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La nonviolenza e' in cammino. 952
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 952
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 6 Jun 2005 00:52:14 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 952 del 6 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Clementina, della parola 2. Enrico Peyretti: Storia del concetto di disarmo (parte seconda) 3. Giuliana Sgrena: Guerra e informazione 4. Adriana Cavarero, La radice femminile 5. Con "Qualevita", la riflessione di Maria Chiara Tropea 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELLA PAROLA [Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e' stata rapita alcuni giorni fa] La lettera della madre di Clementina Cantoni alle madri dei suoi rapitori, in questa drammatica distretta, e' come l'irrompere della luce nelle tenebre: parole da donna a donna che si oppongono alla violenza, alla guerra, ai delitti, alle armi. Possa essere quella voce ascoltata, possa quell'appello da madre a madri rivolto illuminare anche tutti i figli, a tutti restituire umanita', tutti persuadere all'azione giusta, all'azione buona. 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO (PARTE SECONDA) [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti. e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione la relazione tenuta il 10 febbraio 2005 al seminario "Historia magistra" diretto dal professor Angelo D'Orsi presso il Dipartimento di studi politici dell'Universita' di Torino. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] III. Chi disarma chi? Nell'azione di disarmo, se chi disarma e' diverso dal disarmato, abbiamo il disarmo altrui, se il disarmante e' lo stesso disarmato, abbiamo il disarmo proprio. * 1) Disarmo altrui Il vincitore disarma il vinto, il piu' forte indebolisce ulteriormente il piu' debole, il piu' armato diventa al confronto ancora piu' armato. La prima cosa che fa il vincitore al vinto nel conflitto violento e' disarmarlo, per abolire il pericolo; un tempo lo legava come trofeo al proprio carro, o lo riduceva in schiavitu'; oggi lo sottomette culturalmente ed economicamente. La prima cosa che il vinto cerca di fare e' riarmarsi e prendere la rivincita. Problema: col disarmo del vinto, il vincitore si assicura davvero una stabilita' diseguale, una paralisi del debole? E', quel disarmo, il successo e la sicurezza del vincitore? Oppure e' la sua illusione, perche' si innesca la spirale M/m (maggiore- minore)? Si innesca la spirale, perche' chi e' messo in posizione "m" e' provocato a cercare di diventare "M" (teoria di Pat Patfoort); perche' il piu' debole si sente minacciato e cerca sicurezza nel riacquistare forza; con cio' minaccia la sicurezza del piu' forte. Infatti, la sicurezza o e' reciproca o non c'e'; l'insicurezza dell'avversario e' la "propria" insicurezza. Sicurezza insicura e' quella unilaterale; sicurezza sicura e' quella reciproca. Negli anni '80, i pacifisti tedeschi dicevano: "La propria sicurezza sta nel mostrare all'avversario la propria strutturale incapacita' di aggressione", insieme alla capacita' di difendersi. Esempio storico plateale della stoltezza del disarmare il vinto: la pace punitiva di Versailles, 1919, gravida della guerra successiva. Alternativa alla spirale e' l'equivalenza: cioe' l'uguaglianza di valore, dignita', diritti, anche nella differenza di forza; e' la "pace di soddisfazione" (Raymond Aron, Norberto Bobbio). All'altro estremo, il piu' sicuro "disarmo del vinto" e' lo sterminio: tolte non le armi soltanto, ma i corpi che usano le armi. Ma chi stermina la memoria? E la memoria traumatica della sconfitta e' un'arma che prepara armi: siamo di nuovo nella spirale. Anche la memoria degli indoamericani sterminati dopo la Conquista oggi ritorna, dopo cinque secoli, e puo' volgersi in guerra, oppure in rivendicazione nonviolenta, ma rivendicazione. * 2) Disarmo proprio: a) degli individui; b) dello stato a) Disarmo degli individui: sia spontaneo, sia imposto per legge. I cittadini accettano di delegare esclusivamente allo stato l'uso della forza (che non e' la violenza); rinunciano alla pericolosa autoprotezione, perche' sono protetti dallo stato. Il riarmo dei cittadini e' piu' pericoloso: si veda la differenza tra gli stati europei e gli Stati Uniti d'America, dove gli omicidi privati sono molto piu' numerosi, anche a causa della capillare diffusione di armi nella popolazione, e della mentalita' di autodifesa immediata. Il disarmo individuale in Italia e' costituzionale: "I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi" (art. 17 Costituzione). Essere armati, "detenere armi", e' grave reato, salvo speciale (rischioso) permesso di porto d'armi. b) Disarmo dello stato, che puo' essere: b. 1) unilaterale ; b. 2) preventivo, anticipato; b. 3) bilanciato, patteggiato; b. 4) dal basso. * b. 1) Disarmo unilaterale : negli stati senza esercito: la Pennsylvania originaria; lo stato nonviolento preconizzato da Gandhi: non senza polizia, ma senza esercito (25). Il Costarica dal 1949 ha abolito l'esercito; negli anni '70 aveva 1.000 uomini nella polizia e 700 nella guardia costiera, unici corpi armati (dati dell'Enciclopedia Garzanti, 1977); una corrispondenza dal Costarica (26) informa che gli analfabeti sono solo il 4,2% (circa 30% nel Centroamerica); "Le nostre caserme sono le scuole" e' il vanto dei costaricani; la speranza di vita e' di 77 anni (il piu' alto di tutta l'America Latina); c'e' nel paese una presenza diffusa della polizia, come azione preventiva; si danno 7 omicidi ogni 100.000 abitanti (che sono 4 milioni); il 25% della popolazione e' di immigrati accolti, che hanno arricchito la cultura locale; il Costarica ha fatto una sola guerra nel 1856 contro avventurieri al soldo di ricchi statunitensi; il paese ospita l'Universita' internazionale della pace. Ma nel 2003 governo di Abel Pacheco approva la guerra degli Usa all'Iraq, con opposizione generale dell'opinione pubblica. Una forma di questo disarmo e' la rinuncia all'esercito. Il 26 novembre 1989 si e' tenuto in Svizzera un referendum sull'abolizione dell'esercito: il si' ottenne il 35,6% (per il ministro della difesa sarebbe gia' stata una catastrofe il 30%, che era il massimo previsto), con punte del 55,5 % nei cantoni di Ginevra e del Giura (27). La Lega per il Disarmo Unilaterale (Ldu), sorta in Italia negli anni '80, ebbe tra i suoi esponenti piu' noti Carlo Cassola ed Ernesto Balducci. Qualche brano dai testi di Cassola (Roma, 17 marzo 1917 - Lucca, 29 gennaio 1987) che si leggono nel sito www.nonluoghi.org : "Noi disarmisti siamo accusati di essere sognatori fuori dalla realta'. Invece siamo i soli realisti. Gli altri, i sedicenti realisti, sono solo struzzi che hanno nascosto la testa sotto la sabbia per non vedere le conseguenze scellerate della loro politica: l'imminente fine del mondo e l'attuale miseria del mondo". Ne La rivoluzione disarmista, Rizzoli, Milano 1983, Cassola scrive: "L'utopia puo' diventare realta' solo mediante la rivoluzione. Un'evoluzione graduale e pacifica e' impensabile: come puo' il male evolvere verso il bene?". "Sono queste vecchie, stupide e malvagie istituzioni che ci portano alla rovina. Dobbiamo distruggerle prima che sia troppo tardi. Non bisogna distruggerle gradualmente (non ne avremmo il tempo) ma tutte d'un colpo. Occorre un taglio netto col passato. Questo taglio netto e' appunto cio' che chiamiamo rivoluzione". Ernesto Balducci, che aderi' alla Ldu, ma non pensava una tale immediatezza (vedi sotto il paragrafo sul Transarmo), diede alla sua antologia di testi e documenti sulla pace nella storia, scritta con Ludovico Grassi, gia' citata, il titolo La pace, realismo di un'utopia. * b. 2) Disarmo preventivo, anticipato col primo passo, iniziativa e sfida alla descalation. Gorbaciov inverti' (spontaneamente, sia per necessita' economica dell'Urss, sia per responsabilita' verso il mondo) la crescita degli armamenti in decrescita e sfido' Reagan a seguirlo. Non e' disarmo unilaterale, ma e' fare il primo passo e attendere risposta, provocando l'avversario davanti all'opinione mondiale. Se l'altro non risponde, e' lui l'armista, perche' non ha piu' come scusa la crescente minaccia dell'avversario. Il disarmo preventivo, prima del massacro o del rischio piu' acuto, corrisponde ad una saggezza animale, di sopravvivenza: gli animali della stessa specie non arrivano per natura a sopprimersi: il piu' debole riconosce e si sottomette, in cambio della vita. Dunque, ne' "meglio morti che rossi", ne' "meglio rossi che morti", ma "meglio vivi che morti", con la possibilita' di agire ancora per un vivere piu' giusto. * b. 3) Disarmo bilanciato, patteggiato, bilaterale. E' questo il disarmo cercato da tutte le conferenze, trattative, accordi, ad alto rischio di diffidenza, attendismo, immobilismo, inconcludenza. * b. 4) Si puo aggiungere un quarto tipo di disarmo dello stato: quello voluto e preteso dal basso, da movimenti anti-guerra, anti-armisti (v. sopra II. B, n. 8). Oggi in Italia c'e' una campagna "controlarm": vedi i siti www.controlarms.org; www.disarmo.org. Nel 1993 una proposta di legge di iniziativa popolare tento' di tradurre in legislazione ordinaria il principio costituzionale del ripudio della guerra (art. 11), anche con un rigoroso controllo sugli armamenti e sui trattati internazionali. Di recente, un forte contrasto e' stato opposto alla revisione liberista della legge sul commercio delle armi del 1990. La campagna internazionale contro le mine ha conseguito un relativo successo, almeno per il futuro. * Quindi, il disarmo dello stato puo' anche distinguersi in totale (b. 1), progressivo (b. 2), parziale (b. 3), democratico (b. 4). * IV. Disarmo come? disarmo quando? Il come l'abbiamo visto: o libero (di iniziativa spontanea; contrattato) o imposto dal vincitore al vinto. Disarmo quando? Si tratta della modalita' tempo: o dopo l'uso delle armi, o prima dell'uso delle armi. In questo secondo caso, possiamo avere un disarmo concordato, oppure imposto preventivamente. Quest'ultimo e' il caso del conflitto Usa-Iraq, sfociato in "guerra preventiva" nel 2003, col motivo di togliere all'Iraq le armi di distruzione di massa (mai trovate dopo l'occupazione). Puoi aggredire o addirittura devi farlo - se ne sei sicuro - chi starebbe per aggredire altri? La risposta al quesito non e' facile. Se rispondi si', diventi tu l'aggressore. Direi almeno questo: come un cittadino qualunque, senza essere pubblico ufficiale, puo' arrestare un ladro colto in flagrante, non certo per ucciderlo o farlo linciare, ma solo per consegnarlo alla giustizia piu' regolare che sia possibile, cosi' ha una legittima competenza ad agire sul piano internazionale, stante la situazione di molta anarchia internazionale, chi opera per fare evolvere questa situazione selvaggia nella direzione di una organizzazione piu' civile e legale della convivenza tra i popoli, e non mantiene soltanto, a vantaggio della propria maggiore forza, tale situazione di assenza di legge. Nel caso attuale, se gli Stati Uniti, che sono il 5% (cinque per cento!) dell'intera umanita', lavorassero per l'autorita' dell'Onu, per il tribunale penale internazionale, per la giustizia economica planetaria, per la salvaguardia dell'ambiente naturale di tutta l'umanita' (che essi inquinano piu' di tutti, e non intendono mutare il loro livello di consumi), allora la loro azione di necessita', anche preventiva, contro i crimini internazionali sarebbe credibile e scusabile. Ma davvero non e' questa la loro linea. La regola superiore della loro azione e' il loro interesse particolare, economico, energetico, culturale, strategico, geopolitico, "ignorando e sprezzando del tutto il diritto internazionale" (Habermas, "il manifesto"; 5 febbraio 2005). Non sono degni, neppure nell'emergenza provvisoria, di governare e giudicare il mondo. Indegni come sono, governano e giudicano il mondo. Ci si potrebbe chiedere proprio: chi e' il pericoloso da disarmare? * V. Disarmo quanto? quali armi? quale disarmo? Riprendiamo la distinzione tra armi morali e armi materiali, per alcune altre osservazioni su disarmo morale e disarmo materiale. Il disarmo morale (quello di tipo non negativo ma positivo), e' la cultura nonviolenta dei conflitti, l'educazione personale e sociale alla pace nonviolenta. La neutralita' non e' disarmo (infatti conserva le armi difensive) ma impegno a non aprire ne' intervenire in conflitti armati (Lidia Menapace ha elaborato una precisa proposta di neutralita' militare dell'Europa), quindi acquistando una capacita' politica di mediazione. Il disarmo psicologico e' uscire dal vittimismo, che vede solo la propria sofferenza e offesa; e' arrivare al riconoscimento delle reciproche sofferenze (come propone David Grossman, 8 febbraio 2005, per la conferenza di Sharm el Scheik tra Israele e Palestina; e' il metodo della Scuola di Pace di Neve' Shalom - Wahat as Salam, tra giovani israeliani e palestinesi; e' il metodo del Parents' Circle, e di simili associazioni israelo-palestinesi). Infatti, l'arma psichica, l'essere psichicamente armati (rivolti contro; in preda al bisogno di vendetta; disposti ad aggredire, offendere, distruggere) consiste nel sentire la propria insopportabile offesa e nel vedere l'altro unicamente come offensore, immune da dolore. Se invece lo riconosco anche offeso e dolente, come mi sento io, perche' il conflitto fa soffrire entrambi, allora nasce in me un sentimento di uguaglianza, di com/passione, che e' l'inizio dell'uscita dalla separazione assoluta delle sorti, caratteristica del conflitto distruttivo. Nel conflitto violento, io infliggo una sofferenza che "non sento" perche' non e' mia, ma e' "restituita", "scaricata" fuori, sul nemico; sento solo la "mia" sofferenza, che mi da' "diritto" di scaricarla ad altri, al colpevole, nella convinzione (illusione) di liberarmene cosi'. Se in una pausa, in cui possono passare parole e sguardi tra me e il nemico (come avveniva talvolta da una trincea all'altra, nella prima guerra mondiale, e il soldato commetteva quel reato militare di "intelligenza col nemico", col quale ritornava umano), riesco ad osservare anche la sofferenza del nemico, allora comincio a "sentirla" in lui come in me, e cio' pone la base possibile del parlare, trattare, fare pace-patto, perche' si partecipa di una profonda comunanza umana, la sofferenza, che forse e' la piu' profonda delle esperienze comuni a tutti, prima o poi. Il disarmo materiale puo' riguardare le armi difensive, quelle offensive, quelle di distruzione di massa. Un programma di disarmo difensivo riguarderebbe l'esercito: mantenere il minimo valutato necessario, senza rassegnarsi alla fatalita' del modello armato come unico, ma considerarlo come da trasformare verso il modello della difesa popolare nonviolenta. Disarmo della polizia? Se appare ancora utopistico disarmarla completamente, non e' utopistico educarla alla nonviolenza. Su una linea prospettata da Gandhi (28), sono nate iniziative recenti, specialmente dopo i gravissimi eccessi di violenza poliziesca a Genova nel luglio 2001, in varie citta', fra le quali anche Palermo. Una proposta di legge e' stata presentata nel 2001 (vedi "La nonviolenza e' in cammino", negli anni 2001-2005). Quanto alle armi offensive, non ci sarebbe nulla da dire: il principio costituzionale (artt. 11 e 52) della assoluta limitazione degli armamenti alla difesa legittima di popolazione, territorio, istituzioni - sebbene ripetutamente e strutturalmente violato da tutti i governi della Repubblica con l'alleanza nella Nato, fornita di mezzi aggressivi e recentemente orientata ad interventi armati fuori area, col Nuovo Modello di Difesa (dal 1991 in poi), e persino con le guerre del 1999 e del 2003 - esige che la Repubblica italiana non possieda armi offensive (tali sono, di loro natura, tutti i sistemi aerei, navali, missilistici capaci di lunga gittata). Le armi ABC, di distruzione di massa, a maggior ragione devono essere ripudiate dall'Italia. Cio' puo' avvenire con accordi internazionali, con "primi passi" unilaterali, con la denuncia degli accordi che coinvolgono l'Italia nella possibilita' di uso di tali armi o anche solo nell'ospitarle sul territorio nazionale, cio' che avviene in abbondanza. In mancanza di simili accordi statali, sorge lo spazio per le obiezioni personali di ogni cittadino fedele al concetto e alla politica di difesa richiesti dalla Costituzione. Norberto Bobbio, nel gia' citato volume Il problema della guerra e le vie della pace, (prima edizione, 1979), scriveva: "Di fronte alla guerra termonucleare non possiamo piu' sostenere certe tradizionali teorie di giustificazione della guerra, e siamo costretti a riconoscere che essa e' incondizionatamente un male assoluto... Di fronte alle prospettive della nuova guerra siamo, almeno in potenza, tutti quanti obiettori (29) ... Quando nel concetto di arma rientra una bomba che, com'e' noto, ha da sola un potere esplosivo superiore a tutte le bombe gettate sulla Germania nell'ultima guerra, e' lecito domandarsi se il portar armi non sia diventato un problema di coscienza per tutti" (p. 10, citando un proprio articolo del 1962). Un'affermazione cosi' netta sull'obiezione alla guerra nucleare e dunque - parrebbe dalle parole citate - semplicemente alle armi di tale tipo, Bobbio non la ripete nelle successive edizioni del libro 1984, 1991, 1997. Le armi convenzionali costituiscono un problema non solo irrisolto, ma neppure affrontato. Distinguiamole ancora in armi pesanti e armi leggere. Sulle armi pesanti, vedi quanto detto sopra riguardo alle leggi sul loro commercio, le limitazioni, il controllo dal basso. Piu' che mai riguardo alle armi leggere, il problema e' tutto da affrontare: il machete in certi casi (strage in Ruanda, per esempio) ha ucciso piu' del fucile, percio' nasce dal basso la richiesta di trattare limitazioni anche delle armi leggere (che sono le piu' facilmente diffuse). Se vogliamo vederlo, c'e' anche il problema delle armi improprie (appunto il machete), il quale rinvia quasi completamente alla responsabilita' personale, all'educazione morale, al clima culturale, etico e politico. * VI. Transarmo Il transarmo e' la trasformazione dell'armamento. "Noi vorremmo il disarmo - diceva Galtung gia' durante la guerra fredda - ma siamo minoranza e non l'otterremmo. Allora chiediamo che cambi l'armamento, anche per maggiore sicurezza. Fra il riarmo e il disarmo c'e' il transarmo: trasformazione dell'armamento da crescente a calante, soprattutto da strutturalmente offensivo, aggressivo, a strutturalmente, esclusivamente difensivo". Scriveva Galtung: "Transarmo: processo di transizione da un modello di difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza esclusivamente armi difensive, sino alla loro totale estinzione nel caso della difesa popolare nonviolenta. Comporta un mutamento profondo della dottrina di sicurezza militare e costituisce l'effettiva premessa per un reale e duraturo disarmo generalizzato in quanto non si limita a proporre lo smantellamento dei sistemi d'arma lasciando inalterato il meccanismo che li genera, ma modifica il punto di vista, il paradigma e la dottrina militare" (30). "Collocherei la definizione della distinzione tra offensivo e difensivo in uno spazio geografico: il sistema d'arma puo' essere usato efficacemente altrove o solo nel proprio paese? Nel primo caso il sistema d'arma e' offensivo, soprattutto qualora il termine 'altrove' comprenda paesi coi quali si e' in conflitto. Nel secondo caso, e' difensivo, essendo operativo solo quando si verifichi un attacco" (31). Scrive Jean-Marie Muller: "Non si tratta tanto di reclamare il disarmo quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realta' e della necessita' di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di transarmo sembra il piu' appropriato per designare questo obiettivo. Questo concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi rischi. Mentre la parola disarmo non esprime che un rifiuto, la parola transarmo vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una prospettiva negativa, il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettivita' umana, e, nella misura in cui i membri di una societa' hanno il senso che la loro sicurezza esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione, il disarmo non potra' generare in loro che una profonda insicurezza. Prima di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono antagonisti, perche' una delle finalita' del processo di transarmo e' di rendere possibili delle misure effettive di disarmo. Il transarmo mira a creare un'alternativa alla difesa militare, cioe' mira ad organizzare una difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata" (32). Ho osservato che questo concetto di transarmo presentato da Muller differisce un poco da quello proposto da Galtung e piu' noto in Italia, citato sopra da Ambiente, sviluppo e attivita' militare. La nozione di Galtung e' piu' articolata nei passaggi intermedi (33). Tutto all'opposto del transarmo come passo di pace con la riduzione della minaccia, e' il Nuovo Modello di Difesa programmato a partire dal 1991 e messo in atto progressivamente da tutti i governi succedutisi in Italia (vedi Appendice A). In linea con la cultura del transarmo e' una proposta di programma per una politica di pace piu' avanzata, presentata al leader dell'opposizione italiana, Romano Prodi, a fine dicembre 2004 (vedi Appendice B). * VII. La guerra privatizzata, come disarmarla? Ma ecco che, nel frattempo, si e' trasformata anche la guerra: privatizzata, de-localizzata dalle istituzioni statali alle compagnie militari private; senza ne' uno scopo politico razionale, ne' un rendiconto politico, ma solo scopo di profitto economico; con occultamento dell'effetto-vittime, difficile da sopportare in democrazia; vera interruzione e sostituzione della politica con la guerra, e non sua continuazione. "Il monopolio nazionale della violenza legittima organizzata e' stato eroso... dal basso dalla privatizzazione della violenza organizzata, tipica delle nuove guerre. A quali condizioni le istituzioni per la sicurezza nuove o gia' esistenti saranno in grado di eliminare o rendere marginali le forme privatizzate di violenza? La mia opinione e' che questo dipende da scelte politiche e da come stabiliamo di analizzare la natura della violenza contemporanea, nonche' da quale concezione della sicurezza adottiamo" (34). Marco Revelli, sulla scorta di Ulrich Beck (Un mondo a rischio, Einaudi, Torino 2003), parla di "individualizzazione della guerra". Per ragioni scientifiche e tecnologiche, gli stati perdono il monopolio e il controllo sulle armi, specialmente le piu' terribili, di distruzione di massa. L'osservazione e' "devastante": chiunque puo' essere sospettato di essere un terrorista, quindi deve accettare di sottoporsi a controlli "per motivi di sicurezza": "alla fine, l'individualizzazione della guerra porterebbe alla morte della democrazia" (Beck, cit., pp. 24-25). Di piu': l'impossibilita' tecnica di monopolizzare tali armi destituisce di senso il paradigma "securitario" della politica moderna. Il Leviatano torna ad essere "un mostro tra gli altri mostri" della palude. Se fallisce, perche' diventata "tecnicamente impossibile", "l'immunizzazione della societa' dalla violenza attraverso la sua appropriazione totale" da parte dello stato, allora "non c'e' piu' alcun motivo per riconoscere al potere sovrano la sua 'sovranita''". Nella "societa' globale del rischio" (Beck) salta l'intero "nucleo normativo della modernita'", e questa societa' diventa la societa' dell'incertezza e dell'insicurezza: c'e' una "indicibilita' istituzionale" e discorsiva dei reali pericoli, che restano invisibili se non mediati, per la loro forte valenza tecnica, da "esperti". Cosi' scompare tutta la sicurezza della "prima modernita'". Il "paradigma politico dei moderni", che aveva preteso di manipolare tranquillamente il negativo (violenza, distruttivita', componenti del "terrore"), certo di saperlo orientare razionalmente verso esiti voluti, si trova ora "ridicolizzato". "Il gioco del potere 'moderno' - se non innovato alla radice - rischia di somigliare sempre piu' a un tragico esercizio di apprendisti stregoni" (35). Cioe', l'arma che sta per scoppiare in mano, va deposta per tempo, con una cultura e un'idea della politica che sia disarmo. Scrive Francesco Vignarca: "La maggiore preoccupazione e' che la privatizzazione della guerra e la diffusione delle compagnie militari private possano essere legittimate, divenendo una scelta politica di fondo, senza passaggi condivisi e quasi solo 'per osmosi'... C'e' da temere che gli stati in declino possano cedere in blocco alcuni pezzi di sovranita' e inizino a pensare che per alcuni aspetti sia meglio abbandonare una gestione diretta - e per questo, in ultima analisi, democratica - per favorire, al contrario, un regime di azione privato ipoteticamente piu' conveniente, forse solo in termini monetari". Forse - continua Vignarca - e' gia' passata l'era, prevista, di nuove compagnie di ventura e viene il pericolo di nuove compagnie coloniali, di un "neocolonialismo multinazionale". Gli Stati, dopo aver pensato di servirsi di queste entita' belliche private, potrebbero scoprirsi di colpo "semplici strumenti nelle mani di una nuova forma di potere: transnazionale, de-territorializzata e soprattutto di natura finanziaria e commerciale". "Il pericolo grave... e' che le conseguenze, inconsapevolmente, le subiranno soprattutto le popolazioni di tutti gli angoli del mondo, le quali, oltre a trovarsi immerse in un conflitto permanente e globale, non sapranno nemmeno piu' a chi rivolgersi per chiedere spiegazioni, dare responsabilita' o cercare di cambiare le cose" (36). E' facile dire che la privatizzazione della guerra, se e' un pericolo intollerabile, va combattuta con provvedimenti piu' rigorosi di disarmo dei privati: le armi leggere dovrebbero essere vietate come il maneggiare e commerciare veleni. Le armi pesanti dovrebbero essere vietate come strumento di strage evidentemente premeditata e predisposta, colta in flagranza. Ma gli stati possono vietare la guerra che fanno loro stessi per interposti banditi mercenari? Guerra privata, non "pubblica", e' anche il terrorismo. A parte il problema della sua definizione incerta, ma possibile, il piu' importante problema e': come disarmarlo? Possiamo accennare, in modo del tutto schematico, a qualche grande linea d'azione che la comunita' degli stati dovrebbe seguire: - non armarlo prima, per servirsene, e poi trovarselo rivoltato contro; - non dimostrare, contro ogni principio giuridico internazionale, che chi ha la forza ha anche ragione, perche' questa e' la stessa logica del terrorismo; - non aggiungere armi ad armi, non competere in violenza, perche' cio' alimenta la violenza selvaggia; - tagliare le fonti finanziarie, in cui si e' complici; - cercare canali per parlare, anche trattare, con i gruppi terroristici, come via per riportarli dal muto colpire a-umano al parlare umano, sebbene conflittuale; - il disconoscimento e isolamento popolare toglie al terrorismo la sua ragion d'essere, che non e' principalmente nel terrorizzare, ma nella pretesa di interpretare l'esasperazione popolare per le ingiustizie; se il popolo impara la lotta politica e nonviolenta sterilizza il terrorismo organizzato. * VIII. Conclusione Unico disarmo radicale ed efficace sarebbe il cambiamento culturale del concetto di politica e di conflitto. Non e' impossibile: la cultura della violenza e' cambiata nel tempo. Sono cresciuti gli strumenti della violenza, ma e' meno accettabile la violenza diretta, manuale, corporale, un tempo esibita, oggi occultata; la violenza diretta e' sempre piu' "delegata" alla tecnica e ai "professionisti", e sta diventando meno gloriosa in se stessa e soltanto funzionale alla violenza strutturale del dominio economico e giuridico. La violenza culturale, esercitata nei media manipolati, e l'ideologia della violenza come insuperabile fattore decisivo delle relazioni umane, continua ad avallare disperatamente - cioe' senza speranza, rinunciando alla possibilita' di un mondo umano diverso - le violenze dirette e quelle strutturali, condannandosi a ripeterle. Il problema del disarmo e' problema di concezione dell'uomo, di quale antropologia accettiamo o cerchiamo, e' la ricerca dell'"uomo inedito", nascosto dentro l'attuale "uomo edito" (Ernst Bloch, Ernesto Balducci). Sulla base di questa ipotesi, che e' una scommessa a favore della vita e di un futuro umano, e in obbedienza all'imperativo categorico formulato da Hans Jonas (37), Ernesto Balducci poteva dire, come un'eco di Isaia: "Verra' il giorno che gli uomini si vergogneranno di avere costruito le armi". Un disarmo costruttivo, nelle sue varie forme, non e' la resa alla violenza armata, non e' elusione del conflitto, ma processo che trasforma il conflitto, togliendone la gestione e la decisione alla forza non-umana delle armi che uccidono, minacciano e dividono, per affidarla a parole e gesti umani: alla parola che mette in comunicazione e cerca le soluzioni piu' razionali, condivisibili e costruttive; a gesti che depongono la minaccia e creano possibilita' di fiducia. Il disarmo sottrae il conflitto alla legge eliminatoria e sommaria della morte artificiale, per affidarlo alla logica paziente, protettiva e costruttiva della vita. * Note 1. Raimon Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1990, p. 47. 2. Cfr, tra gli altri autori, Eugen Drewermann, La guerra e' la malattia non la soluzione, Claudiana, Torino 2005 (originale 2002), in particolare p. 103. 3. James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2005; Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Feltrinelli, Milano 2004. 4. (Dhammapada, n. 103 e 201, in Aforismi e discorsi del Buddha, a cura di Mario Piantelli, Tea, Milano 1988, pp. 398 e 409). 5. Taoteking, Il libro del Tao, n. 31 e n. 30. 6. Lucia Beltrami, Periculum iniuriae muliebris, citata da Tiziana Plebani in "La nonviolenza e' in cammino", 6 febbraio 2005. 7. Ernesto Balducci, Francesco d'Assisi, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1989, p. 99. 8. Cfr la relazione ancora inedita di Carlo Papini, La nonviolenza nel valdismo medievale, tenuta nel convegno storico "Religione, violenza, nonviolenza", Pinerolo, 28 gennaio 2005. 9. Le citazioni sono tratte da Paolo Ricca, Le chiese evangeliche e la pace, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1989, pp. 11-17. 10. Citazioni da Paolo Ricca, op. cit., pp. 29-37. 11. Aldo Capitini, La nonviolenza oggi, Edizioni di Comunita', Milano 1962, ora in Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Edizioni Ets, Pisa 2004, p. 136. 12. Erasmo, Dulce bellum inexpertis, n. 11, in Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1988, p. 117. 13. Bartolome' de Las Casas, Intorno all'unico modo di condurre alla vera religione i popoli infedeli, citato in Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La pace, realismo di un'utopia, Principato, Milano 1985, p. 38 e in Massimo Toschi, Pace e Vangelo, Queriniana, Brescia 1980, p. 203. 14. Nicola Cusano, La pace della fede e altri testi, traduzione, introduzione e note di Graziella Federici Vescovini, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1993. 15. Norberto Bobbio, Prefazione alla terza edizione de Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1991, riportata nella quarta, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 2-3, e alla voce "Pacifismo", in Dizionario di Politica, Utet, Torino, poi Tea, Milano 1990. 16. Norberto Bobbio Il Terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, pp. 154-155; v. anche Elementi di politica, Einaudi Scuola, Torino 1998, p. 173. 17. Bertha von Suttner (Praga 1843 - Vienna 1914), grande animatrice del movimento per la pace tra '800 e '900, autrice del romanzo Abbasso le armi! Storia di una vita, uscito a Dresda, 1892, prima edizione italiana, Treves, Milano 1897, nuova edizione Centro Stampa Cavallermaggiore, 1996. 18. Cfr in Paolo Ricca, op. cit., pp. 137-191, documenti dal 1937 al 1983. 19. Angelo Cavagna, Giuseppe Mattai, Il disarmo e la pace, Edb, Bologna 1982. 20. Paolo VI, messaggio per la giornata della pace 1976, in Cavagna-Mattai, cit., p. 92. 21. Cfr Cavagna-Mattai, cit., p. 92-93. 22. Ivi, pp. 102-103. 23. Cosi', per esempio, Habermas giudica la politica del governo Usa e degli allineati, su "Il manifesto", 6 febbraio 2005. 24. Raimon Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, cit., p. 47. 25. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, p. 144. 26. Articolo di Maurizio Campisi, "il foglio", n. 302, maggio 2003. 27. Si veda il capitolo L'esercito e' mortale, in Peter Bichsel, Il virus della ricchezza, Marcos y Marcos, Milano 1990. I dati sono tratti da riviste svizzere. 28. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, cit., p. 144. 29. Il corsivo e' di Bobbio, che ripete qui le ultime parole del suo discorso Non uccidere, pronunciato a Torino il 4 dicembre 1961, ora in Il terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, pp. 139-142. 30. Johan Galtung, Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, originale Oslo 1982, p. 151. 31. Johan Galtung, Ci sono alternative!, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986, originale 1984, p. 199. 32. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004, p. 206. 33. Jean-Marie Muller, ivi, nota del traduttore. 34. Mary Kaldor, Le nuove guerre, Carocci, Roma 1999, p. 159, citato in Francesco Vignarca, Mercenari S.P.A., Rizzoli, Milano 2004, p. 243. 35. Marco Revelli, La politica perduta, Einaudi, Torino 2003, pp. 67-75. 36. Francesco Vignarca, op. cit., pp. 244-246. 37. Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al nuovo tipo di soggetto agente, suonerebbe press'a poco cosi': "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra", oppure, tradotto in negativo: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilita' futura di tale vita", oppure, semplicemente: "Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell'umanita' sulla terra", o ancora, tradotto nuovamente in positivo: "Includi nella tua scelta attuale l'integrita' futura dell'uomo come oggetto della tua volonta'" (Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, 1990, p. 16). (Parte seconda - segue) 3. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: GUERRA E INFORMAZIONE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2006. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004] Una delle vittime - oltre a quelle incalcolate e forse incalcolabili tra la popolazione - della guerra in Iraq e' l'informazione. Quelli che ci pervengono da quel paese sono solo bollettini di guerra, numeri avulsi da un contesto terribile. Che non conquistano quasi mai la prima pagina. Tranne quando a riportarci alla drammatica realta' sono le morti dei soldati italiani, come e' successo per i quattro elicotteristi i cui funerali si sono svolti ieri. Ancora una volta vittime inutili di una guerra negata. Non fa molta differenza se le cause sono metereologiche o altre, il terreno e' comunque ostile. Anche perche' sebbene gli italiani stiano trincerati dentro la base di Tallil, la loro presenza non puo' avere altro scopo che quello di garantire la partecipazione all'occupazione di un paese, una piccola parte, che pero' galleggia sul petrolio. Occupanti anche quando non si scontrano con la popolazione o distribuiscono bambole. E allora perche' non vengono ritirati? A Nassiriya restano i militari trincerati ma a Baghdad non ci sono piu' giornalisti italiani. E allora come tornare a informare su quella guerra che non segna battute d'arresto? La domanda si e' posta anche ieri mattina alla sala della Protomoteca in Campidoglio dove una sessione del comitato esecutivo della Federazione internazionale dei giornalisti riguardava le "Giornaliste sulla linea del fuoco". E di giornaliste in questi anni in Iraq ce ne sono state molte. La guerra, tanto piu' se preventiva o basata su falsi pretesti, non vuole testimoni. E i fautori della guerra hanno fatto di tutto per evitarli istituzionalizzando i giornalisti "embedded", arruolati, e soprattutto maschi. Le ambasciate occidentali avevano tentato in tutti i modi di allontanare la stampa da Baghdad prima dei bombardamenti (con minacce, ordini o lo spauracchio degli effetti catastrofici delle armi di distruzione di massa, che non esistevano) senza riuscirci. I giornalisti erano rimasti e due di loro all'hotel Palestine avevano perso la vita per una cannonata americana, un altro sulla riva del Tigri lo stesso giorno, e altri ancora. Per i giornalisti la guerra in Iraq e' la piu' pericolosa: da quando e' iniziata (marzo 2003) 59 reporter sono stati uccisi e 29 rapiti. Dove non arrivano le raffiche Usa arrivano i sequestri, a volte entrambi (come nei mio caso). La degenerazione della guerra con l'occupazione non conosce limiti. E cosi' lo spazio per fare informazione si e' andato esaurendo. La scelta si e' sostanzialmente ridotta all'andare al seguito delle truppe (embedded), subendo le censure dell'esercito, oppure stare chiusi in albergo sguinzagliando i collaboratori iracheni che, spesso, rischiano quanto gli occidentali. Perche' se qualcuno osa uscire per strada, senza scorte armate, per andare a parlare con la gente, magari con i profughi di Falluja, rischia il sequestro, come e' successo a me e a Florence e Hussein (sono gia' passati 150 giorni!). Si puo' accettare questo ricatto? Oggi la forza e la pervasivita' dell'informazione, la capillarita' e la velocita' delle notizie obbligano chi fa la guerra, quali che siano le sue ragioni, a negare la verita'. La guerra moderna, che fa soprattutto vittime civili, si fonda solo sulla menzogna perche' la verita' la renderebbe sempre piu' insostenibile per qualsiasi opinione pubblica. La storia del giornalismo e' stata anche la storia dei suoi inviati "di guerra": dalla guerra di Spagna alla seconda guerra mondiale, al Vietnam. I giornalisti al seguito delle truppe c'erano anche prima ma non erano "embedded" e nessuno si e' mai sognato di invocarli perche' il controllo dell'informazione aveva tempi e strumenti diversi. Oggi invece l'informazione viaggia in tempo reale e su scala planetaria e i suoi effetti si ripercuotono immediatamente sugli scenari di guerra. Ma il diritto all'informazione e' essenziale per la democrazia. Come si puo' parlare di processo di democratizzazione in Iraq se non esiste il diritto di informare? Sotto occupazione la stampa non ha diritto di cittadinanza, anche la liberta' di informare passa attraverso una rottura del panorama attuale, iniziando con il ritiro delle truppe. L'Iraq si puo' aiutare con altri mezzi, anche informando. 4. MAESTRE. ADRIANA CAVARERO: LA RADICE FEMMINILE [Da Adriana Cavarero, Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1990, 1991, p. 61. Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all'Università di Verona; dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato dal Center for Digital Discourse and Culture at Virginia Tech University (www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume: a) libri: Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984; L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento 1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990. (traduzione tedesca: Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure, Feltrinelli,Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei, Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997; Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980, pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp. 705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp. 173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991); "Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica, Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111; "Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp. 187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita, a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B. Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp. 15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994, pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp. 15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia Stoller und Helmuth Vetter, WUV-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226; "Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino 1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225] Perche' mai nasce, e vive, l'Uomo, bensi' sempre, singolarmente, o un uomo o una donna, sessuati nella differenza. Perche' ogni nato o nata sempre nasce da donna, la quale e' nata da una donna a sua volta nata da un'altra donna, e cosi' via infinitamente all'indietro (ossia in direzione dell'origine), appunto nel continuum materno che disegna la radice femminile di ogni umano. 5. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA RIFLESSIONE DI MARIA CHIARA TROPEA Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto della riflessione di Maria Chiara Tropea. * "Tener separati i diversi perche' non si aggrediscano e' impresa molto piu' 'utopistica' che tentare processi di riconciliazione e nuova convivenza" (Maria Chiara Tropea, in "Qualevita", n. 102, gennaio 2003, p. 25). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 952 del 6 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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