La domenica della nonviolenza. 24



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 24 del 5 giugno 2005

In questo numero:
1. Ida Dominijanni: Il 12 giugno
2. Evandro Agazzi: Qualche considerazione puntuale
3. Evandro Agazzi: Principi controversi
4. "Amica cicogna": Scegliamo di scegliere
5. Giulio A. Maccacaro: Medicina Democratica, movimento di lotta per la
salute (1976)

1. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL 12 GIUGNO
[Dall'articolo di Ida Dominijanni, Secolo XXI, apparso sul quotidiano "Il
manifesto" del 4 giugno 2005, riprendiamo il seguente minimo frammento. Ida
Dominijanni, giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale
femminista]

Il 12 giugno non si vota sulla fine del mondo, ma solo su una legge
malfatta, fobica, illiberale, invasiva. Modificarla e' un piccolo ma
significativo gesto per preservare un nocciolo sano di razionalita' dalla
paranoia cinica di chi gioca a mettere l'Occidente contro se stesso.

2. RIFLESSIONE. EVANDRO AGAZZI: QUALCHE CONSIDERAZIONE PUNTUALE
[Dal quotidiano "Il sole 24 ore" del 18 gennaio 2005. Evandro Agazzi
(Bergamo 1934), illustre filosofo della scienza, docente all'Universita' di
Genova, nel 1996 ha stilato il documento sullo statuto ontologico
dell'embrione del Comitato nazionale per la bioetica]

Si tratta di una legge alquanto complessa e a vari "strati", la cui coerenza
appare soltanto tenendo presenti le concezioni generali cui essa s'ispira e
che riguardano, specialmente, i fondamenti dell'etica, la natura dell'essere
umano, il ruolo e la forma della famiglia e, infine, i rapporti fra etica e
diritto. Proprio per questo non e' possibile esprimere in poche battute un
giudizio complessivo. Mi limitero' dunque a qualche considerazione puntuale.
*
Un primo aspetto che non condivido e' una certa avversione nei confronti
dell'artificiale che si annuncia sin dall'articolo 1 ("Il ricorso alla
procreazione medicalmente assistita e' consentito qualora non vi siano altri
metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilita' o
infertilita'") e dettagliatamente ribadito all'inizio dell'articolo 4.
E' un retaggio di una posizione che non ha intrinseca giustificazione etica
e che, ad esempio, escluderebbe dalla procreazione assistita coppie fertili
ma con rischio di trasmettere malattie ereditarie, rischi evitabili mediante
un ricorso opportuno a tecniche di procreazione assistita. Ma piu' in
generale non si vede perche' dovrebbero essere escluse da tali pratiche
coppie non assolutamente sterili, ma per le quali il concepimento per vie
naturali risultasse troppo difficile o improbabile.
Insomma, e' del tutto ovvio e ragionevole che alla procreazione assistita ci
si rivolga quando i metodi naturali "non funzionano", ma non si vede perche'
questo debba essere un obbligo sancito per legge. Una conseguenza di questa
accettazione di principio dell'artificialita' mi sembra suggerire una
considerazione del tutto generale: non si vede alcuna ragione per cui cio'
che le leggi non puniscono quando avvenga per vie naturali possa esser
proibito quando e' ottenuto artificialmente.
*
Il caso piu' scottante e' quello della procreazione assistita di tipo
eterologo. Sull'esclusione di tale possibilita' si sono mostrati d'accordo
molti politici di maggioranza e opposizione, probabilmente perche' ripugna
al senso comune l'idea dell'intromissione di un "terzo" nella vita della
coppia. Si tratta di un sentimento comprensibile, che risponde anche a un
certo modo di concepire la famiglia, ma e' un fatto che nessuna legge
punisce la coppia che, non riuscendo ad avere figli, si fa "aiutare" da un
parente o da un amico di famiglia, piuttosto che ricorrere all'adozione,
ritenendo che sia preferibile avere un figlio che sia biologicamente tale
per lo meno di uno dei genitori.
La procreazione eterologa rende meno traumatica, sul piano psicologico, una
tale pratica e non si vede perche' essa debba essere vietata per legge, anzi
che essere regolamentata opportunamente come una "mezza adozione".
Certamente, mettendosi per questa strada si puo' osservare che la legge non
punisce la donna che, non volendo un marito ma desiderando esser madre, si
fa mettere incinta da qualcuno che poi lascia fuori dalla sua vita. Perche'
questo comportamento dovrebbe essere impedito per legge solo quando avviene
usando tecniche artificiali?
*
Mi sono limitato a un paio di punti, che non sono nemmeno i piu' scabrosi.
Altri, che riguardano il divieto di crioconservazione di embrioni, la
sperimentazione su embrioni, la diagnosi preimpianto, richiederebbero un
discorso molto piu' articolato che non posso riassumere in poche righe.

3. RIFLESSIONE. EVANDRO AGAZZI: PRINCIPI CONTROVERSI
[Dal quotidiano "Il sole 24 ore" del 6 febbraio 2005]

La legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita presenta aspetti
positivi e aspetti criticabili; questo e' un fatto comune a tutte le leggi
che, di per se', non implica il ricorso a dei referendum, essendo in genere
sufficiente ricorrere a modifiche della legge discusse e votate dal
Parlamento.
Perche', invece, in questo caso particolare, il ricorso ai referendum appare
come la soluzione piu' opportuna? Perche' la legge in questione traduce sul
piano giuridico una sola fra diverse concezioni etiche in campo, ossia la
piu' rigorista, mentre ne esistono altre sostenute da ragioni non banali o
pretestuose. L'effetto e' quello di ridurre eccessivamente lo spazio di cio'
che e' legalmente lecito, fra i due estremi di cio' che e' legalmente
obbligatorio e cio' che e' vietato. Nello spazio di quanto e' legalmente
lecito debbono invece poter ricadere azioni che sono moralmente riprovevoli
secondo una certa etica e moralmente ammissibili secondo un'altra, in base a
principi pur sempre razionali (e' questo il senso non banale del pluralismo
e della tolleranza, che non si identificano con un rozzo relativismo etico).
In concreto, senza negare che l'ordinamento giuridico debba rispettare
alcuni principi etici fondamentali, si tratta di individuare quali principi
etici siano assoluti e inderogabili anche sul piano giuridico e quali invece
siano (su tale piano) derogabili in base a ragioni adeguate. Ad esempio, per
la morale cattolica ufficiale l'esclusione dell'artificialita' e
l'esclusione della riproduzione al di fuori della famiglia legalmente
costituita sono principi moralmente inderogabili, mentre la legge n. 40
ammette sia l'una che l'altra (le pratiche di riproduzione assistita sono
ammesse anche per le semplici coppie di fatto stabili). La stessa Chiesa
cattolica non ha mosso opposizioni contro questi punti della legge, segno
che questi principi sono considerati anche dalla Chiesa come derogabili sul
piano strettamente legale (pur continuando a rimanere vincolanti per la
coscienza del cattolico osservante).
*
Un principio che appare inderogabile nella legge n. 40 e' il rispetto
assoluto dell'embrione sin dai primi istanti della fecondazione, ed e'
facile vedere che esso consegue logicamente da due presupposti: a) fin dai
primissimi istanti l'uovo fecondato ha lo statuto ontologico di un individuo
umano a pieno titolo; b) il rispetto della vita di un individuo umano e' un
obbligo morale e giuridico assoluto e inderogabile. Questa e' la posizione
ufficiale della Chiesa in questo momento storico. Essa non puo' venire
onestamente criticata accusandola di essere espressione di una istituzione
dogmatica e oscurantista (come spesso viene fatto). In realta' la Chiesa si
presenta oggi come una fra le poche autorita' morali che, a livello
mondiale, si battono per la difesa di numerosi diritti umani, della pace,
dei diritti dei piu' deboli e meno protetti.
L'atteggiamento corretto e' quello di vedere quanto fondati e universalmente
accettabili siano i due principi sopra menzionati, e allora si puo'
osservare: a) che la tesi secondo cui l'embrione possiede fin dai primi
istanti le caratteristiche di un'autentica individualita' umana e' stata
negata, sia nel passato che nel presente, da non pochi filosofi, scienziati
e teologi cattolici, oltre che da non meno numerosi intellettuali laici; b)
che la deroga al principio dell'inviolabilita' della vita umana e' stata
legalmente praticata e teoricamente giustificata, nel passato e nel
presente, sia dal pensiero cristiano che da quello laico (legittima difesa,
guerra, pena di morte, roghi degli eretici, eccetera). Si tratta quindi di
principi controversi e che, pertanto, possono correttamente ammettere delle
deroghe sul piano legale (pur continuando a vincolare le coscienze di coloro
che ne sono intimamente convinti).
*
Tenendo conto della natura controversa delle tesi filosofiche ed etiche
attorno a cui ruotano diverse delle prescrizioni e dei divieti della legge
n. 40, appare conforme alla natura di una societa' pluralistica il fatto che
la legge corrisponda il piu' possibile all'effettivo stato della coscienza
morale della societa' entro cui viene emanata, al di fuori e al di sopra
delle contingenti dinamiche politiche che possono aver presieduto alla sua
democratica approvazione.
E' ben vero che la verita' o falsita' di una tesi non si possono decidere a
maggioranza, bensi' confrontando le rispettive ragioni, ma nel nostro caso
dobbiamo riconoscere che tali tesi non hanno la caratteristica di "teoremi"
che ogni persona razionale non puo' evitare di ammettere, e quando il
confronto delle ragioni non approda a un consenso, e le decisioni prese si
traducono in limitazioni della liberta' dei cittadini, e' moralmente
corretto fare appello alle coscienze, dalle quali emerge quali limitazioni
si debbano considerare giuste e non soltanto imposte. In concreto, i
referendum hanno questa funzione e la condizione in base a cui essi possano
svolgerla per davvero e' che tutte le posizioni filosofiche ed etiche in
gioco abbiano la possibilita' di esprimersi e farsi conoscere con onesta' e
chiarezza.

4. APPELLI. "AMICA CICOGNA": SCEGLIAMO DI SCEGLIERE
[Dal sito dell'associazione "Amica cicogna onlus" (www.amicacicogna.it)
riportiamo il seguente manifesto]

Sulla procreazione assistita non vogliamo rinunciare alla liberta' di
scegliere.
La vita, la maternita', la salute sono troppo importanti per lasciare che
qualcuno decida per noi. Partecipare ai referendum sulla legge 40 e' un
impegno civile fondamentale, un irrinunciabile spazio di intervento in
difesa del diritto alla salute.
Riteniamo la legge 40 inaccettabile e siamo a favore dei quattro si'. Ma
ancora di piu' siamo contro l'astensionismo e contro l'invito a scegliere la
strada del doppio no. La legge 40 riguarda tutti noi, tutti noi che crediamo
che lo Stato debba essere laico e liberale; che crediamo che la ricerca
scientifica non debba essere ingiustamente limitata; che affermiamo la
liberta' di scelta e di pensiero. Tutti noi che riconosciamo come legittimo
il desiderio di avere un figlio; che rigettiamo qualunque restrizione della
liberta' di procreare naturalmente e pertanto riteniamo legittimo rivolgersi
alla scienza per chi un figlio non lo puo' avere.
Riteniamo, inoltre, di votare si' per affermare un principio di solidarieta'
nei confronti di una minoranza che lotta per avere la piu' naturale delle
opportunita': stringere un bambino tra le braccia.
Votiamo si' perche' il lato piu' intimo della nostra coscienza, i nostri
desideri piu' profondi, non possono essere regolati per legge.
Vogliamo dire si' alla vita che le tecniche di procreazione assistita
possono offrire a chi desidera un figlio; alla genitorialita' responsabile;
alla liberta' individuale; a una libera e responsabile scelta procreativa;
alla vita che puo' essere salvata dalla ricerca scientifica sulle cellule
staminali.
Ci opponiamo alla legge 40 perche' pone divieti inammissibili; perche' non
protegge la salute della donna; perche' impone indicazioni restrittive e
sceglie al posto del medico e al posto di chi desidera diventare genitore;
perche' spinge lo Stato nello spazio intimo e privato della liberta'
individuale, limitando e a volte impedendo di esercitare la liberta' di
decidere come e quando avere un figlio; perche' impone la legge del piu'
forte economicamente, costringendo moltissime persone a cercare in altri
Paesi quello che in Italia e' vietato, e lasciando come unica alternativa la
rinuncia al desiderio di avere un figlio; perche' discrimina ingiustamente
una larga parte di persone che avrebbero fatto ricorso alle tecniche di
procreazione assistita; perche' condiziona l'essere genitore ad un
intollerabile screening, escludendo i malati; perche' nega l'utilizzo della
diagnosi preimpianto aprendo la strada all'aborto terapeutico.
*
Aderiscono a questo manifesto "Scegliamo di scegliere", insieme a Rita Levi
Montalcini, Anna Alberti, Raffaella Ammirati, Maria Pia Ammirati, Eva
Antoniotti, Lavinia Bruno, Giovanna Casadio, Francesca della Giovampaoli,
Giuseppina Di Palma, Elena Doni, Laura Cingolani, Agnese Ferrara, Federica
Iannetti, Miriam Mafai, Giuseppina Manin, Raffaella Marino, Ester Marago',
Anna Meldolesi, Gianna Milano, Anna Morelli;  Elvira Naselli; Emanuela Noce;
Laura Novelli; Paola Olgiati; Marcelle Padovani; Ornella Palumbo, Ninfa
Paoli, Manuela Perrone, Simona Poidomani, Simona Poli, Cristiana Pugliese,
Sara Todaro, Ileana Sciarra, Chiara Valentini, Maria Cristina Valsecchi,
Federica Lamberti Zanardi, Filomena Gallo, Valeria Ajovalasit, Federica
Casadei, Maria Antonietta Calasso, Michela Cescon, Luisella Battaglia,
Giuliana Berlinguer Ruggerini, Beatrice Biagini, Maria Luigia Berenga, Rita
Bernardini, Cinzia Caporale, Daniela Dale, Silvia del Grande, Loredana Di
Matteo, Anna Pia Ferraretti, Agnese Fiorentino, Donata Francescato, Anna
Guarnati, Irina James, Chiara Lalli, Rita Mozzanti, Paola Narducci, Clara
Nervi, Chiara Palazzolo, Mirella Parachini, Anna Pascucci, Paola Porry
Pastorel, Sabina Papasso, Graziella Persico, Laura Siani, Manuela Steffe',
Stefania Riccio, Sacha Sadowy, Olimpia Vano, Emma Bonino, Maura Cossutta,
Cinzia Dato, Titti Santulli, Katia Zanotti,  Chiara Moron, Vittoria Franco.

5. DOCUMENTI. GIULIO A. MACCACARO: MEDICINA DEMOCRATICA, MOVIMENTO DI LOTTA
PER LA SALUTE (1976)
[Riproponiamo ancora una volta la relazione da Giulio Maccacaro pronunciata
in apertura del convegno costitutivo di Medicina Democratica tenutosi a
Bologna il 15-16 maggio 1976. Sappiamo che certe formule linguistiche in
essa presenti - e caratterizzanti - possono oggi suonare per taluni forse
persino arcaiche: e' il linguaggio della tradizione del movimento operaio,
della corrente calda del pensiero socialista, di vaste e profonde e decisive
esperienze di resistenza e di liberazione; ed anche coloro tra i lettori di
questo notiziario che per eta' o situazione quel linguaggio non conoscono o
trovano ostico sapranno decodificare e cogliere la sostanza - che appunto
sta sotto e dentro e oltre le forme del dire. Anni fa cosi' presentavamo
questo testo: Giulio Maccacaro: partigiano, medico, scienziato,
intellettuale democratico, militante del movimento dei lavoratori. La sua
figura, la sua esperienza, le sue ricerche e le sue riflessioni,
costituiscono un punto di riferimento per tutti coloro che ritengono di
doversi impegnare per la dignità umana, per la dignita' di ogni essere
umano, e quindi per il diritto di ogni essere umano alla solidarieta'.
Scrivevamo, ripresentando questo testo di Giulio Maccacaro in opuscolo nel
1991: "Pubblicando ancora una volta (...) questa illuminante relazione di
Giulio Maccacaro, pronunciata in apertura del convegno costitutivo di
Medicina Democratica tenutosi a Bologna il 15-16 maggio 1976, pensiamo di
offrire un'occasione di riflessione sui fondamenti della nostra lotta, ed
uno strumento analitico, e un orizzonte progettuale, invero necessari a
fronte dell'attacco politico, sociale e culturale che il sistema di potere
sta conducendo in Italia contro il diritto alla salute, contro gli spazi di
democrazia e verita' conquistati a prezzo di dure lotte dagli oppressi e dal
loro movimento. Cosa non e' successo nei quindici anni che da quelle parole
ci separano! Ed esse oggi costituiscono, ci pare, a un tempo un documento in
certo senso storico, e uno specchio del presente, degli interrogativi e
delle lotte nel presente da porre e condurre. E' in corso, ed e' a tutti
evidente, un'azione incalzante, percussiva, e senza scrupoli condotta, da
parte del sistema di potere che in questo paese effettualmente domina, la
quale mira allo smantellamento del diritto alla salute, delle strutture
pubbliche, della partecipazione popolare; che mira a fare della salute e
della medicina occasione di speculazione, potere, privilegio e oppressione
feroci. E questo con laide manovre, con sgangherati sofismi, ma con
determinazione ferrea: sa quel che vuole il sistema del profitto, come il
lupo della favola di Fedro. Per resistere abbiamo bisogno anche, di fronte
alla raffica di menzogne delle agenzie del rimbambimento, di fronte alla
narcosi e all'amnesia in tanti indotte, di riesporre le vere ragioni della
lotta che ancora e' la nostra. Per questo fine le parole di Maccacaro ancora
ci sembrano nitide e dure, come le pietre che infrangono ed edificano.
Insegnamento, ammonimento, che avremmo vergogna se dimenticassimo". Un altro
decennio e' passato e l'aggressione al diritto alla salute, lo
smantellamento del welfare state, hanno proceduto vieppiu'. Ricordare oggi
cosa stabiliva la legge di riforma sanitaria del 1978 conquistata dalle
lotte sociali degli anni sessanta e settanta par quasi esercizio di
archeologia ed ha suono di beffa, tanto quelle verita' paiono remote, quei
diritti sono stati ridotti a rovine, a ruderi di un'epoca in cui non si
aveva paura di affermare che ogni essere umano ha diritti inalienabili, e
tra essi il diritto alla salute e all'assistenza. Giulio Maccacaro: le sue
riflessioni sulla scienza, il suo lavoro di medico, il suo impegno diretto
per ogni buona causa: e quanto avremmo bisogno di persone come lui oggi, che
occorre contrastare la mercificazione totalitaria della ricerca scientifica
come della sanita'; oggi che il diritto all'assistenza sempre piu' e'
negato, e dal welfare si sta tornando alla piu' cruda speculazione sulla
sofferenza. Forse mai come oggi tanto l'area della scienza quanto l'area dei
servizi sono state asservite alla logica della massimizzazione del profitto,
al delirio di onnipotenza, all'irresponsabilita' dei nuovi apprendisti
stregoni, alla prepotenza dei poteri economici che tutto stritolano per
distillarne ricchezza. Le parole di Maccacaro, il suo esempio, costituiscono
ancora un forte appello politico e morale, uno strumento analitico ed
interpretativo, una proposta d'azione comune per difendere e promuovere
concretamente i diritti di tutti gli esseri umani. Giulio Alfredo Maccacaro
e' nato a Codogno nel 1924, ancora studente prese parte alla Resistenza;
medico, docente universitario, noto in campo internazionale per le sue
ricerche di microbiologia, genetica e biometria, ha dedicato un'intensa
attivita' alla costruzione di una medicina democratica. Ha collaborato,
fondato e diretto importanti riviste e collane editoriali. E' scomparso nel
1977. Tra le opere di Giulio A. Maccacaro: Per una medicina da rinnovare.
Scritti 1966-1976, Feltrinelli, Milano 1979 (che contiene anche una
bibliografia completa); cfr. anche: a cura di G. A. Maccacaro e di A.
Martinelli, Sociologia della medicina, Feltrinelli, Milano 1977; AA. VV., La
salute in fabbrica, Savelli, Roma 1974. Opere su Giulio A. Maccacaro: si
veda il fascicolo monografico a Maccacaro dedicato della rivista "Sapere",
n. 798, marzo 1977; ed in volume: AA. VV., Attualita' del pensiero e
dell'opera di G. A. Maccacaro, Cooperativa Centro per la salute "Giulio A.
Maccacaro", Milano 1988]

In nessuna delle altre occasioni - accademiche, scientifiche o politiche -
in cui ebbi il compito di svolgere una relazione introduttiva, ho sentito su
di me pesare tanta responsabilita' e dentro di me vibrare tanta emozione.
Perche' siamo convenuti qui affinche' qualcosa che supera ogni nostra
persona nasca, viva e cresca: qualcosa che abbiamo sentito prima esprimersi
come speranza progettuale e poi urgere come volonta' perentoria da un sempre
piu' largo, diffuso, articolato, motivato comando di base: la costituzione
di "Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute". E poiche' ogni
comando di base, quando spontaneo e autentico come questo, non e' oblazione
ai vertici ma volonta' di partecipazione, noi siamo qui per obbedirgli con
tutta la lealta', la dedizione e lo spirito unitario di cui siamo capaci.
Siamo qui noi ma non per noi, compagni ma per altri compagni, tanti ma per i
ben piu' tanti che attendono da Medicina Democratica non solo un messaggio
responsabile ma anche un'azione efficace per la salute e la integrita' di
chi e' oggetto di sfruttamento, emarginazione e repressione, onde questi ne
emerga con tutto il suo diritto e la sua capacita' di porsi quale soggetto
politico primario.
Infine, siamo qui anche per gli altri - per gli amici che ci osservano e ci
interrogano, per i nemici che ci temono ma non ci sfidano - ed a tutti e con
tutti vogliamo fare chiarezza.
Vogliamo dire, anzitutto, "perche' ora" e "perche' cosi'" si apre il
convegno costitutivo di Medicina Democratica. Questa e' un'ora di crisi
profonda del nostro paese: crisi economica, politica ed istituzionale. Una
crisi che non ci e' affatto oscura nelle sue cause e ci e' ben chiara nei
suoi effetti.
Per quanto riguarda le cause essa nasce da:
1) la dipendenza diretta e indiretta dal comando imperialista che -
attraverso il sistema delle multinazionali il cui potere non riconosce piu'
ne' i confini politico-geografici ne' quelli di regime - aspira dai paesi
subalterni capitali e profitti esportandovi continuamente le sue
contraddizioni, le sue crisi e costringendoli a pagare il costo umano,
ambientale ed economico del suo sfruttamento di rapina: fin dove e fin
quando il rischio politico non supera il prelievo effettuato. Oltre questo
limite abbiamo conosciuto altrove e abbiamo sentito incombere su di noi le
soluzioni piu' violente. Oggi sentiamo che altre ci minacciano: ma non tutti
hanno chiaro che il golpe tecnocratico verso il quale qualcuno vorrebbe
avviare l'Italia e' diverso da quello militare soltanto per l'uso della
divisa;
2) la inadeguatezza storica del capitalismo italiano che, incapace di
sviluppare persino il modello d'impresa e il sistema di investimento gia'
praticati da altre societa' e in altre economie del secolo scorso, si e'
trattenuto ancora in questo dopoguerra alla pigra avidita' della rendita
parassitaria, scaricando nel finanziamento di Stato tutta la sua avidita' di
profitto e speculando non sulle sue capacita' imprenditoriali ma su un
selvaggio prelievo di plusvalore dalla forza-lavoro;
3) l'indegnita' criminosa della dirigenza democristiana e satellite che,
dietro lo schermo scientemente artefatto e mistificante dell'interclassismo,
non ha saputo per sei lustri esprimere alcun esercizio di governo ma solo
gestione di un potere delegato dai gruppi del piu' arrogante e ottuso
privilegio: di classe, di casta e di arma, di corpi separati e di corruttori
riuniti, contro i lavoratori e le loro organizzazioni. Questo per le cause.
Per quanto riguarda gli effetti, la stessa crisi:
1) produce un deterioramente delle condizioni di vita e di lavoro della
classe operaia e delle masse popolari, attraverso la perdita di potere
d'acquisto dei salari, la precarieta' dell'occupazione, la insufficienza
della casa, l'impoverimento della vita;
2) determina un obiettivo decadimento di salute attraverso la
intensificazione dello sfruttamento, la diffusione del lavoro nero, il
conseguente incremento della nocivita', il deterioramento delle strutture
socio-sanitarie;
3) rinvia (ancorche' pretestuosamente, se si pone mente alla volonta'
negativa manifestatasi in congiunture di altro segno) ogni ipotesi credibile
di riforma dell'assetto sanitario del paese che sia intesa al benessere
della collettivita' e non, come avviene, alla speculazione, statalmente
partecipata o mutualisticamente mediata, del capitale finanziario,
industriale e farmaceutico.
Se queste note sono del tutto inadeguate per un discorso, anzi non sono
intese come un discorso sulla crisi che stiamo vivendo, pero' bastano a
riaffermare che questa crisi non e' affatto (come nessuna e' mai) complessiv
a, interclassista, accomunante, egualitaria: non e' affatto una catastrofe
che si abbatte quale un'oscura calamita' naturale su un intero paese: questo
o altri che sia. Ma e' un'ulteriore aggressione di cui sono identificabili i
mandanti e gli esecutori, i destinatari e le vittime: e' l'aggressione piu'
dura sferrata dal padronato nazionale e internazionale contro la classe
lavoratrice italiana, come quella piu' politicamente maturata e organizzata,
creativa e combattiva, nel sistema di controllo e di egemonia
dell'imperialismo capitalista.
Questa aggressione, anche se ha forme piu' manifeste di incidenza politica
ed economica, per cio' stesso va oltre e colpisce pesantemente, come ho
appena accennato, in tutto cio' che e' "salute" individuale e collettiva
aggravando le minacce, moltiplicando le offese, disarmando le difese.
Questo ho detto come breve premessa per sottolineare che la nascita "ora" di
"Medicina Democratica" non e' casuale ne' coincidentale, ma sembra a noi
dettata da una precisa tempestivita' in rapporto e alla gravita' della
situazione gia' presente e all'importanza della consultazione gia'
imminente.
Ma questa affermazione, che credo condivisa da tutti i compagni, resterebbe
una premessa incompiuta ove non fosse subito detto e chiarito che Medicina
Democratica sarebbe nata ora ed ormai anche se questa crisi non fosse stata;
anche se questa congiuntura non si fosse data.
La gestazione del nostro movimento e' piu' lunga e complessa, se ne possono
rintracciare antecedenti e premesse su un arco di tempo assai lungo; ma
certamente non e' scorretto ritenere decisive e significative le lotte
studentesche e operaie degli ultimi anni Sessanta e dei successivi.
Da allora sono venuti maturando e affrontandosi due processi di enorme
portata e di opposto segno: la medicalizzazione della politica e la
politicizzazione della medicina: la prima come scelta della classe del
capitale, la seconda come scelta della classe del lavoro.
Ne parleremo ancora quando il movimento vorra' veramente approfondire l'anal
isi di questi processi e il senso di questi termini, ormai entrati e
discussi nel dibattito internazionale.
Ne parlammo gia' in quel memorabile convegno sulla salute che si svolse a
Firenze nel 1973 e le individuammo allora come linee di uno scontro entro il
quale ognuno avrebbe dovuto fare presto la sua scelta. Cosicche' ora sarebbe
abbastanza semplice dire che, nella chiarezza e nella crudezza di quello
scontro, "Medicina Democratica" e' la nostra scelta, e che perche' questa
scelta si compisse e diventasse premessa di un movimento nel movimento era
naturale giungere alla costituzione di Medicina Democratica.
Sarebbe semplice ma sarebbe insufficiente. Dobbiamo sviluppare qualche
riflessione ulteriore che ci permetta di individuare - e naturalmente
discutere - una linea chiara e ferma che attraversi i principali problemi in
cui si articola la lotta per la salute e quindi l'impegno di Medicina
Democratica: una linea che di volta in volta, di problema in problema,
misuri la coerenza delle nostre scelte, confermi la solidarieta' del nostro
impegno, individui la chiarezza dei nostri obiettivi (quella chiarezza che
sola puo' far giustizia di ogni residuo settarismo e di qualsiasi
sopraggiungente parrocchialita').
Dobbiamo anzitutto riflettere sul concetto di salute per dire subito che non
hanno qui molto rilievo, perche' ci sono semplicemente ovvie, le definizioni
di salute individuale, ancorche' autorevolmente formulate come quella
dell'Organizzazione mondiale della sanita'.
Naturalmente - ma anche questo e' ovvio - ognuno di noi e' impegnato, come
operatore sanitario o come compagno di milizia o come membro della
collettivita', al soccorso piu' efficace, alla dedizione piu' generosa per
la liberazione dell'altro dalla sofferenza comunque vissuta, per la
promozione del suo benessere psichico e fisico comunque personalizzato. Ma
il nostro pensiero e la nostra azione si impegnano ben oltre: su quella
salute che va privilegiata nella sua dimensione collettiva e cui occorrono,
quindi, una dottrina e una pratica politica.
Si tratta, cioe', di affermare oggi - come non fu mai in passato - la
centralita' della lotta per la salute nello scontro di classe. E l'esattezza
di questa affermazione - assolutamente generalizzabile ad ogni ambito
sociale - appare con lampante evidenza nella realta' della fabbrica
riverberando da questa su tutto il territorio. La fabbrica infatti e' non
solo il luogo dove si realizzano insieme ed in massimo grado la
concentrazione della nocivita' e la spoliazione di salute - quale estremo e
preciso portato di una scienza lungamente votatasi, nel comando borghese,
alla organizzazione detta, appunto, "scientifica" del lavoro - ma e' ancora
il luogo dove il movimento operaio ha chiarito a se' e agli altri che la
lotta collettiva per la salute collettiva investe tutto il modo di
produzione e lo contesta proprio in cio' di cui e' piu' geloso: la sua
falsa - o deviata - razionalita'.
Quella razionalita' asservita quanto piu' si dichiara oggettiva, che ne
alimenta e vorrebbe legittimarne la pretesa a porsi come modello per la
gestione della societa' in tutte le sue articolazioni: dalla struttura
urbana all'organizzazione dei servizi, dalla scansione dei tempi al dettato
dei consumi, dalla scuola e per ogni altro dove sociale fino alla sanita':
recuperando, infine, da questa sanita' modi e strumenti per dare una
risposta preformata e normalizzante, quindi contenitiva ed infine
repressiva, ad una domanda che nasce da un malessere classificato come
patologico ma autenticamente esistenziale (sociale).
E' il controllo sociale che cerca di rinchiudere un problema di relazione,
cioe' strutturale, nella malattia dell'individuo, cioe' accidentale, per
separare il lavoratore dalla sua classe e la classe dalla sua coscienza.
A questa luce che ci viene di la', dalla fabbrica, dove e' piu' chiaro e
piu' duro il confronto tra capitale e lavoro, dove il movimento operaio ha
combattuto per la sua e per l'altrui liberazione - come sentiremo tra poco
nel discorso di reali avanguardie - la salute collettiva va intesa per
quello che e' e che conta: valore totalizzante di altri valori, assunzione
in una lotta di altre lotte, affermazione nella pratica di una corretta
priorita' politica. La salute collettiva non e', quindi, soltanto la somma
di benesseri individuali ne' di individuali riscatti dalla malattia, proprio
perche' identifica nel privato del benessere e nel malessere del sociale i
disvalori che la contraddicono.
Su questo primo punto - sulla salute collettiva come condizione e sostanza
di quella individuale - Medicina Democratica non lascia spazio ad equivoci
teorici e ne deriva precise indicazioni pratiche. Se in una occasione
ulteriore la nostra analisi avra' ulteriore ampiezza ed approfondimento,
gia' ora ci e' dato, per coerenza alla premessa, dichiarare il nostro
impegno, globalmente politico e specificamente sanitario, contro:
1) la ristrutturazione e le nuove forme di organizzazione capitalistica del
lavoro e della societa',
2) la campagna sull'assenteismo che tende ad occultare la rapina di salute
collettiva continuamente perpetrata sulla classe del lavoro,
3) la teorizzazione delle "compatibilita'" che cerca di riproporre e
recuperare la subordinazione di tale salute alle esigenze del profitto,
4) la consegna al capitale pubblico, privato e misto della progettazione,
organizzazione e gestione dei presidi sanitari;
e il nostro impegno per:
a) il ritiro ad ogni livello della delega sanitaria,
b) l"autogestione di base della tutela della salute,
c) la lotta ad ogni tipo di emarginazione,
d) la nascita e lo sviluppo di forme di governo popolare e di democrazia
diretta con particolare riguardo allo specifico socio-sanitario.
Queste indicazioni, che saranno riprese e documentate negli interventi
previsti e in quelli attesi, gia' ci portano a considerare altri punti oltre
il primo e subito un secondo: quello della partecipazione che e' il fattor
comune degli impegni ora detti. Conviene dedicargli qualche attenzione
perche' la nostra linea si chiarisca oltre e a fronte dell'uso e dell'abuso
che l'esercizio dei poteri ne ha fatto in questi anni, mistificando per
partecipazione cio' che partecipazione non era.
Ancora una volta vorrei fare riferimento alle lotte e alle conquiste del
movimento operaio ma vi rinuncio serenamente perche' altri compagni ne
diranno: diranno come un nuovo modo di intendere la partecipazione nasca
proprio da cio' che io mi limito a ricordare e mi trattengo dall'illustrare:
la liberazione della soggettivita', l'emergenza del gruppo omogeneo, la sua
assunzione di funzioni politiche, sanitarie e scientifiche.
Voglio soltanto sottolineare come, dal gia' detto primato della salute
collettiva, discenda che se una sociologia medica d'altro tempo ha definito
la malattia come perdita di partecipazione, oggi siamo arrivati ad intendere
la perdita di partecipazione come sostanza di malattia. Pero' noi crediamo
che alla partecipazione autentica non basti mai l'articolato di una legge ma
occorra sempre l'impegno di una lotta: che si sviluppa continuamente
nell'identificazione dei suoi obiettivi, che si accresce progressivamente
nell'allargamento del suo campo, che non riconosce limiti a questo campo ne'
ammette che esista l'ultimo di quegli obiettivi. Questo non e' un discorso
estremista nel senso deteriore dell'insinuazione che di solito accompagna
tale termine, ma e' anche un discorso meditatamente estremista se e' vero
come credo che in medicina e per Medicina Democratica l'unico e sacrosanto
estremismo e' la salute collettiva e che questa non puo' darsi senza
partecipazione. Allora vogliamo definire questa partecipazione - sempre con
riferimento preciso alla tematica di questo convegno e di questo movimento -
sia in positivo sia in negativo secondo l'insegnamento del piu' grande
rivoluzionario: "Quali sono i nostri nemici e quali sono i nostri amici?
Questa e' una questione di primaria importanza per ogni rivoluzione".
I nemici della partecipazione sono almeno tre: l'autorita', l'efficienza e
la provvidenzialita'.
Nell'ambito del nostro impegno a definirci come Medicina Democratica
l'autorita' cui opponiamo la partecipazione e' identificata come quella
che - indossati i panni della competenza, separatasi nella tecnica,
costituitasi come corporazione, legittimatasi come ordine - si pone di fatto
quale esecutrice dei comandi di un potere che la sovrasta e che, pagatala
con ruoli e privilegi, ne fa lo strumento piu' insidioso ed efficace del
controllo sociale nelle forme della medicalizzazione. Per tutto cio' essa
pretende: il diritto di un sapere separato, la consegna di un uomo
oggettivato, l'esercizio di un insindacabile potere. Questo e' un nemico
della partecipazione.
Un altro nemico e' l'efficienza che in un sistema dato e' sempre una domanda
del potere costituito. Essa si avvale della voluta e perpetrata confusione
con l'efficacia. Cui corrisponde un'altra consapevole e consumata confusione
tra funzione e funzionamento. La funzione di ogni sistema e' definita dai
suoi fini, il funzionamento dai suoi modi.
Noi vogliamo che la funzione dell'istituzione sanitaria sia rivolta
interamente alla promozione e alla difesa della salute collettiva, come la
abbiamo gia' definita, e che il suo funzionamento sia giudicato soltanto a
misura della capacita' di adempimento di tale funzione.
L'istituzione sanitaria e', invece, ordinata all'ottimizzazione di se
stessa, del suo vantaggio economico, delle sue autorita' di comando, del suo
plesso di potere. Pertanto nell'occultamento di una profonda divergenza
della sua funzione dai fini sociali cui dovrebbe rendere e misurare il suo
servizio, riconosce ogni primato al funzionamento e converte la totale
perdita di efficacia in una ulteriore domanda di efficienza. Non e' questa
la sede per esempi che sono innumeri e noti: avremo presto un'altra
occasione in cui discuteremo a lungo - nel riscontro reale, nel dettaglio
specifico, struttura per struttura, servizio per servizio - questo problema
dei rapporti, in medicina, tra funzionamento e funzione, tra efficienza ed
efficacia.
Qui ci basta riconoscere e ricordare che e' in nome dell'efficienza del
funzionamento per una mentita efficacia della funzione che la partecipazione
popolare e' sempre stata sistematicamente esclusa - come e' esclusa la madre
del bambino ricoverato, come e' esclusa la consapevolezza del paziente
abusato, come e' esclusa la realta' della sofferenza sociale -  dalla
gestione della cosa sanitaria, dalla possibilita' di intervenire per
indicarle fini nuovi, ulteriori impegni, piu' vere destinazioni.
Il terzo nemico della partecipazione e' la provvidenzialita'. E qui il
nostro discorso si sposta dal luogo sanitario al governo sanitario,
rivolgendosi francamente anche a chi ne porta responsabilita' locali in un
quadro politico alternativo a quello nazionale.
C'e' un modo che non vogliamo nemmeno discutere di intendere tale
responsabilita': come occasione di potere, tessitura di clientele, pretesto
di corruzioni: e' il modo "democristiano" per antonomasia.
Ma c'e' un altro modo che e' pure antipartecipatorio. E' di chi - ente o
persona, ma piu' spesso il primo che la seconda - si ritiene investito del
compito e titolare della capacita' di anticipare la domanda sociale di
salute, di presentirla prima che sia espressa, di immaginarla prima che sia
concepita, infine di provvedere ad essa prima che si sia consapevolizzata.
Con un termine corrente cio' si chiama anche "paternalismo" ma ritengo piu'
corretto definirlo "provvidenzialita'". Perche' cosi' mi pare meglio
indicato quel modo di mettersi in rapporto con la realta' che prescinde dal
suo ascolto; quell'attitudine a disporre risposte preformate che prescindono
dalla formazione delle domande; quell'interpretazione del mandato
amministrativo che infine determina una richiesta cui si consente soltanto
di conformarsi all'offerta.
Medicina Democratica e' contro tutto cio' - l'autorita' ma non soltanto
perche' e' inautorevole, l'efficienza ma non soltanto perche' e' inefficace,
la provvidenzialita' ma non soltanto perche' e' improvvida - e' contro tutto
cio' perche' tutto cio' e' contro la partecipazione e Medicina Democratica
e' un movimento partecipatorio di base non solo perche' da questa base e'
nata ma perche' vuole continuare a restarci: per raccogliere, assecondare,
collegare, moltiplicare, potenziare onde siano infine vincenti, tutte quelle
lotte che, in specifici diversi - dalla fabbrica al territorio, dalla scuola
all'ospedale, dal quartiere all'istituzione, dalla casa alla caserma - la
soggettivita' di base viene conducendo per la salute, anche individuale, ma
assunta in quella collettiva.
Si pone cosi', naturalmente, il terzo punto sul quale occorre sviluppare
qualche riflessione ed e' quello della soggettivita' per una definizione,
ora in positivo, della partecipazione. Ancora una volta e' dall'esperienza e
dalla lotta di fabbrica che e' emersa la soggettivita' del lavoratore
rivendicata ed affermata contro la volonta' oggettivante del capitale.
Ma ancora una volta dalla fabbrica le conquiste del movimento operaio
incidono su tutto l'ambito sociale e ne reinterpretano e riqualificano la
realta'.
La soggettivita' di cui parliamo e' una anche se, nell'uso ormai corrente
all'interno della tematica che ci e' comune, le vengono attribuiti due
significati complementari: uno e' in alternativa alla definizione -
cosiddetta obiettiva - della salute e della malattia, del benessere e del
disagio, della nocivita' e del danno. Costituisce, quindi, la base di quel
ritiro della delega lungamente rilasciata al "tecnico" quale verificatore e
falsificatore di una sofferenza soggettivamente patita e dunque reale ma che
poteva essere negata, in conto della pretesa "obiettivita'" di una scienza
che non e' retorico chiamare padronale.
Da questa rivendicata soggettivita' e' nata la identificazione di un quarto
gruppo di fattori di nocivita', e' nata una ridefinizione del
benessere-malessere non piu' come conformita'-difformita' a modelli espressi
ed imposti dalla logica della produzione per il profitto, ma come vissuto
individuale e di gruppo del rapporto con le condizioni di lavoro e di vita.
L'altro significato di "soggettivita'", che si integra al primo, e', oltre i
limiti di cio' che puo' pur sempre essere ricondotto a una lettura medica,
l'affermazione di se' non solo come soggetto di salute ma come soggetto di
sanita' capace di appropriazione e di autogestione della medesima.
E' su questa seconda soggettivita' che vorrei insistere ancora un poco per
dire che essa riconosce, abilita ed esprime - nel suo crescere
nell'esperienza senza la quale non si ha partecipazione e nel suo evolvere a
volonta' collettiva senza la quale non si ha la trasformazione - una
pluralita' di soggetti, che vanno dal singolo al gruppo, dal gruppo al
collettivo, dal collettivo alla classe, ma per ciascuno dei quali e'
acquisito il diritto di porsi, all'interno dell'atto medico,
dell'istituzione sanitaria, dell'organizzazione assistenziale, in un
rapporto finalmente dialettico con tutto cio' che - strutture e persone - lo
avevano sin allora considerato l'oggetto di un rapporto analitico.
Questa e' la straordinaria e nuova ricchezza che in questi anni e' venuta
crescendo in quella base da cui ora si esprime Medicina Democratica.
E questo e' stato il mio tentativo di contribuire al vostro dibattito
costruendo, pezzo a pezzo, quella che io credo sia la linea che connota il
nostro movimento - che lo fara' capace di attraversare in chiarezza e
coerenza la molteplicita' quasi innumere dei problemi che lo confrontano e
che ora vorrei cosi' formulare: il primato politico della salute collettiva
come momento centrale della lotta di classe fondata su una reale
partecipazione capace di accogliere nella loro genuina espressione e
assumere a livello di integrazione ulteriore le molteplici soggettivita'
della base sociale.
Se questa linea e' corretta (ma vostro ne e' il giudizio) essa deve essere
capace di dare corrette e chiare indicazioni pratiche, così come deve essere
capace di sollecitare analisi ed approfondimenti ulteriori.
A questi secondi io credo che noi vogliamo impegnarci in vario modo e con
vari mezzi: costituiremo gruppi di studio per problemi specifici,
prepareremo nelle sedi piu' appropriate dibattiti e confronti, andremo entro
l'anno a un congresso ordinato sui temi e sulle tesi che saranno stati
oggetto di studio e discussione adeguati, secondo le indicazioni del
movimento. Questo convegno di oggi, del quale ho cercato di dire "perche'
ora" e del quale mi si e' incaricato di dire "perche' cosi'", nasce, dunque,
come convegno di fondazione e di presentazione. Nasce, dicevo all'inizio, da
una volonta' anzi da una urgenza di incontro e di collegamento chiaramente
formulata dalla base.
E' allora parso giusto che fosse dedicato alla piu' libera e articolata
espressione di questa base, compatibilmente con le costrizioni imposte dal
tempo ma anche con i doveri imposti dalla responsabilita'. Per questo il
comitato promotore ha creduto di assicurare alle diverse componenti
l'opportunita' del loro contributo ed ha invitato tutti i compagni a far
convergere il loro.
Per questo io, incaricato di aprire il dibattito, ho cercato di
individuare - tra le molte e preziose indicazioni raccolte in questi mesi -
una linea che fosse di aggregazione per noi e di definizione per gli altri.
Per questo, infine, mi sono trattenuto dall'entrare nei problemi che
emergeranno dagli interventi previsti, convinto tuttora di averne soltanto
interpretato la scelta comune, senza volerne anticipare le articolate
proposte.
Mi pare tuttavia che da quella linea le indicazioni che discendono siano
chiare e riconoscibili nel senso che Medicina Democratica
1) si impegna in una lotta per la salute che non separa il campo sanitario
da quello sociale ma li attraversa entrambi secondo una direttrice
fondamentale segnata dalla contraddizione di classe. E' rispetto a questa
direttrice che sa qualificarsi una nuova solidarieta' tra il lavoratore alla
sanita' e la sanita' dei lavoratori: noi opereremo perche' cio' avvenga;
2) si impegna ad operare per un radicale cambiamento degli attuali studi
medici nel senso di una articolata ma congiunta formazione di tutto il
personale sanitario orientandolo a:
a) saldare la pratica con la teoria,
b) mettere la prevenzione al primo posto,
c) priorizzare la medicina di base e di comunita',
d) attendere alla educazione sanitaria come premessa di partecipazione;
3) si impegna ad operare per la deistituzionalizzazione dell'assistenza e
per la territorializzazione dei servizi nel pieno e diretto controllo
popolare di tutta l'attivita' sanitaria, valorizzando da una parte i
consigli dei delegati, stimolando dall'altra i comitati sanitari di zona,
sostenendo e assistendo ogni forma spontanea di partecipazione di base,
proprio perche' tale e perche' in quanto tale, nella sua assunzione e
coscienza politica e collettiva della medicina e' l'alternativa irriducibile
alla medicalizzazione della collettivita' e della politica;
4) riconosce e valorizza nella autogestione della salute non un riduttivo
"far da se'" e una rinuncia all'uso di ogni valido sussidio medico, ma
assume questo in un diverso comando politico come momento fondamentale per
la riaffermazione della soggettivita', per il recupero di un rapporto
dialettico tra i soggetti dell'atto sanitario individuale e complessivo:
pertanto e' impegnata ad un'ulteriore valorizzazione di tale soggettivita' -
che riconosce nell'insegnamento del movimento operaio e nella lotta dei
movimenti femministi - in ogni occasione ove sia negata e repressa (a breve
termine, per esempio, Medicina Democratica concludera' la elaborazione di
una legge di iniziativa popolare contro la sperimentazione sull'uomo e
promuovera' l'applicazione della carta dei diritti del bambino ricoverato in
ospedale);
5) rifiuta - per tutto quanto la sua linea dice in tema di salute
collettiva, di partecipazione e di soggettivita' - qualsiasi uso repressivo,
di controllo sociale, di emarginazione della devianza da parte della
medicina e dei suoi operatori, impegnandoli non solo a rifiutarlo ma a
contrastarlo in ogni modo;
6) rifiuta, conseguentemente ma intransigentemente, ogni ruolo limitativo o
condizionante della liberta' della donna in ordine alle sue scelte di
generazione e di salute; solidarizza con i movimenti della sua liberazione e
intende operare perche' a questo fine siano orientate la struttura e la
funzione dei consultori;
7) assume la responsabilita' di promuovere e ottenere l'inserimento sociale
degli handicappati come soggetti di piena partecipazione e di assicurare
diretta collaborazione alla loro azione e alla piu' diffusa conoscenza dei
loro problemi;
8) impegna i suoi aderenti a dare senso e prassi alla concezione della
medicina come servizio per il popolo: quindi ad opporsi fino alla loro
estinzione ad ogni forma di arroccamento corporativo ed antipopolare
dell'ordinaismo medico, perche' la sanita' non sia - come e' stata altrove -
un banco di prova generale del blocco di destra;
9) si impegna a cercare le solidarieta' politiche e sindacali che
riconoscano negli obiettivi di Medicina Democratica reali obiettivi della
classe, ma anche a conservare a  se stessa le funzioni e i caratteri di
movimento autonomo di base, capace di accogliere e valorizzare politicamente
tutte le istanze e le iniziative che da tale base sono espresse nelle
diverse forme del suo articolarsi ed aggregarsi su obiettivi individuati
dalla volonta' popolare;
10) intende compiere e ha gia' iniziato un lavoro di collegamento con
movimenti che in altri paesi - pur in una estrema diversificazione di metodi
e di prassi congrue alle diversita' dei quadri istituzionali e di regime -
sviluppano azioni e conducono lotte per la riappropriazione e l'autogestione
della salute.
Questi dieci punti, compagni, non sono un decalogo. Sono soltanto alcuni
degli impegni - pero' chiari ed esplicati - ed altrettante scelte di
azione - pero' incidenti e coerenti - secondo la linea che ci siamo dati e
che e' sintesi di quanto voi, non solo nelle assemblee di questi mesi, ma
nelle lotte di questi anni siete venuti esprimendo. Il dibattito ne
arricchira' i contenuti, ne aggiungera di ulteriori, ne indichera' la
priorita'.
Cosi', avviandomi a concludere quella che non poteva essere che una
introduzione a un convegno di fondazione, che desse la parola a tutti senza
sottrarla a nessuno, vorrei sottolineare a chi ci ascolta la nostra piena
consapevolezza di un'altra crisi che, come quella ricordata all'inizio, e'
oggi congiunturalmente clamorosa ma e' da tempo strutturalmente deteriorata:
e' la crisi di questa medicina contemporanea che, di giorno in giorno, si fa
sempre piu' assistenzialmente inefficace e socialmente repressiva.
L'inefficacia dell'assistenza e' dimostrata da:
1) progressivo deterioramento, statisticamente documentabile, della salute
collettiva per l'incidenza crescente di tutte le malattie legate alla
nocivita' - dell'ambiente di lavoro, di abitazione, di alimentazione e di
vita - che e' il portato inseparabile del modo di produzione capitalistico;
2) ricorrenza - frequente e dilagante - di patologie infettive che si
credevano e potevano essere state debellate;
3) vertiginoso incremento del consumo di farmaci in larga misura meramente
sintomatici e concretamente tossici;
4) emergenza di un diffuso malessere, socialmente determinato e
personalmente patito, che investe larghi strati della popolazione indotta o
costretta a vivere come "disturbo mentale" cio' che e' soltanto
"insopportabilita' di vita".
La funzione repressiva e' dimostrata da:
1) crescente trasferimento dei problemi sociali e personali
(conflittualita', trasgressione dei limiti di "norma", domanda di
soggettivazione, ecc.) in un'area di gestibilita' istituzionale e di
silenziamento terapeutico;
2) avanzante tecnicizzazione dell'atto medico fino alla estinzione dei suoi
contenuti di rapporto interpersonale;
3) diffusione di false o inefficaci pratiche di prevenzione secondaria per
deviare la domanda di conversione del modo di produzione;
4) attribuzione al medico di nuovi compiti repressivi nei confronti del
comportamento infantile, se e' un pediatra, del diritto di aborto se e' un
ostetrico, del rifiuto del lavoro se e' un fiscale, dell'uso di droga se e'
un medico, della devianza se e' uno psichiatra, della rivolta alla nocivita'
se e' un medico del lavoro, e cosi' via.
A questo ed oltre ci porta la "medicalizzazione della politica", e a questo
si oppone la scelta di Medicina Democratica che e' "politicizzazione della
medicina".
Cio' significa, per noi e nei fatti, puntare su tutte le forme di
appropriazione e di autogestione che possono mettere la classe a soggetto di
una lotta per la salute che non cessi mai di essere, in quanto tale, una
lotta contro il sistema.
Non appartiene alla classe l'insidioso dilemma: o le riforme oggi o la
rivoluzione un'altra volta. Per la classe contano quelle riforme - meglio:
quelle conquiste - che fanno parte di una strategia per la rivoluzione.
Perche' ciascuna di esse - se, oltre il suo valore assoluto, non fosse anche
un acceleratore del processo di mutazione strutturale - sarebbe soltanto
apparente e, alla fine, perdente.
Occorre, dunque, assecondare - ognuno all'interno del suo ruolo che e' pur
sempre un ruolo interno - il processo di appropriazione da parte della
classe e delle masse 1) degli strumenti di conoscenza dei meccanismi di
profitto e di sfruttamento del capitale e 2) degli strumenti di
autocontrollo e di autogestione della salute.
Occorre dare ogni appoggio, ogni contributo - di forze, di idee, di
critiche - ai consigli di fabbrica, ai consigli di zona, ai comitati di
quartiere, ai collettivi e ai movimenti nei quali si esprime la volonta' di
base delle masse, cui naturalmente si raccordano quei medici, quegli
studenti, quegli operatori sanitari di ogni grado e funzione, quegli
operatori sociali di vario ruolo e qualificazione, quei - piu'
comprensivamente - "tecnici della salute e per la salute" che abbiano fatto
una corretta scelta di classe e che si siano dati una pratica congruente.
Questo che dico, qui ed ora, e', con le stesse parole, l'impegno ed il voto,
il progetto e il proposito formulati negli anni addietro.
Ebbene, questo ora avviene perche' da questa premessa, con questi connotati,
su questa linea nasce Medicina Democratica, movimento di lotta per la
salute. Nasce da una grande ricchezza di lotte, di esperienze, di volonta'
collettiva e individuali che vogliono collegarsi per procedere insieme in
un'analisi che sia verificata e in una prassi che sia coordinata.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni settarismo e da ogni subalternita'.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni pia illusione di farne una zattera di
salvataggio per annaspanti coscienze nel mare di questa o di quella
corporazione.
Nasce, deve nascere, fuori di ogni risibile velleita' di farne un "partito
sanitario" o la proiezione sanitaria di questo o quel partito.
Nasce da uno scontro di classe per la vittoria di una classe, quella, l'
unica che - Marx ci ha insegnato - liberando se' libera anche gli altri
uomini.
E' un duro scontro, e' tuttora una vittoria da conquistare: e' una lotta cui
occorrono l'impegno di tutti noi, anche quello della lealta' di confronto,
della dialetticita' di posizioni.
E' quindi questo un momento di grande e positiva tensione ma anche di grave
e riflessiva responsabilita'. Io sento e penso che tutti i compagni debbano
sentire e riconoscere le dimensioni della nostra responsabilita': che e'
quella di dar vita a un movimento che non si ripieghi sui problemi pur
autentici dei suoi aderenti ma si rivolga anche a quelli della popolazione
al cui servizio deve porsi, che si conquisti fin dall'inizio e conservi la
credibilita' di fronte anche al giudizio piu' severo delle masse.
Che per loro - come gia' si intende e vede da ogni parte - cio' che oggi
nasce, sappia crescere per una lotta che sara' lotta di liberazione.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 24 del 5 giugno 2005