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La nonviolenza e' in cammino. 951
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 951
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 5 Jun 2005 00:51:48 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 951 del 5 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Clementina, della sollecitudine 2. Un invito ad esprimere con il voto una scelta meditata 3. Per riaffermare la moralita' della fecondazione assistita 4. Enrico Peyretti: Storia del concetto di disarmo (parte prima) 5. Con "Qualevita", la riflessione di Elena Camino e Angela Dogliotti Marasso 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELLA SOLLECITUDINE [Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e' stata rapita alcuni giorni fa] Sollecita del bene, della liberta', della dignita' altrui e di tutti e' stata sempre Clementina, giunta a Kabul per donare il suo aiuto a chi gia' tanto ha sofferto, a chi di aiuto ha cosi' bisogno; come potremmo non essere solleciti adesso verso di lei? Ogni giorno, ogni ora, dobbiamo, vogliamo tornare a chiedere che ci sia restituita sana e salva, restituita a tutti noi che ne ammiriamo la generosita', restituita alle donne di Kabul che con grande coraggio e sincera solidarieta' sono scese in piazza per lei, restituita all'umanita' intera. Liberatela, in nome dell'umanita'. 2. REFERENDUM. UN INVITO AD ESPRIMERE CON IL VOTO UNA SCELTA MEDITATA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 giugno 2005 riprendiamo il seguente appello] I referendum su alcuni articoli della legge 40, che regolamenta la fecondazione assistita, mettono in gioco questioni importanti e di difficilissima soluzione, che dividono i cittadini al di la' delle appartenenze politiche e confessionali e ancor piu' generano incertezza e confusione. Dubbi e orientamenti diversi definiscono la posizione dei firmatari del seguente appello, che sono tuttavia accomunati dalle seguenti convinzioni: La legge 40 contiene lacune e contraddizioni in se stessa e rispetto ad altre leggi. I referendum che si terranno il 12 giugno hanno il merito di sollevare i gravi problemi che stanno al di sotto della legge in discussione e di aprire un dibattito pubblico molto utile non solo in vista delle scelte referendarie ma piu' in generale riguardo ai problemi giuridici, scientifici, etici e religiosi che quelle scelte implicano. Per questa ragione siamo contrari all'indicazione di non andare a votare. Questa indicazione e' anche poco limpida, perche' tende a utilizzare e a fomentare il disinteresse per le questioni in gioco sommandolo alla scelta contraria alle richieste dei referendum, tende a svilire l'istituto del referendum e tende a favorire un atteggiamento di irresponsabilita'. Inoltre essa risulta contraddittoria rispetto al carattere di principio che si assegna alle argomentazioni usate per giustificarla. Se la scelta di non votare puo' essere plausibile rispetto a questioni di scarso rilievo, lo stesso non si puo' dire rispetto a temi che mettono in gioco principi di fondamentale importanza, quali la vita, la salute, la ricerca scientifica e i suoi limiti. L'appello alla non partecipazione al voto, che e' giunto dai vertici della Cei, e' percio' inopportuno e, in particolare ai credenti, appare come un'incomprensibile e ingiustificata pretesa della gerarchia ecclesiastica di dettare norme che riguardano non i principi e gli orientamenti di fondo ma il dettaglio e le tecniche dei comportamenti politici. Pur consapevoli della difficolta' delle scelte e forse dell'insuperabilita' di alcuni dubbi, invitiamo percio' tutti, credenti e non credenti, a maturare una scelta meditata e ad esprimerla con il voto. * Franco Balosso, Fiorella e Luciano Bassignana, Toni Begani, Franco Bolgiani, Cristina e Giuseppe Bordello, Stefano Brusasco, Melita Cataldi, Claudio Ciancio, Renata e Franco Camoletto, Piero Degennaro, Stefania Di Terlizzi, padre Achille Erba, Carla Fantino, Elisabetta Galeotti, Marzio Galeotti, Giovanna Gambarotta, Eugenio Gili, Antonietta Guadagnino, Gianna Guelpa, Gian Carlo Jocteau, Dora Marucco, Gian Giacomo Migone, Mario Mosca, Laura Operti, Gabriella Orefice, Maurizio Pagano, Anna Pelloso, Ugo Perone, Franco Peyretti, Narinella Poggi, Katie Roggero, Mario Rosa, Ugo Gianni Rosenberg, Luciana Ruatta, Stefano Sciuto, Adriana Stancati, Angela Suppo, Gino Tedone, Domenico Todisco, Paolo Torreri, Rosanna Tos, Alberto Tridente, Federico Vercellone, Anna Viacava, Gustavo Zagrebelsky. 3. REFERENDUM. PER RIAFFERMARE LA MORALITA' DELLA FECONDAZIONE ASSISTITA [Dalla mailing list "Ecumenici" (per contatti: ecumenici at aliceposta.it) riprendiamo il seguente appello. Le adesioni vanno inviate a: politeia at fildir.unimi.it] La nascita di un bambino voluto dai genitori e' un bene prezioso, e il modo in cui avviene la nascita o il concepimento non annulla ne' sminuisce questo grande valore. Solo inveterati pregiudizi contro le tecniche o le novita' possono indurre a credere che solamente il concepimento conseguente al rapporto sessuale sia dignitoso e moralmente accettabile. Le tecniche di fecondazione assistita rappresentano un progresso medico e morale in quanto consentono alle persone di avere figli in maniera sempre piu' responsabile. La legge 40/2004, di conseguenza, e' una legge oscurantista perche' limita fortemente la liberta' personalissima di procreare, sia scoraggiando il ricorso alla fecondazione in vitro per il fatto di imporre - contro ogni indicazione medica - alle donne che la richiedono ripetute stimolazioni ormonali, sia vietando la donazione dei gameti a chi non ha altro modo per avere un figlio. Un mondo con piu' conoscenza e' migliore di un mondo avvolto nell'ignoranza, e quindi anche la ricerca scientifica volta a far crescere la conoscenza e' moralmente buona. Oggi la scienza sta spalancando nuovi straordinari orizzonti sulle prime fasi della vita umana con ricerche da cui si attendono effetti terapeutici di eccezionale valore. La legge 40/2004 blocca la ricerca scientifica in nome della difesa del "mistero della vita", mostrando un atteggiamento antiscientifico. A difesa della legge 40/2004 si sostiene che il concepito dalla fecondazione avrebbe i diritti (o la dignita') della persona umana, per cui il principio di uguaglianza imporrebbe di limitare o vietare la ricerca scientifica e la fecondazione in vitro. Questa tesi presuppone che un embrione di quattro o di otto cellule sia gia' una persona umana - una sorta di bambino in miniatura racchiuso in poche cellule. Oltre ad essere una specifica posizione morale di alcuni che non puo' essere imposta a tutti per legge, questa tesi non solo e' molto controversa ma e' anche debole sul piano razionale. Infatti, il prodotto del concepimento (l'embrione) nelle primissime fasi del concepimento puo' avere una pluralita' di destini, la maggior parte dei quali sono del tutto diversi da quello per cui gli si vogliono riconoscere dei diritti. Tra questi destini possibili, ad esempio, vi e' anche quello di trasformarsi in un tumore maligno. Solo un'intensa e falsata campagna mediatica e' riuscita a dare tanto rilievo all'assurda idea che l'embrione sia persona dal concepimento. Lungi dall'essere gia' persona dotata di diritti, l'embrione e' una fase iniziale del processo riproduttivo. Se e' moralmente ingiusto trattare uguali in modo disuguale, e' altrettanto ingiusto trattare disuguali in modo uguale. L'articolo 1 della legge deve essere abrogato come richiesto dal primo quesito del referendum. Dopo avere "blindato" la legge in Parlamento ed impedito qualsiasi miglioramento, si dice oggi che la materia oggetto del referendum e' troppo difficile e complessa perche' i cittadini possano decidere al riguardo. Questo e' il consueto argomento antidemocratico, analogo a quello usato in passato da chi riteneva che le donne o gli analfabeti non avessero conoscenze sufficienti per avere il diritto al voto e partecipare alla vita politica. Non solo la legge 40/2004 e' antiscientifica, ma e' difesa con argomenti poco compatibili con una democrazia matura in cui le persone si confrontano senza ricorrere all'espediente dell'astensione che sfrutta furbescamente il vantaggio dato da chi per necessita' o pigrizia non partecipa al voto. A votare al referendum si e' chiamati non da un numero (piu' o meno ampio) di cittadini, ma da una legge dello Stato analoga a quella che chiama al voto nelle elezioni politiche. Pur essendo consentito sul piano della legalita' formale, dal punto di vista sostanziale della moralita' politica l'appello all'astensione e' un attentato alla vita democratica. Mentre auspichiamo il successo del referendum, ribadiamo che i divieti della legge 40/2004 restano moralmente ingiusti e di grave inciampo al progresso civile anche se non fosse raggiunto il quorum. Su di essi dovra' riaprirsi il dibattito politico e legislativo per riaffermare la moralita' della fecondazione assistita e per garantire ai cittadini la liberta' riproduttiva. * Prime adesioni: Sergio Bartolommei, Universita' di Pisa; Patrizia Borsellino, Universita' dell'Insubria; Gilberto Corbellini, Universita' La Sapienza, Roma; Emilio D'Orazio, Centro Studi "Politeia", Milano; Eugenio Lecaldano, Universita' La Sapienza, Roma; Maurizio Mori, Universita' di Torino; Demetrio Neri, Universita' di Messina. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti. e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione la relazione tenuta il 10 febbraio 2005 al seminario "Historia magistra" diretto dal professor Angelo D'Orsi presso il Dipartimento di studi politici dell'Universita' di Torino. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Sommario I. Dis/armo - non/violenza. Arma - violenza - nonviolenza; Distinzione tra forza e violenza; Arma come forza e arma come violenza II. Disarmo morale e disarmo materiale. Culture antiche, moderne, contemporanee III. Chi disarma chi? Disarmo altrui: il vincitore disarma il vinto. Disarmo proprio: degli individui, dello stato IV. Disarmo come? disarmo quando? V. Disarmo quanto? quali armi? VI. Transarmo VII. La guerra privatizzata, come disarmarla? VIII. Conclusione Allegato A. Denuncia del Nuovo Modello di Difesa (1 giugno 2000) Allegato B. Proposte politiche della cultura nonviolenta Scheda. Dati sulle armi * Nel Dizionario di politica, edizione 2004, manca la voce Disarmo. Manca anche la voce Armi, Armamenti. (Questo mi pare un bene, ma quello un male!). Non c'e' neppure la voce Vittoria. La voce Armi, Armamenti, Disarmo si trova nell'Enciclopedia Einaudi, ma Disarmo e' solo nel titolo della voce, e niente nel contenuto! Si trova Disarmo, inteso come trattati internazionali, nell'Enciclopedia Europea Garzanti, Milano 1977. * I. Dis/armo - non/violenza Dis/armo significa non/violenza? Non/violenza vuol dire non/arma? Si' e no. Per il si': a New York, davanti al Palazzo dell'Onu, c'e' il monumento di una pistola con la canna annodata, di Reutersward, col titolo "Non-violence". L'anti-militarismo, l'anti-armismo (il distintivo che porto, del Movimento Nonviolento, e' un fucile spezzato) e' una fase infantile, iniziale, ma giusta e necessaria, della nonviolenza, perche' ogni arma significa uccidere, che e' tutta violenza, nessuna soluzione. Per il no: "arma" non vuol dire unicamente strumento per uccidere, o minacciare di morte. Significa anche forza, che va concettualmente distinta da violenza. L'arma e' anche morale (forza resistente e costruttiva) e non solo materiale (violenza distruttiva). C'e' arma umana e arma disumana. La forza costruisce, resiste. L'arma umana e' la capacita' di reggere, patire con forza (non subire, che e' collaborazione passiva). L'arma nonviolenta e' la non-collaborazione, che toglie base al potere ingiusto. C'e' anche una "costrizione nonviolenta", che consiste nel rendere il dominio piu' costoso della trattativa e del compromesso: e' una dissuasione non minacciosa. Resistere, reggere, e' azione piu' forte che aggredire: "Principalior actus fortitudinis est substinere", (S. Tommaso, Summa Theologica IIa-IIae, q. 123, art. 6): la forza difende, non offende. Per Gandhi "la sofferenza e' l'arma umana", anche per "conquistare" (persuadere) l'avversario. Quindi c'e' un'arma nonviolenta. La violenza e' violare (come lo stupro), e' infliggere ingiustamente sofferenza, offesa, in piu' modi: violenza fisica, morale, strutturale, culturale. L'arma violenta e' dis-umana: viola qualcosa di in-violabile nella persona umana. Suoi effetti sono: uccidere, ferire (al nemico sono piu' costosi i feriti che i morti, da qui l'uso di armi di medio danno); minacciare (Simone Weil, in Iliade, poema della forza: l'arma non solo uccide, ma, quando tiene sotto minaccia, "puo'" uccidere, e cosi' pietrifica, rende l'uomo ancora vivo una cosa, un "compromesso tra uomo e cadavere"); dominare: cosi' fa l'arma della fame, dell'ignoranza. Il corpo umano e' il primo strumento, che rappresenta tutta l'ambiguita' dell'arma. E' forza che solleva: Jean Valjean solleva il carro, da cio' Javert lo riconosce; Luigi Pintor in Servabo (Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 85): "Non c'e' in un'intera vita cosa piu' importante da fare che chinarsi perche' un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi". E' mano che colpisce, strangola, oppure si offre aperta (disarmata) per "salutare" (dare salute), per trattenere dal cadere o affondare: come diciamo "dare una mano"... La stessa intelligenza e' arma quando e' "intelligence", strumento che accompagna guerra e dominio; quando e' "ragione armata" (compito della filosofia e' "disarmare la ragione armata", scrive Raimon Panikkar (1)). Il senso e l'intuizione di qualche verita' (nelle convinzioni, nelle fedi) puo' essere: verita' armata (guerre di religione, odio teologico, ideologico) ma anche verita che "dis-arma", perche' da' il senso del cammino, della ricerca, della inadeguatezza continua. La verita' che possiamo conoscere, veramente non ci arma gli uni contro gli altri (come nella storia ha fatto chi arrogantemente ha pensato di tenerla in pugno e di imporla ad altri come verita' armata), ma proprio ci "disarma", nel senso che ci rende piu' miti ed umili, impegnati continuamente ad imparare dall'ascolto reciproco, e a vivere una vita piu' giusta. La verita', in quanto - poco o tanto - la intravediamo, proprio ci disarma, perche' ci impegna ad una vita personale e a relazioni umane piu' buone e piu' vere, dunque ci giudica, ci toglie arroganza. La forza della verita' non e' offensiva, ma consiste nell'agire profondamente su di noi, in quanto la cerchiamo e le siamo fedeli, col sospingerci ad essere piu' veri, piu' forti nel resistere al male e nel vivere il bene. * II. Disarmo morale e disarmo materiale Il concetto di arma e' ambivalente, dunque anche il concetto di disarmo: distinguiamo almeno disarmo morale e disarmo materiale. * II. A. Disarmo morale Appare prioritario rispetto al disarmo materiale, perche' non e' l'arma materiale che colpisce o minaccia, ma chi la impugna: un militare (amico o nemico) e' diverso da un poliziotto, da un cacciatore. San Francesco armato mi fa ridere, non mi fa paura. Eppure... L'arma materiale e' comunque un pericolo e minaccia, per la sola sua esistenza (nella societa' statunitense, la quantita' di armi private e' una delle cause della quantita' di omicidi). Ma c'e' un'ambiguita' anche del disarmo morale: puo' essere positivo o negativo. 1) E' positivo se nell'animo depongo l'atteggiamento aggressivo, violento, e mi dispongo a deporre strumenti violenti, e sviluppo il coraggio e la razionalita' nei conflitti. Questo atteggiamento e' espresso nella Regola d'oro, norma etica universale (ne ho raccolte 25 formulazioni, da tante religioni, culture, epoche). Con essa mi vieto (mi disarmo) l'azione verso altri che non vorrei fosse fatta a me, e mi comando di fare (arma, azione) ad altri cio' che vorrei fosse fatto a me. Questo significa che riconosco e affermo uguale valore a me e agli altri (imperativo categorico di Kant: "... la persona umana sempre come un fine, mai solo come un mezzo, sia in te che negli altri..."). Significa dunque parita' (ma Ricoeur avverte: la parita' puo' fondare anche la legge del taglione), ma anche "priorita' di Altri" (Levinas, ma gia' il vangelo e i mistici sufi), principio che compie e supera la Regola d'oro. Per la Regola d'oro non posso nutrire una volonta' e/o impugnare un'arma contro Altri: non essere "contro" qualcuno e' disarmo morale in senso positivo: cosi' facendo, per parte mia (ed e' tutto cio' che posso) non aggiungo violenza nel mondo. Ma cosi' lascio campo libero alla violenza? No. Propongo attivamente una reciprocita' positiva, anche se non posso determinarla nell'altro (tocca a lui corrispondere). 2) E' negativo se mi privo delle armi morali, umane (coraggio, resistenza) e cedo alla vilta', alla resa. Se, per non armarmi contro altri (ed evitare il relativo rischio di fare violenza), non resisto, subisco, mi sottometto, mi arrendo, quindi collaboro passivamente alla violenza altrui, sia su altri, sia su di me. In tal modo, sono moralmente disarmato, ma favorisco l'azione armata altrui, non riduco ma incoraggio l'armamento violento del mondo. E' questa l'obiezione (facile) opposta alla nonviolenza, come se fosse non-difesa, sottomissione, quella che Gandhi chiama (e che rifiuta) nonviolenza dei deboli. * II. B. Disarmo materiale Osserviamo come e' diversamente inteso nel tempo: 1) Bibbia; 2) miti greci; 3) miti orientali; 4) storia romana; 5) pacifismo medievale; 6) pacifismo moderno; 7) umanesimo cristiano; 8) pacifismo contemporaneo; 9) le chiese cristiane sul disarmo durante la guerra fredda; 10) oggi. * 1) Nella Bibbia Leggiamo nei profeti biblici (non sono indovini, ma annunciatori di un messaggio): nel primo Isaia (dal 735 al 701 a. C.) cap. 2 e 11 c'e' la promessa di un futuro in cui anche la violenza degli animali sara' superata: "il lupo pascolera' con l'agnello" (11, 6), e gli uomini "non impareranno piu' l'arte della guerra" (2, 4). Osea, meta' VIII secolo a. C.: "l'arco, la spada e la guerra li bandira' dalla terra" (2, 20). Pero' ricorre l'espressione famosa "Dio degli eserciti" (delle schiere). Essa afferma anzitutto che Dio e' superiore alle schiere celesti, agli astri prima divinizzati e nella Bibbia desacralizzati (gia' nel racconto della creazione). Poi pero' ha anche un significato militare: Israele si sente guidato da Dio nelle guerre (fino all'uso bellico della religione nei secoli cristiani: benedizioni, messe al campo, Te Deum per le vittorie...). Sono molte e frequenti le metafore militari per descrivere Dio guerriero contro il male, contro gli idoli: addestra alla guerra e da' la vittoria (salmo 18, 33-43); la spada di Dio sui Caldei (Babilonia; questo piacerebbe a Bush), sui suoi cavalli e carri, e tesori e acque (Geremia 50, 35-38). Anche in san Paolo troviamo immagini militari per dire l'impegno (agone) della vita cristiana. Il profeta Zaccaria (attivo nel 520-518 a. C.): "Non con la potenza ne' con la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore degli eserciti" (4, 6b), perche' e' piu' forte delle armi: "Quelli fanno ricorso ai carri e quelli ai cavalli, ma noi al nome del Signore nostro Dio" (salmo 20, 8). Dio odia e spezza le armi: spazza via carri e cavalli, infrange l'arco di guerra e annuncia la pace alle genti (Zaccaria 9, 10). Dio "spezza l'arco, frantuma la lancia, da' alle fiamme i carri di guerra" (Salmo 46, 10). "La loro spada penetrera' nel loro cuore" (salmo 37, 15). "Nessun re puo' salvarsi con la moltitudine dei suoi soldati... impotente e' il cavallo a portare salvezza" (salmo 33,16-17). Lo sterminio (herem) era una regola di guerra. "Il re cananeo di Arad, che abitava il Negheb, appena seppe che Israele veniva per la via di Atarim, attacco' battaglia contro Israele e fece alcuni prigionieri. Allora Israele fece un voto al Signore e disse: 'Se tu mi metti nelle mani questo popolo, le loro citta' saranno da me votate allo sterminio'. Il Signore ascolto' la voce di Israele e gli mise nelle mani i Cananei; Israele voto' allo sterminio i Cananei e le loro citta' e quel luogo fu chiamato Corma" (Numeri 21, 1-3). "Soltanto nelle citta' di questi popoli che il Signore tuo Dio ti da' in eredita', non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioe' gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perche' essi non v'insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio" (Deuteronomio, che e' un libro di leggi, 20, 16-18). Si possono vedere inoltre i seguenti molti passi: Genesi 7, 4; 1 Samuele 15; Giosue' 10, 19-41; Sapienza 12; Salmi 7, 5; 18, 41; 106, 34; 143, 12; Geremia 30, 11; 46, 28; 50, 21; Ezechiele 9, 1-11; Sofonia 1, 18; 3, 6.19; Zaccaria 13, 2; Apocalisse 9, 18. E temo che non siano tutti. In I Samuele 15, Samuele ordina a Saul lo sterminio totale (uomini, donne, bambini, animali) di Amalek; Saul risparmia il meglio degli animali, presi come bottino, e Samuele lo accusa: non vale sacrificare a Dio gli animali, doveva obbedire sterminandoli. Lo sterminio e' il massimo disarmo materiale: non sono distrutte le armi (utili come bottino), ma il popolo stesso nemico, i viventi stessi che potrebbero usare le armi. Pero' la ragione per Israele non e' tanto bellica quanto e' la necessita' di evitare radicalmente la contaminazione religiosa con popolazioni idolatriche, per preservare la purezza della fede monoteista. Probabilmente, secondo gli studiosi, lo sterminio e' piu' proclamato e vantato che esercitato. Nel mondo di oggi questo "disarmo" totale corrisponderebbe allo "scontro di civilta'", che si vale anche della "pulizia etnica", in cui una incompatibilita' assoluta tra sistemi di valori assolutizzati porterebbe all'annientamento culturale o fisico dell'altro sistema per evitarne il contagio. Qui la violenza e' il linguaggio sostitutivo del dialogo negato (2). Gesu' e' chiaro: "Rimetti la tua spada nel fodero, perche' chi mette mano alla spada di spada perira'" (Matteo 26, 52). Eppure si tratta della sua propria difesa. Ci sono dei passi evangelici in cui sembra di capire che Gesu' ha sentito pure la tentazione di usare la violenza, ma l'ha superata. Non propone la distruzione, ma il non uso dell'arma, che si ritorce su chi la usa. I famosi "paradossi" (offrire l'altra guancia; dare anche la tunica; fare un altro miglio di strada) del discorso della montagna in Matteo, sono stati lungamente interpretati come atti di sottomissione paziente alla violenza, rimettendo a Dio, in un altro mondo, ogni azione di giustizia. L'esegeta americano Walter Wink, nel libro Rigenerare i poteri, discernimento e resistenza in un mondo di dominio (Emi, Bologna 2003) da' alcune interpretazioni interessanti, rivelatrici del fatto che quei consigli di Gesu' offrivano una misura pratica e strategica per dare agli oppressi un potere nonviolento e liberante (pag. 308). Vediamo qui solo il primo di quei consigli: "Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Io invece vi dico di non resistere al male, anzi, se uno ti colpisce alla guancia destra, volgigli anche la sinistra" (Matteo 5, 38-39). Per capire bisogna conoscere il contesto: per colpire la tua guancia destra, l'altro avrebbe dovuto usare la sinistra, il cui uso era vietato, riservato ai soli compiti impuri. Dovendo quindi usare la destra, il colpo sulla guancia sinistra poteva essere solo un manrovescio. Questo colpo, piu' che una percossa inflitta in una rissa tra pari, era un'umiliazione, destinata agli inferiori: schiavi, figli piccoli, donne. Gesu' parlava a povera gente, che conosceva bene questa umiliazione. Ora, offrire l'altra guancia era privare l'oppressore della sua pretesa superiorita'. Era come dirgli: "Prova ancora. Io non ti riconosco il potere di umiliarmi. Sono pari a te. Tu non riesci ad offendere la mia dignita'". Questa reazione avrebbe messo l'offensore in difficolta': come puo' colpire ora (ovviamente con la propria destra) la guancia sinistra presentatagli? Non piu' con un manrovescio (impossibile), ma col palmo della mano destra, come farebbe in una rissa con un proprio pari. Anche se facesse flagellare l'inferiore per quella reazione, questi avrebbe comunque mostrato in pubblico la sua uguaglianza naturale con chi si crede superiore. Il prepotente ne esce umiliato. Un debole ha impedito a un prepotente di svergognarlo, ed anzi ha svergognato lui. Dira' Gandhi: "Il principio dell'azione nonviolenta e' la non-collaborazione con tutto cio' che si prefigge di umiliare". Gli altri due casi (la tunica e il miglio di strada), visti nel contesto storico reale (morale ebraica del corpo; occupazione militare romana), hanno uguale significato: sono vere armi nonviolente di riscatto della dignita' offesa. La nuova legge dell'amore e del perdono non ignora la verita' (cosi' come la riconciliazione non puo' avvenire che su base di verita': vedi il recente caso sudafricano). Se questa interpretazione di Wink e' corretta, Gesu' non si limita a superare le legge del taglione (vendetta regolata), tanto meno esorta semplicemente a disarmarsi davanti alla violenza, ma e' un geniale ideatore di tecniche di lotta nonviolenta per la giustizia. * 2) Nei miti greci Irene, la Pace, porta in braccio Pluto bambino, la ricchezza; non c'e' nulla nell'iconografia di Irene sulla neutralizzazione-distruzione delle armi. L'Iliade, secondo Simone Weil, e' il poema della forza (qui nel senso di violenza), che uccide ancor prima di uccidere, in quanto domina con la minaccia; ma anche poema della violenza in quanto sempre punita dal destino: "Ares e' equanime e uccide quelli che uccidono". E' la Nemesi (centrale nel pensiero greco). Omero descrive la forza (violenza, armi), ma anche ne denuncia l'assurdo con amarezza, e circonda di pieta' le sue vittime, che sono tanto i vincitori quanto i vinti, ugualmente miseri. C'e' il fascino delle armi scintillanti, ma anche pieta' per il dolore che danno. Albeggia il problema del salvarsi - dis-armarsi? - da questo inganno. Alcune opere recenti (3) riprendono il tema del fascino della guerra, che, per essere superato, deve essere considerato sul serio e vinto scoprendo anche la bellezza e non solo il dovere della pace. Per altro verso, l'opera citata di Drewermann, sociopsicologo, sottolinea in molte pagine "la deformazione dell'umano" determinata dal sistema militare in se stesso. * 3) Nei miti orientali Nelle culture orientali troviamo esempi di disarmo morale. Sulla vittoria in guerra, Buddha (VI a. C.; 565-486 circa a. C.) dice: "Fra chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui e' il migliore dei vincitori di ogni battaglia". Dunque, lotta, si', ma contro se stessi, con armi morali. "La vittoria alimenta inimicizia, perche' chi e' vinto giace dolente. Chi ha abbandonato vittoria e sconfitta, costui rista' tranquillo e felice" (4). Di Lao-tzu (sec. VI-V a. C., fondatore del taoismo, alternativo al confucianesimo) (5), leggiamo: "Le armi sono strumenti nefasti di cui un principe saggio si serve solo controvoglia, e per necessita', perche' preferisce una pace modesta a una gloriosa vittoria. Non bisogna giudicare che una vittoria sia un bene. Chi lo facesse, mostrerebbe d'aver cuore d'assassino. Che un simile uomo regni sull'impero non sarebbe opportuno...". "Dove le truppe fecero soggiorno cola' non nacque mai altro che sterpi e spine. E dopo i grandi eserciti ci furon sempre anni di carestia. E il buon condottiero vince e si ferma, non ardisce per questo usurpare potenza. Vince e non se ne gloria. Vince e non se ne vanta. Vince e non se ne estolle. Vince perche' costretto. Vince ma non pero' per farsi grande". Asoka, imperatore dell'India antica (buddhista, 270-265 fino circa 240 a. C.), sconvolto dalle proprie sanguinose guerre, decreta una tolleranza religiosa attiva a favore di tutte le comunita' religiose, e nonviolenza verso tutti gli esseri, anche gli animali. La Bhagavadgita (tra i testi piu' venerati della tradizione indiana, attorno all'inizio dell'era volgare), sembra esaltare il dovere della guerra, perche' Krishna supera l'esitazione e la ripugnanza di Arjuna a combattere contro i propri parenti. Pero', l'oggetto non e' tanto la guerra, quanto l'azione distaccata: sarebbe dunque come una parabola per insegnare l'azione doverosa senza attaccamento al risultato. Gandhi considerava come proprio vangelo una parte centrale (II, 54-72) di questo testo, e vi vedeva la vacuita' della guerra e della vittoria. * 4) Nella storia romana Cogliamo un frammento dalla storia romana. "Tito Livio narra come Scipione dopo la conquista di Cartagine Nuova (in Spagna, nel 209 a. C.; oggi Cartagena) non solo trattasse bene i prigionieri ma dava ordini di proteggere con rispetto e col massimo riguardo le donne, ribadendo che tali erano i principi e il costume del popolo romano, 'perche' nulla sia presso di noi oggetto di offesa, di cio' che in ogni luogo e' considerato inviolabile'. Sia il valore attribuito al nemico, sia l'interesse all'alleanza e alla costruzione di una civilta' di relazioni, non permise l'accadere di alcuno stupro di guerra ne' di episodi di umiliazione dei vinti" (6). E' un caso - raro - di rinuncia (piu' che autodisarmo) dell'arma-stupro. * 5) Nel pacifismo medievale La tregua di Dio nelle feste settimanali e annuali non e' un disarmo, ma un "armi-stizio", una fermata delle armi per incompatibilita' tra giorni sacri e guerra, tra religione e guerra: qui una cultura religiosa confessa che la religione deve disarmare. E' quasi un anticipo profetico - o anche ipocrita - di cio' che un giorno dovra' essere. C'e' un'analogia con l'antica tregua olimpica. Francesco e la crociata: nel 1219, egli va disarmato in quello che era visto come "l'impero del male", tanto che era detto "malicidio" (Bernardo di Chiaravalle), e non omicidio, l'uccidere gli infedeli considerati malfattori. A Damietta sul Nilo, Francesco sta due settimane a colloquio col sultano Kamil, trattato con rispetto e amicizia. E' pressoche' solo nel suo secolo a pensare "il vangelo senza spada" (7). Quando Francesco "sposa" la poverta' spiega al suo vescovo perplesso che se avesse possessi dovrebbe avere armi per difenderle: la poverta' e' dunque disarmo delle relazioni umane, armate dalla brama di ricchezza. I Valdesi scelgono la nonviolenza della chiesa apostolica, condannano la guerra, la crociata, la pena di morte, non portano armi, ma nei casi estremi usano le armi se aggrediti, e a volte hanno ceduto, uccidendo inquisitori e traditori (8). * 6) Nel pacifismo moderno Gli Anabattisti (ri-battezzatori), XVI secolo, furono ostracizzati ugualmente da cattolici e da protestanti: rifiutando il battesimo dei bambini delegittimavano la cristianita' sociologica come non cristiana. Rifiutavano il sistema politico che usava violenze antievangeliche (armi, pena di morte) legittimate dalla chiesa, e usava la chiesa come cemento dell'unita' dell'impero. Vivevano disarmati, rifiutavano il potere militare, politico, giudiziario. Testimoniavano la pace, piu' che costruirla. I Riformatori li giudicarono un "nuovo monachesimo" (Lutero) e irresponsabili perche' abbandonavano la politica agli increduli, vera eresia politica. Un pacifismo pio' radicale e manicheo appare negli Articoli di Schleitheim, VI articolo, del 1527: "La spada e' un ordinamento divino fuori dalla perfezione di Cristo... Il governo dell'autorita' costituita e' secondo la carne, quello dei cristiani secondo lo Spirito... La sua cittadinanza e' in questo mondo, quella dei cristiani nei cieli. Le armi del loro combattimento e della loro guerra sono carnali e combattono soltanto contro cose umane; le armi dei cristiani sono invece spirituali, contro le fortificazioni del diavolo". Menno Simons (circa 1496-1561; da cui i mennoniti): "O amato lettore, le nostre armi non sono spade e lance, ma pazienza, silenzio e speranza, e la Parola di Dio... Essi [i veri cristiani] hanno trasformato le loro spade in vomeri d'aratro e le loro lance in roncole... e non impareranno piu' la guerra". Dunque, due tipi di armi: carnali o spirituali. E' disarmismo morale, non propone una politica senza armi. Il pacifismo anabattista era rinuncia dei cristiani alla vita politica, rinuncia a trasformare il mondo. Eppure, gli anabattisti, nella storia della chiesa, sono quelli che hanno avuto il maggior numero di martiri per la pace (9). I Quaccheri hanno vita spirituale molto intensa, confidano nella "luce che illumina ogni uomo" (Giovanni 1, 9). Il loro e' un pacifismo nonviolento, ma attivo, dalle origini (XVI sec.) fino ad oggi (essi sono all'inizio delle maggiori organizzazioni mondiali per la pace e i diritti umani). Non sono tutti pacifisti dalle origini (qualcuno milita nell'esercito di Cromwell), ma lo diventano per approfondimento religioso. Rifiutano le armi, ma si assumono responsabilita' civiche con impegno storico-politico, obbediscono alle leggi, salvo l'obiezione di coscienza. William Penn (1614-1718) fonda lo stato della Pennsylvania: amicizia coi pellerossa, liberazione degli schiavi (che portera' in seguito all'abolizione della schiavitu'), liberta' di religione, Costituzione nel 1681, uguaglianza. Lo Stato quacchero dura 70 anni: la liberta' di immigrazione pone i quaccheri in minoranza, sicche' il parlamento decide di istituire un contingente militare! "Primo e unico stato che sia stato fondato senza un esercito, che abbia quindi rinunciato all'uso della violenza e alla sicurezza statale mediante la violenza". Il 21 novembre 1660, emettono una dichiarazione pubblica al re Carlo II, in vigore fino ad oggi: "Noi ripudiamo energicamente tutte le guerre e le contese e ogni combattimento con armi materiali... e cio' tanto per il regno di Cristo quanto per i regni di questa terra". Chissa' se il verbo "ripudiare" nella Costituente italiana, art. 11, venne in mente grazie a questa memoria... In un Appello alle chiese cristiane di tutto il mondo (1923), scrivono: "La piu' urgente delle riforme del nostro tempo e' di abolire la guerra, di stabilire, ad esclusione di qualsiasi altro mezzo, misure pacifiche per regolare le vertenze... Questi mezzi pacifici non potranno riuscire fino a che le nazioni non avranno trasformato le loro spade in vomeri e non avranno cessato di imparare la guerra" (10). A proposito dei quaccheri, insieme ad altri grandi esempi storici, Aldo Capitini scrive: "Gli storicisti debbono riconoscere che sul piano storico non e' vero che il nonviolento perde sempre e il violento vince sempre, se e' vero che... William Penn, quando si presento' con i suoi amici quaccheri ai pellirosse senza alcuna arma, i capi gettarono via le proprie armi, e sorse uno stato di pace, a differenza di tutti gli altri dell'America del Nord. Esistono vittorie senza violenza" (11). Erasmo da Rotterdam (1466-1536) vede nelle nuove armi (inizio del 1500) un salto di qualita' che lo sconvolge: le artiglierie fanno stragi. "Gli uomini sono nati inermi, eterno Dio, ma di quali mai armi li ha dotati il furore! Con macchine infernali i cristiani assalgono i cristiani. Chi mai crederebbe invenzione umana le bombarde?" (12). Come alternative alla guerra indica l'arbitrato (specialmente del papa), le virtu' cristiane, ma non parla di disarmo. * 7) Nell'umanesimo cristiano Anche Erasmo appartiene a quest'area. Paolo Ricca, nell'opera citata (pp. 129-130) giudica il pacifismo degli umanisti cristiani sia al di qua della fede degli anabattisti, sia al di qua della politica come spazio proprio riconosciuto da Lutero. Bartolome' de las Casas (1474-1566), nominato "Protettore degli Indios", denuncia le radici anticristiane del colonialismo, "disarma" la missione evangelizzatrice nelle Americhe, contrastato dai coloni, ottiene da Carlo V le Nuove leggi sulle Indie, nel 1542, ma inapplicate. "Il Cristo non ha dato a nessuno il potere di costringere o di molestare gli infedeli che si rifiutano di ascoltare la predicazione della fede o di accogliere i predicatori nella loro terra" (13). Nicola Cusano (1401-1464): nel De pace fidei, 1453, scritto sotto lo choc della caduta di Costantinopoli, sembra voler disarmare in anticipo lo scontro di "verita' religiose armate" del secolo successivo. Pur affermando una maggiore luce di Dio nella fede cristiana, vede tutte le religioni, anche l'ebraismo e l'islam, come parte di una comunita' credente universale; accetta non solo la positiva varieta' dei riti, ma anche le diversita' dottrinali come formulazioni diverse della verita'; cerca ogni possibile argomento di accordo tra le fedi; dilata enormemente il concetto di universalita' della chiesa cristiana invisibile, fino a tutta l'umanita', fino a quelli che noi oggi diremmo non confessionali o non credenti; la sua idea di tolleranza non e' negativa, non e' "sopportazione"; pur su una base cristocentrica (perche' Cristo opera in tutti); vuole ridurre i conflitti religiosi nella societa', tra ragione e fede, tra etica evangelica e etica razionale (tanto che Federici Vescovini parla di "secolarizzazione" anticipata, pur mettendo in guardia dal de-contestualizzare Cusano). Il suo principio e' "exactam quaerere conformitatem est potius pacem turbare" (pretendere una completa conformita' e' piuttosto turbare la pace). Le religioni vanno intese e avvicinate come fattori di pace (14). * 8) Il disarmo nel pacifismo contemporaneo Norberto Bobbio (15) individua tra i tipi di pacifismo quello "strumentale", che consiste in due distinte azioni: a) distruzione o drastica limitazione degli strumenti bellici (dottrina e politica del disarmo); e' il disarmo materiale progressivo; b) sostituzione dei mezzi nonviolenti ai mezzi violenti (teoria e pratica della nonviolenza, in particolare la dottrina del Satyagraha di Gandhi) (16); e' il disarmo materiale quanto alle armi omicide, ma non e' disarmo quanto alle armi umane della forza di resistenza. I movimenti antimilitaristi, anti-armamenti - da Bertha von Suttner (17), premio Nobel per la Pace (il primo conferito ad una donna) nel 1905 (siamo quest'anno nel centenario!) fino al movimento antinucleare (nel 2005 ricorre il cinquantesimo anniversario del grande manifesto Einstein-Russell), e al movimento antimissili degli anni '80 - rappresentano il versante negativo, animato anche da ben legittima paura, del movimento complessivo e positivo della cultura della pace. Rappresentano un'iniziativa che sorge dal basso e dall'interno delle societa' e delle loro articolazioni, non dalle cancellerie e diplomazie. * 9) Dichiarazioni delle chiese sul disarmo durante la guerra fredda 9. A) I documenti delle chiese evangeliche (18) riflettono un dibattito e una ricerca attorno alla nozione di "guerra giusta" e al suo superamento, dati i caratteri della guerra moderna. Quella nozione e' superata definitivamente nella Conferenza mondiale di "Chiesa e societa'", Ginevra 1966, che indica linee concrete di coesistenza pacifica imperniata attorno all'Onu. La quinta Assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Nairobi 1975, decise di "continuare l'esame di cio' che significa l'azione nonviolenta in vista del cambiamento sociale e la lotta contro il militarismo", avvio' un programma sulla corsa agli armamenti, dichiaro' che la dottrina delle deterrenza e' uno degli "idoli" che i cristiani devono "smascherare e sfidare". Il Sinodo Generale della Chiesa Riformata d'Olanda, 1980, chiede chiaramente la denuclearizzazione unilaterale del paese, affinche' il negoziato sia unito a "passi che si situano gia' sulla via del disarmo"; La presa di posizione "piu' meditata e avanzata sulla pace" nell'ambito delle chiese evangeliche, fino al 1982, e' la "Confessione di fede in Gesu' Cristo e la responsabilita' della Chiesa per la pace", dell'Alleanza Riformata della Repubblica Federale Tedesca: la questione della pace mette i cristiani davanti all'alternativa di confessare o rinnegare l'Evangelo. Questo punto di vista suscito' un dibattito vivacissimo tra i teologi e nelle chiese. Il documento indicava molte misure precise, sebbene caute, sul disarmo, come "primi passi" necessari e doverosi, con un richiamo favorevole al precedente documento olandese: "Dato che si e' rivelato impossibile compiere tali passi mediante accordi multilaterali, questi devono essere compiuti unilateralmente". La sesta Assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Vancouver, 1983, respinge il concetto di deterrenza; definisce gia' la sola "produzione di armi nucleari un crimine contro l'umanita'"; invita "cristiani e non cristiani a rifiutare ogni forma di collaborazione o di lavoro nell'ambito di progetti che riguardano la guerra o gli armamenti nucleari"; dice che devono essere "accolti con gioia... tutti i mezzi che conducono al disarmo", anche le "iniziative unilaterali". * 9. B) Dichiarazioni della chiesa cattolica. Nel cristianesimo delle origini troviamo il rifiuto delle armi, o almeno del loro uso in guerra; poi avviene un accomodamento con la difesa dell'impero cristiano, e sant'Agostino costruisce la teoria della "guerra giusta" (meglio: giustificata a determinate condizioni), che dura fino al '900. Nel 1963, Giovanni XXIII pubblica l'enciclica Pacem in terris, il primo documento organico sulla pace dai tempi di S. Agostino. Dichiara che e' irrazionale - alienum a ratione - pensare che la guerra sia strumento adatto a risarcire il diritto violato; che e' illusorio e pericoloso basare la pace sull'equilibrio degli armamenti; li si riduca simultaneamente e reciprocamente; e' necessario il disarmo integrale, cioe' anche degli spiriti, perche' la pace si costruisce sulla fiducia reciproca. Il Concilio Vaticano II (1962-1965), nella Costituzione Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, elogia la difesa nonviolenta (disarmata) (n. 78); non e' scusabile l'obbedienza a ordini criminali perche' contrari al diritto delle genti; le leggi provvedano umanamente a chi per motivi di coscienza rifiuta l'uso delle armi mentre accetta un altro servizio alla comunita'; non si puo' negare ai governi il diritto alla legittima difesa, in mancanza di una autorita' internazionale efficace; anche i militari che fanno il loro dovere concorrono alla stabilita' della pace (n. 79); la guerra moderna va considerata con mentalita' completamente nuova; ogni atto di guerra che mira a distruzione vasta e indiscriminata e' delitto e va condannato con fermezza (n. 80). Il Concilio si astiene dal condannare la dissuasione nucleare, ma dice che la corsa agli armamenti e' una delle piaghe piu' gravi dell'umanita', danneggia i poveri, produrra' stragi (n. 81); dobbiamo con impegno preparare quel tempo nel quale, mediante l'accordo delle nazioni, si potra' interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra, una volta istituita una efficace autorita' pubblica universale; tutti devono impegnarsi per far cessare la corsa agli armamenti, non unilateralmente, s'intende, ma con uguale ritmo, con accordi e garanzie (n. 82). Manca dunque una condanna totale della guerra e anche della dissuasione nucleare (per le pressioni dei vescovi statunitensi: era in corso la guerra del Vietnam), ma la condanna relativa e' l'unico giudizio del genere in un concilio non dottrinale, ma tutto pastorale, che non emette alcuna altra condanna (19). Paolo VI (papa dal 1963 al 1978), richiamandosi alla lezione della Pacem in terris di Giovanni XXIII, davanti all'Assemblea dell'Onu, il 4 ottobre 1965, affermava: "Alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volonta', bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono gia' segnate davanti a voi; la prima e' quella del disarmo". Nel 1976, Paolo VI giudica errore di ottimismo il disarmo unilaterale: "Il disarmo o e' di tutti o e' un delitto di mancata difesa" (20). In questo pensiero, la difesa militare e' concepita come l'unica forma di difesa. Giovanni Paolo II, nel messaggio all'Angelus del 13 dicembre 1981: "Di fronte agli effetti scientificamente previsti come sicuri di una guerra nucleare, l'unica scelta, moralmente e umanamente valida, e' rappresentata dalla riduzione degli armamenti nucleari, in attesa della loro futura eliminazione completa, simultaneamente effettuata da tutte le parti" (21). Nel 1976 e' presentato all'Onu il documento La S. Sede e il disarmo. Esso ribadisce i principi finora affermati, rilancia la "pace mediante il diritto", quindi l'importanza dell'Onu per l'effettiva integrazione politica dell'umanita'. La parte piu' nuova e rivoluzionaria e' quella finale, che postula una "nuova filosofia" e una "nuova teologia" della pace: "La strategia del disarmo... deve appoggiarsi su una visione etica, culturale e spirituale"; richiede una riflessione approfondita filosofica e teologica "circa la nozione di 'legittima difesa', il concetto di 'nazione', di 'sovranita' nazionale', troppo spesso concepita nei termini di un'autarchia assoluta" (22). Giovanni Paolo II, nel discorso pronunziato il 12 novembre 1983 per la sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, dedicata al tema: "La scienza al servizio della pace ", disse tra l'altro: "I profeti disarmati sono stati oggetto di irrisione in tutti i tempi, specialmente da parte degli accorti politici della potenza, ma non deve forse oggi la nostra civilta' riconoscere che di essi l'umanita' ha bisogno? Non dovrebbero forse essi soli trovare ascolto nella unanimita' della comunita' scientifica mondiale, affinche' siano disertati i laboratori e le officine della morte per i laboratori della vita? Lo scienziato puo' usare della sua liberta' per scegliere il campo della propria ricerca: quando in una determinata situazione storica e' pressoche' inevitabile che una certa ricerca scientifica sia usata per scopi aggressivi, egli deve compiere una scelta di campo che cooperi al bene degli uomini, all'edificio della pace. Nel rifiuto di certi campi di ricerca, inevitabilmente destinati, nelle concrete condizioni storiche, a scopi di morte gli scienziati di tutto il mondo dovrebbero trovarsi uniti in una volonta' comune di disarmare la scienza e di formare una provvidenziale forza di pace. Dinanzi a questo grande malato, in pericolo di morte, che e' l'intera umanita', gli scienziati, in collaborazione con tutti gli altri uomini di cultura e con le istituzioni sociali, devono compiere un'opera di salutare salvezza analoga a quella del medico, che ha giurato di impegnare tutte le sue forze per la guarigione degli infermi". Si trattava di un chiaro invito all'obiezione di coscienza - rifiutare la ricerca a scopi di morte; disarmare la scienza - rivolto a scienziati e ricercatori. Non risulta una risposta significativa a questo appello. Nell'indice del volume citato di Cavagna e Mattai, sono indicativi gia' i titoli (dati dai curatori del libro) di alcuni dei vari documenti di singoli vescovi o di conferenze episcopali sul disarmo, negli anni '70 e '80: "Oltre la sicurezza delle armi", "E' preferibile il rischio del disarmo", "Le armi sono una minaccia, non una garanzia", "Via le armi nucleari dall'Europa", "Disarmo unilaterale e obiezione fiscale". * 10) Oggi Oggi c'e' un movimento mondiale anti-nuova-guerra, che e' guerra costituente normale della politica, col professionismo militare, con i legami stretti indissolubili tra economia e guerra (economia che produce guerra, guerra che difende un assetto economico), col disprezzo del diritto internazionale limitativo della guerra (23). Ieri l'equilibrio del terrore creava il terrore dello squilibrio fatale, catastrofico. Oggi lo squilibrio di potenza crea nei popoli la volonta' di limitare la potenza e di opporsi alla imperiale volonta' di potenza. Mi pare di vedere una evoluzione: dalla paura delle armi (specialmente delle armi di distruzione di massa; ma il maggior numero di vittime e' opera delle armi leggere) alla critica e opposizione alla cultura delle armi, mediante lo sviluppo di alternative non armate e nonviolente nella gestione dei conflitti; dalla critica dell'apparato militar-industriale alla critica dei fondamenti psichici, morali, ideologici, religiosi della cultura di guerra. Riascoltiamo Panikkar: "Il compito della filosofia nel momento attuale... consisterebbe, a mio parere, nel disarmare la ragione armata" (24). (Parte prima - segue) 5. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA RIFLESSIONE DI ELENA CAMINO E ANGELA DOGLIOTTI MARASSO Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto della riflessione di Elena Camino e Angela Dogliotti Marasso. * "La prospettiva dell'approccio nonviolento al conflitto, che si basa a livello teorico sul principio del rispetto e dell'accettazione verso identita', idee, sogni diversi dai propri, trova ulteriore convalida nell'accresciuta consapevolezza di una comune matrice (il nostro pianeta vivente) all'interno della quale siamo chiamati a condividere delle risorse limitate" (Elena Camino e Angela Dogliotti Marasso (a cura di), Il conflitto: rischio e opportunita', Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004, p. 146). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 951 del 5 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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