La nonviolenza e' in cammino. 962



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 962 del 15 giugno 2005

Sommario di questo numero:
1. Sofia Del Curto: una e-mail per la liberazione di Aung San Suu Kyi
2. Paolo Candelari: Dal 6 al 10 luglio l'assemblea nazionale del Mir
3. L'assessore al razzismo e il ministro del linciaggio
4. Claudio Riolo: Una premessa a "Liberta' di informazione, di critica e di
ricerca nella transizione italiana"
5. Doriana Goracci: Il muro
6. Barbara Spinelli: Entrare nel tifone
7. Unione delle donne in Italia: L'opacita'
8. Juliette Terzieff: Donne in Afghanistan
9. Danilo Zolo presenta "Come l'America la fa franca con la giustizia
internazionale" di Michael Mandel
10. Con "Qualevita", la lezione di Albert Schweitzer
11. Rilviste: "Aut aut" n. 323: Michel Foucault e il potere psichiatrico
12. Letture: Augusto Cavadi, Strappare una generazione alla mafia
13. Letture: Alexander Langer, The Importance of Mediators, Bridge Builders,
Wall Vaulters and Frontier Crossers
14. Riletture: Adrienne Rich, Nato di donna
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. APPELLI. SOFIA DEL CURTO: UNA E-MAIL PER LA LIBERAZIONE DI AUNG SAN SUU
KYI
[Ringraziamo Sofia Del Curto (per contatti: sofiadel at tin.it) per questo
invito cui con tutto il cuore ci associamo.
Sofia Del Curto e' impegnata nel movimento di solidarieta' per la democrazia
in Myanmar (Birmania), a sostegno dell'azione nonviolenta di Aung San Suu
Kyi e per la sua liberazione.
Aung San Suu Kyi , figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano
assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico
in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - dure persecuzioni
da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio
Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling &
Kupfer, Milano 1996, 1998]

Cari amici,
nell'avvicinarsi del 19 giugno, sessantesimo compleanno del premio Nobel
birmano Aung San Suu Kyi, tutt'ora agli arresti domicliari, vi pregherei di
inviare un e-mail a burma at euro-burma.be (associazione che si occupa in
Europa di fare campagna per la sua liberazione) e ad
ambitaly at ambitaly.net.mm (nostra Ambasciata a Rangoon) chiedendo la sua
liberazione.
Grazie e buon lavoro,
Sofia Del Curto

2. INCONTRI. PAOLO CANDELARI: DAL 6 AL 10 LUGLIO L'ASSEMBLEA NAZIONALE DEL
MIR
[Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at libero.it) per averci
inviato il programma della prossima assemblea nazionale del Mir. Paolo
Candelari, presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione, e'
una delle piu' conosciute e stimate figure della nonviolenza in Italia. Il
Movimento Internazionale della Riconciliazione (in sigla: Mir in Italia,
Ifor - International Fellowship of Reconciliation - a livello
internazionale) e' uno dei principali e piu' autorevoli movimenti
nonviolenti]

Invito all'assemblea nazionale del Mir (Movimento Internazionale della
Riconciliazione)
L'assemblea del Mir si svolge ogni anno, ed e' l'incontro principale in cui
si riuniscono i suoi iscritti per discutere insieme e decidere cosa fare.
Essa e' sempre stata aperta a tutti gli amici che vogliono conoscere piu' da
vicino il nostro movimento, e sono interessati alle tematiche della
nonviolenza e della riconciliazione.
Ma lo e' particolarmente quest'anno, in cui abbiamo deciso di approfittare
di questa occasione d'incontro per fare un campo seminariale di quattro
giorni, in cui rifletteremo sul tema "la nonviolenza evangelica": questo fa
parte di un percorso, iniziato lo scorso anno, di approfondimento delle
radici spirituali del nostro impegno nonviolento.
Per questo vorremmo invitare tutti coloro che sono interessati a questo tema
a discuterne con noi, portare la loro esperienza, in modo da poter
arricchirci insieme.
L'assemblea sara' organizzata sullo stile dei campi Mir, inframmezzando il
lavoro teorico al lavoro manuale, di aiuto alla comunita' che ci ospita, e
di autogestione; il tutto "condito" di momenti serali di festa e
convivialita'.
Ci sara' anche una seconda parte in cui si fara' una valutazione del lavoro
fatto dal movimento, e cercheremo di elaborare un programma per il prossimo
anno.
Pertanto invito tutti coloro che condividono la nostra aspirazione ad un
mondo riconciliato, piu' giusto, dove guerra e violenza siano bandite, a
venire per riflettere insieme e conoscere un movimento, che pur piccolo e
con mille difetti, ha una storia importante ed e' stato ed e' tuttora uno
dei caposaldi della nonviolenza organizzata.
*
Programma
Mercoledi' 6 luglio
- pomeriggio: arrivi e sistemazione
- sera: presentazione
Giovedi' 7 luglio
- mattino: momento di meditazione spirituale; lavoro (secondo lo stile dei
campi)
- pomeriggio: gruppi di discussione sul tema "la nonviolenza evangelica"
- sera conviviale
Venerdi' 8 luglio
- mattino: momento di meditazione spirituale; lavoro (secondo lo stile dei
campi)
- pomeriggio: gruppi di discussione sul tema "la nonviolenza evangelica"
- sera: relazione presidente e segreteria
Sabato 9 luglio
- mattino: passeggiata nei boschi
- pomeriggio: Difesa popolare nonviolenta e servizio civile; presentazione
attivita' Ifor e sedi locali; campagne e iniziative future; preghiera
ecumenica
- sera: festa
Domenica 10 luglio
- mattino: conclusioni, delibere, elezione presidente e segreteria,
valutazioni finali.
- pranzo e saluti.
*
Come raggiungere la casa
In auto prendendo l'autostrada Torino-Bardonecchia: uscire allo svincolo di
Savoulx, prendere la strada statale 335 in direzione Bardonecchia; dopo 1,8
km, giunti al paese di Beaulard, girare a sinistra e seguire le indicazioni
per Chateau prendendo la strada provinciale 234: dopo 3 km si giunge alla
borgata di Chateau, lasciare l'auto nel posteggio sopra il paese, scendere
fino alla chiesa, alla prima fontana girare a sinistra e proseguire fino in
fondo alla via.
In treno (fermata a Beaulard del treno FS sulla linea Torino-Bardonecchia;
si cambia a Bussoleno) e poi per i piu volenterosi a piedi su comodo
sentiero di circa 2,5 km; per gli altri telefonateci e vi veniamo a prendere
in macchina (telefonare al 3385920901).
La casa per ferie si trova nella piccola Borgata Chateau a 2,5 km da
Beaulard a 1.385 m. di altitudine, a soli 8 km da Oulx in direzione di
Bardonecchia.
Il costo del soggiorno (dalla cena del 6 al pranzo del 10) sara' di 65 euro
(la meta' per i bambini). Per chi avesse esigenze particolari ci contatti.
Per informazioni contattare: Claudio Greco (tel. 0119046515, e-mail:
clalagg at tele2.it); Paolo Candelari (tel. 0117767411; e-mail:
paolocand at libero.it)
Segreteria nazionale del Mir: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel:
011532824, fax: 0115158000, e-mail: mir at peacelink.it, sito:
www.peacelink.it/users/mir/
*
Un po' di storia del Mir/Ifor
Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, dopo aver partecipato a
un convegno ecumenico a Colonia, l'inglese Henry Modgkin e il tedesco F.
Siegmund Shultze promettono di non partecipare mai ad una guerra. Alla fine
dello stesso anno, a Cambridge, 130 persone danno vita al movimento e,
divenuto obbligatorio il servizio militare in Gran Bretagna, nel 1917 piu'
di 600 membri del Mir inglese si dichiarano obiettori di coscienza e vengono
messi in prigione.
Nel 1919 il movimento diventa internazionale con la denominazione di
Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) nei paesi latini e di
International Fellowship Of Reconciliation (Ifor) nei paesi anglofoni. Si
configura come una federazione di gruppi i cui membri operano per la
giustizia e la pace, rifiutano l'uso della violenza nonche' la preparazione
e la partecipazione alla guerra sotto qualsiasi forma. Si definisce
movimento a base spirituale, composto da uomini e donne impegnati nella
nonviolenza attiva come stile di vita e mezzo di cambiamento personale,
sociale e politico.
Negli anni '30 entra in contatto con Gandhi e sviluppa metodi di nonviolenza
attiva per la risoluzione dei conflitti nella ricerca della verita' e nel
rispetto dell'avversario.
Numerosi sono gli episodi di resistenza nonviolenta da parte di membri del
Mir durante la seconda guerra mondiale anche con tributo di sangue.
Dopo la seconda guerra mondiale il Mir, grazie anche all'opera instancabile
di Jean e Hildegard Goss-Mayr, cerca vie alternative e nonviolente per
conseguire la giustizia e la riconciliazione tra tutti i popoli. In America
Latina e' presente con don Helder Camara e Adolfo Perez Esquivel; negli
Stati Uniti con Martin Luther King e Dorothy Day; in Vietman collabora alla
resistenza nonviolenta con i monaci buddhisti; in Sudafrica e' presente con
Albert Luthuli; in Irlanda con Mairead Corrigan. E inoltre in Medio Oriente,
Zaire e Africa Sub-sahariana, Filippine, India, Bangladesh, Madagascar e,
dopo il 1989, anche in molti paesi dell'Europa orientale.
Oggi il Movimento, presente in piu' di 50 paesi, e' Organismo Non
Governativo (Ong) e ha uno status consultivo permanente presso le Nazioni
Unite (Ecosoc) nelle sedi di New York, Ginevra e Vienna.
*
Il Mir in Italia
La sezione italiana del Mir nasce nel 1952 per iniziativa di Tullio Vinay e
Carlo Lupo (valdesi), Ruth e Mario Tassoni (quaccheri). Si impegna sin
dall'inizio per la diffusione della teoria e della prassi della nonviolenza
e presto raccoglie adesioni anche tra i cattolici. Dagli anni '60 e' attivo
a livello nazionale per un ecumenismo di base e per approfondire i
fondamenti religiosi della nonviolenza.
Il Mir ha sostenuto Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini, primi obiettori
cattolici al servizio militare, si e' impegnato per il riconoscimento
giuridico dell'obiezione di coscienza ed e' stato uno dei primi enti a
convenzionarsi per lo svolgimento del servizio civile.
E' stato il movimento che ha avviato per primo in Italia la Campagna di
obiezione di coscienza alle spese militari (osm), nata negli anni '80, e si
adopera per far conoscere e costruire la Difesa popolate nonviolenta (Dpn)
come alternativa alla difesa armata.
Ha partecipato alla lotta contro le centrali nucleari.
Da diversi anni il Mir e' impegnato nell'educazione alla pace realizzando,
in collaborazione con le istituzioni locali e regionali, incontri e convegni
di formazione e di informazione sulla pace, la nonviolenza, un diverso
modello di sviluppo.
Ogni anno organizza campi estivi di formazione alla nonviolenza.
Attualmente sostiene molteplici iniziative internazionali per una soluzione
nonviolenta dei conflitti armati in varie parti del mondo, in particolare in
Kossovo, Africa, Colombia, Palestina/Israele.
*
Dallo statuto del Mir
Il Mir e' un movimento a base spirituale composto da uomini e donne che sono
impegnati nella nonviolenza attiva intesa come stile di vita; come mezzo di
riconciliazione nella verita' e di conversione personale; come mezzo di
trasformazione sociale, politica, economica; nel rispetto della fede dei
suoi membri.
I membri dei Mir di fede cristiana si impegnano nella nonviolenza evangelica
attiva, nella testimonianza che l'amore quale Gesu' Cristo ha manifestato
vince ogni male.
Tutti i membri del Mir sono chiamati a praticare la nonviolenza attiva
sull'esempio di Gandhi e come mezzo per costruire la pace frutto della
riconciliazione, nella consapevolezza che guerre e conflitti sono causati
dall'ingiustizia e da discriminazioni razziali, etniche, ideologiche,
religiose, economiche, di sesso, e che il depauperamento dell'ambiente e'
anche la conseguenza di un errato ed ingiusto sfruttamento delle risorse
naturali.
Pertanto essi si impegnano a:
- praticare la riconciliazione nella vita personale e sociale;
- praticare la solidarieta' nella vita personale e sociale;
- liberare l'uomo da tutti quei condizionamenti culturali, politici,
militari, economici che lo confondono e lo opprimono;
- rifiutare qualsiasi collaborazione alla guerra cosi' come a situazioni o
istituzioni di ingiustizia e criminalita', sia che esse attentino alla vita
umana sia che sfruttino indebitamente le risorse naturali e umane.

3. RIFLESSIONE. L'ASSESSORE AL RAZZISMO E IL MINISTRO DEL LINCIAGGIO
Quando eravamo giovani c'era un bel manifesto, credo del maggio francese,
che diceva: "Cedere un poco e' capitolare del tutto".
I campi di concentramento istituiti dalla legge Turco-Napolitano e recepiti
nella legge Bossi-Fini introducevano, era evidente fin dall'inizio, pezzi di
hitlerismo nel nostro territorio e nel nostro ordinamento giuridico.
Come le deportazioni di esseri umani innocenti, rigettati nelle fauci di
quei poteri criminali e di quelle condizioni di orrore da cui cercavano
scampo fuggendo nel nostro paese che nella sua legge fondamentale garantisce
ad ogni essere umano che qui trovera' salvezza dai suoi aguzzini.
Come la riduzione in schiavitu' nel nostro paese, visibile a tutti, di
migliaia di vittime innocenti a beneficio del maschio bianco "liberale" di
una liberta' intesa come diritto del piu' forte a stuprare, rapinare,
devastare ed uccidere.
Fino al ministro col cappio, all'asessore e al parlamentare che ripetono
pari pari la retorica del "Voelkischer Beobachter". E' l'Italia di oggi.
E cosi' come Dietrich Bonhoeffer seppe dire che chi non aiutava le vittime
di Hitler non poteva cantare il Gregoriano, oggi dobbiamo dire che non osi
parlare di legalita' e di democrazia chi non aiuta a salvarsi la vita gli
immigrati detti clandestini tre e quattro volte perseguitati
(dall'ingiustizia planetaria chiamata globalizzazione per non definirla
imperialismo, dalle dittature della fame e della guerra, dalle mafie
transnazionali, da una legislazione specifica italiana ed europea che denega
i diritti umani e contraddice ogni fondamento del diritto).
Abolire i campi di concentramento realizzati dal governo Prodi e confermati
da tutti i governi successivi; far rispettare l'articolo 10 della
Costituzione della Repubblica Italiana; impedire le deportazioni che
uccidono; combattere le mafie schiaviste e i clienti dei loro servizi;
abrogare la legge Bossi-Fini; restituire civilta' giuridica, dignita'
democratica, umanita' al nostro paese. E' il compito dell'ora cui nessuno
puo' sottrarsi. E se non ne siamo capaci, piuttosto dobbiamo preferir di
subire noi stessi la persecuzione e la galera, anziche' essere complici -
sia pure per mera passivita' - del razzismo al potere.

4. MATERIALI. CLAUDIO RIOLO: UNA PREMESSA A "LIBERTA' DI INFORMAZIONE, DI
CRITICA E DI RICERCA NELLA TRANSIZIONE ITALIANA"
[Da Claudio Riolo (per contatti: clriolo at tin.it) riceviamo e diffondiamo la
sua premessa al volume da lui curato Liberta' di informazione, di critica e
di ricerca nella transizione italiana, La Zisa, Palermo 2004, in cui sono
stati pubblicati gli atti del seminario su "liberta' di critica e di
ricerca" svoltosi a Palermo nel dicembre 2003 (aggiornati al dicembre 2004).
Claudio Riolo, nato ad Agrigento nel 1951, autorevole militante e dirigente
politico ed acuto studioso, gia' direttore del Cepes (Centro studi di
politica economica in Sicilia), e' politologo presso l'Universita' di
Palermo; collabora a vari periodici. Tra le opere di Claudio Riolo:
L'identita' debole, La Zisa, Palermo 1989; (a cura di), Liberta' di
informazione, di critica e di ricerca nella transizione italiana, La Zisa,
Palermo 2004.
Il volume e' reperibile a Roma presso la libreria Paesi Nuovi (piazza
Montecitorio); puo' essere ordinato presso Bardi Editore, via Piave 7, 00187
Roma; tel. 064817656, fax: 0648912574, e-mail: bardied at tin.it]

Questo volume raccoglie i materiali - rivisti e aggiornati dagli autori nel
dicembre 2004 - di un seminario organizzato dalla Facolta' di lettere e
filosofia e dal Dipartimento di studi su politica, diritto e societa'
dell'Universita' di Palermo, in collaborazione con le associazioni Articolo
21, Libera e Magistratura Democratica.
Nel documento preparatorio dei lavori ne esponevamo cose' gli obiettivi:
"Nell'Italia di oggi, la liberta' d'informazione e di critica nel campo
politico, e quella di ricerca nel campo degli studi storici, politici e
sociali rappresentano dei valori garantiti, in linea di principio, dalla
Costituzione (art. 21, e anche art. 33), dalle leggi ordinarie e dal comune
sentire. In pratica, ci sono dei punti sensibili nei quali tali fondamentali
liberta' appaiono oggi minacciate. La complessita' e la delicatezza della
problematica in questione - dovuta spesso a un intrinseco conflitto tra
valori diversi, tutti degni di essere tutelati - ci ha sollecitato a
promuovere una giornata di studio e di confronto.
C'e' innanzitutto da approfondire il profilo giuridico del problema. Nel
2001 le associazioni antimafia hanno avviato una "campagna per la liberta'
di stampa nella lotta contro la mafia". Infatti sempre piu' spesso accade
che uomini politici, sentendosi diffamati da critiche rivolte al loro
operato, cerchino di rivalersi in sede giudiziaria contro chi esercita per
professione o per impegno civile e politico i diritti di cronaca e di
critica garantiti appunto dall'articolo 21 della Costituzione. Il ricorso ai
procedimenti civili per cercare di ottenere risarcimenti milionari o,
addirittura, miliardari rischia di andare ben al di la' della legittima
tutela dell'onorabilita' personale, giacche' appare strumentale alla
instaurazione di un clima d'intimidazione nei confronti di chiunque intenda
far conoscere, commentare o studiare il persistente fenomeno delle
contiguita' tra politica, mafia e affari. Piu' in generale, andando oltre il
campo specifico dell'antimafia, questa tendenza a trasferire la dialettica
democratica e il conflitto politico in sede giudiziaria, con la pretesa, per
di piu', di "monetizzare" un danno immateriale come quello morale, come si
concilia con l'esigenza fondamentale, in un sistema democratico, di
garantire l'esercizio della critica politica? Ed ancora, il difetto di
bilanciamento tra interessi inevitabilmente in conflitto, dovuto a una
concezione formalistica della tutela della reputazione individuale, non
rischia forse di inibire il diritto/dovere di sottoporre l'operato di chi
ricopre cariche pubbliche o ruoli rappresentativi al vaglio dell'opinione
pubblica, indebolendo i meccanismi di responsabilita' politica posti a
salvaguardia della credibilita' delle istituzioni?".
Questi temi sono stati discussi e approfonditi nella prima sessione dei
lavori (vedi la prima parte del volume), dove si e' cercato, tra l'altro, di
fare il punto sul lungo e travagliato iter legislativo delle proposte di
riforma in materia di diffamazione. In particolare sul testo di legge,
approvato dalla Camera nell'ottobre 2004 e attualmente in discussione al
Senato, ci sembra sia emersa, sia pure con motivazioni diverse, una diffusa
insoddisfazione per il risultato provvisoriamente raggiunto. Non sappiamo
(mentre scriviamo) se la riforma sara' approvata cosi' com'e', ma tutto
lascia pensare che verra' modificata e dovra' tornare alla Camera. In ogni
caso, riteniamo che i materiali del seminario forniscano analisi critiche e
proposte costruttive, di cui si potrebbe utilmente tenere conto - almeno
questo e' il nostro auspicio - per una riforma di maggior respiro.
*
La seconda sessione dei lavori (vedi la seconda parte del volume) e' stata
dedicata al tema dell'autonomia della ricerca nel campo storico-politico,
questione che nel documento preparatorio impostavamo cosi':
"Accade sempre piu' di frequente che nel corso della loro attivita' gli
studiosi si trovino oggetto di inopinati richiami al principio di autorita'.
I pressanti appelli indirizzati agli storici dal mondo politico e dalle
stesse istituzioni per la costruzione di una memoria condivisa del passato
nascondono malamente il fastidio per la pluralita' degli approcci
interpretativi possibili, e talvolta per la stessa idea di una ricostruzione
realistica (non ideologica, ne' edificante) dei conflitti del passato. Non
si vuole qui negare la legittimita' di un uso pubblico della storia, ovvero
di una presentazione del passato a fini identitari o legittimanti da parte
di istituzioni e movimenti politici; ma l'opinione pubblica deve avere ben
presente la differenza di strumenti ma anche di intenzioni tra questa sfera
e quella della ricerca propriamente detta.
Gli studiosi sono stati anche perentoriamente invitati a riscrivere la
storia italiana recente in relazione all'uno o all'altro documento di
qualche Commissione parlamentare d'inchiesta, all'una o all'altra sentenza
dei tribunali della Repubblica. Si tratta di un richiamo piu' sottile, ma
anche piu' subdolo, al principio di autorita'. E' evidente che
l'accertamento della verita' nelle assemblee politiche, e anche nei
tribunali, risponde a tecniche e/o finalita' che sono diverse da quelle
della ricerca; la documentazione raccolta in questi luoghi istituzionali
rappresenta piuttosto una fonte cui liberamente il ricercatore puo', se lo
ritiene, attingere senza sentirsi per nulla vincolato dai risultati
raggiunti cola'.
Paradossale e' infine che in alcuni casi a decidere dei risultati della
ricerca storica o socio-politologica siano stati chiamati proprio i
tribunali della Repubblica, con un ennesimo e potenzialmente piu' grave
corto circuito tra campi della vita collettiva che dovrebbero essere tenuti
ben distinti".
Ci sembra che la seconda parte dei lavori, oltre a mettere a fuoco
distinzioni e convergenze tra fini e metodi della ricerca nell'ambito delle
scienze sociali e fini e metodi delle altre forme di conoscenza in ambito
giornalistico, giudiziario o politico-istituzionale, si sia ben ricollegata
con i temi affrontati nella prima sessione; allargandone, in particolare,
l'orizzonte all'analisi delle tendenze in atto - non solo nel nostro paese,
ma certamente con una accentuata specificita' nell'ormai lunga e difficile
fase di transizione del sistema politico italiano - alla concentrazione dei
poteri economico, politico e mediatico e alla conseguente erosione delle
liberta' democratiche.
*
Se e in che misura siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi che ci eravamo
proposti saranno i lettori a giudicarlo. Noi ci accontenteremmo di
contribuire ad una maggiore consapevolezza, sia tra gli addetti ai lavori
che a livello di opinione pubblica, della delicatezza e della complessita'
della posta in gioco nella difesa dei diritti di cronaca, di critica e di
ricerca.
Nel concludere questa breve nota e' d'obbligo riconoscere che senza il
sostegno, a vario titolo, delle istituzioni universitarie e delle
associazioni promotrici gia' citate, non sarebbe stato possibile organizzare
il seminario e pubblicarne i materiali.

5. RIFLESSIONE. DORIANA GORACCI: IL MURO
[Ringraziamo Doriana Goracci (per contatti: doriana at inventati.org) per
questo intervento. Doriana Goracci e' impegnata nel movimento delle Donne in
nero e in molte altre esperienze di pace e di solidarieta']

Questo referendum mi ha particolarmente colpita. Per eta', genere e da
sempre non "desiderosa" di maternita', perche' gia' madre, perche' gia'
avvelenata dal peccato originale di una specie dominante la natura, nemica
del pianeta che la ospita. Si vaneggia in forum qualificati dell'Europa, di
concetti futuribili e di azioni presenti e prossime in Europa. Buonanotte
Europa, buonanotte Italia. Ritorniamo al buio della mente, cullati dalle
certezze della Chiesa ma angosciati dal Male. Continuiamo a credere che la
terra desolata e' fuori dal nostro orticello... Annichilita disgustata laica
anticlericale pacifista nonviolenta sbattuta una volta ancora sul muro del
potere. Donna.

6. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: ENTRARE NEL TIFONE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
inviato questo articolo di Barbara Spinelli apparso sul quotidiano "La
Stampa" domenica 12 giugno 2005. Barbara Spinelli e' una prestigiosa
giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno
della memoria, Mondadori, Milano 2001]

Andare a votare al referendum sulla fecondazione artificiale non e' certo
cosa facile, perche' le quattro domande che vengon rivolte all'elettore sono
tutte penose, irte di ambiguita', e non solo profonde ma il piu' delle volte
enigmatiche.
1. Dove e quando comincia l'esistere dell'uomo, che tecnicamente prende
l'avvio dalla cellula formatasi nella fecondazione?
2. E se non e' ancora persona a tutti gli effetti, l'embrione e' pur sempre
vita oppure non ancora?
3. E se e' vita umana, ha diritti che possono esser messi a raffronto con
quelli della madre che non potendo generare decide di procreare
artificialmente?
4. E ancora, andando sempre piu' a fondo nello strapiombo che si spalanca:
da chi e da cosa vien stabilito il confine tra persona e essere, tra vita e
disegno di vita?
5. Dall'essere umano che mette al mondo quell'inizio di esserci che si
chiama embrione, o dal volere di qualcosa o qualcuno che trascende il
poter-volere dell'uomo?
6. Da quel che la scienza o la medicina son capaci di fare, e dai bisogni
che tale capacita' suscita?
7. E infine: quel che e' fattibile e' percio' stesso anche lecito?
8. E una volta lecito, sara' per questo anche edificante per la storia
dell'uomo e la sua civilta'?
Si possono naturalmente avere idee molto limpide in proposito, e allora si
votera' si' o no senza esitare. Ma si puo' anche vivere i quesiti come un
grande e terribile enigma metafisico. Per Kant e' proprio qui, il difficile
del domandare metafisico. E' nelle tre questioni che l'uomo e' spinto a
porsi quando non si interroga solo sui dati visibili: che cosa posso sapere?
Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare?
Proprio per questi motivi la scelta ha qualcosa di umanamente grande.
Proprio perche' l'essenza delle domande non riguarda solo la tecnica, la
ricerca, e neppure la felicita' di chi figlia. Perche' ciascuno di noi e'
costretto a legiferare direttamente al posto di rappresentanti democratici
che hanno fallito enormemente il loro compito. E perche' ci si interroga
sulle imperfezioni di una legge, ma al contempo anche sul senso della vita,
della morte. Ci si interroga su se stessi ma si decide anche sulla vita che
verra', e che non ci apparterra' perche' nessun figlio e' nostro. Chi e'
incline a credere che l'embrione sia gia' vita (tra essi, chi scrive)
s'interroga anche sulla differenza tra il diritto dell'embrione e il diritto
del genitore adulto: un diritto che non conosce doveri nel primo caso, che
e' bilanciato da ineluttabili doveri nel secondo. La scelta di votare si'
oppure no non e' solo politica ne' etica: e' tragica alla maniera greca
antica, perche' l'uomo viene messo davanti a aporie che fondamentalmente non
sanano i conflitti di coscienza.
Nell'aporia dei tragici due visioni del mondo diametralmente opposte hanno
al momento decisivo eguale validita', e tuttavia l'uomo non puo' restare
immobile. Deve divenir libero, dunque responsabile: dicendo il suo si', il
suo no, anche se con questo non risolvera' per sempre la questione. Ogni
elettore che si ponga questioni che lo lacerano votera' con l'io diviso, se
votera': se dira' si' non potra' liquidare quella parte di se' che
sommessamente risponde no. Se dira' no mostrera' una fermezza increspata dai
robusti argomenti del se'. La grandiosita' del voto di domani e' nella sua
solitaria gravezza, e in questo suo entrare dentro il tifone per
traversarlo, come nel racconto di Conrad. In fondo, se potessimo,
risponderemmo alle grandi domande con altrettante e non meno grandi domande,
affinche' la ricerca del vero continui. Ma non si puo', perche' nel tifone
siamo e occorre conoscerlo per parlarne.
Ben altro il comportamento degli astensionisti: sempre piu' rumorosi negli
ultimi tempi, la loro strategia e' quella che il capitano Mac Whirr, nel
Tifone, respinge come inutile, ignava, comunque non pratica. L'astensionista
ha trovato la soluzione: si terra' alla larga dalla tempesta, dicendo a se
stesso che ha aggirato il pericolo. Giudichera' la questione "troppo
complessa, per il popolo immaturo". La sua "strategia della tempesta"
consiste nell'imboccare la facilita': sara' contento se avra' evitato il
tifone, dunque anche il possibile errore. Per Mac Whirr, che con ottusa
imperturbabilita' entra nel turbine, chi in mare evita la tempesta e' del
tutto inadatto alla prova, quando verra'; all'occasione, quando si
presentera'.
Gli astensionisti hanno un comportamento che sembra spesso dettato da
convenienza politica, piu' che dall'attenzione per la persona e per quel che
da essa nasce. Dicono che son contrari alle proposte correttive del si', ma
se fossero davvero coerenti andrebbero alle urne per dire il loro no oppure
frammenterebbero le risposte (si puo' anche votare scheda bianca, in
risposta ai singoli quesiti). Ma il voto e' stato da loro talmente
politicizzato, che l'obiettivo non e' piu' quello dichiarato: e' affossare
l'idea stessa di uno spazio pubblico laico, dove i cittadini discutano e
deliberino anche su questioni impossibili o tragiche, fin qui monopolizzate
dalle chiese. Il motivo per cui sono accusati di furbizia e' spiegato dai
giuristi Gustavo Zagrebelsky e Sabino Cassese: in realta' gli astensionisti
relegano ai margini chi vota no, li fanno sparire, e con cio' uccidono lo
spazio laico di conversazione che potrebbe aprirsi. Basta ripercorrere i
telegiornali recenti: lo scontro era sempre fra il si' e il non-voto, e chi
votava no finiva in inesplicati buchi neri. La scelta del non voto militante
somiglia sovente a un sotterfugio: il sotterfugio di chi s'avvale di un
"premio alla maggioranza", e somma l'astensionismo politico
all'astensionismo fisiologico di chi non va alle urne per indifferenza,
assenteismo o distrazione estiva.
Ma non c'e' solo furbizia, nell'astensionismo. C'e' - lo abbiamo visto - una
sorta d'ignavia nascosta dietro le apparenti forti convinzioni. Volendo
aggirare il tifone, l'astensionista non sa neppure cosa sia traversare le
bufere della scelta. Con il suo comportamento si limita a starsene in
disparte, e a chi gli chiedera' com'e' stato il tifone non potra'
rispondere, perche' non l'ha neppure visto da lontano. I militanti
dell'astensionismo non sanno che non esistono grandi domande e risposte
senza un esporsi all'errore, uno sporgersi sullo strapiombo. Karl Popper
direbbe di loro: "Non sanno che evitare l'errore e' un ideale meschino".
Dimenticano che e' dalle nostre teorie piu' ardite che impariamo di piu'.
Che dobbiamo "andare alla ricerca dei nostri errori" per meglio scegliere
soluzioni migliori, come spiega Dario Antiseri nel bel libro Cristiano
perche' relativista - Relativista perche' cristiano (Rubbettino, 2003). La
dimissione dell'astensionista e' duplice. In Parlamento non e' riuscito a
cercare accordi per evitare il referendum. E ora che il referendum c'e', la
diserzione s'accresce: piu' della meta' della Camera e' oggi tentata dal non
voto, accettando che su questioni fondamentali sia la Conferenza episcopale
a dettare la linea.
Forse gli astensionisti non sanno la storia che fanno, quando inseguono
l'ideale di aggirare i tifoni ignorandoli. Non sanno che la laicita' e' un
bene prezioso, e che nelle radici d'Europa c'e' la separazione tra Stato e
Chiesa, ispirata dal cristianesimo stesso. Pensano di salvare un pensiero
forte ma ne hanno uno debole, fondato sull'escamotage e sulla convinzione
che l'elettore sia fatto solo per licenziare o nominar governi.

7. RIFLESSIONE. UNIONE DELLE DONNE IN ITALIA: L'OPACITA'
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento dell'Udi, la storica esperienza associativa delle donne in
Italia]

Sulla differenza tra un cittadino e un embrione in regime democratico,
sull'obbligo da parte della medicina di aver cura di ogni corpo - maschile o
femminile che sia -, sulla dignita' di ogni essere umano gia' nato e sulla
sua inviolabilita', sulla laicita' dello stato, sulle regole della ricerca
scientifica, la maggioranza del popolo italiano ha evitato di esprimersi.
Sull'intimita' della relazione tra donna e embrione, e dunque
sull'autodeterminazione della donna circa il proprio corpo, sul futuro della
vita sessuale delle giovani donne, sul presente della procreazione per le
donne che, procreando senza assistenza, condannano il figlio a una vita di
dolore e di malattia senza speranza di guarigione, la maggioranza delle
donne ha evitato di esprimersi.
I referendum abrogativi di parte della legge sulla procreazione medicalmente
assistita sono stati dunque vinti dall'opacita' piu' assoluta del pensiero,
dei sentimenti, delle volonta' di gran parte del popolo: uomini e donne.
Nell'opacita' sono indivisibili l'indifferenza, l'egoismo, il pregiudizio,
l'opportunismo politico, l'adesione a una chiesa, l'incertezza, il livore,
la scelta morale e l'essere in tutt'altre faccende affaccendati.
Era cio' che qualcuno voleva. Perche' silenzio e opacita' consentono di
governare anime e corpi come se fossimo tutti embrioni: senza il disturbo di
una democrazia troppo partecipata.
Noi, l'Unione delle donne in Italia, ne prendiamo atto.
Prendiamo atto non solo delle rotture culturali, sociali e politiche gravi
che questo risultato testimonia e produce, ma anche dell'arretramento sul
piano delle liberta', dei diritti civili, del rispetto reciproco tra persone
diversamente situate di fronte ai problemi della sessualita' e della
procreazione. E della perdita di solidarieta'. Anche fra donne.
E ci muoveremo di conseguenza: nel promuovere senza sconto alcuno
l'autodeterminazione delle donne, nella resistenza senza indulgenze contro
le cadute della laicita' dello stato, per la liberta' delle giovani donne
soprattutto.
E perche' la necessaria modifica di questa legge indecente non avvenga in un
parlamento indecentemente affollato di uomini e spopolato di donne.

8. DIRITTI. JULIETTE TERZIEFF: DONNE IN AFGHANISTAN
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti:sheela59 at libero.it) per averci
messo a disposizione nella sua traduzione questo articolo di Juliette
Terzieff, giornalista indipendente, corrispondente per "We News", ha
lavorato per il "San Francisco Chronicle", "Newsweek", CNN International,
"London Sunday Times" come corrispondente dai Balcani, dal Medio Oriente e
dall'Asia del sud]

Fino al marzo scorso, Shaima Rezayee era la co-conduttrice dello spettacolo
televisivo "Hop" sulla prima tv indipendente afgana, un programma di un'ora
che presentava video musicali stranieri. Shaima ebbe a dichiarare che la
propria popolarita' poteva essere un esempio per le donne del suo paese: il
riconoscimento delle capacita' e della professionalita' di una donna poteva
portare a cambiamenti positivi anche per le altre.
Il 19 maggio, la ventiquattrenne Shaima e' stata trovata uccisa a colpi di
arma da fuoco nella propria casa. Il fatto non ha esattamente sconvolto il
paese. Gia' dall'inizio della programmazione dello show, nell'autunno del
2004, Shaima e l'altro conduttore, Shakeb Isaar, avevano ricevuto minacce di
morte. "Hop", trasmesso da Tolo Tv che vanta uno share di spettatori
dell'81%, era un programma controverso: salutato entusiasticamente dai
giovani urbanizzati, criticato aspramente dai conservatori che lo
giudicavano "contaminante" per la cultura afgana.
Nel marzo scorso, Shaima Rezayee venne licenziata, dopo che la Corte Suprema
ebbe stabilito che lo spettacolo era "anti-islamico". Il tribunale non aveva
richiesto che la giovane fosse rimossa dal suo posto di lavoro, tuttavia i
dirigenti della stazione televisiva la cacciarono nel tentativo di
rispondere alla sentenza.
Da principio gli investigatori sul suo omicidio si sono concentrati sulla
possibilita' di una vendetta da parte dei conservatori, ma la polizia di
Kabul ha successivamente ammesso che la famiglia della giovane e'
probabilmente coinvolta nel suo assassinio: si tratterebbe di un "delitto
d'onore", giacche' non solo Shaima lavorava assieme ad uomini fuori dal
proprio nucleo familiare, ma addirittura rideva e scherzava con l'altro
conduttore del programma.
Per molti, la sua morte e' l'ennesima prova che le donne afgane corrono
gravi rischi nella loro lotta contro le convenzioni sociali, in un paese che
mostra ancora una pesante influenza "talebana".
"Le donne sentono dire: il nostro paese e' libero, e non comprendono che le
cose non sono cambiate molto - dice Rona Popal, direttrice esecutiva
dell'Associazione Internazionale delle Donne Afgane - Conoscono i propri
diritti, ed esibiscono una grande determinazione nel cercare lavoro e nel
provvedere alle proprie famiglie, ma non hanno sostegno, non hanno sicurezze
su cui contare. Poi vediamo un caso come quello di Rezayee, ed ecco che
l'intimidazione si sparge di nuovo su tutte le donne del paese".
"ìLe donne non possono continuare a vivere in questa maniera - aggiunge
Manizha Naderi, presidente di Women for Afghan Women - Ma certo cambiare le
cose non e' una delle priorita' del governo. Se le donne non tentano di
andare oltre i confini che vengono loro imposti, l'Afghanistan non si
muovera' mai in avanti".
Poiche' l'onore delle famiglie viene riposto nei comportamenti delle donne,
gia' da un'eta' giovanissima le ragazze vengono investite da una tremenda
pressione sociale ad essere "modeste" e al di sopra di ogni sospetto;
persino nelle famiglie piu' progressiste o istruite le interazioni fra i
sessi sono strettamente controllate. Le giustificazioni ai "delitti d'onore"
dipendono solamente da cosa una famiglia giudichi non appropriato nel
comportamento di una donna. L'Onu stima che 5.000 donne afgane muoiano ogni
anno per "onore"; le cifre esatte sono difficili da stabilire, poiche' gli
omicidi non vengono denunciati, le famiglie nascondono le cause dei decessi,
e spesso essi si danno in remoti villaggi distanti da qualsiasi autorita'
formale. Inoltre, tali autorita' non mostrano molto zelo nell'investigare su
queste morti sospette.
Dall'invasione delle truppe sovietiche alla fine degli anni '70,
l'Afghanistan ha conosciuto due decenni di guerre che hanno lasciato uomini
e donne feriti a livello emotivo e in condizioni di estrema poverta'. A
seguito dell'ascesa dei Talebani nei primi anni '90, le donne furono escluse
dal lavoro fuori casa e dagli studi e si trovarono in completa balia della
polizia religiosa, che aveva l'autorita' di fermarle per strada e punirle
immediatamente per le "infrazioni" al codice comportamentale.
Molti afgani speravano che il governo di Hamid Karzai, salito al potere dopo
l'invasione statunitense del 2001, fosse l'araldo di una nuova era per il
paese. Sino ad ora, dicono, ha fatto ben poco.
"Basta osservare come vengono gestite le necessita' di base, dice Manizha
Naderi, Ben pochi progetti riguardanti le infrastrutture sono andati oltre
le fondamenta e persino nella capitale Kabul l'elettricita' viene erogata
sporadicamente. Se poi si da' un'occhiata ai membri del governo, eccettuato
Karzai si tratta delle stesse persone che hanno calpestato i diritti delle
donne per anni ed anni".
Il governo di Karzai ha creato un gruppo multiministeriale che dovrebbe
combattere la violenza contro le donne, e la Costituzione afgana ratificata
nel gennaio 2004 parla di eguali diritti per uomini e donne; in marzo, l'ex
ministra per gli affari femminili Habiba Sarobi e' diventata la prima donna
governatrice di una provincia: ma al di la' di questi sforzi ben poco e'
cambiato nelle vite delle donne afgane, in special modo fuori dalla
capitale. Amnesty International ha dichiarato che "Le pratiche
discriminatorie istituzionalizzate prima e durante la guerra non si sono
dissolte e, in alcuni casi, si sono rafforzate".
Numerosi osservatori, afgani e internazionali, sono d'accordo nel ritenere
la presenza di individui armati e milizie armate, leali ai vari signori
della guerra, la piu' seria minaccia alla sicurezza ed allo sviluppo
dell'Afghanistan. Vi sono stati piccoli successi nel disarmare qualche
gruppo, ma decine di migliaia di uomini armati percorrono ancora le
province, in disprezzo di tutti i mandati del governo federale.
"La prima priorita', dice ancora Manizha Naderi, dovrebbe essere la
rimozione della paura. Molti afgani non credono che la pace durera'. Pensano
che i combattenti e i miliziani torneranno, e allora gli uomini nelle cui
famiglie le donne hanno studiato o lavorato verranno puniti. Fino a che la
paura della violenza rimane, ogni progresso sara' limitato".
Le attiviste e gli attivisti per i diritti delle donne, dicono che la chiave
per il successo e' l'istruzione, in ogni senso. Non solo per migliorare le
vite delle donne, ma per lo sviluppo dell'intero paese. "E' semplice,
afferma Rona Popal, tu puoi spendere in Afghanistan un miliardo al giorno,
ma non servira' a nulla se le persone non sono istruite. E se questo non
succede non c'e' futuro per nessuno, in Afghanistan, tanto meno per le
donne".

9. LIBRI. DANILO ZOLO PRESENTA "COME L'AMERICA LA FA FRANCA CON LA GIUSTIZIA
INTERNAZIONALE" DI MICHAEL MANDEL
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2005.
Danilo Zolo, illustre giurista, e' nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, docente
di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di Firenze; tra le sue
opere segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari
1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La
cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995;
Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000; Globalizzazione: una mappa dei
problemi, Laterza, Roma-Bari 2004.
Michael Mandel e' docente di diritto alla York University di Toronto]

La casa editrice Ega (Edizioni Gruppo Abele), di Torino, ha appena
pubblicato un ponderoso volume che in italiano porta il titolo Come
l'America la fa franca con la giustizia internazionale. L'autore e' il
giurista Michael Mandel, della York University di Toronto. Mandel e' noto
per aver presentato nel '99, assieme a un gruppo di giuristi occidentali,
una denuncia al Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia contro
i vertici politici e militari della Nato. L'accusa riguardava i crimini
commessi dalla Nato nel corso dei 78 giorni di bombardamenti della
Repubblica jugoslava. Grazie ai loro "effetti collaterali" questi attacchi
dal cielo avevano provocato migliaia di vittime innocenti. La denuncia venne
immediatamente archiviata dal procuratore generale Carla del Ponte, che si
rifiuto' persino di avviare un'inchiesta, offrendo in questo modo l'ennesima
prova della sua servile dipendenza dai voleri della Nato e degli Usa. Il
lavoro di Mandel si raccomanda per l'analisi puntuale di tre recenti eventi
bellici: la "guerra umanitaria" per il Kosovo del 1999, l'attacco
all'Afghanistan subito dopo l'11 settembre, l'aggressione "preventiva"
all'Iraq. L'indagine su queste vicende belliche e' cosi' accurata e ricca di
dati che e' impossibile renderne conto in dettaglio. Mi concentrero' qui su
un solo tema, che accompagna il volume come una costante, inflessibile
invettiva.
Mandel segnala l'esistenza di una vistosa lacuna dell'ordinamento
internazionale, che si ripresenta nel corso di tutte le tre guerre da lui
analizzate: l'assenza di fatto e di diritto di strumenti sanzionatori contro
quello che Mandel chiama, nella scia della giurisdizione del Tribunale di
Norimberga, il "crimine internazionale supremo", e cioe' la guerra di
aggressione. E' noto che fu il Tribunale di Norimberga, ispirandosi in
particolare al trattato Briand-Kellogg, a formulare il principio secondo il
quale la guerra, lungi dall'essere una legittima espressione della
sovranita' degli Stati, doveva essere concepita come un crimine
internazionale. E di essa dovevano ritenersi penalmente responsabili non
solo gli Stati, ma anche i singoli cittadini coinvolti negli illeciti. La
sola eccezione poteva essere l'uso della forza con finalita' strettamente
difensive, in presenza cioe' di un attacco militare di uno Stato contro
l'integrita' territoriale o l'indipendenza politica di un altro Stato.
In uno dei passaggi piu' noti della sentenza del Tribunale di Norimberga
contro i criminali nazisti - ricorda Mandel - si dichiarava che "la guerra
e' essenzialmente un male. Le sue conseguenze non si limitano a coinvolgere
i soli Stati belligeranti, ma si estendono negativamente al mondo intero.
Dare inizio a una guerra di aggressione, quindi, non e' solo un crimine
internazionale: e' il crimine internazionale supremo, diverso da tutti gli
altri crimini di guerra per il fatto di concentrare in se stesso tutti i
mali della guerra". Nonostante l'autorita' normativa dei principi della
sentenza di Norimberga, assunti nel 1946 dalle Nazioni Unite come vincolanti
per il diritto internazionale, il crimine di aggressione e' rimasto del
tutto disapplicato.
Addirittura, negli statuti dei recenti tribunali penali internazionali ad
hoc, creati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per la
ex-Jugoslavia e per il Ruanda, il crimine di aggressione (o crimine contro
la pace) e' del tutto scomparso. Anche nello Statuto di Roma, che nel '98 ha
dato vita alla Corte Penale Internazionale (Icc), i crimini contro la pace
sono di fatto esclusi dalla competenza della Corte per l'assenza, si
dichiara, di una rigorosa enunciazione della nozione di "aggressione".
Siamo dunque in presenza, sostiene Mandel, di una gravissima anomalia che
dissocia lo jus ad bellum dallo jus in bello. Mentre l'ordinamento
internazionale, in particolare le Convenzioni di Ginevra del 1949,
disciplina il trattamento dei prigionieri, della popolazione civile, dei
malati, ignora tout court il "crimine internazionale assoluto" e cioe' lo
scatenamento di una guerra di aggressione. Addirittura, l'occupazione di un
territorio sulla base di una guerra di aggressione e' considerata "legale",
prescindendo dal carattere criminale della guerra che la ha consentita. Si
pensi all'occupazione dei territori palestinesi da parte dello Stato di
Israele, o dell'Afghanistan e dell'Iraq da parte degli Usa e dei loro
alleati.
In tutti questi casi gli occupanti, nonostante che si tratti di criminali
internazionali, non sono soltanto immuni da qualsiasi sanzione, ma sono
considerati titolari di diritti, oltre che di doveri, nei confronti delle
popolazioni occupate. Un'azione armata contro le forze occupanti, ad
esempio, e' giudicata lecita solo se e' condotta da truppe regolari, nel
pieno rispetto del diritto umanitario. Questa posizione, ricorda Mandel, e'
condivisa persino da Amnesty International e da Human Rights Watch. Quando
venne lanciato l'attacco contro l'Iraq, queste organizzazioni inviarono
moniti perentori a tutti i belligeranti richiamandoli ai loro doveri di
rispettare il diritto internazionale. Nessuno disse una sola parola sulla
radicale illegalita' di quella guerra e sulla gravissima responsabilita'
criminale dei capi di Stato che l'avevano scatenata.
Insomma, conclude Mandel, e' un paradosso insostenibile che Bush e i capi
delle maggiori potenze occidentali suoi alleati - si siano impunemente
macchiati dell'assassinio di migliaia e migliaia di persone innocenti e di
un numero di crimini che comprende i peggiori delitti previsti nei codici
penali di tutti i paesi del mondo. Si tratta di quel genere di comportamenti
delittuosi che se commessi su scala ridotta nel paese della famiglia Bush
(il Texas) garantiscono un biglietto di sola andata verso l'iniezione
letale. Ma non c'e' alcuna corte che abbia competenza per giudicare questi
supercriminali per i loro "crimini supremi".

10. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA LEZIONE DI ALBERT SCHWEITZER
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi
all'ascolto della lezione di Albert Schweitzer.
*
"Quello che noi chiamiamo amore e', in essenza, rispetto della vita" (Albert
Schweitzer, I grandi pensatori dell'India, Astrolabio - Ubaldini, Roma 1983,
p. 170).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

11. RIVISTE. "AUT AUT" N. 323: MICHEL FOUCAULT E IL POTERE PSICHIATRICO
"Aut aut" n. 323: Michel Foucault e il potere psichiatrico, Il Saggiatore,
Milano 2005, pp. 176, euro 19. Un bel volume monografico della prestigiosa
rivista filosofica fondata da Enzo Paci; con testi di Pier Aldo Rovatti,
Michel Foucault, Mauro Bertani, Alessandro Fontana, Agostino Pirella, Mario
Colucci, Stefano Mistura, Pierangelo Di Vittorio.

12. LETTURE. AUGUSTO CAVADI: STRAPPARE UNA GENERAZIONE ALLA MAFIA
Augusto Cavadi, Strappare una generazione alla mafia. Lineamenti di
pedagogia alternativa, DG Editore, Trapani 2005, pp. 192, euro 15. Ancora un
utile libro, insieme testimonianza e strumento di lavoro, di uno degli
studiosi piu' profondi e impegnati per una pedagogia antimafiosa nelle
scuole, nelle chiese, nell'associazionismo, nei quartieri. Per richieste
alla casa editrice: DG Editore, corso Vittorio Emanuele 32-34, 91100
Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.ilpozzodigiacobbe.com

13. LETTURE. ALEXANDER LANGER: THE IMPORTANCE OF MEDIATORS, BRIDGE BUILDERS,
WALL VAULTERS AND FRONTIER CROSSERS
Alexander Langer, The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall
Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una
Citta', Bolzano-Forli' 2005, pp. 264, s.i.p. Una bella antologia in inglese
di scritti e interventi dell'indimenticabile Alex Langer, di cui ricorre
quest'anno il decimo anniversario della scomparsa. Una lettura che vivamente
raccomandiamo. Per richieste: Fondazione Alexander Langer Stiftung: e-mail:
langer.foundation at tin.it, sito: www.alexanderlanger.org; "Una citta'":
e-mail: unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it

14. RILETTURE. ADRIENNE RICH: NATO DI DONNA
Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano 1977, 2000, pp. 422, euro
11,36. "La maternita' in tutti i suoi aspetti. Un classico del pensiero
femminile". Un testo fondamentale.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 962 del 15 giugno 2005

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