La nonviolenza e' in cammino. 951



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 951 del 5 giugno 2005

Sommario di questo numero:
1. Clementina, della sollecitudine
2. Un invito ad esprimere con il voto una scelta meditata
3. Per riaffermare la moralita' della fecondazione assistita
4. Enrico Peyretti: Storia del concetto di disarmo (parte prima)
5. Con "Qualevita", la riflessione di Elena Camino e Angela Dogliotti
Marasso
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELLA SOLLECITUDINE
[Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care
international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e'
stata rapita alcuni giorni fa]

Sollecita del bene, della liberta', della dignita' altrui e di tutti e'
stata sempre Clementina, giunta a Kabul per donare il suo aiuto a chi gia'
tanto ha sofferto, a chi di aiuto ha cosi' bisogno; come potremmo non essere
solleciti adesso verso di lei? Ogni giorno, ogni ora, dobbiamo, vogliamo
tornare a chiedere che ci sia restituita sana e salva, restituita a tutti
noi che ne ammiriamo la generosita', restituita alle donne di Kabul che con
grande coraggio e sincera solidarieta' sono scese in piazza per lei,
restituita all'umanita' intera. Liberatela, in nome dell'umanita'.

2. REFERENDUM. UN INVITO AD ESPRIMERE CON IL VOTO UNA SCELTA MEDITATA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 giugno 2005 riprendiamo il seguente
appello]

I referendum su alcuni articoli della legge 40, che regolamenta la
fecondazione assistita, mettono in gioco questioni importanti e di
difficilissima soluzione, che dividono i cittadini al di la' delle
appartenenze politiche e confessionali e ancor piu' generano incertezza e
confusione. Dubbi e orientamenti diversi definiscono la posizione dei
firmatari del seguente appello, che sono tuttavia accomunati dalle seguenti
convinzioni:
La legge 40 contiene lacune e contraddizioni in se stessa e rispetto ad
altre leggi.
I referendum che si terranno il 12 giugno hanno il merito di sollevare i
gravi problemi che stanno al di sotto della legge in discussione e di aprire
un dibattito pubblico molto utile non solo in vista delle scelte
referendarie ma piu' in generale riguardo ai problemi giuridici,
scientifici, etici e religiosi che quelle scelte implicano.
Per questa ragione siamo contrari all'indicazione di non andare a votare.
Questa indicazione e' anche poco limpida, perche' tende a utilizzare e a
fomentare il disinteresse per le questioni in gioco sommandolo alla scelta
contraria alle richieste dei referendum, tende a svilire l'istituto del
referendum e tende a favorire un atteggiamento di irresponsabilita'. Inoltre
essa risulta contraddittoria rispetto al carattere di principio che si
assegna alle argomentazioni usate per giustificarla. Se la scelta di non
votare puo' essere plausibile rispetto a questioni di scarso rilievo, lo
stesso non si puo' dire rispetto a temi che mettono in gioco principi di
fondamentale importanza, quali la vita, la salute, la ricerca scientifica e
i suoi limiti.
L'appello alla non partecipazione al voto, che e' giunto dai vertici della
Cei, e' percio' inopportuno e, in particolare ai credenti, appare come
un'incomprensibile e ingiustificata pretesa della gerarchia ecclesiastica di
dettare norme che riguardano non i principi e gli orientamenti di fondo ma
il dettaglio e le tecniche dei comportamenti politici.
Pur consapevoli della difficolta' delle scelte e forse dell'insuperabilita'
di alcuni dubbi, invitiamo percio' tutti, credenti e non credenti, a
maturare una scelta meditata e ad esprimerla con il voto.
*
Franco Balosso, Fiorella e Luciano Bassignana, Toni Begani, Franco Bolgiani,
Cristina e Giuseppe Bordello, Stefano Brusasco, Melita Cataldi, Claudio
Ciancio, Renata e Franco Camoletto, Piero Degennaro, Stefania Di Terlizzi,
padre Achille Erba, Carla Fantino, Elisabetta Galeotti, Marzio Galeotti,
Giovanna Gambarotta, Eugenio Gili, Antonietta Guadagnino, Gianna Guelpa,
Gian Carlo Jocteau, Dora Marucco, Gian Giacomo Migone, Mario Mosca, Laura
Operti, Gabriella Orefice, Maurizio Pagano, Anna Pelloso, Ugo Perone, Franco
Peyretti, Narinella Poggi, Katie Roggero, Mario Rosa, Ugo Gianni Rosenberg,
Luciana Ruatta, Stefano Sciuto, Adriana Stancati, Angela Suppo, Gino Tedone,
Domenico Todisco, Paolo Torreri, Rosanna Tos, Alberto Tridente, Federico
Vercellone, Anna Viacava, Gustavo Zagrebelsky.

3. REFERENDUM. PER RIAFFERMARE LA MORALITA' DELLA FECONDAZIONE ASSISTITA
[Dalla mailing list "Ecumenici" (per contatti: ecumenici at aliceposta.it)
riprendiamo il seguente appello. Le adesioni vanno inviate a:
politeia at fildir.unimi.it]

La nascita di un bambino voluto dai genitori e' un bene prezioso, e il modo
in cui avviene la nascita o il concepimento non annulla ne' sminuisce questo
grande valore. Solo inveterati pregiudizi contro le tecniche o le novita'
possono indurre a credere che solamente il concepimento conseguente al
rapporto sessuale sia dignitoso e moralmente accettabile. Le tecniche di
fecondazione assistita rappresentano un progresso medico e morale in quanto
consentono alle persone di avere figli in maniera sempre piu' responsabile.
La legge 40/2004, di conseguenza, e' una legge oscurantista perche' limita
fortemente la liberta' personalissima di procreare, sia scoraggiando il
ricorso alla fecondazione in vitro per il fatto di imporre - contro ogni
indicazione medica - alle donne che la richiedono ripetute stimolazioni
ormonali, sia vietando la donazione dei gameti a chi non ha altro modo per
avere un figlio.
Un mondo con piu' conoscenza e' migliore di un mondo avvolto nell'ignoranza,
e quindi anche la ricerca scientifica volta a far crescere la conoscenza e'
moralmente buona. Oggi la scienza sta spalancando nuovi straordinari
orizzonti sulle prime fasi della vita umana con ricerche da cui si attendono
effetti terapeutici di eccezionale valore. La legge 40/2004 blocca la
ricerca scientifica in nome della difesa del "mistero della vita", mostrando
un atteggiamento antiscientifico.
A difesa della legge 40/2004 si sostiene che il concepito dalla fecondazione
avrebbe i diritti (o la dignita') della persona umana, per cui il principio
di uguaglianza imporrebbe di limitare o vietare la ricerca scientifica e la
fecondazione in vitro. Questa tesi presuppone che un embrione di quattro o
di otto cellule sia gia' una persona umana - una sorta di bambino in
miniatura racchiuso in poche cellule. Oltre ad essere una specifica
posizione morale di alcuni che non puo' essere imposta a tutti per legge,
questa tesi non solo e' molto controversa ma e' anche debole sul piano
razionale. Infatti, il prodotto del concepimento (l'embrione) nelle
primissime fasi del concepimento puo' avere una pluralita' di destini, la
maggior parte dei quali sono del tutto diversi da quello per cui gli si
vogliono riconoscere dei diritti. Tra questi destini possibili, ad esempio,
vi e' anche quello di trasformarsi in un tumore maligno.
Solo un'intensa e falsata campagna mediatica e' riuscita a dare tanto
rilievo all'assurda idea che l'embrione sia persona dal concepimento. Lungi
dall'essere gia' persona dotata di diritti, l'embrione e' una fase iniziale
del processo riproduttivo. Se e' moralmente ingiusto trattare uguali in modo
disuguale, e' altrettanto ingiusto trattare disuguali in modo uguale.
L'articolo 1 della legge deve essere abrogato come richiesto dal primo
quesito del referendum.
Dopo avere "blindato" la legge in Parlamento ed impedito qualsiasi
miglioramento, si dice oggi che la materia oggetto del referendum e' troppo
difficile e complessa perche' i cittadini possano decidere al riguardo.
Questo e' il consueto argomento antidemocratico, analogo a quello usato in
passato da chi riteneva che le donne o gli analfabeti non avessero
conoscenze sufficienti per avere il diritto al voto e partecipare alla vita
politica. Non solo la legge 40/2004 e' antiscientifica, ma e' difesa con
argomenti poco compatibili con una democrazia matura in cui le persone si
confrontano senza ricorrere all'espediente dell'astensione che sfrutta
furbescamente il vantaggio dato da chi per necessita' o pigrizia non
partecipa al voto. A votare al referendum si e' chiamati non da un numero
(piu' o meno ampio) di cittadini, ma da una legge dello Stato analoga a
quella che chiama al voto nelle elezioni politiche. Pur essendo consentito
sul piano della legalita' formale, dal punto di vista sostanziale della
moralita' politica l'appello all'astensione e' un attentato alla vita
democratica.
Mentre auspichiamo il successo del referendum, ribadiamo che i divieti della
legge 40/2004 restano moralmente ingiusti e di grave inciampo al progresso
civile anche se non fosse raggiunto il quorum. Su di essi dovra' riaprirsi
il dibattito politico e legislativo per riaffermare la moralita' della
fecondazione assistita e per garantire ai cittadini la liberta'
riproduttiva.
*
Prime adesioni: Sergio Bartolommei, Universita' di Pisa; Patrizia
Borsellino, Universita' dell'Insubria; Gilberto Corbellini, Universita' La
Sapienza, Roma; Emilio D'Orazio, Centro Studi "Politeia", Milano; Eugenio
Lecaldano, Universita' La Sapienza, Roma; Maurizio Mori, Universita' di
Torino; Demetrio Neri, Universita' di Messina.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO (PARTE
PRIMA)
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti. e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione la relazione tenuta il 10 febbraio 2005 al seminario
"Historia magistra" diretto dal professor Angelo D'Orsi presso il
Dipartimento di studi politici dell'Universita' di Torino. Enrico Peyretti
e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri
piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le
sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente
edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi
interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Sommario
I. Dis/armo - non/violenza. Arma - violenza - nonviolenza; Distinzione tra
forza e violenza;  Arma come forza e arma come violenza
II. Disarmo morale e disarmo materiale. Culture antiche, moderne,
contemporanee
III. Chi disarma chi? Disarmo altrui: il vincitore disarma il vinto. Disarmo
proprio: degli individui, dello stato
IV. Disarmo come? disarmo quando?
V. Disarmo quanto? quali armi?
VI. Transarmo
VII. La guerra privatizzata, come disarmarla?
VIII. Conclusione
Allegato A. Denuncia del Nuovo Modello di Difesa (1 giugno 2000)
Allegato B. Proposte politiche della cultura nonviolenta
Scheda. Dati sulle armi
*
Nel Dizionario di politica, edizione 2004, manca la voce Disarmo. Manca
anche la voce Armi, Armamenti. (Questo mi pare un bene, ma quello un male!).
Non c'e' neppure la voce Vittoria. La voce Armi, Armamenti, Disarmo si trova
nell'Enciclopedia Einaudi, ma Disarmo e' solo nel titolo della voce, e
niente nel contenuto! Si trova Disarmo, inteso come trattati internazionali,
nell'Enciclopedia Europea Garzanti, Milano 1977.
*
I. Dis/armo - non/violenza
Dis/armo significa non/violenza? Non/violenza vuol dire non/arma? Si' e no.
Per il si': a New York, davanti al Palazzo dell'Onu, c'e' il monumento di
una pistola con la canna annodata, di Reutersward, col titolo
"Non-violence".
L'anti-militarismo, l'anti-armismo (il distintivo che porto, del Movimento
Nonviolento, e' un fucile spezzato) e' una fase infantile, iniziale, ma
giusta e necessaria, della nonviolenza, perche' ogni arma significa
uccidere, che e' tutta violenza, nessuna soluzione.
Per il no: "arma" non vuol dire unicamente strumento per uccidere, o
minacciare di morte. Significa anche forza, che va concettualmente distinta
da violenza.
L'arma e' anche morale (forza resistente e costruttiva) e non solo materiale
(violenza distruttiva). C'e' arma umana e arma disumana.
La forza costruisce, resiste. L'arma umana e' la capacita' di reggere,
patire con forza (non subire, che e' collaborazione passiva).
L'arma nonviolenta e' la non-collaborazione, che toglie base al potere
ingiusto. C'e' anche una "costrizione nonviolenta", che consiste nel rendere
il dominio piu' costoso della trattativa e del compromesso: e' una
dissuasione non minacciosa.
Resistere, reggere, e' azione piu' forte che aggredire: "Principalior actus
fortitudinis est substinere", (S. Tommaso, Summa Theologica IIa-IIae, q.
123, art. 6): la forza difende, non offende.
Per Gandhi "la sofferenza e' l'arma umana", anche per "conquistare"
(persuadere) l'avversario. Quindi c'e' un'arma nonviolenta.
La violenza e' violare (come lo stupro), e' infliggere ingiustamente
sofferenza, offesa, in piu' modi: violenza fisica, morale, strutturale,
culturale.
L'arma violenta e' dis-umana: viola qualcosa di in-violabile nella persona
umana. Suoi effetti sono: uccidere, ferire (al nemico sono piu' costosi i
feriti che i morti, da qui l'uso di armi di medio danno); minacciare (Simone
Weil, in Iliade, poema della forza: l'arma non solo uccide, ma, quando tiene
sotto minaccia, "puo'" uccidere, e cosi' pietrifica, rende l'uomo ancora
vivo una cosa, un "compromesso tra uomo e cadavere"); dominare: cosi' fa
l'arma della fame, dell'ignoranza.
Il corpo umano e' il primo strumento, che rappresenta tutta l'ambiguita'
dell'arma.
E' forza che solleva: Jean Valjean solleva il carro, da cio' Javert lo
riconosce; Luigi Pintor in Servabo (Bollati Boringhieri, Torino 1991, p.
85): "Non c'e' in un'intera vita cosa piu' importante da fare che chinarsi
perche' un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi".
E' mano che colpisce, strangola, oppure si offre aperta (disarmata) per
"salutare" (dare salute), per trattenere dal cadere o affondare: come
diciamo "dare una mano"...
La stessa intelligenza e' arma quando e' "intelligence", strumento che
accompagna guerra e dominio; quando e' "ragione armata" (compito della
filosofia e' "disarmare la ragione armata", scrive Raimon Panikkar (1)).
Il senso e l'intuizione di qualche verita' (nelle convinzioni, nelle fedi)
puo' essere: verita' armata (guerre di religione, odio teologico,
ideologico) ma anche  verita che "dis-arma", perche' da' il senso del
cammino, della ricerca, della inadeguatezza continua.
La verita' che possiamo conoscere, veramente non ci arma gli uni contro gli
altri (come nella storia ha fatto chi arrogantemente ha pensato di tenerla
in pugno e di imporla ad altri come verita' armata), ma proprio ci
"disarma", nel senso che ci rende piu' miti ed umili, impegnati
continuamente ad imparare dall'ascolto reciproco, e a vivere una vita piu'
giusta. La verita', in quanto - poco o tanto - la intravediamo, proprio ci
disarma, perche' ci impegna ad una vita personale e a relazioni umane piu'
buone e piu' vere, dunque ci giudica, ci toglie arroganza. La forza della
verita' non e' offensiva, ma consiste nell'agire profondamente su di noi, in
quanto la cerchiamo e le siamo fedeli, col sospingerci ad essere piu' veri,
piu' forti nel resistere al male e nel vivere il bene.
*
II. Disarmo morale e disarmo materiale
Il concetto di arma e' ambivalente, dunque anche il concetto di disarmo:
distinguiamo almeno disarmo morale e disarmo materiale.
*
II. A. Disarmo morale
Appare prioritario rispetto al disarmo materiale, perche' non e' l'arma
materiale che colpisce o minaccia, ma chi la impugna: un militare (amico o
nemico) e' diverso da un poliziotto, da un cacciatore. San Francesco armato
mi fa ridere, non mi fa paura.
Eppure... L'arma materiale e' comunque un pericolo e minaccia, per la sola
sua esistenza (nella societa' statunitense, la quantita' di armi private e'
una delle cause della quantita' di omicidi).
Ma c'e' un'ambiguita' anche del disarmo morale: puo' essere positivo o
negativo.
1) E'  positivo se nell'animo depongo l'atteggiamento aggressivo, violento,
e mi dispongo a deporre strumenti violenti, e sviluppo il coraggio e la
razionalita' nei conflitti.
Questo atteggiamento e' espresso nella Regola d'oro, norma etica universale
(ne ho raccolte 25 formulazioni, da tante religioni, culture, epoche). Con
essa mi vieto (mi disarmo) l'azione verso altri che non vorrei fosse fatta a
me, e mi  comando di fare (arma, azione) ad altri cio' che vorrei fosse
fatto a me.
Questo significa che riconosco e affermo uguale valore  a me e agli altri
(imperativo categorico di Kant: "... la persona umana sempre come un fine,
mai solo come un mezzo, sia in te che negli altri..."). Significa dunque
parita' (ma Ricoeur avverte: la parita' puo' fondare anche la legge del
taglione), ma anche "priorita' di Altri" (Levinas, ma gia' il vangelo e i
mistici sufi), principio che compie e supera la Regola d'oro.
Per la Regola d'oro non posso nutrire una volonta' e/o impugnare un'arma
contro Altri: non essere "contro" qualcuno e' disarmo morale in senso
positivo: cosi' facendo, per parte mia (ed e' tutto cio' che posso) non
aggiungo violenza nel mondo.
Ma cosi' lascio campo libero alla violenza? No. Propongo attivamente una
reciprocita' positiva, anche se non posso determinarla nell'altro (tocca a
lui corrispondere).
2) E'  negativo se mi privo delle armi morali, umane (coraggio, resistenza)
e cedo alla vilta', alla resa. Se, per non armarmi contro altri (ed evitare
il relativo rischio di fare violenza), non resisto, subisco, mi sottometto,
mi arrendo, quindi collaboro passivamente alla violenza altrui, sia su
altri, sia su di me. In tal modo, sono moralmente disarmato, ma favorisco
l'azione armata altrui, non riduco ma incoraggio l'armamento violento del
mondo. E' questa l'obiezione (facile) opposta alla nonviolenza, come se
fosse non-difesa, sottomissione, quella che Gandhi chiama (e che rifiuta)
nonviolenza dei deboli.
*
II. B. Disarmo materiale
Osserviamo come e' diversamente inteso nel tempo: 1) Bibbia; 2) miti greci;
3) miti orientali; 4) storia romana; 5) pacifismo medievale; 6) pacifismo
moderno; 7) umanesimo cristiano; 8) pacifismo contemporaneo; 9) le chiese
cristiane sul disarmo durante la guerra fredda; 10) oggi.
*
1) Nella Bibbia
Leggiamo nei profeti biblici (non sono indovini, ma annunciatori di un
messaggio): nel primo Isaia (dal 735 al 701 a. C.) cap. 2 e 11 c'e' la
promessa di un futuro in cui anche la violenza degli animali sara' superata:
"il lupo pascolera' con l'agnello" (11, 6), e gli uomini "non impareranno
piu' l'arte della guerra" (2, 4).
Osea, meta' VIII secolo a. C.: "l'arco, la spada e la guerra li bandira'
dalla terra" (2, 20).
Pero' ricorre l'espressione famosa "Dio degli eserciti" (delle schiere).
Essa afferma anzitutto che  Dio e' superiore alle schiere celesti, agli
astri prima divinizzati e nella Bibbia desacralizzati (gia' nel racconto
della creazione). Poi pero' ha anche un significato militare: Israele si
sente guidato da Dio nelle guerre (fino all'uso bellico della religione nei
secoli cristiani: benedizioni, messe al campo, Te Deum per le vittorie...).
Sono molte e frequenti le metafore militari per descrivere Dio guerriero
contro il male, contro gli idoli: addestra alla guerra e da' la vittoria
(salmo 18, 33-43); la spada di Dio sui Caldei (Babilonia; questo piacerebbe
a Bush), sui suoi cavalli e carri, e tesori e acque (Geremia 50, 35-38).
Anche in san Paolo troviamo immagini militari per dire l'impegno (agone)
della vita cristiana.
Il profeta Zaccaria (attivo nel 520-518 a. C.): "Non con la potenza ne' con
la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore degli eserciti" (4, 6b),
perche' e' piu' forte delle armi: "Quelli fanno ricorso ai carri e quelli ai
cavalli, ma noi al nome del Signore nostro Dio" (salmo 20, 8).
Dio odia e spezza le armi: spazza via carri e cavalli, infrange l'arco di
guerra e annuncia la pace alle genti (Zaccaria 9, 10). Dio "spezza l'arco,
frantuma la lancia, da' alle fiamme i carri di guerra" (Salmo 46, 10). "La
loro spada penetrera' nel loro cuore" (salmo 37, 15). "Nessun re puo'
salvarsi con la moltitudine dei suoi soldati... impotente e' il cavallo a
portare salvezza" (salmo 33,16-17).
Lo sterminio (herem) era una regola di guerra.
"Il re cananeo di Arad, che abitava il Negheb, appena seppe che Israele
veniva per la via di Atarim, attacco' battaglia contro Israele e fece alcuni
prigionieri. Allora Israele fece un voto al Signore e disse: 'Se tu mi metti
nelle mani questo popolo, le loro citta' saranno da me votate allo
sterminio'. Il Signore ascolto' la voce di Israele e gli mise nelle mani i
Cananei; Israele voto' allo sterminio i Cananei e le loro citta' e quel
luogo fu chiamato Corma" (Numeri 21, 1-3).
"Soltanto nelle citta' di questi popoli che il Signore tuo Dio ti da' in
eredita', non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo
sterminio: cioe' gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei
e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perche' essi
non v'insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e
voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio" (Deuteronomio, che e' un
libro di leggi, 20, 16-18).
Si possono vedere inoltre i seguenti molti passi: Genesi 7, 4; 1 Samuele 15;
Giosue' 10, 19-41; Sapienza 12; Salmi 7, 5; 18, 41; 106, 34; 143, 12;
Geremia 30, 11; 46, 28; 50, 21; Ezechiele 9, 1-11; Sofonia 1, 18; 3, 6.19;
Zaccaria 13, 2; Apocalisse 9, 18. E temo che non siano tutti. In I Samuele
15, Samuele ordina a Saul lo sterminio totale (uomini, donne, bambini,
animali) di Amalek; Saul risparmia il meglio degli animali, presi come
bottino, e Samuele lo accusa: non vale sacrificare a Dio gli animali, doveva
obbedire sterminandoli.
Lo sterminio e' il massimo disarmo materiale: non sono distrutte le armi
(utili come bottino), ma il popolo stesso nemico, i viventi stessi che
potrebbero usare le armi. Pero' la ragione per Israele non e' tanto bellica
quanto e' la necessita' di evitare radicalmente la contaminazione religiosa
con popolazioni idolatriche, per preservare la purezza della fede
monoteista. Probabilmente, secondo gli studiosi, lo sterminio e' piu'
proclamato e vantato che esercitato. Nel mondo di oggi questo "disarmo"
totale corrisponderebbe allo "scontro di civilta'", che si vale anche della
"pulizia etnica", in cui una incompatibilita' assoluta tra sistemi di valori
assolutizzati porterebbe all'annientamento culturale o fisico dell'altro
sistema per evitarne il contagio. Qui la violenza e' il linguaggio
sostitutivo del dialogo negato (2).
Gesu' e' chiaro: "Rimetti la tua spada nel fodero, perche' chi mette mano
alla spada di spada perira'" (Matteo 26, 52). Eppure si tratta della sua
propria difesa. Ci sono dei passi evangelici in cui sembra di capire che
Gesu' ha sentito pure la tentazione di usare la violenza, ma l'ha superata.
Non propone la distruzione, ma il non uso dell'arma, che si ritorce su chi
la usa.
I famosi "paradossi" (offrire l'altra guancia; dare anche la tunica; fare un
altro miglio di strada) del discorso della montagna in Matteo, sono stati
lungamente interpretati come atti di sottomissione paziente alla violenza,
rimettendo a Dio, in un altro mondo, ogni azione di giustizia. L'esegeta
americano Walter Wink, nel libro Rigenerare i poteri, discernimento e
resistenza in un mondo di dominio (Emi, Bologna 2003) da' alcune
interpretazioni interessanti, rivelatrici del fatto che quei consigli di
Gesu' offrivano una misura pratica e strategica per dare agli oppressi un
potere nonviolento e liberante (pag. 308).
Vediamo qui solo il primo di quei consigli: "Avete inteso che fu detto:
occhio per occhio e dente per dente. Io invece vi dico di non resistere al
male, anzi, se uno ti colpisce alla guancia destra, volgigli anche la
sinistra" (Matteo 5, 38-39).
Per capire bisogna conoscere il contesto: per colpire la tua guancia destra,
l'altro avrebbe dovuto usare la sinistra, il cui uso era vietato, riservato
ai soli compiti impuri. Dovendo quindi usare la destra, il colpo sulla
guancia sinistra poteva essere solo un manrovescio. Questo colpo, piu' che
una percossa inflitta in una rissa tra pari, era un'umiliazione, destinata
agli inferiori: schiavi, figli piccoli, donne. Gesu' parlava a povera gente,
che conosceva bene questa umiliazione. Ora, offrire l'altra guancia era
privare l'oppressore della sua pretesa superiorita'. Era come dirgli: "Prova
ancora. Io non ti riconosco il potere di umiliarmi. Sono pari a te. Tu non
riesci ad offendere la mia dignita'". Questa reazione avrebbe messo
l'offensore in difficolta': come puo' colpire ora (ovviamente con la propria
destra) la guancia sinistra presentatagli? Non piu' con un manrovescio
(impossibile), ma col palmo della mano destra, come farebbe in una rissa con
un proprio pari. Anche se facesse flagellare l'inferiore per quella
reazione, questi avrebbe comunque mostrato in pubblico la sua uguaglianza
naturale con chi si crede superiore. Il prepotente ne esce umiliato. Un
debole ha impedito a un prepotente di svergognarlo, ed anzi ha svergognato
lui. Dira' Gandhi: "Il principio dell'azione nonviolenta e' la
non-collaborazione con tutto cio' che si prefigge di umiliare". Gli altri
due casi (la tunica e il miglio di strada), visti nel contesto storico reale
(morale ebraica del corpo; occupazione militare romana), hanno uguale
significato: sono vere armi nonviolente di riscatto della dignita' offesa.
La nuova legge dell'amore e del perdono non ignora la verita' (cosi' come la
riconciliazione non puo' avvenire che su base di verita': vedi il recente
caso sudafricano). Se questa interpretazione di Wink e' corretta, Gesu' non
si limita a superare le legge del taglione (vendetta regolata), tanto meno
esorta semplicemente a disarmarsi davanti alla violenza, ma e' un geniale
ideatore di tecniche di lotta nonviolenta per la giustizia.
*
2) Nei miti greci
Irene, la Pace, porta in braccio Pluto bambino, la ricchezza; non c'e' nulla
nell'iconografia di Irene sulla neutralizzazione-distruzione delle armi.
L'Iliade, secondo Simone Weil, e' il poema della forza (qui nel senso di
violenza), che uccide ancor prima di uccidere, in quanto domina con la
minaccia; ma anche poema della violenza in quanto sempre punita dal destino:
"Ares e' equanime e uccide quelli che uccidono". E' la Nemesi (centrale nel
pensiero greco). Omero descrive la forza (violenza, armi), ma anche ne
denuncia l'assurdo con amarezza, e circonda di pieta' le sue vittime, che
sono tanto i vincitori quanto i vinti, ugualmente miseri. C'e' il fascino
delle armi scintillanti, ma anche pieta' per il dolore che danno. Albeggia
il problema del salvarsi - dis-armarsi? - da questo inganno.
Alcune opere recenti (3) riprendono il tema del fascino della guerra, che,
per essere superato, deve essere considerato sul serio e vinto scoprendo
anche la bellezza e non solo il dovere della pace. Per altro verso, l'opera
citata di Drewermann, sociopsicologo, sottolinea in molte pagine "la
deformazione dell'umano" determinata dal sistema militare in se stesso.
*
3) Nei miti orientali
Nelle culture orientali troviamo esempi di disarmo morale.
Sulla vittoria in guerra, Buddha (VI a. C.; 565-486 circa a. C.) dice: "Fra
chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se
stesso, costui e' il migliore dei vincitori di ogni battaglia". Dunque,
lotta, si', ma contro se stessi, con armi morali.
"La vittoria alimenta inimicizia, perche' chi e' vinto giace dolente. Chi ha
abbandonato vittoria e sconfitta, costui rista' tranquillo e felice" (4).
Di Lao-tzu (sec. VI-V a. C., fondatore del taoismo, alternativo al
confucianesimo) (5), leggiamo: "Le armi sono strumenti nefasti di cui un
principe saggio si serve solo controvoglia, e per necessita', perche'
preferisce una pace modesta a una gloriosa vittoria. Non bisogna giudicare
che una vittoria sia un bene. Chi lo facesse, mostrerebbe d'aver cuore
d'assassino. Che un simile uomo regni sull'impero non sarebbe opportuno...".
"Dove le truppe fecero soggiorno cola' non nacque mai altro che sterpi e
spine. E dopo i grandi eserciti ci furon sempre anni di carestia. E il buon
condottiero vince e si ferma, non ardisce per questo usurpare potenza. Vince
e non se ne gloria. Vince e non se ne vanta. Vince e non se ne estolle.
Vince perche' costretto. Vince ma non pero' per farsi grande".
Asoka, imperatore dell'India antica (buddhista, 270-265 fino circa 240 a.
C.), sconvolto dalle proprie sanguinose guerre, decreta una tolleranza
religiosa attiva a favore di tutte le comunita' religiose, e nonviolenza
verso tutti gli esseri, anche gli animali.
La Bhagavadgita (tra i testi piu' venerati della tradizione indiana, attorno
all'inizio dell'era volgare), sembra esaltare il dovere della guerra,
perche' Krishna supera l'esitazione e la ripugnanza di Arjuna a combattere
contro i propri parenti. Pero', l'oggetto non e' tanto la guerra, quanto
l'azione distaccata: sarebbe dunque come una parabola per insegnare l'azione
doverosa senza attaccamento al risultato. Gandhi considerava come proprio
vangelo una parte centrale (II, 54-72) di questo testo, e vi vedeva la
vacuita' della guerra e della vittoria.
*
4) Nella storia romana
Cogliamo un frammento dalla storia romana. "Tito Livio narra come Scipione
dopo la conquista di Cartagine Nuova (in Spagna, nel 209 a. C.; oggi
Cartagena) non solo trattasse bene i prigionieri ma dava ordini di
proteggere con rispetto e col massimo riguardo le donne, ribadendo che tali
erano i principi e il costume del popolo romano, 'perche' nulla sia presso
di noi oggetto di offesa, di cio' che in ogni luogo e' considerato
inviolabile'. Sia il valore attribuito al nemico, sia l'interesse
all'alleanza e alla costruzione di una civilta' di relazioni, non permise
l'accadere di alcuno stupro di guerra ne' di episodi di umiliazione dei
vinti" (6). E' un caso - raro - di rinuncia (piu' che autodisarmo)
dell'arma-stupro.
*
5) Nel pacifismo medievale
La tregua di Dio nelle feste settimanali e annuali non e' un disarmo, ma un
"armi-stizio", una fermata delle armi per incompatibilita' tra giorni sacri
e guerra, tra religione e guerra: qui una cultura religiosa confessa che la
religione deve disarmare. E' quasi un anticipo profetico - o anche
ipocrita - di cio' che un giorno dovra' essere. C'e' un'analogia con
l'antica tregua olimpica.
Francesco e la crociata: nel 1219, egli va disarmato in quello che era visto
come "l'impero del male", tanto che era detto "malicidio" (Bernardo di
Chiaravalle), e non omicidio, l'uccidere gli infedeli considerati
malfattori. A Damietta sul Nilo, Francesco sta due settimane a colloquio col
sultano Kamil, trattato con rispetto e amicizia. E' pressoche' solo nel suo
secolo a pensare "il vangelo senza spada" (7). Quando Francesco "sposa" la
poverta' spiega al suo vescovo perplesso che se avesse possessi dovrebbe
avere armi per difenderle: la poverta' e' dunque disarmo delle relazioni
umane, armate dalla brama di ricchezza.
I Valdesi scelgono la nonviolenza della chiesa apostolica, condannano la
guerra, la crociata, la pena di morte, non portano armi, ma nei casi estremi
usano le armi se aggrediti, e a volte hanno ceduto, uccidendo inquisitori e
traditori (8).
*
6) Nel pacifismo moderno
Gli Anabattisti (ri-battezzatori), XVI secolo, furono ostracizzati
ugualmente da cattolici e da protestanti: rifiutando il battesimo dei
bambini delegittimavano la cristianita' sociologica come non cristiana.
Rifiutavano il sistema politico che usava violenze antievangeliche (armi,
pena di morte) legittimate dalla chiesa, e usava la chiesa come cemento
dell'unita' dell'impero. Vivevano disarmati, rifiutavano il potere militare,
politico, giudiziario. Testimoniavano la pace, piu' che costruirla. I
Riformatori li giudicarono un "nuovo monachesimo" (Lutero) e irresponsabili
perche' abbandonavano la politica agli increduli, vera eresia politica.
Un pacifismo pio' radicale e manicheo appare negli Articoli di Schleitheim,
VI articolo, del 1527: "La spada e' un ordinamento divino fuori dalla
perfezione di Cristo... Il governo dell'autorita' costituita e' secondo la
carne, quello dei cristiani secondo lo Spirito... La sua cittadinanza e' in
questo mondo, quella dei cristiani nei cieli. Le armi del loro combattimento
e della loro guerra sono carnali e combattono soltanto contro cose umane; le
armi dei cristiani sono invece spirituali, contro le fortificazioni del
diavolo".
Menno Simons (circa 1496-1561; da cui i mennoniti): "O amato lettore, le
nostre armi non sono spade e lance, ma pazienza, silenzio e speranza, e la
Parola di Dio... Essi [i veri cristiani] hanno trasformato le loro spade in
vomeri d'aratro e le loro lance in roncole... e non impareranno piu' la
guerra".
Dunque, due tipi di armi: carnali o spirituali. E' disarmismo morale, non
propone una politica senza armi. Il pacifismo anabattista era rinuncia dei
cristiani alla vita politica, rinuncia a trasformare il mondo. Eppure, gli
anabattisti, nella storia della chiesa, sono quelli che hanno avuto il
maggior numero di martiri per la pace (9).
I Quaccheri hanno vita spirituale molto intensa, confidano nella "luce che
illumina ogni uomo" (Giovanni 1, 9). Il loro e' un pacifismo nonviolento, ma
attivo, dalle origini (XVI sec.) fino ad oggi (essi sono all'inizio delle
maggiori organizzazioni mondiali per la pace e i diritti umani). Non sono
tutti pacifisti dalle origini (qualcuno milita nell'esercito di Cromwell),
ma lo diventano per approfondimento religioso. Rifiutano le armi, ma si
assumono responsabilita' civiche con impegno storico-politico, obbediscono
alle leggi, salvo l'obiezione di coscienza.
William Penn (1614-1718) fonda lo stato della Pennsylvania: amicizia coi
pellerossa, liberazione degli schiavi (che portera' in seguito
all'abolizione della schiavitu'), liberta' di religione, Costituzione nel
1681, uguaglianza. Lo Stato quacchero dura 70 anni: la liberta' di
immigrazione pone i quaccheri in minoranza, sicche' il parlamento decide di
istituire un contingente militare! "Primo e unico stato che sia stato
fondato senza un esercito, che abbia quindi rinunciato all'uso della
violenza e alla sicurezza statale mediante la violenza".
Il 21 novembre 1660, emettono una dichiarazione pubblica al re Carlo II, in
vigore fino ad oggi: "Noi ripudiamo energicamente tutte le guerre e le
contese e ogni combattimento con armi materiali... e cio' tanto per il regno
di Cristo quanto per i regni di questa terra". Chissa' se il verbo
"ripudiare" nella Costituente italiana, art. 11, venne in mente grazie a
questa memoria...
In un Appello alle chiese cristiane di tutto il mondo (1923), scrivono: "La
piu' urgente delle riforme del nostro tempo e' di abolire la guerra, di
stabilire, ad esclusione di qualsiasi altro mezzo, misure pacifiche per
regolare le vertenze... Questi mezzi pacifici non potranno riuscire fino a
che le nazioni non avranno trasformato le loro spade in vomeri e non avranno
cessato di imparare la guerra" (10).
A proposito dei quaccheri, insieme ad altri grandi esempi storici, Aldo
Capitini scrive: "Gli storicisti debbono riconoscere che sul piano storico
non e' vero che il nonviolento perde sempre e il violento vince sempre, se
e' vero che... William Penn, quando si presento' con i suoi amici quaccheri
ai pellirosse senza alcuna arma, i capi gettarono via le proprie armi, e
sorse uno stato di pace, a differenza di tutti gli altri dell'America del
Nord. Esistono vittorie senza violenza" (11).
Erasmo da Rotterdam (1466-1536) vede nelle nuove armi (inizio del 1500) un
salto di qualita' che lo sconvolge: le artiglierie fanno stragi. "Gli uomini
sono nati inermi, eterno Dio, ma di quali mai armi li ha dotati il furore!
Con macchine infernali i cristiani assalgono i cristiani. Chi mai crederebbe
invenzione umana le bombarde?" (12). Come alternative alla guerra indica
l'arbitrato (specialmente del papa), le virtu' cristiane, ma non parla di
disarmo.
*
7) Nell'umanesimo cristiano
Anche Erasmo appartiene a quest'area. Paolo Ricca, nell'opera citata (pp.
129-130) giudica il pacifismo degli umanisti cristiani sia al di qua della
fede degli anabattisti, sia al di qua della politica come spazio proprio
riconosciuto da Lutero.
Bartolome' de las Casas (1474-1566), nominato "Protettore degli Indios",
denuncia le radici anticristiane del colonialismo, "disarma" la missione
evangelizzatrice nelle Americhe, contrastato dai coloni, ottiene da Carlo V
le Nuove leggi sulle Indie, nel 1542, ma inapplicate. "Il Cristo non ha dato
a nessuno il potere di costringere o di molestare gli infedeli che si
rifiutano di ascoltare la predicazione della fede o di accogliere i
predicatori nella loro terra" (13).
Nicola Cusano (1401-1464): nel De pace fidei, 1453, scritto sotto lo choc
della caduta di Costantinopoli, sembra voler disarmare in anticipo lo
scontro di "verita' religiose armate" del secolo successivo. Pur affermando
una maggiore luce di Dio nella fede cristiana, vede tutte le religioni,
anche l'ebraismo e l'islam, come parte di una comunita' credente universale;
accetta non solo la positiva varieta' dei riti, ma anche le diversita'
dottrinali come formulazioni diverse della verita'; cerca ogni possibile
argomento di accordo tra le fedi; dilata enormemente il concetto di
universalita' della chiesa cristiana invisibile, fino a tutta l'umanita',
fino a quelli che noi oggi diremmo non confessionali o non credenti; la sua
idea di tolleranza non e' negativa, non e' "sopportazione"; pur su una base
cristocentrica (perche' Cristo opera in tutti); vuole ridurre i conflitti
religiosi nella societa', tra ragione e fede, tra etica evangelica e etica
razionale (tanto che Federici Vescovini parla di "secolarizzazione"
anticipata, pur mettendo in guardia dal de-contestualizzare Cusano). Il suo
principio e' "exactam quaerere conformitatem est potius pacem turbare"
(pretendere una completa conformita' e' piuttosto turbare la pace). Le
religioni vanno intese e avvicinate come fattori di pace (14).
*
8) Il disarmo nel pacifismo contemporaneo
Norberto Bobbio (15) individua tra i tipi di pacifismo quello "strumentale",
che consiste in due distinte azioni:
a) distruzione o drastica limitazione degli strumenti bellici (dottrina e
politica del disarmo); e' il disarmo materiale progressivo;
b) sostituzione dei mezzi nonviolenti ai mezzi violenti (teoria e pratica
della nonviolenza, in particolare la dottrina del Satyagraha di Gandhi)
(16); e' il disarmo materiale quanto alle armi omicide, ma non e' disarmo
quanto alle armi umane della forza di resistenza.
I movimenti antimilitaristi, anti-armamenti - da Bertha von Suttner (17),
premio Nobel per la Pace (il primo conferito ad una donna) nel 1905 (siamo
quest'anno nel centenario!) fino al movimento antinucleare (nel 2005 ricorre
il cinquantesimo anniversario del grande manifesto Einstein-Russell), e al
movimento antimissili degli anni '80 -  rappresentano il versante negativo,
animato anche da ben legittima paura, del movimento complessivo e positivo
della cultura della pace. Rappresentano un'iniziativa che sorge dal basso e
dall'interno delle societa' e delle loro articolazioni, non dalle
cancellerie e diplomazie.
*
9) Dichiarazioni delle chiese sul disarmo durante la guerra fredda
9. A) I documenti delle chiese evangeliche (18) riflettono un dibattito e
una ricerca attorno alla nozione di "guerra giusta" e al suo superamento,
dati i caratteri della guerra moderna. Quella nozione e' superata
definitivamente nella Conferenza mondiale di "Chiesa e societa'", Ginevra
1966, che indica linee concrete di coesistenza pacifica imperniata attorno
all'Onu.
La quinta Assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Nairobi
1975, decise di "continuare l'esame di cio' che significa l'azione
nonviolenta in vista del cambiamento sociale e la lotta contro il
militarismo", avvio' un programma sulla corsa agli armamenti, dichiaro' che
la dottrina delle deterrenza e' uno degli "idoli" che i cristiani devono
"smascherare e sfidare".
Il Sinodo Generale della Chiesa Riformata d'Olanda, 1980, chiede chiaramente
la denuclearizzazione unilaterale del paese, affinche' il negoziato sia
unito a "passi che si situano gia' sulla via del disarmo";
La presa di posizione "piu' meditata e avanzata sulla pace" nell'ambito
delle chiese evangeliche, fino al 1982, e' la "Confessione di fede in Gesu'
Cristo e la responsabilita' della Chiesa per la pace", dell'Alleanza
Riformata della Repubblica Federale Tedesca: la questione della pace mette i
cristiani davanti all'alternativa di confessare o rinnegare l'Evangelo.
Questo punto di vista suscito' un dibattito vivacissimo tra i teologi e
nelle chiese. Il documento indicava molte misure precise, sebbene caute, sul
disarmo, come "primi passi" necessari e doverosi, con un richiamo favorevole
al precedente documento olandese: "Dato che si e' rivelato impossibile
compiere tali passi mediante accordi multilaterali, questi devono essere
compiuti unilateralmente".
La sesta Assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Vancouver,
1983, respinge il concetto di deterrenza; definisce gia' la sola "produzione
di armi nucleari un crimine contro l'umanita'"; invita "cristiani e non
cristiani a rifiutare ogni forma di collaborazione o di lavoro nell'ambito
di progetti che riguardano la guerra o gli armamenti nucleari"; dice che
devono essere "accolti con gioia... tutti i mezzi che conducono al disarmo",
anche le "iniziative unilaterali".
*
9. B) Dichiarazioni della chiesa cattolica.
Nel cristianesimo delle origini troviamo il rifiuto delle armi, o almeno del
loro uso in guerra; poi avviene un accomodamento con la difesa dell'impero
cristiano, e sant'Agostino costruisce la teoria della "guerra giusta"
(meglio: giustificata a determinate condizioni), che dura fino al '900.
Nel 1963, Giovanni XXIII pubblica l'enciclica Pacem in terris, il primo
documento organico sulla pace dai tempi di S. Agostino. Dichiara che e'
irrazionale - alienum a ratione - pensare che la guerra sia strumento adatto
a risarcire il diritto violato; che e' illusorio e pericoloso basare la pace
sull'equilibrio degli armamenti; li si riduca simultaneamente e
reciprocamente; e' necessario il disarmo integrale, cioe' anche degli
spiriti, perche' la pace si costruisce sulla fiducia reciproca.
Il Concilio Vaticano II (1962-1965), nella Costituzione Gaudium et Spes
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, elogia la difesa nonviolenta
(disarmata) (n. 78); non e' scusabile l'obbedienza a ordini criminali
perche' contrari al diritto delle genti; le leggi provvedano umanamente a
chi per motivi di coscienza rifiuta l'uso delle armi mentre accetta un altro
servizio alla comunita'; non si puo' negare ai governi il diritto alla
legittima difesa, in mancanza di una autorita' internazionale efficace;
anche i militari che fanno il loro dovere concorrono alla stabilita' della
pace (n. 79); la guerra moderna va considerata con mentalita' completamente
nuova; ogni atto di guerra che mira a distruzione vasta e indiscriminata e'
delitto e va condannato con fermezza (n. 80). Il Concilio si astiene dal
condannare la dissuasione nucleare, ma dice che la corsa agli armamenti e'
una delle piaghe piu' gravi dell'umanita', danneggia i poveri, produrra'
stragi (n. 81); dobbiamo con impegno preparare quel tempo nel quale,
mediante l'accordo delle nazioni, si potra' interdire del tutto qualsiasi
ricorso alla guerra, una volta istituita una efficace autorita' pubblica
universale; tutti devono impegnarsi per far cessare la corsa agli armamenti,
non unilateralmente, s'intende, ma con uguale ritmo, con accordi e garanzie
(n. 82).
Manca dunque una condanna totale della guerra e anche della dissuasione
nucleare (per le pressioni dei vescovi statunitensi: era in corso la guerra
del Vietnam), ma la condanna relativa e' l'unico giudizio del genere in un
concilio non dottrinale, ma tutto pastorale, che non emette alcuna altra
condanna (19).
Paolo VI (papa dal 1963 al 1978), richiamandosi alla lezione della Pacem in
terris di Giovanni XXIII, davanti all'Assemblea dell'Onu, il 4 ottobre 1965,
affermava: "Alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e
pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volonta',
bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie  sono gia' segnate davanti a
voi; la prima e' quella del disarmo".
Nel 1976, Paolo VI giudica errore di ottimismo il disarmo unilaterale: "Il
disarmo o e' di tutti o e' un delitto di mancata difesa" (20). In questo
pensiero, la difesa militare e' concepita come l'unica forma di difesa.
Giovanni Paolo II, nel messaggio all'Angelus del 13 dicembre 1981: "Di
fronte agli effetti scientificamente previsti come sicuri di una guerra
nucleare, l'unica scelta, moralmente e umanamente valida, e' rappresentata
dalla riduzione degli armamenti nucleari, in attesa della loro futura
eliminazione completa, simultaneamente effettuata da tutte le parti" (21).
Nel 1976 e' presentato all'Onu il documento La S. Sede e il disarmo. Esso
ribadisce i principi finora affermati, rilancia la "pace mediante il
diritto", quindi l'importanza dell'Onu per l'effettiva integrazione politica
dell'umanita'. La parte piu' nuova e rivoluzionaria e' quella finale, che
postula una "nuova filosofia" e una "nuova teologia" della pace: "La
strategia del disarmo... deve appoggiarsi su una visione etica, culturale e
spirituale"; richiede una riflessione approfondita filosofica e teologica
"circa la nozione di 'legittima difesa', il concetto di 'nazione', di
'sovranita' nazionale', troppo spesso concepita nei termini di un'autarchia
assoluta" (22).
Giovanni Paolo II, nel discorso pronunziato il 12 novembre 1983 per la
sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, dedicata al
tema: "La scienza al servizio della pace ", disse tra l'altro: "I profeti
disarmati sono stati oggetto di irrisione in tutti i tempi, specialmente da
parte degli accorti politici della potenza, ma non deve forse oggi la nostra
civilta' riconoscere che di essi l'umanita' ha bisogno? Non dovrebbero forse
essi soli trovare ascolto nella unanimita' della comunita' scientifica
mondiale, affinche' siano disertati i laboratori e le officine della morte
per i laboratori della vita? Lo scienziato puo' usare della sua liberta' per
scegliere il campo della propria ricerca: quando in una determinata
situazione storica e' pressoche' inevitabile che una certa ricerca
scientifica sia usata per scopi aggressivi, egli deve compiere una scelta di
campo che cooperi al bene degli uomini, all'edificio della pace. Nel rifiuto
di certi campi di ricerca, inevitabilmente destinati, nelle concrete
condizioni storiche, a scopi di morte gli scienziati di tutto il mondo
dovrebbero trovarsi uniti in una volonta' comune di disarmare la scienza e
di formare una provvidenziale forza di pace. Dinanzi a questo grande malato,
in pericolo di morte, che e' l'intera umanita', gli scienziati, in
collaborazione con tutti gli altri uomini di cultura e con le istituzioni
sociali, devono compiere un'opera di salutare salvezza analoga a quella del
medico, che ha giurato di impegnare tutte le sue forze per la guarigione
degli infermi". Si trattava di un chiaro invito all'obiezione di coscienza -
rifiutare la ricerca a scopi di morte; disarmare la scienza - rivolto a
scienziati e ricercatori. Non risulta una risposta significativa a questo
appello.
Nell'indice del volume citato di Cavagna e Mattai, sono indicativi gia' i
titoli (dati dai curatori del libro) di alcuni dei vari documenti di singoli
vescovi o di conferenze episcopali sul disarmo, negli anni '70 e '80: "Oltre
la sicurezza delle armi", "E' preferibile il rischio del disarmo", "Le armi
sono una minaccia, non una garanzia", "Via le armi nucleari dall'Europa",
"Disarmo unilaterale e obiezione fiscale".
*
10) Oggi
Oggi c'e' un movimento mondiale anti-nuova-guerra, che e' guerra costituente
normale della politica, col professionismo militare, con i legami stretti
indissolubili tra economia e guerra (economia che produce guerra, guerra che
difende un assetto economico), col disprezzo del diritto internazionale
limitativo della guerra (23).
Ieri l'equilibrio del terrore creava il terrore dello squilibrio fatale,
catastrofico.
Oggi lo squilibrio di potenza crea nei popoli la volonta' di limitare la
potenza e di opporsi alla imperiale volonta' di potenza.
Mi pare di vedere una evoluzione: dalla paura delle armi (specialmente delle
armi di distruzione di massa; ma il maggior numero di vittime e' opera delle
armi leggere) alla critica e opposizione alla cultura delle armi, mediante
lo sviluppo di alternative non armate e nonviolente nella gestione dei
conflitti; dalla critica dell'apparato militar-industriale alla critica dei
fondamenti psichici, morali, ideologici, religiosi della cultura di guerra.
Riascoltiamo Panikkar: "Il compito della filosofia nel momento attuale...
consisterebbe, a mio parere, nel disarmare la ragione armata" (24).
(Parte prima - segue)

5. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA RIFLESSIONE DI ELENA CAMINO E ANGELA
DOGLIOTTI MARASSO
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto
della riflessione di Elena Camino e Angela Dogliotti Marasso.
*
"La prospettiva dell'approccio nonviolento al conflitto, che si basa a
livello teorico sul principio del rispetto e dell'accettazione verso
identita', idee, sogni diversi dai propri, trova ulteriore convalida
nell'accresciuta consapevolezza di una comune matrice (il nostro pianeta
vivente) all'interno della quale siamo chiamati a condividere delle risorse
limitate" (Elena Camino e Angela Dogliotti Marasso (a cura di), Il
conflitto: rischio e opportunita', Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
2004, p. 146).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
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13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 951 del 5 giugno 2005

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