulle Regioni per spingere queste ultime a rispettare il dettato costituzionale dell'art. 117 comma settimo che prevede l'introduzione nelle leggi elettorali di norme per il riequilibrio della rappresentanza: "le leggi regionali devono rimuovere ogni ostacolo alla piena parita' tra donne e uomini nella vita sociale, culturale ed economica, promuovendo la parita' di accesso alle cariche elettive e di governo". Le uniche Regioni che hanno votato una nuova legge elettorale ad oggi sono la Sicilia e la Toscana. La prima, grazie ad una forte campagna di pressione esercitata dalle associazioni di donne e dall'intervento del Commissario dello Stato, e' riuscita a introdurre l'alternanza uomo donna nella lista regionale composta da otto candidati e la norma dei 2/3 nelle liste provinciali; la Toscana ha eliminato la preferenza unica e ha inserito la norma dei 2/3. Se non interverranno miracoli istituzionali nelle prossime elezioni regionali previste in primavera, le Regioni violeranno palesemente un dettato costituzionale, e a farne le spese saranno ancora una volta le donne italiane. Le Regioni che hanno approvato gli statuti sono: Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta, ma su molti pendono i ricorsi del Governo. * Le politiche per le pari opportunita' nel contesto europeo Poiche' l'Italia si appresta alla ratifica del Trattato Costituzionale si' che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea possa diventare giuridicamente vincolante (parte II del Trattato) e il diritto all'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne diventi un obbligo, e' particolarmente grave che il governo non rispetti neppure le disposizioni dei trattati dell'Unione Europea attualmente vigenti. Sia il Trattato di Costituzione Europea che la Carta di Nizza, infatti, oltre al divieto di discriminazione di sesso inter alia contengono disposizioni specifiche e autonome per la promozione dell'uguaglianza tra uomini e donne. L'inserimento nella Carta di uno specifico e autonomo diritto all'uguaglianza tra uomini e donne e' il risultato di una lunga battaglia condotta dalle femministe in sede europea per affermare che le donne non sono un gruppo discriminato tra gli altri. Dunque l'approccio del Ministero italiano delle pari opportunita' finalizzato sulla lotta a tutti i tipi di discriminazioni previste all'art. 13 del Trattato di Costituzione Europea, negando autonomia e specificita' alle politiche di pari opportunita' tra uomini e donne e sussumendole all'interno del generale approccio antidiscriminatorio, si basa su una lettura parziale e riduttiva del Trattato di Costituzione Europea e della Carta di Nizza. Il Trattato di Costituzione Europea sia all'art. 141 che agli artt. 2 e 3 configura un principio di uguaglianza tra uomini e donne che va oltre il divieto di discriminazione/uguaglianza formale e include l'uguaglianza di opportunita' come aspetto dell'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne. Anche l'art. 23 della Carta enuncia esplicitamente l'obbligo di non limitarsi all'uguaglianza di trattamento ma anche di promuovere politiche per perseguire l'uguaglianza effettiva di opportunita' e risultati. L'approccio del Ministero fonda, invece, i suoi compiti e funzioni esclusivamente sull'art. 13 del Trattato di Costituzione Europea e, dunque, identifica e restringe la nozione di uguaglianza tra uomini e donne all'approccio antidiscriminatorio/uguaglianza di trattamento/uguaglianza formale. L'identificazione della nozione di pari opportunita' con il divieto di discriminazione e' in contraddizione con le menzionate disposizioni comunitarie e con il tradizionale approccio comunitario che fin dal 1976, oltre all'uguaglianza di trattamento, ha previsto azioni positive di promozione delle pari opportunita' in ambito occupazionale e professionale. Alla luce di queste disposizioni l'attuale approccio del Ministero delle pari opportunita' e la relativa definizione dei suoi compiti e funzioni risultano parziali e riduttivi. L'annullamento della specifica prospettiva dell'uguaglianza di genere all'interno di un generale approccio antidiscriminatorio e la sovrapposizione/confusione/dissoluzione delle specifiche politiche di uguaglianza di genere all'interno delle generali politiche antidiscriminatorie non corrisponde ne' ad una corretta interpretazione del gender mainstreaming, ne' all'approccio duale che secondo la Commissione Europea ne sarebbe il necessario presupposto. Al contrario, il rafforzamento della prospettiva dell'uguaglianza di genere all'interno delle politiche contro le discriminazioni di razza, etnia, eta', handicap, religione e orientamento sessuale richiede il rafforzamento degli organismi specificamente preposti alle politiche di uguaglianza di genere. Per perseguire, conseguire e assicurare l'uguaglianza sostanziale di cui all'art. 23 della Carta e' percio' necessario correggere l'attuale tendenza a trasformare il Ministero delle pari opportunita' in una generica struttura responsabile di tutte le politiche antidiscriminatorie. (Parte prima - Segue) 2. LETTURE. FRANCA ROSSI: DI CHI E' LA SCUOLA? LA PARTECIPAZIONE RESPONSABILE DEI BAMBINI Franca Rossi, Di chi e' la scuola? La partecipazione responsabile dei bambini, Carocci, Roma 2005, pp. 112, euro 10. Un agile volumetto sulle possibilita' e modalita' di partecipazione dei bambini alla vita della scuola. 3. LETTURE. BIANCA MARIA VARISCO: PORTFOLIO Bianca Maria Varisco, Portfolio. Valutare gli apprendimenti e le competenze, Carocci, Roma 2004, pp. 400, euro 28. Un'ampia panoramica delle teorie e le pratiche di valutazione degli apprendimenti nella scuola e piu' in generale nei processi formativi. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 16 del 16 giugno 2005
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