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La nonviolenza e' in cammino. 956
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 956
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 10 Jun 2005 00:58:34 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 956 del 10 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Cristina Papa: Festa 2. Mao Valpiana: Clementina e' libera 3. Finalmente, e adesso 4. Voci per Clementina 5. Enrico Peyretti: Chi ha vinto la seconda guerra mondiale? 6. Maria Luisa Boccia: Legge 40: la vita al servizio della ragion di Stato 7. Severino Vardacampi: Tre paragrafi sul voto referendario 8. Con "Qualevita", all'ascolto di Dietrich Bonhoeffer 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE: CRISTINA PAPA: FESTA Clementina e' libera, per fortuna adesso potremo far festa. 2. EDITORIALE. MAO VALPIANA: CLEMENTINA E' LIBERA Clementina e' libera. L'angoscia, il timore, la preoccupazione lasciano ora il posto alla gioia, al sollievo, alla soddisfazione. Facciamo festa con la sua famiglia e con i suoi amici, in Italia ad in Afghanistan. Sospendiamo il digiuno nonviolento che ci ha messo in comunione fraterna con Clementina. La nonviolenza fa bene a chi la fa e a chi la riceve. 3. EDITORIALE. FINALMENTE, E ADESSO E' libera, finalmente. E adesso si liberino tutte e tutti gli altri. E si liberi l'umanita' dalla guerra e dalle uccisioni. 4. UMANITA'. VOCI PER CLEMENTINA Moltissime adesioni sono pervenute ieri all'appello al digiuno promosso dal direttore di "Azione nonviolenta" Mao Valpiana, una delle figure piu' autorevoli della nonviolenza in Italia, per chiedere la liberazione di Clementina Cantoni. Riportiamo di seguito le dichiarazioni di adesione e solidarieta' pervenuteci nel corso della giornata di giovedi' prima che si avesse notizia della liberazione di Clementina. Ora che l'angoscia per la sua vita e' cessata, possiamo leggere queste testimonianze di affetto e di solidarieta' con gioia e gratitudine piu' colme e piu' luminose. * Sono d'accordo con la proposta di Mao Volpiana, e aderisco immediatamente a questa doverosa iniziativa... Proprio la scorsa settimana avevamo proposto, come associazione culturale "Mediterraneo", di fare un digiuno a staffetta e una fiaccolata. Farid Adly * La resistenza femminile e' fatta di gesti nascosti e quotidiani, di sacrificio silenzioso, senza armi. E' la resistenza silenziosa, lontana dai riflettori, che ha segnato la vita e la morte di Annalena Tonelli; e' la resistenza di Clementina che vogliamo, sorridente e viva, di nuovo con la sua famiglia. Quanto possono, per la vita, le donne! Francia, Parigi, giugno 1750: retate della polizia contro i bambini di strada che si vuole spedire in Louisiana. Ma non si mettono impunemente le mani sui figli: le donne si sollevano, vanno alla ricerca dei ragazzi nelle varie prigioni parigine, trovano la solidarieta' di altre donne e uomini, vanno al commissariato, scoppiano tumulti. Allora le donne trovano forme di azione, di pensiero e di linguaggio che sono, in fondo, negoziazione, nonviolenza, e ce la fanno: liberano i figli. Non avremmo saputo nulla di Clementina se non fosse stata rapita, e quanti, quante, come lei nel mondo, ogni giorno operano veri interventi umanitari senza il costo (in moneta e vite umane) di bombardieri e carrarmati? Una resistenza silenziosa, che sta salvando l'umanita' dal baratro. Aderisco certamente all'iniziativa di Mao Valpiana, perche' Clementina torni a casa. Non posso fare altro. Almeno questo piccolo gesto glielo devo. Normanna Albertini * Ho letto l'appello e sono in completa sintonia con quanto scrive e propone Mao. Pertanto mi unisco anch'io al digiuno a staffetta per la liberazione di Clementina, per la pace e per la nonviolenza. Marco Baleani * Aderisco all'appello di Mao e staro' a digiuno, per Clementina e per tanti altri ostaggi; nessuno di noi puo' restare indifferente mentre almeno bisogna essere testimoni e cronisti sul campo di questa devastazione provocata dall'uso planetario della guerra, e almeno bisogna pure saper far nostre le parole e l'esempio di Etty Hillesum, che resta la donna che ci offre quella prospettiva del cuore pensante, che, a mio parere, e' la misura opportuna ed adeguata al tempo che ci e' dato di vivere. Giovanni Benzoni * Un grande abbraccio di solidarieta' a quanti prendono iniziative per chiedere la liberazione di Clementina Cantoni; in particolare a quanti effettueranno il digiuno a staffetta. I pacifisti sono stati accusati di scarso interesse per questo evento: sembra quasi che in questo giorni sia piu' interessante cio' che i pacifisti non fanno, rispetto a quello che fanno. Ci siamo mobilitati contro la guerra in Afghanistan con i mezzi che conosciamo e che riteniamo i soli efficaci:: manifestazioni, comunicati, cartelli, petizioni, controinformazione, autoeducazione ed educazione. L'abbiamo definita, al pari di quella irachena, illegale, inutile e criminale. Ci siamo appellati ai sindacati dei lavoratori, affinche' proclamassero lo sciopero generale contro la guerra e contro la violazione della Costituzione. Ci siamo appellati ai militari coinvolti affinche' obbedissero alla Costituzione che ripudia la guerra. Abbiamo chiesto con insistenza il ritiro dei soldati italiani, dall'Afghanistan come dall'Iraq. Abbiamo ripetutamente affermato, ed i fatti ci hanno dato ragione, che la guerra non sarebbe servita a catturare Bin Laden (chi se ne ricorda piu', ormai), ne' a combattere il terrorismo, ne' a liberare le donne (e le immagini da Kabul ci confermano questa tragica verita'). Dall'indomani dell'attentato alle torri gemelle i pacifisti genovesi sostano in silenzio ogni mercoledi' dalle ore 18 alle 19 sui gradini del palazzo ducale di Genova. Ci saremo anche in questi giorni, per chiedere la liberazione di Clementina Cantoni ed il ritiro dei soldati italiani. E per affermare ancora una volta che la democrazia e la liberta' non si esportano con la guerra. Norma Bertullacelli * Io purtroppo non posso digiunare per problemi di salute, ma sono solidale con tutto il cuore. Franco Borghi * Quando una figlia, o una sorella, e' in catene, nessun uomo e' libero. Quel minimo di serenita' psicologica - che consente di progettare e incipientemente realizzare un mondo diverso - viene imbrattata. Percio', anello di una catena piu' lunga, anch'io restero' senza cibo in comunione con Clementina Cantoni: per dolore, per protesta, per preghiera, per speranza. Augusto Cavadi * Ringrazio Mao Valpiana per l'attivazione corale che ci chiede e alla quale aderisco con slancio. Digiunero' nella convinzione che sia importante, anche se pur minima cosa, condividere anche in senso fisico una piccola parte del disagio di chi oggi sta soffrendo per guerre e condizioni di conflitto che non ha voluto, che non vuole, che non sono la risposta al proprio desiderio di qualita' dell'esistenza. Come altre azioni che mi hanno coinvolto anche fisicamente, so per esperienza quanto, pur nella loro magari apparente assurdita', aiutino a com/prendere, a farsi parte, piccola, della storia che sembra cosi' lontana da noi. O dalla quale cerchiamo ogni giorno, anche inconsapevolmente, di prendere le distanze, magari solo per estrema difesa da quella che sembra una insopportabile follia. Chiara Cavallaro * Cara Clementina, ti scrivo una lettera breve, che spero leggerai presto, al tuo ritorno da Kabul. Ti scrivo perche' il tuo sorriso non mi da' pace, la tua dolcezza non mi fa dormire. Insieme al tuo volto, guardo sui giornali i volti in foto libere di Florence Aubenas e Ingrid Bentacourt e mi arrovello la testa per capire cosa possiamo fare per allungarvi una mano e liberarvi. "O l'uomo e' uomo di pace o non e' uomo", ci ricordava David Maria Turoldo. E l'uomo di pace non e' mai assenza, l'uomo di pace non e' mai rifiuto d'azione, non e' mai delega di responsabilita' per l'altro. E dunque qualcosa possiamo fare, qualcosa dobbiamo dire, qualcosa dobbiamo inventarci per costruire un corridoio di liberta' che vi riporti alla terra senza violenza e senza prepotenza. Mao Valpiana lancia il metodo che e' proprio dell'azione nonviolenta: il digiuno. Ed e' gia' tanto. Digiunare per te Clementina singifica assumere la tua condizione di sequestrata nel nostro corpo, lasciare che nient'altro occupi la nostra vita in quel giorno che decidiamo di riservare per il digiuno. In fin dei conti e' poca cosa per noi che siamo pieni di tutto, perfino del superfluo. Gandhi invecchiava da saggio togliendosi di torno le cose. Piu' cresceva in saggezza e piu' si liberava delle cose che lo coprivano. E se ne andava in giro per l'India coperto solo di una tunica. Ma la nudita' dell'essere non e' forse quella condizione che ci consente di vivere senza aggrapparci a nulla? Liberi come era libero il pazzerello di Dio san Francesco d'Assisi. Gandhi e Francesco, diceva padre Balducci, sono due uomini "non entropici", ossia senza alcuna responsabilita' per il declino della terra perche' la loro pochezza di vita era pensata per lasciare le risorse in circolo per gli altri. E dunque digiunare per te, Clementina, ha una valenza ancora maggiore. Perche' il vuoto lo riempiamo della tua vita che oggi e' mortificata. E per un giorno che si ripercuote per altri giorni per altri corpi a digiuno tu sei centro del nostro essere. Fino al giorno in cui tornerai noi digiuneremo. In fin dei conti e' quello che ci hai insegnato tu nella terra afghana sventrata dalla guerra, nel territorio delle madri mutilate dalle bombe, dei bambini orfani della speranza. Hai messo il tuo corpo, la tua vita, il tuo sorriso, la tua speranza al servizio degli altri. Hai prolungato il tuo corpo oltre il tuo piede e ti sei fatta prossima ai bombardati della guerra infinita e permanente. Il popolo della pace ora ha il dovere di allungarsi per fare qualcosa al di la' della politica, della mediazione, della trattativa. Ha il dovere di inarcarsi verso il tuo sorriso in attesa del tuo ritorno. Libera. Francesco Comina * Sostengo il digiuno di un giorno, a staffetta, promosso da Mao Valpiana per la liberazione di Clementina Cantoni. Aderisco di pieno cuore alla sua iniziativa. Sono convinto che il digiuno costituisca un gesto di solidarieta' profonda e un messaggio di desta attenzione che non resta senza effetto ma scuote le coscienze rammentando loro l'unita' del genere umano. Andrea Cozzo * Mi importa della guerra, mi importa della pace, mi importa dell'indifferenza e della rassegnazione, mi importa della speranza. Mi importa di Clementina. Per questo aderisco all'appello e al digiuno. Gabriele De Veris * Naturalmente si', mi unisco al giorno di digiuno per Clementina (anche se il pensiero del suo sorriso e di quei fucili mi tormenta tutti i giorni e vorrei tanto che per venerdi' fosse gia' libera). Mando solidarieta' e affetto a lei, a Mao per la sua proposta e a te per la tua perseveranza, con le parole di Emily Dickinson: "Colmare il bocciolo, opporsi al verme, ottenere il proprio diritto di rugiada (...) non deludere la natura grande che l'attende proprio quel giorno: essere un fiore, e' profonda responsabilita'". Maria G. Di Rienzo * Mao Valpiana ha proposto un digiuno a staffetta per la liberazione di Clementina. Aderisco con convinzione e mi dichiaro disponibile ad effettuarlo per un giorno alla settimana, fino alla liberazione, che speriamo avvenga presto. Forse non sara' molto, ma e' cio' che e' in nostro potere di fare. Servira' per mantenere desta l'attenzione, per far sentire meno soli i suoi cari e per sentirci piu' vicini a lei. Angela Dogliotti Marasso * Esprimo un sostegno appassionato all'appello di Mao Valpiana per la richiesta della liberazione di Clementina Cantoni. Da troppi giorni siamo in trepida attesa della salvezza della sua ammirevole vita. Giovanni Fiorio * Mi hai letto nel pensiero. Aderisco al digiuno. Carlo Gubitosa * Piu' che solidarieta' grande riconoscenza sento per Clementina Cantoni, che non ha dimenticato la sofferenza di persone vittime di violenze di ogni genere e generosamente si e' adoperata per aiutarle ad affrontarle. Volentieri mi associo a un atto, che e' di attenzione e vicinanza, aderendo al digiuno. Daniele Lugli * Per la liberta' di Clementina, per la liberta' di tutti gli ostaggi a qualsiasi titolo privati della loro liberta', per la liberta' di tutti i popoli del Medio Oriente e del mondo dalla guerra. Anch'io digiuno oggi, nella speranza che sia l'ultimo di prigionia per Clementina. Gigi Malabarba * Sono d'accordo con l'appello di Mao Valpiana e aderisco anch'io al digiuno per la liberazione di Clementina. Andro' in Afghanistan con una delegazione del Parlamento Europeo il 14 luglio. Un abbraccio. Luisa Morgantini * Clementina e' il vivere per gli altri. Chi dice che e' solo sacrificio? Puo' essere anche soddisfazione e gioia. Sequestratori e guerrieri sono il vivere contro gli altri. Clementina, anche imprigionata, diffonde vita, pur col suo dolore. I guerrieri possono solo dare e avere morte. Noi siamo grati a Clementina, e la vogliamo libera, con la forza buona della volonta' comune. Enrico Peyretti * Ho letto l'appello di Mao Valpiana. Condivido le sue parole e lo ringrazio per la proposta. Aderisco al digiuno per esprimere solidarieta' a Clementina e per testimoniare contro la guerra, per la vita e la nonviolenza. Alessandro Pizzi * Aderisco volentieri al digiuno. Il rapimento di Clementina Cantoni rientra nella perversa logica delle conseguenze di guerre laceranti e richiede da parte di tutti noi, singoli e associazioni, un impegno intenso e coerente per facilitarne la liberazione. Cosi' come e' avvenuto nei casi precedenti, sono quasi sempre donne ad esser rapite, nonostante il loro palese impegno in attivita' di cooperazione con i settori piu' bisognosi delle popolazioni colpite dalla guerra. Anche la solidarieta' manifestata dalle donne afghane e' conferma del ruolo di straordinaria generosita' svolto da Clementina. Non lasciamo nulla di intentato per liberarla, e non cadiamo nel torpore, nel silenzio e nella sfiducia. Sosteniamo i famigliari nella loro speranza e nell'attesa della liberazione. Nanni Salio * Clementina Cantoni e' per me una volontaria di pace, una mia sorella in impegno. Chi lavora con gli ultimi e per gli ultimi, spesso e' trattato da "ultimo". E quindi e' il primo nel mio cuore, come in quello di tuti i nonviolenti. Mi auguro che Clementina torni presto a sorridere tra noi. Silvano Tartarini * Mi fa sinceramente piacere aderire all'iniziativa del digiuno per la liberazione di Clementina... Vedremo di fare rete. Andrea Trentini * "Qui ed ora, di cio' che sappiamo, di cio' che possiamo..." Sappiamo, quello che si apprende dalle agenzie, cioe' molto poco; possiamo, quasi niente. Ma lasciar vuoto lo spazio fra "quasi niente" e niente, sarebbe peccato mortale: sarebbe da morti anzitempo, da servi consenzienti, da vegetali. Pochi o tanti che saremo, sono con voi, a chiedere a chi ha rapito Clementina Cantoni di liberarla, a spronare chi si sta adoperando in tal senso perche' moltiplichi i suoi sforzi, a far sentire ai familiari, agli amici e ai colleghi di Clementina che non sono soli. Gualtiero Via * La mia adesione e' ovvia: sono d'accordo con l'iniziativa. Aldo Zanchetta 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: CHI HA VINTO LA SECONDA GUERRA MONDIALE? [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente brano (n. 68, pp. 67-70) estratto dal suo recente libro Dov'e' la vittoria? Piccola antologia aperta sulla miseria e la fallacia del vincere, Il Segno dei Gabrielli, Negarine di San Pietro in Cariano (Vr) 2005 (per richieste alla casa editrice: scrivimi at gabriellieditori.it). Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Chi ha vinto la seconda guerra mondiale? L'ha vinta Hitler? Questa domanda e' paradossale, ma non assurda. La violenza di Hitler fa pensare che, se avesse avuto la bomba atomica, l'avrebbe usata senza esitazione (ancor meno della poca esitazione degli Stati Uniti nell'agosto 1945). Disse che la guerra sarebbe stata decisa "negli ultimi cinque minuti". Per fortuna, forse anche per il boicottaggio mediante "lavoro rallentato" degli scienziati tedeschi, Hitler non ebbe per primo la bomba. Ma il suo sterminismo non e' forse sopravvissuto a lui, ereditato dalle mani dei vincitori? Non piu' come uso diretto effettivo, dopo Hiroshima e Nagasaki, ma come minaccia incombente, proliferata e continuamente cresciuta nei decenni. Diversi autori si chiedono di chi fu la vittoria oscura in quella guerra. "La pesante eredita' della seconda guerra mondiale e' ancora tra noi, tanto che alcuni studiosi hanno detto che quella guerra fu vinta da Hitler" (Giovanni Salio, Le guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991, p. 23). "Hitler ha vinto la guerra", disse Vercors (l'autore di Le silence de la mer, che nel '57 restitui' la Legion d'onore per protesta contro la guerra e le torture d'Algeria) nel 1968, quando l'Urss invase la Cecoslovacchia e Praga ("Il manifesto", 13 giugno 1991, p. 10, per la morte di Vercors). Marek Edelman, uno degli ultimi sopravvissuti del Ghetto di Varsavia dichiara che la guerra in Bosnia e' la "vittoria postuma di Hitler". Egli constata semplicemente che "l'era del "tutto e' possibile" non si e' conclusa con la disfatta della Germania nazista, nonostante il grande giuramento da cui e' nata l'Europa comunitaria" ("Liberation", 26 luglio 1993). "Il nazismo e' in mezzo a noi, ha vinto non politicamente, ma moralmente, psicologicamente, culturalmente" (Giancarlo Gaeta, citato da Rinalda Carati in un articolo su Simone Weil, "L'Unita'", 18 giugno 1997). "Al termine della seconda guerra mondiale il nazismo e il militarismo giapponese risultarono si' sconfitti, ma nessuno puo' affermare seriamente che in tal modo 'the world' sia diventato 'safe for democracy'; noi sappiamo che le innumerevoli guerre, nel cosiddetto Terzo Mondo, che hanno tratto origine dalla vittoria conquistata con puri mezzi militari, considerate globalmente e messe a confronto, hanno lasciato dietro di se' piu' morti e provocato piu' distruzioni che non il conflitto, all'apparenza insuperabile quanto a brutalita' e vittime, verificatosi tra il 1939 e il 1945" (Ekkehart Krippendorff, L'arte di non essere governati, citato, p. 107). Giuliano Pontara, in Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza (Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996, p. 133), cita alcuni testi di Gandhi. Uno dell'11 agosto 1940: "Hitler ha brutalizzato non solo i tedeschi, ma una larga parte dell'umanita'. E ancora non si e' giunti al termine di tutto cio'. Infatti l'Inghilterra, finche' continuera' a seguire il metodo tradizionale [cioe' la violenza bellica per proteggere il diritto; n.d.r.], dovra' imitare i metodi nazisti se vorra' opporre una resistenza efficace. Dunque il logico risultato del metodo violento e' quello di brutalizzare sempre di piu' l'uomo" (Teoria e pratica della nonviolenza, citato, p. 25). Gandhi aveva gia' presentato questo argomento nell'appello del 7 luglio 1940, in cui proponeva all'Inghilterra un coraggioso metodo alternativo di resistenza nonviolenta, che non avrebbe comportato la contaminazione ma la piu' radicale resistenza al nazismo (pp. 248-251): "Voi volete eliminare il nazismo, ma non riuscirete mai ad eliminarlo adottando i suoi stessi metodi. (...) La guerra non puo' essere vinta in altro modo. In altre parole voi dovrete divenire piu' crudeli dei nazisti". E prima ancora, il 18 maggio del 1940, con un severo giudizio che non si puo' liquidare in fretta, Gandhi affermava cio' che e' piu' grave, cioe' che questa contaminazione non e' soltanto l'effetto della guerra, ma e' gia' nella concezione politica alla base delle democrazie che non escludono la violenza: "La democrazia, finche' e' sostenuta dalla violenza, non puo' fare l'interesse dei deboli o proteggerli. La mia concezione della democrazia e' che sotto di essa il piu' debole deve avere le stesse possibilita' del piu' forte. Questo puo' avvenire soltanto attraverso la nonviolenza. (...) Nel vostro paese [gli Usa] la terra appartiene a pochi capitalisti. Lo stesso avviene in Sud Africa. Queste grandi proprieta' possono essere mantenute soltanto con la violenza, velata o aperta. La democrazia occidentale, nelle sue attuali caratteristiche, e' una forma diluita di nazismo o di fascismo. Al piu' e' un paravento per mascherare le tendenze naziste e fasciste dell'imperialismo" (p. 140). Sulla democrazia che e' incompatibile con la violenza e la guerra, ed e' vera e non formale soltanto se nonviolenta, Gandhi aveva gia' scritto il 12 novembre 1938: "La democrazia e la violenza non possono coesistere. Gli stati che oggi sono formalmente democratici, o sono destinati a divenire apertamente totalitari, oppure, se vogliono divenire veramente democratici, devono avere il coraggio di divenire nonviolenti" (pp. 270-271). Nel libro citato, del 1996, Pontara osservava ed elencava una serie di sviluppi violenti nella situazione del mondo, e concludeva: "Ci si puo' chiedere se la guerra, in effetti, non l'abbia dopo tutto vinta Hitler, e se Gandhi non avesse, in fin dei conti, ragione" (p. 134). Alle osservazioni di Pontara di quasi dieci anni fa, noi possiamo oggi aggiungere che il nazismo sopravvive e imperversa non tanto nei gruppuscoli neo-nazi che compiono nefandezze, quanto soprattutto nella pratica dispiegata del dominio violento da parte dei poteri economici occulti e disumani, multinazionali che sfuggono e irridono ogni legge, e da parte dei poteri militari aggressivi spregiatori di ogni legge internazionale: cio' che li muove e' una conclamata cultura della diseguaglianza tra gli esseri umani e un diritto assoluto della forza. C'e' molta differenza dal razzismo biologico e dal culto della violenza, anima del nazismo del Novecento? Questo e' stato veramente vinto? 6. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA: LEGGE 40: LA VITA AL SERVIZIO DELLA RAGION DI STATO [Dal sito www.centroriformastato.it riprendiamo il seguente intervento. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002] La legge sulla procreazione assistita e' un pesante, rigido ed invasivo controllo del corpo femminile, con norme che ne ledono seriamente l'integrita', accentuano i rischi per la salute, negano l'autonomia e responsabilita' delle donne nella procreazione. Le piu' rilevanti delle norme infatti, da quelle di natura tecnico-sanitaria, a quelle sui requisiti di accesso, a quelle a tutela del nascituro e dell'embrione si traducono in corrispettivi obblighi per la donna sul cui corpo si interviene, e dal cui corpo dipende la realizzazione degli obiettivi della legge, come, peraltro d i quelli medico-scientifici e, soprattutto l'invocata tutela dei "diritti" degli altri soggetti, a partire da quelli del concepito, enunciati nell'art.1. Siamo di fronte ad un tale groviglio inestricabile di norme contraddittorie, quanto ideologiche, da risultare inapplicabile, oltre che inconcepibile per il buon senso ed in piu' punti incostituzionale. In questi lunghi anni la rappresentazione sociale della fecondazione assistita e' stata costruita con il preciso intento di enfatizzare l'allarme sociale, convogliando inquietudini reali sull'immagine di un disordine dilagante. L'enfasi sulle sempre nuove, e sempre "ultime", barriere infrante, sulla fantascienza che diviene prassi nei laboratori e introduce tra noi la presenza di alcuni mostri (dai cloni, agli embrioni creati per la ricerca) e' sostanzialmente servita ad alimentare un immaginario sociale di disordine ed eccessi, dei quali sono responsabili, ancor piu' dei temibili Frankenstein, le donne. Dipinte come abnormi, fino al mostruoso: mamme-nonne, lesbiche mascoline che inseminano altre lesbiche, mercenarie che vendono ovuli e uteri, figlie, madri e sorelle che si scambiano i ruoli parentali, vedove che partoriscono orfani, narcisiste onnipotenti che generano solitariamente. Si e' creato cosi' il clima necessario per evocare la Legge come ripristino dell'Ordine. Poco importa se nessuna legge puo' adempiere a questo compito. Ne' di certo lo potra' questa legge che, grazie al suo impianto proibizionista, ha come effetto pratico la clandestinita', il diffondersi del mercato illegale, il ricorso al cosiddetto turismo procreativo. * Prima di parlare dei punti piu' gravi del testo approvato, voglio soffermarmi su quelli che, viceversa, sono condivisi anche da molti e molte tra coloro che la giudicano negativamente. La legge considera le tecnologie come terapia della sterilita' o infertilita', solo per le coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi in eta' "potenzialmente feconda". Una patologia davvero insolita, solidale e non individuale, ma sopratutto difficile da accertare perche', come la legge riconosce, in molti casi le cause di sterilita' ed infertilita' sono inspiegate. Non potendosi stabilire, almeno per il 14 per cento dei casi la causa, l'Organizzazione mondiale della sanita' ha stabilito che e' da ritenersi sterilita' o infertilita' la mancanza di risultato dopo 24 mesi di rapporti sessuali non protetti. Dunque per una coppia e' sufficiente un certificato medico che attesta "l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione" (art.1). Al contrario una donna sterile in modo conclamato, se non e' coniugata o convivente, e' esclusa da questa terapia. Esclusa e' anche la donna che puo' concepire, ma non puo' portare a termine la gravidanza, per altre patologie, poiche' e' vietata la possibilita' di affidare la gestazione ad un'altra donna. Esclusa e' la donna che ha problemi di ovulazione, perche' e' vietata la donazione di ovuli. Esclusa e' la donna il cui partner non ha seme fertile perche' non puo' ricorrere a seme di donatore. Parlo di donna, perche' un uomo sterile, non puo' curare la propria sterilita' rivolgendosi direttamente, cioe' da solo, ad un centro: deve necessariamente essere in rapporto con una donna che si fa "curare" per lui, quale che sia il tipo di intervento richiesto. Escluse infine sono le coppie non sterili, ma che vogliono ricorrere alla donazione di gameti, per non trasmettere malattie genetiche al/alla figlio/a . E' dunque una terapia rigidamente condizionata da requisiti di "idoneita'", i quali non hanno nulla a che fare con la capacita' o meno di generare nel vecchio familiare modo, quello sessuale. La definizione delle tecniche riproduttive come "terapia della sterilita' ed infertilita'", generalmente accettata, e' pero' fortemente sostenuta proprio dalla medicina procreativa. Sulla cura della sterilita', e sul diritto alla salute, del quale fa parte la capacita' di procreare, si e' costruita l'immagine positiva, benefica, della ricerca e sperimentazione biogenetica, come della pratica medica. Immagine del tutto speculare a quella negativa. Ai "casi-scandalo" che si prestano alla spettacolarizzazione dei media si contrappone "la realta'", sempre piu' consistente, di coppie dolorosamente e ingiustamente colpite nel desiderio piu' naturale e nello scopo piu' alto della famiglia, quello dei figli. In sostanza le opposte rappresentazioni fanno leva sullo stesso modello di sessualita', genitorialita' e famiglia. Si tratta di dimostrare che le tecniche riproduttive possono rafforzarlo, accrescendo le possibilita' di fare figli. O, viceversa, che contribuiscono a scardinarlo, con il vortice di combinazioni possibili tra seme, ovuli e uteri disponibili. La restrizione alla coppia stabile dell'accesso alle tecniche viene cioe' fatta discendere proprio dalla finalita' terapeutica. Ed e' pero' fonte di una grave discriminazione rispetto al diritto alla salute, costituzionalmente garantito. Questa e' solo la prima, vistosa, incongruenza della legge 40. Condivisa anche da chi da' una lettura positiva della procreazione assistita. Non a caso, anche nel disegno di legge, approvato in commissione dal centro-sinistra nella precedente legisaltura, i "requisiti" di idoneita' erano gli stessi. La differenza piu' rilevante era infatti l'ammissione della fecondazione cosiddetta "eterologa", consentita pero' solo come extrema ratio, potendovi ricorrere il medico solo dopo aver provato altre tecniche di fecondazione "omologa", ad esempio l'Icsi, anche se piu' rischiose e ritenute in molti casi meno efficaci. Tutte le esclusioni prima ricordate rappresenterebbero un'alterazione inaccettabile delle relazioni tra genitori e figli. Le donne non in coppia, gli omosessuali, donne e uomini che non hanno con il figlio un rapporto biologico, non sarebbero cioe' "idonei" a divenire madri e padri. E' una restrizione rilevante e grave di quella che non da oggi, e non per effetto delle tecniche, costituisce una pluralita' di figure e di rapporti. Nonostante l'enfasi sulla varieta' delle combinazioni di madri e padri, il moltiplicarsi dei tipi di famiglia e di figure genitoriali non e' infatti una conseguenza delle tecniche. Molte delle relazioni anomale che fanno scandalo - dalla madre singola, alle coppie omosessuali, al figlio 'biologico' di uno solo dei due genitori, alla madre gestante che affida il nascituro ad una coppia - possono, e spesso accade, realizzarsi senza ricorrere all'intervento del medico, con le pratiche sessuali. La famiglia nucleare, formata da una coppia eterosessuale e dai figli, sebbene definita naturale, non solo e' storicamente recente ma, pur costituendo la norma giuridica, non lo e' sul piano sociale, dove si scompone e ricombina in una pluralita' di forme. Si dice che lo Stato non puo' vietare quello che la natura - ovvero i rapporti sessuali - consente, mentre deve ricondurre al rispetto di una presunta norma naturale chi vuole avere figli con le tecniche. In questo caso - solo in questo caso? - la prima responsabilita' verso i nuovi nati sarebbe dello Stato. Ma e' la legge dello Stato, non la natura, a riconoscere come padre un gay, come madre una donna singola o una lesbica in coppia, come genitori un uomo e una donna sposati che riconoscono il figlio di lui partorito da un'altra donna (caso prossimo alla famigerata maternita' surrogata) o concepito da lei con altro uomo (caso analogo alla vietata inseminazione eterologa). Pazienza: se non si puo' soddisfare il bisogno/diritto di tutti i bambine e tutte le bambine di avere a fianco il vero papa' e la vera mamma, almeno per quelli nati con le tecniche lo Stato offre sicura garanzia. * Tutta la legge tende a stabilire una corrispondenza piena tra biologia e diritto. Nell'intento ipocrita quanto retorico che, una volta ricondotte entro i rassicuranti argini della terapia per coppie sterili, le tecniche possano rafforzare un unico modello di famiglia, basato sui legami biologici. Il nocciolo di questa impostazione consiste nei diritti dell'embrione: a nascere, all'identita' genetica, fino al diritto, davvero inedito, alla doppia figura genitoriale, fatta coincidere con la coppia biologica. E si sostanzia nell'articolo 14, il piu' assurdo e mostruoso della legge, che impone di creare solo tre embrioni per un unico e contemporaneo impianto nell'utero della donna. Una volta avvenuta la fecondazione in provetta la donna non puo' revocare il consenso e, di conseguenza, dovrebbe sottoporsi all'intervento ed affrontarne le conseguenze, le quali, in ogni caso, sono del tutto diverse dalle sue aspettative. Se va bene, avra' non uno ma tre figli, non e' difficile immaginare con quali e quante complicazioni. Se va male dovra' scegliere se affrontare un aborto terapeutico, o mettere al mondo uno o piu' figli malati o con malformazioni, dato che non si possono fare diagnosi pre-impianto o sopprimere embrioni malformati, ma si puo' fare l'una e l'altra cosa dopo. Se nessuno dei tre embrioni e' sano, dovra' sottoporsi di nuovo alla stimolazione ed al prelievo di ovuli, con un aggravio dei costi fisici, psichici, economici. Tra le donne piu' giovani aumenteranno, verosimilmente, i parti plurigemellari, quelle piu' adulte e' meglio che rinuncino, considerata anche la piu' alta probabilita' di insuccesso. L'obbligatorieta' dell'intervento non solo apre problemi di incostituzionalita', ma e' palesemente impraticabile. Il medico dovrebbe chiedere un'ingiunzione al giudice, alla polizia di prelevarla, agli infermieri di legarla? Non potendo operare senza consenso, cosa potra' fare degli embrioni, se non congelarli o sopprimerli, violando l'esplicito divieto della legge (art. 14)? L'assurdo nulla toglie alla gravita' di aver anche solo ipotizzato di costringere una donna ad accogliere tre embrioni, a rischio della sua salute e di quella dei nascituri. Norme come queste, o il divieto di ricorso a donazione di seme ed ovulo, dimostrano che il legislatore non si e' proposto di regolamentare la fecondazione assistita, sia pure restringendone l'impiego. Ha scritto una legge-manifesto, senza preoccuparsi dei suoi effetti devastanti, in nome della tutela della vita e dei diritti del concepito. E' questo che motiva le norme sui requisiti di accesso, come quelle che vietano la ricerca e la sperimentazione. * L'affermazione dei diritti del concepito, a cominciare dal diritto alla vita, non e' affatto nuova. Il dibattito bioetico e politico, e le argomentazioni di opposto segno, non presentano varianti significative rispetto all'aborto proprio sull'aspetto cruciale della vita, e del conseguente diritto dell'embrione. Non capisco infatti con quale logica si possa affermare che questa legge non avra' effetti su quella sull'aborto. Dopo la fertilizzazione in vitro, molti ritengono che non sia piu' lecito dubitare che il processo avviato e' l'avventura di un nuovo essere umano . Certo, la fecondazione in provetta ed il congelamento rendono verosimile l'autonomia dell'embrione dalla donna, e quindi il suo riconoscimento di persona, titolare di diritti inalienabili. Peccato che la biomedicina non possa far compiere un tratto essenziale di quell'avventura, quello dal concepimento alla nascita in assenza della madre. Senza di lei l'embrione e' fissato a quello stadio cellulare, finche' non deperisce. Tutte le sue potenzialita', a cominciare da quelle della vita biologica, sono affidate all'accoglienza materna. E' la madre che rende effettiva la sua vita, il suo sviluppo, la sua pensabilita' come essere umano, ancor prima della nascita, dal momento in cui lo accoglie in se'. I figli della scienza, i bambini venuti dal freddo, non nascono in provetta, sono anche essi nati da donna. L'inevitabile conseguenza e' che la tutela dell'embrione dipende da lei. E per tutti noi dal senso che diamo al fatto che senza di lei non saremmo al mondo. Anche se il patrimonio genetico bastasse ad assicurare al concepito tutte le qualita' psico-fisiche di un essere umano, unico e irripetibile. Se pure questo fosse un presupposto scientificamente corretto - e non lo e' - nulla toglierebbe all'impossibilita' del vivente di essere se non grazie alla madre, al suo consentire con esso. Senza assumere questo come cardine fondamentale, non vi e' alcuna posizione etica, e neppure sensatezza. Pure si discute se l'embrione e' o no persona senza fare distinzione tra grembo materno e provetta, come se a fare il vivente non fosse piu' il corpo femminile; come se quest'ultimo fosse integralmente sostituito dalla capacita' delle tecniche di disporne. Per questo e' bene distinguere le questioni etiche e giuridiche poste dagli embrioni in sovrannumero, da quelle della procreazione le quali, pur nelle diversita' considerevoli, tutte coinvolgono la madre ( dall'aborto, alle terapie prenatali, alla fecondazione artificiale). Come per l'aborto, il diritto dell'embrione non ha altra possibilita' di realizzarsi se non come dovere di maternita' per una donna. E, ancora, come per l'aborto, non vi e' legge di Stato, ne' ingiunzione etica che possa pretendere ed ottenere l'attuazione di questo dovere. Lo sanno bene tutti coloro che lo invocano. Il loro intento, infatti, non e' di ottenere questo obbligo, ma di enunciare il valore, senza preoccuparsi della sua realizzazione. Forse ci si illude di dissuadere dal ricorso alle tecniche. O forse si mette in conto la violazione della legge, con la clandestinita' ed il cosidetto turismo procreativo. * Ma il punto cruciale e' che il conflitto non e' tra l'embrione (che ha il solo interesse, se proviamo a immedesimarci, a che sua madre sia lasciata in pace) ma tra adulti, sessuati: donne incinte da un lato, uomini, per lo piu', dall'altro in veste di tutori. E' uno scenario antico, che nelle forme attuali, non si presenta meno inquietante e violento. Negli Stati Uniti d'America avviene da tempo che donne con comportamenti "a rischio" siano sottoposte a controlli o chiamate a processo. Non vi e' e non vi sara' tregua nella pretesa di controllo del corpo femminile, finche' "civilta'" significa continuare a rimuovere la colpa etica della riduzione della madre a un corpo contenitore della vita. Per questo non capisco la timidezza verso l'etica della vita, considerata, a torto, piu' coerente e rigorosa nel rispetto dell'essere umano. Al contrario ritengo che l'abuso del concetto di vita sia una delle cause della crescente incapacita' di orientarsi e assumere comportamenti responsabili, nel mondo dei viventi. Dare senso al fatto che da donna nasciamo e' essenziale per non consegnarci nella procreazione, ma non solo, all'impersonalita' della tecnica. * Infine, la legge 40 e' un vulnus ad un altro principio fondamentale, quello della laicita'. C'e' grande confusione e, fatto piu' grave, c'e' stata nel Parlamento, su come intendere la laicita' dello Stato. Si sente continuamente parlare di conflitto tra etica laica ed etica cattolica, o religiosa. Ma la laicita' attiene al rapporto tra qualsiasi concezione etica, e la legge. Nessuna etica puo' avvalersi della legge, per affermarsi. Viceversa parlare di etica "laica", e di conflitto tra questa ed altre etiche, gia' sposta, vorrei dire corrompe, la distinzione fondamentale, tra etica e diritto, e quindi stravolge la funzione stessa della legge. * Certo, la fecondazione assistita e' questione eminentemente politica. Ma questo non vuol dire che lo Stato si possa arrogare il potere di ammettere o vietare questa o quella scelta, questa o quella pratica, decidendo qual e' l'etica che deve affermarsi nella societa'. Il Parlamento, ed ogni singolo parlamentare, non puo' decidere, ne' sulla base delle convinzioni dei singoli parlamentari - il voto "secondo coscienza", da tante parti invocato - ne' operando una mediazione tra i valori, che presumono di rappresentare. Nessun Parlamento puo' arrogarsi il potere di stabilire qual e' l'etica condivisa, o peggio ancora maggioritaria, e nessun parlamentare puo' subordinare la responsabilita' politica della funzione pubblica che esercita alle proprie convinzioni personali, trasformando queste ultime in norme vincolanti, e dunque esercitando una coazione sulle coscienze di altri, obbligandoli a rinunciare alle loro convinzioni. E' questo il primo limite che la legge deve darsi, se vuole corrispondere al principio della laicita' dello Stato. E' bene ricordare che non si tratta di un principio astratto, ma del solo modo per evitare che il pluralismo etico diventi una causa endemica di conflitti tra i piu' aspri ed insidiosi per una societa', poiche' minano proprio la legittimita' delle norme e del potere che le emana. * Parlare di limite alla legge vuol dire che in ambiti come questi la legge non puo' dire tu si' e tu no, riconoscendo legittimita' ad alcune scelte, e negandola ad altre, a seconda dell'identita', dei requisiti di "normalita'" di questo/a o quel cittadino/a. Questo limite non e' connesso alle questioni emergenti della bioetica. Fa parte della storia e della cultura politica della modernita', ed anche in un paese come il nostro, tradizionalmente poco attento alla laicita', si e' avuto negli anni '60-'70, una sua progressiva, importante, affermazione. Molto, grazie alle donne che hanno fatto del corpo, della sessualita', della vita "privata", questioni politiche; ed e' noto che quando si parla di questi problemi c'e' sempre in gioco l'etica prima e piu' della legge. Questa legge rappresenta quindi una pericolosa inversione di tendenza e come tale va contrastata. 7. REFERENDUM. SEVERINO VARDACAMPI: TRE PARAGRAFI SUL VOTO REFERENDARIO 1. De argumento argumentorum Mentre si avvicina la data del referendum, la propaganda sia dello schieramento favorevole alla legge 40/2004 sia di quello che propone alcune modifiche ad essa si fa piu' aspra, schematica, grossolana, offensiva dell'altrui dignita' e intelligenza. Succede quando si discute di questioni gravi e che emozionano profondamente, e soprattutto quando purtroppo non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi. Comprendo le esigenze di semplificazione del discorso, ma trovo indecente che si banalizzino questioni ardue, si confondano argomenti eterogeni, e la polemica finanche ad personam prevalga sull'esame adeguato di cio' su cui si vota. Personalmente votero', e votero' si' affinche' la legge sia modificata. Ma questo non significa che io non riconosca dignita' e valore ad altre scelte, e che non condivida le preoccupazioni espresse da chi fa una scelta di voto o non voto diversa ed anche opposta alla mia. E tuttavia c'e' un argomento degli argomenti - per cosi' dire - che mi persuade dell'inadeguatezza della posizione del non voto: ovvero che non votare ha una conseguenza precisa: qualora questa posizione fosse abbracciata dalla meta' degli aventi diritto al voto essa avrebbe come risultato di confermare la legge, una legge che non solo tutti coloro che voteranno si' al referendum, ma anche quasi tutti coloro che propugnano il non voto, sostengono che meriti di essere modificata (ed alcuni - non pochi - addirittura abolita). La scelta del non voto (diverso e' il caso del non voto come "non scelta", come disimpegno, che nulla esprime se non l'indifferenza o l'irresponsabilita') esprime hic et nunc un appoggio incondizionato e totale alla legge 40/2004 cosi' com'e'. Posizione naturalmente legittima, ma non la si gabelli per altro. * 2. Intermezzo: da due lettere di Misone Ha scritto in una lettera privata all'amico suo Geofilo il perplesso Misone: "Il mio modesto parere e' che - mi perdoni l'ovvieta' - non siamo fatti solo di natura ma anche di cultura, grazie al cielo; e che si puo' essere rigorosi per se', non dispotici per altri; che le esagerazioni, le genericita' e le metafore non sono buoni strumenti di lavoro nell'esaminare questioni complesse, nei confronti delle quali vale sempre il saggio consiglio dell'Aquinate 'distingue frequenter'; infine che l'ascolto e la misericordia sono sempre una buona cosa. La legge 40/2004 a me sembra ad un tempo delirante nella sua subalternita' alle pretese - scientiste e consumiste - di forzare limiti, e feroce nel suo autoritarismo (biecamente patriarcale, e non solo), nel negare dignita' ed imporre servitu', in materie su cui prudenza occorre e ancora prudenza e prudenza ancora. Per questo penso che sia legittimo e doveroso esprimere nitida una contrarieta' ad essa. Lei sa quanto me che con la non partecipazione al voto qualora essa superi la meta' del corpo elettorale si favorisce il permanere della legge cosi' com'e'; ed io so quanto lei che votano si' anche personaggi che sostengono tesi inquietanti e scandalose: ma il nocciolo della questione e' che la legge e' vigente, e il referendum e' solo un tentativo, estremo, di ridiscuterla. Cosi' come Helder Camara spiego' una volta (ed il buon padre Balducci amava ricordare questa opinione) che occorre anche saper ricostruire la genealogia della violenza per contrastarla non solo nei suoi ultimi esiti ma nelle sue concrete radici, mi sembra che il problema sia la legge, non il tentativo referendario di rimetterla in questione" (si potrebbe obiettare a quest'ultima opinione che il problema e' naturalmente a monte della legge, ed e' ben vero, ma il voto del 12-13 giugno e' sulla legge: per confermarla o per chiedere norme migliori, piu' sagge, piu' misericordiose, piu' caute). Ed in un'altra lettera all'amico suo Teodoro ha scritto: "Ritengo che la legge sia stata un regresso abissale rispetto alla riflessione e ai documenti anche di fonte istituzionale preesistenti (e che - ad eccezione di alcuni irresponsabili e mascalzoni - erano stati recepiti come codici di condotta e linee-guida pressoche' vincolanti dalla gran parte dei servizi, dai centri e dagli operatori: altro che 'prima c'era il far west'). Il dibattito odierno espresso in forma di articoli e interventi sui media e' cosa sovente ridicola e insignificante, e non di rado puerile e cialtrona, frivola e scandalosa, rispetto alla profondita' e densita' e complessita' e rigore (anche nei suoi luoghi piu' critici, anche nei suoi esiti aporetici, anche laddove si giunge - in timore e tremore - all'epoche'; e beninteso anche dove si perviene alla decisione condensata nella massima delle massime: "in dubio, contra projectum") del dibattito espressosi particolarmente negli anni novanta (ma gia' almeno nei due decenni precedenti - certo, con riferimento allo stato della ricerca di allora, ma i termini sia epistemologici che morali essenziali delle questioni erano gia' piu' o meno gli stessi) in libri cospicui ed incredibilmente dimenticati". * 3. Se giovassero le cose ripetute Detta nella sua forma piu' stringata l'opinione di chi scrive queste righe e' la seguente: la legge 40/2004 e' una legge ad un tempo nociva, crudele, cinica, confusa ed inetta; in oltre un anno il Parlamento non ha saputo o voluto apportare modifiche almeno sui punti piu' controversi, modifiche necessarie anche secondo il parere di alcuni dei piu' rappresentativi personaggi del governo e della maggioranza parlamentare che quella legge hanno votato; i quattro referendum consentono al popolo italiano di esprimere democraticamente una volonta' su alcuni punti qualificanti della legge 40, e di esercitare cosi' la sua sovranita' secondo una modalita' prevista dal nostro ordinamento giuridico; i quattro referendum propongono di abrogare alcune parti della legge, ed essendo meramente abrogativi non impongono nulla a nessuno. E' poi evidente che in materia di biotecnologie la precauzione e' d'obbligo e dei vincoli sono necessari: ma i referendum del 12 e 13 giugno non sono affatto sull'accettazione incondizionata (che sarebbe folle, e criminale) delle biotecnologie, bensi' su argomenti circoscritti, quantunque complessi; argomenti sui quali si possono avere ed esprimere opinioni diverse. Ed e' bene che queste opinioni si esprimano in modo franco e leale. 8. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI DIETRICH BONHOEFFER Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto di Dietrich Bonhoeffer. * "Il trascendente non e' l'impegno infinito, irraggiungibile, ma il prossimo che e' dato di volta in volta, che e' raggiungibile". Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988, p. 462). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 956 del 10 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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