La nonviolenza e' in cammino. 948



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 948 del 2 giugno 2005

Sommario di questo numero:
1. Clementina, dell'attenzione
2. Daniela Padoan: Le "pazze" di Plaza de Mayo
3. Ciao Irene
4. Irene Bersani: Nonostante tutto, donne
5. Lorella Pica: Vi chiediamo una mano
6. Flavio Lotti e Grazia Bellini: L'11 settembre la marcia Perugia-Assisi
7. Liliana Tedesco: Danzare
8. Stefania Giorgi intervista Suzi Leather
9. Marco Bascetta: Tornare a Marcuse
10. Con "Qualevita", all'ascolto di Helder Camara
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELL'ATTENZIONE
[Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care
international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e'
stata rapita alcuni giorni fa]

Notizie terribili giungono dall'Afghanistan, e Clementina e' sempre
prigioniera dei suoi sequestratori.
I mass-media italiani, quando non abbiano gia' ritenuto non piu' degna di
attenzione la sua vita in pericolo, sembrano piu' interessati al
sensazionalismo che alla concreta, tremenda realta'.
Purtroppo anche molte persone in altri momenti sollecite delle vite in
pericolo sembrano ora non rendersi conto che anche la nostra attenzione o la
nostra distrazione possono contribuire a salvare una vita, o a lasciare che
i rapitori facciano cio' che vogliono nell'indifferenza generale.
Non passi giorno senza che la nostra voce si levi e chieda ancora e ancora
che Clementina sia liberata, e che una piu' ampia, piu' forte, piu' profonda
solidarieta' raggiunga il popolo afghano vittima di guerre, di mafie, di
oppressioni e violenze inenarrabili.

2. ESPERIENZE. DANIELA PADOAN: LE "PAZZE" DI PLAZA DE MAYO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo articolo apparso sul quotidiano "L'Unita'" il 16 maggio
2005. Daniela Padoan e' una prestigiosa giornalista e saggista femminista.
Dalla bella rivista "Via Dogana" riprendiamo la seguente scheda di
presentazione: "Daniela Padoan collabora con la televisione e la stampa, in
particolare con "Il manifesto". Nel pensiero della differenza ha trovato un
tassello mancante, degli elementi in piu' per la lettura di avvenimenti
attuali e storici come la vicenda delle Madres de la Plaza de Mayo ("la
lotta politica forse piu' radicale di questi decenni"), o la Shoah, che
Daniela ha indagato, nel suo ultimo libro, attraverso tre conversazioni con
donne sopravvissute ad Auschwitz (Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano
2004)". Opere di Daniela Padoan: Miti e leggende del mondo antico, Sansoni
scuola, Firenze 1996; Miti e leggende dei popoli del mondo, Sansoni scuola,
Firenze 1998; (a cura di), Un'eredita' senza testamento, Quaderni di "Via
Dogana", Milano 2001; (a cura di), Il cuore nella scrittura. Poesie e
racconti delle Madres de Plaza de Mayo, Quaderni di "Via Dogana", Milano
2003; Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004]

"Ci chiamavano le pazze, e qualcuno pensava che fosse un'offesa. Certo, ci
mettevano dentro tutti i giovedi', e noi ritornavamo. Ci dicevano, eccole
la', le pazze. Le arrestiamo e loro ritornano. Ma noi sapevamo di essere
pazze d'amore, pazze dal desiderio di ritrovare i nostri figli... E poi,
perche' no? un po' di pazzia e' importante per lottare. Abbiamo rovesciato
il significato dell'insulto di quegli assassini. Non ci offendeva piu' che
ci chiamassero pazze. Per fare quello che abbiamo fatto, quello che
continuiamo a fare, dobbiamo essere un po' pazze. La follia e' importante. A
volte sono proprio i pazzi, insieme ai bambini, quelli che dicono la
verita'".
Sono le parole di Hebe de Bonafini, presidente delle Madri argentine di
Plaza de Mayo, un gruppo di donne (semplici casalinghe abituate ad assistere
all'attivita' dei figli senza porsi troppe domande, cresciute nel rispetto
delle autorita' costituite) che, dopo il golpe militare del 24 marzo 1976,
ebbero il coraggio di sfidare la dittatura e conquistare la piazza, decise a
ritrovare i figli scomparsi. Solo in seguito seppero che i militari avevano
sequestrato e ucciso trentamila oppositori politici, ragazzi e ragazze
torturati nei campi di concentramento clandestini disseminati in centinaia
di luoghi insospettabili nell'intero paese, gettati in mare con i "voli
della morte".
All'inizio si erano rivolte ai giudici, ai commissari, ai parroci, agli
avvocati, agli esponenti politici, per scoprire di essere circondate da un
muro di complicita', paura e indifferenza. Furono le porte che si videro
chiuse in faccia, o aperte con subdola condiscendenza per carpire ulteriori
informazioni, a dar loro la misura del potere che le soverchiava e a
spingerle in quella Plaza de Mayo che avrebbe dato loro il nome, a dar vita,
di fronte al palazzo presidenziale, alla storica marcia che continuano da
ventotto anni, ogni giovedi'.
Mentre, secondo il pervasivo indottrinamento golpista per cui la nazione si
trovava davanti al compito di liberarsi dei "sovversivi", le vittime
venivano trasformate in colpevoli agli occhi della stessa societa', le Madri
di Plaza de Mayo erano segnate a dito come madri di terroristi. Proprio
l'impossibilita' del racconto, della manifestazione del dolore e della
rabbia, il voltar loro le spalle dei vicini e spesso degli stessi parenti,
le uni' in un collettivo che, man mano che il mondo si squadernava facendosi
incomprensibile e ostile, divento' la loro ragione di vita. Forti solo del
fazzoletto bianco che si annodavano sotto il mento, delle fotografie dei
figli appese sul petto, seppero inventare varchi con il proprio stesso corpo
per far sapere al mondo quello che accadeva sotto una dittatura che voleva
invece mostrarsi, ben diversamente da quella degli stadi cileni di Pinochet,
capace di una transizione alla democrazia.
Le Madri - che non si lasciarono intimidire neppure quando il regime
sequestro' e uccise le tre donne che avevano dato vita al gruppo -
continuarono a chiedere giustizia anche dopo la caduta del regime, mentre i
governi costituzionali, pur di chiudere sbrigativamente i conti con la
"guerra sporca" e i suoi responsabili, promulgavano leggi assolutorie e
indulti, e offrivano risarcimenti economici sempre piu' cospicui alle
famiglie per indurle a dichiarare morti i desaparecidos.
Rifiutando una pacificazione che eludeva le responsabilita' dei genocidi e
affermando che la vita non si paga con il denaro ma con la giustizia,
rinunciarono al lutto. Madri non piu' dei singoli figli, ma simbolicamente
di tutti i trentamila scomparsi, fecero della maternita' una forza capace di
tenerli in vita per sempre, mettendo in scacco gli assassini e i torturatori
ancora comodamente annidati nelle nicchie del potere.
Dopo aver vissuto un'esperienza abissale che le ha tenute per quasi
trent'anni in presenza della morte senza accettarla, le Madri di Plaza de
Mayo hanno fatto del dar vita un potere irrevocabile.
Ma chi erano, le Madri, prima che la storia si abbattesse su di loro,
trasformandole radicalmente? Benche' la prima parte delle loro esistenze -
l'infanzia, il matrimonio, la nascita dei figli - si fosse svolta tra gli
anni Venti e gli anni Sessanta in un paese dove ogni tentativo di democrazia
aveva avuto vita difficile, represso da continui colpi di stato, per loro il
succedersi di governi militari, il peronismo, le dittature dell'intero
continente latinoamericano erano stati poco piu' che echi remoti. "Quando i
miei figli andavano a scuola" racconta Hebe "misero in scena l'Antigone.
Assistevo a tutte le repliche, perche' mi piaceva tanto vederli recitare;
sapevo a memoria quel testo, ma mai mi resi conto di cio' che voleva dire.
Adesso si'. Adesso so chi e' Antigone". Il corpo che il tiranno non voleva
seppellito nella cerchia delle mura sarebbe diventato quello di tutti i
trentamila desaparecidos.
Ora che il mondo ha imparato a conoscerle e che il nuovo presidente
argentino Kirchner, nel suo primo discorso davanti alle Nazioni Unite, si e'
dichiarato "figlio delle Madri di Plaza de Mayo", continuano a trovarsi
nella loro Casa nel centro di Buenos Aires, dove tutti i giorni tengono
riunioni, cucinano, parlano dei nipoti e degli acciacchi, ricevono
personaggi pubblici - dal presidente venezuelano Chavez a Bono degli U2, che
ha dedicato loro la canzone Mothers of Disappeared; da Danielle Mitterand a
Jose' Saramago, che le ha candidate per il premio Nobel per la pace - ma
soprattutto accolgono giovani che vengono da tutte le parti del mondo ad
ascoltare dalla loro viva voce il racconto di una traiettoria inaudita. Da
li' guardano come nuovi figli i ragazzi e le ragazze che frequentano i corsi
tenuti gratuitamente da docenti argentini e latinoamericani nell'Universita'
popolare delle Madri di Plaza de Mayo, aperta cinque anni fa e voluta come
un lascito di vita e di liberta'.
"Se noi donne ormai vecchie, tutte tra i settanta e i novant'anni" dice Beba
Petrini "possiamo venire qui ogni giorno, magari qualcuna un po' malferma,
col bastone - e se dobbiamo andare a una marcia, ci andiamo, se dobbiamo
uscire di notte a fare un discorso, lo facciamo - allora tutto si puo' fare.
Quella che adesso si occupa della rassegna stampa e' una madre di novantadue
anni. Stiamo mettendo molte cose su internet perche', e' chiaro, dobbiamo
stare al passo con i tempi, pero' tutto questo e' inamovibile, resta, e
dimostra che quando uno fa quello che vuole e quello in cui crede, e quando
sogna, nonostante possa avere molti anni e avere sofferto molto, be',
allora... sii felice, puoi, cammina e fai. Questo siamo noi Madri".

3. LUTTI. CIAO IRENE
[Dalla newsletter settimanale "Grillonews" n. 68 del primo giugno 2005 (per
contatti: e-mail: newsletter at grillonews.it, sito: www.grillonews.it)
riprendiamo il seguente ricordo di suor Maria Irene Bersani. Nata a
Cattolica, il 29 maggio 1931, Irene Bersani si era laureata in lettere
moderne nel 1958 presso l'Universita' del Sacro Cuore di Milano; fatto il
suo ingresso tra le Comboniane nel 1961, nel 1964 e' partita per l'Eritrea
dove ha insegnato per dieci anni nell'Istituto Sacra Famiglia e
all'Universita' d'Asmara; nel 1977 ha assunto la direzione di "Raggio", la
rivista delle missionarie comboniane; e' deceduta il 28 maggio 2005]

Il 28 maggio 2005 suor Maria Irene Bersani e' nata a Nuova Vita. Dopo circa
due mesi di malattia, vissuta con coraggio e fede, suor Irene ha chiuso
serenamente il suo percorso terreno. Suor Irene e' stata una missionaria
comboniana che ha vissuto con medesima passione la sua vocazione prima in
Eritrea, come insegnante; poi a Verona, come direttrice della rivista
"Raggio".
Un campo, quello della comunicazione, che ha sempre considerato come
elemento portante nell'annuncio del Vangelo. Con la sua dipartita, le suore
missionarie comboniane e il mondo dei mass media perdono senz'altro una
"penna fine", ma acquistano una "inviata speciale" presso il Buon Dio.
"Durante gli anni che l'hanno vista a tempo pieno nell'ambito della
comunicazione missionaria, suor Bersani - scrivono le sue consorelle di
"Raggio", in una nota pervenuta all'agenzia giornalistica "Misna" - e' stata
tra le prime persone che, all'interno della Federazione stampa missionaria
italiana (Fesmi) si sono battute per rendere l'informazione missionaria
sempre piu' idonea al passo dei tempi, ma soprattutto per vedere tutte le
forze missionarie unite attorno al comune obiettivo: annunciare con
coraggio, creativita' e competenza la Buona Notizia di Gesu'".

4. RIFLESSIONE. IRENE BERSANI: NONOSTANTE TUTTO, DONNE
[Sempre da "Grillonews" riprendiamo il seguente testo di Irene Bersani
apparso sulla bella rivista delle missionarie comboniane "Raggio" nel giugno
2004]

Per giorni e giorni hanno fatto il giro del mondo suscitando ribrezzo e
orrore. Sono divenute immagine simbolo del risvolto piu' atroce di una
guerra assurda contrabbandata come liberatrice. Simbolo di un mostro ancor
piu' mostruoso solo perche' incarnato da una donna, incredibilmente donna.
Un certo mito femminile ne e' rimasto infranto come quello
dell'"inviolabilita'" degli Stati Uniti nell'attentato alle Torri Gemelle.
"Il manifesto" parla di catastrofe simbolica e l'impatto avrebbe effetti
ancor piu' devastanti.
Parliamo molto a malincuore dell'emblema degli orrori nella prigione di Abu
Ghraib (Iraq): la soldatessa Lynndie England che, con sorriso tra il sadico
e l'imbronciato, tiene al guinzaglio un prigioniero turpemente ridotto a
trofeo di presunta vittoria sul terrorismo iracheno. C'e' chi vide in tale
oscenita' anche la rivalsa crudele di un femminismo impazzito.
Di lei "si sa tutto": nome, eta', provenienza, stato civile, rapporti
familiari ed extra. Ha 21 anni, viene dal West Virginia, e' divorziata, il
suo boyfriend appare con lei in un altro fotogramma, si era arruolata ed era
partita per l'Iraq ìper pagarsi il college, la reazione dei suoi genitori
alla sconcertante apparizione e' stata contrastante. Conosciamo le notizie
sulle sanzioni che le saranno comminate e sul progetto di abbattimento del
carcere (diretto anch'esso da una donna, generale di brigata Janis
Karpinsky, che si e' dichiarata sconvolta e all'oscuro dell'allucinante
vicenda).
Perche' tanto scalpore come se ci si svegliasse da un incubo? La tortura,
occultata, ma purtroppo reale, c'e' da sempre, e non solo nei Paesi a regime
dittatoriale. Viene addirittura insegnata in scuole ad hoc ed esportata nei
Paesi incriminati proprio dal sedicente territorio della democrazia e della
liberta'. Le informazioni circolano sommesse e presto sommerse da altre,
finche' scoppia la notizia "choc" perche' chi tortura e' una donna.
Infamante epilogo di un'emancipazione femminile che si era gia' suicidata
nell'aver rincorso la parita' col maschio assumendo l'uso delle armi. Quando
una donna, nell'arruolarsi e andare in guerra e imparare ad uccidere, vede
raggiunto l'obiettivo della parita', ha gia' distrutto (o non ha mai
conosciuto) il senso della vera dignita' sua e dell'uomo.
Liberandoci dal tranello di questo tipo di informazione che esibisce una
specie di divismo demoniaco, scopriamo un diverso modo di individuare e
raccontare altre realta' e immagini che chiedono la nostra attenzione,
partecipazione, rispetto. Vedi ad esempio l'agenzia missionaria "Misna" nel
suo seguire, con senso umanitario e professionalita', le vicende del nord
Uganda e dei campi profughi devastati dai ribelli dell'Esercito di
resistenza del Signore (Lra). Proprio in quella tragica cornice di orrori di
cui pochi parlano, cogliamo una gemma incastonata: un particolare che
rischia di scivolare inosservato.
Il comunicato del 18 maggio 2004 traccia un bilancio delle vittime trovate
in seguito a un attacco contro il campo profughi di Pagak, 18 chilometri a
nord di Gulu, oltre a quelli degli ostaggi rapiti per trasportare il bottino
e poi barbaramente uccisi a bastonate nella foresta; nota il ritrovamento di
altri cadaveri, fra cui quello di un ribelle che gli abitanti del campo
erano riusciti a catturare. Ma ecco la notizia: "Un altro ribelle e' stato
sepolto nella savana dopo essere stato trasportato a spalla da una delle
donne rapite e che, nonostante tutto, stava cercando di fargli avere cure
mediche".
Il comunicato prosegue con altre informazioni. A noi quella sembra degna
d'essere scritta a caratteri d'oro. Una donna africana, profuga, di cui non
conosciamo il nome ne' altri connotati se non quello d'essere stata rapita e
soprattutto la dimensione del suo cuore cosi' grande che, "nonostante
tutto", riesce a vedere nell'assalitore ferito soltanto un uomo da curare.
Versione moderna, al femminile, del buon Samaritano, o piuttosto della
misericordia gratuita del Figlio di Dio che si fa carico del peccato dei
suoi crocifissori.
Nessuno dei grandi cronisti o dei registi mediatici di una abusata
spettacolarita' femminile, si occupera' mai di questa sconosciuta figura di
donna che riscatta a se stessa, al ribelle ferito e all'umanita' sconvolta,
l'immagine originaria disegnata dal cuore di Dio per i suoi figli e figlie,
d'ogni etnia, classe sociale, ruolo, bandiera o ideologia.
Noi sogniamo e vogliamo collaborare a far crescere un mondo di donne cosi',
"nonostante tutto".

5. ESPERIENZE. LORELLA PICA: VI CHIEDIAMO UNA MANO
[Da: Lorella Pica (per contatti: sullastrada at iol.it) riceviamo e
diffondiamo. Lorella Pica, gia' apprezzata pubblica amministratrice, e'
impegnata nell'associazione "Sulla strada", nella rivista "Adesso", in molte
iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Per ulteriori informazioni e
per sostenere le attivita' di solidarieta' in Guatemala e in Angola
dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr),
tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito:
www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico,
"Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta
di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia:
c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito:
www.reteblu.org/adesso]

Carissime e carissimi,
Come qualcuno forse sa gia', il prossimo 16 giugno riparto per l'America
latina.
Staro' dieci giorni in una riserva indiana in Costa Rica dove abbiamo
avviato un progetto di sostegno lo scorso luglio e poi in Guatemala al
nostro villaggio La Granadilla, fino alla fine di luglio.
Questa volta non vi chiedo medicine, come al solito, ma una cosa che puo'
sembrare piu' futile ma in realta' non lo e'.
Come sapete i nostri bambini, quelli che frequentano la scuola, sono circa
130 e sono bambini ora liberi (anche se qualcuno ancora parzialmente) dal
lavoro schiavo nella costruzione dei fuochi di artificio.
Purtroppo, nelle zone povere come la nostra, grande e' il fenomeno
dell'emigrazione verso gli Stati Uniti da parte dei papa' che affrontano
viaggi pericolosissimi e costosi per poter raggiungere clandestinamente quel
paese.
Una volta arrivati trovano lavori sottopagati e faticosi ma sempre piu'
remunerativi di quelli che facevano nella loro terra.
Nel nostro villaggio ci sono tre papa' che sono emigrati negli Stati Uniti,
i loro bambini sono molto tristi per la loro mancanza e si consolano con i
regalini che loro inviano ogni tanto.
E vengo la punto. Stiamo facendo uno sforzo per non far passare il concetto
tra i bambini che chi riesce ad andare negli Stati Uniti e' fortunato e
avra' un futuro roseo.
Non vogliamo che passi questa idea e invece stiamo lavorando per convincerli
che un futuro migliore si puo' avere anche nella propria terra se ci si
impegna a farla progredire e se c'e' qualcuno che ci da', almeno all'inizio,
una piccola mano.
I ragazzi, piano piano, riescono a capire che e' cosi', anche per
l'opportunita' che e' stata offerta loro di avere una scuola e di poter
continuare negli studi. Stanno sviluppando uno spirito critico che gli fa
capire che la loro condizione di poverta' non e' un caso ma e' il risultato
di disegni politici ed economici ben precisi e studiati e contro i quali
loro possono impegnarsi.
Ma i bambini sono tutti uguali e quando vedono una bella bambola o una bella
macchinina arrivare come regalo dagli Stati Uniti non stanno piu' nella
pelle... e nasce l'invidia... e questo non va bene. Solo che loro non
possono neanche lontanamente immaginare di comprare un giocattolo di quel
tipo e allora cercheremo di regalarglielo noi.
Ci piacerebbe portare delle bambole (piccole 20 cm, morbide, per metterle
facilmente nelle valigie, preferibilmente non bionde) e delle macchinine per
i nostri bambini.
Sono tanti, tra i piu' piccoli e i grandicelli sono circa 150 e quindi vi
chiediamo una mano.
Grazie, vi scrivero' dal Guatemala per raccontarvi come vanno le cose, un
saluto e un abbraccio a tutte e tutti,
Lorella

6. INIZIATIVE. FLAVIO LOTTI E GRAZIA BELLINI: L'11 SETTEMBRE LA MARCIA
PERUGIA-ASSISI
[Dalla Tavola della Pace (per contatti: flavio at perlapace.it) riceviamo e
diffondiamo. Flavio Lotti e Grazia Bellini sono i coordinatori nazionali
della Tavola della pace, la principale rete pacifista italiana]

Cari amici,
vi invitiamo ad aderire alla marcia Perugia-Assisi per la giustizia e la
pace che si svolgera' domenica 11 settembre 2005 alla vigilia di un
importante vertice delle Nazioni Unite. Tre giorni dopo, infatti, i capi di
stato di tutto il mondo si riuniranno a New York per decidere sulla lotta
alla poverta' e la riforma dell'Onu. Un'agenda troppo importante per essere
lasciata nelle mani dei governi che sono, in buona misura, responsabili
delle drammatiche condizioni in cui versa l'umanita' e della grave crisi
dell'Onu.
La marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre sara' parte di una giornata
mondiale di mobilitazione contro la miseria e l'ingiustizia, la guerra e
l'unilateralismo lanciata a Porto Alegre da numerose organizzazioni della
societa' civile di tutto il mondo.
La Marcia ha tre slogan e un obiettivo. I tre slogan sono: Mettiamo al bando
la miseria e la guerra. Riprendiamoci l'Onu. Io voglio. Tu vuoi. Noi
possiamo. L'obiettivo e' quello di dare voce a quanti si battono per un
cambiamento radicale della politica estera e della difesa del nostro paese,
per dare all'Italia un governo di pace.
La marcia Perugia-Assisi sara' preceduta dalla sesta Assemblea dell'Onu dei
popoli e dalla seconda Assemblea dell'Onu dei giovani, che si svolgeranno
rispettivamente a Perugia e a Terni dall'8 al 10 settembre.
Maggiori informazioni saranno disponibili nei prossimi giorni.
Nel frattempo vi rinnoviamo l'invito ad inviare subito la vostra adesione.
Con i piu' cordiali saluti.
Flavio Lotti e Grazia Bellini

7. RIFLESSIONE. LILIANA TEDESCO: DANZARE
[Ringraziamo di cuore Liliana Tedesco (per contatti: lylium at neomedia.it) per
queste sue considerazioni sull'esperienza condotta con i partecipanti al
convegno svoltosi a Palermo il 21-22 maggio 2005 sul tema "Liberarsi dal
sistema mafioso. Il contributo della nonviolenza". Liliana Tedesco,
musicista, amica della nonviolenza, del movimento dell'Arca (l'esperienza
nonviolenta promossa da Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, una delle grandi
figure della nonviolenza), e' da sempre partecipe delle lotte contro la
mafia, per la pace e i diritti umani di tutti gli esseri umani]

La serata del sabato 21 maggio e' stata molto intensa e gioiosa.
Nell'immaginario collettivo, essa si prefigurava semplicemente come un
momento di distensione; la speranza di divertirsi con le danze popolari non
brillava di certo negli occhi di un gruppo di ragazzi residenti al convento,
che non avevano trovato un'auto per potere spendere il sabato sera in
citta'.
L'unica cosa che ho richiesto all'inizio e' stata di sgomberare la mente
dall'idea di "non essere capaci" e di tenere viva l'attenzione sulla propria
verticalita', sull'esserci, l'essere presenti e presenti a se stessi, e il
gesto da fare si sarebbe compiuto da se'.
E cosi' abbiamo cominciato a danzare, a poco a poco, dalle danze piu'
semplici alle piu' complesse.
Danzavamo tutti, e procedendo, tutti imparavano in tempi sempre piu' brevi,
malgrado le danze fossero sempre piu' complesse; movenze inizialmente
elefantiache si andavano affinando; scatti ipercinetici si andavano
contenendo; rigidita' muscolari si andavano sciogliendo; compressioni
psicologiche e relazionali si andavano alleggerendo.
Da un atteggiamento iniziale magari possibilista piu' per non farsi prendere
per musoni che per altro, a poco a poco si passava alla gradevolezza e poi
alla gioia vera e propria, la gioia del muoversi e del muoversi con gli
altri, del prendere coscienza del proprio movimento e del fonderlo in un
unicum con quello altrui; la gioia che scaturisce dal sentire il proprio
corpo, e sentirlo in un contatto armonioso con gli altri.
Alla fine della serata, si respirava (oltre che un certo qual effluvio
ascellare) un clima di pienezza, di bella, sana stanchezza, di dolcezza
direi, di incontro forte.
Come ho scritto nel foglio di presentazione ad uso dei convegnisti, per me
proporre le danze all'interno di un convegno sul contributo della
nonviolenza nella lotta alla mafia non e' stata una scelta casuale.
Non ci si accorge spesso di quanta violenza si possa fare a se stessi, e di
conseguenza agli altri, quando non si bada allo sviluppo armonico di tutte
le proprie facolta', quando si misconosce una parte della propria
"strumentazione di bordo" totalmente a vantaggio di un'altra; quando una
parte di se' non si cura e non si nutre (e percio' quando viene fuori
deborda incontrollata e aberrante o languisce asfittica e repressa) mentre
un'altra parte diventa ipertrofica e ingombrante ed e' l'unica "faccia" di
noi che porgiamo come vera agli altri, mentre non e' che un'interfaccia
parziale dietro la quale magari ci nascondiamo per bene.
Ben misera e' l'intelligenza della mente sganciata da quella del corpo,
l'elasticita' del corpo sganciata da quella della mente, povera la
razionalita' senza l'intuito, limitato il non verbale senza un buon uso del
verbale.
Di fatto, sabato sera, alla fine di una giornata di attivita' seminariale
(eccezion fatta per il laboratorio sul teatro dell'oppresso, in cui la
corporeita' aveva avuto un suo ruolo), l'uso di un sistema di espressione e
di comunicazione diverso ha contribuito a riequilibrare nelle singole
persone, direi, la parte maschile con la parte femminile che sono entrambe
in ciascuno di noi e che ci chiedono a gran voce di non essere
misconosciute, di essere nutrite, coltivate ed armonizzate.
Al di fuori di cio', difficilissimo sara' per tutti noi parlare di
nonviolenza in modo credibile.

8. RIFLESSIONE. STEFANIA GIORGI INTERVISTA SUZI LEATHER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 maggio 2005.
Stefania Giorgi e' giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine
culturali del quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e
illuminanti, su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di
difesa intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del
pensiero delle donne.
Suzi Leather e' presidente della Human Fertilisation and Embryology
Authority, che regolamenta la ricerca e la fecondazione assistita nel Regno
Unito]

Suzi Leather dirige la Human Fertilisation and Embryology Authority (in
sigla: Hfea) che controlla e regolamenta la fecondazione assistita e la
ricerca con gli embrioni in Gran Bretagna. E' stata la Hfea, ad esempio, ad
autorizzare la ricerca di Newcastle che ha portato alla prima clonazione di
un embrione umano. Alla vigilia del suo viaggio in Italia (il 30 maggio
sara' tra le animatrici del Cafe' Scientifique del British Council di Roma
sulla legge 40 e il referendum) le abbiamo chiesto di rispondere ad alcune
domande sul caso inglese in materia di tecnologie riproduttive e ricerca.
- Stefania Giorgi: Secondo quali criteri, e attraverso quali meccanismi di
decisione, la Hfea permette o vieta una ricerca?
- Suzi Leather: Il sistema di riferimento su cio' che puo' o non puo' essere
consentito e' stabilito dal parlamento britannico. E' contenuto
principalmente nello Human Fertilisation and Embryology Act del 1990,
sebbene su questa materia siano state approvate anche altre leggi, come lo
Human Reproductive Cloning Act del 2001 che vieta la clonazione di esseri
umani per produrre bambini. E la legge del '90 consente che gli embrioni
siano usati a fini di ricerca solo fino al quattordicesimo giorno dopo la
fecondazione. Perche' un progetto di ricerca sia autorizzato, gli scienziati
che intendono effettuare la ricerca devono prima di tutto dimostrare che
l'uso di embrioni umani e' necessario per gli scopi della ricerca. Gli
embrioni umani non possono essere usati se l'obiettivo della ricerca puo'
essere raggiunto in altri modi, o mediante il ricorso a embrioni animali.
Inoltre gli scienziati devono convincere l'Authority che l'uso che sara'
fatto degli embrioni e' necessario o auspicabile per uno degli scopi
stabiliti dalla legge. Prima di decidere, l'Authority vaglia il merito della
ricerca, avvalendosi della consulenza di revisori riconosciuti a livello
internazionale, i requisiti del personale e le strutture da impiegare.
Mentre il parlamento ha fissato i confini di cosa e' ammissibile in linea di
principio, alla Hfea e' stato affidato il compito di decidere se qualcosa
debba essere permesso in un particolare momento, in un particolare contesto
scientifico, e in considerazione dei punti di vista prevalenti nella
societa'. Questo da una parte costituisce la garanzia che esistono dei
confini assoluti e non oltrepassabili e dall'altra consente che all'interno
di questi confini vi sia la flessibilita' necessaria a prendere in
considerazione gli sviluppi scientifici e i cambiamenti nella pratica
clinica e nella percezione pubblica. Perche' questa formula funzioni
efficacemente, e' fondamentale la coerenza e la comunicazione costante con
coloro che hanno a che fare con questo lavoro (praticamente, tutti) per
garantire che la regolamentazione si mantenga al passo con le acquisizioni
scientifiche e con il pubblico che puo' trarre beneficio dall'avanzamento
scientifico.
*
- Stefania Giorgi: La ricerca sulle cellule staminali embrionali divide
anche il mondo scientifico. Alcuni scienziati sostengono che gli stessi
potenziali risultati sono raggiungibili usando staminali adulte...
- Suzi Leather: E' importante ricordare che la Hfea non regola la ricerca
sulle cellule staminali in quanto tale, anche se regola la creazione e l'uso
di embrioni da cui le cellule staminali possono essere ricavate. Non abbiamo
prove chiare e incontrovertibili che dimostrino che tutto cio' che puo'
essere raggiunto usando le cellule staminali embrionali possa essere
raggiunto anche utilizzando quelle adulte. Ciononostante, il governo
riconosce che e' importante perseguire tutte le linee di ricerca che,
potenzialmente, potrebbero condurre a nuove cure per chi soffre di malattie
gravi e tali da abbreviare la vita. Percio' consente che si faccia ricerca
utilizzando cellule staminali embrionali e fetali, oltre che adulte. Quando
prendiamo in considerazione una richiesta di autorizzazione per un nuovo
progetto di ricerca, chiediamo specificamente ai ricercatori se potrebbero
effettuare la ricerca utilizzando cellule staminali adulte. Di norma ci
aspettiamo che si segua questa strada prima di ricorrere agli embrioni, ma
nella maggior parte dei casi non e' possibile dire in anticipo se offrano
prospettive migliori le staminali adulte o quelle embrionali. Cosi', una
ricerca che prevede il ricorso agli embrioni potrebbe essere auspicabile
contemporaneamente a una ricerca che prevede il ricorso a cellule staminali
adulte.
*
- Stefania Giorgi: Lo statuto dell'embrione accende il dibattito bioetico
nel mondo occidentale. La difesa della vita fin dal concepimento - fino
all'aberrazione della legge italiana che definisce il non nato persona e gli
attribuisce diritti prevalenti rispetto alla madre - e' una battaglia dei
cattolici fedeli al Vaticano. Ma anche, in ambito protestante, dei "teo-con"
guidati da Bush. Come spiega che Inghilterra e Usa, alleati nella guerra
preventiva, si dividano sull'embrione?
- Suzi Leather: Il dibattito sullo "status morale dell'embrione" ha una
storia lunga. Le posizioni adottate dalle e nelle diverse normative possono
essere influenzate da un complesso di tradizioni storiche, culturali,
religiose, legali e persino linguistiche. La posizione raggiunta nel Regno
Unito rappresenta l'esito di notevoli discussioni e consultazioni, un
esempio delle quali e' il rapporto della Commissione presieduta da Mary
Warnock, una filosofa morale, che ha orientato la stesura della nostra
normativa. Tali questioni sono state oggetto di un acceso dibattito in
parlamento, ma alla fine ha prevalso la posizione racchiusa nella legge del
'90. Una legge ampiamente sostenuta dalla maggioranza dell'opinione pubblica
britannica e che continua a riflettere il punto di vista maggioritario nel
nostro paese. Ma il dibattito va avanti e la Hfea continua a prestare
ascolto e attenzione a tutti i punti di vista. Gli altri paesi prenderanno
strade diverse e arriveranno a conclusioni diverse, piu' appropriate per
loro.
*
- Stefania Giorgi: Quale e' la definizione che la Hfea da' dell'embrione?
- Suzi Leather: Il significato legale di "embrione" e' stabilito nella
nostra normativa e successivamente e' stato interpretato dai tribunali
inglesi. La Hfea prende le mosse dalla definizione fissata dalla legge.
Nella legge e' chiaro che l'embrione non e' una persona in senso legale.
Nella nostra giurisprudenza lo status di "persona" inizia con la nascita,
non prima.
*
- Stefania Giorgi: Tra il permissivismo asiatico e i divieti Usa, il caso
inglese puo' rappresentare una possibile alternativa per l'Europa e il
mondo?
- Suzi Leather: L'approccio adottato dal Regno Unito sulla fecondazione
assistita e la ricerca sugli embrioni - regolamentazione all'interno di ampi
parametri stabiliti dal parlamento - ha funzionato bene nel contesto del
Regno Unito e siamo consapevoli che altri paesi stanno guardando a noi come
a un possibile modello. Le tradizioni e i valori che permettono a questo
approccio di funzionare bene nel nostro paese potrebbero non essere
presenti, o non nello stesso modo, in altri paesi, e dunque un accordo tra
tutti gli stati europei potrebbe essere difficile. Ci sono questioni su cui
possiamo trovarci d'accordo, come la proibizione della clonazione
riproduttiva e l'esigenza di standard qualitativi e di sicurezza nella
fecondazione assistita (come quelli contenuti nella Direttiva sui tessuti e
le cellule dell'Ue). Pero', in particolare sulle questioni che implicano un
giudizio etico, vi saranno sempre varianti, e imporre un approccio "a taglia
unica" potrebbe portare a ingiuste restrizioni dell'autonomia nazionale.
Una cosa che mi preoccupa e' la tendenza al cosiddetto "turismo
riproduttivo". Senza voler limitare la liberta' delle persone di sottoporsi
a trattamento in un paese di loro scelta, e senza sostenere una sorta di
normativa pan-europea, ci sono questioni reali e cruciali relative al
benessere (dei pazienti, della prole e dei donatori di gameti) che a mio
parere dobbiamo affrontare collettivamente. Abbiamo gia' sollevato queste
questioni con colleghi di altri contesti giuridici, ma ora si tratta di
metterci d'accordo su cosa pensiamo sia importante e quali misure ciascuno
di noi puo' prendere per garantire la tutela di questi interessi.
*
- Stefania Giorgi: Le biotecnologie toccano la nostra vita quotidiana ma
spesso, in mancanza di informazione corretta, sono vissute sotto forma di
paure, incubi, fantasmi. Come quello dell'eugenetica, dei replicanti "a' la
Blade Runner"...
- Suzi Leather: Dobbiamo tenere a mente che mentre la scienza medica ha
fatto grandi progressi nel campo dell'infertilita' e nel trattamento di
malattie gravi, molte delle possibilita' che lei menziona sono puramente
ipotetiche. Certamente esiste la possibilita' che la scienza sia usata in
modo improprio ed e' per questa ragione, al fine di tutelare gli interessi
dei pazienti, della prole e del pubblico in generale che il Regno Unito ha
fissato un sistema di regole. La filosofia che sta dietro il nostro
approccio e' stata quella di fare in modo che i medici e gli scienziati non
avessero liberta' assoluta, ma che fossero soggetti a un vaglio e a un
giudizio indipendenti che considerino non solo gli obiettivi immediati,
clinici o scientifici, ma anche le implicazioni non cliniche, personali,
sociali e - in particolare - etiche. Questo approccio sembra avere avuto
molto successo, dando informazioni e fiducia ai pazienti e all'opinione
pubblica e arrivando cosi' a un alto livello di condivisione delle scelte su
questi temi. Uno studio recente ha rivelato che il settanta per cento delle
persone presenti nel campione erano favorevoli alla ricerca sugli embrioni
per ottenere benefici in capo medico, e questo livello di consenso, a mio
parere, e' dovuto alla percezione del modo in cui la ricerca viene
effettuata e controllata in modo responsabile. Senza questo consenso il
settore che si occupa di fertilita' e ricerca non avrebbe potuto avere nel
Regno Unito il progresso che ha avuto.
*
- Stefania Giorgi: Pensa che i risultati della ricerca debbano essere
pubblici?
- Suzi Leather: Se vogliamo preservare la fiducia nella fecondazione
assistita e nella ricerca sugli embrioni umani, dobbiamo far si' che chi
effettua il trattamento e la ricerca sia chiamato a darne conto. I
ricercatori, quando pubblicano le loro ricerche, sono abituati a risponderne
alla comunita' scientifica, ma anche noi li chiamiamo a rispondere di come
effettuano le loro ricerche e garantiscono che le cellule umane siano usate
in modo appropriato. La regolamentazione consente un piu' alto livello di
trasparenza e confronto non solo quando i risultati vengono pubblicati, ma
anche quando i progetti vengono proposti per la prima volta. La Hfea fa
molto per pubblicizzare le domande e i progetti che prende in
considerazione. Quando riceviamo una nuova domanda di ricerca, ne
pubblichiamo una sintesi su internet e invitiamo a commentarla. Pubblichiamo
anche progress reports sui progetti che sono stati autorizzati e, una volta
all'anno, teniamo un incontro pubblico per esaminare le questioni in campo
nella comunita' dei ricercatori. Con l'interesse e le preoccupazioni con cui
si segue la ricerca sugli embrioni, questo lavoro sara' sempre al centro
dell'attenzione dell'opinione pubblica, e i media non sono mai restii ad
alimentare la discussione.
*
- Stefania Giorgi: In un mondo dominato dalla biologia quali sono i limiti
da porre alla ricerca?
- Suzi Leather: Il nostro ruolo come organo di regolamentazione e' garantire
che i limiti stabiliti dal parlamento e contenuti nella legge non siano
oltrepassati. La Hfea non decide quali siano questi limiti, anche se
partecipa attivamente a discussioni su cosa il futuro puo' riservarci.
Comunque, una cosa la sappiamo: il sistema del Regno Unito, che combina una
legislazione forte e una regolamentazione efficace, ci ha reso un buon
servizio negli ultimi quattordici anni, e questo deve essere dovuto in parte
alle circostanze della sua creazione. Vale a dire, in seguito a un'indagine
lunga e dettagliata della Commissione presieduta da Mary Warnock, che ha
coinvolto filosofi, scienziati, medici, pazienti, leader religiosi e i
numerosi altri gruppi interessati. Nel Regno Unito c'e' sempre stata
un'ampia consultazione pubblica sulle questioni relative alla fecondazione
assistita e alla ricerca con embrioni umani e, per tradizione, i membri del
parlamento sono stati lasciati liberi di votare secondo coscienza e non
secondo le convinzioni dominanti nei loro partiti politici. Questa
tradizione si innerva nell'amministrazione della legge da parte della Hfea
come organo di regolamentazione. La stessa Hfea - che ha una lunga storia
alle spalle di ascolto e dialogo con professionisti e pubblico - comprende
membri di estrazioni diverse: piu' della meta' di loro non si occupa
direttamente della procreazione assistita o della ricerca sugli embrioni
proprio per garantire che sia dato il giusto peso agli aspetti non clinici e
non scientifici.
*
- Stefania Giorgi: Prima della legge 194, molte italiane erano costrette a
venire in Inghilterra per l'interruzione della gravidanza. Ora la storia si
ripete con la procreazione assistita. Cosa potrebbe dire all'Italia a
riguardo, a partire dai risultati della legge britannica, una delle piu'
sagge d'Europa?
- Suzi Leather: Nei paesi europei c'e' una grande varieta' di tradizioni
culturali, filosofiche, religiose, legali e storiche differenti che pesano
tutte quante sulla fecondazione assistita e sulla ricerca sugli embrioni
umani. La soluzione legislativa adottata dal Regno Unito, cui si aggiunge
una regolamentazione efficace, funziona bene nel nostro ambiente culturale.
In generale e' importante rispettare queste tradizioni dato che quanto e'
permesso deve, in ultima analisi, godere del consenso pubblico generale,
anche se il singolo individuo puo' non essere d'accordo con tutto cio' che
la legge consente. Comunque, questo significa che paesi diversi,
inevitabilmente, giungeranno a conclusioni e a modi differenti di far
funzionare le cose. E' importante ricordare che il Regno Unito non e'
libertario (ad esempio non consente la selezione del sesso per scopi diversi
da quelli medici, selezione che e' consentita, o comunque non vietata, in
altri paesi europei). L'esistenza e la trasparenza dei nostri controlli, e
la fiducia che essi ispirano, aiuta ad affrontare le paure e le ansie di
donne e uomini su dove potrebbe portarci la scienza.
*
- Stefania Giorgi: La biotecnologia cambia lo scenario della procreazione
fin qui conosciuto dall'umanita'. Quali i rischi e quale la posta in gioco
se si separa il venire al mondo dalla sessualita' e si oscura la relazione
inscindibile dell'embrione dal corpo-desiderio materno?
- Suzi Leather: Questa e' una questione teorica che probabilmente va oltre
l'ambito di un organo di regolamentazione come la Hfea. La nostra
preoccupazione riguarda il benessere dei bambini che possono nascere in
seguito ai vari trattamenti procreativi medicalmente assistiti. La nostra
legge richiede che le cliniche dove si effettuano le tecniche di
riproduzione assistita considerino il benessere del nascituro, prima di
decidere se procedere col trattamento. Quello che sappiamo, e' che la
relazione tra madre e figlio e' molto piu' che un semplice legame e un link
genetico. Molti ricercatori hanno analizzato le conseguenze a lungo termine
su persone che hanno vissuto l'esperienza della procreazione assistita.
Anche nel caso di quei bambini nati grazie a ovuli, sperma o embrioni
donati, che non hanno un collegamento genetico con uno dei genitori o con
entrambi, non ci sono prove che il legame tra il bambino e i suoi genitori
sia piu' debole. Al contrario, alcuni sostengono che le donne passate
attraverso le difficolta' e le complessita' del trattamento per la
fecondazione assistita hanno gia' mostrato un forte investimento e costruito
un legame con il bambino che portano in grembo, ancor prima della nascita.
Le storie che molte madri ci raccontano lo confermano. E' vero che le
tecniche di riproduzione assistita producono inediti scenari di relazioni
familiari, ma le prove di cui oggi disponiamo sono lontane dal confermare il
timore che molti nutrivano i primi tempi, cioe' che potessero nuocere ai
bambini e alle famiglie interessate.

9. RIFLESSIONE. MARCO BASCETTA: TORNARE A MARCUSE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 maggio 2005.
Marco Bascetta e' giornalista del "Manifesto" e lavora nell'editoria. Ha
collaborato con le riviste "Luogo comune", "Derive approdi", "Posse", ed e'
direttore di "Global magazine". Tra le opere di Marco Bascetta: (et alii),
Stato e diritti nel post-fordismo, Manifestolibri, Roma 1996; La liberta'
dei postmoderni, Manifestolibri, Roma 2004.
Herbert Marcuse, filosofo, nato a Berlino nel 1898, fa parte della scuola di
Francoforte; costretto all'esilio dal nazismo, si trasferisce in America;
sara' uno dei punti di riferimento della contestazione studentesca e dei
movimenti di liberazione degli anni '60 e '70. Muore nel 1979. Opere di
Herbert Marcuse: segnaliamo almeno Ragione e rivoluzione, Il Mulino; Eros e
civilta', Einaudi; Il marxismo sovietico; L'uomo a una dimensione, Einaudi;
Saggio sulla liberazione, Einaudi. Opere su Herbert Marcuse: oltre le note
monografie di Perlini e di Habermas, cfr. Hauke Brunkhorst, Gertrud Koch,
Herbert Marcuse, Erre Emme, Roma 1989; cfr. inoltre gli studi complessivi e
le monografie introduttive sulla scuola di Francoforte di Assoun (Lucarini),
Bedeschi (Laterza), Jay (Einaudi), Rusconi (Il Mulino), Therborn (Laterza),
Zima (Rizzoli)]

Perche' tornare a Marcuse? E perche' proprio cominciando dai suoi scritti
politici sui movimenti, dagli interventi che si confrontavano con il maggio
francese, con la rivolta dei campus americani, con il movimento studentesco
di Rudi Dutschke, le black panthers e le mobilitazioni contro la guerra del
Vietnam?
Intanto perche' il problema politico che tutti li attraversa, quello
dell'emancipazione, o della trasformazione radicale dei rapporti sociali
nella societa' opulenta e altamente tecnologizzata continua a occupare il
nostro orizzonte. Il ruolo decisivo dei movimenti derivava, per Marcuse,
dalla chiusura definitiva delle due vie maestre che all'emancipazione
avevano promesso di condurre: la democrazia parlamentare borghese e la
rivoluzione operaia. La prima demolita dalla crisi dell'individuo borghese e
della sua sfera di eticita', accelerata dai fascismi e dalla concentrazione
monopolistica del capitale, la seconda dallo statalismo socialista e dal
tramonto della centralita' del lavoro operaio.
E' dunque il contraddittorio emergere di un soggetto, o di una pluralita' di
soggetti, non piu' determinati dalla liberta' del mercato fondata sul
riduzionismo mercantile e sullo spirito di sacrificio, o dal modello
collettivista che rovesciava in democrazia egualitaria gli stessi connotati
del lavoro salariato di massa, cio' che Marcuse cercava di vedere nei
movimenti, nei loro modi di azione e nelle loro forme di coscienza. Un
soggetto, dunque, non separato dalle sue pulsioni e dai suoi desideri, non
ridotto a una dimensione strettamente funzionale e disincarnata, un soggetto
che metteva in scena il conflitto tra il principio di prestazione e il
principio del piacere, respingendo la mediazione repressiva implicita nella
soluzione freudiana.
Ma il passaggio cui Marcuse cominciava ad assistere nei suoi albori, e che
noi possiamo contemplare oggi nella sua piena vigenza, e' quello che conduce
dall'esclusione pura e semplice del principio del piacere dal mondo del
lavoro, propria dell'organizzazione fordista della produzione, alla
trasformazione di questo principio stesso in principio di prestazione.
Questo e' in fondo il cuore di quell'ideologia della "creativita'" e
dell'autorealizzazione che accompagna l'inclusione di gran parte delle
facolta' e delle inclinazioni umane nel processo produttivo o, come
altrimenti si e' ripetutamente detto, la progressiva coincidenza tra tempo
di vita e tempo di lavoro. Un siffatto principio di integrazione si
sovrappone e in parte si sostituisce alle classiche lusinghe della "societa'
del benessere", peraltro in evidente declino.
I conflitti che Marcuse aveva posto al centro della sua attenzione
scaturivano dal divorzio tra liberismo e liberta', tra una promessa di
democrazia sociale ritagliata sull'identita' collettiva conferita dal lavoro
operaio e l'aspirazione, inevitabilmente singolare, al piacere e al libero
sviluppo del se'. Le due strade precluse verso l'emancipazione, democrazia
borghese e socialismo, nonche' la commistione socialdemocratica di entrambe,
si rovesciavano dunque in un dispositivo repressivo, sia pure (ma non certo
nel caso del socialismo) con le sembianze della tolleranza (ma solo di
quanto si dimostrasse compatibile con le leggi del profitto). La coercizione
e l'autorita' dovevano quindi incaricarsi di imporre un principio di
prestazione reso sempre piu' arbitrario dalla progressiva riduzione del
ruolo del lavoro nella produzione della ricchezza. E questo conferiva alla
rivolta antiautoritaria, al rifiuto delle regole e delle compatibilita' una
importanza decisiva.
Oggi che le politiche liberiste non solo si rivelano compatibili con forme
autoritarie di governo, ma moltiplicano a dismisura regole, vincoli e
proibizioni di fronte alla crisi evidente di ogni spontaneita' nel
meccanismo che le riproduce, le tematiche antiautoritarie riconquistano
pienamente il loro significato politico. Oggi che la "tolleranza repressiva"
descritta da Marcuse ha assunto, a New York come a Bologna, i tratti di una
"intolleranza protettiva" dei cittadini da se stessi e dai propri desideri,
oltre che dalle oscure minacce con cui se ne alimentano le paure, la ricerca
marcusiana del nesso antico e indissolubile tra ragione e felicita' merita
di essere ricondotta al centro della nostra riflessione.
E' questo insieme di motivi che ha dunque condotto la Manifestolibri alla
decisione di pubblicare i materiali inediti in Italia dell'archivio Marcuse.
Questo primo volume, dal titolo Oltre l'uomo a una dimensione
(Manifestolibri, pp. 373, euro 32, con una introduzione di Raffaele Laudani
e una postfazione di Antonio Negri) raccoglie quindi gli scritti di Marcuse
dedicati ai movimenti degli anni Sessante.
Ne seguiranno altri quattro, che affronteranno invece il rapporto tra
Marxismo e nuova sinistra, La societa' tecnologica avanzata, Teoria critica
del desiderio, e Filosofia e filosofia politica.

10. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI HELDER CAMARA
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto
di Helder Camara.
*
"Il male per eccellenza e' l'egoismo" (Helder Camara, Il deserto e' fecondo,
Cittadella, Assisi 1982 quarta edizione, p. 39).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 948 del 2 giugno 2005

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