La nonviolenza e' in cammino. 952



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 952 del 6 giugno 2005

Sommario di questo numero:
1. Clementina, della parola
2. Enrico Peyretti: Storia del concetto di disarmo (parte seconda)
3. Giuliana Sgrena: Guerra e informazione
4. Adriana Cavarero, La radice femminile
5. Con "Qualevita", la riflessione di Maria Chiara Tropea
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELLA PAROLA
[Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care
international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e'
stata rapita alcuni giorni fa]

La lettera della madre di Clementina Cantoni alle madri dei suoi rapitori,
in questa drammatica distretta, e' come l'irrompere della luce nelle
tenebre: parole da donna a donna che si oppongono alla violenza, alla
guerra, ai delitti, alle armi.
Possa essere quella voce ascoltata, possa quell'appello da madre a madri
rivolto illuminare anche tutti i figli, a tutti restituire umanita', tutti
persuadere all'azione giusta, all'azione buona.

2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO (PARTE
SECONDA)
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti. e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione la relazione tenuta il 10 febbraio 2005 al seminario
"Historia magistra" diretto dal professor Angelo D'Orsi presso il
Dipartimento di studi politici dell'Universita' di Torino. Enrico Peyretti
e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri
piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le
sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente
edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi
interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

III. Chi disarma chi?
Nell'azione di disarmo, se chi disarma e' diverso dal disarmato, abbiamo il
disarmo altrui, se il disarmante e' lo stesso disarmato, abbiamo il disarmo
proprio.
*
1) Disarmo altrui
Il vincitore disarma il vinto, il piu' forte indebolisce ulteriormente il
piu' debole, il piu' armato diventa al confronto ancora piu' armato.
La prima cosa che fa il vincitore al vinto nel conflitto violento e'
disarmarlo, per abolire il pericolo; un tempo lo legava come trofeo al
proprio carro, o lo riduceva in schiavitu'; oggi lo sottomette culturalmente
ed economicamente.
La prima cosa che il vinto cerca di fare e' riarmarsi e prendere la
rivincita.
Problema: col disarmo del vinto, il vincitore si assicura davvero una
stabilita' diseguale, una paralisi del debole? E', quel disarmo, il successo
e la sicurezza del vincitore? Oppure e' la sua illusione, perche' si innesca
la spirale M/m (maggiore- minore)?
Si innesca la spirale, perche' chi e' messo in posizione "m" e' provocato a
cercare di diventare "M" (teoria di Pat Patfoort); perche' il piu' debole si
sente minacciato e cerca sicurezza nel riacquistare forza; con cio' minaccia
la sicurezza del piu' forte. Infatti, la sicurezza o e' reciproca o non
c'e'; l'insicurezza dell'avversario e' la "propria" insicurezza. Sicurezza
insicura e' quella unilaterale; sicurezza sicura e' quella reciproca.
Negli anni '80, i pacifisti tedeschi dicevano: "La propria sicurezza sta nel
mostrare all'avversario la propria strutturale incapacita' di aggressione",
insieme alla capacita' di difendersi.
Esempio storico plateale della stoltezza del disarmare il vinto: la pace
punitiva di Versailles, 1919, gravida della guerra successiva.
Alternativa alla spirale e' l'equivalenza: cioe' l'uguaglianza di valore,
dignita', diritti, anche nella differenza di forza; e' la "pace di
soddisfazione" (Raymond Aron, Norberto Bobbio).
All'altro estremo, il piu' sicuro "disarmo del vinto" e' lo sterminio: tolte
non le armi soltanto, ma i corpi che usano le armi. Ma chi stermina la
memoria? E la memoria traumatica della sconfitta e' un'arma che prepara
armi: siamo di nuovo nella spirale. Anche la memoria degli indoamericani
sterminati dopo la Conquista oggi ritorna, dopo cinque secoli, e puo'
volgersi in guerra, oppure in rivendicazione nonviolenta, ma rivendicazione.
*
2) Disarmo proprio: a) degli individui; b) dello stato
a) Disarmo degli individui: sia spontaneo, sia imposto per legge.
I cittadini accettano di delegare esclusivamente allo stato l'uso della
forza (che non e' la violenza); rinunciano alla pericolosa autoprotezione,
perche' sono protetti dallo stato. Il riarmo dei cittadini e' piu'
pericoloso: si veda la differenza tra gli stati europei e gli Stati Uniti
d'America, dove gli omicidi privati sono molto piu' numerosi, anche a causa
della capillare diffusione di armi nella popolazione, e della mentalita' di
autodifesa immediata. Il disarmo individuale in Italia e' costituzionale: "I
cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi" (art. 17
Costituzione). Essere armati, "detenere armi", e' grave reato, salvo
speciale (rischioso) permesso di porto d'armi.
b) Disarmo dello stato, che puo' essere: b. 1) unilaterale ;  b. 2)
preventivo, anticipato; b. 3) bilanciato, patteggiato; b. 4) dal basso.
*
b. 1) Disarmo unilaterale : negli stati senza esercito: la Pennsylvania
originaria; lo stato nonviolento preconizzato da Gandhi: non senza polizia,
ma senza esercito (25). Il Costarica dal 1949 ha abolito l'esercito; negli
anni '70 aveva 1.000 uomini nella polizia e 700 nella guardia costiera,
unici corpi armati (dati dell'Enciclopedia Garzanti, 1977); una
corrispondenza dal Costarica (26) informa che gli analfabeti sono solo il
4,2% (circa 30% nel Centroamerica); "Le nostre caserme sono le scuole" e' il
vanto dei costaricani; la speranza di vita e' di 77 anni (il piu' alto di
tutta l'America Latina); c'e' nel paese una presenza diffusa della polizia,
come azione preventiva; si danno 7 omicidi ogni 100.000 abitanti (che sono 4
milioni); il 25% della popolazione e' di immigrati accolti, che hanno
arricchito la cultura locale; il Costarica ha fatto una sola guerra nel 1856
contro avventurieri al soldo di ricchi statunitensi; il paese ospita
l'Universita' internazionale della pace. Ma nel 2003 governo di Abel Pacheco
approva la guerra degli Usa all'Iraq, con opposizione generale dell'opinione
pubblica.
Una forma di questo disarmo e' la rinuncia all'esercito. Il 26 novembre 1989
si e' tenuto in Svizzera un referendum sull'abolizione dell'esercito: il si'
ottenne il 35,6% (per il ministro della difesa sarebbe gia' stata una
catastrofe il 30%, che era il massimo previsto), con punte del 55,5 % nei
cantoni di Ginevra e del Giura (27).
La Lega per il Disarmo Unilaterale (Ldu), sorta in Italia negli anni '80,
ebbe tra i suoi esponenti piu' noti Carlo Cassola ed Ernesto Balducci.
Qualche brano dai testi di Cassola (Roma, 17 marzo 1917 - Lucca, 29 gennaio
1987) che si leggono nel sito www.nonluoghi.org : "Noi disarmisti siamo
accusati di essere sognatori fuori dalla realta'. Invece siamo i soli
realisti. Gli altri, i sedicenti realisti, sono solo struzzi che hanno
nascosto la testa sotto la sabbia per non vedere le conseguenze scellerate
della loro politica: l'imminente fine del mondo e l'attuale miseria del
mondo".
Ne La rivoluzione disarmista, Rizzoli, Milano 1983, Cassola scrive:
"L'utopia puo' diventare realta' solo mediante la rivoluzione. Un'evoluzione
graduale e pacifica e' impensabile: come puo' il male evolvere verso il
bene?". "Sono queste vecchie, stupide e malvagie istituzioni che ci portano
alla rovina. Dobbiamo distruggerle prima che sia troppo tardi. Non bisogna
distruggerle gradualmente (non ne avremmo il tempo) ma tutte d'un colpo.
Occorre un taglio netto col passato. Questo taglio netto e' appunto cio' che
chiamiamo rivoluzione".
Ernesto Balducci, che aderi' alla Ldu, ma non pensava una tale immediatezza
(vedi sotto il paragrafo sul Transarmo), diede alla sua antologia di testi e
documenti sulla pace nella storia, scritta con Ludovico Grassi, gia' citata,
il titolo La pace, realismo di un'utopia.
*
b. 2) Disarmo preventivo, anticipato col primo passo, iniziativa e sfida
alla descalation.
Gorbaciov inverti' (spontaneamente, sia per necessita' economica dell'Urss,
sia per responsabilita' verso il mondo) la crescita degli armamenti in
decrescita e sfido' Reagan a seguirlo.
Non e' disarmo unilaterale, ma e' fare il primo passo e attendere risposta,
provocando l'avversario davanti all'opinione mondiale. Se l'altro non
risponde, e' lui l'armista, perche' non ha piu' come scusa la crescente
minaccia dell'avversario.
Il disarmo preventivo, prima del massacro o del rischio piu' acuto,
corrisponde ad una saggezza animale, di sopravvivenza: gli animali della
stessa specie non arrivano per natura a sopprimersi: il piu' debole
riconosce e si sottomette, in cambio della vita. Dunque, ne' "meglio morti
che rossi", ne' "meglio rossi che morti", ma "meglio vivi che morti", con la
possibilita' di agire ancora per un vivere piu' giusto.
*
b. 3) Disarmo bilanciato, patteggiato, bilaterale.
E' questo il disarmo cercato da tutte le conferenze, trattative, accordi, ad
alto rischio di diffidenza, attendismo, immobilismo, inconcludenza.
*
b. 4) Si puo aggiungere un quarto tipo di disarmo dello stato: quello voluto
e preteso dal basso, da movimenti anti-guerra, anti-armisti (v. sopra II. B,
n. 8).
Oggi in Italia c'e' una campagna "controlarm": vedi i siti
www.controlarms.org; www.disarmo.org. Nel 1993 una proposta di legge di
iniziativa popolare tento' di tradurre in legislazione ordinaria il
principio costituzionale del ripudio della guerra (art. 11), anche con un
rigoroso controllo sugli armamenti e sui trattati internazionali. Di
recente, un forte contrasto e' stato opposto alla revisione liberista della
legge sul commercio delle armi del 1990.
La campagna internazionale contro le mine ha conseguito un relativo
successo, almeno per il futuro.
*
Quindi, il disarmo dello stato puo' anche distinguersi in totale (b. 1),
progressivo (b. 2), parziale (b. 3), democratico (b. 4).
*
IV. Disarmo come? disarmo quando?
Il come l'abbiamo visto: o libero (di iniziativa spontanea; contrattato) o
imposto dal vincitore al vinto.
Disarmo quando? Si tratta della modalita' tempo: o dopo l'uso delle armi, o
prima dell'uso delle armi. In questo secondo caso, possiamo avere un disarmo
concordato, oppure imposto preventivamente. Quest'ultimo e' il caso del
conflitto Usa-Iraq, sfociato in "guerra preventiva" nel 2003, col motivo di
togliere all'Iraq le armi di distruzione di massa (mai trovate dopo
l'occupazione). Puoi aggredire o addirittura devi farlo - se ne sei sicuro -
chi starebbe per aggredire altri?
La risposta al quesito non e' facile. Se rispondi si', diventi tu
l'aggressore. Direi almeno questo: come un cittadino qualunque, senza essere
pubblico ufficiale, puo' arrestare un ladro colto in flagrante, non certo
per ucciderlo o farlo linciare, ma solo per consegnarlo alla giustizia piu'
regolare che sia possibile, cosi' ha una legittima competenza ad agire sul
piano internazionale, stante la situazione di molta anarchia internazionale,
chi opera per fare evolvere questa situazione selvaggia nella direzione di
una organizzazione piu' civile e legale della convivenza tra i popoli, e non
mantiene soltanto, a vantaggio della propria maggiore forza, tale situazione
di assenza di legge.
Nel caso attuale, se gli Stati Uniti, che sono il 5% (cinque per cento!)
dell'intera umanita', lavorassero per l'autorita' dell'Onu, per il tribunale
penale internazionale, per la giustizia economica planetaria, per la
salvaguardia dell'ambiente naturale di tutta l'umanita' (che essi inquinano
piu' di tutti, e non intendono mutare il loro livello di consumi), allora la
loro azione di necessita', anche preventiva, contro i crimini internazionali
sarebbe credibile e scusabile. Ma davvero non e' questa la loro linea. La
regola superiore della loro azione e' il loro interesse particolare,
economico, energetico, culturale, strategico, geopolitico, "ignorando e
sprezzando del tutto il diritto internazionale" (Habermas, "il manifesto"; 5
febbraio 2005). Non sono degni, neppure nell'emergenza provvisoria, di
governare e giudicare il mondo. Indegni come sono, governano e giudicano il
mondo.
Ci si potrebbe chiedere proprio: chi e' il pericoloso da disarmare?
*
V. Disarmo quanto? quali armi? quale disarmo?
Riprendiamo la distinzione tra armi morali e armi materiali, per alcune
altre osservazioni su disarmo morale e disarmo materiale.
Il disarmo morale (quello di tipo non negativo ma positivo), e' la cultura
nonviolenta dei conflitti, l'educazione personale e sociale alla pace
nonviolenta.
La neutralita' non e' disarmo (infatti conserva le armi difensive) ma
impegno a non aprire ne' intervenire in conflitti armati (Lidia Menapace ha
elaborato una precisa proposta di neutralita' militare dell'Europa), quindi
acquistando una capacita' politica di mediazione.
Il disarmo psicologico e' uscire dal vittimismo, che vede solo la propria
sofferenza e offesa; e' arrivare al riconoscimento delle reciproche
sofferenze (come propone David Grossman, 8 febbraio 2005, per la conferenza
di Sharm el Scheik tra Israele e Palestina; e' il metodo della Scuola di
Pace di Neve' Shalom - Wahat as Salam, tra giovani israeliani e palestinesi;
e' il metodo del Parents' Circle, e di simili associazioni
israelo-palestinesi).
Infatti, l'arma psichica, l'essere psichicamente armati (rivolti contro; in
preda al bisogno di vendetta; disposti ad aggredire, offendere, distruggere)
consiste nel sentire la propria insopportabile offesa e nel vedere l'altro
unicamente come offensore, immune da dolore. Se invece lo riconosco anche
offeso e dolente, come mi sento io, perche' il conflitto fa soffrire
entrambi, allora nasce in me un sentimento di uguaglianza, di com/passione,
che e' l'inizio dell'uscita dalla separazione assoluta delle sorti,
caratteristica del conflitto distruttivo.
Nel conflitto violento, io infliggo una sofferenza che "non sento" perche'
non e' mia, ma e' "restituita", "scaricata" fuori, sul nemico; sento solo la
"mia" sofferenza, che mi da' "diritto" di scaricarla ad altri, al colpevole,
nella convinzione (illusione) di liberarmene cosi'. Se in una pausa, in cui
possono passare parole e sguardi tra me e il nemico (come avveniva talvolta
da una trincea all'altra, nella prima guerra mondiale, e il soldato
commetteva quel reato militare di "intelligenza col nemico", col quale
ritornava umano), riesco ad osservare anche la sofferenza del nemico, allora
comincio a "sentirla" in lui come in me, e cio' pone la base possibile del
parlare, trattare, fare pace-patto, perche' si partecipa di una profonda
comunanza umana, la sofferenza, che forse e' la piu' profonda delle
esperienze comuni a tutti, prima o poi.
Il disarmo materiale puo' riguardare le armi difensive, quelle offensive,
quelle di distruzione di massa.
Un programma di disarmo difensivo riguarderebbe l'esercito: mantenere il
minimo valutato necessario, senza rassegnarsi alla fatalita' del modello
armato come unico, ma considerarlo come da trasformare verso il modello
della difesa popolare nonviolenta.
Disarmo della polizia? Se appare ancora utopistico disarmarla completamente,
non e' utopistico educarla alla nonviolenza. Su una linea prospettata da
Gandhi (28), sono nate iniziative recenti, specialmente dopo i gravissimi
eccessi di violenza poliziesca a Genova nel luglio 2001, in varie citta',
fra le quali anche Palermo. Una proposta di legge e' stata presentata nel
2001 (vedi "La nonviolenza e' in cammino", negli anni 2001-2005).
Quanto alle armi offensive, non ci sarebbe nulla da dire: il principio
costituzionale (artt. 11 e 52) della assoluta limitazione degli armamenti
alla difesa legittima di popolazione, territorio, istituzioni - sebbene
ripetutamente e strutturalmente violato da tutti i governi della Repubblica
con l'alleanza nella Nato, fornita di mezzi aggressivi e recentemente
orientata ad interventi armati fuori area, col Nuovo Modello di Difesa (dal
1991 in poi), e persino con le guerre del 1999 e del 2003 - esige che la
Repubblica italiana non possieda armi offensive (tali sono, di loro natura,
tutti i sistemi aerei, navali, missilistici capaci di lunga gittata).
Le armi ABC, di distruzione di massa, a maggior ragione devono essere
ripudiate dall'Italia. Cio' puo' avvenire con accordi internazionali, con
"primi passi" unilaterali, con la denuncia degli accordi che coinvolgono
l'Italia nella possibilita' di uso di tali armi o anche solo nell'ospitarle
sul territorio nazionale, cio' che avviene in abbondanza.
In mancanza di simili accordi statali, sorge lo spazio per le obiezioni
personali di ogni cittadino fedele al concetto e alla politica di difesa
richiesti dalla Costituzione. Norberto Bobbio, nel gia' citato volume Il
problema della guerra e le vie della pace, (prima edizione, 1979), scriveva:
"Di fronte alla guerra termonucleare non possiamo piu' sostenere certe
tradizionali teorie di giustificazione della guerra, e siamo costretti a
riconoscere che essa e' incondizionatamente un male assoluto... Di fronte
alle prospettive della nuova guerra siamo, almeno in potenza, tutti quanti
obiettori (29) ... Quando nel concetto di arma rientra una bomba che, com'e'
noto, ha da sola un potere esplosivo superiore a tutte le bombe gettate
sulla Germania nell'ultima guerra, e' lecito domandarsi se il portar armi
non sia diventato un problema di coscienza per tutti" (p. 10, citando un
proprio articolo del 1962).
Un'affermazione cosi' netta sull'obiezione alla guerra nucleare e dunque -
parrebbe dalle parole citate - semplicemente alle armi di tale tipo, Bobbio
non la ripete nelle successive edizioni del libro 1984, 1991, 1997.
Le armi convenzionali costituiscono un problema non solo irrisolto, ma
neppure affrontato. Distinguiamole ancora in armi pesanti e armi leggere.
Sulle armi pesanti, vedi quanto detto sopra riguardo alle leggi sul loro
commercio, le limitazioni, il controllo dal basso.
Piu' che mai riguardo alle armi leggere, il problema e' tutto da affrontare:
il machete in certi casi (strage in Ruanda, per esempio) ha ucciso piu' del
fucile, percio' nasce dal basso la richiesta di trattare limitazioni anche
delle armi leggere (che sono le piu' facilmente diffuse).
Se vogliamo vederlo, c'e' anche il problema delle armi improprie (appunto il
machete), il quale rinvia quasi completamente alla responsabilita'
personale, all'educazione morale, al clima culturale, etico e politico.
*
VI. Transarmo
Il transarmo e' la trasformazione dell'armamento.
"Noi vorremmo il disarmo - diceva Galtung gia' durante la guerra fredda - ma
siamo minoranza e non l'otterremmo. Allora chiediamo che cambi l'armamento,
anche per maggiore sicurezza. Fra il riarmo e il disarmo c'e' il transarmo:
trasformazione dell'armamento da crescente a calante, soprattutto da
strutturalmente offensivo, aggressivo, a strutturalmente, esclusivamente
difensivo".
Scriveva Galtung: "Transarmo: processo di transizione da un modello di
difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza
esclusivamente armi difensive, sino alla loro totale estinzione nel caso
della difesa popolare nonviolenta. Comporta un mutamento profondo della
dottrina di sicurezza militare e costituisce l'effettiva premessa per un
reale e duraturo disarmo generalizzato in quanto non si limita a proporre lo
smantellamento dei sistemi d'arma lasciando inalterato il meccanismo che li
genera, ma modifica il punto di vista, il paradigma e la dottrina militare"
(30).
"Collocherei la definizione della distinzione tra offensivo e difensivo in
uno spazio geografico: il sistema d'arma puo' essere usato efficacemente
altrove o solo nel proprio paese? Nel primo caso il sistema d'arma e'
offensivo, soprattutto qualora il termine 'altrove' comprenda paesi coi
quali si e' in conflitto. Nel secondo caso, e' difensivo, essendo operativo
solo quando si verifichi un attacco" (31).
Scrive Jean-Marie Muller: "Non si tratta tanto di reclamare il disarmo
quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa
prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realta' e
della necessita' di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di
transarmo sembra il piu' appropriato per designare questo obiettivo. Questo
concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono
essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino
delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi
rischi. Mentre la parola disarmo non esprime che un rifiuto, la parola
transarmo vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una
prospettiva negativa, il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La
sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettivita' umana, e, nella
misura in cui i membri di una societa' hanno il senso che la loro sicurezza
esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione,
il disarmo non potra' generare in loro che una profonda insicurezza. Prima
di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle
della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono
antagonisti, perche' una delle finalita' del processo di transarmo e' di
rendere possibili delle misure effettive di disarmo. Il transarmo mira a
creare un'alternativa alla difesa militare, cioe' mira ad organizzare una
difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata" (32).
Ho osservato che  questo concetto di transarmo presentato da Muller
differisce un poco da quello proposto da Galtung e piu' noto in Italia,
citato sopra da Ambiente, sviluppo e attivita' militare. La nozione di
Galtung e' piu' articolata nei passaggi intermedi (33).
Tutto all'opposto del transarmo come passo di pace con la riduzione della
minaccia, e' il Nuovo Modello di Difesa programmato a partire dal 1991 e
messo in atto progressivamente da tutti i governi succedutisi in Italia
(vedi Appendice A).
In linea con la cultura del transarmo e' una proposta di programma per una
politica di pace piu' avanzata, presentata al leader dell'opposizione
italiana, Romano Prodi, a fine dicembre 2004 (vedi Appendice B).
*
VII. La guerra privatizzata, come disarmarla?
Ma ecco che, nel frattempo, si e' trasformata anche la guerra: privatizzata,
de-localizzata dalle istituzioni statali alle compagnie militari private;
senza ne' uno scopo politico razionale, ne' un rendiconto politico, ma solo
scopo di profitto economico; con occultamento dell'effetto-vittime,
difficile da sopportare in democrazia; vera interruzione e sostituzione
della politica con la guerra, e non sua continuazione.
"Il monopolio nazionale della violenza legittima organizzata e' stato
eroso... dal basso dalla privatizzazione della violenza organizzata, tipica
delle nuove guerre. A quali condizioni le istituzioni per la sicurezza nuove
o gia' esistenti saranno in grado di eliminare o rendere marginali le forme
privatizzate di violenza? La mia opinione e' che questo dipende da scelte
politiche e da come stabiliamo di analizzare la natura della violenza
contemporanea, nonche' da quale concezione della sicurezza adottiamo" (34).
Marco Revelli, sulla scorta di Ulrich Beck (Un mondo a rischio, Einaudi,
Torino 2003), parla di "individualizzazione della guerra". Per ragioni
scientifiche e tecnologiche, gli stati perdono il monopolio e il controllo
sulle armi, specialmente le piu' terribili, di distruzione di massa.
L'osservazione e' "devastante": chiunque puo' essere sospettato di essere un
terrorista, quindi deve accettare di sottoporsi a controlli "per motivi di
sicurezza": "alla fine, l'individualizzazione della guerra porterebbe alla
morte della democrazia" (Beck, cit., pp. 24-25). Di piu': l'impossibilita'
tecnica di monopolizzare tali armi destituisce di senso il paradigma
"securitario" della politica moderna. Il Leviatano torna ad essere "un
mostro tra gli altri mostri" della palude. Se fallisce, perche' diventata
"tecnicamente impossibile", "l'immunizzazione della societa' dalla violenza
attraverso la sua appropriazione totale" da parte dello stato, allora "non
c'e' piu' alcun motivo per riconoscere al potere sovrano la sua
'sovranita''". Nella "societa' globale del rischio" (Beck) salta l'intero
"nucleo normativo della modernita'", e questa societa' diventa la societa'
dell'incertezza e dell'insicurezza: c'e' una "indicibilita' istituzionale" e
discorsiva dei reali pericoli, che restano invisibili se non mediati, per la
loro forte valenza tecnica, da "esperti". Cosi' scompare tutta la sicurezza
della "prima modernita'". Il "paradigma politico dei moderni", che aveva
preteso di manipolare tranquillamente il negativo (violenza, distruttivita',
componenti del "terrore"), certo di saperlo orientare razionalmente verso
esiti voluti, si trova ora "ridicolizzato". "Il gioco del potere 'moderno' -
se non innovato alla radice - rischia di somigliare sempre piu' a un tragico
esercizio di apprendisti stregoni" (35).
Cioe', l'arma che sta per scoppiare in mano, va deposta per tempo, con una
cultura e un'idea della politica che sia disarmo.
Scrive Francesco Vignarca: "La maggiore preoccupazione e' che la
privatizzazione della guerra e la diffusione delle compagnie militari
private possano essere legittimate, divenendo una scelta politica di fondo,
senza passaggi condivisi e quasi solo 'per osmosi'... C'e' da temere che gli
stati in declino possano cedere in blocco alcuni pezzi di sovranita' e
inizino a pensare che per alcuni aspetti sia meglio abbandonare una gestione
diretta - e per questo, in ultima analisi, democratica - per favorire, al
contrario, un regime di azione privato ipoteticamente piu' conveniente,
forse solo in termini monetari".
Forse - continua Vignarca - e' gia' passata l'era, prevista, di nuove
compagnie di ventura e viene il pericolo di nuove compagnie coloniali, di un
"neocolonialismo multinazionale". Gli Stati, dopo aver pensato di servirsi
di queste entita' belliche private, potrebbero scoprirsi di colpo "semplici
strumenti nelle mani di una nuova forma di potere: transnazionale,
de-territorializzata e soprattutto di natura finanziaria e commerciale". "Il
pericolo grave... e' che le conseguenze, inconsapevolmente, le subiranno
soprattutto le popolazioni di tutti gli angoli del mondo, le quali, oltre a
trovarsi immerse in un conflitto permanente e globale, non sapranno nemmeno
piu' a chi rivolgersi per chiedere spiegazioni, dare responsabilita' o
cercare di cambiare le cose" (36).
E' facile dire che la privatizzazione della guerra, se e' un pericolo
intollerabile, va combattuta con provvedimenti piu' rigorosi di disarmo dei
privati: le armi leggere dovrebbero essere vietate come il maneggiare e
commerciare veleni. Le armi pesanti dovrebbero essere vietate come strumento
di strage evidentemente premeditata e predisposta, colta in flagranza.
Ma gli stati possono vietare la guerra che fanno loro stessi per interposti
banditi mercenari?
Guerra privata, non "pubblica", e' anche il terrorismo. A parte il problema
della sua definizione incerta, ma possibile, il piu' importante problema e':
come disarmarlo? Possiamo accennare, in modo del tutto schematico, a qualche
grande linea d'azione che la comunita' degli stati dovrebbe seguire:
- non armarlo prima, per servirsene, e poi trovarselo rivoltato contro;
- non dimostrare, contro ogni principio giuridico internazionale, che chi ha
la forza ha anche ragione, perche' questa e' la stessa logica del
terrorismo;
- non aggiungere armi ad armi, non competere in violenza, perche' cio'
alimenta la violenza selvaggia;
- tagliare le fonti finanziarie, in cui si e' complici;
- cercare canali per parlare, anche trattare, con i gruppi terroristici,
come via per riportarli dal muto colpire a-umano al parlare umano, sebbene
conflittuale;
- il disconoscimento e isolamento popolare toglie al terrorismo la sua
ragion d'essere, che non e' principalmente nel terrorizzare, ma nella
pretesa di interpretare l'esasperazione popolare per le ingiustizie; se il
popolo impara la lotta politica e nonviolenta sterilizza il terrorismo
organizzato.
*
VIII. Conclusione
Unico disarmo radicale ed efficace sarebbe il cambiamento culturale del
concetto di politica e di conflitto. Non e' impossibile: la cultura della
violenza e' cambiata nel tempo. Sono cresciuti gli strumenti della violenza,
ma e' meno accettabile la violenza diretta, manuale, corporale, un tempo
esibita, oggi occultata; la violenza diretta e' sempre piu' "delegata" alla
tecnica e ai "professionisti", e sta diventando meno gloriosa in se stessa e
soltanto funzionale alla violenza strutturale del dominio economico e
giuridico. La violenza culturale, esercitata nei media manipolati, e
l'ideologia della violenza come insuperabile fattore decisivo delle
relazioni umane, continua ad avallare disperatamente - cioe' senza speranza,
rinunciando alla possibilita' di un mondo umano diverso - le violenze
dirette e quelle strutturali, condannandosi a ripeterle. Il problema del
disarmo e' problema di concezione dell'uomo, di quale antropologia
accettiamo o cerchiamo, e' la ricerca dell'"uomo inedito", nascosto dentro
l'attuale "uomo edito" (Ernst Bloch, Ernesto Balducci). Sulla base di questa
ipotesi, che e' una scommessa a favore della vita e di un futuro umano, e in
obbedienza all'imperativo categorico formulato da Hans Jonas (37), Ernesto
Balducci poteva dire, come un'eco di Isaia: "Verra' il giorno che gli uomini
si vergogneranno di avere costruito le armi".
Un disarmo costruttivo, nelle sue varie forme, non e' la resa alla violenza
armata, non e' elusione del conflitto, ma processo che trasforma il
conflitto, togliendone la gestione e la decisione alla forza non-umana delle
armi che uccidono, minacciano e dividono, per affidarla a parole e gesti
umani: alla parola che mette in comunicazione e cerca le soluzioni piu'
razionali, condivisibili e costruttive; a gesti che depongono la minaccia e
creano possibilita' di fiducia.
Il disarmo sottrae il conflitto alla legge eliminatoria e sommaria della
morte artificiale, per affidarlo alla logica paziente, protettiva e
costruttiva della vita.
*
Note
1. Raimon Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, Edizioni Cultura
della Pace, Fiesole (Fi) 1990, p. 47.
2. Cfr, tra gli altri autori, Eugen Drewermann, La guerra e' la malattia non
la soluzione, Claudiana, Torino 2005 (originale 2002), in particolare p.
103.
3. James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2005;
Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Feltrinelli, Milano 2004.
4. (Dhammapada, n. 103 e 201, in Aforismi e discorsi del Buddha, a cura di
Mario Piantelli, Tea, Milano 1988, pp. 398 e 409).
5. Taoteking, Il libro del Tao, n. 31 e n. 30.
6. Lucia Beltrami, Periculum iniuriae muliebris, citata da Tiziana Plebani
in "La nonviolenza e' in cammino", 6 febbraio 2005.
7. Ernesto Balducci, Francesco d'Assisi, Edizioni Cultura della Pace,
Fiesole (Fi) 1989, p. 99.
8. Cfr la relazione ancora inedita di Carlo Papini, La nonviolenza nel
valdismo medievale, tenuta nel convegno storico "Religione, violenza,
nonviolenza", Pinerolo, 28 gennaio 2005.
9. Le citazioni sono tratte da Paolo Ricca, Le chiese evangeliche e la pace,
Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1989, pp. 11-17.
10. Citazioni da Paolo Ricca, op. cit., pp. 29-37.
11. Aldo Capitini, La nonviolenza oggi, Edizioni di Comunita', Milano 1962,
ora in Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, antologia degli scritti
a cura di Mario Martini, Edizioni Ets, Pisa 2004, p. 136.
12. Erasmo, Dulce bellum inexpertis, n. 11, in Eugenio Garin, Erasmo,
Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1988, p. 117.
13. Bartolome' de Las Casas, Intorno all'unico modo di condurre alla vera
religione i popoli infedeli, citato in Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La
pace, realismo di un'utopia, Principato, Milano 1985, p. 38 e in Massimo
Toschi, Pace e Vangelo, Queriniana, Brescia 1980, p. 203.
14. Nicola Cusano, La pace della fede e altri testi, traduzione,
introduzione e note di Graziella Federici Vescovini, Edizioni Cultura della
Pace, Fiesole (Fi) 1993.
15. Norberto Bobbio, Prefazione alla terza edizione de Il problema della
guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1991, riportata nella quarta,
Il Mulino, Bologna 1997, pp. 2-3, e alla voce "Pacifismo", in Dizionario di
Politica, Utet, Torino, poi Tea, Milano 1990.
16. Norberto Bobbio Il Terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, pp.
154-155; v. anche Elementi di politica, Einaudi Scuola, Torino 1998, p. 173.
17. Bertha von Suttner (Praga 1843 - Vienna 1914), grande animatrice del
movimento per la pace tra '800 e '900, autrice del romanzo Abbasso le armi!
Storia di una vita, uscito a Dresda, 1892, prima edizione italiana, Treves,
Milano 1897, nuova edizione Centro Stampa Cavallermaggiore, 1996.
18. Cfr in Paolo Ricca, op. cit., pp. 137-191, documenti dal 1937 al 1983.
19. Angelo Cavagna, Giuseppe Mattai, Il disarmo e la pace, Edb, Bologna
1982.
20. Paolo VI, messaggio per la giornata della pace 1976, in Cavagna-Mattai,
cit., p. 92.
21. Cfr Cavagna-Mattai, cit., p. 92-93.
22. Ivi, pp. 102-103.
23. Cosi', per esempio, Habermas giudica la politica del governo Usa e degli
allineati, su "Il manifesto", 6 febbraio 2005.
24. Raimon Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, cit.,  p. 47.
25. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1996, p. 144.
26. Articolo di Maurizio Campisi, "il foglio", n. 302, maggio 2003.
27. Si veda il capitolo L'esercito e' mortale, in Peter Bichsel, Il virus
della ricchezza, Marcos y Marcos, Milano 1990. I dati sono tratti da riviste
svizzere.
28. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, cit., p. 144.
29. Il corsivo e' di Bobbio, che ripete qui le ultime parole del suo
discorso Non uccidere, pronunciato a Torino il 4 dicembre 1961, ora in Il
terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, pp. 139-142.
30. Johan Galtung, Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1984, originale Oslo 1982, p. 151.
31. Johan Galtung, Ci sono alternative!, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986,
originale 1984, p. 199.
32. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
Plus - Pisa University Press, Pisa 2004, p. 206.
33. Jean-Marie Muller, ivi, nota del traduttore.
34. Mary Kaldor, Le nuove guerre, Carocci, Roma 1999, p. 159, citato in
Francesco Vignarca, Mercenari S.P.A., Rizzoli, Milano 2004, p. 243.
35. Marco Revelli, La politica perduta, Einaudi, Torino 2003, pp. 67-75.
36. Francesco Vignarca, op. cit., pp. 244-246.
37. Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al nuovo
tipo di soggetto agente, suonerebbe press'a poco cosi': "Agisci in modo che
le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di
un'autentica vita umana sulla terra", oppure, tradotto in negativo: "Agisci
in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilita'
futura di tale vita", oppure, semplicemente: "Non mettere in pericolo le
condizioni della sopravvivenza indefinita dell'umanita' sulla terra", o
ancora, tradotto nuovamente in positivo: "Includi nella tua scelta attuale
l'integrita' futura dell'uomo come oggetto della tua volonta'" (Hans Jonas,
Il principio responsabilita', Einaudi, 1990, p. 16).
(Parte seconda - segue)

3. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: GUERRA E INFORMAZIONE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2006. Giuliana Sgrena,
giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu'
prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle
culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e'
stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase
piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata
rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche
alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai
liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola
Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo,
Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma
1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq,
Manifestolibri, Roma 2004]

Una delle vittime - oltre a quelle incalcolate e forse incalcolabili tra la
popolazione - della guerra in Iraq e' l'informazione. Quelli che ci
pervengono da quel paese sono solo bollettini di guerra, numeri avulsi da un
contesto terribile. Che non conquistano quasi mai la prima pagina. Tranne
quando a riportarci alla drammatica realta' sono le morti dei soldati
italiani, come e' successo per i quattro elicotteristi i cui funerali si
sono svolti ieri. Ancora una volta vittime inutili di una guerra negata. Non
fa molta differenza se le cause sono metereologiche o altre, il terreno e'
comunque ostile. Anche perche' sebbene gli italiani stiano trincerati dentro
la base di Tallil, la loro presenza non puo' avere altro scopo che quello di
garantire la partecipazione all'occupazione di un paese, una piccola parte,
che pero' galleggia sul petrolio. Occupanti anche quando non si scontrano
con la popolazione o distribuiscono bambole. E allora perche' non vengono
ritirati? A Nassiriya restano i militari trincerati ma a Baghdad non ci sono
piu' giornalisti italiani. E allora come tornare a informare su quella
guerra che non segna battute d'arresto?
La domanda si e' posta anche ieri mattina alla sala della Protomoteca in
Campidoglio dove una sessione del comitato esecutivo della Federazione
internazionale dei giornalisti riguardava le "Giornaliste sulla linea del
fuoco". E di giornaliste in questi anni in Iraq ce ne sono state molte. La
guerra, tanto piu' se preventiva o basata su falsi pretesti, non vuole
testimoni. E i fautori della guerra hanno fatto di tutto per evitarli
istituzionalizzando i giornalisti "embedded", arruolati, e soprattutto
maschi. Le ambasciate occidentali avevano tentato in tutti i modi di
allontanare la stampa da Baghdad prima dei bombardamenti (con minacce,
ordini o lo spauracchio degli effetti catastrofici delle armi di distruzione
di massa, che non esistevano) senza riuscirci. I giornalisti erano rimasti e
due di loro all'hotel Palestine avevano perso la vita per una cannonata
americana, un altro sulla riva del Tigri lo stesso giorno, e altri ancora.
Per i giornalisti la guerra in Iraq e' la piu' pericolosa: da quando e'
iniziata (marzo 2003) 59 reporter sono stati uccisi e 29 rapiti.
Dove non arrivano le raffiche Usa arrivano i sequestri, a volte entrambi
(come nei mio caso). La degenerazione della guerra con l'occupazione non
conosce limiti. E cosi' lo spazio per fare informazione si e' andato
esaurendo. La scelta si e' sostanzialmente ridotta all'andare al seguito
delle truppe (embedded), subendo le censure dell'esercito, oppure stare
chiusi in albergo sguinzagliando i collaboratori iracheni che, spesso,
rischiano quanto gli occidentali. Perche' se qualcuno osa uscire per strada,
senza scorte armate, per andare a parlare con la gente, magari con i
profughi di Falluja, rischia il sequestro, come e' successo a me e a
Florence e Hussein (sono gia' passati 150 giorni!). Si puo' accettare questo
ricatto?
Oggi la forza e la pervasivita' dell'informazione, la capillarita' e la
velocita' delle notizie obbligano chi fa la guerra, quali che siano le sue
ragioni, a negare la verita'. La guerra moderna, che fa soprattutto vittime
civili, si fonda solo sulla menzogna perche' la verita' la renderebbe sempre
piu' insostenibile per qualsiasi opinione pubblica. La storia del
giornalismo e' stata anche la storia dei suoi inviati "di guerra": dalla
guerra di Spagna alla seconda guerra mondiale, al Vietnam. I giornalisti al
seguito delle truppe c'erano anche prima ma non erano "embedded" e nessuno
si e' mai sognato di invocarli perche' il controllo dell'informazione aveva
tempi e strumenti diversi. Oggi invece l'informazione viaggia in tempo reale
e su scala planetaria e i suoi effetti si ripercuotono immediatamente sugli
scenari di guerra. Ma il diritto all'informazione e' essenziale per la
democrazia. Come si puo' parlare di processo di democratizzazione in Iraq se
non esiste il diritto di informare? Sotto occupazione la stampa non ha
diritto di cittadinanza, anche la liberta' di informare passa attraverso una
rottura del panorama attuale, iniziando con il ritiro delle truppe. L'Iraq
si puo' aiutare con altri mezzi, anche informando.

4. MAESTRE. ADRIANA CAVARERO: LA RADICE FEMMINILE
[Da Adriana Cavarero, Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1990, 1991,
p. 61. Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all'Università di
Verona; dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's Studies Center"
ospitato dal Center for Digital Discourse and Culture at Virginia Tech
University (www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala,
riportiamo questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume:
a) libri: Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il
filosofo e il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino
1976; La teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984;
L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento
1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990. (traduzione tedesca:
Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of
Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure,
Feltrinelli,Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei,
Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997;
Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe,
Paravia, Torino 1999. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia
dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno
concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il
Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato
all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980,
pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a
Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp.
705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e
prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria
contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto
sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il
Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza
sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der
Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener
Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza
sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp.
173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian
Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991);
"Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica,
Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere
al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione
spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria
y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in
Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111;
"Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in
Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and
Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp.
187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita,
a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia
dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di
Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B.
Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della
corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp.
15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la
Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994,
pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in
Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp.
15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di
Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il
segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di
Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der
Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia
Stoller und Helmuth Vetter, WUV-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226;
"Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie
femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino
1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah
Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225]

Perche' mai nasce, e vive, l'Uomo, bensi' sempre, singolarmente, o un uomo o
una donna, sessuati nella differenza. Perche' ogni nato o nata sempre nasce
da donna, la quale e' nata da una donna a sua volta nata da un'altra donna,
e cosi' via infinitamente all'indietro (ossia in direzione dell'origine),
appunto nel continuum materno che disegna la radice femminile di ogni umano.

5. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA RIFLESSIONE DI MARIA CHIARA TROPEA
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto
della riflessione di Maria Chiara Tropea.
*
"Tener separati i diversi perche' non si aggrediscano e' impresa molto piu'
'utopistica' che tentare processi di riconciliazione e nuova convivenza"
(Maria Chiara Tropea, in "Qualevita", n. 102, gennaio 2003, p. 25).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 952 del 6 giugno 2005

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