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La nonviolenza e' in cammino. 962
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 962
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 15 Jun 2005 00:23:08 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 962 del 15 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Sofia Del Curto: una e-mail per la liberazione di Aung San Suu Kyi 2. Paolo Candelari: Dal 6 al 10 luglio l'assemblea nazionale del Mir 3. L'assessore al razzismo e il ministro del linciaggio 4. Claudio Riolo: Una premessa a "Liberta' di informazione, di critica e di ricerca nella transizione italiana" 5. Doriana Goracci: Il muro 6. Barbara Spinelli: Entrare nel tifone 7. Unione delle donne in Italia: L'opacita' 8. Juliette Terzieff: Donne in Afghanistan 9. Danilo Zolo presenta "Come l'America la fa franca con la giustizia internazionale" di Michael Mandel 10. Con "Qualevita", la lezione di Albert Schweitzer 11. Rilviste: "Aut aut" n. 323: Michel Foucault e il potere psichiatrico 12. Letture: Augusto Cavadi, Strappare una generazione alla mafia 13. Letture: Alexander Langer, The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers 14. Riletture: Adrienne Rich, Nato di donna 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. APPELLI. SOFIA DEL CURTO: UNA E-MAIL PER LA LIBERAZIONE DI AUNG SAN SUU KYI [Ringraziamo Sofia Del Curto (per contatti: sofiadel at tin.it) per questo invito cui con tutto il cuore ci associamo. Sofia Del Curto e' impegnata nel movimento di solidarieta' per la democrazia in Myanmar (Birmania), a sostegno dell'azione nonviolenta di Aung San Suu Kyi e per la sua liberazione. Aung San Suu Kyi , figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - dure persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 1998] Cari amici, nell'avvicinarsi del 19 giugno, sessantesimo compleanno del premio Nobel birmano Aung San Suu Kyi, tutt'ora agli arresti domicliari, vi pregherei di inviare un e-mail a burma at euro-burma.be (associazione che si occupa in Europa di fare campagna per la sua liberazione) e ad ambitaly at ambitaly.net.mm (nostra Ambasciata a Rangoon) chiedendo la sua liberazione. Grazie e buon lavoro, Sofia Del Curto 2. INCONTRI. PAOLO CANDELARI: DAL 6 AL 10 LUGLIO L'ASSEMBLEA NAZIONALE DEL MIR [Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at libero.it) per averci inviato il programma della prossima assemblea nazionale del Mir. Paolo Candelari, presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione, e' una delle piu' conosciute e stimate figure della nonviolenza in Italia. Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (in sigla: Mir in Italia, Ifor - International Fellowship of Reconciliation - a livello internazionale) e' uno dei principali e piu' autorevoli movimenti nonviolenti] Invito all'assemblea nazionale del Mir (Movimento Internazionale della Riconciliazione) L'assemblea del Mir si svolge ogni anno, ed e' l'incontro principale in cui si riuniscono i suoi iscritti per discutere insieme e decidere cosa fare. Essa e' sempre stata aperta a tutti gli amici che vogliono conoscere piu' da vicino il nostro movimento, e sono interessati alle tematiche della nonviolenza e della riconciliazione. Ma lo e' particolarmente quest'anno, in cui abbiamo deciso di approfittare di questa occasione d'incontro per fare un campo seminariale di quattro giorni, in cui rifletteremo sul tema "la nonviolenza evangelica": questo fa parte di un percorso, iniziato lo scorso anno, di approfondimento delle radici spirituali del nostro impegno nonviolento. Per questo vorremmo invitare tutti coloro che sono interessati a questo tema a discuterne con noi, portare la loro esperienza, in modo da poter arricchirci insieme. L'assemblea sara' organizzata sullo stile dei campi Mir, inframmezzando il lavoro teorico al lavoro manuale, di aiuto alla comunita' che ci ospita, e di autogestione; il tutto "condito" di momenti serali di festa e convivialita'. Ci sara' anche una seconda parte in cui si fara' una valutazione del lavoro fatto dal movimento, e cercheremo di elaborare un programma per il prossimo anno. Pertanto invito tutti coloro che condividono la nostra aspirazione ad un mondo riconciliato, piu' giusto, dove guerra e violenza siano bandite, a venire per riflettere insieme e conoscere un movimento, che pur piccolo e con mille difetti, ha una storia importante ed e' stato ed e' tuttora uno dei caposaldi della nonviolenza organizzata. * Programma Mercoledi' 6 luglio - pomeriggio: arrivi e sistemazione - sera: presentazione Giovedi' 7 luglio - mattino: momento di meditazione spirituale; lavoro (secondo lo stile dei campi) - pomeriggio: gruppi di discussione sul tema "la nonviolenza evangelica" - sera conviviale Venerdi' 8 luglio - mattino: momento di meditazione spirituale; lavoro (secondo lo stile dei campi) - pomeriggio: gruppi di discussione sul tema "la nonviolenza evangelica" - sera: relazione presidente e segreteria Sabato 9 luglio - mattino: passeggiata nei boschi - pomeriggio: Difesa popolare nonviolenta e servizio civile; presentazione attivita' Ifor e sedi locali; campagne e iniziative future; preghiera ecumenica - sera: festa Domenica 10 luglio - mattino: conclusioni, delibere, elezione presidente e segreteria, valutazioni finali. - pranzo e saluti. * Come raggiungere la casa In auto prendendo l'autostrada Torino-Bardonecchia: uscire allo svincolo di Savoulx, prendere la strada statale 335 in direzione Bardonecchia; dopo 1,8 km, giunti al paese di Beaulard, girare a sinistra e seguire le indicazioni per Chateau prendendo la strada provinciale 234: dopo 3 km si giunge alla borgata di Chateau, lasciare l'auto nel posteggio sopra il paese, scendere fino alla chiesa, alla prima fontana girare a sinistra e proseguire fino in fondo alla via. In treno (fermata a Beaulard del treno FS sulla linea Torino-Bardonecchia; si cambia a Bussoleno) e poi per i piu volenterosi a piedi su comodo sentiero di circa 2,5 km; per gli altri telefonateci e vi veniamo a prendere in macchina (telefonare al 3385920901). La casa per ferie si trova nella piccola Borgata Chateau a 2,5 km da Beaulard a 1.385 m. di altitudine, a soli 8 km da Oulx in direzione di Bardonecchia. Il costo del soggiorno (dalla cena del 6 al pranzo del 10) sara' di 65 euro (la meta' per i bambini). Per chi avesse esigenze particolari ci contatti. Per informazioni contattare: Claudio Greco (tel. 0119046515, e-mail: clalagg at tele2.it); Paolo Candelari (tel. 0117767411; e-mail: paolocand at libero.it) Segreteria nazionale del Mir: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel: 011532824, fax: 0115158000, e-mail: mir at peacelink.it, sito: www.peacelink.it/users/mir/ * Un po' di storia del Mir/Ifor Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, dopo aver partecipato a un convegno ecumenico a Colonia, l'inglese Henry Modgkin e il tedesco F. Siegmund Shultze promettono di non partecipare mai ad una guerra. Alla fine dello stesso anno, a Cambridge, 130 persone danno vita al movimento e, divenuto obbligatorio il servizio militare in Gran Bretagna, nel 1917 piu' di 600 membri del Mir inglese si dichiarano obiettori di coscienza e vengono messi in prigione. Nel 1919 il movimento diventa internazionale con la denominazione di Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) nei paesi latini e di International Fellowship Of Reconciliation (Ifor) nei paesi anglofoni. Si configura come una federazione di gruppi i cui membri operano per la giustizia e la pace, rifiutano l'uso della violenza nonche' la preparazione e la partecipazione alla guerra sotto qualsiasi forma. Si definisce movimento a base spirituale, composto da uomini e donne impegnati nella nonviolenza attiva come stile di vita e mezzo di cambiamento personale, sociale e politico. Negli anni '30 entra in contatto con Gandhi e sviluppa metodi di nonviolenza attiva per la risoluzione dei conflitti nella ricerca della verita' e nel rispetto dell'avversario. Numerosi sono gli episodi di resistenza nonviolenta da parte di membri del Mir durante la seconda guerra mondiale anche con tributo di sangue. Dopo la seconda guerra mondiale il Mir, grazie anche all'opera instancabile di Jean e Hildegard Goss-Mayr, cerca vie alternative e nonviolente per conseguire la giustizia e la riconciliazione tra tutti i popoli. In America Latina e' presente con don Helder Camara e Adolfo Perez Esquivel; negli Stati Uniti con Martin Luther King e Dorothy Day; in Vietman collabora alla resistenza nonviolenta con i monaci buddhisti; in Sudafrica e' presente con Albert Luthuli; in Irlanda con Mairead Corrigan. E inoltre in Medio Oriente, Zaire e Africa Sub-sahariana, Filippine, India, Bangladesh, Madagascar e, dopo il 1989, anche in molti paesi dell'Europa orientale. Oggi il Movimento, presente in piu' di 50 paesi, e' Organismo Non Governativo (Ong) e ha uno status consultivo permanente presso le Nazioni Unite (Ecosoc) nelle sedi di New York, Ginevra e Vienna. * Il Mir in Italia La sezione italiana del Mir nasce nel 1952 per iniziativa di Tullio Vinay e Carlo Lupo (valdesi), Ruth e Mario Tassoni (quaccheri). Si impegna sin dall'inizio per la diffusione della teoria e della prassi della nonviolenza e presto raccoglie adesioni anche tra i cattolici. Dagli anni '60 e' attivo a livello nazionale per un ecumenismo di base e per approfondire i fondamenti religiosi della nonviolenza. Il Mir ha sostenuto Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini, primi obiettori cattolici al servizio militare, si e' impegnato per il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza ed e' stato uno dei primi enti a convenzionarsi per lo svolgimento del servizio civile. E' stato il movimento che ha avviato per primo in Italia la Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari (osm), nata negli anni '80, e si adopera per far conoscere e costruire la Difesa popolate nonviolenta (Dpn) come alternativa alla difesa armata. Ha partecipato alla lotta contro le centrali nucleari. Da diversi anni il Mir e' impegnato nell'educazione alla pace realizzando, in collaborazione con le istituzioni locali e regionali, incontri e convegni di formazione e di informazione sulla pace, la nonviolenza, un diverso modello di sviluppo. Ogni anno organizza campi estivi di formazione alla nonviolenza. Attualmente sostiene molteplici iniziative internazionali per una soluzione nonviolenta dei conflitti armati in varie parti del mondo, in particolare in Kossovo, Africa, Colombia, Palestina/Israele. * Dallo statuto del Mir Il Mir e' un movimento a base spirituale composto da uomini e donne che sono impegnati nella nonviolenza attiva intesa come stile di vita; come mezzo di riconciliazione nella verita' e di conversione personale; come mezzo di trasformazione sociale, politica, economica; nel rispetto della fede dei suoi membri. I membri dei Mir di fede cristiana si impegnano nella nonviolenza evangelica attiva, nella testimonianza che l'amore quale Gesu' Cristo ha manifestato vince ogni male. Tutti i membri del Mir sono chiamati a praticare la nonviolenza attiva sull'esempio di Gandhi e come mezzo per costruire la pace frutto della riconciliazione, nella consapevolezza che guerre e conflitti sono causati dall'ingiustizia e da discriminazioni razziali, etniche, ideologiche, religiose, economiche, di sesso, e che il depauperamento dell'ambiente e' anche la conseguenza di un errato ed ingiusto sfruttamento delle risorse naturali. Pertanto essi si impegnano a: - praticare la riconciliazione nella vita personale e sociale; - praticare la solidarieta' nella vita personale e sociale; - liberare l'uomo da tutti quei condizionamenti culturali, politici, militari, economici che lo confondono e lo opprimono; - rifiutare qualsiasi collaborazione alla guerra cosi' come a situazioni o istituzioni di ingiustizia e criminalita', sia che esse attentino alla vita umana sia che sfruttino indebitamente le risorse naturali e umane. 3. RIFLESSIONE. L'ASSESSORE AL RAZZISMO E IL MINISTRO DEL LINCIAGGIO Quando eravamo giovani c'era un bel manifesto, credo del maggio francese, che diceva: "Cedere un poco e' capitolare del tutto". I campi di concentramento istituiti dalla legge Turco-Napolitano e recepiti nella legge Bossi-Fini introducevano, era evidente fin dall'inizio, pezzi di hitlerismo nel nostro territorio e nel nostro ordinamento giuridico. Come le deportazioni di esseri umani innocenti, rigettati nelle fauci di quei poteri criminali e di quelle condizioni di orrore da cui cercavano scampo fuggendo nel nostro paese che nella sua legge fondamentale garantisce ad ogni essere umano che qui trovera' salvezza dai suoi aguzzini. Come la riduzione in schiavitu' nel nostro paese, visibile a tutti, di migliaia di vittime innocenti a beneficio del maschio bianco "liberale" di una liberta' intesa come diritto del piu' forte a stuprare, rapinare, devastare ed uccidere. Fino al ministro col cappio, all'asessore e al parlamentare che ripetono pari pari la retorica del "Voelkischer Beobachter". E' l'Italia di oggi. E cosi' come Dietrich Bonhoeffer seppe dire che chi non aiutava le vittime di Hitler non poteva cantare il Gregoriano, oggi dobbiamo dire che non osi parlare di legalita' e di democrazia chi non aiuta a salvarsi la vita gli immigrati detti clandestini tre e quattro volte perseguitati (dall'ingiustizia planetaria chiamata globalizzazione per non definirla imperialismo, dalle dittature della fame e della guerra, dalle mafie transnazionali, da una legislazione specifica italiana ed europea che denega i diritti umani e contraddice ogni fondamento del diritto). Abolire i campi di concentramento realizzati dal governo Prodi e confermati da tutti i governi successivi; far rispettare l'articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana; impedire le deportazioni che uccidono; combattere le mafie schiaviste e i clienti dei loro servizi; abrogare la legge Bossi-Fini; restituire civilta' giuridica, dignita' democratica, umanita' al nostro paese. E' il compito dell'ora cui nessuno puo' sottrarsi. E se non ne siamo capaci, piuttosto dobbiamo preferir di subire noi stessi la persecuzione e la galera, anziche' essere complici - sia pure per mera passivita' - del razzismo al potere. 4. MATERIALI. CLAUDIO RIOLO: UNA PREMESSA A "LIBERTA' DI INFORMAZIONE, DI CRITICA E DI RICERCA NELLA TRANSIZIONE ITALIANA" [Da Claudio Riolo (per contatti: clriolo at tin.it) riceviamo e diffondiamo la sua premessa al volume da lui curato Liberta' di informazione, di critica e di ricerca nella transizione italiana, La Zisa, Palermo 2004, in cui sono stati pubblicati gli atti del seminario su "liberta' di critica e di ricerca" svoltosi a Palermo nel dicembre 2003 (aggiornati al dicembre 2004). Claudio Riolo, nato ad Agrigento nel 1951, autorevole militante e dirigente politico ed acuto studioso, gia' direttore del Cepes (Centro studi di politica economica in Sicilia), e' politologo presso l'Universita' di Palermo; collabora a vari periodici. Tra le opere di Claudio Riolo: L'identita' debole, La Zisa, Palermo 1989; (a cura di), Liberta' di informazione, di critica e di ricerca nella transizione italiana, La Zisa, Palermo 2004. Il volume e' reperibile a Roma presso la libreria Paesi Nuovi (piazza Montecitorio); puo' essere ordinato presso Bardi Editore, via Piave 7, 00187 Roma; tel. 064817656, fax: 0648912574, e-mail: bardied at tin.it] Questo volume raccoglie i materiali - rivisti e aggiornati dagli autori nel dicembre 2004 - di un seminario organizzato dalla Facolta' di lettere e filosofia e dal Dipartimento di studi su politica, diritto e societa' dell'Universita' di Palermo, in collaborazione con le associazioni Articolo 21, Libera e Magistratura Democratica. Nel documento preparatorio dei lavori ne esponevamo cose' gli obiettivi: "Nell'Italia di oggi, la liberta' d'informazione e di critica nel campo politico, e quella di ricerca nel campo degli studi storici, politici e sociali rappresentano dei valori garantiti, in linea di principio, dalla Costituzione (art. 21, e anche art. 33), dalle leggi ordinarie e dal comune sentire. In pratica, ci sono dei punti sensibili nei quali tali fondamentali liberta' appaiono oggi minacciate. La complessita' e la delicatezza della problematica in questione - dovuta spesso a un intrinseco conflitto tra valori diversi, tutti degni di essere tutelati - ci ha sollecitato a promuovere una giornata di studio e di confronto. C'e' innanzitutto da approfondire il profilo giuridico del problema. Nel 2001 le associazioni antimafia hanno avviato una "campagna per la liberta' di stampa nella lotta contro la mafia". Infatti sempre piu' spesso accade che uomini politici, sentendosi diffamati da critiche rivolte al loro operato, cerchino di rivalersi in sede giudiziaria contro chi esercita per professione o per impegno civile e politico i diritti di cronaca e di critica garantiti appunto dall'articolo 21 della Costituzione. Il ricorso ai procedimenti civili per cercare di ottenere risarcimenti milionari o, addirittura, miliardari rischia di andare ben al di la' della legittima tutela dell'onorabilita' personale, giacche' appare strumentale alla instaurazione di un clima d'intimidazione nei confronti di chiunque intenda far conoscere, commentare o studiare il persistente fenomeno delle contiguita' tra politica, mafia e affari. Piu' in generale, andando oltre il campo specifico dell'antimafia, questa tendenza a trasferire la dialettica democratica e il conflitto politico in sede giudiziaria, con la pretesa, per di piu', di "monetizzare" un danno immateriale come quello morale, come si concilia con l'esigenza fondamentale, in un sistema democratico, di garantire l'esercizio della critica politica? Ed ancora, il difetto di bilanciamento tra interessi inevitabilmente in conflitto, dovuto a una concezione formalistica della tutela della reputazione individuale, non rischia forse di inibire il diritto/dovere di sottoporre l'operato di chi ricopre cariche pubbliche o ruoli rappresentativi al vaglio dell'opinione pubblica, indebolendo i meccanismi di responsabilita' politica posti a salvaguardia della credibilita' delle istituzioni?". Questi temi sono stati discussi e approfonditi nella prima sessione dei lavori (vedi la prima parte del volume), dove si e' cercato, tra l'altro, di fare il punto sul lungo e travagliato iter legislativo delle proposte di riforma in materia di diffamazione. In particolare sul testo di legge, approvato dalla Camera nell'ottobre 2004 e attualmente in discussione al Senato, ci sembra sia emersa, sia pure con motivazioni diverse, una diffusa insoddisfazione per il risultato provvisoriamente raggiunto. Non sappiamo (mentre scriviamo) se la riforma sara' approvata cosi' com'e', ma tutto lascia pensare che verra' modificata e dovra' tornare alla Camera. In ogni caso, riteniamo che i materiali del seminario forniscano analisi critiche e proposte costruttive, di cui si potrebbe utilmente tenere conto - almeno questo e' il nostro auspicio - per una riforma di maggior respiro. * La seconda sessione dei lavori (vedi la seconda parte del volume) e' stata dedicata al tema dell'autonomia della ricerca nel campo storico-politico, questione che nel documento preparatorio impostavamo cosi': "Accade sempre piu' di frequente che nel corso della loro attivita' gli studiosi si trovino oggetto di inopinati richiami al principio di autorita'. I pressanti appelli indirizzati agli storici dal mondo politico e dalle stesse istituzioni per la costruzione di una memoria condivisa del passato nascondono malamente il fastidio per la pluralita' degli approcci interpretativi possibili, e talvolta per la stessa idea di una ricostruzione realistica (non ideologica, ne' edificante) dei conflitti del passato. Non si vuole qui negare la legittimita' di un uso pubblico della storia, ovvero di una presentazione del passato a fini identitari o legittimanti da parte di istituzioni e movimenti politici; ma l'opinione pubblica deve avere ben presente la differenza di strumenti ma anche di intenzioni tra questa sfera e quella della ricerca propriamente detta. Gli studiosi sono stati anche perentoriamente invitati a riscrivere la storia italiana recente in relazione all'uno o all'altro documento di qualche Commissione parlamentare d'inchiesta, all'una o all'altra sentenza dei tribunali della Repubblica. Si tratta di un richiamo piu' sottile, ma anche piu' subdolo, al principio di autorita'. E' evidente che l'accertamento della verita' nelle assemblee politiche, e anche nei tribunali, risponde a tecniche e/o finalita' che sono diverse da quelle della ricerca; la documentazione raccolta in questi luoghi istituzionali rappresenta piuttosto una fonte cui liberamente il ricercatore puo', se lo ritiene, attingere senza sentirsi per nulla vincolato dai risultati raggiunti cola'. Paradossale e' infine che in alcuni casi a decidere dei risultati della ricerca storica o socio-politologica siano stati chiamati proprio i tribunali della Repubblica, con un ennesimo e potenzialmente piu' grave corto circuito tra campi della vita collettiva che dovrebbero essere tenuti ben distinti". Ci sembra che la seconda parte dei lavori, oltre a mettere a fuoco distinzioni e convergenze tra fini e metodi della ricerca nell'ambito delle scienze sociali e fini e metodi delle altre forme di conoscenza in ambito giornalistico, giudiziario o politico-istituzionale, si sia ben ricollegata con i temi affrontati nella prima sessione; allargandone, in particolare, l'orizzonte all'analisi delle tendenze in atto - non solo nel nostro paese, ma certamente con una accentuata specificita' nell'ormai lunga e difficile fase di transizione del sistema politico italiano - alla concentrazione dei poteri economico, politico e mediatico e alla conseguente erosione delle liberta' democratiche. * Se e in che misura siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi che ci eravamo proposti saranno i lettori a giudicarlo. Noi ci accontenteremmo di contribuire ad una maggiore consapevolezza, sia tra gli addetti ai lavori che a livello di opinione pubblica, della delicatezza e della complessita' della posta in gioco nella difesa dei diritti di cronaca, di critica e di ricerca. Nel concludere questa breve nota e' d'obbligo riconoscere che senza il sostegno, a vario titolo, delle istituzioni universitarie e delle associazioni promotrici gia' citate, non sarebbe stato possibile organizzare il seminario e pubblicarne i materiali. 5. RIFLESSIONE. DORIANA GORACCI: IL MURO [Ringraziamo Doriana Goracci (per contatti: doriana at inventati.org) per questo intervento. Doriana Goracci e' impegnata nel movimento delle Donne in nero e in molte altre esperienze di pace e di solidarieta'] Questo referendum mi ha particolarmente colpita. Per eta', genere e da sempre non "desiderosa" di maternita', perche' gia' madre, perche' gia' avvelenata dal peccato originale di una specie dominante la natura, nemica del pianeta che la ospita. Si vaneggia in forum qualificati dell'Europa, di concetti futuribili e di azioni presenti e prossime in Europa. Buonanotte Europa, buonanotte Italia. Ritorniamo al buio della mente, cullati dalle certezze della Chiesa ma angosciati dal Male. Continuiamo a credere che la terra desolata e' fuori dal nostro orticello... Annichilita disgustata laica anticlericale pacifista nonviolenta sbattuta una volta ancora sul muro del potere. Donna. 6. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: ENTRARE NEL TIFONE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci inviato questo articolo di Barbara Spinelli apparso sul quotidiano "La Stampa" domenica 12 giugno 2005. Barbara Spinelli e' una prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001] Andare a votare al referendum sulla fecondazione artificiale non e' certo cosa facile, perche' le quattro domande che vengon rivolte all'elettore sono tutte penose, irte di ambiguita', e non solo profonde ma il piu' delle volte enigmatiche. 1. Dove e quando comincia l'esistere dell'uomo, che tecnicamente prende l'avvio dalla cellula formatasi nella fecondazione? 2. E se non e' ancora persona a tutti gli effetti, l'embrione e' pur sempre vita oppure non ancora? 3. E se e' vita umana, ha diritti che possono esser messi a raffronto con quelli della madre che non potendo generare decide di procreare artificialmente? 4. E ancora, andando sempre piu' a fondo nello strapiombo che si spalanca: da chi e da cosa vien stabilito il confine tra persona e essere, tra vita e disegno di vita? 5. Dall'essere umano che mette al mondo quell'inizio di esserci che si chiama embrione, o dal volere di qualcosa o qualcuno che trascende il poter-volere dell'uomo? 6. Da quel che la scienza o la medicina son capaci di fare, e dai bisogni che tale capacita' suscita? 7. E infine: quel che e' fattibile e' percio' stesso anche lecito? 8. E una volta lecito, sara' per questo anche edificante per la storia dell'uomo e la sua civilta'? Si possono naturalmente avere idee molto limpide in proposito, e allora si votera' si' o no senza esitare. Ma si puo' anche vivere i quesiti come un grande e terribile enigma metafisico. Per Kant e' proprio qui, il difficile del domandare metafisico. E' nelle tre questioni che l'uomo e' spinto a porsi quando non si interroga solo sui dati visibili: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Proprio per questi motivi la scelta ha qualcosa di umanamente grande. Proprio perche' l'essenza delle domande non riguarda solo la tecnica, la ricerca, e neppure la felicita' di chi figlia. Perche' ciascuno di noi e' costretto a legiferare direttamente al posto di rappresentanti democratici che hanno fallito enormemente il loro compito. E perche' ci si interroga sulle imperfezioni di una legge, ma al contempo anche sul senso della vita, della morte. Ci si interroga su se stessi ma si decide anche sulla vita che verra', e che non ci apparterra' perche' nessun figlio e' nostro. Chi e' incline a credere che l'embrione sia gia' vita (tra essi, chi scrive) s'interroga anche sulla differenza tra il diritto dell'embrione e il diritto del genitore adulto: un diritto che non conosce doveri nel primo caso, che e' bilanciato da ineluttabili doveri nel secondo. La scelta di votare si' oppure no non e' solo politica ne' etica: e' tragica alla maniera greca antica, perche' l'uomo viene messo davanti a aporie che fondamentalmente non sanano i conflitti di coscienza. Nell'aporia dei tragici due visioni del mondo diametralmente opposte hanno al momento decisivo eguale validita', e tuttavia l'uomo non puo' restare immobile. Deve divenir libero, dunque responsabile: dicendo il suo si', il suo no, anche se con questo non risolvera' per sempre la questione. Ogni elettore che si ponga questioni che lo lacerano votera' con l'io diviso, se votera': se dira' si' non potra' liquidare quella parte di se' che sommessamente risponde no. Se dira' no mostrera' una fermezza increspata dai robusti argomenti del se'. La grandiosita' del voto di domani e' nella sua solitaria gravezza, e in questo suo entrare dentro il tifone per traversarlo, come nel racconto di Conrad. In fondo, se potessimo, risponderemmo alle grandi domande con altrettante e non meno grandi domande, affinche' la ricerca del vero continui. Ma non si puo', perche' nel tifone siamo e occorre conoscerlo per parlarne. Ben altro il comportamento degli astensionisti: sempre piu' rumorosi negli ultimi tempi, la loro strategia e' quella che il capitano Mac Whirr, nel Tifone, respinge come inutile, ignava, comunque non pratica. L'astensionista ha trovato la soluzione: si terra' alla larga dalla tempesta, dicendo a se stesso che ha aggirato il pericolo. Giudichera' la questione "troppo complessa, per il popolo immaturo". La sua "strategia della tempesta" consiste nell'imboccare la facilita': sara' contento se avra' evitato il tifone, dunque anche il possibile errore. Per Mac Whirr, che con ottusa imperturbabilita' entra nel turbine, chi in mare evita la tempesta e' del tutto inadatto alla prova, quando verra'; all'occasione, quando si presentera'. Gli astensionisti hanno un comportamento che sembra spesso dettato da convenienza politica, piu' che dall'attenzione per la persona e per quel che da essa nasce. Dicono che son contrari alle proposte correttive del si', ma se fossero davvero coerenti andrebbero alle urne per dire il loro no oppure frammenterebbero le risposte (si puo' anche votare scheda bianca, in risposta ai singoli quesiti). Ma il voto e' stato da loro talmente politicizzato, che l'obiettivo non e' piu' quello dichiarato: e' affossare l'idea stessa di uno spazio pubblico laico, dove i cittadini discutano e deliberino anche su questioni impossibili o tragiche, fin qui monopolizzate dalle chiese. Il motivo per cui sono accusati di furbizia e' spiegato dai giuristi Gustavo Zagrebelsky e Sabino Cassese: in realta' gli astensionisti relegano ai margini chi vota no, li fanno sparire, e con cio' uccidono lo spazio laico di conversazione che potrebbe aprirsi. Basta ripercorrere i telegiornali recenti: lo scontro era sempre fra il si' e il non-voto, e chi votava no finiva in inesplicati buchi neri. La scelta del non voto militante somiglia sovente a un sotterfugio: il sotterfugio di chi s'avvale di un "premio alla maggioranza", e somma l'astensionismo politico all'astensionismo fisiologico di chi non va alle urne per indifferenza, assenteismo o distrazione estiva. Ma non c'e' solo furbizia, nell'astensionismo. C'e' - lo abbiamo visto - una sorta d'ignavia nascosta dietro le apparenti forti convinzioni. Volendo aggirare il tifone, l'astensionista non sa neppure cosa sia traversare le bufere della scelta. Con il suo comportamento si limita a starsene in disparte, e a chi gli chiedera' com'e' stato il tifone non potra' rispondere, perche' non l'ha neppure visto da lontano. I militanti dell'astensionismo non sanno che non esistono grandi domande e risposte senza un esporsi all'errore, uno sporgersi sullo strapiombo. Karl Popper direbbe di loro: "Non sanno che evitare l'errore e' un ideale meschino". Dimenticano che e' dalle nostre teorie piu' ardite che impariamo di piu'. Che dobbiamo "andare alla ricerca dei nostri errori" per meglio scegliere soluzioni migliori, come spiega Dario Antiseri nel bel libro Cristiano perche' relativista - Relativista perche' cristiano (Rubbettino, 2003). La dimissione dell'astensionista e' duplice. In Parlamento non e' riuscito a cercare accordi per evitare il referendum. E ora che il referendum c'e', la diserzione s'accresce: piu' della meta' della Camera e' oggi tentata dal non voto, accettando che su questioni fondamentali sia la Conferenza episcopale a dettare la linea. Forse gli astensionisti non sanno la storia che fanno, quando inseguono l'ideale di aggirare i tifoni ignorandoli. Non sanno che la laicita' e' un bene prezioso, e che nelle radici d'Europa c'e' la separazione tra Stato e Chiesa, ispirata dal cristianesimo stesso. Pensano di salvare un pensiero forte ma ne hanno uno debole, fondato sull'escamotage e sulla convinzione che l'elettore sia fatto solo per licenziare o nominar governi. 7. RIFLESSIONE. UNIONE DELLE DONNE IN ITALIA: L'OPACITA' [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento dell'Udi, la storica esperienza associativa delle donne in Italia] Sulla differenza tra un cittadino e un embrione in regime democratico, sull'obbligo da parte della medicina di aver cura di ogni corpo - maschile o femminile che sia -, sulla dignita' di ogni essere umano gia' nato e sulla sua inviolabilita', sulla laicita' dello stato, sulle regole della ricerca scientifica, la maggioranza del popolo italiano ha evitato di esprimersi. Sull'intimita' della relazione tra donna e embrione, e dunque sull'autodeterminazione della donna circa il proprio corpo, sul futuro della vita sessuale delle giovani donne, sul presente della procreazione per le donne che, procreando senza assistenza, condannano il figlio a una vita di dolore e di malattia senza speranza di guarigione, la maggioranza delle donne ha evitato di esprimersi. I referendum abrogativi di parte della legge sulla procreazione medicalmente assistita sono stati dunque vinti dall'opacita' piu' assoluta del pensiero, dei sentimenti, delle volonta' di gran parte del popolo: uomini e donne. Nell'opacita' sono indivisibili l'indifferenza, l'egoismo, il pregiudizio, l'opportunismo politico, l'adesione a una chiesa, l'incertezza, il livore, la scelta morale e l'essere in tutt'altre faccende affaccendati. Era cio' che qualcuno voleva. Perche' silenzio e opacita' consentono di governare anime e corpi come se fossimo tutti embrioni: senza il disturbo di una democrazia troppo partecipata. Noi, l'Unione delle donne in Italia, ne prendiamo atto. Prendiamo atto non solo delle rotture culturali, sociali e politiche gravi che questo risultato testimonia e produce, ma anche dell'arretramento sul piano delle liberta', dei diritti civili, del rispetto reciproco tra persone diversamente situate di fronte ai problemi della sessualita' e della procreazione. E della perdita di solidarieta'. Anche fra donne. E ci muoveremo di conseguenza: nel promuovere senza sconto alcuno l'autodeterminazione delle donne, nella resistenza senza indulgenze contro le cadute della laicita' dello stato, per la liberta' delle giovani donne soprattutto. E perche' la necessaria modifica di questa legge indecente non avvenga in un parlamento indecentemente affollato di uomini e spopolato di donne. 8. DIRITTI. JULIETTE TERZIEFF: DONNE IN AFGHANISTAN [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti:sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo articolo di Juliette Terzieff, giornalista indipendente, corrispondente per "We News", ha lavorato per il "San Francisco Chronicle", "Newsweek", CNN International, "London Sunday Times" come corrispondente dai Balcani, dal Medio Oriente e dall'Asia del sud] Fino al marzo scorso, Shaima Rezayee era la co-conduttrice dello spettacolo televisivo "Hop" sulla prima tv indipendente afgana, un programma di un'ora che presentava video musicali stranieri. Shaima ebbe a dichiarare che la propria popolarita' poteva essere un esempio per le donne del suo paese: il riconoscimento delle capacita' e della professionalita' di una donna poteva portare a cambiamenti positivi anche per le altre. Il 19 maggio, la ventiquattrenne Shaima e' stata trovata uccisa a colpi di arma da fuoco nella propria casa. Il fatto non ha esattamente sconvolto il paese. Gia' dall'inizio della programmazione dello show, nell'autunno del 2004, Shaima e l'altro conduttore, Shakeb Isaar, avevano ricevuto minacce di morte. "Hop", trasmesso da Tolo Tv che vanta uno share di spettatori dell'81%, era un programma controverso: salutato entusiasticamente dai giovani urbanizzati, criticato aspramente dai conservatori che lo giudicavano "contaminante" per la cultura afgana. Nel marzo scorso, Shaima Rezayee venne licenziata, dopo che la Corte Suprema ebbe stabilito che lo spettacolo era "anti-islamico". Il tribunale non aveva richiesto che la giovane fosse rimossa dal suo posto di lavoro, tuttavia i dirigenti della stazione televisiva la cacciarono nel tentativo di rispondere alla sentenza. Da principio gli investigatori sul suo omicidio si sono concentrati sulla possibilita' di una vendetta da parte dei conservatori, ma la polizia di Kabul ha successivamente ammesso che la famiglia della giovane e' probabilmente coinvolta nel suo assassinio: si tratterebbe di un "delitto d'onore", giacche' non solo Shaima lavorava assieme ad uomini fuori dal proprio nucleo familiare, ma addirittura rideva e scherzava con l'altro conduttore del programma. Per molti, la sua morte e' l'ennesima prova che le donne afgane corrono gravi rischi nella loro lotta contro le convenzioni sociali, in un paese che mostra ancora una pesante influenza "talebana". "Le donne sentono dire: il nostro paese e' libero, e non comprendono che le cose non sono cambiate molto - dice Rona Popal, direttrice esecutiva dell'Associazione Internazionale delle Donne Afgane - Conoscono i propri diritti, ed esibiscono una grande determinazione nel cercare lavoro e nel provvedere alle proprie famiglie, ma non hanno sostegno, non hanno sicurezze su cui contare. Poi vediamo un caso come quello di Rezayee, ed ecco che l'intimidazione si sparge di nuovo su tutte le donne del paese". "ìLe donne non possono continuare a vivere in questa maniera - aggiunge Manizha Naderi, presidente di Women for Afghan Women - Ma certo cambiare le cose non e' una delle priorita' del governo. Se le donne non tentano di andare oltre i confini che vengono loro imposti, l'Afghanistan non si muovera' mai in avanti". Poiche' l'onore delle famiglie viene riposto nei comportamenti delle donne, gia' da un'eta' giovanissima le ragazze vengono investite da una tremenda pressione sociale ad essere "modeste" e al di sopra di ogni sospetto; persino nelle famiglie piu' progressiste o istruite le interazioni fra i sessi sono strettamente controllate. Le giustificazioni ai "delitti d'onore" dipendono solamente da cosa una famiglia giudichi non appropriato nel comportamento di una donna. L'Onu stima che 5.000 donne afgane muoiano ogni anno per "onore"; le cifre esatte sono difficili da stabilire, poiche' gli omicidi non vengono denunciati, le famiglie nascondono le cause dei decessi, e spesso essi si danno in remoti villaggi distanti da qualsiasi autorita' formale. Inoltre, tali autorita' non mostrano molto zelo nell'investigare su queste morti sospette. Dall'invasione delle truppe sovietiche alla fine degli anni '70, l'Afghanistan ha conosciuto due decenni di guerre che hanno lasciato uomini e donne feriti a livello emotivo e in condizioni di estrema poverta'. A seguito dell'ascesa dei Talebani nei primi anni '90, le donne furono escluse dal lavoro fuori casa e dagli studi e si trovarono in completa balia della polizia religiosa, che aveva l'autorita' di fermarle per strada e punirle immediatamente per le "infrazioni" al codice comportamentale. Molti afgani speravano che il governo di Hamid Karzai, salito al potere dopo l'invasione statunitense del 2001, fosse l'araldo di una nuova era per il paese. Sino ad ora, dicono, ha fatto ben poco. "Basta osservare come vengono gestite le necessita' di base, dice Manizha Naderi, Ben pochi progetti riguardanti le infrastrutture sono andati oltre le fondamenta e persino nella capitale Kabul l'elettricita' viene erogata sporadicamente. Se poi si da' un'occhiata ai membri del governo, eccettuato Karzai si tratta delle stesse persone che hanno calpestato i diritti delle donne per anni ed anni". Il governo di Karzai ha creato un gruppo multiministeriale che dovrebbe combattere la violenza contro le donne, e la Costituzione afgana ratificata nel gennaio 2004 parla di eguali diritti per uomini e donne; in marzo, l'ex ministra per gli affari femminili Habiba Sarobi e' diventata la prima donna governatrice di una provincia: ma al di la' di questi sforzi ben poco e' cambiato nelle vite delle donne afgane, in special modo fuori dalla capitale. Amnesty International ha dichiarato che "Le pratiche discriminatorie istituzionalizzate prima e durante la guerra non si sono dissolte e, in alcuni casi, si sono rafforzate". Numerosi osservatori, afgani e internazionali, sono d'accordo nel ritenere la presenza di individui armati e milizie armate, leali ai vari signori della guerra, la piu' seria minaccia alla sicurezza ed allo sviluppo dell'Afghanistan. Vi sono stati piccoli successi nel disarmare qualche gruppo, ma decine di migliaia di uomini armati percorrono ancora le province, in disprezzo di tutti i mandati del governo federale. "La prima priorita', dice ancora Manizha Naderi, dovrebbe essere la rimozione della paura. Molti afgani non credono che la pace durera'. Pensano che i combattenti e i miliziani torneranno, e allora gli uomini nelle cui famiglie le donne hanno studiato o lavorato verranno puniti. Fino a che la paura della violenza rimane, ogni progresso sara' limitato". Le attiviste e gli attivisti per i diritti delle donne, dicono che la chiave per il successo e' l'istruzione, in ogni senso. Non solo per migliorare le vite delle donne, ma per lo sviluppo dell'intero paese. "E' semplice, afferma Rona Popal, tu puoi spendere in Afghanistan un miliardo al giorno, ma non servira' a nulla se le persone non sono istruite. E se questo non succede non c'e' futuro per nessuno, in Afghanistan, tanto meno per le donne". 9. LIBRI. DANILO ZOLO PRESENTA "COME L'AMERICA LA FA FRANCA CON LA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE" DI MICHAEL MANDEL [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2005. Danilo Zolo, illustre giurista, e' nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, docente di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di Firenze; tra le sue opere segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari 1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995; Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000; Globalizzazione: una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari 2004. Michael Mandel e' docente di diritto alla York University di Toronto] La casa editrice Ega (Edizioni Gruppo Abele), di Torino, ha appena pubblicato un ponderoso volume che in italiano porta il titolo Come l'America la fa franca con la giustizia internazionale. L'autore e' il giurista Michael Mandel, della York University di Toronto. Mandel e' noto per aver presentato nel '99, assieme a un gruppo di giuristi occidentali, una denuncia al Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia contro i vertici politici e militari della Nato. L'accusa riguardava i crimini commessi dalla Nato nel corso dei 78 giorni di bombardamenti della Repubblica jugoslava. Grazie ai loro "effetti collaterali" questi attacchi dal cielo avevano provocato migliaia di vittime innocenti. La denuncia venne immediatamente archiviata dal procuratore generale Carla del Ponte, che si rifiuto' persino di avviare un'inchiesta, offrendo in questo modo l'ennesima prova della sua servile dipendenza dai voleri della Nato e degli Usa. Il lavoro di Mandel si raccomanda per l'analisi puntuale di tre recenti eventi bellici: la "guerra umanitaria" per il Kosovo del 1999, l'attacco all'Afghanistan subito dopo l'11 settembre, l'aggressione "preventiva" all'Iraq. L'indagine su queste vicende belliche e' cosi' accurata e ricca di dati che e' impossibile renderne conto in dettaglio. Mi concentrero' qui su un solo tema, che accompagna il volume come una costante, inflessibile invettiva. Mandel segnala l'esistenza di una vistosa lacuna dell'ordinamento internazionale, che si ripresenta nel corso di tutte le tre guerre da lui analizzate: l'assenza di fatto e di diritto di strumenti sanzionatori contro quello che Mandel chiama, nella scia della giurisdizione del Tribunale di Norimberga, il "crimine internazionale supremo", e cioe' la guerra di aggressione. E' noto che fu il Tribunale di Norimberga, ispirandosi in particolare al trattato Briand-Kellogg, a formulare il principio secondo il quale la guerra, lungi dall'essere una legittima espressione della sovranita' degli Stati, doveva essere concepita come un crimine internazionale. E di essa dovevano ritenersi penalmente responsabili non solo gli Stati, ma anche i singoli cittadini coinvolti negli illeciti. La sola eccezione poteva essere l'uso della forza con finalita' strettamente difensive, in presenza cioe' di un attacco militare di uno Stato contro l'integrita' territoriale o l'indipendenza politica di un altro Stato. In uno dei passaggi piu' noti della sentenza del Tribunale di Norimberga contro i criminali nazisti - ricorda Mandel - si dichiarava che "la guerra e' essenzialmente un male. Le sue conseguenze non si limitano a coinvolgere i soli Stati belligeranti, ma si estendono negativamente al mondo intero. Dare inizio a una guerra di aggressione, quindi, non e' solo un crimine internazionale: e' il crimine internazionale supremo, diverso da tutti gli altri crimini di guerra per il fatto di concentrare in se stesso tutti i mali della guerra". Nonostante l'autorita' normativa dei principi della sentenza di Norimberga, assunti nel 1946 dalle Nazioni Unite come vincolanti per il diritto internazionale, il crimine di aggressione e' rimasto del tutto disapplicato. Addirittura, negli statuti dei recenti tribunali penali internazionali ad hoc, creati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda, il crimine di aggressione (o crimine contro la pace) e' del tutto scomparso. Anche nello Statuto di Roma, che nel '98 ha dato vita alla Corte Penale Internazionale (Icc), i crimini contro la pace sono di fatto esclusi dalla competenza della Corte per l'assenza, si dichiara, di una rigorosa enunciazione della nozione di "aggressione". Siamo dunque in presenza, sostiene Mandel, di una gravissima anomalia che dissocia lo jus ad bellum dallo jus in bello. Mentre l'ordinamento internazionale, in particolare le Convenzioni di Ginevra del 1949, disciplina il trattamento dei prigionieri, della popolazione civile, dei malati, ignora tout court il "crimine internazionale assoluto" e cioe' lo scatenamento di una guerra di aggressione. Addirittura, l'occupazione di un territorio sulla base di una guerra di aggressione e' considerata "legale", prescindendo dal carattere criminale della guerra che la ha consentita. Si pensi all'occupazione dei territori palestinesi da parte dello Stato di Israele, o dell'Afghanistan e dell'Iraq da parte degli Usa e dei loro alleati. In tutti questi casi gli occupanti, nonostante che si tratti di criminali internazionali, non sono soltanto immuni da qualsiasi sanzione, ma sono considerati titolari di diritti, oltre che di doveri, nei confronti delle popolazioni occupate. Un'azione armata contro le forze occupanti, ad esempio, e' giudicata lecita solo se e' condotta da truppe regolari, nel pieno rispetto del diritto umanitario. Questa posizione, ricorda Mandel, e' condivisa persino da Amnesty International e da Human Rights Watch. Quando venne lanciato l'attacco contro l'Iraq, queste organizzazioni inviarono moniti perentori a tutti i belligeranti richiamandoli ai loro doveri di rispettare il diritto internazionale. Nessuno disse una sola parola sulla radicale illegalita' di quella guerra e sulla gravissima responsabilita' criminale dei capi di Stato che l'avevano scatenata. Insomma, conclude Mandel, e' un paradosso insostenibile che Bush e i capi delle maggiori potenze occidentali suoi alleati - si siano impunemente macchiati dell'assassinio di migliaia e migliaia di persone innocenti e di un numero di crimini che comprende i peggiori delitti previsti nei codici penali di tutti i paesi del mondo. Si tratta di quel genere di comportamenti delittuosi che se commessi su scala ridotta nel paese della famiglia Bush (il Texas) garantiscono un biglietto di sola andata verso l'iniezione letale. Ma non c'e' alcuna corte che abbia competenza per giudicare questi supercriminali per i loro "crimini supremi". 10. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA LEZIONE DI ALBERT SCHWEITZER Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto della lezione di Albert Schweitzer. * "Quello che noi chiamiamo amore e', in essenza, rispetto della vita" (Albert Schweitzer, I grandi pensatori dell'India, Astrolabio - Ubaldini, Roma 1983, p. 170). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 11. RIVISTE. "AUT AUT" N. 323: MICHEL FOUCAULT E IL POTERE PSICHIATRICO "Aut aut" n. 323: Michel Foucault e il potere psichiatrico, Il Saggiatore, Milano 2005, pp. 176, euro 19. Un bel volume monografico della prestigiosa rivista filosofica fondata da Enzo Paci; con testi di Pier Aldo Rovatti, Michel Foucault, Mauro Bertani, Alessandro Fontana, Agostino Pirella, Mario Colucci, Stefano Mistura, Pierangelo Di Vittorio. 12. LETTURE. AUGUSTO CAVADI: STRAPPARE UNA GENERAZIONE ALLA MAFIA Augusto Cavadi, Strappare una generazione alla mafia. Lineamenti di pedagogia alternativa, DG Editore, Trapani 2005, pp. 192, euro 15. Ancora un utile libro, insieme testimonianza e strumento di lavoro, di uno degli studiosi piu' profondi e impegnati per una pedagogia antimafiosa nelle scuole, nelle chiese, nell'associazionismo, nei quartieri. Per richieste alla casa editrice: DG Editore, corso Vittorio Emanuele 32-34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.ilpozzodigiacobbe.com 13. LETTURE. ALEXANDER LANGER: THE IMPORTANCE OF MEDIATORS, BRIDGE BUILDERS, WALL VAULTERS AND FRONTIER CROSSERS Alexander Langer, The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005, pp. 264, s.i.p. Una bella antologia in inglese di scritti e interventi dell'indimenticabile Alex Langer, di cui ricorre quest'anno il decimo anniversario della scomparsa. Una lettura che vivamente raccomandiamo. Per richieste: Fondazione Alexander Langer Stiftung: e-mail: langer.foundation at tin.it, sito: www.alexanderlanger.org; "Una citta'": e-mail: unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it 14. RILETTURE. ADRIENNE RICH: NATO DI DONNA Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano 1977, 2000, pp. 422, euro 11,36. "La maternita' in tutti i suoi aspetti. Un classico del pensiero femminile". Un testo fondamentale. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 962 del 15 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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